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Caratterizzazione meccanica del tessuto osseo mediante nanoindentazione e flessione macroscopica in un modello murino di sindrome di Hutchinson-Gilford

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POLITECNICO DI MILANO

Scuola di Ingegneria Industriale e dell'Informazione Corso di Laurea in Ingegneria Biomedica

CARATTERIZZAZIONE MECCANICA DEL TESSUTO

OSSEO MEDIANTE NANOINDENTAZIONE E

FLESSIONE MACROSCOPICA IN UN MODELLO

MURINO DI SINDROME DI HUTCHINSON-GILFORD

Relatore: Prof. DARIO GASTALDI Correlatori: Prof. PASQUALE VENA

Ing. MASSIMILIANO BALEANI

Tesi di Laurea di: STEFANO ARNARDI, Matricola 877205 LUCA LORENZO CALVI, Matricola 875336

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(3)

II

INDICE DEI CONTENUTI

RINGRAZIAMENTI ... V

SOMMARIO ... VIII

ABSTRACT ...XIV

1. INTRODUZIONE ... 2

1.1. SINDROME DI HUTCHINSON-GILFORD ... 2

1.2. UTILIZZO DEL MODELLO ANIMALE ... 5

1.3. CARATTERIZZAZIONE MECCANICA DEL TESSUTO OSSEO ... 8

1.4. OBIETTIVI DELLO STUDIO ... 13

2. MATERIALI E METODI ... 17

2.1. REALIZZAZIONE DEL MODELLO NUMERICO DI FLESSIONE MACROSCOPICA DEL SEGMENTO OSSEO...19

2.2. CARATTERIZZAZIONE MECCANICA DEL SEGMENTO OSSEO ALLA PICCOLA SCALA...47

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III

3. RISULTATI E CONCLUSIONI

... 69

3.1. RISULTATI DEL MODELLO NUMERICO DELLA PROVA DI FLESSIONE...69

3.2. RISULTATI DELLE NANOINDENTAZIONI ... 82

3.3. SVILUPPI FUTURI ... 117

4. APPENDICE ... 119

(5)
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V

RINGRAZIAMENTI

Vorremmo ringraziare innanzitutto il prof. Dario Gastaldi e il prof. Pasquale Vena per la grandissima disponibilità mostrata durante tutti i mesi dedicati alla realizzazione di questa tesi, per la gradevole collaborazione, per gli indispensabili consigli e per tutto quello che ci hanno insegnato con estrema professionalità e passione, oltre alla simpatia che ha reso ancora più piacevole il lavoro. Inoltre, un sentito ringraziamento è rivolto a tutto lo staff di ricerca del Laboratorio di Tecnologia Medica presso l'Istituto Ortopedico Rizzoli di Bologna, in particolare a Massimiliano Baleani e a Roberta Fognani per il preciso lavoro di preparazione e test dei campioni e per tutto il materiale fornito, nonché per i preziosi suggerimenti.

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VI

Ringraziamenti Personali

Desidero ringraziare le persone senza le quali non sarebbe stato possibile raggiungere questo traguardo. In particolare vorrei ringraziare i miei genitori, per il sostegno e il supporto dimostratomi per tutta la durata del percorso universitario.

Ringrazio i miei amici di sempre, fondamentali nei momenti più impegnativi degli studi universitari ed i compagni di corso che hanno reso speciali gli anni passati in università. (Stefano)

Un grande ringraziamento va alla mia famiglia (mio papà Mauro, mia mamma Ombretta e mia sorella Alessandra), la quale mi ha permesso di arrivare a questo importante traguardo, sostenendomi nella scelta della carriera universitaria e facendo importanti sacrifici per permettermi di studiare e per aiutarmi nelle difficoltà. Un ringraziamento ed una dedica speciale vanno alla mia ragazza Francesca, che con la sua dolcezza, il suo affetto, il suo sostegno e la sua vicinanza incondizionata mi ha aiutato a terminare gli studi e anche ad affrontare ogni genere di difficoltà.

Inoltre, desidero ricordare e ringraziare mio nonno Antonio, il quale ha sempre tenuto molto alla mia istruzione e che sarebbe felice di assistere a questo mio importante traguardo.

Infine, ringrazio tutti i parenti, tutti gli amici e in generale tutti coloro che hanno sempre fatto il tifo e pregato per me, che hanno contribuito a rendere più liete le mie giornate e che mi hanno dato modo di imparare tante cose in questa mia parte di vita da studente. (Luca)

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VIII

SOMMARIO

INTRODUZIONE

La sindrome di Hutchinson-Gilford, o progeria, è una rara condizione genetica che si manifesta con un invecchiamento prematuro degli individui e causa malattie tipiche dell'età avanzata, come disturbi cardiovascolari e anomalie nello sviluppo del sistema scheletrico e dentale. Tuttavia, la sindrome di Hutchinson-Gilford non causa alcun ritardo mentale nei soggetti affetti. La causa della progeria è stata scoperta nel 2003 e consiste in una singola mutazione de novo del gene LMNA; questa mutazione provoca la produzione di una proteina, la progerina, responsabile della patologia.

A causa del suo rapido metabolismo, il modello murino progerico è uno strumento eccellente per perseguire due diversi scopi: i) effettuare uno studio efficace degli effetti di farmaci e trattamenti sul sistema muscolo-scheletrico e cardiovascolare nel tempo; e ii) studiare gli effetti dell'invecchiamento sui soggetti affetti da questa sindrome.

Il lavoro presentato in questa tesi è volto allo studio di modelli murini progerici su due distinte scale dimensionali: la macro-scala relativa al femore complessivo e la micro-scala relativa allo spessore della parete corticale dell'osso. In particolare, la caratterizzazione meccanica macroscopica del modello murino progerico è stata effettuata attraverso modelli numerici delle prove di flessione a quattro punti eseguite sui femori murini presso il Laboratorio di Tecnologia Medica dell'Istituto Ortopedico Rizzoli di Bologna (IOR); le analisi alla micro-scala sono state eseguite attraverso test di nanoindentazione sulla sezione trasversale degli stessi campioni femorali sottoposti a test di flessione.

Per quanto riguarda la macro-scala, lo scopo del modello ad elementi finiti delle prove di flessione di tutto il femore è quello di prendere in considerazione l'anatomia effettiva dell'osso sottoposto a flessione. Questo è di particolare importanza essendo disponibili prove di flessione nel piano medio-laterale e antero-posteriore, dato che la risposta flessionale nei due piani distinti è

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IX

marcatamente diversa a causa dell'anatomia del modello murino. Tali modelli consentono una più completa comprensione di come i fattori geometrici (distribuzione spaziale del tessuto) e costitutivi (proprietà elastiche del tessuto) contribuiscano alla risposta meccanica complessiva del segmento osseo analizzato. Quanto esposto permette di porre le basi, una volta validati i modelli, per un efficace strumento computazionale con finalità previsionali in modo da limitare il più possibile il numero di animali sacrificati in sede sperimentale. Lo studio di indentazione alla microscala è stato condotto per valutare quanto la eventuale distribuzione spaziale delle proprietà meccaniche sia rilevante nei soggetti di riferimento (sani) e nei soggetti patologici. L'effetto di due diversi trattamenti per questa patologia è stato studiato sia a livello macroscopico che microscopico.

MATERALI E METODI

Sono stati sviluppati modelli ad elementi finiti per sei femori murini; la geometria/anatomia dell'osso è stata ricostruita a partire dalle scansioni microCT in possesso. Due di questi femori sono patologici, trattati rispettivamente con due diversi approcci terapeutici per uno studio preliminare relativo alla progeria, e il resto dei campioni è sano. I modelli simulano test di flessione a quattro punti con l'obiettivo di ottenere un confronto diretto con i risultati sperimentali ottenuti dal gruppo di ricerca IOR.

