• Non ci sono risultati.

Studio clinico ed epidemiologico su una popolazione di bambini affetti da CFC e confronto con la letteratura.

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Studio clinico ed epidemiologico su una popolazione di bambini affetti da CFC e confronto con la letteratura."

Copied!
65
0
0

Testo completo

(1)

Dipartimento di ricerca traslazionale e delle nuove tecnologie in Medicina e Chirurgia

Corso di Laurea in Medicina e Chirurgia

Studio clinico ed epidemiologico su una

popolazione di bambini affetti da CFC e

confronto con la letteratura.

Relatore:

Prof. Diego Peroni

Correlatore:

Dott.ssa Alice Bonuccelli

Presentata da:

Tamara Mazzieri

(2)

Indice

1 Convulsioni febbrili: caratteristiche, diagnosi e trattamento 4

1.1 Introduzione . . . 4

1.2 Definizione . . . 4

1.3 Epidemiologia . . . 5

1.4 Eziopatogenesi . . . 6

1.4.1 Fattori di rischio . . . 6

1.4.2 Fattori scatenanti la crisi . . . 7

1.4.3 Ipotesi patogenetiche . . . 8 1.5 Manifestazioni cliniche . . . 10 1.6 Percorso diagnostico . . . 11 1.6.1 Valutazione clinica . . . 11 1.6.2 Indagini strumentali . . . 11 1.7 Complicanze . . . 13

1.7.1 Morbidit`a e mortalit`a correlata . . . 13

1.7.2 Rischio di ricorrenza . . . 13

1.7.3 Rischio di sviluppo di epilessia . . . 15

1.7.4 CF, sclerosi temporale mesiale e epilessia temporale farmacoresistente dell’adulto . . . 17

1.8 Trattamento . . . 18

1.8.1 Trattamento della crisi in atto . . . 18

(3)

2 Convulsioni febbrili complesse: un approfondimento 21

2.1 Come si caratterizza una convulsione complessa . . . 21

2.2 Chi sono i soggetti con convulsioni complesse. . . 22

2.3 Caratteristiche cliniche . . . 25

2.3.1 Crisi prolungate . . . 26

2.3.2 Crisi ripetute nelle 24 ore . . . 27

2.3.3 Crisi con aspetti di focalit`a . . . 28

2.4 Gestione pratica della crisi . . . 30

2.4.1 Ruolo della puntura lombare . . . 30

2.4.2 Ruolo dell’EEG . . . 31

2.4.3 Ruolo dell’imaging . . . 34

2.5 Follow-up, sequele a lungo termine e trattamento . . . 36

2.5.1 Rischio di ricorrenza . . . 36

2.5.2 Sviluppo di crisi afebbrili o epilessia . . . 37

2.6 CFC, GEFS+ e sindrome di Dravet . . . 39

3 Studio su 38 pazienti affetti da CFC, valutati presso il servizio di Neuropedia-tria della AOUP 42 3.1 Scopo dello studio . . . 42

3.2 Metodo di studio . . . 43

3.2.1 Selezione del campione . . . 43

3.2.2 Materiali e metodi . . . 43 3.2.3 Analisi statistica . . . 46 3.3 Risultati . . . 47 3.4 Discussione . . . 51 3.4.1 Caratteristiche demografiche . . . 51 3.4.2 Caratteristiche cliniche . . . 52 3.4.3 Ricorrenza ed epilessia . . . 55 3.4.4 Casi particolari . . . 57 3.5 Conclusioni . . . 60

(4)

RIASSUNTO ANALITICO

Le convulsioni febbrili (CF) sono il disturbo neurologico pi`u comune dell’et`a infantile. Inte-ressano bambini tra 6 mesi e 5 anni di et`a e sono definite come convulsioni che si realizzano in corso di episodio febbrile, in assenza di infezione del SNC e precedenti convulsioni afebbrili. Le CF si dividono in semplici (CFS) e complesse (CFC) in base alle caratteristiche cliniche della crisi. In particolare, le CFC possono avere durata maggiore, possono essere focali o con aspetti di focalit`a nel periodo post-critico, e presentarsi pi`u volte nello stesso episodio febbrile. Le CF sono generalmente patologie a decorso benigno, non comportano una mortalit`a aumen-tata in acuto e vanno in remissione spontaneamente durante la crescita, senza lasciare sequele permanenti. Tuttavia, una parte dei pazienti pu`o avere recidiva di CF o sviluppo di epilessia. Tra le CF, le CFC sono quelle che pi`u frequentemente si accompagnano a comorbidit`a neuro-logiche e sviluppo di epilessia negli anni successivi. Tuttavia, gli studi limitati alle sole CFC sono scarsi e poco conclusivi. Di conseguenza, ci sono molti interrogativi riguardanti la natura delle CFC e la loro gestione ottimale.

Il presente lavoro si pone lo scopo di definire le caratteristiche principali di 38 pazienti con diagnosi di CFC e di individuare fattori di rischio per la recidiva di CF e lo sviluppo di epiles-sia.

La prima parte del lavoro `e incentrata sull’epidemiologia e sull’aspetto semeiologico della crisi; la seconda parte analizza i possibili fattori di rischio per lo sviluppo di ulteriori CF o epilessia. Infine, nell’ultima parte, sono proposti 4 casi di pazienti con sindromi epilettiche accompagnate da crisi febbrili, inizialmente diagnosticate come CFC.

(5)

Capitolo 1

Convulsioni febbrili: caratteristiche,

diagnosi e trattamento

1.1

Introduzione

Le convulsioni febbrili (CF) sono il disturbo neurologico pi`u comune dell’et`a infantile, nella quale rappresentano circa un terzo delle manifestazioni convulsive. Nella pratica clinica sono patologie molto eterogenee che possono verificarsi una sola volta o avere carattere di ricor-renza. Pur essendo condizioni benigne nella maggior parte dei casi, c’`e sempre pi`u timore riguardo le potenziali complicanze che si possono verificare in un sottogruppo di soggetti.

1.2

Definizione

Secondo le linee guida LICE (Lega italiana contro l’epilessia), le CF interessano bambini dai 6 mesi ai 5 anni di et`a e sono definite come:

”Eventi critici di natura epilettica che si verificano in corso di episodio febbrile (in genere TC superiore a 38°) in assenza di infezione acuta del SNC e precedenti convulsioni afebbrili, in

(6)

Sono esclusi da questa definizione soggetti con infezioni del SNC, trauma cranico o epilessia, cos`ı come soggetti con altre comprovate cause di convulsioni (eg. squilibri elettrolitici, ipogli-cemia, farmaci).

Le CF sono classificate in semplici e complesse. Le convulsioni febbrili semplici (CFS) sono crisi brevi, isolate e generalizzate. Le convulsioni febbrili complesse (CFC) non rientrano nei criteri diagnostici di CFS: possono essere focali o con segni di focalit`a nel post-critico (eg. paralisi di Todd), di durata superiore a 15 minuti o con episodi ripetuti nelle 24 ore. Frequentemente una CFC pu`o presentare pi`u caratteristiche di complessit`a nello stesso episodio.

Di particolare interesse sono le convulsioni prolungate che possono sfociare in un vero e pro-prio status epilepticus, definito come una convulsione, o una serie di convulsioni senza riso-luzione completa, della durata superiore a 30 minuti. Questa condizione `e poco frequente e interessa circa il 5% dei soggetti con CF.

1.3

Epidemiologia

Le CF sono globalmente la forma pi`u comune di convulsioni nell’et`a infantile, interessando il 2-5% dei bambini tra 6 mesi e 5 anni, negli Stati Uniti e in Europa. Tuttavia, in paesi come il Giappone e l’India, tale prevalenza pu`o raggiungere il 6-9%. Un caso particolare `e quello dell’isola di Guam dove l’incidenza `e del 14%. Il rapporto M:F `e di 1,6:1.

Circa l’80% delle CF `e rappresentato da crisi semplici, mentre il 20% da crisi complesse. Il 90% delle crisi si realizza nei primi 3 anni di vita, il 4% prima dei 6 mesi e solo il 6% dopo 3 anni. Circa la met`a dei casi si presenta nel secondo anno di vita con un picco tra 18 e 24 mesi.

(7)

Nei casi di CFC l’et`a mediana `e inferiore e la prima crisi insorge solitamente prima dei 18 mesi.

1.4

Eziopatogenesi

La patogenesi delle CF `e multifattoriale. Si ritiene che siano il risultato di una predisposizione genetica di base unita a fattori ambientali intercorrenti, su un substrato di vulnerabilit`a del SNC, legato all’et`a precoce dei soggetti. Infatti, l’immaturit`a fisiologica del SNC lo rende pi`u predisposto a reagire a stimoli di varia natura, come il rialzo febbrile.

1.4.1

Fattori di rischio

FR genetici

Studi familiari e su gemelli suggeriscono come la genetica giochi un ruolo importante nello sviluppo delle CF. Circa un terzo dei bambini con CF presenta una storia familiare positiva; il rischio `e aumentato sia per familiarit`a di primo grado che per familiarit`a di secondo grado. Studi di linkage hanno permesso di individuare 11 regioni cromosomiche responsabili di CF (da FEB1 a FEB11) che per`o non sono sempre presenti negli individui affetti.

Alcuni geni come SCN1A, SCN1B e GABRG2 sono coinvolti in particolari forme di CF associa-te a epilessia. L’utilizzo sempre pi`u esassocia-teso di metodi di sequenziamento di nuova generazione sta permettendo di individuare altri geni associati allo sviluppo della patologia.

In conclusione, la genetica delle CF `e un campo in continua evoluzione, sta dimostrando l’e-terogeneit`a di questo gruppo di patologie e porter`a ad una individualizzazione maggiore per quanto riguarda follow up e terapie.

