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Individuazione dei campi recettori di cellule in corteccia visiva primaria (v1), attraverso lo studio di dati ad alta dimensionalita

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SCUOLA DI INGEGNERIA E ARCHITETTURA

Corso di Laurea Magistrale in Ingegneria Biomedica

“INDIVIDUAZIONE DEI CAMPI RECETTORI

DI CELLULE IN CORTECCIA VISIVA

PRIMARIA (V1), ATTRAVERSO LO STUDIO

DI DATI AD ALTA DIMENSIONALIT `

A”

Tesi in:

Bioimmagini e Visione LM

Relatore:

Prof. Ing. MAURO URSINO

Correlatori:

Prof. Ing. ALESSANDRO

SARTI

Ing. GIACOMO COCCI

Presentata da:

LUCA BENINI

SESSIONE III

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campi recettori

cellule complesse

correlazione inversa

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Introduzione vii

Capitolo I 1

1 Il sistema visivo 1

1.1 Caratteristiche e funzionamento . . . 2

1.2 Il percorso visivo primario . . . 9

1.3 Il campo recettivo . . . 21

1.3.1 Organizzazione . . . 22

1.3.2 Separabilit`a . . . 28

Capitolo II 28 2 Ricostruzione di campi recettivi 31 2.1 Campo recettivo e risposta neurale . . . 32

2.2 Spike-triggered average (STA) . . . 35

2.3 Spike-triggered covariance (STC) . . . 39

2.3.1 Utilizzo della STC su stimoli naturali . . . 42

2.4 Ricostruzione di campi recettivi . . . 44

2.5 Data set di Ringach (V1 del macaco) . . . 53

2.5.1 Il Clustering . . . 57

2.5.2 Ricostruzione dei campi recettivi . . . 65

Capitolo III 66 3 Individuazione del campo recettivo 67 3.1 I filtri di Gabor . . . 69

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3.5 Lo Z-score . . . 98 3.6 Risultati ottenuti . . . 102 3.7 Conclusioni . . . 112 4 Ringraziamenti 115

(7)

Grazie ai suoi sensi l’uomo riesce a percepire il mondo e lo spazio che lo circonda, a muoversi ed interagire con esso.

L’argomento che andr`o a trattare in questo lavoro di tesi si concentrer`a sulla vista, una caratteristica indispensabile nella vita quotidiana di ogni essere vivente, responsabile dell’elaborazione delle immagini che percepiamo.

Negli anni ’50 e ’60 vennero effettuati i primi studi elettro-fisiologici relativi ai metodi attraverso i quali il nostro organismo elabora le im-magini e determina l’esistenza di stimoli; la luce che arriva alla retina, viene trasformata in segnale elettrico, il quale a sua volta viene inviato al talamo e poi alla corteccia visiva primaria (V1), dove l’informazio-ne viel’informazio-ne elaborata e ricostruita secondo le caratteristiche geometriche spazio-temporali dello stimolo[9,12].

E’ stato proposto, e nel tempo accettato dalla maggior parte del mon-do accademico, un modello riduzionalistico per descrivere il compor-tamento dei neuroni della corteccia visiva primaria (V1). In essa si trovano cellule semplici selettive in orientazione, frequenza spaziale e velocit`a di moto, le quali calcolano linearmente una somma pesata di parte del segnale visivo, ben approssimabile con un filtro di Gabor bidimensionale (minimizzando cos`ı l’incertezza tra localizzazione nello spazio reale e quello armonico). Le altre cellule chiamate complesse sommano input derivanti da varie cellule semplici aventi propriet`a se-lettive simili, ma con differenze in fase o posizione spaziale. E’ stato dimostrato inoltre che la corteccia visiva primaria `e organizzata in mo-do da minimizzare sia l’indeterminazione sulla misura dell’orientazione dello stimolo, sia la misura della velocit`a locale degli stimoli visivi, e che `e possibile ben modellare i profili recettivi spazio-temporali con funzioni di Gabor tridimensionali[2,7,35].

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vi dati sperimentali. Questi sono stati prelevati dalla corteccia visiva di macachi, attraverso l’utilizzo di tecniche di registrazione elettro-fisiologiche mediante array di micro-elettrodi[25], durante la presenta-zione di alcuni filmati (sequenze di immagini o frames).

Attraverso la tecnica del clustering, dalle registrazioni degli esperi-menti sono stati raggruppati gli spike appartenenti ad uno stesso neu-rone, sfruttando alcune caratteristiche come la forma del potenziale d’azione[32]. Da questa elaborazione `e stato possibile risalire a quali

stimoli hanno prodotto una risposta neurale.

I dati messi a disposizione da Ringach[25] non potevano essere trattati direttamente con le tecniche della triggered average e della spike-triggered covariance a causa di alcune loro caratteristiche. Utilizzando filtri di Gabor bidimensionali e l’energia di orientazione `e stato per`o possibile modellare la risposta di cellule complesse in corteccia visi-va primaria. Applicare questi modelli su dati ad alta dimensionalit`a (immagini molto grandi), sfruttando la tecnica di standardizzazione (Z-score), ha permesso di individuare la regione, la scala e l’orienta-zione all’interno del piano immagine dei profili recettivi delle cellule di cui era stata registrata l’attivit`a neurale. Ritagliare tale regione e applicare la spike-triggered covariance su dati della giusta dimensio-nalit`a, permetterebbe di risalire ai profili recettivi delle cellule eccitate in un preciso momento, da una specifica immagine e ad una precisa scala e orientazione.

Se queste ipotesi venissero confermate si potrebbe marcare e raffor-zare la bont`a del modello utilizzato per le cellule complesse in V1 e comprendere al meglio come avviene l’elaborazione delle immagini.

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Il sistema visivo

In questo primo capitolo ho analizzato la fisiologia del sistema visivo, andando a suddividere e a studiare in modo approfon-dito ogni sua singola parte.

La luce che dal mondo esterno entra nell’occhio e va a colpi-re i fotocolpi-recettori viene trasformata in informazione, per poi compiere un lungo percorso e numerose elaborazioni prima di arrivare al cervello. Qui termina il suo straordinario percor-so e milioni di cellule lavorando in sinergia ci permettono di distinguere i colori, gli spazi, la profondit`a... . In modo speci-fico mi sono occupato delle cellule presenti in corteccia visiva primaria (semplici e complesse), analizzando il concetto di campo recettivo e soffermandomi sulle sue caratteristiche ed organizzazione.

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1.1

Caratteristiche e funzionamento

La vista ´e uno dei cinque sensi del nostro corpo. Da sempre l’uomo la utilizza, spesso anche inconsciamente, per i compiti che svolge du-rante la giornata. Il suo funzionamento `e molto articolato e complesso e per questo non ancora completamente noto; riuscire a comprende-re a pieno il sistema visivo in ogni sua singola parte, permettecomprende-rebbe di riparare o sostituire quelle parti che funzionano male o cessano di funzionare.

Gli occhi umani sono posizionati nelle due cavit`a orbitare del cranio e rappresentano l’organo principale del sistema visivo. La superfi-cie esterna di ciascun occhio `e una sfera incompleta e opaca. Essa ha il compito di ricavare informazioni sull’ambiente circostante gra-zie alla luce che proviene dall’esterno, regolarne l’intensit`a attraverso un diaframma, focalizzarla attraverso un sistema regolabile di lenti per formare un’immagine e trasformarla in segnali elettrici che attra-verso il nervo ottico vengono inviati al cervello per l’elaborazione e l’interpretazione.

Partendo dall’esterno si trova la congiuntiva, una mucosa tra-sparente che ricopre la superficie interna delle palpebre e la superficie anteriore del globo oculare. Ha funzioni protettive, difensive e ripara-trici per l’occhio[3].

La cornea `e una membrana trasparente formata da proteine, pi`u convessa rispetto al resto dell’occhio. Viene suddivisa in 5 strati at-traverso i quali la luce penetra all’interno dell’occhio per finire sulla retina. Dietro la cornea c’e’ una cavit`a (camera anteriore) che contie-ne un liquido trasparente e acquoso, l’umor acqueo, utile per mantiecontie-ne la pressione e la forma del globo oculare; `e racchiuso da uno strato membranoso sottile, la membrana ialoidea e composto essenzialmente da acqua, ma anche da vitamina C, glucosio, acido lattico e proteine. Sono poi presenti tre strati di tessuto che, partendo dall’esterno, pren-dono il nome di:

• sclera: un rivestimento protettivo che ricopre circa l’80% della superficie oculare. E’ unita alla cornea nella parte anteriore.

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Figura 1.1: Anatomia dell’occhio.

• coroide: molto ricca di vasi sanguigni; riveste il 60% della parte posteriore del bulbo oculare. E’ unita al corpo ciliare.

• iride: una membrana muscolare circolare posta dietro la cornea e davanti al cristallino che determina il colore dei nostri occhi in base alla pigmentazione di cui `e formata. Presenta un’apertura circolare al centro, la pupilla, le cui dimensioni sono controllate da un muscolo posto sul suo margine. Contraendosi e rilassan-dosi, questo muscolo fa allargare o rimpicciolire la pupilla stessa, controllando la quantit`a di luce che penetra nell’occhio.

