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Analisi della Digital Health in chiave Neo-Istituzionale

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DIPARTIMENTO DI ECONOMIA E MANAGEMENT

Corso di Laurea Magistrale in Marketing e Ricerche di

Mercato

“Analisi della Digital Health in chiave

Neo-Istituzionale”

Anno accademico 2018/2019

Relatore:

Prof. Matteo Corciolani

Relatore:

Prof. Matteo Corciolani

Candidato:

Simone Cantini

Candidato: Simone Cantini

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INDICE DEI CONTENUTI

Introduzione

……… 6

Capitolo 1. Teoria

………... 9

1.1 Neo-Institutional Theory (NIT)

………... 9

1.1.1

Elementi analitici della NIT

………. 10

1.1.2

Evoluzione della NIT

……… 13

1.1.3

NIT e Marketing

………... 16

1.2 Digital Health e Quantified Self (QS)

………... 26

Capitolo 2. Metodologia

………... 32

2.1 Metodo della Content Analysis

………... 32

2.2 Raccolta dei dati

………... 35

Capitolo 3. Analisi dei risultati

………... 41

Capitolo 4. Conclusioni

………... 94

4.1 Implicazioni teoriche

………... 95

4.2 Implicazioni manageriali

………... 96

4.3 Limiti e sviluppi futuri

………... 97

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INTRODUZIONE

L’espressione Digital Health fa riferimento alla convergenza delle tecnologie digitali con gli ambiti della salute, dell’ assistenza sanitaria nonché quello dello stile di vita; di fatto, si tratta di una disciplina che prevede l’uso di varie tecnologie digitali, sia hardware sia software, per migliorare la fase di diagnosi e quella di cura di una persona. Nello specifico, in quanto ramo della rivoluzione digitale, gli elementi chiave della Digital Health sono i seguenti: dispositivi wireless, sensori hardware, tecnologie di rilevamento, internet, social network, reti mobili, ecc. Ne consegue che si tratta di un ambito multidisciplinare all’interno del quale sono coinvolte diverse parti, ognuna delle quali è caratterizzata da logiche e obiettivi completamente diversi e, in alcuni casi, addirittura contrastanti; tra le parti che caratterizzano tale ambito citiamo i medici, i pazienti, le aziende farmaceutiche, lo Stato e, infine, le industrie produttrici delle tecnologie stesse.

Indubbiamente la penetrazione delle tecnologie digitali nell’ambito del benessere ha già prodotto degli effetti molto interessanti e, a tal proposito, u n fenomeno riconducibile allo sviluppo della Digital Health è il cosiddetto Quantified Self

Movement (QS), nato negli USA a partire dal 2008; si tratta di una comunità che

ad oggi conta più di 35.000 individui, dislocati in circa 38 Paesi, quotidianamente impegnati nella raccolta e nella condivisione sociale di dati relativi al proprio stato di salute. In effetti, la nascita di questa comunità è stata incentivata dalla diffusione di hardware consumer, i cosiddetti wearable activity trackers (w.a.t), e di alcuni software, utili, tra le altre cose, alla raccolta, alla consultazione e alla condivisione di dati relativi al proprio stile di vita.

In base a quanto detto finora, dunque, la Digital Health sembra presentare dei vantaggi potenziali a dir poco eccezionali; ad esempio, si pensi al peso che le tecnologie stesse avranno nella fase di prevenzione delle malattie. D’altro canto, però, ad essa si collegano anche dei rischi potenziali e, quantomeno, dei dubbi relativi ad alcuni aspetti di natura sociale e/o professionale; quale sarà, ad esempio, il ruolo del medico nel prossimo futuro? Le tecnologie digitali

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influenzeranno il modo in cui le persone gestiscono la propria salute? La questione etica influenzerà negativamente o positivamente lo sviluppo di tale ambito? E, infine, quali saranno i reali rischi relativi alla privacy dei pazienti? Con il presente elaborato si intende studiare le trasformazioni che la discussione pubblica creatasi attorno alla tematica Digital Health ha sperimentato nel corso degli anni; in altre parole, l’obiettivo principale è quello di effettuare un’analisi longitudinale relativa all’evoluzione della suddetta discussione. Per fare ciò, nello specifico, è stato applicato il metodo della Content Analysis ad un campione di 3.577 articoli scaricati dalle banche dati Lexis Nexis e Scopus attraverso il cosiddetto metodo della keyword search. Dalla prima banca dati, Lexis Nexis, sono stati individuati 2.877 articoli di carattere divulgativo, mentre dalla seconda, Scopus, ne sono stati individuati 700 di natura prettamente scientifica.

In effetti, lo stile con cui si scrive e si parla di una certa tematica non è affatto una questione di secondaria importanza, anche perché tale aspetto si ricollega ad un approccio teorico denominato Neo-Institutional Theory (NIT). La NIT, che nel corso del tempo si è affermata come punto di riferimento teorico nella comprensione del processo di istituzionalizzazione delle organizzazioni, prevede che ogni pratica sociale, al fine di ottenere la legittimazione da parte degli individui, e quindi essere data per scontata, debba essere sostenuta da tre pilastri fondamentali: il pilastro regolatore, il pilastro normativo e quello cognitivo. Il primo identifica le Leggi e le regole formali emanate da uno Stato, il secondo identifica tutti i valori e gli standard che ruotano attorno ad una pratica sociale e il terzo, infine, fa riferimento a tutti quegli aspetti cognitivi che fanno sì che una pratica sociale sia data per scontata (oppure no). Di fatto questi pilastri forniscono significato, conoscenza e identità, tutti elementi necessari alla comprensione delle pratiche sociali. In base a questa teoria, inoltre, la diffusione di una qualsiasi pratica sociale, viene influenzata anche da soggetti non direttamente coinvolti in un dato field, come per esempio la Stampa, appunto.

Una volta studiato il contenuto degli articoli che sono stati inclusi nel campione, saremo in grado di capire meglio qual è lo stile di narrazione utilizzato per

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discutere di Digital Health nonché quelle che sono le emozioni ad essa associate e, inoltre, saremo in grado di affermare se questi ultimi due aspetti hanno subito una trasformazione nel corso del tempo, oppure no; fatto ciò, sarà possibile osservare il fenomeno secondo la prospettiva teorica della NIT e, di conseguenza, affermare se tale ambito è sottoposto ad un processo di legittimazione o meno. Nel capitolo 1 è presentata la NIT, i suoi sviluppi nonché il suo collegamento con la letteratura di Marketing. Inoltre, vi è presentato anche il fenomeno oggetto di analisi, ovvero la Digital Health. Il capitolo 2 è rivolto alla metodologia e al processo di raccolta dei dati, il terzo è rivolto alle interpretazioni dei risultati ottenuti e, infine, il quarto capitolo è dedicato alle implicazioni teoriche e manageriali nonché ai limiti metodologici e ai suoi possibili sviluppi futuri.

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CAPITOLO 1

TEORIA

1.1 Neo-Institutional Theory (NIT)

La Neo-Institutional Theory - da ora in poi essa sarà citata nel testo con l’acronimo NIT - deriva da un lavoro di Meyer e Rowan del 1977 e da uno successivo, del 1983, di Powell e Di Maggio.