(8)

FR ambientali

In quei soggetti che presentano alterazioni genetiche predisponenti, vari fattori ambientali possono ulteriormente aumentare la suscettibilit`a allo sviluppo di convulsioni.

Tra questi fattori di rischio, alcuni sono antenatali, come lo stress materno, l’esposizione in utero a nicotina o alcool, il ritardo di crescita intrauterino. Altri fattori sono postnatali, come la permanenza in terapia intensiva neonatale per un periodo superiore a 28 giorni e il tratta-mento con corticosteroidi.

Anche stati carenziali con ridotti livelli di ferro, zinco, magnesio e vitamine aumentano il rischio di sviluppo di CF. Particolare attenzione deve essere posta a bambini con anemia side-ropenica o semplicemente con carenza marziale senza anemia.

Inoltre, ritardi nello sviluppo o comorbidit`a neurologiche costituiscono fattori di rischio indi-pendenti, soprattutto per CFC.

1.4.2

Fattori scatenanti la crisi

L’evento che determina l’inizio della crisi `e il rialzo febbrile. In generale, pi`u alta `e la tempe-ratura e pi`u rapido `e il rialzo termico, pi`u `e facile che si scateni la CF.

Nella maggior parte dei casi, la causa della febbre `e un’infezione virale, fermo restando che qualsiasi infezione pu`o dare inizio alla crisi convulsiva. I virus che pi`u frequentemente sono responsabili di CF sono HHV6 (sesta malattia), il virus dell’influenza A e il coronavirus HKU1. Altre infezioni, anche batteriche, sono associate a CF. Tra queste hanno un ruolo predomi-nante le infezioni delle vie respiratorie superiori, l’otite media e la gastroenterite da Shigella, contrariamente ad altre comuni gastroenteriti che raramente si associano a CF.

Inoltre, alcune preparazioni vaccinali, probabilmente associate ad un’et`a precoce al momento della somministrazione, hanno dimostrato un aumento del rischio di CF nei giorni immediata-mente successivi alla vaccinazione. Tra queste, sono da riportare il vaccino trivalente (MPR), il vaccino coniugato difterite-tetano-pertosse e l’antipneumococcico, mentre il rischio non `e si-gnificativamente aumentato per il vaccino antiinfluenzale e il vaccino acellulare della pertosse. In generale, nonostante un minimo rischio, il rapporto benefici/rischi di queste vaccinazioni `e favorevole.

(9)

1.4.3

Ipotesi patogenetiche

I meccanismi fisiopatologici alla base delle CF sono molteplici e includono infiammazione, re-golazione del PH cerebrale e suscettibilit`a genetica, come gi`a trattato nella sezione 1.4.1.

Infiammazione

Negli ultimi 20 anni `e stato ampliamente dimostrato che l’infiammazione gioca un ruolo fon-damentale nello sviluppo delle CF. Infatti, una reazione infiammatoria eccessiva determina un aumento di citochine pro-infiammatorie e porta allo sviluppo di eccitotossicit`a nel SNC. Tut-tavia, la relazione causale tra febbre, aumento dei livelli di citochine e CF non `e stata ancora completamente chiarita.

Gli studi si sono focalizzati su citochine pro-infiammatorie prodotte sia a livello centrale che periferico; tra queste vi sono IL-1b, TNF, Il-1a e IL6. In particolare, ulteriori indagini hanno evidenziato il ruolo principale dell’IL-1b rispetto alle altre citochine. Livelli significativamente aumentati di IL-1b sono stati riscontrati in soggetti con CF nell’immediato periodo post-critico; parallelamente studi su modello animale hanno dimostrato come IL-1b sia in grado di abbas-sare la soglia di sviluppo della crisi convulsiva.

A complicare il quadro, `e da sottolineare che la convulsione costituisce uno stimolo pro-infiammatorio e, in quanto tale, si traduce nella sintesi di citochine. Per tale ragione, non `e ancora chiaro se l’aumento dell’IL-1b sia o meno il primum movens dello sviluppo di CF, anche se `e indubbio che abbia un ruolo chiave nella patogenesi della convulsione.

Regolazione del PH cerebrale

Per l’intero organismo, un PH stabile `e essenziale per l’omeostasi. A livello cerebrale l’equi-librio acido base influenza l’attivit`a neuronale, modulando l’attivit`a dei canali ionici; questi a loro volta determinano variazioni delle concentrazioni di elettroliti e, di conseguenza, del PH. Il ruolo patogenetico del PH `e supportato da vari dati sperimentali, che hanno per`o portato a conclusioni differenti. Infatti, studi su modello animale hanno rilevato livelli di PH pi`u bassi

(10)

del normale durante l’evento critico, altri studi hanno rilevato l’opposto, cio`e un aumento del PH rispetto ai controlli. Questo aumento del PH potrebbe essere motivato da un’iperventila-zione scatenata dall’ipertermia. L’iperventilaun’iperventila-zione comporta un aumento dell’eliminaun’iperventila-zione di CO2 e lo sviluppo di alcalosi respiratoria.

Nonostante l’alcalosi respiratoria sia presente in molti soggetti con CF, i risultati contrastanti non hanno permesso di stabilire un nesso diretto tra queste due condizioni.

Altre ipotesi

Un’ipotesi ancora aperta `e quella legata alla presenza di gruppi di neuroni attivati direttamen-te dal rialzo direttamen-termico. L’aumento della direttamen-temperatura rappresenta un fattore in grado di aprire canali ionici temperatura dipendenti; in particolare, esistono canali del calcio che hanno que-sto meccanismo. L’attivazione di questi canali porta a una depolarizzazione di membrana, che avvicina il potenziale di riposo alla soglia di sviluppo del potenziale d’azione. L’espressione di tali canali all’interno del SNC non `e ancora stata ben definita. Tuttavia, sono stati condotti studi volti a valutare l’effetto della presenza di questi canali nel modello animale. La conferma della presenza di canali attivati elettivamente dall’innalzamento della temperatura rappresen-terebbe un passo avanti nella comprensione delle CF. Inoltre, potrebbe portare a una terapia target per questa patologia.

(11)

1.5

Manifestazioni cliniche

In generale, le CF hanno una loro stagionalit`a e la tendenza a presentarsi in determinati mo-menti della giornata. In relazione all’associazione con le infezioni, le CF si presentano solita-mente nelle stagioni fredde; inoltre, all’interno della giornata, tendono a presentarsi pi`u spesso nel pomeriggio e nella notte piuttosto che di mattina.

Nella maggior parte dei casi, la CF si realizza nel primo giorno di rialzo febbrile. A volte, la feb-bre pu`o essere assente nel periodo critico ma deve essere rilevata nell’immediato post-critico. Le convulsioni che si realizzano dopo 3 o pi`u giorni dall’inizio della febbre devono essere va-lutate attentamente poich`e potrebbero avere cause di altro genere.

Al momento della crisi, la temperatura corporea `e di solito maggiore o uguale a 38,5° anche se, in alcuni pazienti, la temperatura pu`o essere inferiore. Quest’ultimo aspetto `e associato spesso a CF con caratteristiche di ricorrenza o lunga durata.

Tipicamente, una CFS `e generalizzata, cio`e caratterizzata da perdita di coscienza, movimenti tonico-clonici dei quattro arti e revulsione oculare. L’episodio pu`o durare da pochi secondi a 10-15 minuti (di solito meno di 5 minuti) e ha risoluzione spontanea. Il periodo post critico pu`o essere caratterizzato da sopore di breve durata o completa risoluzione dei sintomi; in ogni caso non si ha ricorrenza della crisi nelle 24 ore successive.

Al contrario la CFC `e di solito di durata superiore a 15 minuti, anche se non necessariamente. Pu`o essere focale, cio`e con movimenti tonico-clonici limitati a un solo arto o a un solo emilato, o deviazione dello sguardo, o del corpo, da un solo lato. Dopo l’episodio critico pu`o comparire sopore di lunga durata, oppure un deficit focale post critico come la paralisi di un intero emi-lato (paralisi di Todd).

In entrambe le tipologie di CF le convulsioni possono essere accompagnate da movimenti dei muscoli facciali, difficolt`a respiratorie, pallore o cianosi e presenza di scialorrea. Inoltre, la crisi pu`o avere una manifestazione atonica piuttosto che tonico-clonica.

In alcuni casi la CF pu`o avere una durata particolarmente lunga ed evolvere in un vero e pro-prio status epilepticus.

(12)

1.6

Percorso diagnostico

1.6.1

Valutazione clinica

Il primo approccio in un soggetto con CF `e la valutazione complessiva dell’episodio critico. Deve essere valutata l’entit`a della febbre, l’evento scatenante la stessa, il rapporto temporale tra l’esordio della febbre e quello della crisi e, infine, la tipologia di crisi. In anamnesi `e impor-tante indagare un’eventuale familiarit`a per CF, oppure per epilessia.

Deve sempre essere eseguito un esame obiettivo completo, sia per indagare la causa della feb-bre, sia per eseguire una diagnosi differenziale con altre condizioni patologiche. All’esame obiettivo neurologico devono essere valutati con particolare attenzione eventuali segni di ir-ritazione meningea (rigidit`a nucale, segno di Brudzinski, segno di Kernig). Solitamente, i sog-getti con meningite presentano CF ripetute di tipo focale, accompagnate da alterazione dello stato di coscienza. Per definizione, soggetti che presentano convulsioni in corso di meningite non rientrano nei criteri diagnostici di CF.

Inoltre, dal momento che in et`a pediatrica la febbre `e un evento piuttosto frequente, `e neces-sario porre in diagnosi differenziale con la CF eventuali altre condizioni. Le CF devono essere differenziate da brividi, delirio febbrile, mioclono, spasmi affettivi e sincopi. Gli aspetti sug-gestivi di CF sono la perdita di coscienza, il coinvolgimento dei muscoli facciali, la revulsione dello sguardo, cianosi, scialorrea e segni focali.