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di forma circolare, `e formato da un gran numero di fibre trasparenti disposte in strati. La sua funzione fondamentale `e di far convergere i raggi luminosi sul piano retinico e quindi consentire una visione nitida sia da lontano che da vicino. Per fare questo sfrutta la sua capacit`a di accomodazione, ossia di modificare la sua forma per effetto della con-trazione del muscolo ciliare a cui `e collegato da alcuni legamenti che ne modificano la lunghezza focale, cio`e la distanza alla quale esso mette a fuoco le immagini[3].

Dietro il cristallino, il bulbo oculare contiene una sostanza gelatinosa trasparente, elastica e filamentosa l’umor vitreo, che riempie l’oc-chio per il 90% del suo volume. E’ costituito in massima parte da acqua (99%) oltre che da fibrille collagenose, acido ialuronico, protei-ne solubili ed elettroliti. La presenza dell’umor vitreo contribuisce al mantenimento di una giusta pressione endoculare e quindi a tenere il bulbo oculare disteso, in pi`u, `e capace di ammortizzare gli urti e mantenere la retina nella sua posizione[3].

Il cuore dell’occhio e’ costituito dalla retina, una membrana fotosen-sibile di 0,2 mm, formata in gran parte da due tipi di cellule nervose stratificate (in totale oltre 120 milioni di elementi) che poggiano, dal lato esterno della retina, su uno strato pigmentato:

- coni : responsabili della visione diurna, permettono un’alta acu-tezza visiva. Hanno la massima concentrazione nella fovea, fino a 160.000 per mm2, e presiedono alla percezione del colore e alla nitidezza dei contrasti.

- bastoncelli : sono pi`u sensibili dei precedenti alla luce e permet-tono la visione crepuscolare. Hanno massima densit`a nella parte periferica.

Per distinguere i colori, i coni non sono tutti uguali, infatti, ne sono presenti di tre tipi sensibili ai tre colori fondamentali: il rosso, il verde e il blu.

In ogni occhio vi sono circa 6 milioni di coni e 120 milioni di baston-celli. I coni sono presenti in numero nettamente inferiore rispetto ai

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bastoncelli, ci`o significa che il nostro occhio ha maggiore potere riso-lutivo per punti luminosi piuttosto che per punti colorati. A meno di variazioni individuali, infatti, `e possibile distinguere due punti lumi-nosi su sfondo scuro se separati da 1 mm e osservati dalla distanza di 3,44 m. Se i due punti fossero di diverso colore, invece, non saremmo in grado di apprezzare anche la differenza cromatica se non almeno raddoppiando la distanza fra di essi.

Sulla retina, in perfetta opposizione alla pupilla, si trova una piccola zona elissoidale del diametro di circa 2,5 mm, di colore giallo, chia-mata macula, essa corrisponde alla zona di massima acutezza visiva dell’occhio, ossia con maggior concentrazione di coni al centro della quale `e presente la fovea in cui le cellule fotosensibili sono rappre-sentate solo da coni. Allontanandosi dalla fovea, compaiono sempre pi`u bastoncelli che, procedendo verso la periferia, sostituiscono i coni completamente, all’estremit`a esterna.

Figura 1.2: Distribuzione di coni e bastoncelli nella retina. La visione totale dell’occhio fermo abbraccia un campo di 140◦ in senso orizzontale e di circa 120◦ in senso verticale, mentre quello della fovea poco pi`u di 1 grado[5].

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Figura 1.3: Test per la verifica della presenza del punto cieco dell’oc-chio: coprire l’occhio sinistro con la mano, partendo dalla ’X’ a sinistra fissare tutte le ’X’. Su una di queste si pu`o notare che il grosso punto nero sulla destra scompare, per poi riapparire subito non appena si sposta nuovamente lo sguardo.

Il “cavo” che collega l’occhio al cervello `e il nervo ottico; `e lungo circa 5 cm ed ha un diametro che varia dai 3 ai 7 mm; `e costituito da circa un milione di fibre provenienti dalle cellule gangliari retiniche. Nel punto in cui il nervo ottico penetra nel bulbo oculare si trova una piccola zona rotonda di retina priva di cellule fotosensibili, la papilla ottica, che rappresenta il punto cieco dell’occhio. Questo avviene perch`e, l’asse visivo non coincide con la direzione nella quale il nervo ottico s’innesta sulla retina[1]. E’ possibile fare un piccolo test per evidenziare

questo difetto rappresentato in figura 1.3.

Per un funzionamento ottimale l’occhio deve essere in grado di spostare rapidamente lo sguardo fra gli oggetti posti a distanze diffe-renti. Questi movimenti vengono prodotti da sei muscoli che spostano il bulbo oculare in alto, in basso, a sinistra, a destra e in senso obliquo garantendo la stabilit`a visiva. Sono innervati da tre paia di nervi cra-nici, dalla pupilla che si dilata o restringe, tramite il muscolo dell’iride, e dal cristallino che cambia il suo raggio di curvatura tramite il mu-scolo ciliare (questi ultimi due muscoli sono involontari). I movimenti dei muscoli oculari sono molto precisi: `e stato stimato che gli occhi possono essere mossi per mettere a fuoco non meno di 100.000 punti distinti del campo visivo. I muscoli oculari, lavorando insieme, hanno anche l’importante funzione di far convergere entrambi gli occhi sullo stesso punto, in modo che le immagini percepite dai due occhi coinci-dano. Questo lavoro, unito all’incessante elaborazione delle immagini ricevute da parte del cervello, garantisce la fusione delle immagini,

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la valutazione visiva delle dimensioni, della tridimensionalit`a e della distanza dell’oggetto osservato, l’effetto di profondit`a e spessore. Nell’occhio la messa a fuoco viene ottenuta con l’appiattimento o l’ar-rotondamento del cristallino: tale processo viene chiamato accomoda-zione. Quando l’occhio `e rilassato, l’accomodazione non `e necessaria per vedere oggetti lontani. Per gli oggetti pi`u vicini, il cristallino viene progressivamente arrotondato dalla contrazione del corpo ciliare, che fa rilassare il legamento. I due occhi, lavorando come un unico organo, localizzano un oggetto stimolando i punti corrispondenti (elementi vi-sivi dei due occhi che condividono la direzione visiva) delle due retine cos`ı che esso possa apparire unico. L’input visivo viene considerato dal sistema posturale se la mira visiva `e distante massimo 5 metri (campo visivo vicino). In caso contrario le informazioni derivanti dai recettori visivi verrano trascurate[4].

I neuroni binoculari permettono di stimare la distanza degli oggetti valutando il diverso angolo formato dallo stesso stimolo visivo sui due occhi. La differenza di angolo si chiama disparit`a. La disparit`a `e im-portante per valutare la distanza a meno di 30 metri, oltre utilizziamo altri indizi e quindi abbiamo la stessa capacit`a valutativa in visione monoculare che in visione binoculare.

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1.2

Il percorso visivo primario

L’analisi dell’informazione visiva `e allo stesso tempo parallela e gerar-chica. L’uomo `e in grado di percepire solo le radiazioni elettromagne-tiche comprese nella gamma di lunghezze d’onda tra 380 e 780 nm. La superficie sensibile dell’occhio `e costituita dai fotorecettori (i ba-stoncelli ed i coni), il cui compito `e quello di trasformare in impulsi elettrici le informazioni ricevute dalle reazioni fotochimiche che ven-gono attivate dalla radiazione luminosa e di inviare questi segnali ai neuroni retinici - le cellule orizzontali, bipolari, amacrine e ganglionari - che sono variamente connessi fra di loro ed effettuano una prima ela-borazione del segnale visivo. Dalla figura 1.5 `e possibile vedere come la luce arriva allo strato dei fotorecettori solo dopo aver attraversato l’intero spessore della retina.

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Il meccanismo della visione comporta la sensibilizzazione delle cel-lule della retina da parte di un pigmento fotosensibile che nei baston-celli prende il nome di rodopsina e nei coni di iodopsina; questo ´e il fenomeno che d`a li via ad una serie di reazioni chimiche e stimolazioni nervose, il cui esito finale `e la percezione di luci e colori.

I fotopigmenti, a contatto con un fotone, cambiano la propria struttu-ra molecolare scatenando un’iperpolarizzazione che rende fortemente negativo il potenziale di membrana: questa iperpolarizzazione deter-mina una diminuzione nella produzione di glutammato da parte del fotorecettore, alterazione che determina la produzione di stimoli ner-vosi visivi. Per la produzione della proteina implicata, la rodopsina, `

e necessaria la vitamina A. La rodopsina viene inattivata per azione della luce e deve essere riformata dai bastoncelli in condizioni di oscu-rit`a ma questo non avviene istantaneamente. Si pu`o osservare questo effetto in particolar modo, passando dalla luce del sole a una stanza buia, percependo per qualche istante una cecit`a quasi completa. I bastoncelli possiedono un’alta amplificazione del segnale e sono in grado di rispondere, al massimo della loro sensibilit`a (visione scotopi-ca), addirittura al singolo fotone di luce, in virt`u del tempo di integra-zione della risposta cos`ı lunga. Il rovescio della medaglia si riscontra nella saturazione della risposta a stimoli troppo intensi. Quindi fun-zionano al loro meglio quando il livello di luminosit`a generale `e molto basso, visto che possono amplificare enormemente la poca luce presen-te.