Inoltre, è stata ricavata la rigidezza dalle curve forza-spostamento derivanti dai test di flessione eseguiti presso IOR. Una prima stima del modulo elastico del tessuto è stata ottenuta utilizzando la teoria delle travi per cilindri omogenei, elastici ed isotropi. I momenti d'inerzia delle sezioni trasversali dei femori sono stati ottenuti dall'elaborazione dei dati micro-CT. Le simulazioni agli elementi finiti sono state utilizzate per fornire una seconda stima del modulo elastico del tessuto osseo, confrontando la rigidezza sperimentale e quella simulata. A questo scopo, è stata utilizzata la seguente espressione:

𝐸𝑒𝑥𝑝𝑓𝑒𝑚 = 𝐸𝑓𝑒𝑚∙ 𝑆𝑒𝑥𝑝

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X

dove Efem è il modulo di Young fittizio (30 GPa) assegnato al materiale che

caratterizza il femore nel modello numerico, Snum è la rigidezza forza/spostamento

ottenuta nel modello numerico usando Efem, Sexp è la rigidezza forza/spostamento

ottenuta dai test sperimentali.

Figura 0.1 - Schema del modello numerico del set up sperimentale delle prove di flessione a quattro punti condotte da IOR.

I valori di durezza e modulo d'indentazione del tessuto osseo sono stati ottenuti utilizzando l'apparecchiatura NanoTest 600 di Micro Materials Ltd, Wrexham UK. Sedici femori di topo sono stati testati con nanoindentazione. Otto di questi femori sono trattati con il Trattamento 1 e gli altri otto sono sottoposti al Trattamento 2. I campioni murini sono divisi in altri due gruppi caratterizzati da due età diverse (fine vita), rispettivamente di 170 giorni e 200 giorni. Nello specifico, i tipi di campioni identificati in questo studio sono: Tratt.1 - 170gg, Tratt.1 - 200gg, Tratt.2 - 170gg, Tratt.2 - 200gg. Inoltre, i dati di nanoindentazione relativi a topi sani e malati non trattati erano già disponibili per il presente lavoro. Questi due gruppi sono indicati come Wild (sani) ed Etero (malati senza trattamento). I test di nanoindentazione eseguiti in questo studio sono stati condotti seguendo la stessa procedura sperimentale utilizzata per i dati di una campagna precedente (Wild ed Etero).

Ogni campione è stato testato con prove di nanoindentazione in controllo di carico, impostando il carico massimo a 6 mN, la rampa di carico a una velocità fissa di 0,3 mN/sec. e 0,9 mN/sec. per lo scarico (quindi meno soggetto agli effetti del creep rispetto al carico, poiché più veloce), la velocità di contatto della punta

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XI

di nanoindentazione è pari a 0,2 μm/sec. e il carico iniziale a 0,01 mN. I risultati ottenuti dai test di nanoindentazione sono stati sottoposti a un'analisi statistica per valutare la distribuzione delle proprietà meccaniche nelle quattro regioni della sezione per i diversi tipi di campione e per valutare le differenze tra queste tipologie.

RISULTATI E CONCLUSIONI

Nella tabella 0.1 sono riportati i risultati relativi alle stime del modulo elastico del tessuto osseo, ottenute attraverso la teoria delle travi applicata alle prove di flessione sperimentali e attraverso i modelli agli elementi finiti. Nell'ultima colonna è riportato anche un rapporto che valuta la discrepanza tra i due approcci. Si può vedere che l'applicazione della teoria delle travi sovrastima la previsione derivante dall'approccio agli elementi finiti per la maggior parte dei campioni. Inoltre, la tabella 0.1 mostra anche che le stime del modulo elastico relative alla configurazione AP della prova a flessione e quelle relative alla configurazione ML sono diverse. La principale motivazione di questa discrepanza del modulo elastico risiede nelle difficoltà riscontrate nella stima della rigidezza sperimentale ottenuta dalle curve forza-spostamento nelle due diverse configurazioni.

Tabella 0.1

CAMPIONE (AP) Eexp [GPa] Efem_exp [GPa] Eexp/Efem_exp

L1G51 26.93 22.99 1.17 L2G24 28.47 21.42 1.33 L2G38 18.23 16.52 1.10 L3G40 26.53 22.57 1.18 L3G68 34.51 30.72 1.12 L6G73 23.80 23.39 1.02

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XII

CAMPIONE (ML) Eexp [GPa] Efem_exp [GPa] Eexp/Efem_exp

L1G51 20.87 18.51 1.13 L2G24 22.62 23.13 0.98 L2G38 22.93 21.51 1.07 L3G40 26.09 21.82 1.19 L3G68 23.41 23.37 1.00 L6G73 26.31 31.68 0.83

Relativamente alle prove di nanoindentazione, sono stati condotti dei confronti tra regioni diverse appartenenti alla sezione trasversale del femore (anteriore, posteriore, mediale e laterale), per campioni dello stesso tipo. In particolare, sono stati ottenuti risultati statisticamente attendibili riguardanti le differenze tra le proprietà meccaniche di durezza e modulo ridotto tra regioni diverse. La figura 0.2, a titolo d'esempio, mostra i risultati in termini di durezza e modulo di indentazione per campioni sottoposti a Trattamento 1 (età 170 giorni).

Figura 0.2 - Diagrammi raffiguranti la distribuzione di durezza (a sinistra) e modulo ridotto (a destra) per i campioni di 170 giorni sottoposti a trattamento 1 riportati a titolo d'esempio.

Si è notato che i campioni di 170 giorni di età sottoposti al Trattamento 1 presentano proprietà meccaniche più elevate (modulo di indentazione e durezza del tessuto) rispetto ai campioni di 200 giorni sottoposti allo stesso trattamento. Una tendenza opposta è stata trovata per i campioni sottoposti al Trattamento 2 (i soggetti con età maggiore presentano proprietà meccaniche superiori). Inoltre, i campioni di 200 giorni sottoposti al Trattamento 1 e i campioni della stessa età sottoposti al Trattamento 2 presentano proprietà statisticamente simili. I campioni trattati a 200 giorni di età hanno rivelato proprietà meccaniche simili, o leggermente inferiori, a quelle dei campioni provenienti dal gruppo di topi

0 0.4 0.8 1.2 1.6ANT LAT POS MED Durezza 170gg, tr.1 0 10 20 30 40ANT LAT POS MED Er 170gg, tr. 1

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patologici non trattati, e inferiori a quelle dei topi sani, nonostante la maggiore età di questi ultimi (in un intervallo di 240- 255 giorni di età). I confronti tra campioni trattati e campioni Wild ed Etero non possono essere considerati affidabili a causa delle età diverse. Si è riscontrato inoltre che i valori medi del modulo elastico, ottenuti dall'elaborazione dei dati di nanoindentazione, sono compresi tra i moduli elastici stimati dal carico dei test di flessione e quelli stimati dallo scarico. Poiché il tessuto presenta in genere proprietà dipendenti dal tempo, il processo di carico-scarico nei test di flessione provoca una risposta isteretica nella curva forza-spostamento. Questo ha permesso di avere due distinte stime del modulo di Young: uno relativo al processo di carico, l'altro a quello di scarico. Inoltre, la velocità di deformazione applicata al tessuto osseo durante la nanoindentazione è circa dieci volte maggiore di quella utilizzata per la flessione. Questa differenza nella velocità di deformazione deve essere considerata anche nel confronto tra le stime del modulo elastico relative alla micro-scala e alla macro-scala. Inoltre, la caratterizzazione su piccola scala ha permesso di identificare i casi per cui potrebbe essere efficace applicare delle diverse proprietà meccaniche nelle diverse regioni della sezione del tessuto osseo implementato nei modelli agli elementi finiti relativi alla macroscala. In particolare, l'analisi statistica ha mostrato che l'utilizzo di diverse proprietà meccaniche nelle quattro regioni (ANT, POS, MED, LAT) della sezione ossea per gli esemplari di tipo Etero non è rilevante; mentre per i campioni di tipo Tratt.1 - 170gg, Tratt.1 - 200gg, Tratt.2 - 170gg, Tratt.2 - 200gg, e Wild una distribuzione disomogenea dei valori di elasticità nelle quattro regioni potrebbe portare a risultati più accurati.