1.6.2

Indagini strumentali

Gli esami ematochimici non sono necessari se l’anamnesi e l’esame obiettivo sono tipici di CF. Un emocromo completo con valutazione dei globuli bianchi pu`o essere eseguito per approfon-dire la diagnosi di infezione. Il dosaggio di glucosio, creatinina, elettroliti deve essere preso in considerazione in condizioni di ridotto introito di liquidi, vomito o diarrea o se, in generale, ci sono segni di disidratazione.

La puntura lombare non `e un esame da eseguire di routine. Deve essere effettuata se ci so-no segni clinici di irritazione meningea e deve essere attentamente valutata in bambini di et`a

(13)

inferiore a 12 mesi che presentano segni molto sfumati, se non addirittura assenti. Contestual-mente all’analisi del liquor deve essere valutata la glicemia e devono essere prelevati campioni per le emocolture. Al di fuori di queste situazioni la rachicentesi non ha utilit`a nella valuta-zione delle CF.

Per quanto riguarda l’elettroencefalogramma (EEG) non ci sono reperti specifici di CF. Solita-mente si riscontrano alterazioni aspecifiche del tracciato, che non hanno valore diagnostico, n`e prognostico. In caso di CFS l’esecuzione dell’EEG non `e raccomandata; in caso di CFC la scelta se eseguire o meno un EEG `e dibattuta, in quanto in letteratura non vi sono dati con-clusivi sulla sua effettiva utilit`a. Nella pratica clinica l’EEG viene effettuato in caso di CFC, principalmente per escludere comorbidit`a neurologiche che sono presenti con una certa fre-quenza in soggetti con convulsioni febbrili ricorrenti o prolungate.

Le indicazioni sul realizzare o meno studi di neuroimaging sono controverse. L’esame pi`u effettuato `e la risonanza magnetica (RM), con e senza mezzo di contrasto. Questo esame per-mette di individuare alterazioni anatomiche preesistenti a livello del SNC. Per questo motivo `e indicato solo in caso di sospetto clinico di comorbidit`a neurologiche antecedenti alla crisi. Per quanto riguarda l’applicazione della RM nella valutazione della CF, questa non aggiunge infor-mazioni utili. Alcuni soggetti con CF ripetute o prolungate possono mostrare nell’immediato post-critico segni di danno acuto come l’edema, ma tali alterazioni non hanno un significato clinico.

In conclusione, i bambini con CFS non richiedono valutazioni aggiuntive; nello specifico non ci sono indicazioni all’esecuzione di EEG, esami ematochimici e studi di neuroimaging. In caso di CFC il percorso diagnostico `e pi`u elaborato, e deve essere stabilito in base alle caratteristiche particolari di ciascun paziente.

(14)

1.7

Complicanze

1.7.1

Morbidit`a e mortalit`a correlata

La mortalit`a acuta associata a CF `e estremamente bassa, anche in caso di status epilepticus. Nel lungo termine non `e stato rilevato alcun incremento di mortalit`a nei soggetti con CFS; nei soggetti con CFC la mortalit`a `e leggermente aumentata rispetto alla popolazione generale, ma ci`o `e attribuibile a comorbidit`a neurologiche indipendenti dalla CF.

Per quanto riguarda le abilit`a cognitive di soggetti con CF, queste sono state estesamente stu-diate. Gli studi hanno dimostrato l’assenza di deterioramenti cognitivi acuti o tardivi a seguito di CF. Infatti, le abilit`a cognitive e le performance scolastiche di soggetti con CF risultano sovrapponibili a quelle dei soggetti sani; anche crisi ricorrenti non sembrano associate ad out-come cognitivi avversi.

1.7.2

Rischio di ricorrenza

Uno dei principali aspetti delle CF `e la loro tendenza a ricorrere nel tempo. Si stima che circa il 30-50% dei soggetti con un primo episodio di CF vada incontro ad ulteriori episodi; il 10% ha 3 o pi`u episodi.

L’entit`a della prima crisi non influenza il richio di ricorrenza. Infatti, soggetti con CFS possono avere molteplici episodi, al tempo stesso non `e detto che un soggetto con CFC abbia nel tem-po delle recidive. Per questo motivo, anche in caso di CFS `e raccomandato un monitoraggio clinico protratto nel tempo.

Diversi studi retrospettivi hanno consentito di individuare caratteristiche cliniche e anamnesti-che in grado di predirre il rischio di ricorrenza. Alcune caratteristianamnesti-che aumentano certamente il rischio di ricorrenza, per altre questa associazione `e dibattuta oppure `e stata smentita. Bambini con pi`u fattori predisponenti hanno un rischio aumentato: con due fattori il rischio di ricorrenza a due anni `e del 30%, con tre o pi`u fattori sale al 60%. Il rischio di ricorrenza di base in soggetti con CF senza fattori di rischio `e circa del 15%.

(15)

Fattori di rischio certi

Il pi`u importante fattore predittivo di ricorrenza `e la storia familiare di CF, soprattutto se que-sta familiarit`a `e di primo grado. Anche l’et`a precoce di insorgenza aumenta il rischio; alcuni definiscono l’et`a precoce al di sotto dei 18 mesi, altri dei 15 mesi.

In studi atti ad esaminare le caratteristiche cliniche dell’episodio critico, la temperatura di pic-co e la durata della febbre prima della CF erano associate a tassi di ripic-correnza maggiori. In particolare, la temperatura di picco `e inversamente correlata alla probabilit`a di avere altre cri-si. Infatti, in letteratura `e riportato un aumento del 40% in soggetti con temperatura di picco di 38°, contro un aumento inferiore al 30% in soggetti con temperatura di 39,5°; per temperature maggiori il rischio `e ancora minore.

Per quanto riguarda la durata della febbre prima della CF, pi`u precoce `e l’esordio della convul-sione, pi`u `e alta la percentuale di ricorrenza.

Fattori di rischio possibili

Mentre la familiarit`a per CF `e sicuramente un elemento di rischio, vi sono dati contrastanti riguardanti la familiarit`a per epilessia.

Alcuni studi hanno dimostrato questa associazione, altri l’hanno smentita; in ogni caso, lad-dove `e stata trovata la correlazione, l’aumento del rischio associato alla familiarit`a sarebbe minimo.

Altri fattori di rischio sono quelli che predispongono a infezioni, come la frequenza all’asilo nido o, in generale, la socializzazione precoce.

Fattori non di rischio

Altre caratteristiche, sospette di incrementare il rischio, non hanno dimostrato percentuali di ricorrenza maggiori. Tra queste vi sono la presenza di anormalit`a neurologiche, sesso, etnia e caratteristiche cliniche di complessit`a della crisi.

In particolare, in passato si riteneva che i pazienti con CFC fossero pi`u a rischio dei pazienti con CFS, indipendentemente dalla presenza di altri fattori di rischio. Tuttavia, studi recenti

(16)

hanno dimostrato che le crisi complesse non rappresentano un fattore di rischio indipendente. Infatti, a parit`a di et`a e storia familiare, i pazienti con CFC non presentano un tasso di ricor-renza maggiore rispetto ai pazienti con CFS. Al tempo stesso, i soggetti con CFC hanno spesso et`a inferiore a 18 mesi e, per questo motivo, presentano pi`u spesso crisi ricorrenti.

1.7.3

Rischio di sviluppo di epilessia

La maggior parte dei bambini con CF ha un normale outcome a lungo termine, tuttavia alcuni soggetti sviluppano crisi afebbrili ed epilessia.

Il rischio globale di successiva epilessia `e compreso tra 2-5%, contro un rischio dello 0,5% della popolazione generale. Le percentuali variano a seconda del tipo di CF, risultando del 2% nel caso di CFS, del 4% fino al 12% nel caso di CFC. L’incidenza di epilessia raggiunge il massimo livello dopo circa 3 anni dalla manifestazione di CF e tende poi a diminuire negli anni succes-sivi.

Il tipo di epilessia sviluppata `e variabile: a seguito di CF generalizzata si sviluppa di solito epi-lessia generalizzata, allo stesso modo a seguito di CF focali si sviluppa epiepi-lessia focale. Queste associazioni suggeriscono che le CF siano, in alcuni casi, delle manifestazioni et`a specifiche di una sindrome epilettica gi`a presente durante l’infanzia.

In quei soggetti che sviluppano epilessia il management e la prognosi cambiano, c’`e inoltre ne-cessit`a di un trattamento specifico. Per questo motivo sono stati ampliamente studiati fattori predittivi, clinici e strumentali, per riuscire a individuare i soggetti pi`u a rischio di evoluzione di malattia.

Fattori predittivi clinico-anamnestici

I fattori di rischio principali sono la familiarit`a di primo grado per epilessia (idiopatica o gene-tica), la presenza di elementi di complessit`a della crisi, crisi ricorrenti, anomalie neurologiche e/o dello sviluppo precedenti e basso livello socio-economico.

(17)

afeb-brili. Al contrario, ci sono dati discordanti su pazienti con CF a esordio tardivo (superiore a 3 anni): in alcuni studi in questo gruppo di pazienti l’incidenza di crisi afebbrili era significati-vamente aumentata, in altri studi non `e stata confermata questa associazione.

Ruolo dell’EEG

L’EEG come approfondimento diagnostico, nella pratica clinica, `e effettuato in caso di CFC, oppure di CFS ricorrente; non `e raccomandato a seguito di un primo episodio di CFS.

Molti studi hanno tentato di trovare un’associazione tra anormalit`a del tracciato elettroence-falografico e sviluppo di epilessia negli anni successivi. L’incidenza di queste anormalit`a varia dal 2% all’86%; questo dipende soprattutto dalla definizione utilizzata di ”anormalit`a” del trac-ciato. Infatti, alterazioni aspecifiche e generalizzate sono estremamente frequenti in soggetti con CF.