Nel corso del tempo, la NIT si è affermata come punto di riferimento teorico nella comprensione del processo di istituzionalizzazione delle organizzazioni. In sostanza, si tratta di un approccio che considera le organizzazioni stesse come una sorta di sistema aperto, il quale viene plasmato da alcune pressioni esterne che determinano una continuità o un cambiamento delle pratiche sociali in atto. La maggior parte dei lavori relativi a questa teoria mira a studiare e a spiegare la somiglianza delle organizzazioni, piuttosto che le loro differenze (Di Maggio, Powell, 1983); di fatto, dato che è difficile giustificare un comportamento divergente in relazione ad un fenomeno ampiamente accettato, le organizzazioni tendono ad imitarsi reciprocamente, creando omogeneità e rafforzando così il peso delle istituzioni. Quest’ultime, dunque, possono essere considerate alla stregua di “regole socialmente accettate”.

Il pensiero di fondo della NIT, perlomeno dal punto di vista teorico, è stato elaborato a partire dalla tesi della costruzione sociale della realtà di Berger e Luckmann, del 1976, e dal lavoro di Bourdieu, del 1972, relativo alla costituzione nella società di aree codificate e regolamentate per le interazioni sociali; secondo questi approcci, la realtà sociale sarebbe stabile in quanto il significato che gli attori producono tende a diffondersi e quindi ad istituzionalizzarsi, divenendo così evidente. In altre parole, non sono tanto le scelte razionali degli attori, le loro risorse oppure le tecnologie a loro disposizione che spiegherebbero l'origine e la diffusione delle pratiche sociali, quanto piuttosto il processo di interpretazione e produzione di significato sociale che

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si instaura tra gli attori stessi. Ne consegue che, perlomeno dal punto di vista delle organizzazioni, il margine di manovra degli attori interessati (come ad esempio i manager) nella scelta della struttura organizzativa è molto limitato da questo processo di costruzione sociale (Chaney, Slimane, 2014).

Ora, sebbene la NIT, come anticipato, venga utilizzata prevalentemente per studiare e spiegare l’omogeneità dei fenomeni organizzativi, mentre altri filoni di ricerca, quali per esempio la teoria della contingenza strutturale, la teoria della dipendenza

dalle risorse e quella dei costi di transazione, siano tipicamente impiegati per

spiegare le differenze tra le organizzazioni (Chaney, Slimane, 2014), la letteratura (relativamente) più recente presenta una serie di lavori nei quali la NIT viene impiegata per spiegare anche il cambiamento istituzionale, riconoscendo così agli attori coinvolti, principalmente manager e individui, la capacità di modificare le istituzioni e dare origine ad un nuovo ciclo di stabilità e continuità (Zietsma, Lawrence, 2010).

Ad oggi, dunque, è ragionevole affermare che la NIT si consideri in grado di spiegare sia la continuità sia il cambiamento delle pratiche sociali (Maguire, Hardy, 2009).

1.1.1 Elementi analitici della NIT

A questo punto è l’osservazione degli elementi analitici della NIT a diventare di cruciale importanza per poter illustrare la dinamica della continuità e quella del cambiamento istituzionale.

Quali sono, dunque, gli elementi analitici centrali alla teoria istituzionale? Essi sono tre e riguardano:

1. Il livello di analisi, ovvero il field organizzativo;

2. I tre pilastri che sottostanno al quadro istituzionale, identificati da Scott (1995); 3. Il concetto di legittimità.

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1. Il field organizzativo. Esso rappresenta il livello di analisi della NIT ed è definito come “un insieme, un set, di organizzazioni che, in aggregato, formano un

periodo identificabile di vita istituzionale attraverso le loro interazioni” (Di

Maggio, Powell, 1983).

Si noti che il concetto di field organizzativo è più ampio rispetto al concetto di settore, in quanto esso comprende sia il significato sociale condiviso della realtà sia quelli che sono i modelli mentali che riuniscono i diversi membri di un field (Chaney, Slimane, Humphreys, 2015).

2. I pilastri istituzionali. Scott ha identificato tre fondamentali pilastri subordinati al quadro istituzionale. Essi, se presi singolarmente identificano un processo ben distinto, ma se considerati come agglomerato costituiscono l’unità base, i mattoncini, delle istituzioni. Sono proprio i pilastri che permettono alle istituzioni di resistere e di auto-replicarsi (Scott, 1995). Vediamoli:

A. Pilastro regolatore (Regulatory pillar). Tale pilastro identifica le Leggi e le regole formali stabilite dallo Stato e dai vari enti regolatori;

B. Pilastro normativo (Normative pillar). Il pilastro normativo comprende standard e valori. Esso definisce gli scopi e gli obiettivi, nonché gli strumenti che possono essere utilizzati al fine di raggiungere gli obiettivi. Nella definizione di tale pilastro, la NIT riconosce un ruolo fondamentale sia ai professionisti sia a tutti gli attori che si adoperano per la produzione e la codifica delle conoscenze sociali, come le società di formazione, le agenzie di consulenza e i dottori commercialisti (Scott, 2008);

C. Pilastro cognitivo (Cognitive pillar). Il pilastro cognitivo, quello che caratterizza maggiormente la NIT, raggruppa tutte le istituzioni culturale-cognitive che permettono alle pratiche che sono condivise socialmente di ottenere la qualità di

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essere date per scontate e quindi insostituibili (Chaney, Slimane, Humphreys, 2015).

Pertanto, ogni pratica sociale è sostenuta da questi tre pilastri, ovvero tipologie, istituzionali e ogni loro cambiamento ha un impatto diretto, o indiretto, sul modo attraverso cui gli individui si rapportano con esse.

3. Legittimità. Suchman, nel 1995, ha definito la legittimità come “una sorta di

percezione generalizzata che le azioni e l’attività di una entità siano desiderabili e appropriate all’interno di un sistema socialmente costruito fatto di norme, valori, credenze e definizioni”.

L’autore ha poi individuato due dimensioni attraverso cui un insieme di individui conferisce legittimità: la prima consiste in una variabile valutativa, la quale riflette la nozione di desiderabilità (un’organizzazione è legittima quando è desiderabile), mentre la seconda consiste in una variabile cognitiva, secondo la quale un’organizzazione viene considerata legittima quando la sua esistenza è compresa a fondo e quindi considerata adeguata.

Relativamente al concetto di legittimità, è possibile fare due considerazioni: la prima riguarda il fatto che le organizzazioni che riescono ad acquisire legittimità possono contare su un accesso facilitato ai mercati, proprio perché il loro business è considerato legittimo (Suchman, 1995); in secondo luogo, poiché la legittimità consiste in una sorta di ricompensa che gli individui offrono alle organizzazioni a fronte delle pressioni istituzionali esterne che queste subiscono, vale che l’organizzazione sia totalmente assoggettata alle pressioni ambientali (Greenwood et al., 2008) senza nessuna possibilità di poter influenzare il processo di legittimazione a suo favore.

Tuttavia, secondo alcuni lavori più recenti (come ad esempio quello di Deephouse, 1999) le organizzazioni possono influenzare questo processo di legittimazione tanto

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da poter sostenere che il rapporto di influenza tra istituzioni e organizzazioni sia biunivoco: le organizzazioni sono certamente soggette all’influenza delle istituzioni ma sono anche in grado di modificarle (Di Maggio, 1988).