In questo lavoro è emerso che il fattore età può influenzare considerevolmente le proprietà meccaniche dei soggetti testati. Per questo motivo, studi futuri su campioni trattati di topi di età maggiore e con un'età uguale a quella di topi sani e patologici, possono rivelare gli effetti dei due trattamenti per età superiori a 200 giorni.

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XIV

ABSTRACT

INTRODUCTION

Hutchinson-Gilford syndrome, or progeria, is a rare genetic condition that appears in the premature aging of the individuals and causes further diseases commonly observed in the elderly, such as cardiovascular disorders, and abnormalities in the development of the skeletal and dental system. However, the Hutchinson-Gilford syndrome doesn't cause any mental retardation in the affected subjects. The cause of progeria was discovered in 2003 and consists of a single de novo mutation of the LMNA gene; this mutation causes the production of a protein, the progerina, which is responsible for the pathology.

Because of its rapid metabolism, the murine progeric model is an excellent tool for pursuing at least two different purposes: i) to carry out a time effective study on the effects of drugs and treatments on the musculoskeletal and cardiovascular system; and ii) to investigate the effects of aging on the subjects affected by this syndrome.

The study presented in this thesis is aimed a studying the murine models of progeria at two length scales: the macro-scale of the whole femoral bone and the micro-scale of the cortical wall thickness of the femoral bone. In particular, the macroscopic mechanical characterization of the progeria murine model was carried out through numerical models of the four-point bending tests performed on the murine femurs at the Medical Technology Laboratory at the Rizzoli Orthopedic Institute of Bologna (IOR); the micro-scale analyses were performed through nanoindentation testing on the cross-section of the same femoral samples which were subjected to bending tests.

The specific aim of the finite element model of the bending tests on the whole femur was to explicitly take into account of the anatomy of the bone subjected to bending. This is of particular importance as bending tests in the medio-lateral plane and in the antero-posterior plane were available and the bending response in

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the two distinct planes is remarkably different due to the specific anatomy of the murine bone. These models allow a more complete understanding of how the geometrical (spatial distribution of the tissue) and constitutive (elastic properties of the tissue) factors contribute to the overall mechanical response of the analyzed bone segment. The long term objective of the computational models is, once validated, to use them with predictive purposes and reduce the use of animal models in the near future. The micro-scale indentation study was specifically aimed at assessing the relevance of the potential regional variation of the mechanical properties in physiologic (reference) models and in pathologic models. The effect of two different treatment of this pathology was investigated both at the macro- and the micro-scales.

MATERIALS AND METHODS

A finite element model was developed for six murine femurs; the geometry/anatomy of the bone was reconstructed from available micro-Computer-Tomography scans. Two of these femurs are pathological, treated respectively with two different therapeutic approaches for a preliminary study related to progeria, and the rest of the samples is healthy. The models simulate four-point bending tests with the aim of obtaining a direct comparison with the experimental results obtained by the research partner IOR.

Force-displacement stiffness was available for all bending tests carried out at IOR. A first estimate of the tissue elastic modulus was obtained by using the beam theory for elastic isotropic homogeneous cylindrical beams. Moments of inertia of the cross sections of the femurs were obtained by post-processing the micro-CT data. The finite element simulations were used to give a new estimate of the tissue modulus by matching the experimental stiffness and the simulated one. To this purpose, the following relationship has been used:

𝐸𝑒𝑥𝑝𝑓𝑒𝑚 = 𝐸𝑓𝑒𝑚∙ 𝑆𝑒𝑥𝑝

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XVI

where Efem is a reference Young modulus (30 GPa) assigned to the material

characterizing the femur in the numerical model, Snum is the force-displacement

stiffness obtained in the numerical model using Efem, Sexp is the force-displacement

stiffness obtained from the experimental tests.

Figure 0.1 - Scheme of the numerical model of the experimental set-up of four-point bending tests conducted by IOR.

Tissue hardness and indentation modulus values carried out by using the NanoTest 600 apparatus of Micro Materials Ltd, Wrexham UK. Sixteen mouse femurs were tested with nanoindentation. Eight of these femurs are treated with Treatment 1 and the remaining eight are subjected to Treatment 2. The murine samples are divided into two other groups characterized by two different ages (end of life) 170 days and 200 days, respectively. Specifically, the types of samples identified in this study are: Tratt.1 - 170gg, Tratt.1 - 200gg, Tratt.2 - 170gg, Tratt.2 - 200gg. In addition, nanoindentation data were already available for healthy mice and diseased with no treatment mice. These two groups are denoted as Wild (healthy) and Etero (diseased with no treatment) groups. The nanoindentation tests performed in this study were carried out by following the same experimental procedures used for the previously available data (Wild and Etero).

Each sample was tested with nanoindentation tests under load control, setting the maximum load at 6 mN, the loading ramp at a fixed speed of 0.3 mN/sec. and 0.9 mN/sec. for the unload (so less subjected to the effects of the creep compared to

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the load, because it is faster), the contact velocity of the nanoindentation point equal to 0.2 μm/sec. and the initial load at 0.01 mN. The results obtained from the nanoindentation tests were submitted to a statistical analysis to evaluate the distribution of mechanical properties in the four regions of the section for the different types of sample and to evaluate the differences between these types.

RESULTS AND CONCLUSIONS

In table 0.1, representative results of the tissue elastic modulus estimates obtained through the beam theory applied on experiments and through the finite element models are reported. In the last column a ratio assessing the mismatch between the two approaches is also reported. It can be seen that the application of the beam theory over-estimates the prediction coming from the finite element approach for the majority of the samples. Furthermore, table 0.1 also shows that the estimates from the AP and that from the ML bending tests are different. The major motivation for this tissue modulus mismatch is ascribed to the difficulties encountered in the estimation of the experimental stiffness from the force-displacement curves.

Table 0.1

SAMPLE (AP) Eexp [GPa] Efem_exp [GPa] Eexp/Efem_exp

L1G51 26.93 22.99 1.17 L2G24 28.47 21.42 1.33 L2G38 18.23 16.52 1.10 L3G40 26.53 22.57 1.18 L3G68 34.51 30.72 1.12 L6G73 23.80 23.39 1.02

SAMPLE (ML) Eexp [GPa] Efem_exp [GPa] Eexp/Efem_exp

L1G51 20.87 18.51 1.13 L2G24 22.62 23.13 0.98 L2G38 22.93 21.51 1.07 L3G40 26.09 21.82 1.19 L3G68 23.41 23.37 1.00 L6G73 26.31 31.68 0.83

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Comparisons between different regions through the cross section of the femur (anterior, posterior, medial and lateral), for samples of the same type, could be achieved through the nanoindentation tests. In particular, statistically reliable results on the differences between the mechanical properties of hardness and reduced modulus were obtained. Figure 0.2 shows a representative result in terms of hardness and indentation modulus on samples with treatment 1 (age 170 days).

Figure 0.2 - Diagrams describing the distribution of hardness (on the left) and reduced module (on the right) for the 170-day samples subjected to treatment 1 reported as example.

Samples of 170 days age subjected to Treatment 1 exhibited higher mechanical properties (both indentation modulus and tissue hardness) in comparison to the samples of 200 days subjected to the same treatment. An opposite trend has been found for the samples subjected to Treatment 2 (older subjects exhibited higher mechanical properties). Furthermore, the 200-day samples subjected to Treatment 1 and the samples of the same age subjected to Treatment 2 exhibit statistically similar properties. The treated samples at 200 days of age, revealed similar mechanical properties, or slightly lower than those of the samples coming from the group of untreated pathological mice, and substantially inferior to those of healthy mice, despite the greater age of these latter (in a range of 240- 255 days of age). Comparisons between treated samples and Wild and Etero samples could not be considered as ages were inconsistent.

The average values of tissue modulus as obtained from nanoindentation tests were mostly in between the tissue moduli estimanted from bending tests upon loading and that estimated upon unloading. As tissue typically exhibits time-dependent properties, loanding-unloading process in the bending tests resulted in a hysteretic

0 0.4 0.8 1.2 1.6ANT LAT POS MED Hardness 170gg, tr.1 0 10 20 30 40ANT LAT POS MED Er 170gg, tr. 1

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XIX

force-displacement response. This allowed us to have two distinct estimation of the tissue modulus: one from the loading process, one from the unloading process. Furthermore, strain rate experienced by the tissue subjected to nanoindentation is approximately ten times larger than that experienced upon bending. This strain-rate mismatch is also to be considered when comparing micro-scale and the macro-scale estimates of the tissue modulus.