In generale, l’EEG ha un alto valore predittivo negativo sia in soggetti con CFS, che in soggetti con CFC. Questo significa che bambini con pattern elettroencefalografici normali, a seguito di CF hanno una bassa probabilit`a di presentare crisi afebbrili o epilessia negli anni successivi. Per quanto riguarda il valore predittivo positivo dell’EEG, i dati presenti in letteratura sono discordanti. In particolare, scariche epilettiformi generalizzate sembrano non essere preditti-ve, mentre scariche focali sembrano costituire un fattore predittivo di epilessia.

(18)

1.7.4

CF, sclerosi temporale mesiale e epilessia temporale

farmacore-sistente dell’adulto

Una delle tematiche pi`u controverse nel campo delle CF `e se crisi febbrili prolungate possano provocare danni permanenti al SNC; il pi`u severo di questi `e la sclerosi temporale mesiale. La sclerosi temporale mesiale consiste nella perdita di neuroni e nella formazione di tessuto cicatriziale nella porzione pi`u profonda del lobo temporale; in particolare, una delle strutture interessate `e l’ippocampo, che va progressivamente incontro ad atrofia.

Questa alterazione `e ritenuta responsabile di epilessia temporale; infatti, circa il 70% dei pa-zienti mostra sclerosi temporale di diverso grado di severit`a. Tra i papa-zienti con sclerosi, un’alta percentuale riferisce in anamnesi la presenza di CFC, soprattutto prolungate, in et`a evolutiva. Tale riscontro ha permesso di ipotizzare che le crisi di lunga durata siano in grado di danneg-giare il SNC, contrariamente alla maggior parte delle CF.

Lo studio multicentrico FEBSTAT ha valutato nello specifico l’effetto dello status epilepticus febbrile sullo sviluppo, a distanza di anni, di un danno organico del SNC. Questo studio ha interessato un gran numero di pazienti con convulsioni prolungate; i pazienti sono stati sot-toposti a ripetute RM per individuare anomalie strutturali, successive alla crisi.

In particolare, la maggior parte dei pazienti presentava segni di danno acuto, come l’edema ippocampale, immediatamente dopo la crisi. Tali pazienti continuavano a mostrare alterazioni ippocampali di vario grado di severit`a, nel periodo successivo. Tuttavia, a distanza di molti an-ni, solo alcuni pazienti avevano sclerosi ippocampale e, di conseguenza, epilessia temporale. I dati dello studio FEBSTAT, per quanto non conclusivi, hanno costituito un passo importante nello studio delle convulsioni prolungate e delle loro conseguenze. Ad oggi, c’`e molto interesse riguardo le sequele di CFC prolungate e non, e lo studio FEBSTAT rappresenta un riferimento essenziale in questo ambito.

(19)

1.8

Trattamento

1.8.1

Trattamento della crisi in atto

Le CF sono, nella maggior parte dei casi, manifestazioni di breve durata e autolimitanti, risol-vendosi spontaneamente dopo 2-3 minuti. Quando la crisi convulsiva `e in atto `e fondamentale mettere in sicurezza il paziente e agire come in qualsiasi altra manifestazione epilettica. Se l’episodio dura pi`u a lungo devono essere valutati i parametri vitali e lo stato di coscienza; se sono presenti ostruzioni delle vie aeree queste devono essere disostruite e deve essere sommi-nistrata ossigeno terapia in caso di desaturazione, dispnea o cianosi. Di solito i soggetti con CFS non necessitano di ospedalizzazione, mentre i soggetti con CFC devono essere ospedaliz-zati per eseguire gli accertamenti del caso.

Se la crisi non va incontro a risoluzione spontanea entro 2 o 3 minuti, deve essere interrotta farmacologicamente il prima possibile. Il razionale di questo tipo di intervento `e che `e op-portuno interrompere la crisi prima che evolva nello stato di male. Nella pratica clinica si somministrano antiepilettici il prima possibile; questo perch`e, superato un certo limite tem-porale, la risposta alla terapia di prima linea si riduce.

Il trattamento anticonvulsivante acuto si basa su diversi tipi di benzodiazepine che possono essere utilizzate con varie modalit`a di somministrazione. La via rettale e quella mucosale ga-rantiscono un effetto immediato, poich`e permettono al farmaco di raggiungere rapidamente la dose terapeutica. A causa di questo tipo di cinetica sono purtroppo frequenti effetti collaterali da sovraddosaggio, come sopore e atassia. Per questo motivo i caregivers devono essere istruiti dal personale medico per somministrare corretamente la terapia.

Il trattamento di prima scelta consiste nella somministrazione di Diazepam endorettale in dose di 0,5 mg/kg, ripetibile. In alternativa si pu`o somministrare Midazolam sempre in dosaggio di 0,5 mg/kg, per via orale.

Se la sintomatologia persiste occorre reperire un accesso venoso e somministrare Diazepam ev. in dose di 0,3 mg/kg in bolo, ripetibile dopo 20 minuti. In alternativa si pu`o utilizzare Lo-razepam ev in dose di 0,1 mg/kg.

Se la crisi persiste ulteriormente si pu`o passare al Midazolam ev. e al protocollo dello stato di male, che prevede il coinvolgimento del rianimatore. Nelle CFS, qualora non vi sia risoluzione

(20)

spontanea, il trattamento con Diazepam endorettale `e sufficiente a interrompere la crisi nella maggior parte dei casi. Nelle CFC pu`o essere necessario ricorrere all’uso di farmaci e.v.

1.8.2

Profilassi delle recidive

La terapia profilattica ha l’obiettivo di impedire la ricorrenza di CF in soggetti ad alto rischio; non esistono terapie in grado di ridurre il rischio di epilessia.

Nella maggior parte delle CF la profilassi non `e raccomandata, in quanto gravata da un certo numero di effetti collaterali. Inoltre, non c’`e evidenza che CFS ricorrenti inducano disordini dello sviluppo cognitivo. Per questi motivi il trattamento profilattico `e indicato solo in pazienti con crisi prolungate (oltre 15 minuti), o in pazienti con CF cos`ı frequenti da ridurre molto la qualit`a della vita. La terapia pu`o essere intrapresa anche per motivi familiari o sociali.

Molti studi hanno valutato l’effetto di vari antipiretici per ridurre la ricorrenza di CF, ma nes-suno ha provato un effetto protettivo di questa terapia. Quindi, gli antipiretici possono essere utilizzati per trattare la febbre ma non prevengono l’insorgenza della crisi convulsiva.

I farmaci che hanno la capacit`a di prevenire l’insorgenza delle crisi appartengono alla catego-ria degli anticonvulsivanti. I pi`u usati sono il Diazepam, l’Acido Valproico e il Fenobarbital. La profilassi pu`o essere intermittente o continuativa.

Terapia intermittente

La terapia intermittente si basa sulla somministrazione di Diazepam per os o rettale all’esor-dio della febbre, alla dose di 0,4/0,5 mg/kg; la somministrazione `e ripetibile una seconda volta dopo 6-8 ore e una terza volta a 24 ore dalla prima somministrazione. La CF avviene nella maggior parte dei casi entro le prime 24 ore dall’esordio febbrile, pertanto non `e indicata la continuazione della terapia dopo questo tempo.

Studi randomizzati hanno mostrato un vantaggio significativo nel gruppo di pazienti ai quali veniva somministrato Diazepam, soprattutto quelli a pi`u alto rischio di ricorrenza. Al tempo stesso, in alcuni soggetti, la terapia somministrata a dosaggio ottimale non ha avuto effetto, mentre in circa un terzo dei soggetti trattati si sono verificati sopore e altri effetti collaterali.

(21)

Un fattore che limita l’uso della profilassi intermittente `e il fatto che spesso l’esordio della febbre non viene correttamente riconosciuto. Inoltre, non ci sono evidenze di un favorevole rapporto tra rischi e benefici ed `e stato dimostrato che il trattamento non cambia la prognosi a distanza (nel senso di ricorrenza delle CF o sviluppo successivo di epilessia).

Terapia continuativa

I due anticonvulsivanti usati in terapia continuativa sono il Fenobarbital e l’Acido Valproico. Il primo `e somministrato 1-2 volte al giorno alla dose di 3-5 mg/kg, il secondo `e somministrato 2-3 volte al giorno alla dose di 20-30 mg/kg.

Per quanto riguarda il Fenobarbital, questo si `e dimostrato molto efficace nel prevenire la ri-correnza delle crisi. In alcuni casi sono stati riportati risultati meno positivi, legati per`o alla scarsa compliance alla terapia. Gli effetti collaterali pi`u comuni sono riduzione della memoria a breve termine, scarsa concentrazione e disturbi comportamentali.

L’Acido Valproico ha un’efficacia comparabile a quella del Fenobarbital ed `e gravato da effetti collaterali poco frequenti, ma pi`u gravi. I principali sono tossicit`a epatica, renale e pancreatica, disturbi ematopoietici e altri effetti.

In conclusione, alla luce degli effetti collaterali e della difficolt`a a mantenere la compliance alla somministrazione giornaliera, la profilassi continuativa `e effettuata in casi estremamente limitati e selezionati.

(22)

Capitolo 2

Convulsioni febbrili complesse: un

approfondimento

2.1

Come si caratterizza una convulsione complessa

Le CFC vengono definite come una qualsiasi CF che esuli dalle caratteristiche cliniche di CFS. Le CFS sono crisi generalizzate, della durata di pochi minuti, a risoluzione spontanea e che si manifestano in un unico episodio nelle 24 ore. Pertanto, tutte le crisi che, per varie ragioni, non presentano una di queste caratteristiche, si classificano come CFC.