Infine, possedendo un solo fotopigmento, i bastoncelli possono fornire una visione unicamente monocromatica: la rodopsina assorbe a 498 nm, quindi la luce pi`u efficiente a stimolare i bastoncelli `e sostanzial-mente compresa fra il blu e il verde.

I coni non sono sensibili come i bastoncelli: al massimo della loro sensibilit`a hanno bisogno di almeno un centinaio di fotoni per iniziare a rispondere alla luce; in compenso hanno una risposta pi`u veloce di quella dei bastoncelli e saturano per quantit`a di luce molto pi`u alte di quelle per cui saturano i bastoncelli.

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sui colori che noi percepiamo (ogni cono della retina contiene solo uno dei tre fotopigmenti) i coni cosiddetti ”blu” (short) assorbono preva-lentemente la luce a 437 nm, che `e nel blu-violetto appunto, come evidenziato nella figura 1.6; i coni ”verdi” (middle) hanno un picco di assorbimento della luce a 533 nm, corrispondente a un azzurro-verde; i coni chiamati ”rossi” (long) hanno in realt`a un picco d’assorbimento a 564 nm che, di fatto, `e un colore giallo-verde. I diversi tipi di coni non sono distribuiti uniformememente: il 60% circa dei coni contiene il pigmento ”rosso”, mentre il 30% contiene il ”verde” e solo il 10% contiene il pigmento ”blu”.

Figura 1.6: Sensibilit`a dei tre coni e dei bastoncelli.

La sensazione di colore `e legata ai rapporti delle attivit`a neurali dovute ai tre fotopigmenti: ad esempio un raggio luminoso monocro-matico della lunghezza d’onda di 450 nm produce una risposta forte dal fotopigmento ”blu”, una risposta pi`u debole dal ”verde” ed una pi`u debole ancora dal ”rosso”[2].

Lo strato esterno di pigmento bruno su cui poggia la superficie esterna della retina protegge i coni da un’eccessiva esposizione alla luce. I fotorecettori sono connessi alle cellule gangliari alle quali mandano le informazioni. Le cellule gangliari non sono completamente silenti, ma hanno un’attivit`a spontanea che viene modulata dalla luce. Ogni

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cellula gangliare risponde ad una specifica area della retina, chiamata campo recettivo, il quale `e di forma circolare. Il campo recettivo di una cellula gangliare `e quell’area della retina dove la stimolazione di un recettore causa una modifica nella sua frequenza di scarica.

Le cellule gangliari possono essere distinte, come mostrato in figu-ra 1.7, in cellule M (per magnae o gfigu-randi) e cellule P (per parvae o piccole).

Figura 1.7: Strati del nucleo genicolato laterale (LGN); cellule Magno e Parvo.

Le cellule P sono selettive per la lunghezza d’onda e per le alte fre-quenze spaziali e hanno una risposta lenta e sostenuta. Sono connesse con un minor numero di recettori e sono adatte a fornire informazioni sulla forma e sul colore di un oggetto. Le cellule M non sono selettive per le lunghezze d’onda, ma lo sono per le basse frequenze ed hanno una risposta fasica e una maggior velocit`a di conduzione. Sono con-nesse con un gran numero di coni e bastoncelli e per questo sono in grado di fornire informazioni sul movimento di un oggetto o su rapide variazioni del contesto luminoso. Le cellule gangliari possono essere

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distinte in due classi sulla base della loro risposta a piccoli spot di luce applicati al centro del loro campo recettivo in:

- “On center ”; generano pochi potenziali d’azione al buio; la luce diretta al centro del loro campo recettivo aumenta la loro fre-quenza di scarica (sono eccitate quando la luce `e accesa). La luce applicata alla periferia inibisce l’effetto prodotto dall’illumina-zione del centro. Lo stimolo inibitorio pi`u efficace `e costituito da un anello di luce che colpisce l’intera periferia.

- “Off center ”; sono inibite dalla luce applicata al centro del lo-ro campo recettivo. La lolo-ro frequenza di scarica `e massima per un breve periodo dopo che la luce `e stata spenta (sono eccitate quando la luce `e spenta).

Le propriet`a dei campi recettivi delle cellule gangliari si manten-gono costanti per gran parte delle intensit`a luminose. Tuttavia, dopo l’adattamento al buio estremo o a luce molto debole (ad es. la luce delle stelle) per pi`u di un’ora, le propriet`a cambiano, e l’illuminazione della periferia cessa di inibire la risposta all’illuminazione del centro. Le cellule gangliari On e Off sono presenti in un numero approssima-tivamente uguale, e forniscono due vie parallele per l’analisi dell’in-formazione sensoriale. Questo `e dovuto al fatto che ogni fotorecettore manda output a entrambi i tipi di cellule gangliari. Avendo cana-li separati (On e Off center), che lavorano parallelamente, risulta un aumento dell’efficienza del sistema visivo soprattutto nell’identificare i cambiamenti repentini del livello di illuminazione. Una funzione di questa elaborazione `e probabilmente quella di migliorare la capacit`a dei centri superiori di rilevare oggetti che contrastano debolmente con lo sfondo e rapidi cambi dell’immagine visiva[7].

I diversi parametri dello stimolo sono analizzati in due vie parallele e separate: la via del “cosa” (what) e la via del “dove” (where). La pri-ma codifica le inforpri-mazioni circa le caratteristiche dello stimolo (come forma e colore) e l’identit`a degli oggetti, e pu`o essere suddivisa in due

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ulteriori percorsi, colore e forma. La via where, invece, analizza le in-formazioni spaziali relative all’oggetto ed `e generalmente suddivisa in analisi del movimento e analisi della forma derivante dal movimento. Questa suddivisione inizia ad essere evidente a livello retinico[6].

Il collegamento diretto tra i recettori e le cellule gangliari `e rappresen-tato dalle cellule bipolari. L’informazione visiva viene trasferita dai coni alle cellule gangliari in due modi diversi: diretto e indiretto. Nel primo caso, i coni, che sono al centro del campo recettivo gangliare, stabiliscono un contatto sinaptico diretto con cellule bipolari che a loro volta contattano direttamente le cellule gangliari. Il segnale che viene dai coni posti alla periferia del campo recettivo viene invece trasferito alle cellule gangliari in modo indiretto, ovvero per mezzo di cellule orizzontali e cellule amacrine.

Le cellule orizzontali e bipolari non posseggono canali sodio voltaggio-dipendenti capaci di generare potenziali d’azione, e trasmettono i se-gnali solo passivamente, per via elettrotonica[7].

Gli assoni di tutte le cellule gangliari si riuniscono a formare il nervo ottico che fuoriesce dall’occhio e che conduce l’informazione visiva fuori dalla retina fino ai centri superiori, dapprima al corpo genicolato laterale e da qui alle aree corticali. I nervi dei due occhi si congiungo-no prima di raggiungere il LGN e formacongiungo-no il chiasma ottico. L’informazione sensoriale cos`ı elaborata viene codificata dalle cellu-le gangliari e trasmessa lungo gli assoni di queste principalmente al nucleo genicolato laterale. Il tratto ottico di destra ´e composto dalle fibre nervose provenienti dall’emiretina temporale dell’occhio destro e dall’emiretina nasale dell’occhio sinistro; viceversa, il tratto ottico di sinistra `e composto dalle fibre provenienti dall’emiretina tempo-rale dell’occhio sinistro e dall’emiretina nasale dell’occhio destro. In pratica, ciascun tratto ottico contiene la rappresentazione completa dell’emicampo visivo controlaterale. Si avr`a dunque, che la corteccia visiva destra “vedr`a” il campo visivo di sinistra, mentre la corteccia visiva sinistra “vedr`a” il campo visivo di destra. L’informazione visiva pu`o essere acquisita dal sistema nervoso centrale solo durante le fissa-zioni, dato che durante i movimenti saccadici sono attivi meccanismi

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inibitori[5].

Figura 1.8: Separazione delle due parti del campo visivo e percorso dell’informazione visiva.

Il nucleo genicolato laterale (LGN ) `e una porzione del tala-mo preposta al trattamento dell’informazione visiva proveniente dalla

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retina ed attraverso il quale passano quasi tutti gli input sensoriali verso la corteccia ad eccezione di quelli olfattivi.