Il suddetto pensiero ha sicuramente guidato lo sviluppo della NIT negli ultimi venti anni, facendola evolvere da teoria che spiega quasi esclusivamente la continuità istituzionale ad una che ne spiega anche il cambiamento.

1.1.2

Evoluzione della NIT

Sono tre i periodi che hanno segnato l’evoluzione della NIT (Greenwood et al., 2008): ❖ Primo periodo, 1983-1987. In questa fase la NIT ha sviluppato le sue basi teoriche costituite dal field organizzativo, dai pilastri istituzionali e dal concetto di legittimità. Come già spiegato, la NIT fu associata a stabilità istituzionale;

❖ Secondo periodo, 1987-1991. Sono gli anni in cui si iniziano a formare le prime risposte rivolte alle critiche mosse alla sua incapacità di spiegare il cambiamento istituzionale;

❖ Terzo periodo, 1991 in poi. È in questi anni che la NIT ha allargato effettivamente i propri orizzonti ponendo la questione del cambiamento istituzionale strategico al centro dei propri studi, cambiamento che inevitabilmente ha influenzato i capisaldi teorici (Tabella 1).

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Tabella 1. Evoluzione dei concetti chiave

Primo periodo

Terzo periodo

Field organizzativo

Visione statica Visione dinamica

Istituzioni

Le imprese sono assoggettate alle istituzioni

Le imprese possono modificare le istituzioni

Legittimità

Conferita dagli attori del field

Diventa una risorsa che l’impresa cerca di

acquisire

Fonte: Chaney D., Slimane K. B. (2014)

È proprio nel secondo periodo (1987-1991) che emergono i primi contributi in risposta alle accuse di staticità; in particolar modo, la NIT ha prodotto degli studi incentrati sui concetti di agenzia, intesa come la capacità degli attori di influenzare le istituzioni (Lawrence et al., 2011), e di imprenditore istituzionale, sviluppato da Di Maggio nel 1988; quest’ultimo viene presentato come un soggetto ricco di risorse e con abilità sociali eccellenti. In generale, l’imprenditorialità istituzionale si riferisce a quelle attività di attori particolarmente interessati a sfruttare le risorse che posseggono al fine di modificare le istituzioni esistenti o crearne di nuove, grazie alle spiccate abilità sociali di cui dispongono (Maguire et al., 2004).

Tuttavia, questo approccio di agenzia è stato oggetto di ulteriori critiche, stavolta provenienti però da alcuni studiosi istituzionalisti; le critiche riguardano proprio l’eccessiva attenzione concessa ai singoli attori ricchi di risorse e dotati di capacità sociali straordinarie. Secondo questa impostazione il cambiamento istituzionale è considerato l’esercizio di un singolo, quando, in realtà, esso assume una dimensione

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collettiva (Bartley, 2007). Sulla base di queste critiche interne, Lawrence e Suddaby (2006), hanno sviluppato un nuovo approccio di agenzia sottolineando proprio l’aspetto collettivo; emerge così il concetto di lavoro istituzionale, in sostituzione a quello di imprenditore istituzionale. Il lavoro istituzionale degli attori si rivolge essenzialmente ai tre pilastri (Chaney, Slimane, 2014).

Contestualmente a tali sviluppi, anche il concetto di field organizzativo ha subito una modifica in senso dinamico. Il field organizzativo è l’arena (Fligstein, 2001) in cui gli attori si affrontano e costruiscono il senso sociale della realtà (Greenwood et al., 2008). Sostanzialmente, mentre i lavori del primo periodo suggerivano che il field fosse predeterminato e immodificabile, gli sviluppi strategici di questa disciplina hanno reso l’osservazione del field organizzativo maggiormente dinamica.

In particolare, è possibile distinguere tre stati che il field organizzativo può attraversare (Maguire et al., 2004):

❖ Primo stato. In questo primo stato si parla di field emergente (ovvero tutti quelli che sono in procinto di essere strutturati); questi field non hanno una storia in quanto il loro avvento corrisponde alla nascita di una nuova attività economica/di un nuovo mercato. Qui, il senso della realtà e le regole di interazione sociale sono in continua costruzione (Chaney, Slimane, 2014);

❖ Secondo stato. Qui si parla di field maturo, in quanto, un field, una volta nato può anche maturare e stabilizzarsi;

❖ Terzo stato. Infine, i field organizzativi possono essere sottoposti a

destabilizzazione istituzionale; questa mira a cambiare le pratiche sociali e/o le

categorie di attori che li costituiscono. È proprio questo processo che può causare il divieto, la sostituzione oppure l’uscita dal mercato di beni o servizi (Chaney, Slimane, 2014).

Una volta introdotti gli aspetti essenziali della NIT, è interessante porsi la seguente domanda: quali sono i punti di contatto tra la NIT ed il Marketing? E più precisamente, quali sono i contributi chiave apportati alla sua letteratura?

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1.1.3 NIT e Marketing

Il contributo che la NIT ha apportato al Marketing riguarda alcuni aspetti (Chaney, Slimane, 2014): in primo luogo la NIT suggerisce di osservare il consumo come se esso fosse una istituzione a sé (Scaraboto, Fischer, 2013); in secondo luogo, il concetto di legittimità, che in ottica di Marketing si riferisce di fatto all’identità e all’immagine che un’azienda vuole ottenere oppure attribuirsi, si collega molto bene al concetto di posizionamento (Rosa et al., 1999); infine, la nuova nozione di lavoro istituzionale, la quale ci suggerisce che le imprese sono in grado di agire sulle istituzioni, si collega al concetto di Megamarketing, introdotto per la prima volta da Kotler nel 1986.

Quindi, riassumendo, la NIT fornisce tre contributi fondamentali agli studi di Marketing:

A. La pratica di consumo vista come una istituzione a sé;

B. L’osservazione del posizionamento strategico in termini di legittimità; C. L’estensione del concetto di Megamarketing.

Per spiegare la genesi, la continuità e i cambiamenti delle pratiche sociali, aspetti che dal punto di vista del Marketing possono essere considerati alla stregua delle pratiche di consumo e/o offerte di prodotto, la NIT sottolinea l’importanza di considerare tutti gli attori che all’interno di una determinata arena, o mercato, possono agire sul consumo di un’offerta (Chaney, Slimane, 2014). Secondo questo approccio, gli attori in grado di influenzare la pratica di consumo sono: concorrenti, distributori, fornitori, legislatore ma anche Stampa, ecc.

Ne consegue che il consumo non può essere considerato come una pratica predeterminata e completamente distaccata dalle condizioni extra-individuali all’interno delle quali si muovono gli operatori di mercato (Humphreys, 2010; Zukin, Di Maggio, 1990).

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A. La pratica di consumo vista come una istituzione a sé

Le istituzioni, secondo la definizione di March e Olsen (1989), “delimitano le

abitudini e i modi di pensare all’interno di un determinato field organizzativo ed ogni attore si aspetta che queste norme sociali vengano seguite da ciascun altro”.

Questa definizione, applicata al Marketing, consente di concepire e osservare il consumo come una istituzione a sé (Scaraboto e Fischer, 2013); affinché la pratica di consumo esista e si riproduca nel tempo, essa deve essere radicata nei tre pilastri istituzionali. Ne deriva che il consumatore comprenderà e accetterà una categoria di prodotto se e solo se essa presenta un quadro regolatorio, uno normativo e uno cognitivo (Chaney, Slimane, 2014), proprio perché a quel punto il consumo sarebbe profondamente radicato nelle abitudini dei consumatori stessi, e quest’ultimi non metterebbero più in dubbio la sua legittimità.