Furthermore, small scale characterization allowed us to identify cases in which regional-dependent tissue properties should be accounted for in finite element modeling at the organ scale. In particular, the statistical analysis showed that the use of different mechanical properties in the four regions (ANT, POS, MED, LAT) of the bone section for the specimens of type Tratt.1 - 170gg, Tratt.1 - 200gg, Tratt.2 - 200gg and Etero is not relevant; while, for the samples of the type Tratt.2 - 170gg and Wild an inhomogeneous distribution of the values of elasticity in the four regions of the cross section could bring to more accurate results.

From the results, it is possible to notice that age can considerably influence the mechanical properties of the tested subjects. For this reason, future studies on treated samples from older mice, with an age equal to the one of healthy and pathological mice, may reveal the effects of the two treatments for ages greater than 200 days.

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1

1

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1. INTRODUZIONE

Nel presente studio è stata condotta una campagna sperimentale su femori di topo affetti da progeria per fornirne una caratterizzazione meccanica attraverso prove di nanoindentazione, facendo riferimento a quanto presente in letteratura, integrando i risultati ottenuti con un modello agli elementi finiti per valutare le caratteristiche meccaniche dell'osso. Di seguito vengono mostrati i precedenti studi riguardanti la progeria e l'utilizzo di modelli computazionali relativi alla meccanica dell'osso.

1.1. SINDROME DI HUTCHINSON-GILFORD

La progeria, termine derivante dal greco geras, espressione utilizzata per indicare la vecchiaia, è una rara patologia genetica caratterizzata da una sintomatologia che si manifesta nell'individuo come un invecchiamento precoce, ed è stata descritta per la prima volta da Hutchinson nel 1886 e poi da Gilford nel 1897 [1]. I soggetti più colpiti sono gli individui maschi (una volta e mezzo più colpiti delle donne) e bianchi (97 % dei pazienti) [2].

In diversi studi viene proposto il modello progerico per studiare l'invecchiamento umano [3, 4]: dagli studi condotti da Nam Vo [4], per esempio, è stato possibile notare come un modello murino reso progerico si sia dimostrato utile per valutare gli effetti dell'invecchiamento, analizzando i dischi intervertebrali, dal momento che, con l'età, tali componenti del corpo mostrano degli effetti facilmente individuabili, tra cui perdita di proteoglicani, ridotta flessibilità e mobilità della spina dorsale.

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3

Tipicamente, i primi sintomi che si manifestano in un paziente progerico, a partire dal secondo anno di vita, sono un forte ritardo della crescita e un mancato aumento di peso senza particolari prove di ritardo mentale [5, 6, 7].

In particolare, le caratteristiche che si sono sempre riscontrate nei pazienti affetti da sindrome H-G sono la piccola statura, la diminuzione del peso in relazione all'altezza del soggetto, la mancanza di sviluppo degli organi genitali, la diminuzione del grasso subcutaneo, la sproporzione cranio-facciale, clavicole corte e distrofiche, coxa valga, arti sottili e articolazioni rigide, insufficiente sviluppo della mandibola, perdita di capelli, vene della testa molto evidenti, occhi sporgenti, sviluppo della dentatura anormale, torace piriforme, pelle sottile e rugosa [1, 3, 7].

Il modello di crescita dei pazienti progerici presenta delle anomalie, soprattutto a livello scheletrico e dentale [8, 9, 10]. Si pensa che l'alterazione della struttura e della funzionalità delle molecole di collagene e del tessuto connettivo, vada a condizionare il rimodellamento osseo (ciò provoca anche un ritardo delle guarigioni ossee dopo una frattura [11]) e anche le pareti delle arterie. Infine, l'atrofia muscolare fa ipotizzare una sintesi ridotta di actina e miosina [12].

Le morti dei pazienti progerici sono dovute principalmente a complicazioni cardiovascolari o cerebrovascolari.

Inizialmente si è pensato che la progeria fosse dovuta a dei caratteri recessivi, trasmessi per via ereditaria [3, 13]; tuttavia, DeBusk [14], notando che solo in tre famiglie tra quelle studiate era presente più di un soggetto affetto da progeria, ha osservato che l'ereditarietà fosse improbabile ed è quindi stato ipotizzato che tale sindrome fosse dovuta ad un disordine genetico, causato da una sporadica mutazione dominante, senza che, tuttavia, la fisiopatologia della sindrome H-G fosse nota. Per molti anni si sono avanzate numerose ipotesi sulle cause della sindrome H-G, senza tuttavia arrivare ad una piena comprensione delle dinamiche che causano tale sindrome. Diversi studi precedenti all'anno 2000, mostrano che alcuni sintomi dei pazienti affetti da progeria scaturiscono principalmente da una mancata vasculogenesi, dovuta ad un'eccessiva espulsione di glicosamminoglicani

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e di acido ialuronico per via urinaria. L'acido ialuronico è un importante glicosamminoglicano che mantiene l'integrità e la struttura del sistema scheletrico, muscolare, cutaneo e vascolare, pertanto esso costituisce un importante fattore durante il processo di invecchiamento [2].

Secondo altri studi, invece, la causa della progeria va cercata, non solo nell'eccessiva espulsione di acido ialuronico, ma anche nella presenza dell'ormone della crescita in una forma bioinattiva [15].

In aggiunta, ci sono diversi studi che dimostrano anomalie biochimiche e cellulari nella sindrome H-G. Generalmente le cellule umane non si dividono all'infinito, ma, dopo un determinato numero di divisioni cellulari, entrano in uno stato detto di senescenza, in cui non sono più in grado di dividersi (limite di Hayflick); così il progressivo accumulo di cellule senescenti contribuisce al processo di invecchiamento. La cessazione della divisione cellulare è accompagnata da specifici cambiamenti nella fisiologia cellulare, nella morfologia e nell'espressione genica: tali cambiamenti fenotipici possono portare all'invecchiamento e alle patologie relative all'aumento di età.

È stato dimostrato come la senescenza cellulare sia legata alla perdita di lunghezza dei telomeri, causata dall'inattività dell'enzima telomerase, dove i telomeri sono le sezioni di DNA che costituiscono le estremità dei cromosomi: ciò porta ad affermare che l'attività dell'enzima telomerase sia strettamente legata all'invecchiamento nell'essere umano e quindi anche alla patogenesi della sindrome H-G [2].

Oltre a ciò, è possibile affermare che le cellule dei pazienti progerici abbiano una minore capacità di riparazione del DNA [16].

Nel 2002 la progeria era ancora considerata una malattia ereditaria di origine sconosciuta senza alcuna correlazione con un gene specifico e senza cura [6]. Solo nel 2003 si scoprì la causa della progeria, ossia una singola mutazione delle basi nel gene LMNA, che risulta nella produzione di una proteina, detta progerina [17]. La scoperta della mutazione responsabile della sindrome H-G ha dato origine a diversi studi finalizzati a supportare la ricerca di terapie sia chimiche che genetiche [7].

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In condizioni normali, un gene produce una proteina sana, ma quando risulta mutato, produce una proteina anormale. Nello specifico, il gene responsabile della sindrome H-G, il cosiddetto LMNA, produce una proteina chiamata lamina A; questa ha la funzione di fornire un supporto strutturale al nucleo delle cellule, infatti, senza di essa, il nucleo cellulare assume una conformazione deforme andando a compromettere svariate funzioni vitali, fra cui la mitosi. La lamina A di un paziente progerico presenta una piccola differenza conformazionale rispetto alla lamina A di un individuo sano; in particolare, tale differenza, coinvolge l'amminoacido in posizione 1824 (al posto di una citosina, è presente una timina). Inoltre, la lamina A, prima di essere totalmente funzionale, deve andare incontro a degli aggiustamenti strutturali fondamentali: uno di questi aggiustamenti consiste nell'unione della lamina A ad una molecola detta farnesile. Per una lamina A normale il legame con il farnesile è temporaneo dato che quest'ultimo viene rimosso; invece, in una lamina A mutata, il farnesile rimane legato alla proteina creando il complesso lamina A + farnesile, ossia una proteina anormale detta progerina, responsabile della progeria.