Il singolo episodio critico pu`o presentare una o pi`u caratteristiche di complessit`a. Le caratteristiche di complessit`a sono:

• focalit`a

• segni di focalit`a nel post critico • durata superiore a 10/15 minuti • episodi ripetuti nelle 24 ore

Per quanto riguarda la durata della crisi, non c’`e consenso unanime sul cut-off da utilizzare per discriminare tra CFC e CFS. Infatti, alcuni studi restrospettivi hanno evidenziato come, ponendo il cut-off a 15 minuti, si possano classificare come CFS delle crisi con un’evoluzione

(23)

permette di gestire in maniera adeguata i pazienti con crisi di tale durata.

Nei casi in cui la crisi `e interrotta farmacologicamente prima di 10 minuti, questa andrebbe classificata come complessa, secondo alcuni autori.

2.2

Chi sono i soggetti con convulsioni complesse.

Le CFC costituiscono una quota rilevante di CF; infatti, studi di metanalisi hanno permesso di stabilire che circa il 20% delle CF sono complesse.

Per quanto riguarda i fattori di rischio per lo sviluppo della crisi, non vi sono differenze so-stanziali tra CFC e CFS. In molti casi c’`e familiarit`a di primo o secondo grado per CF, anche se ci sono opinioni contrastanti sul ruolo della storia familiare nel determinare le caratteristiche della crisi. In alcuni studi, la storia familiare si `e dimostrata ugualmente correlata a CFS e CFC. In altri studi, addirittura, `e stata riportata una correlazione negativa tra crisi complesse e familiarit`a per CF.

Pi`u nello specifico, la familiarit`a `e attribuibile a varianti genetiche, trasmesse secondo diversi modelli di ereditariet`a. In alcune famiglie con casi frequenti di CF ci sono mutazioni speci-fiche, con ereditariet`a di tipo autosomico dominante a peneranza incompleta. In altri casi, il substrato genetico `e poligenico, e trasmesso con modelli pi`u complessi. Tuttavia, la familiarit`a `e legata anche a fattori ambientali, condivisi all’inerno dello stesso ambiente familiare. I fattori ambientali interessati sono comuni a quelli di soggetti con CFS, anche se nei pazienti con CFC si rilevano con maggior frequenza fattori che determinano danni neurologici di vario tipo. La maggior parte dei soggetti con CFC manifesta la crisi complessa come primo episodio con-vulsivo; altri possono avere uno o pi`u episodi di crisi semplici e solo successivamente manife-stare una crisi complessa. Per via della ricorrenza delle crisi, questi pazienti hanno un rischio aumentato di sviluppare epilessia.

Un’altra differenza rispetto ai pazienti con CFS `e l’et`a d’esordio, che risulta anticipata nei pa-zienti con CFC. Questo tipo di crisi si manifesta pi`u spesso prima di 15-18 mesi, anche se pu`o presentarsi pi`u tardivamente in altri pazienti. Inoltre, i pazienti con CFC manifestano, in una percentuale variabile di casi, comorbidit`a neurologiche e ritardi nello sviluppo. Tuttavia, nella maggior parte degli studi uno dei criteri di esclusione `e proprio la presenza di comorbidit`a,

(24)

pertanto non si hanno informazioni dettagliate su quali siano le patologie neurologiche pi`u diffuse nei pazienti con CFC.

Uno studio di Hesdorffer et al. ha indagato le caratteristiche cliniche di pazienti con CFC, con un focus particolare sulle alterazioni dello sviluppo. In particolare, lo scopo dello studio `e quel-lo di correlare le caratteristiche di base dei pazienti alla durata della crisi. Per quanto questo studio non consideri i pazienti con altre caratteristiche di complessit`a, i risultati ottenuti sono interessanti per individuare fattori di rischio e aspetti clinici esclusivi di alcune CFC.

Nello studio sono stati inclusi 159 pazienti con un primo episodio di CF; di questi l’82,3 % presenta una CFS con una durata media della crisi di 4 minuti, mentre il 17,7% presenta una CF con durata media pi`u elevata. Quindi, la composizione del campione di studio rispecchia quella della popolazione generale.

Sono stati poi valutati diversi parametri relativi sia al periodo antenatale che a quello postna-tale. Non sono state rilevate differenze tra le due popolazioni per quanto riguarda noti fattori di rischio per CF, come la durata della gravidanza, l’abitudine al fumo in gravidanza e lo stato socio-economico. A livello demografico i pazienti con CFS hanno un’et`a mediana di 19 mesi, superiore a quella dei pazienti con CFC che risulta di 15 mesi; al contrario, non ci sono diffe-renze significative di genere ed etnia.

Successivamente sono state valutate le tappe dello sviluppo, come il sorriso, l’assunzione della posizione seduta e poi eretta, il linguaggio ecc. Una percentuale maggiore di pazienti nel grup-po con CFC presenta un ritardo nel raggiungimento di alcune di queste tappe. Nel dettaglio, i deficit osservati sono il ritardo nell’assunzione della posizione eretta e nella deambulazione, ma non nel sorriso, nel linguaggio e in altri ambiti. Inoltre, i soggetti con CFC hanno punteggi pi`u bassi ai test motori ma non a quelli cognitivi, comunicativi e a quelli riguardanti la socia-lizzazione.

In conclusione, questo studio conferma che i soggetti con un ritardo dello sviluppo di varia natura, qualora presentino CF, tendono a presentare crisi prolungate e, di conseguenza, com-plesse piuttosto che crisi di breve durata.

(25)

CFC, `e quello condotto da Gillberg et al. Lo scopo dello studio `e quello di valutare la preva-lenza di manifestazioni precoci di patologie neuropsichiatriche in soggetti con epilessia e/o convulsioni febbrili, confrontandola con la prevalenza nella popolazione generale.

Tramite l’uso di questionari sono stati ricercati sintomi precoci di disturbo dello spettro autisti-co, ADHD, disturbo della condotta e disturbo del linguaggio. I campi indagati sono: sviluppo generale, comunicazione e linguaggio, interesse sociale, coordinazione motoria, attenzione, comportamento e caratteristiche del sonno.

La prevalenza di queste alterazioni nei soggetti con CF `e risultata inferiore a quella dei pa-zienti con epilessia, ma nettamente superiore a quella della popolazione generale. L’aspetto innovativo dello studio `e stato l’inclusione nel gruppo delle CF di soggetti con comorbidit`a neurologiche. Includendo questi pazienti `e stata trovata una forte associazione tra segni pre-coci di patologie neuropsichiatriche e CFC, mentre studi precendenti che non includevano i soggetti con comorbidit`a avevano escluso tale associazione.

La conclusione che si pu`o trarre da entrambi gli studi `e che, tra i pazienti con CFC siano piut-tosto diffuse alterazioni del neurosviluppo di vario tipo. Queste alterazioni possono evolvere con la crescita in vere e proprie patologie neuropsichiatriche.

Questo comporta una prognosi differente tra chi presenta solo CF, oppure CF e patologie neu-ropischiatriche. Infatti, in et`a adulta i pazienti con sole CFC sono sovrapponibili alla popola-zione generale dal punto di vista cognitivo, mentre i soggetti con CFC e patologie neuropsi-chiatriche presentano deficit pi`u o meno severi rispetto alla popolazione sana.

(26)

2.3

Caratteristiche cliniche

Ci`o che definisce una CFC sono le caratteristiche di complessit`a, cio`e aspetti della crisi diversi da quelli delle CFS, come precedentemente descritto. Le caratteristiche pi`u frequenti sono la lunga durata e la presenza di episodi ripeuti nelle 24 ore, mentre le crisi con focalit`a si mani-festano in una percentuale minore di casi.

Generalmente, la maggior parte delle CFC ne presenta solo una, mentre alcuni soggetti pos-sono presentarne pi`u di una.

Altri aspetti tipici delle CFC, ma non essenziali per la diagnosi sono il momento di presen-tazione rispetto alla comparsa della febbre e la temperatura di picco. In particolare, le CFC tendono a manifestarsi tardivamente, diversamente dalle CFS che si manifestano nelle prime ore dall’inizio del rialzo febbrile. La temperatura di picco `e in media 38°C. Questa suscettibi-lit`a maggiore pu`o essere dovuta ad una predisposizione genetica di base, oppure pu`o essere attribuita all’et`a precoce dei pazienti al momento della crisi. Infatti, fisiologiacamente la soglia critica per lo sviluppo di convulsioni `e tanto pi`u bassa, quanto pi`u piccolo `e il bambino.

Un recente studio di Rivas-Garc´ıa et al. ha messo in evidenza gli aspetti clinici pi`u frequenti in soggetti con CFC. In questo studio sono stati reclutati 654 pazienti con diagnosi di CF; il 18,8% di questi `e stato diagnosticato con CFC.

Dei 117 pazienti con CFC la maggior parte presenta episodi convulsivi ripetuti nelle 24 ore (65%) o crisi prolungate (40%), una quota minore presenta invece crisi focali (5%) o con segni di focalit`a nel post-critico (7%). Per quanto riguarda la tipologia di crisi, la pi`u comune `e la to-nico clonica (65%), seguita dalla tonica e dalla atonica. Inoltre, nei pazienti con CFC la latenza tra picco febbrile e crisi convulsiva risulta significativamente minore.

Questo studio conferma la maggior prevalenza di crisi prolungate, ripetute e generalizzate, piuttosto che focali.

Pur essendo riconducibili alla medesima patologia, queste tipologie di CFC hanno caratteristi-che molto diverse l’una dall’altra e meritano quindi di essere trattate separatamente nei loro aspetti principali.

(27)

2.3.1

Crisi prolungate

Si considerano prolungate quelle CF che hanno una durata superiore a 10/15 minuti, se la du-rata supera i 30 minuti si parla di status epilepticus.