Dunque, le possibilità sono due: o la pratica di consumo ha raggiunto la istituzionalizzazione oppure no.

Se una pratica di consumo, in un dato momento, è considerata un’istituzione, allora significa che essa è supportata dai tre pilastri. Il consumatore ha perfettamente compreso la suddetta pratica.

Al contrario, se una pratica di consumo, in un dato momento, non è considerata come una istituzione significa che essa non è supportata dai tre pilastri. Il consumatore, allora, dovrà compensare in qualche modo la mancanza con delle strategie diverse a seconda del pilastro mancante (Chaney, Slimane, 2014):

• la mancanza del pilastro regolatore, come nel consumo di stupefacenti, per esempio, influenza la pratica di consumo stessa; in questo caso, infatti, il consumo deve essere attuato in maniera clandestina (Chaney, Slimane, 2014);

• altra questione è la mancanza del pilastro normativo e/o di quello cognitivo. In effetti, lo studio delle azioni individuali o collettive attuate dal soggetto in questa situazione rappresenta tutt’oggi una sfida teorica aperta; in che modo, per esempio, gli innovatori e i first adopter (Rogers, 1995) sopperiscono alla mancanza del pilastro normativo e di quello cognitivo nel caso di innovazioni

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rivoluzionarie, le quali sono per definizione prive dei due appoggi istituzionali? (Chaney, Slimane, 2014).

B. L’osservazione del posizionamento strategico in termini di legittimità

La NIT ha permesso di ripensare il concetto di posizionamento strategico in termini di legittimità.

Secondo questo approccio, un’impresa che offre un prodotto, bene o servizio che sia, deve creare le condizioni istituzionali necessarie al consumo; in altri termini, l’impresa, attraverso una serie di attività di Marketing, deve lavorare per rendere la propria offerta legittima (Chaney, Slimane, 2014).

Da questo punto di vista, la NIT identifica due livelli di legittimità:

❖ Primo livello. Questo livello di legittimità riguarda la pratica di consumo in senso generale (potremmo dire che si collega al concetto di domanda primaria). A questo livello il successo di una pratica di consumo (o categoria di prodotti) è strettamente legato al posizionamento tenuto da ciascun’altra impresa di un certo field. Dunque, il focus del posizionamento riguarda la pratica di consumo generica (o la categoria di prodotti);

❖ Secondo livello. Tale livello riguarda, al contrario, l’offerta di prodotto di una singola impresa o brand (tale concetto è collegato a quello di domanda

secondaria). In questo caso, il focus del posizionamento coincide con il singolo

brand o prodotto di un’impresa appartenente ad un certo field.

Ora, mentre la teoria di Marketing è stata sviluppata in termini di identificazione e distinzione tra categoria e brand (Ries and Trout, 1981), la NIT chiarisce l’influenza che il primo livello di legittimità può avere sulle strategie di Marketing, e lo fa parlando di convergenza e differenziazione delle strategie attuate dalle imprese di uno stesso field: quando una pratica di consumo (o categoria di prodotti) non è ancora legittima al primo livello, come nel caso della creazione di un nuovo mercato, le strategie di Marketing delle imprese

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appartenenti ad un certo field tendono a convergere, ovvero assomigliarsi; quando la pratica di consumo (o categoria di prodotti) è istituzionalizzata, ovvero legittimata e riconosciuta, le aziende possono adottare una strategia competitiva. Nel primo caso prevale l’interesse comune a tutte le imprese, ovvero quello di istituzionalizzare una pratica di consumo (cioè, far emergere una nuova categoria di prodotti), nel secondo caso, invece, prevale l’interesse di ogni singola impresa, ovvero quello di differenziarsi per ottenere un posizionamento diverso da ciascun’altra. Infine, è sempre bene rammentare che, secondo l’approccio della NIT, i suddetti processi sono influenzati sia dalla diade impresa-consumatore, sia da altri attori quali media, fornitori, il Regolatore, ecc. (Chaney, Slimane, 2014).

C. L’estensione del concetto di Megamarketing

Il terzo contributo della NIT concerne proprio l’approccio strategico denominato

Megamarketing.

Esso è stato introdotto da Kotler nel 1986 in seguito alla considerazione che alcuni mercati possano essere considerati “bloccati”, vale a dire che gli attori di quel field hanno reso molto difficile l’ingresso ad altre imprese. Secondo Kotler, per poter penetrare questi mercati, è necessario un approccio più ampio del Marketing tradizionale; se quest’ultimo cerca di soddisfare i bisogni dei singoli consumatori mentre tenta di ottenere un certo posizionamento nel mercato, il Megamarketing cerca di creare delle collaborazioni con terzi al fine di modellare le istituzioni che sono alla base del consumo (Chaney, Slimane, 2014). Proprio sulla base di queste considerazioni, Kotler definisce il Megamarketing come “l’applicazione

strategicamente coordinata di abilità economiche, psicologiche, politiche e di pubbliche relazioni al fine di ottenere la cooperazione di un numero adeguato di terze parti così da poter entrare in un determinato mercato chiuso” (Kotler, 1986).

Dalla definizione di Megamarketing di Kotler si deduce però che la dimensione politica è quella maggiormente significativa. È proprio qui che la NIT interviene, e lo fa sottolineando che, in ottica istituzionale, le condizioni per il consumo

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comprendono anche la dimensione cognitiva e quella normativa; a tal proposito, la NIT è in grado di estendere il concetto di Megamarketing aggiungendo le due dimensioni mancanti nel concetto introdotto da Kotler. Da questa estensione emerge una nuova definizione di Megamarketing, il quale diviene “quella strategia di

Marketing che cerca di creare, mantenere o destabilizzare i tre pilastri istituzionali che sono alla base delle pratiche di consumo” (Chaney, Slimane, 2014; Chaney,

Slimane, Humphreys, 2015).

Ma da questa nuova definizione si deduce un aspetto molto interessante: una strategia di Megamarketing può essere utilizzata anche per creare nuovi mercati, sorreggere un’offerta in un mercato maturo e metterne in discussione una al fine di sostituirla, oltre che per penetrare in quei mercati definiti “bloccati”.

Ma come è possibile istituzionalizzare una nuova pratica di consumo (ovvero, legittimare una nuova categoria di prodotti), sostenere un’offerta esistente oppure metterne in discussione una? Secondo la pionieristica letteratura Neo-Istituzionale si tratta di agire contemporaneamente su ognuno dei tre pilastri attraverso diverse tipologie di lavori istituzionali, e, tra l’altro, in maniera diversa a seconda dello stato che sta attraversando il field considerato: ovvero a seconda che si tratti di un field emergente da creare, di un field maturo da sostenere oppure di un field maturo da destabilizzare (Tabella 2).