Le fibre nervose provenienti da punti diversi della retina si dirigo-no verso punti diversi del nucleo genicolato (LGN) e della corteccia, ricreando cos`ı una mappa cerebrale della retina nel cervello. Nella proiezione dalla retina al LGN vengono preservate le caratteristiche topografica, infatti gli assoni provenienti dalla retina vanno a connet-tersi con i neuroni del LGN secondo un ordine preciso che dipende dalla posizione dei relativi neuroni sulla retina. La funzione di questa stazione intermedia non `e ancora del tutto nota e, sebbene sembri svol-gere una semplice azione di trasferimento, per le sue dimensioni e per la posizione che occupa, potrebbe rivestire un ruolo ben pi`u importan-te. In particolare, l’esistenza di un certo numero di sinapsi inibitrici e la consistente presenza di terminazioni di retroazione che dalla cortec-cia si innervano nel talamo, fa supporre che il LGN abbia una funzione importante nell’integrazione spazio-temporale dell’informazione[6]. Dai neuroni del LGN partono le afferenze nervose dirette alla corteccia cerebrale, dove l’elaborazione dei segnali visivi viene perfezionata ren-dendo possibile la percezione cosciente. A livello del corpo genicolato laterale le fibre delle cellule gangliari terminano in modo estremamen-te ordinato in sei strati; ciascuno di questi riceve afferenze da un solo occhio; le fibre provenienti dalla retina nasale controlaterale prendo-no contatto con gli strati 6, 4, 1, mentre quelle che si originaprendo-no dalla retina temporale terminano negli strati 5, 3, 2. Nel corpo genicolato sinistro si ha la proiezione dell’occhio destro e in quello di destra del sinistro. Queste strisce visive, larghe circa mezzo millimetro, possono essere messe in evidenza usando coloranti specifici, che permettono di conoscere la loro estensione e la loro forma. Si `e visto cos`ı che la zona della fovea occupa un’area molto grande, come del resto ci si poteva aspettare. Tutto ci`o `e molto importante, perch`e sta ad indicare che il cervello `e capace di analizzare ogni stimolo separatamente e di lavo-rare in parallelo. Il LGN raccoglie l’informazione direttamente dalla retina, ed invia delle proiezioni nella corteccia visiva primaria dove, fra l’altro, avviene l’integrazione. Una parte dell’informazione per`o

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torna indietro, infatti il nucleo genicolato laterale riceve pi`u connes-sioni dalla V1 che dalla stessa retina: le fibre che dalla V1 giungono al LGN sono quattro volte maggiori di quelle che da quest’ultimo si dipartono verso la corteccia.

La corteccia visiva primaria (V1 ), `e l’area 17 di Brodmann nel lobo occipitale. Furono Hubel e Wiesel agli inizi degli anni ’60 i pri-mi a riscontrare un’organizzazione ordinata nella corteccia visiva[12];

questa `e la prima stazione del sistema visivo in cui compaiono cellule che ricevono informazione da entrambi gli occhi (cellule binoculari). Queste cellule sono eccitabili dalla stimolazione di una sola piccola area di campo visivo (campo recettivo) che per`o `e vista da entrambi gli occhi. Le cellule binoculari sono in grado di valutare la profondit`a e permettono di stimare la distanza a cui siamo dagli oggetti.

La V1 si articola in sei strati principali disposti in bande parallele e riceve le informazioni dalla parte controlaterale del campo visivo. Le innervazioni sono perfettamente retinotopiche, ovvero spazialmen-te organizzaspazialmen-te come i recettori sulla retina.

Le afferenze del nucleo genicolato laterale arrivano principalmente al 4◦ strato (A, B, Cα, Cβ). Le fibre del cammino magno (M) arrivano allo strato 4Cα, da dove sono proiettate al 4B. Al 4Cβ e al 4A giun-gono le afferenze del cammino parvo (P). L’organizzazione in strati `e fondamentale, non solo dal punto di vista anatomico ma anche funzio-nale. Infatti penetrando la corteccia, immersi in questi livelli, vi sono due tipi principali di cellule: le cellule semplici (strati 4 e 6) e le cellule complesse (strati 1, 2, 3 e 5)[6].

In quest’area della corteccia si procede all’estrazione di bordi a partire dall’immagine proveniente dal nucleo genicolato laterale. Ogni cellula semplice riceve in ingresso le informazioni di luminosit`a e le organizza in una zona centrale (eccitatoria) e una periferica (inibitoria) a for-mare un nuovo campo percettivo. Questo `e organizzato in modo da permettere il riconoscimento di una linea opportunamente inclinata, posizionata nella zona eccitatoria. Le cellule complesse a loro vol-ta hanno come ingresso l’informazione prodotvol-ta dalle cellule semplici. Ciascun campo percettivo viene affiancato ed in parte sovrapposto, a

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formare delle aree prive di una specifica zona di attivazione/inibizione, ma specifiche per il riconoscimento di bordi, secondo una specifica in-clinazione, a prescindere dalla posizione nel campo percettivo.

Le cellule che formano i blobs (fig. 1.9) sono specializzate nell’ela-borazione dell’informazione cromatica, ma totalmente insensibili alle direzioni. Le aree che circondano i blobs sono dette regioni ”interblob”. Qui la gran parte delle cellule risponde a stimoli con un particolare orientamento, come linee o barre, e ha campi recettivi piccoli. Le cel-lule risultano quindi organizzate in colonne. Ogni colonna `e formata dagli strati della corteccia, in ciascuno dei quali le cellule si attiva-no per una stessa direzione specifica con lo stesso campo percettivo come riferimento. Inoltre nelle zone adiacenti studi elettroencefalo-grafici hanno dimostrato l’esistenza di colonne che codificano per le altre direzioni, ma per lo stesso campo percettivo. La sovrastruttura che comprende tutte le colonne di un determinato campo percettivo prende il nome di ipercolonna; ogni ipercolonna `e affiancata a quella la cui afferenze provengono dall’area omologa dell’occhio controlaterale. Le cellule con campi recettivi nella stessa area di campo visivo sono raggruppate e formano un’ipercolonna che contiene le cellule che rispondono ad entrambi gli occhi, a tutti gli orientamenti e un blob per l’analisi del colore. Come `e possibile vedere dalla figura 1.10, i moduli con propriet`a simili sono connessi tra loro da conessioni orizzontali. Gli esperimenti sembrano confermare che esistano almeno 4 vie che lavorano in parallelo per l’estrazione e l’elaborazione delle informazioni riguardanti l’immagine visiva; le afferenze della V1 sono dirette sia ad altre zone corticali (dagli strati 2, 3 e 4B) sia ai centri profondi per le funzioni di feedback al nucleo genicolato laterale e al collicolo superiore (dagli strati 5 e 6). La destinazione principale delle fibre uscenti da V1 `e la corteccia visiva secondaria (V2). Sia la parte riguardante il colore che quella riguardante le forme proiettano a V4, e sembra che la separazione tra queste due suddivisioni continui in V4. La maggior parte delle cellule in V3 `e selettiva per l’orientamento e si pensa sia coinvolta nell’analisi delle forme dinamiche. V5 `e essenziale per elaborare informazioni circa il movimento e la profondit`a[6].

(27)

Figura 1.9: L’informazione dal LGN arriva alle cellule in V1 divise in 6 starti. In figura `e possibile riconoscere l’organizzazione in blobs specializzati nel riconoscimento dei colori, gli interblob (che circondano i blob) e in colonne che rispondono a particolari orientazioni.

(28)

Figura 1.10: Rappresentazione dei collegamenti tra cellule: le parti con propriet`a simili sono connessi tra loro tramite collegamenti orizzontali.

(29)

1.3

Il campo recettivo

Il campo recettivo (CR) `e una caratteristica di tutte le cellule nervo-se ed `e definito come la parte dell’area visiva all’interno della quale de-ve cadere lo stimolo per attivare la risposta del neurone interessato[9]. Gli esperimenti tipici che consentono di determinare i profili dei campi recettivi consistono nel misurare l’attivit`a elettrica del neurone, me-diante un micro-elettrodo, mentre vengono presentati vari tipi di sti-moli visivi in sedi differenti del campo visivo. Ad esempio, gli stisti-moli che ho utilizzato in questo lavoro sono sequenze di frames (filmati) ad alta dimensionalit`a mostrati a macachi; questi stimoli naturali hanno prodotto un’attivit`a a livello della corteccia visiva primaria che `e stata registrata attraverso l’utilizzo di micro elettrodi. Il concetto di campo recettivo `e al centro dello studio delle risposte dei neuroni visivi, per-ch`e caratterizza la trasformazione delle immagini in attivit`a neurale. Ad eccezione dei fotorecettori e degli elementi delle prime stazioni re-tiniche, che rispondono semplicemente alla presenza o assenza di luce, la risposta dei neuroni delle vie pi`u profonde (LGN e V1) sono pi`u complesse. E’ possibile infatti definire il CR sia in funzione delle sole coordinate spaziali sia come funzione di spazio e tempo.

La via ottica principale `e costituita da unit`a organizzate in modo gerarchico e queste sono a loro volta costituite da strati di cellule intimamente connesse. Le cellule appartenenti al primo strato del si-stema visivo sono eccitate in modo diretto dagli stimoli luminosi e i loro campi recettivi sono determinati esclusivamente dal modo in cui tali cellule interagiscono tra loro sullo stesso strato. Le cellule degli strati successivi, invece, sono eccitate dagli stimoli luminosi solo per via indiretta: lo stimolo viene alterato da elaborazioni compiute da-gli strati precedenti. Dunque i campi recettivi di cellule appartenenti a strati successivi al primo, sono determinati sia dalle elaborazioni degli strati precedenti, sia dal modo in cui esse interagiscono tra lo-ro. Salendo a livelli superiori dell’apparato visivo, i campi recettivi si sovrappongono, le loro dimensioni aumentano e lo stimolo efficace diviene progressivamente pi`u complesso (da stimoli puntiformi a barre

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luminose orientate sino a tessiture vere e proprie).