I soggetti con CF prolungate esordiscono, per la maggior parte, con una crisi avente queste ca-ratteristiche. Inoltre, `e molto probabile che eventuali ulteriori crisi abbiano anch’esse durata elevata. Anche se queste manifestazioni non si associano a una mortalit`a significativamente aumentata, `e consigliabile interrompere farmacologicamente la crisi prima che evolva in un conclamato stato di male. L’anticonvulsivante deve essere somministrato tempestivamente poich`e il suo effetto si riduce in maniera progressiva.

Per quanto riguarda le sequele a lungo termine, mentre la maggior parte delle CF, anche com-plesse, risulta benigna, le convulsioni prolungate, e in particolare lo status epilepticus, possono associarsi allo sviluppo di epilessia in et`a adulta, in particolare epilessia temporale farmacore-sistente.

Lo studio FEBSTAT ha indagato a fondo le caratteristiche di pazienti con convulsioni prolun-gate e il loro outcome negli anni successivi. Nello studio sono stati reclutati 119 pazienti, con et`a media di 15 mesi, temperatura di picco di 39° e durata media della crisi di 68 minuti. Le convulsioni sono continue nel 52% dei soggetti, intermittenti ma senza risoluzione completa nel 48%; poco pi`u della met`a delle crisi sono parziali e di tipo tonico-clonico. Dei 119 soggetti, l’86% presenta sviluppo cognitivo normale, il 24% convulsioni febbrili precendenti, il 25% sto-ria familiare di CF in un parente di primo grado.

Alla luce di questi dati si pu`o affermare che la crisi prolungata si presenta in et`a precoce e rappresenta nella maggior parte dei casi il primo episodio di CF.

Inoltre, `e emersa ed `e stata ampiamente discussa l’associazione tra crisi prolungate in et`a pre-coce e sclerosi temporale mesiale con epilessia temporale farmacoresistente in et`a adulta. Studi di tipo clinico e studi su modello animale hanno dimostrato che le CF prolungate, per quanto associate allo sviluppo di epilessia, non generano sclerosi temporale mesiale in sog-getti privi di alterazioni ippocampali di base. La sclerosi temporale mesiale sarebbe quindi da attribuire ad altre cause. Una delle ipotesi `e che spesso le convulsioni prolungate siano

(28)

con-seguenza, piuttosto che causa, di un danno ippocampale derivante da alterazioni congenite o acquisite nel periodo perinatale. Recenti studi di genetica molecolare hanno ulteriormente confermato questa teoria dimostrando la presenza di specifiche varianti in soggetti con scle-rosi temporale mesiale.

Quindi, in conclusione le crisi prolungate non hanno di per s`e una prognosi peggiore rispetto alle altre forme di CFC. La criticit`a dei pazienti con crisi estremamente prolungate `e da attri-buire ad alterazioni precedenti alla CF. In generale, per`o, nei soggetti privi di danni anatomici `e confermata la generale natura benigna delle CF.

2.3.2

Crisi ripetute nelle 24 ore

Tra le caratteristiche di complessit`a pi`u diffuse nei soggetti con CFC c’`e la presenza di crisi ripetute nelle 24 ore. Nel singolo episodio febbrile si verifica la completa risoluzione della sin-tomatologia tra una crisi e l’altra. Il numero di episodi `e variabile e si attesta solitamente su 2 o 3 crisi in 24 ore. Le singole crisi sono solitamente di breve durata e possono essere sia generalizzate che focali.

Nonostante possano sembrare pi`u severe rispetto ad altre CF, le crisi ripetute non costituisco-no di per s`e un pericolo per i pazienti. L’unica criticit`a `e legata al fatto che, crisi convulsive multiple durante un episodio febbrile sono compatibili con un’infezione del SNC. In partico-lare possono presentarsi in quadri di meningiti batteriche o encefaliti/meningoencefaliti virali o di altra natura.

Le convulsioni possono essere la prima manifestazione clinica di meningite e possono accom-pagnarsi o meno a segni meningei evidenti. Per questo motivo `e essenziale escludere questa patologia in presenza di sospetto clinico o di et`a molto precoce. Da un punto di vista epide-miologico le meningiti non sono patologie estremamente frequenti, al contrario le CF sono patologie comuni, rappresentando un terzo delle manifestazioni convulsive dell’infanzia. Tut-tavia, nei soggetti di et`a inferiore a 18 mesi che manifestano CFC, in particolare crisi multiple in 24 ore, l’incidenza di mengite `e maggiore.

(29)

sotto-Nel lungo periodo le crisi di questo tipo non rappresentano un fattore prognostico negativo o un fattore di rischio di sviluppo di crisi afebbrili.

2.3.3

Crisi con aspetti di focalit`a

La maggior parte delle CF, anche complesse, sono crisi di tipo generalizzato. Dal punto di vi-sta clinico una crisi generalizzata coinvolge vari distretti corporei bilaterali ed `e caratterizzata da alterazioni elettroencefalografiche diffuse. Alcune CF presentano invece aspetti di focalit`a durante l’episodio critico, oppure nel periodo post-critico, cio`e quando la crisi `e ormai andata incontro a risoluzione.

Dal momento che le crisi focali interessano un’area circoscritta della corteccia cerebrale, i sin-tomi possono variare in base alla zona interessata. Possibili sinsin-tomi sono:

• Clonie a carico di un arto

• Emiconvulsioni (coinvolgimento di un solo lato del corpo) • Movimenti del capo e degli occhi

• Nausea, dolore addominale, sudorazione e tachicardia • Automatismi (e.g. prensione, masticazione, deglutizione).

Tuttavia, la presenza o assenza di caratteristiche di focalit`a non `e facile da determinare. Inoltre, diversi studi elettroencefalografici hanno dimostrato che, in et`a evolutiva, non `e infrequente mostrare anche segni di generalizzazione durante una crisi focale; infatti, posture toniche dif-fuse accompagnano spesso queste crisi. Per questo motivo crisi focali possono essere scambiate per generalizzate.

Un aspetto peculiare delle crisi focali `e la presenza dell’aura. L’aura si manifesta come una sen-sazione, un’esperienza o un movimento percepito come anomalo, che si accompagna a scariche epilettiformi focali e segna l’inizio della crisi. Non tutti i pazienti con crisi focali manifesta-no questi sintomi, imanifesta-noltre, alcuni pazienti manifesta-non riescomanifesta-no a ricordare o a esprimere a parole la

(30)

presenza dell’aura. In particolare, nei bambini, repentini cambiamenti del comportamento o nell’espressione facciale devono far sospettare la presenza di una crisi focale. Anche pallore, cianosi e vomito devono indurre questo sospetto.

Un piccolo gruppo di CFC mostra segni di focalit`a nel periodo post-critico. In generale, dopo una qualsiasi CF, anche semplice, i pazienti possono manifestare sopore di breve durata, vo-mito e malessere generale. Nel post-critico la manifestazione focale caratteristica `e la paralisi di Todd, cio`e un’ipostenia protratta dell’arto o emilato interessato dalla crisi. Nella maggior parte dei casi questa manifestazione si risolve spontaneamente entro 48 ore.

Per quanto riguarda l’outcome a lungo termine, l’aspetto interessante di questa tipologia di CFC risiede nella sua possibile associazione con lo sviluppo di epilessia. Infatti, alcuni stu-di hanno riscontrato un’aumentata incidenza stu-di crisi afebbrili ed epilessia nei pazienti con questa tipologia di crisi. Tuttavia, non c’`e una forte evidenza a sostegno di questa ipotesi, di conseguenza la presenza di crisi focali non `e considerata ad oggi un fattore di rischio assoluto.

(31)

2.4

Gestione pratica della crisi

L’approccio clinico alle CFC `e un argomento molto dibattuto, soprattutto per la variabilit`a intrinseca alla patologia e per l’assenza di protocolli specifici.

Nel caso in cui il paziente si presenti con una crisi in atto, la prima cosa da fare `e stabilizzarlo e interrompere la crisi con anticonvulsivanti. Se l’episodio critico si `e gi`a risolto `e fondamentale il colloquio con un familiare per determinare le caratteristiche della crisi e inquadrarla come CFS o CFC.

I soggetti con primo episodio di CFC vengono in genere ospedalizzati per essere sottoposti ad esami ematochimici, EEG, ed eventuali tecniche di imaging e rachicentesi. In particolare, non ci sono indicazioni precise per quanto riguarda questi approfondimenti diagnostici ed `e quindi a discrezione del clinico decidere quali esami richiedere e quando effettuarli, in base al caso. Per questa ragione, ci sono sempre pi`u studi che si pongono l’obiettivo di valutare l’utilit`a delle varie indagini diagnostiche, al fine di creare dei protocolli standardizzati per le CFC.

Le principali indagini strumentali al centro di questo dibattito sono l’EEG, la RM e la puntura lombare.

2.4.1

Ruolo della puntura lombare

La puntura lombare, o rachicentesi, consiste nel prelievo di una piccola quantit`a di liquido cefalorachidiano, eseguito inserendo un ago a livello delle vertebre lombari. Vengono quindi analizzati il colore del liquor, la quantit`a di eritrociti e leucociti, di proteine e di glucosio ri-spetto al sangue. Inoltre, `e possibile ricercare batteri e virus e mettere il liquor in coltura. La finalit`a di questo esame `e quella di escludere la presenza di una meningite o encefalite, diffe-renziare le forme virali da quelle batteriche ed eventualmente iniziare in maniera tempestiva il trattamento. Nonostante sia un esame essenziale per individuare e trattare una patologia potenzialmente letale, la rachicentesi non `e priva di rischi. I rischi principali sono quello di emorragia, danno delle radici nervose e, in rari casi, erniazione dell’encefalo. Di conseguenza, non `e indicato eseguire questa indagine di routine nei pazienti con CFC.