Nei casi studiati da Eriksson et al. [17] è stato possibile analizzare il DNA dei genitori dei pazienti progerici e si è dimostrato che la mutazione sopra descritta è assente nel DNA dei genitori: ciò dimostra che la mutazione del gene LMNA avviene de novo, che tenderebbe a validare quanto ipotizzato in precedenza da DeBusk [17, 18].

1.2. UTILIZZO DEL MODELLO ANIMALE

I modelli animali delle malattie umane sono vitali per una ricerca mirata ad identificare il meccanismo e le terapie per il trattamento e la prevenzione di una patologia [4].

Negli ultimi anni il modello murino è stato utilizzato nella ricerca per studiare patologie che colpiscono il sistema muscolo-scheletrico e presenta svariati vantaggi rispetto ad altri modelli animali che coinvolgono specie di dimensioni

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maggiori: i topi sono modificabili geneticamente, sono disponibili diversi modelli patologici, sono economici, facili da manipolare, hanno un breve ciclo di riproduzione e generano una numerosa progenie. In virtù del rapido metabolismo del topo, gli effetti delle sostanze e dei trattamenti sull'osso possono essere studiati in tempi più ragionevoli rispetto agli animali di dimensioni maggiori. Il topo quindi è un ottimo modello per lo studio degli effetti dell'invecchiamento sulle ossa. Inoltre nel 2002 è stato dimostrato che la sequenza del genoma del topo risulta molto simile a quella umana, rendendo il modello murino particolarmente adatto per simulare svariati stati genetici presenti nell'uomo; tutto ciò ha portato il topo ad essere il modello animale più utilizzato in ricerca biomedica [19].

Vi sono due modalità per modificare geneticamente un topo: il primo metodo è stato introdotto da Gordon et al. [20] nel 1980 e consiste nell'iniezione di costrutti di DNA nei nuclei degli oociti del topo (questo metodo è comunemente utilizzato per inserire nuova informazione genetica nel genoma del topo o per produrre una sovraespressione di geni endogeni), mentre il secondo metodo è basato sulla manipolazione di cellule embrionali staminali con costrutti di DNA omologhi al gene di interesse [20].

Studi riguardanti i meccanismi di riparazione dell'osso murino in seguito a frattura mostrano somiglianze con i meccanismi di riparazione dell'osso umano, sebbene le due strutture differiscano [19]. In particolare, nelle ossa di topo ci sono caratteristiche meccaniche, composizionali e strutturali diverse, ossia è presente una tipologia di osso lamellare circonferenziale nella zona dell'endosteo e del periosteo, con un'organizzazione strutturale caotica nel mezzo [21]; infatti secondo gli studi condotti da Blouin et al. [22], è emerso che, per un topo sano, il valore del modulo di Young è diverso tra periosteo ed endosteo, mentre la regione centrale, a causa della disposizione caotica delle fibrille di collagene, presenta un modulo di Young variabile nelle diverse zone. Al contrario, in un topo affetto da osteogenesi imperfecta, non è stata rilevata una differenza sostanziale tra modulo di Young del periosteo e dell'endosteo; inoltre è stato possibile constatare che i topi malati presentavano spessori ridotti della sezione rispetto ai sani [22].

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Il modello animale utilizzato da Hamczyk et al. [18] è un modello murino C57BL/6J maschio reso patologico, in particolare affetto da progeria, ottenuto con tre diverse varianti: la prima è stata generata incrociando due linee di topi specifiche, entrambe manipolate geneticamente in modo opportuno (una di esse deve presentare la progerina), per ottenere un modello di topo progerico incline all'aterosclerosi; la seconda è stata ricavata incrociando famiglie di topi in modo da ottenere l'espressione della progerina nei macrofagi; l'ultima è stata ottenuta ancora tramite incrocio di topi specifici per avere l'espressione della progerina a livello delle cellule muscolari lisce dei vasi sanguigni. Dai risultati fisiologici ricavati dallo studio di questi tre modelli è stato possibile constatare che la prima variante mostra un invecchiamento precoce che porta ad una morte prematura. Inoltre i topi di questo tipo, sottoposti ad una dieta ad alti livelli di grassi, hanno sviluppato gravi patologie vascolari, tra cui la perdita di cellule vascolari lisce muscolari a livello mediale, ritenzione lipidica, fibrosi della tunica avventizia e aterosclerosi accelerata, tutti sintomi osservabili nei pazienti affetti da sindrome H-G. Le stesse modifiche vascolari sono state osservate anche nella terza variante, ma non nella seconda. In aggiunta, è da notare che, nella prima variante, nonostante sia finalizzata all'ottenimento dell'aterosclerosi, la morte dei topi non avviene per cause riconducibili a tale patologia, dato che essi, grazie ad un particolare metabolismo lipidico che coinvolge la composizione sanguigna, presentano una certa resistenza all'aterosclerosi. Per questo motivo è necessario attuare una mutazione genetica specifica che vada a modificare il loro metabolismo dei lipidi rendendoli più inclini allo sviluppo dell'aterosclerosi. Confrontando i risultati ottenuti per le tre varianti, è stato dimostrato che la terza variante, in cui è presente l'espressione della progerina nelle cellule muscolari lisce dei vasi sanguigni, è sufficiente per accelerare l'aterosclerosi e per ridurre l'aspettativa di vita, dimostrando che gli effetti maggiori, che provocano la morte nei pazienti affetti da progeria, riguardano l'espressione della progerina sulle cellule muscolari lisce vascolari; pertanto tale modello può essere utilizzato come importante riferimento per i futuri studi riguardanti la sindrome H-G, rivolti alla ricerca di terapie che portino ad un aumento dell'aspettativa di vita [18].

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Per la creazione dei campioni murini impiegati nella campagna sperimentale condotta nel presente studio si è fatto riferimento al lavoro condotto da Hamczyk et al. [18].

1.3. CARATTERIZZAZIONE

MECCANICA

DEL

TESSUTO OSSEO

Nelle campagne sperimentali condotte per ottenere la caratterizzazione meccanica di un tessuto, vengono normalmente utilizzate delle prove standardizzate, tra cui prove a trazione, a torsione e a flessione. Una prova a flessione consiste nel sottoporre un oggetto ad una sollecitazione flessionale in modo controllato, utilizzando un macchinario apposito, in cui sono presenti degli appoggi esterni inferiori su cui viene posto il provino e degli attuatori superiori (uno nel caso della flessione a tre punti e due nel caso della flessione a quattro punti) che, attivati dal macchinario, agiscono sul campione provocando all'interno di esso uno stato di sollecitazione di trazione nella zona inferiore e di compressione nella zona superiore. In particolare la flessione a quattro punti permette di individuare un zona consistente del campione sottoposta a momento flettente massimo costante, precisamente nella zona compresa tra i due attuatori superiori, permettendo un migliore controllo della distribuzione dei carichi per le valutazioni successive, mentre la flessione a tre punti individua soltanto un punto a momento flettente massimo.

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Figura 1.1 - Schema di flessione a 3 punti (a sinistra), in cui si ha un solo punto a momento flettente massimo, e schema di flessione a 4 punti (a destra) in cui si ha una regione estesa, tra gli attuatori superiori, che presenta il momento flettente massimo costante.