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Tabella 2. Tipologie di lavoro istituzionale

Field emergente da

creare

Field maturo da

sostenere

Field maturo da

destabilizzare

Pilastro

cognitivo

✓ Anchoring ✓ Acceptability ✓ Narration ✓ Ritualization ✓ Deculpabilization ✓ Demonization

Pilastro

normativo

✓ Professionalization ✓ Education ✓ Routinization ✓ Reinforcement ✓ Production of an alternative discourse ✓ Dissociation

Pilastro

regolatore

✓ Mobilization ✓ Lobbying ✓ Coercion ✓ Co-optation ✓ Creation of a community ✓ Disobedience

Fonte: Chaney D., Slimane K. B. (2014

)

❖ Field emergente da creare

In questo stato del field, le varie tipologie di lavoro istituzionale da adottare al fine di creare i tre pilastri istituzionali sono i seguenti (Lawrence, Philips, 2004; Maguire et al., 2004; Lawrence, Suddaby, 2006; Rao, 2002).

• Per quanto riguarda il pilastro cognitivo:

✓ Anchoring: consiste nel trovare strategie al fine di inserire la nuova offerta nelle istituzioni esistenti;

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✓ Acceptability: si tratta di sviluppare l'accettabilità dell'offerta per la comunità in cui l’impresa è inserita.

• Per quanto riguarda il pilastro normativo:

✓ Education: tale tipologia di lavoro istituzionale consiste nel fornire ai consumatori le competenze e le conoscenze necessarie relative alla nuova offerta; ✓ Professionalization: si basa sulla creazione di nuove categorie di soggetti attorno alla nuova offerta affinché siano una sorta di punto di riferimento per i consumatori (come per esempio consulenti, critici, ecc.). Questi soggetti sono assolutamente fondamentali per l’incentivazione della standardizzazione dei comportamenti.

• Relativamente al pilastro regolatore:

✓ Lobbying: attuare pressioni sui policy maker al fine di creare un contesto normativo favorevole all'acquisto;

✓ Mobilization: si tratta del movimento sociale che può sostenere le varie richieste rivolte all'autorità di regolamentazione.

❖ Field maturo da sostenere

In questo stato del field, le varie tipologie di lavoro istituzionale da adottare al fine di creare i tre pilastri istituzionali sono le seguenti (Blanc, Huault, 2014; Dacin et al., 2010; Zietsma, Lawrence, 2010).

• Relativamente al pilastro cognitivo:

✓ Ritualization: ritualizzare la pratica di consumo al fine di rafforzare il senso di una istituzione;

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✓ Narration: riguarda il lavoro narrativo relativo al marchio e/o alla pratica di consumo.

• Per quanto riguarda il pilastro normativo:

✓ Reinforcement: consiste nel porre enfasi sulla capacità delle istituzioni di premiare i comportamenti coerenti e di punire quelli incoerenti;

✓ Routinization: rendere il prodotto di routine attraverso la connessione tra i prodotti stessi e il comportamento sociale.

• Infine, il pilastro regolatore:

✓ Coercion: utilizzare il sistema giuridico per conservare le istituzioni esistenti e proteggere le risorse;

✓ Co-optation: lavorare al fine di fornire un accesso più facilitato alle risorse politiche.

❖ Field maturo da destabilizzare

In questo stato del field, le varie tipologie di lavoro istituzionale da adottare al fine di creare i tre pilastri istituzionali sono i seguenti (Delacour, Leca, 2011; Garud et al., 2002; Hensmans, 2003; Maguire, Hardy, 2009).

• Per quanto riguarda il pilastro cognitivo:

✓ Demonization: mostrare la natura problematica dell'offerta esistente e rappresentare i consumatori come vittime delle istituzioni esistenti;

✓ Deculpabilization: indurre i consumatori a immaginare l'idea di cambiare le loro pratiche e adottarne altre.

• Relativamente al pilastro normativo:

✓ Dissociation: ridurre le sanzioni applicabili ai soggetti incoerenti creando nuovi meccanismi di ricompensa;

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✓ Production of an alternative discourse: creare e diffondere nuovi criteri per la valutazione della qualità di un prodotto.

• Infine, il pilastro regolatore:

✓ Creation of a community: creare una comunità che può essere virtuale oppure reale;

✓ Disobedience: sostenere l’infrazione delle regole esistenti. Ciò può portare alla legittimazione dell'attore e della sua causa.

Vediamo di seguito un esempio dell’uso di questi concetti.

Nel caso di field emergenti, la letteratura relativa al lavoro istituzionale sottolinea l’importanza di definire l’offerta, ovvero renderla legittima, cosicché i consumatori non la trascurino. Inoltre, la standardizzazione del comportamento del consumatore in relazione alla nuova offerta può portare alla produzione di elementi visivi (come volantini e dimostrazioni pratiche) e alla creazione di nuove categorie di attori che saranno i punti di riferimento agli occhi dei consumatori; questi, dunque, potranno imparare a consumare l’offerta in linea con gli standard creati (Lawrence, Philips, 2004; Maguire et al., 2004; Lawrence, Suddaby, 2006; Rao, 2002).

Per quanto riguarda i field emergenti da sostenere, per il mantenimento di una pratica di consumo (o di prodotto), il Megamarketing può comportare un processo di ritualizzazione supponendo che la perpetuazione dell'atto di consumo sosterrà i suoi simboli. Per quanto concerne il pilastro normativo, il suo sostegno può determinare una gratificazione dei comportamenti conformi alle istituzioni esistenti e, al contrario, una punizione dei comportamenti devianti. Il mantenimento del pilastro regolatore può comportare l'impiego di armi legali e la cooperazione politica al fine di difendere la legislazione vigente (Blanc, Huault, 2014; Dacin et al., 2010; Zietsma, Lawrence, 2010).

Infine, le istituzioni possono anche essere soggette a deistituzionalizzazione ed essere attaccate dai competitor. In questo caso si sta accennando alla scomparsa di un

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prodotto, di un comportamento o di un'azione sociale. A questo riguardo, i competitor possono attuare un processo di demonizzazione: si tratta di una strategia che fa leva sulla retorica della giustizia sociale, in quanto viene sottolineato il carattere problematico dell'offerta esistente e il consumatore viene dipinto come vittima delle istituzioni esistenti. In tutto questo, i concorrenti si presentano come parte della soluzione ai problemi esistenti. La letteratura ha sottolineato poi la necessità di incoraggiare i consumatori, individualmente o collettivamente, a violare le norme esistenti, riducendo o azzerando i costi legali e cognitivi sostenuti dai soggetti devianti e diffondendo nuovi criteri per valutare la qualità di un prodotto (Delacour, Leca, 2011; Garud et al., 2002; Hensmans, 2003; Maguire, Hardy, 2009).

Ricapitolando, dunque, gli studi più recenti della NIT hanno apportato alcuni contributi alla letteratura di Marketing.

Ad un livello più generale, introduce un tipo di analisi macro; sottolinea cioè la necessità di prendere in considerazione tutti gli attori che possono influenzare la costruzione, lo sviluppo e la destabilizzazione di una pratica di consumo.

Ad un livello più specifico, si fa portatrice di tre contributi: il primo consiste nel concepire il consumo come una vera e propria istituzione a sé. Pertanto, per l'atto di consumo sono necessarie condizioni culturali, politiche, sociali e cognitive non individuali. A tal proposito le pratiche di consumo emergono e vengono sostenute una volta che sono supportate dai tre pilastri; il secondo contributo consiste nel fornire al Marketing una nuova visione del posizionamento e ciò viene fatto attraverso il concetto di legittimità. Quest’ultima, che rispecchia quanto bene un'azienda sia socialmente inserita nel suo ambiente, viene acquisita prima a livello collettivo e poi a livello individuale; infine, il terzo contributo riguarda un'estensione del concetto di Megamarketing alla dimensione normativa e a quella cognitiva.