Come riportato nel paragrafo 2.3.2, il rischio di meningite `e alto soprattutto in pazienti sotto i 18 mesi con molteplici episodi critici ripetuti in 24 ore. Tuttavia, la presenza di questi elementi

(32)

di rischio non costituisce di per s`e un’indicazione alla rachicentesi.

In generale, la puntura lombare deve essere sempre eseguita in presenza di segni di irritazione meningea, indipendentemente dall’et`a. Nei pazienti di et`a inferiore ai 12 mesi, nei quali la sintomatologia pu`o essere assente o atipica, non c’`e consenso se eseguire la rachicentesi di routine, oppure no. Nel caso in cui l’immunizazione per Streptococcus Pneumoniae e Hemo-philus Influenzae sia assente, la rachicentesi `e indicata anche in assenza di sintomatologia; nei soggetti immunizzati deve essere la clinica a guidare la scelta.

Sono stati eseguiti ulteriori studi sulla necessit`a della puntura lombare sotto i 12 mesi, per identificare fattori di rischio aggiuntivi. In particolare, sono state individuate alcune caratte-ristiche cliniche e demografiche pi`u frequenti nei pazienti con meningite, cio`e: et`a inferiore a 7 mesi e presenza di crisi di tipo prolungato o crisi ripetute nelle 24 ore.

In conclusione, ad oggi non ci sono indicazioni precise sull’uso della puntura lombare. Tale esame `e mandatorio nei soggetti con segni di meningismo e fortemente consigliato nei soggetti con et`a inferiore a 12 mesi privi di immunizzazione per Streptococcus Pneumoniae e Hemophilus Influenzae.

2.4.2

Ruolo dell’EEG

L’elettroencefalogramma `e uno strumento fondamentale nella valutazione delle crisi afebbrili, ma il suo impiego `e di dubbia utilit`a nelle convulsioni febbrili.

Nell’EEG fisiologico si riconosce un ritmo di base, variabile nella veglia e nel sonno. Nella veglia `e rappresentato da un ritmo alfa dominante posteriore, con reattivit`a alla chiusura degli occhi. Durante il sonno si ha un rallentamento fisiologico del ritmo, con comparsa di pattern tipici della fase non REM, come i fusi del sonno e i complessi K.

(33)

In molte patologie neurologiche si hanno alterazioni del ritmo di base; nelle epilessie si hanno scariche epilettiformi, generalizzate o focali in base al tipo di crisi. Le scariche epilettiformi sono delle alterazioni specifiche, descritte come punta o punta onda, in base alla morfologia. Queste alterazioni sono sempre presenti al momento della crisi, possono essere rilevate o me-no nel periodo intercritico, ed ime-noltre some-no presenti in una minima percentuale di soggetti sani, non affetti da crisi epilettiche.

Nell’ambito delle CF c’`e consenso unanime sul fatto che, se la crisi `e semplice non c’`e necessit`a di eseguire l’EEG, sia al momento della prima crisi, che successivamente. Per quanto riguarda le CFC, `e necessario distinguere tra soggetti neurologicamente compromessi e soggetti privi di anomalie neurologiche. Nei pazienti con patologie neurologiche associate a CF, pu`o essere ultile eseguire un EEG nella valutazione generale della patologia. In assenza di comorbidit`a `e dibattuto l’uso dell’EEG come indagine diagnostica di routine.

A seguito di una CFC `e comune trovare anomalie di vario tipo, come rallentamenti del ritmo di fondo, scariche epilettiformi, asimmetrie nell’attivit`a cerebrale e combinazioni varie di queste alterazioni. Di conseguenza, non `e di particolare utilit`a.

(34)

rispetto al rischio di sviluppo di crisi afebbrili. In uno studio di Harini et al. condotto su un’am-pia coorte di pazienti, `e stato analizzato il possibile valore predittivo delle alterazioni dell’EEG. I risultati dello studio hanno evidenziato uno scarso valore predittivo positivo del riscontro di scariche epilettiformi; infatti, solo alcuni pazienti con alterazioni del tracciato avevano poi ma-nifestato crisi afebbrili.

In altri studi le scariche sono state suddivise in base alla localizzazione e sono state ricercate associazioni tra determinate localizzazioni e aumento del rischio. In particolare, `e stato ri-scontrato un aumento del rischio nei pazienti con alterazioni frontali, rispetto ad anomalie localizzate in altre aree o generalizzate. Tuttavia, questa associazione non ha un grado di evi-denza elevato.

Altri studi hanno confermato il basso valore predittivo positivo, ma hanno messo in luce l’u-tilit`a dell’EEG per il suo valore predittivo negativo, soprattutto nelle CFC. In particolare, i soggetti privi di scariche epilettiformi non avrebbero sviluppato crisi afebbrili negli anni suc-cessivi. Quindi, il valore dell’EEG sarebbe quello di confermare la buona prognosi di coloro che non hanno alterazioni del tracciato. Tuttavia, il limite della sua utilit`a risiede nel suo scarso valore predittivo positivo; infatti, nei soggetti con scariche epilettiformi, non permette di fare previsioni sulla possibile prognosi.

Un’ulteriore limitazione `e rappresentata dalla variabilit`a del tracciato nel tempo. Infatti,la pre-valenza di scariche epilettiformi varia enormemente a seconda di quando viene effettuata la registrazione. Se l’EEG viene eseguito entro una settimana dalla crisi la percentuale di tracciati alterati `e molto alta, al contrario, se `e effettuato dopo 14 o pi`u giorni, il numero di tracciati con alterazioni si riduce significativamente.

Per tutte queste ragioni, non ci sono ancora evidenze conclusive sull’impiego dell’EEG nelle CFC. Al tempo stesso, nonostante l’assenza di linee guida, eseguire almeno un EEG a seguito di CFC `e una pratica diffusa, che permette, in assenza di scariche epilettiformi, di rassicurare ulteriormente i genitori sulla benignit`a della patologia.

(35)

2.4.3

Ruolo dell’imaging

Le prove di imaging utilizzate per studiare l’encefalo sono fondamentalmente la TC e la RMN. In pazienti che si presentano con febbre e convulsioni focali, prolungate o multiple, `e possibile che vi siano processi intracranici sottostanti, come masse, emorragie o infezioni. Tuttavia, l’u-so della TC non `e raccomandato nella valutazione delle CF, a meno che non si abbiano segni e sintomi suggestivi di danno neurologico, come uno stato mentale alterato, cefalea grave e im-provvisa, deficit focali all’esame neurologico o segni meningei. In questi casi, la TC `e effettuata per escludere eventuali patologie che potrebbero rappresentare un’emergenza. Escludendo tali situazioni, per epiodi di CFC isolata, non `e indicato un approfondimento di imaging in urgen-za.

Nella valutazione post-acuta l’esame d’elezione `e invece la RMN. Questa permette uno studio dettagliato delle strutture corticali e sottocorticali, ed `e inoltre preferibile alla TC dal punto di vista radioprotezionistico. Lo scopo di quest’indagine `e identificare alterazioni anatomiche responsabili della crisi e valutare eventuali possibilit`a terapeutiche.

Per quanto riguarda le alterazioni associate alle CF, vi sono pochi studi e la maggior parte `e fo-calizzata sullo status epilepticus. La peculiarit`a di questa condizione `e l’associazione, in acuto, con edema ippocampale e, a lungo termine, con un’incidenza aumentata di sclerosi temporale mesiale.

Il gruppo di Hesdorffer et al. ha analizzato i reperti RM in pazienti con CF sia semplici che complesse. La prevalenza di alterazioni `e risultata pi`u alta del previsto, pari al 12,6%. La ti-pologia pi`u comune di alterazione riscontrata `e l’iperintensit`a subcorticale focale, seguita da anomalie della sostanza bianca e displasia corticale focale. Alcune di queste alterazioni, come la displasia corticale, sono classicamente associate a epilessia in letteratura e, ragionevolmen-te, rappresentano un fattore predisponente anche per le CF. Le altre alterazioni trovaragionevolmen-te, per quanto non notoriamente associate a epilessia, risultano significativamente pi`u frequenti nei soggetti con CF rispetto alla popolazione generale. In particolare, `e stata trovata una forte associazione tra crisi focali e prolungate e preesistenti anomalie alla RM.

(36)

l’ipotesi pi`u probabile `e che tali alterazioni possano aumentare ulteriormente la suscettibilit`a all’ipertermia, rendendo i pazienti pi`u predisposti allo sviluppo di CF.

Data la ridotta prevalenza di anomalie trattabili, la RM non `e effettuata in tutti i pazienti con CFC. Nello specifico, `e raccomandato riservare tale indagine in caso di elementi di sospetto. In particolare, i motivi principali per richiedere una RM sono l’et`a di presentazione avanza-ta, la presenza di crisi focali o prolungate, ed elementi di sospetto di patologie neurologiche indipendenti dalla CF.

(37)

2.5

Follow-up, sequele a lungo termine e trattamento

Nella maggior parte dei casi le CF, anche complesse, rappresentano un fenomeno benigno che va incontro a risoluzione spontanea con la crescita. Come gi`a detto, l’et`a tipica di presentazio-ne `e tra 6 mesi e 5 anni, raramente vengono manifestate CF oltre questa et`a.

Dopo il primo episodio di CF, eseguite le indagini diagnostiche necessarie per l’inquadramento iniziale, si istruiscono i genitori a rilevare episodi di crisi febbrili e afebbrili e, se necessario, a intervenire con anticonvulsivanti. Inizia quindi una fase di follow-up in cui i pazienti so-no sottoposti a controlli periodici per individuare e eventualmente trattare ricorrenze di crisi febbrili e anche eventuali crisi afebbrili.