Le prove a flessione sono procedure di test molto utilizzate nei modelli murini per testare le proprietà meccaniche complessive delle ossa di topo e sono ben consolidate in letteratura. In particolare Williams et al. [23] hanno utilizzato una prova di flessione a tre punti per testare le proprietà di tibie e vertebre murine, in modelli di topo con scarsi livelli di leptina o del suo recettore; la leptina è un ormone prodotto dagli adipociti che regola l'appetito e la funzione riproduttiva: si è notato in vitro che tale ormone stimola la proliferazione di osteoblasti e condrociti (dato che presentano recettori per la leptina sulla superficie) e provoca l'inibizione dell'osteoclastogenesi. Inoltre, è stato dimostrato che, somministrando la leptina perifericamente, avviene l'aumento della massa ossea e una riduzione della fragilità, invece, se somministrata nel sistema nervoso centrale, si ha l'effetto opposto. Grazie alle prove di flessione a tre punti, insieme a prove di nanoindentazione, è stato infine possibile constatare una diminuzione della resistenza dell'osso derivante da topi con scarsi livelli di leptina o del suo recettore [23]. Un altro esempio di utilizzo della prova a flessione su ossa murine è presente nel lavoro di Zhang et al. [24], il quale ha utilizzato una prova di flessione a quattro punti su femori di topo, oltre a prove di nanoindentazione, per valutare gli effetti sulle proprietà meccaniche derivanti dall'utilizzo di un modello murino in cui è stato inibito il recettore della proteina morfogenetica dell'osso (BMP), specifico degli osteoblasti: dalle prove di nanoindentazione su questi topi si è notato un aumento della durezza e del modulo elastico nei compartimenti

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trabecolari, ma non in quelli corticali, mentre dalle prove di flessione a quattro punti si è osservata una diminuzione delle proprietà meccaniche nei compartimenti corticali [24].

Nel presente studio sono stati condotti dei test di flessione a quattro punti dal gruppo di ricerca del Laboratorio di Tecnologia Medica presso l'Istituto Ortopedico Rizzoli di Bologna (IOR); a partire da ciò è nato l'obiettivo di costruire dei modelli numerici agli elementi finiti che vadano a riprodurre quanto fatto in ambito sperimentale, così da ottenere un efficace strumento computazionale per prove a flessione, che consenta una più completa comprensione della risposta meccanica del segmento osseo in analisi. Nello studio condotto da H. van Lenthe et al. [25] si è valutata l'accuratezza della teoria delle travi in una prova di flessione a tre punti: sono stati testati dei cilindri con la flessione a tre punti, ricavandone la rigidezza dalla pendenza della curva forza-spostamento, e, inserendo infine tale valore nell'equazione analitica della teoria delle travi (equazione di Eulero-Bernoulli), è stato ottenuto il modulo di Young analitico. Parallelamente a ciò, è stato creato un modello agli elementi finiti di tale tipologia di prova, ossia un cilindro sottoposto a flessione a tre punti, con modulo di Young misurato dal produttore, ottenendo, anche in questo caso, un valore di rigidezza da inserire nella stessa formula analitica sopra citata, per ottenere un valore di modulo di Young da confrontare con quello ottenuto precedentemente. Questo ha permesso di validare il modello, permettendo quindi di condurre, come sui cilindri, la flessione a tre punti su due tipologie di femori di topo, rispettivamente C57BL/6 e C3H/He, con la differenza che in questo caso, non essendo noto il modulo di Young da imporre nel modello computazionale, è stato impostato inizialmente un valore generico pari a 1 GPa; la struttura tridimensionale dei femori nel modello agli elementi finiti è stata realizzata a partire da una micro-tomografia computerizzata. Dalla simulazione sul femore 3D e dai valori di rigidezza ottenuti dalla prova sperimentale, è stato possibile ricavare il modulo di Young opportuno per il modello computazionale del femore (ossia il valore da impostare nel modello computazionale per ottenere una rigidezza numerica uguale a quella ottenuta sperimentalmente). Tale valore è stato confrontato con il modulo di Young ottenuto inserendo la rigidezza, ricavata dalle

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curve sperimentali, nel modello analitico per travi ideali. Dai risultati ottenuti in tali prove, viene messo in risalto che il modulo di Young, ottenuto a partire dalla formula analitica che coinvolge la rigidezza del femore ottenuta sperimentalmente, sottostima il modulo di Young calcolato per il modello computazionale, mostrando inoltre delle differenze tra le due tipologie di topi. Da notare che la formula di Eulero-Bernoulli, è applicabile solo a travi ideali di materiale omogeneo lineare elastico, sezione trasversale uniforme e con una dimensione longitudinale molto maggiore rispetto a quella trasversale; dato che il femore di topo non presenta queste caratteristiche, si va incontro a delle approssimazioni non trascurabili rispetto ad un modello computazionale, come mostrano i risultati appena presentati [25].

La procedura di lavoro appena descritta è stata presa in parte come riferimento per impostare il presente studio per quanto riguarda il fronte computazionale, con la differenza che in questo caso è stata implementata una prova di flessione a quattro punti.

Per quanto concerne il test d'indentazione, esso permette di valutare le proprietà meccaniche locali di un provino, a differenza della prova a flessione che restituisce le proprietà globali di un campione. Tale test consiste essenzialmente nel creare il contatto e il successivo affondamento di una punta all'interno di un materiale di cui si voglia determinare le proprietà meccaniche, ad esempio modulo elastico e durezza. La tecnica di indentazione trova le sue origini nella scala della durezza di Mohs, risalente al 1822, la quale è stata realizzata in modo tale che i materiali capaci di imprimere un'impronta su di un secondo materiale fossero classificati come più duri di quest'ultimo, attribuendo loro un numero opportuno in relazione al valore massimo di 10, assegnato al diamante. La nanoindentazione è un test d'indentazione nel quale la penetrazione della punta nel materiale è nell'ordine dei nanometri, piuttosto che in micron o in millimetri come nei test di indentazione convenzionali. A differenza dell'indentazione convenzionale, in cui l'area di contatto viene misurata direttamente al termine della prova tramite microscopio ottico, nel caso della nanoindentazione la misura dell'area di contatto viene fatta in modo indiretto, a partire dalla profondità dell'impronta

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d'indentazione e dalla geometria della punta utilizzata, dopo un'attenta calibrazione della compliance del sistema. Per quanto riguarda la prova in sè, durante la fase di carico di un ciclo d'indentazione, inizialmente avviene un contatto elastico tra materiale da indentare e indentatore, seguito da uno scorrimento plastico, o snervamento, all'interno del campione per carichi elevati; nella fase di scarico, invece, avviene il recupero elastico, mentre la componente plastica non può essere recuperata e così viene lasciata un'impronta residua sulla superficie del campione [26].

La tecnica di nanoindentazione viene utilizzata in letteratura per caratterizzare le proprietà meccaniche di materiali biologici, che possono presentare caratteristiche diverse a seconda della zona, come accade per l'osso; come già accennato nel paragrafo 1.2, sia Williams et al. che Zhang et al. [23, 24] hanno utilizzato tale tecnica nei loro studi su modelli murini. Un altro studio di riferimento per il presente lavoro è stato condotto da Casanova et al. [27], il quale ha condotto delle nanoindentazioni su femori di topo nella zona prossimale, centrale e distale in maniera sistematica, andando ad indentare sia in direzione longitudinale rispetto all'osso, sia in direzione trasversale. Una volta calcolato il fattore di anisotropia, si è notata l'assenza di correlazione tra la misura in direzione longitudinale e trasversale, dimostrando che, in caso di necessità, per una caratterizzazione precisa delle proprietà meccaniche del femore è necessario testare il campione in entrambe le direzioni, senza possibilità di ottenere le proprietà in una direzione a partire da quelle ricavate nell'altra configurazione. Questo lavoro è stato di particolare importanza nel presente studio per delineare un protocollo di prova efficace per le prove di nanoindentazione [27].

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1.4. OBIETTIVI DELLO STUDIO

Lo studio presentato in questo lavoro di tesi, svolto in collaborazione con il gruppo di ricerca del Laboratorio di Tecnologia Medica presso l'Istituto Ortopedico Rizzoli (IOR), è rivolto alla caratterizzazione meccanica a diverse scale di osservazione del tessuto osseo in un modello di topo affetto da sindrome di Hutchinson-Gilford (progeria), col fine di estendere la conoscenza dei fenomeni di invecchiamento mediante l’utilizzo di tale modello. Per fare ciò, in questo studio, viene proposto un approccio integrato, numerico e sperimentale. In particolare, un obiettivo prevede la realizzazione di modelli numerici ad elementi finiti che simulino la prova di flessione a quattro punti, replicando la configurazione del set up sperimentale costruito in laboratorio presso IOR. Tali modelli consentono una più completa comprensione di come i fattori geometrici (distribuzione spaziale del tessuto) e costitutivi (proprietà elastiche del tessuto) contribuiscano alla risposta meccanica complessiva del segmento osseo analizzato. Tale miglior comprensione pone le basi ad una fase seguente in cui l’analisi FEM, dopo la necessaria validazione, venga usata con finalità previsionali al fine di limitare il più possibile il numero di animali sacrificati in sede sperimentale.