Le strategie di Megamarketing consentono all’impresa di lavorare sui tre pilastri e quindi permettono di istituzionalizzare una pratica di consumo (o categoria di prodotti). Una volta formate le istituzioni, queste forniscono significato, conoscenza

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e identità, tutti elementi necessari al consumo. D’altro canto, i consumatori considerano solamente le pratiche istituzionalizzate, in quanto riescono a comprendere solo quest’ultime, e così facendo, legittimano l’impresa. Ne consegue che la diade impresa-consumatore diviene una triade; si aggiungono cioè le istituzioni che, di fatto, costituiscono dei veri e propri intermediari tra impresa e consumatore (Chaney, Slimane, 2014; Chaney, Slimane, Humphreys, 2015).

1.2 Digital Health e Quantified Self (QS)

Passiamo ora al fenomeno oggetto di studio, il quale dovrà essere analizzato secondo i parametri della NIT; stiamo parlando della Digital Health.

Perché la scelta è ricaduta proprio su questo fenomeno?

Le motivazioni possono essere suddivise in due tipologie: da un lato, ci sono quelle che potremmo definire di “carattere sociale”, e dall’altro, quelle relative alle affinità con la teoria precedentemente illustrata.

Motivazioni di “carattere sociale”

Il fenomeno Digital Health rappresenta un argomento di rilevanza sociale per due ragioni essenziali:

• in primo luogo, si collega alla salute, aspetto di centrale importanza sia dal punto di vista macro (per uno Stato, ad esempio) sia dal punto di vista micro (per il singolo soggetto);

• in secondo luogo, si collega al concetto di Digitalizzazione, fenomeno che negli ultimi anni ha irreversibilmente modificato la quotidianità delle persone, a partire dalle modalità con cui esse consumano, passando per il modo in cui costruiscono la propria identità, fino ad arrivare, appunto, al loro rapporto con la salute.

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A tal proposito, è opportuno accennare ad un collegamento con il fenomeno conosciuto con il nome di Quantified Self (QS), concetto che incarna sia l’aspetto della salute, in quanto si basa sul tracciamento di una serie di parametri relativi al benessere personale e alla cura del sé, sia l’aspetto della Digitalizzazione, dato che grazie alle nuove tecnologie digitali questo fenomeno ha registrato un incremento piuttosto rilevante. Il termine QS è stato introdotto per la prima volta nel 2007 da Gary Wolf e Kevin Kelly, gli editori del magazine Wired. Nel 2008 trenta persone si incontrarono a casa del sig. Kelly per condividere le proprie esperienze di self-tracking e da quell’incontro in poi si è sviluppata una comunità che ad oggi conta più di 35.000 membri dislocati in più di 38 Paesi. La comunità QS è scarsamente strutturata ed è formata da soggetti che organizzano degli incontri, sia a livello locale che a livello globale, per discutere e condividere le nuove esperienze di misurazione; in particolare le discussioni si concentrano su quello che le persone hanno fatto, su come lo hanno fatto e su quello che hanno imparato (Matthias, Dorthe, 2015).

L’idea principale alla base del movimento QS, e più in generale della pratica di self-tracking, è ben riassunta dalla seguente affermazione rilasciata da Wolf: “Non

abbiamo uno slogan ma se lo avessimo molto probabilmente sarebbe ‘la conoscenza di sé stessi attraverso le misurazioni’” (Wolf, 2009). In sostanza, questi soggetti

producono, analizzano e condividono socialmente dei dati personali, quantitativi e qualitativi, per conoscere meglio sé stessi. È come se il soggetto, grazie alle quantificazioni, scoprisse effettivamente il sé più profondo e ciò permettesse di attribuire un significato rinnovato alla propria vita. Tra l’altro, queste misurazioni vengono conservate a mo’ di archivio e ciò consente agli individui di osservare oggettivamente, “nero su bianco”, il proprio passato così da poter capire quali sono gli aspetti che si sono modificati e in quale misura (Belk, 1988).

Infine, i parametri che vengono misurati spaziano dalla sfera più affine alla situazione di salute del soggetto (per esempio, il peso e il ritmo dei battiti cardiaci), passando attraverso gli stati mentali (come le emozioni e gli stati d’animo provati) e le attività quotidiane (ad esempio, l’alimentazione e l’attività fisica), fino ad arrivare agli aspetti ambientali, sociali e situazionali (come il giorno della settimana e le condizioni

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metereologiche). Per quanto riguarda gli strumenti di self-tracking, i soggetti coinvolti in queste attività sono soliti servirsi sia di hardware, come lo smartphone e lo smartwatch, sia di software, quali Facebook, Excel e Google Analytics (Matthias, Dorthe, 2015). Come anticipato, il movimento QS ha registrato uno sviluppo rilevante con l’evoluzione delle tecnologie e dei device; quest’ultimi diventano a tutti gli effetti sia delle estensioni del proprio corpo sia degli strumenti che hanno la funzione di “memoria esterna”. Un soggetto QS può rappresentare a tutti gli effetti l’antesignano del cyborg (Belk, 2013).

Motivazioni relative al framework Teorico

Questo fenomeno si presta bene ad un’analisi istituzionale per due ordini di motivi: • in primis, la Digital Health, che riguarda essenzialmente l’utilizzo di tecnologie

digitali per la gestione della propria salute e del proprio benessere, è un mercato in forte crescita e quindi è interessante domandarsi come esso si stia evolvendo. In particolare, la natura emergente è indicata dai molteplici dibattiti che sono sorti a tale riguardo, che spaziano dalla governance e la regolamentazione, fino alla privacy e alla proprietà dei dati (Macnaughtan, Patriotta, Pinnington, Raman, 2015). Peraltro, come spiegato nei paragrafi precedenti, la NIT si occupa anche dei tentativi di istituzionalizzazione di un nuovo field;

• in secundis, si tratta di un field estremamente complesso, caratterizzato, come vedremo, da diverse logiche e attori.

Si tratta di un field complesso perché, innanzitutto, il settore sanitario è molto frammentato a causa della complessità del suo quadro normativo e della varietà di soggetti coinvolti. In aggiunta, le parti interessate hanno aspettative e richieste diverse e in alcuni casi divergenti. Infine, alcuni fra gli studi più recenti mostrano come l'introduzione delle tecnologie digitali in questo contesto causi una temporanea instabilità istituzionale per l'assistenza sanitaria, mettendo in discussione le relazioni di potere, i ruoli e le pratiche esistenti. Ne consegue che una nuova tecnologia costituisce un invito al dibattito politico e pubblico. Dunque,

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questo fenomeno si presenta come un’entità istituzionale correlata alla salute e al field delle tecnologie digitali. Quest’ultime, raccogliendo, trasmettendo e distribuendo dati collegheranno sempre più i vari soggetti interessati, quali pazienti, assistenti, medici, fornitori di tecnologie, fornitori di benessere ecc., ma soprattutto metteranno definitivamente in discussione il concetto di “distinzione tra fornitura tradizionale di assistenza sanitaria e l’auto-somministrazione di cura e benessere” (Macnaughtan, Patriotta, Pinnington, Raman, 2015).