2.5.1

Rischio di ricorrenza

I soggetti con CF hanno un rischio di ricorrenza dopo la prima crisi, pari al 30/50%, in base all’et`a d’esordio; pi`u `e precoce la prima crisi, pi`u `e probabile che questa sia seguita da altri episodi. Vari studi sul tasso di ricorrenza e sui fattori di rischio associati non hanno riportato differenze significative tra CFS e CFC.

In particolare i fattori di rischio comuni ai due tipi di CF sono: et`a d’esordio precoce, storia familiare di CF in un parente di primo grado, bassa temperatura di picco e breve latenza tra picco febbrile e convulsione. Un altro fattore probabilmente associato `e il sesso maschile. In base al numero di fattori di rischio presentati, i pazienti possono essere suddivisi in tre cate-gorie: alto rischio, rischio intermedio e rischio basso.

Per quanto riguarda la natura della crisi i dati presenti in letteratura sono discordanti. Infatti, alcuni studi hanno rilevato un incremento del rischio in soggetti con crisi prolungate o episodi multipli nelle 24 ore; tuttavia, l’evidenza di questa correlazione `e debole. Nei soggetti con CFC che manifestano ricorrenza anche le crisi successive tendono a presentare caratteristiche di complessit`a.

L’indicazione al trattamento dipende dalla frequenza degli episodi critici; la scelta tra profilas-si intermittente o continuativa `e basata principalmente sulla capacit`a dei genitori di gestire la cura.

(38)

ter-mine, si preferisce non somministrare alcuna terapia profilattica ma istruire i genitori all’uso di Diazepam endorettale per interrompere eventuali crisi. Con questo approccio `e stata dimo-strata una gestione ottimale delle crisi, sia dal punto di vista clinico, che per quanto riguarda il carico emotivo che le CF hanno sulla famiglia. Infatti, informando i genitori sulla natura benigna del fenomeno e rendendoli in grado di intervenire prontamente, si riducono ansia e preoccupazione legate alla crisi convulsiva.

La profilassi continuativa, basata sull’uso di Acido Valproico o Fenobarbital, mostra anch’essa una riduzione marcata delle crisi ma, al tempo stesso, molti effetti collaterali per cui deve es-sere valutata in base al singolo caso.

2.5.2

Sviluppo di crisi afebbrili o epilessia

Le CF, come gi`a detto, non causano deficit neurologici a lungo termine; tuttavia alcuni pa-zienti, in special modo quelli con CFC, possono sviluppare crisi afebbrili o epilessia in una percentuale variabile di casi. Il rischio complessivo nei pazienti con CFS `e del 2-5%, circa il doppio rispetto alla popolazione generale.

La percentuale di pazienti con CFC che sviluppa crisi afebbrili `e del 7-12%; il rischio `e maggiore per coloro che presentano anche altre alterazioni neurologiche. Come gi`a discusso nei para-grafi precedenti, scariche epilettiformi frontali all’EEG e alterazioni agli esami di imaging sono associate ad un ulteriore aumento del rischio. Altri fattori di rischio, trattati precedentemente, sono comuni per CFC e CFS. Tra questi vi sono la familiarit`a di primo grado, la presenza di crisi ricorrenti e l’et`a precoce. Ulteriori studi hanno evidenziato correlazioni con il parto pre-termine.

Per quanto riguarda i tipi di crisi afebbrili pi`u frequenti, i dati presenti in letteratura sono scarsi. In uno studio su 249 pazienti con CF, sono stati rilevati 25 casi di epilessia durante il follow-up. Di questi, 9 sono stati classificati come epilessia idiopatica generalizzata, 7 come epilessia focale sintomatica, 4 come epilessia focale criptogenica, 3 come convulsioni febbrili plus e 2 sono rimaste indeterminate. Dal momento che i soggetti che sviluppano epilessia sono un numero piuttosto esiguo, non vi sono studi sufficentemente accurati su eventuali

(39)

correla-La maggior parte dei pazienti con evoluzione negativa manifesta le prime crisi afebbrili nei 3 anni successivi agli episodi di CF. Per questo motivo `e fondamentale far seguire alla CF un follow-up di durata adeguata.

Nei pazienti con CF in et`a infantile che sviluppano epilessia in et`a adulta, il nesso causale tra i due fenomeni `e probabilmente legato alla presenza di varianti genetiche responsabili di entrambe le patologie.

(40)

2.6

CFC, GEFS+ e sindrome di Dravet

In particolare, le CFC sono strettamente collegate alle GEFS+ e alla sindrome di Dravet. Tali sindromi epilettiche hanno come elemento comune la presenza di CF e alcune varianti gene-tiche, condivise anche con le CFC.

Come `e noto, le CFC hanno una forte componente genetica di base, confermata da studi di concordanza su gemelli. In questo tipo di studi viene indagato il contributo di fattori genetici, confrontando la concordanza in gemelli identici (monozigotici) e non identici (dizigotici). In letteratura `e riportata una concordanza approssimativamente 3 volte pi`u alta nei gemelli mo-nozigotici rispetto ai dizigotici.

Tuttavia, non sono stati individuati tutti i geni responsabili di tale predisposizione, complice la grande variabilit`a fenotipica dei pazienti con CF. Infatti, le CFC hanno caratteristiche di malattia molto diverse l’una dall’altra, possono essere brevi, prolungate, focali, generalizzate ecc. Inoltre, possono presentarsi come casi isolati o ricorrere all’interno della famiglia. Questa sostanziale differenza `e spiegata ipotizzando la presenza di due distinti modelli di ereditariet`a. Nel primo caso, il modello pi`u rappresentativo `e quello di una base genetica poligenica, nel se-condo caso, la ricorrenza all’interno della famiglia sarebbe da attribuire a un gene o un gruppo ristretto di geni trasmessi alla progenie con ereditariet`a autosomica dominante a penetranza variabile.

Il gene principale, identificato in famiglie ad alta prevalenza di CFC `e SCN1A. Il gene SCN1A (sodium voltage-gated channel alpha subunit 1) codifica per una componente del canale del so-dio NaV1.1. Questo canale, presente a livello del SNC, ha un ruolo fondamentale nel rilascio di neurotrasmettitori nel vallo sinaptico. La sua alterazione `e alla base di un gran numero di patologie epilettiche alle quali ci si riferisce come ”disturbi convulsivi SCN1A correlati”. I disturbi convulsivi SCN1A correlati includono uno spettro di patologie che varia da con-vulsioni febbrili, sia semplici che complesse, a CF+, GEFS+ e sindrome di Dravet. In partico-lare, nella sindrome di Dravet si riscontrano prevalentemente mutazioni missenso/troncanti, mentre nelle GEFS+/CFC prevalentemente mutazioni frameshift. Altre patologie, legate meno frequentemente a questo gene sono l’epilessia mioclonica, la sindrome di Lennox-Gastaut, gli spasmi infantili e l’epilessia con crisi focali. Il fenotipo clinico pu`o variare anche all’interno

(41)

della stessa famiglia, come si pu`o osservare nell’immagine seguente.

Le manifestazioni cliniche iniziali di tali patologie sono simili tra loro e sono rappresenta-te spesso da CFC. La CFC pu`o costituire la prima e unica manifestazione della mutazione di SCN1A, anche se alcuni pazienti possono progredire verso una GEFS+ o una sindrome di Dra-vet.

Le GEFS+ (“genetic epilepsy with febrile seizures plus” ), sono un gruppo di patolgie caratteriz-zate da crisi afebbrili associate a CF+. Le CF+ sono convulsioni a esordio precoce, prima dei 12 mesi, ricorrenti, che persistono oltre i 6 anni d’et`a. Questa patologia `e correlata alla mutazione di SCN1A e altri geni, come SCN1B e GABRG2; il modello di ereditariet`a `e autosomico domi-nante a penetranza incompleta. A confondere ulteriormente la situazione, occorre ricordare che la presentazione fenotipica all’interno della famiglia pu`o includere casi di CFC isolata o raramente sindrome di Dravet. Le GEFS+ esordiscono clinicamente con CF a esordio precoce, con caratteristiche cliniche variabili. Queste CF tendono a ricorrere spesso negli anni succes-sivi e a permanere oltre i 6 anni, se non addirittura fino all’et`a adulta in rari casi. Circa met`a dei pazienti sviluppano crisi generalizzate, di tipo tonico-clonico nell’infanzia, per poi andare incontro a remissione nell’adolescenza. L’altra met`a presenta altri tipi di crisi, generalizzate o focali. Il sospetto diagnostico, nella prima fase di malattia, `e supportato da una storia familiare

Riferimenti

Documenti correlati

In the present study we performed a randomized case-control study to assess the efficacy of the Supportive Care Model adopted at the Breast Unit of Careggi Teaching Hospital

Carriage rinofaringeo: distribuzione dei sierotipi di Streptococcus pneumoniae e altri patogeni respiratori Tesi di dottorato in Scienze biomediche. Università degli Studi

Sul piano dell'interpretazione sistematica la teoria della combinazione dolo-colpa (meglio questa formula che quella consueta del dolo misto a colpa, la quale potrebbe far pensare

For the right hind limb samples, the highest distensions in the horses with lateral trochlear ridge irregularities (0.72±0.07 cm), those with irregularities in the lateral

Laplace ha l’intenzione di elaborare una teoria generale relativa a sferoidi “qualsiasi”, cioè sia omogenei sia di densità variabile, e per fare ciò affronta

Nonostante sia un problema sempre più diffuso, infatti, essa non viene mai indagata come un fenomeno sociale rilevante, come un problema legato in qualche modo alla sfera pubblica

È uno scolio alla prima Pitica di Pindaro a dirci quale: alla caduta della tirannide “gli abitanti di Agrigento gettarono in mare il toro di Falaride, come dice Timeo, infatti

Gli articoli inediti e non sottoposti alla valutazione di altre riviste, devono essere proposti a questa rivista tramite la piattaforma Open Journal Systems (OJS) disponibile al