Le prove sperimentali sull’intero segmento forniscono quindi informazioni riguardo l'influenza della patologia progerica sulla risposta meccanica globale del segmento osseo. Un secondo obiettivo del lavoro è verificare e quantificare eventuali effetti della risposta meccanica del tessuto su scala dimensionale più piccola. A questo scopo lo studio propone un protocollo sperimentale di caratterizzazione alla piccola scala del tessuto osseo murino mediante nanoindentazione.

Tale protocollo di caratterizzazione alla piccola scala viene quindi utilizzato per valutare le proprietà meccaniche di femori di topo progerico di diversa età, sottoposti a due diversi trattamenti farmacologici, per verificarne gli effetti a livello osseo in termini di proprietà meccaniche (modulo d'indentazione e durezza), e poter così confrontare tali valori con quelli ottenuti da topi sani e topi

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progerici senza trattamenti curativi (dati risalenti ad una precedente campagna sperimentale).

Un terzo obiettivo del lavoro di tesi è verificare la necessità di arricchire la modellazione numerica con informazioni derivanti dalle proprietà meccaniche del tessuto alla piccola scala.

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2

MATERIALI E

METODI

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2. MATERIALI E METODI

La presente tesi consiste, come sopramenzionato, nella realizzazione di una campagna sperimentale di nanoindentazione, integrata con uno studio computazionale per simulare quanto svolto dal gruppo di ricerca IOR.

Per quanto riguarda il lavoro computazionale, è noto come le analisi numeriche siano un utile strumento, ormai ampiamente utilizzato nell'ambito della ricerca scientifica, per investigare il comportamento meccanico di un materiale biologico. In una precedente campagna di ricerca, condotta dall'Istituto Ortopedico Rizzoli (IOR) di Bologna, sono state ottenute delle immagini microCT da diverse tipologie di femore di topo; inoltre, sugli stessi provini da cui sono state ricavate le microCT, sono state effettuate delle prove di flessione a quattro punti.

Nel presente studio, partendo dalle microCT sono stati ricostruiti dei modelli 3D agli elementi finiti, in base ai quali sono state impostate delle simulazioni di prove di flessione a quattro punti, con l'obiettivo di ottenere un confronto diretto con i risultati sperimentali di flessione a quattro punti ricavati da IOR. In particolare, sono state considerate le microCT di quattro femori provenienti da topi sani e due femori provenienti da topi patologici, trattati con due diversi tipi di trattamento farmacologici e selezionati secondo la zona di rottura durante la prova (rottura centrale) e in un numero più che sufficiente per definire un modello FEM efficace. Per quanto riguarda lo studio sperimentale, si sono condotte delle prove di nanoindentazione su due popolazioni di campioni di femore murino progerico, trattate con i due trattamenti prima citati.

L'indentazione è una delle tecniche più comuni per misurare le proprietà meccaniche superficiali dei materiali. Solitamente, l'obiettivo principale di tale test è quello di ottenere i valori di modulo d'indentazione e durezza del materiale campione, estraibili sperimentalmente dalle curve del carico applicato dal penetratore in relazione alla profondità di penetrazione. Esistono diversi approcci

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teorici per condurre una prova di indentazione e la caratteristica che li distingue l'uno dall'altro è la modalità di misura indiretta dell'area di contatto, ossia l'area di appoggio tra l'indentatore e il campione da testare. Nelle prove di nanoindentazione tale area è dell'ordine dei μm2 e quindi risulta troppo piccola per essere misurata direttamente. Perciò, generalmente, si determina l'area di contatto a partire dalla misurazione della profondità di penetrazione dell'indentatore nella superficie del campione, nota la geometria della punta.

In particolare, in questo studio, sono state condotte prove di nanoindentazione, che si distinguono dalle indentazioni convenzionali per le dimensioni della punta, che risultano essere nell'ordine dei nm, e dei carichi applicati, che risultano essere nell'ordine dei mN; nello specifico è stato utilizzato il macchinario NanoTest 600 della Micro Materials Ltd, Wrexham U.K., il quale si serve di Nano Test Platform Three come software di comando e di elaborazione dati.

I paragrafi che seguono vogliono illustrare i diversi passaggi che sono stati necessari affinché si potesse riprodurre in un modello FEM la prova sperimentale di flessione a quattro punti.

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2.1. REALIZZAZIONE DEL MODELLO NUMERICO

DI

FLESSIONE

MACROSCOPICA

DEL

SEGMENTO OSSEO

2.1.1 SCANSIONI MICRO-CT

È stato intrapreso uno studio a livello numerico attraverso la creazione di modelli ad elementi finiti per simulare prove di flessione a quattro punti, cercando così di replicare quanto fatto sperimentalmente da IOR.

Sono state elaborate delle immagini ottenute tramite scansioni microCT di diversi femori di topo, quattro sani e due patologici aventi una risoluzione pari a 10.77 μm. Nello specifico i campioni sani appartengono ad una campagna sperimentale precedente e quelli patologici fanno parte dei campioni forniti da IOR per le prove di nanoindentazione che sono descritte nel paragrafo 2.1.9, la tabella seguente mostra le loro caratteristiche:

Tabella 2.1

NOME TIPO ETA' [gg] Tratt. Stiff AP [N/mm] Stiff ML [N/mm] DR [N] Rottura

L1G51 WILD 241 NO 107.1 151.8 -25.2 Centrale L2G24 WILD 395 NO 76.4 121.1 -19.2 Centrale-Distale L2G38 WILD 339 NO 68 158.2 -23.1 Centrale L3G40 WILD 332 NO 79.8 166.4 -16.5 Centrale L3G68 ETERO 200 2 60.1 98.4 -23 Centrale L6G73 ETERO 200 1 61.1 119.4 -24.7 Centrale

Come si può notare dalla tabella 2.1, viene riportato per prima cosa il nome del campione (es. L1G51: dove L1 identifica un determinato topo, mentre il codice G51 identifica la gabbia), successivamente viene indicata la tipologia del modello animale da cui deriva il campione (il termine Etero definisce la condizione patologica dell'animale, invece il termine Wild indica una tipologia di topo sano); nella colonna denominata "tratt." viene specificato, se presente, il tipo di trattamento a cui è stato sottoposto il modello animale. Nelle colonne successive, invece, vengono mostrate le caratteristiche meccaniche ottenute dalle prove di

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flessione a quattro punti; in particolare è possibile vedere i valori di rigidezza del femore murino sottoposto a flessione nella direzione antero-posteriore e medio-laterale, oltre al carico a rottura. Infine viene precisata la zona di rottura del provino.

La tomografia computerizzata è una tecnica di indagine radiodiagnostica, con la quale è possibile riprodurre immagini in sezione di un oggetto, create da un'analisi generata al computer dell'attenuazione di un fascio di raggi X passante attraverso un corpo, e successivamente, tramite l'elaborazione e l'aggregazione delle stesse, ottenere la riproduzione tridimensionale dell'anatomia. In altre parole, il principio alla base di questa tecnica sta nel fatto che a partire dalle proiezioni delle sezioni di una parte del corpo in molte direzioni, o lungo una direzione a seconda della tipologia di acquisizione, si può ricostruire l'oggetto 3D.

Le potenzialità della tomografia computerizzata sono state descritte da David W. Holdsworth e Micheal M. Tharnthon [28] esaminando l'utilizzo di tale tecnica diagnostica anche per campioni di origine animale di piccole dimensioni, fra cui ossa di topo, analizzandone la densità e l'architettura.