Come anticipato, il fenomeno oggetto di studio rappresenta un field particolarmente complesso. Di seguito sono presentate sia le logiche istituzionali sia le parti interessate che è possibile osservare all’interno del field (Macnaughtan, Patriotta, Pinnington, Raman, 2015) (Tabella 3).

Nello specifico, coesistono ben cinque logiche istituzionali, etichettabili nel seguente modo:

✓ logica dello Stato. Questa logica ha come obiettivo il benessere collettivo; esso deve essere raggiunto tramite razionalizzazione ed uniformità. In effetti, l'assistenza sanitaria rimane un'area in cui lo Stato continua a manifestarsi; ✓ logica della professione medica. I rappresentanti di questa logica hanno come

obiettivo il benessere individuale. Inoltre, essi hanno accesso a un corpus di conoscenze specifiche, hanno la licenza per impiegare tali conoscenze e hanno un certo grado di autonomia nelle loro decisioni;

✓ logica del cittadino. Qui le parti interessate pongono l’attenzione sulla propria autonomia. Tale logica si riferisce al fatto che le persone scelgono in base ai valori personali, ma con un senso di appartenenza a gruppi più grandi;

✓ logica del mercato. Le parti interessate di questa logica guardano ai costi e ai benefici. Infatti, l’intera logica è guidata dall'aumento del valore per gli azionisti attraverso la considerazione dei costi di opportunità, dei rendimenti potenziali e del vantaggio competitivo;

✓ logica della scienza. I rappresentanti hanno come obiettivo ultimo l’avanzamento scientifico e la creazione di nuova conoscenza. Difatti, tale logica è focalizzata

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sui progressi della conoscenza ed è guidata da disinteresse, originalità e scetticismo.

Ogni logica istituzionale presenta poi delle parti interessate, che complessivamente formano il quadro degli attori di riferimento:

✓ logica dello Stato. Gli stakeholders di questa logica sono lo Stato stesso, i suoi Organi e le varie Autorità;

✓ logica della professione medica. I rappresentanti di tale logica sono i medici ✓ logica del cittadino. Qui le parti interessate sono i pazienti e tutte le persone

attente al benessere;

✓ logica del mercato. I rappresentanti sono manager, produttori delle tecnologie digitali, società di consulenza, distributori, infrastrutture e aziende farmaceutiche;

✓ logica della scienza. Qui abbiamo essenzialmente le organizzazioni accademiche.

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Tabella 3. Logiche istituzionali, parti coinvolte e

obiettivi

Fonte: Macnaughtan L., Patriotta G., Pinnington N., Raman S. (2015)

Dunque, riassumendo: in prima istanza è stata presentata la NIT, i suoi sviluppi (che sono relativamente recenti) e il suo collegamento con la letteratura di Marketing. Successivamente è stato introdotto il fenomeno oggetto di analisi, ovvero la Digital Health; field emergente con delle logiche e delle caratteristiche del tutto peculiari. Tenendo ben presente che l’obiettivo dell’elaborato è quello di analizzare l’evoluzione nel tempo della tematica Digital Health utilizzando come prospettiva di studio proprio la teoria Neo-Istituzionale, i prossimi capitoli sono dedicati alla ricerca vera e propria; in particolare, il capitolo successivo è rivolto alla metodologia e al processo di raccolta dei dati, il terzo è rivolto alle interpretazioni dei risultati ottenuti e, infine, il quarto è dedicato alle implicazioni teoriche e manageriali nonché ai limiti metodologici e ai suoi possibili sviluppi futuri.

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CAPITOLO 2

METODOLOGIA

2.1 Il metodo della Content Analysis

Negli ultimi venti anni, grazie anche alla diffusione dei siti web, dei forum, dei social network, dei blog, ecc., si è verificata una vera e propria esplosione di dati testuali; in pratica, gli studiosi e gli esperti di varie discipline stanno letteralmente nuotando in un mare di informazioni testuali (Humphreys, Wang, 2018). Ne consegue che da un punto di vista quantitativo, questa tipologia di dati è diventata più facilmente reperibile e, inoltre, gli strumenti per effettuare l’analisi del contenuto sono maggiormente diffusi ed economici rispetto al passato. Al contrario di quello che ci si aspetterebbe, però, non è da molto tempo che i ricercatori e gli esperti hanno iniziato ad integrare questo metodo di analisi nei propri studi e nelle proprie ricerche; per molti anni, infatti, è mancato una sorta di framework di riferimento che potesse funzionare da guida per i soggetti interessati.

Ma in che cosa consiste effettivamente il metodo della Content Analysis? L'analisi testuale (o del contenuto) si riferisce a una serie di tecniche che utilizzano la potenza di calcolo di un computer per rispondere a delle domande che sono relative soprattutto alle scienze sociali. Nei vari filoni di studio riconducibili proprio a queste scienze, infatti, il linguaggio rappresenta un costrutto molto interessante e l’analisi del testo automatizzata diventa la lente attraverso cui individuare alcuni aspetti di primaria importanza. A tal fine, vengono utilizzati proprio i computer, in quanto essi sono in grado di trovare modelli che né i ricercatori né i professionisti sarebbero capaci di estrapolare da una mole di dati testuali. Anche se questo è vero, lo è altrettanto il fatto che molte delle attività che costituiscono una ricerca richiedono necessariamente e la progettazione e la valutazione umana; proprio per tale motivo, molti autori sono più propensi a identificare l’insieme di questi metodi con l’etichetta di “analisi del testo

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assistita da computer” anziché con quella di “analisi del testo automatizzata” (Humphreys, Wang, 2018).

Ad ogni modo, l’esecuzione della Content Analysis, qualora fosse idonea al caso specifico, deve essere effettuata in stretta connessione con il processo di ricerca che, come è noto, si compone di alcune fasi: la formulazione di una domanda di ricerca, l’identificazione del costrutto da studiare, la raccolta dei dati utili allo studio del costrutto stesso, l’operazionalizzazione e, infine, l’interpretazione dei risultati (Tabella 4).

Tabella 4. Stadi relativi all’implementazione della Content Analysis

Ogni ricerca, difatti, nasce con la formulazione di una domanda e il primo passo da compiere nel processo relativo all’applicazione (o meno) della Content Analysis consiste proprio nel chiedersi se effettivamente essa possa essere impiegata per il caso specifico (oppure no); si tratta cioè di un metodo che non può essere utilizzato indistintamente per ogni costrutto.

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A tal proposito, quelli che si prestano meno all’analisi del testo coincidono tendenzialmente con quei costrutti che incorporano la dimensione del comportamento umano, proprio perché in tali casi l’analisi del contenuto fornirebbe delle indicazioni circa l’intenzione comportamentale senza però tenere di conto dell’azione effettiva da parte dei soggetti. In tutti questi casi è necessario integrare la Content Analysis con altri metodi come ad esempio quelli etnografici ed osservazionali. È da sottolineare poi che i computer non sono in grado di cogliere sfumature di significato più sottili, come ad esempio il sarcasmo.