Una numerosa classe di neuroni corticali risponde solamente ad una barra luminosa o scura posta su uno sfondo contrastante; per un da-to neurone la barra deve essere posta in una regione particolare del campo visivo e possedere una particolare orientazione rispetto all’as-se orizzontale. Altri neuroni corticali, per rispondere, richiedono non solo che lo stimolo abbia una particolare orientazione, ma anche una particolare frequenza spaziale oppure che si muova in una determinata direzione o che possieda dimensioni peculiari[8].

1.3.1

Organizzazione

Generalmente il campo recettivo non `e omogeneo, ma `e caratterizzato da sottoregioni ”ON ” e ”OFF ” la cui stimolazione luminosa separata ha effetti opposti sulla risposta cellulare. Un primo esempio viene dalle cellule gangliari della retina e dai neuroni del LGN; i loro campi recettivi hanno una forma arrotondata e sono organizzati in centro-periferia. E’ possibile osservare due tipi di configurazioni:

- la prima, in cui il centro del campo recettivo risponde a stimoli luminosi `e chiamata On-Center, mentre la periferia risponde a stimoli bui. La stimolazione della sottoregione ON con un fascio luminoso provoca un aumento nell’attivit`a elettrica della cellula (depolarizzazione), mentre uno stimolo scuro provoca un decre-mento della stessa (iperpolarizzazione).

- l’altra, chiamata Off-Center, in cui le polarit`a sono complemen-tari rispetto a quelle viste prima e in cui il centro del campo recettivo risponde a stimoli scuri, mentre la periferia a quelli luminosi (vedi figura 1.11). Il comportamento del neurone a se-guito della stimolazione scura di una sottoregione OFF accresce la sua attivit`a spontanea, mentre la comparsa della luce inibisce la risposta[8].

(31)

Figura 1.11: Numero di potenziali di azione al secondo (posti a destra dei profili recettori) prodotti per uno stesso tipo di stimolo luminoso che investe il profilo recettore di una cellula gangliare ON center e OFF center.

(32)

Ben pi`u interessanti sono i campi recettivi delle cellule cortica-li, i quali non sono pi`u circolari, ma tendono a diventare ellittici; di conseguenza lo stimolo migliore per attivare la cellula non `e pi`u un puntino luminoso ma una linea, una barra o un margine chiaro-scuro (edge). Inoltre emerge nella corteccia anche la necessit`a che lo stimo-lo luminoso abbia una determinata orientazzione spaziale. Ci`o vuol dire, ad esempio, che una linea per essere efficace deve avere un deter-minato orientamento rispetto alle coordinate principali. Cos`ı, se una linea posta ad esempio a π/4 rispetto alla verticale rappresenta uno stimolo efficace quando cade nel profilo recettore di una determinata cellula corticale, nel momento in cui la sua inclinazione viene cambia-ta a π/6 la stessa cellula corticale non sar`a influenzata con la stessa forza. La preferenza per stimoli allungati e con un certo orientazione `

e una caratteristica comune delle cellule di V1. Ogni cellula ha un suo orientamento preferito e la sua capacit`a di rispondere diminuisce a mano a mano che l’orientamento dello stimolo si discosta da quello ottimale (fig. 1.13). La preferenza per stimoli allungati e con un certo orientamento `e una caratteristica comune delle cellule dell’area 17. Hubel e Wiesel furono i primi a studiare questi tipi di cellule gi`a nel 1965; il loro lavoro li port`o a vincere il premio Nobel nel 1981. Essi distinsero le cellule della corteccia visiva in tre categorie, sulla base delle propriet`a di risposta:

1. semplici la maggior parte delle quali ricevono l’informazione dai neuroni del LGN e hanno un’orientazione spaziale. Come mostrato in figura 1.12 presentano sub-regioni di forma allunga-ta alternate che rispondono a stimoli luminosi o bui. E’ possibile distinguere due o tre zone parallele On e Off ben definite, anche se non concentriche come nel LGN. Recentemente `e stato dimo-strato che i profili dei campi recettivi di molte cellule semplici presentano delle frange laterali in aggiunta alle due o tre zone centrali. Studiando pi`u attentamente questa differenza di fase, si pu`o ossere che nella maggior parte dei casi cellule adiacenti sono sfasate di 90 gradi.

(33)

Figura 1.12: Esempio di campo recettivo di cellule semplici Le cellule semplici possiedono zone antagoniste eccitatorie ed ini-bitorie simili a quelle presenti nel corpo genicolato o nelle cellule gangliari, anche se pi`u grandi; esse presentano zone eccitatorie ed inibitorie di forma allungata e con un asse di allungamento caratteristico; sono in grado di rilevare l’inclinazione di un’im-magine, posta in una certa zona del campo visivo[8].

E’ possibile predire la direzione preferenziale di movimento di una cellula semplice dal suo profilo spazio-temporale x-t. Inol-tre stime della velocit`a di movimento possono essere misurate dall’inclinazione delle sub-regioni del profilo x-t[9].

(34)

2. complesse sono l’altro tipo di cellule presenti in gran numero in corteccia. Rispondono a stimoli di luce in ogni punto all’interno del loro campo recettivo. Questo `e formato da combinazioni non lineari di sub-unit`a simili a quelle delle cellule semplici[9]. Le

cel-lule complesse hanno CR in genere pi`u grandi delle semplici, ma le zone On e Off non sono chiaramente separate. Inoltre la mag-gior parte delle complesse risponde in modo pi`u marcato a sti-moli in movimento, il quale deve avvenire in una certa direzione (selettivit`a alla direzione di spostamento), come mostrato nella figura sottostante. Le cellule complesse rivelano la posizione di un oggetto indipendentemente dalla sua posizione nel campo vi-sivo; rispondono infatti sia ad una linea orientata secondo una precisa direzione, sia ad una linea con lo stesso orientamento ma in movimento. Un certo numero di cellule complesse `e poi in connessione con altre cellule, dette ipercomplesse[8].

Questo tipo di cellule hanno un campo recettivo approssimabile con funzioni del secondo ordine, sono rappresentate attraver-so la struttura di sub-unit`a combinate tra loro. Recenti stu-di hanno mostrato che questi profili danno accurata prestu-dizione su orientazione e frequenza spaziale di cellule complesse nelle scimmie[9].

(35)

3. ipercomplesse mentre le prime due si trovano in prevalenza nell’area 17 di Brodmann, queste sono in maggior numero nel-le aree 18 e 19. Le cellunel-le ipercompnel-lesse si differenziano dalnel-le precedenti perch`e richiedono stimoli di una certa lunghezza e larghezza per una risposta ottimale. La selettivit`a per la lun-ghezza o la larlun-ghezza di una linea o di una barra `e dovuta alla presenza di porzioni inibitorie poste al di fuori del campo recet-tivo eccitatorio. Quando lo stimolo luminoso invade tali zone si ha una riduzione o abolizione della scarica. Recentemente, questo comportamento `e stato osservato anche in certi tipi di cellule semplici e complesse e quindi il termine ipercomplesse tende a non essere pi`u usato e si parla di cellule semplici e com-plesse con inibizione terminale (simple end-stopped e complex end-stopped)[8].

Le cellule semplici ricevono informazioni da cellule retiniche gan-gliari che hanno i loro campi recettivi allineati, contraggono connes-sioni con le cellule del nucleo genicolato e, quando le cellule gangliari sono tutte attivate, provocano l’attivazione della cellula della cortec-cia primaria, che quindi risponde alla direzione dello stimolo (barretta orizzontale o verticale, per esempio). Si pu`o allora pensare che, ana-logamente, le cellule complesse ricevano informazioni da pi`u cellule semplici, che rispondono ad immagini che presentano la stessa orien-tazione ma presenti in posizioni diverse del campo visivo, in modo che la cellula complessa possa acquisire l’informazione circa la direzione del movimento della barretta cos`ı orientata.

(36)

1.3.2

Separabilit`

a

L’organizzazione del campo recettivo non `e statica; se esaminato nel dominio spazio-temporale, i campi recettivi di molte cellule presenti nel nucleo genicolato laterale e in corteccia mostrano un’impressio-nante dinamismo. Ma come spazio e tempo interagiscono tra di loro per determinare le propriet`a della risposta cellulare? Esistono due possibilit`a: il CR pu`o essere spazio-tempo separabile o inseparabi-le. Nel primo caso le tre dimensioni del campo recettivo (R(x,y,t)) possono venire descritte come il prodotto di due funzioni indipen-denti: un profilo spaziale (G(x,y)) ed un profilo temporale (H(t))(es: R(x,y,t)=G(x,y)H(t)). Se invece una cellula ha un campo recettivo spazio-tempo inseparabile, non `e possibile dividerlo nelle due compo-nenti. Per le cellule che hanno questo comportamento non `e facile ottenere un accurato ritratto del campo recettivo. Per la cellula di figura 1.14 A, il campo recettivo spazio-tempo `e separabile, ci`o signi-fica che la disposizione spaziale delle sub-regioni `e fissata ma la loro intensit`a e la loro polarit`a sono modulate sul tempo. Per la cellula di figura 1.14 B, il campo recettivo spazio-tempo `e inseparabile, in quan-to l’organizzazione spaziale cambia col tempo. Questa disposizione persiste poi per il resto della durata della risposta della cellula. In questo modo `e possibile predire la selettivit`a di velocit`a di cellule semplici attraverso il loro profilo x-t, cosa impossibile partendo dalla loro mappatura On/Off[9].