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Le microCT ottenute da IOR sono state elaborate con opportuni software, in modo da ottenere una mesh orfana per ogni femore da importare in Abaqus e su cui impostare il modello di flessione a quattro punti. I file delle immagini microCT in possesso consistono in una serie di 1500-1600 immagini bidimensionali di sezioni di femore in formato .bmp, che, sovrapposte l'una sull'altra, permettono di ricostruire tridimensionalmente l'intero femore.

Figura 2.2 - Esempio di tre sezioni di microCT del campione L1G51. Da sinistra a destra si ha rispettivamente una sezione distale, una centrale e una prossimale.

Nei paragrafi successivi vengono mostrati nel dettaglio i passaggi seguiti per l'elaborazione delle immagini fino all'ottenimento della mesh.

2.1.2 ELABORAZIONE DELLE IMMAGINI MICROCT

Le immagini ottenute dalle microCT sono state importate in ImageJ, un software per l'elaborazione di immagini di vario tipo [29]. Per ogni singolo femore è stata importata tutta la sequenza di immagini ed è stato necessario settare la scala dimensionale dei pixel, in modo da ottenere le reali dimensioni dell'oggetto in analisi: come descritto nel paragrafo precedente, ogni pixel dell'immagine è stato settato pari a 10.77 μm.

Per ogni immagine è stata effettuata la binarizzazione: tale processo permette di distinguere l'oggetto di interesse dallo sfondo, attraverso la determinazione di una soglia discriminante nella scala di grigi dell'immagine, tramite un algoritmo di riconoscimento. Tale operazione non è sempre immediata, dato che molto dipende

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dalle condizioni dell'ambiente in cui l'oggetto si trova: a volte infatti risulta complesso risalire ad una soglia adatta a causa della forte somiglianza delle tonalità di grigio dell'oggetto con quelle dello sfondo; tuttavia ciò non si verifica nel presente lavoro.

In particolare, scelta la soglia, l'algoritmo fa in modo che tutti i punti dell'immagine la cui intensità di grigio è sotto ad un certo valore vengano considerati parte dello sfondo, mentre tutti i punti con intensità maggiore siano associati all'oggetto, in modo da ottenere un'immagine binarizzata caratterizzata da un insieme di pixel aventi due valori possibili, 0 (nero) o 255 (bianco).

Figura 2.3 - A sinistra, istogramma dei livelli di grigio prima della binarizzazione. A destra, istogramma dei livelli di grigio dopo la binarizzazione. Si noti come, a binarizzazione avvenuta, i pixel delle immagini microCT si presentano solo bianchi o neri senza gli altri livelli di grigio.

Il metodo maggiormente utilizzato per determinare una possibile soglia è l'analisi dell'istogramma dei toni di grigio, che consiste nel disegnare un grafico in cui si conti la frequenza dei valori di luminanza dei pixel all'interno dell'immagine. Una volta costruito l'istogramma dei toni di grigio, è possibile procedere con una sogliatura automatica, in base ad alcune caratteristiche proprie dell'immagine. In genere si applica un approccio di tipo statistico considerando per esempio la media, la varianza e l'entropia dell'immagine. In particolare, nel presente lavoro, il metodo utilizzato per la scelta della soglia è il Metodo di Otsu [30, 31] che consiste nella ricerca di una soglia che minimizzi la varianza intra-classe, definita come la somma pesata delle varianze delle due classi. Tale metodo segmenta l'immagine in due regioni:

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• regione scura T0 con livelli di intensità da 0 a t (valore di soglia)

• regione chiara T1 con livelli di intensità da t+1 a 256 (massimo livello di grigio che corrisponde al bianco)

Figura 2.4 - Esempio di una stessa sezione del femore non binarizzata (a sinistra) e binarizzata (a destra).

Inoltre ImageJ ha permesso di ricostruire il femore tridimensionale attraverso il plug-in "3D viewer": tale funzionalità utilizza Java3D per fornire, a partire dall'elaborazione della pila di immagini 2D, una visualizzazione 3D dell'oggetto sotto forma di volumi e superfici. Nel caso specifico delle immagini microCT in possesso, si è optato per la ricostruzione della superficie esterna del femore assumendo un resampling factor pari a 6, il quale consente di ricampionare lo stack delle immagini per ridurre il costo computazionale, a scapito di una peggiore accuratezza dell'oggetto; tuttavia, la ricostruzione 3D della superficie del femore è risultata sufficientemente accurata ai fini degli sviluppi computazionali [32].

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Figura 2.5 - Ricostruzione del femore del campione L1G51 attraverso il 3D viewer.

Il femore così ottenuto è stato esportato da ImageJ sotto forma di un file di tipo .obj, necessario per i successivi passaggi di elaborazione in MeshLab.

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25 2.1.3 FILTRAGGIO E SMOOTHING

Il file .obj ottenuto in ImageJ è stato importato in MeshLab, un software di elaborazione mesh 3D orientato alla gestione ed all'elaborazione di mesh di diverse dimensioni che fornisce una serie di strumenti per la modifica, la pulizia, la correzione, l'ispezione, il rendering e la conversione di questi tipi di mesh [33].

Figura 2.6 - Ricostruzione tridimensionale del femore L1G51 in MeshLab

In particolare, sono stati rimossi tutti gli elementi isolati non appartenenti al femore tramite un opportuno filtro e si è applicato uno smoothing sulla superficie in analisi; nello specifico è stato scelto uno smoothing di Taubin, il quale utilizza un filtro passa-basso che rimuove le alte variazioni di curvatura.

Nell'elaborazione digitale delle immagini, lo smoothing consiste nell'applicazione di una funzione di filtro il cui scopo è evidenziare pattern significativi attenuando il rumore, che è il fattore di degrado dell'immagine, il quale a sua volta dipende da diversi aspetti.

Lo smoothing di Taubin consiste nell'applicare per due volte consecutive lo smoothing di Gauss: dopo aver applicato un primo smoothing di Gauss, con un fattore di scala λ positivo, su tutti i vertici dell'oggetto, un secondo smoothing di

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Gauss viene applicato a tutti i vertici, ma con un fattore di scala μ negativo, il quale tuttavia risulta maggiore in modulo rispetto al primo fattore (0 < λ < |μ|). In questo studio sono stati utilizzati i seguenti valori per i parametri μ e λ: λ = 0.5 e μ = -0.53; essi garantiscono il buon esito dell'operazione di smoothing [34, 35, 36].

L'oggetto ottenuto attraverso le operazioni sopracitate viene esportato in un file di tipo .stl.

2.1.4 CREAZIONE DELLA MESH DI VOLUME

Il file .stl, prodotto da MeshLab, è stata importato in Gmsh, un software che genera una mesh ad elementi finiti. Tale software fornisce strumenti utili per la costruzione di mesh e funzionalità di visualizzazione avanzate [37]. In particolare, nel presente lavoro, Gmsh è stato utilizzato per creare la mesh di volume tridimensionale del femore (creazione di un file di tipo .geo), tramite un algoritmo che, a partire dalla superficie importata da MeshLab, applica un processo iterativo di triangolazione fino a quando la mesh soddisfa una distribuzione ottimizzata della dimensione degli elementi [38]. Inoltre sono stati eliminati i triangoli della mesh di superficie, così la mesh orfana risultante è stata salvata sotto forma di un input file (estensione .inp) da importare in Abaqus, un software che permette simulazioni ad elementi finiti.

Figura 2.7 - Creazione della mesh di volume per il campione L1G51 ed ingrandimento del terzo trocantere.

Figura

Figura  0.1  -  Schema  del  modello  numerico  del    set  up  sperimentale  delle  prove  di  flessione  a  quattro  punti condotte da IOR
Figura 0.2 - Diagrammi raffiguranti la distribuzione di durezza (a sinistra) e modulo ridotto (a destra)  per i campioni di 170 giorni sottoposti a trattamento 1 riportati a titolo d'esempio
Figure 0.2 - Diagrams describing the distribution of hardness (on the left) and reduced module (on the  right) for the 170-day samples subjected to treatment 1 reported as example
Figura 2.1 - Schema raffigurante il principio di funzionamento della micro-tomografia computerizzata
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