(37)

Figura 1.14: Dinamica della struttura del campo recettivo per due cellule prese dalla corteccia striata di gatto. Questi dati sono stati ot-tenuti utilizzando la tecnica della reverse correlation. Per ogni cellula, `

e mostrato il profilo spaziale 2-D (x-y), mappato mantenendo costante l’ampiezza per sei valori di tempo “t”. Sotto ogni immagine `e presen-te un profilo di campo recettivo 1-D otpresen-tenuto inpresen-tegrando il profilo 2-D lungo l’asse y, che `e parallelo all’orientazione preferenziale della cellula. Spostamenti positivi nel profilo 1-D indicano sub-regioni ecci-tate da stimoli luminosi; spostamenti negativi, invece, corrispondono a sub-regioni eccitate da stimoli scuri. (A) Il campo recettivo di questa cellula semplice `e approssimabile come spazio-tempo separabile. Da T=30 a 120 ms, il profilo recettore ha due sub-regioni dominanti che sono disposte con la regione eccitatoria a stimoli scuri sulla sinistra. Questa regione `e molto marcata a T=75 ms. Tra T=120 e 165 ms, il CR cambia la sua polari`a, cos`ı che ora sulla sinistra c’`e la sub-regione sensibile a stimoli luminosi. Notare che, per tutti i valori di t, il cam-po recettivo 1-D `e circa a simmetria dispari. (B) Un differente tipo di comportamento spazio-temporale `e mostrato in figura. Per queste cellule il CR spazio-temporale `e inseparabile, e questo significa che l’organizzazione spaziale del CR cambia nel tempo. A T=20 ms il profilo 1-D `e circa a simmetria pari, mentre a T=100 ms, il profilo del CR `e a simmetria dispari. Pi`u tardi, a T=180 ms, `e ancora a simmetria pari, ma il profilo `e invertito rispetto a T=20 ms.

(38)
(39)

Ricostruzione di campi

recettivi

In questo capitolo sar`a prima introdotto un modello di rever-se correlation. Attraverso questa tecnica `e possibile estra-polare dati neuro-fisiologici (i profili recettori) dalle cellule della corteccia visiva primaria visti nel capitolo precedente. Saranno prima introdotti i modelli utilizzati per descrivere il comportamento dei neuroni della V1 e poi analizzate la spike-triggered average e la spike-trigered covariance, va-rianti della tecnica della reverse correlation.

Per rendere pi`u chiari questi concetti, saranno ricostruiti e mostrati campi recettivi grazie all’elaborazione degli stimoli naturali messi a disposizione da De Angelis e il suo team[28].

Infine sar`a introdotto il data set delle registrazioni elettro-fisiologiche effettuate da Ringach[31], su cui si baser`a questo

lavoro di tesi e sui quali sar`a effettuato il clustering, tecnica attraverso la quale verranno suddivisi e raggruppati gli spike appartenenti ad uno stesso neurone. Attaverso questa suddi-visione `e possibile poi risalire a quali stimoli hanno prodotto una risposta da parte di questa cellula.

(40)

2.1

Campo recettivo e risposta neurale

Come si ottengono i campi recettivi visti nel capitolo 1? Qual’`e il me-todo che permette di ricavare i profili recettori delle cellule in corteccia visiva primaria?

Per ottenere questi dati neuro-fisiologici viene utilizzata una tecnica chiamata “reverse correlation”. Prima di descriverla per`o, bisogna comprendere come modellare la risposta neurale delle cellule apparte-nenti al sistema visivo e quale teoria sta alla base di questa tecnica. I neuroni appartenenti a percorsi del sistema sensoriale, compresi quel-li nella corteccia visiva primaria, possono essere visti come una sorta di trasduttori stimolo-risposta che operano su segnali provenienti dal mondo esterno. In assenza di stimolazione un neurone `e generalmen-te silengeneralmen-te, mentre quando uno stimolo con le giusgeneralmen-te caratgeneralmen-teristiche `e proiettato all’interno del campo recettivo, l’attivit`a neurale viene in-crementata o soppressa. Quando la stimolazione cessa, la cellula torna al suo stato naturale. E’ ovvio che questa breve descrizione non pu`o essere usata per esprimere la relazione stimolo-risposta di tutte le cel-lule corticali.

I trasduttori pi`u semplici con i quali `e possibile lavorare sono quelli lineari, con un unico ingresso ed una sola uscita. Trasduttori di questo tipo sono generalmente chiamati LSISOS (Linear Input, Single-Output Systems). Essi rispondono nel tempo ad un breve impulso di area unitaria con una risposta h(t), chiamata risposta all’impulso. Un sistema `e caratterizzato dalla sua risposta all’impulso e, se il sistema `

e lineare, conoscere la risposta all’impulso significa conoscere tutto sul suo funzionamento. Quindi conoscendo la risposta all’impulso del sistema `e possibile prevedere come il sistema risponder`a alla presen-tazione di un qualsiasi stimolo arbitrario.

Ogni stimolo pu`o essere decomposto in una serie di brevi impulsi di dif-ferente ampiezza e a differenti istanti di tempo; `e sicuramente corretto dire che la risposta di un sistema LSISO pu`o essere predetto semplice-mente sommando molte risposte all’impulso propriasemplice-mente scalate in ampiezza e traslate nel tempo (Fig. 2.1). Questa sommatoria,

(41)

chia-mata in modo pi`u comune “convoluzione”, `e lo strumento principale per costruire la risposta neurale a fronte di qualunque stimolo visivo. In questo caso, `e chiaro che conoscendo la risposta all’impulso h(t) di un sistema lineare, significa avere una descrizione completa di come il sistema lavora[35].

Ma com’`e possibile misurare la risposta all’impulso di un sistema LSI-SO con ingresso S(t) e output r(t)?

Esistono diversi metodi ma per ragioni pratiche e teoriche `e convenien-te calcolare la risposta all’impulso del sisconvenien-tema attraverso la funzione di cross-correlazione tra ingresso e uscita. Questa funzione, per sistemi stazionari, `e definita come:

Csr(t0) = hS(t)r(t + t0)i

dove h · i rappresenta la media nel tempo. In ogni istante di tem-po `e calcolato il prodotto tra lo stimolo S(t) e la risposta che que-sto evocher`a r(t+t’). Facendo la media di tutti i risultati si ottiene facilmente la correlazione tra stimoli e risposta per un determinato offset di tempo t’. Un metodo equivalente per calcolare la funzione di cross-correlazione `e definire una variabile temporale u=t+t’ e, per ogni istante u, calcolare il prodotto tra la risposta r(u) e lo stimolo che lo precede di t’ cio`e S(u-t’). I due algoritmi guardano il problema da due posizioni differenti ma sono assolutamente equivalenti e portano agli stessi risultati. In un caso vengono considerati prima gli stimoli, nell’altro viene privilegiata la risposta.

Csr(t0) = hS(t)r(t + t0)i = hS(u − t)r(u)i

Per ragioni puramente computazioni il secondo metodo viene ge-neralmente preferito. Questa maniera di calcolare la funzione di coss-correlazione di stimolo-risposta viene chiamata reverse correlation. I neuroni della corteccia visiva possono essere visti come un trasdut-tore lineare a multipli ingressi, uno per ogni porzione di spazio al-l’interno del campo recettivo, ed un’unica uscita. Sistemi di questo tipo vengono definiti LMISOS (Linear Multi Input, Single Output

(42)

Sy-stem) e sono completamente caratterizzati dalla risposta all’impulso in tre dimensioni h(x, y, t). Cos`ı, conoscendo la risposta all’impulso spazio-temporale, `e possibile predire l’attivit`a neurale in risposta ad un qualsiasi stimolo spazio-temporale.

Sfortunatamente per`o un neurone che viene eccitato non pu`o esse-re considerato un puro sistema LMISOS. La funzione che identifica il “firing rate” di un neurone `e infatti fortemente non lineare. Uno dei meccanismi pi`u utilizzati per modellare la convoluzione del campo recettivo con uno stimolo passa attraverso un generatore casuale di Poisson che modella la generazione di spike.

Per ricostruire il campo recettivo di un neurone visivo esistono diver-si metodi raggruppati sotto la denominazione di “reverse correlation” come la spike-triggered average (STA) e la spike-triggered covariance (STC) che saranno studiate nelle prossime sezioni. E’ dimostrato[40] che se l’input ha distribuzione statistica simmetrica, questi metodi rie-scono a ricostruire il campo recettivo a prescindere dalla non lineari`a rappresentata dai meccanici di generazione di spike. Questi metodi si sono dimostrati estremamente utili per caratterizzare le funzioni di base dei sistemi sensoriali; essi richiedono che lo stimolo venga tratto da una distribuzione a simmetria sferica per poter produrre una stima imparziale del campo recettivo. Anche se questo vincolo pu`o essere soddisfatto da stimoli artificiali (come il rumore bianco gaussiano), `e violato dalle correlazioni e asimmetrie tipicamente presenti negli sti-moli naturali e cos`ı la stima dei campi recettivi attraverso la tecnica della reverse correlation, sotto determinate condizioni, permette di calcolare le risposte a stimoli naturali preventivamente.

Recenti studi[35] suggeriscono che esistono fondamentali differenze

tra risposte neurali a stimoli artificiali rispetto a stimoli naturali. Gli stimoli naturali, per esempio, sono codificati in modo pi`u efficiente rispetto a quelli artificiali sia nel sistema visivo che in quello uditivo. In pi`u, `e evidente che modelli di elaborazione sensoriale derivanti da risposte a stimoli artificiali non sono sufficienti per prevedere la rispo-sta neurale a stimoli naturali.

(43)

mol-Figura 2.1: (a) La risposta all’impulso pu`o essere misurata usando un breve impulso di area unitaria come input. (b) E’ possibile ricostruire la risposta all’impulso h(t) cross-correlata ad un ingresso di rumore bianco con il corrispondente output.

to complesse. Per esempio, gli stimoli naturali prestano tipicamente una forte correlazione tra spazio e tempo. Sfortunatamente queste propriet`a che distinguono le due tipologie di stimoli, complicano l’uso di risposte neurali a stimoli naturali nella ricerca del campo recettivo spazio-temporale del neurone.

2.2

Spike-triggered average (STA)

Nella sezione precedente `e stato mostrato com’`e possibile modellare la risposta neurale agli stimoli visivi. Questi inducono risposte di neu-roni in tutto il percorso sensoriale, per questo il loro utilizzo offre opportunit`a per comprendere la codifica sensoriale. Per neuroni aven-ti una relazione risposta/saven-timolo di aven-tipo lineare, caratterisaven-tiche visive rilevanti possono essere identificate calcolando i loro campi recettivi attraverso il metodo della STA.

La spike-triggered average (STA) `e uno strumento per caratteriz-zare le propriet`a di risposta di un neurone usando gli spike emessi in risposta ad uno stimolo variabile nel tempo. La STA fornisce una sti-ma del campo recettivo lineare di un neurone.

Matematicamente, la STA `e la media degli stimoli che precedono uno spike. Per calcolarla, vengono estratti gli stimoli dalla finestra

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tem-porale che precede ogni spike e ne viene calcolata la media (figura 2.2). La STA fornisce una stima non distorta del campo recettivo di un neurone solo se la distribuzione dello stimolo `e a simmetria sferica (per esempio, rumore bianco gaussiano).

Figura 2.2: La figura mostra come viene calcolata la STA. Per ogni stimolo presentato (formato da 9 valori di pixel per ogni fotogramma), vengono registrate le risposte del neurone. Gli stimoli in un certo intervallo di tempo che precede ogni spike (qui formati da 3 pixel) sono selezionati (riquadri rossi) e poi mediati per ottenere la STA. La STA (mostrata a destra) indica che il neurone `e selettivo per un gruppo di 3 pixel bianchi che cambiano posizione spaziale su ciascuno dei tre fotogrammi consecutivi.

Lo scopo di questa tecnica `e di caratterizzare la relazione tra sti-moli e risposta neurale. La teoria su cui si basa la spike-triggered averange assume che la probabilit`a che un neurone si ecciti `e gover-nata solo dagli stimoli pi`u recenti. Pi`u precisamente il modello di risposta ´e assunto tale che la firing rate `e una funzione degli stimoli presentati durante una finestra temporale di durata fissata. L’analisi di dati sperimentali `e ridotta nell’esaminare le propriet`a degli stimoli all’interno di una finestra temporale precedente ad ogni registrazione di spike `e conosciuta come “spike-triggered stimulus ensemble”[23].

E’ possibile rappresentare l’intero insieme di tutti gli stimoli e quello degli stimoli che hanno eccitato la cellula come due nuvole di

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pun-ti nello spazio. Il compito di spun-timare la funzione di risposta neurale equivale a descrivere il modo in cui queste due nuvole differiscono (fig. 2.3).

Figura 2.3: (A) Sequenza di stimoli discretizzati e osservazione della risposta neurale (treno di spike). Ad ogni istante di tempo lo stimo-lo `e rappresentato da un array di valori random. Questo pu`o essere rappresentato, per esempio, variando l’intensit`a di ogni pixel sullo schermo. La risposta neurale in ogni istante di tempo risulta esse-re completamente determinata da stimoli (segmenti) accorsi durante uno specifico tempo nel passato. In figura, il segmento copre sei step. La spike-triggered ensemble consiste nel set di segmenti associati allo spike. (B) I segmenti di stimoli spike-triggered (punti bianchi) costi-tuiscono un sottogruppo dei segmenti di tutti gli stimoli presentati (punti neri).

La semplice deviazione tra la spike-triggered e la distribuzione degli stimoli naturali `e un cambio nella media. Assumendo che gli stimoli naturali abbiano media zero, questa pu`o essere stimato calcolando la media degli spike-triggered ensemble (STA):

ST A = 1 N N X n=1 s(tn) (2.1)

dove tn`e il tempo dell’ n-esimo spike, s(tn) `e un vettore che

rappre-senta gli stimoli prerappre-sentati durante la finestra temporale precedente a questo istante di tempo e N `e il numero totale di spike. Praticamente

(46)

il tempo tn fa da contenitore; se due o pi`u finestre temporali (box

rossi) sono sovrapposti, allora il vettore degli stimoli per quell’inter-vallo sar`a moltiplicato per il numero di spike che si sono presentati. In figura 2.4 `e illustrato il metodo della STA.

Figura 2.4: Due illustrazioni alternative di STA. (A) La STA `e costrui-ta dalla media dei segmenti degli stimoli della spike-triggered (box rossi in figura), sottraendogli la media di tutti i set di segmenti degli stimoli. (B) Rappresentazione geometrica (vettore spazio) della spike-triggered average in due dimensioni. I punti neri indicano gli stimoli naturali, quelli bianchi indicano stimoli che hanno eccitato la cellula. La STA, indicata con una linea in figura, corrisponde alla differen-za tra la media (centro di massa) della spike-triggered ensemble e la media dell’insieme di tutti gli stimoli naturali.

(47)

2.3

Spike-triggered covariance (STC)

Nella corteccia visiva per`o la maggior parte dei neuroni sono delle cel-lule complesse, con una relazione risposta/stimolo di tipo non lineare. Per questo motivo con la STA non sarebbe possibile caratterizzare questo tipo di comportamento. Bisogna allora utilizzare un metodo alternativo, come la spike-triggered covariance (STC).

Questa tecnica confronta la varianza lungo diverse dimensioni nello spazio d’ingresso di tutti gli stimoli e di tutti gli stimoli che hanno provocato una risposta. L’analisi con spike-triggered covariance `e uno strumento per caratterizzare le propriet`a di risposta di un neurone uti-lizzando la covarianza di stimoli che hanno eccitato il neurone. La STC `

e legata alla STA ma, diversamente, pu`o essere utilizzata per identifi-care una caratteristica spaziale multidimensionale di un neurone. La spike-triggered covariance identifica le caratteristiche dello stimolo che interessano la risposta di un neurone attraverso una decomposizione degli autovettori della matrice di covarianza spike-triggered. Autovet-tori significativamente grandi o piccoli di autovalori della covarianza di stimoli naturali corrispondono alla risposta neurale migliore o sop-pressa.

Assumendo che gli stimoli naturali abbiano covarianza sferica ´e possi-bile calcolare la matrice della STC in questo modo:

ST C = 1 N − 1 N X n=1 [s(tn) − ST A][s(tn) − ST A]T (2.2)

dove T indica il trasposto del vettore. Ancora una volta tn

rap-presenta un contenitore e questo significa che ogni termine deve essere moltiplicato per il numero di spikes che si sono presentati nella finestra temporale associata.

La matrice STC rappresenta la struttura multidimensionale della va-rianza relativa alla spike-triggered ensemble. In modo specifico, la varianza di tutti gli stimoli (ensemble) in ogni direzione specificata da un vettore unitario ˆu `e semplicemente ˆuTC ˆu . La superficie spazzata

(48)

da tutti i vettori unitari, scalata per la radice quadrata della loro va-rianza `e un ellissoide multidimensionale. Gli assi principali di questo ellissoide, assieme alle rispettive varianze, possono essere trovati come gli autovettori e gli autovalori associati alla matrice STC. E’ possibile vedere questo in figura 2.5. Solitamente la STA viene sottratta agli stimoli prima di calcolare la STC.

Figura 2.5: Due illustrazioni di STC. (A) L’STC `e calcolata trovando la covarianza della spike-triggered degli stimoli naturali e poi facendo l’analisi degli autovettori della materie di covarianza. (B) Rapresen-tazione geometrica della STC. I punti neri rappresentano gli stimoli naturali, quelli bianchi stimoli che hanno provocato uno spike. L’ellis-se rappreL’ellis-senta la covarianza di tutto l’insieme. La distanza dall’origine dell’ellisse lungo ogni direzione `e la deviazione standard di tutti gli sti-moli in quella direzione. Gli stisti-moli naturali sono distribuiti in modo circolare (Gaussiana). Gli stimoli spike-triggered sono distribuiti su un’ellisse con una minor varianza (relativa a stimoli naturali) lungo l’asse minore. Questa direzione `e meno significativa, in quanto stimo-li che hanno grandi componenti lungo questa direzione hanno minor probabilit`a di generare uno spike.

(49)

Una variante della STC `e rappresentato dalla reverse correla-tion. Anche questa tecnica serve per studiare come i neuroni senso-riali sommano i segnali provenienti da diverse posizioni dei loro campi recettivi, e anche il modo in cui valutare stimoli presentati in tem-pi diversi e che hanno generare una risposta. Questa tecnica si basa proprio sui metodi della STA e della STC visti precedentemente. Per utilizzare la reverse correlation come primo passo si deve calcolare la matrice di covarianza “C” relativa agli spike che hanno provocato una risposta (Cspike) e la matrice di covarianza di tutti gli stimoli presentati (Cstim): Cijspike = 1 Nspike− 1 Nspike X t=1 (s(t)i−ST Aspikei )(s(t)j−ST Aspikej ) = ST C spike ij (2.3) Cijstim = 1 N − 1 N X t=1 (s(t)i− ST Astimi )(s(t)j − ST Astimj ) = ST C stim ij (2.4) dove Nspike `e il numero di spike registrati, N `e il numero di stimoli

(frames) mostrati, s(t)i `e il valore degli stimoli lungo la i -esima

dire-zione al tempo t.

Il secondo step `e quello di calcolare la differenza tra le due matri-ci di covarianza e cercare gli autovalori che sono significativamente differenti da zero:

∆C = Cspike − Cstim (2.5)

Per determinare significativit`a statistiche degli autovalori bisogna confrontarli con la distribuzione nulla, che `e la distribuzione degli autovalori della matrice:

(50)

Le matrici ∆Cnulle Cnull sono formate assumendo che non vi siano

associazioni tra gli stimoli e la risposta neurale. Per fare questo, per esempio, `e possibile utilizzare spikes presi in modo random nel tempo con la stessa frequenza trovata per i neuroni reali (dall’esperimento di Ringach[31]). Gli autovalori significativi di ∆C possono essere sia

positivi che negativi.

L’ultima parte prevede il calcolo della STC.

2.3.1

Utilizzo della STC su stimoli naturali

I dati naturali possono presentare un certo gradi di correlazione tra loro. Questa caratteristica pu`o generare alcuni problemi nel calcolo della reverse correlation; `e quindi consigliato, prima di applicare ta-le tecnica, di effettuare una trasformazione di whitening cio`e una trasformazione di decorrelazione che trasforma un insieme di variabili casuali, aventi una matrice di covarianza M nota, in una serie di nuove variabili aleatorie la cui covarianza `e la matrice identit`a (questo signi-fica che le variabili sono incorrelate e hanno tutte varianza 1).

La trasformazione si chiama “sbiancamento” perch`e trasforma il vet-tore d’ingresso in un vetvet-tore di rumore bianco. Si differenzia da una trasformazione di decorrelazione generale in quanto, quest’ultima, ha covarianza uguale a zero, in modo che la matrice di correlazione possa essere qualsiasi matrice diagonale.

Quindi prima di effettuare la reverse correlation, vogliamo che i dati siano decorrelati. Un metodo per rimuovere la correlazione tra stimoli dagli autovettori di ∆C `e quello del pre-whitening. Con questa tec-nica `e possibile rimuovere la correlazione da ognuno dei vettori degli stimoli prima di diagonalizzare ∆C.

La semplice matrice di covarianza degli stimoli pu`o essere scritta in termini di autovalori λn e autovettori f(n) come:

Cijstim = k X n=1 1 λn fi(n)fj(n) (2.7)

(51)

E’ possibile allora definire la matrice Cw ij = Pp n=1λ −1/2 n fi(n)fj(n). In

questo modo l’analogo di ∆C diventa:

C∆ = CwCspikeCw (2.8)

Questa procedura equivale a “sbiancare” ognuno dei frame usati come stimolo in modo indipendente (attraverso la moltiplicazione con Cw) e poi calcolando la spike-triggered covariance.

Nel limite di dati infiniti, l’ipotesi nulla corrisponde a Cspike = Cstim. In questo caso C∆ = []. Per un data set di dimensioni finite, la distribuzione nulla viene calcolata da molte realizzazioni della matrice Cnull∆ = CwCnullCw (2.9)

in cui Cnull `e definita dall’equazione 2.6. La maggior parte degli autovalori di C∆ hanno valori vicini a 1[27].

Un metodo alternativo per rimuovere la correlazione tra gli stimoli prevede di moltiplicarli per la pseudo-inversa di Cstim. Questo

ap-proccio, che cerca le dimensioni rilevanti degli stimoli, `e equivalente a cercare gli autovettori della seguente matrice:

∆ ˜Cij = 1 Nspike− 1 Nspike X t=1 (s(t)i− ST Astimi )(s(t)j − ST Astimj )− 1 N − 1 N X t=1 (s(t)i− ST Astimi )(s(t)j− ST Astimj ) (2.10) che `e riconducibile a: ∆ ˜Cij = ST Cijspike− ST C stim ij (2.11)

La matrice ∆ ˜Cij descrive un cambio tra la distribuzione di stimoli

che provocano uno spike e tutti gli stimoli presentati e poi le viene sottratta la media degli stimoli ST Astim. Nonostante ∆C 6= ∆ ˜C, i

(52)

loro autovettori coincidono. Cij−1(k) = k X n=1 1 λn fi(n)fj(n) (2.12)

2.4

Ricostruzione di campi recettivi

Per cercare di comprendere meglio i concetti visti finora, in questa sezione sar`a descritto il lavoro svolto a partire dai dati messi a dispo-sizione dal team Izumi Ohzawa, Gregory C. De Angelis e Ralph D. Freeman[29]. Lo scopo del loro lavoro era lo studio di campi recettivi spazio-temporali valutati per cellule semplici della corteccia striata di gatto partendo da stimoli artificiali che verranno descritti in seguito. Per ottenere questa mappatura, la tecnica di reverse correlation che `e stata utilizzata `e la STA.

Gli stimoli utilizzati erano sequenze random di barre luminose o pi`u scure, presentate una alla volta in diverse posizioni del campo recet-tivo. Il posizionamento della barra `e stato scelto in modo random su una griglia bi-dimensionale 20x20. Gli assi della griglia sono stati orientati a posteriori seguendo l’orientazione del campo recettivo, in modo che visivamente l’orientazione fosse sempre verticale (θ = π/2). Per ogni presentazione, il valore della barra (luminoso o scuro) `e stato scelto in modo random. Per ogni sequenza degli stimoli, barre chiare e scure sono state presentate una sola volta in ogni punto della griglia e per ogni presentazione, il valore delle barre `e stato anch’esso scelto in modo random. Gli esperimenti sono stati ripetuti per diverse volte. Nella figura 2.6 `e mostrata una sequenza di stimoli e l’andamento spazio-temporale del campo recettivo ricostruito. La parte alta della figura rappresenta un segmento di stimoli, contenente circa 40 stimoli random consecutivi. Questa sequenza pu`o essere pensata come una serie nel tempo in due dimensioni (x, y) e mostrata in figura da una successione di “lastre” ordinate da destra a sinistra. Ogni placca corri-sponde ad un singolo stimolo mostrato, contenente uno stimolo (barra

(53)

luminosa o scura) che si trova all’interno della grigia 20x20. Alcuni di questi stimoli cadono nella regione eccitatoria del campo recettivo ed eccitano la cellula. Un treno di spike `e disegnato in figura, poco prima della sequenza di stimoli[29].

(54)

Figura 2.6: Tecnica della reverse correlation usata per misurare i cam-pi recettivi spazio-temporali di cellule semplici. Alcune sequenze di stimoli sono illustrati nella parte alta della figura. La parte centrale `e mostrata come “esplosione” per evidenziare gli stimoli separatamente: la loro durata `e di circa 30-50 ms. Ogni stimolo `e una barra scura o luminosa presentata su una griglia 20x20 di color grigio. La posizione e il valore della barra sono presi in modo random. La tecnica della reverse correlation pu`o essere utilizzata per ottenere una media dei profili degli stimoli che hanno causato lo sparo della cellula. Questa `e ottenuto sommando sequenze di stimoli che precedono ogni spike, per tutti gli spike generati. Il risultato `e una mappa tridimensionale di x, y e t (due coordinate spaziali ed una temporale) che indica l’efficacia di uno stimolo in posizione x, y a causare lo sparo della cellula “t” ms dopo la presentazione dello stimolo. Questa `e prorpio la definizione

Figura

Figura 1.2: Distribuzione di coni e bastoncelli nella retina. La visione totale dell’occhio fermo abbraccia un campo di 140 ◦ in senso orizzontale e di circa 120 ◦ in senso verticale, mentre quello della fovea poco pi` u di 1 grado [5] .
Figura 1.6: Sensibilit` a dei tre coni e dei bastoncelli.
Figura 1.8: Separazione delle due parti del campo visivo e percorso dell’informazione visiva.
Figura 1.10: Rappresentazione dei collegamenti tra cellule: le parti con propriet` a simili sono connessi tra loro tramite collegamenti orizzontali.
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