Ci sono però dei casi in cui l’analisi del testo risulta essere appropriata e addirittura sufficiente, senza che ci sia la necessità di prevedere altri strumenti; in generale, l’analisi del contenuto appare molto utile in quei contesti in cui gli esseri umani sono imparziali. In tali contesti, i computer possono rilevare dei modelli nel linguaggio che il ricercatore (o l’esperto) non avrebbe la possibilità di rilevare. Nello specifico, questo metodo risulta essere particolarmente valido per gli studi relativi al cambiamento dei concetti nel corso del tempo; qui, infatti, l’analisi del contenuto può aiutare a creare un quadro di riferimento piuttosto soddisfacente (Humphreys, Wang, 2018).

Dunque, in base a quanto riportato nel precedente paragrafo e visto lo scopo dell’elaborato, il metodo della Content Analysis è apparso quello più confacente al caso.

Nella seguente sezione è presentato il processo di raccolta dei dati nonché un breve sunto delle caratteristiche dello strumento di analisi del linguaggio che è stato impiegato; il tutto viene illustrato sempre in relazione al procedimento da seguire in caso di applicazione della Content Analysis.

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2.2 Raccolta dei dati

È stata effettuata una raccolta di dati secondari, ovvero una raccolta di informazioni già esistenti. Quest’ultime sono state trovate grazie alla consultazione di due banche dati: Lexis Nexis e Scopus. Nella prima banca dati sono incluse riviste di carattere divulgativo mentre nella seconda sono incluse riviste di carattere prettamente scientifico. Ma perché proprio queste due banche dati? La scelta è ricaduta su Lexis Nexis e Scopus poiché esse sono due fra le banche dati più complete a livello mondiale in ambito multidisciplinare. Inoltre, esse ospitano solamente le principali pubblicazioni a diffusione internazionale scritte in lingua inglese (es: New York Times). In sostanza, la scelta delle sopracitate banche dati risponde all’esigenza di avere a disposizione la miglior rappresentazione possibile dell’opinione pubblica e della ricerca scientifica sulla Digital Health (Corciolani, Gistri, Pace, 2019).

Una volta scelte le fonti, è stato costituito il campione; per fare ciò sono stati ricercati tutti gli articoli1 che contenessero la parola chiave inglese “Digital Health” ed è stato

effettuato il loro download. Di fatto, anziché concentrarsi su specifiche riviste o su specifiche aree geografiche è stato applicato il cosiddetto metodo della “keyword search” (Tamul, Martínez-Carrillo, 2017).

Relativamente alla prima banca dati, Lexis Nexis, sono stati individuati e quindi scaricati 2.877 documenti in formato .txt; poiché non è stato possibile scaricare tutti i file contemporaneamente, in prima battuta è stato effettuato il download di alcuni macro-gruppi di documenti da 200 file ciascuno e, in seconda battuta, i vari gruppi sono stati divisi attraverso l’utilizzo del software Text Magician. Invece, relativamente alla seconda banca dati, Scopus, sono stati individuati, e di conseguenza scaricati, 700 documenti in formato .pdf. In questo caso non ci sono stati particolari problemi relativi alla fase di download.

1

Tali articoli fanno riferimento sia a riviste offline sia a riviste online. Inoltre, come anticipato nel testo, sono di natura sia divulgativa (quelli pubblicati su Lexis Nexis) sia scientifica (quelli pubblicati su Scopus).

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- 36 -

Dopo aver scaricato tutti gli articoli, è stato creato il dataset2 relativo alle loro

principali informazioni; in particolar modo, è stato possibile ottenere le seguenti variabili: AUTORE DELL’ARTICOLO, ANNO DI PUBBLICAZIONE DELL’ARTICOLO e NOME DELLA CORRISPONDENTE RIVISTA (si veda

l’immagine delle prime dieci righe del dataset finale, Figura 1). Successivamente, grazie ad alcune manipolazioni di data cleaning e data integration, è stato riorganizzato il dataset in modo tale che ci fosse corrispondenza tra la posizione di download dell’articolo stesso e le sue principali informazioni (riportate sul foglio di lavoro Excel); i dati presenti nella seconda riga del dataset (Figura 1), ad esempio, sono relativi al primo articolo che è stato individuato e scaricato (nello specifico si tratta di un articolo di Lexis Nexis in quanto prima sono stati scaricati i 2.877 documenti trovati proprio su questa banca dati e successivamente i 700 trovati su Scopus). E così via. Queste manipolazioni hanno semplificato di molto la fase successiva relativa all’analisi dei risultati ottenuti dall’applicazione della Content Analysis.

Per completezza va detto che il dataset, nonostante le sopracitate manipolazioni, presenta comunque delle celle vuote; dalla Figura 1, in effetti, si può facilmente intuire che ci sono alcuni missing data, soprattutto in relazione alla variabile

AUTORE DELL’ARTICOLO.

2

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Figura 1. Prime dieci righe del dataset (relative agli articoli di Lexis Nexis)

Infine, una volta creato il dataset, è stata condotta l’analisi testuale sugli articoli (si veda la Figura 2); quest’ultima è stata effettuata attraverso l’utilizzo del software

Liwc, acronimo di Linguistic Inquiry and Word Count.

Figura 2. Stadi 3 e 4 del processo di applicazione della Content Analysis

Come funziona nello specifico Liwc? Esso presenta un dizionario di parole organizzate gerarchicamente in diverse categorie. Quest’ultime coincidono con delle macro-aree relative sia agli aspetti linguistici sia ad alcuni dei principali stati psicologici e sociali; nello specifico, queste categorie sono state individuate e create dai programmatori attingendo sia dalla letteratura di linguistica sia dalle principali teorie economiche, psicologiche e mediche. Tutto ciò ha permesso ai programmatori di capire quali fossero gli aspetti linguistici, gli aspetti psicologici e quelli sociali più

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- 38 -

facilmente esplicabili, e quindi misurabili, attraverso il linguaggio. Dunque, quello che Liwc fa nella pratica è leggere testi verbali e confrontare ogni parola presente nel testo stesso con il dizionario. Da questo confronto il software è in grado di associare le parole alle varie categorie e capire se in un testo è presente, ad esempio, la dimensione “emozioni negative” (dimensione identificata e costituita da termini con una evidente accezione negativa) e, soprattutto, in quale misura. Infatti, oltre a identificare e contabilizzare le parole del testo preso in considerazione, è in grado di calcolare le percentuali che corrispondono a ciascuna categoria presente nel dizionario rispetto al numero totale di parole presenti in un testo. Per visualizzare meglio tali aspetti si veda la Figura 3 e la Figura 43.

Figura 3. Esempio dell’organizzazione gerarchica delle categorie di Liwc

La Figura 3 permette di visualizzare meglio l’organizzazione gerarchica del vocabolario incorporato nel software di analisi: la categoria “affect words” (riportata nella Figura 3 con il termine “affect”) comprende le “positive emotions” e le “negative emotions” (in Figura 3 con i termini posemo e negemo); a loro volta, le “negative emotions” sono costituite dai termini “anxiety”, “anger” e “sadness”.

3

Le figure rappresentano in entrambi i casi le prime dieci righe del dataset in relazione alla specifica macro-area del dizionario di Liwc denominata affect words (riportata nella Figura 3 con il termine “affect”).

(39)

- 39 -

Nella Figura 4, invece, è evidenziata la riga numero quattro (in corrispondenza della quale sono riportati i dati relativi all’articolo scaricato in terza posizione da Lexis Nexis); i valori numerici riportati nelle celle costituiscono l’output della Content Analysis e, da un punto di vista interpretativo, rappresentano la quantità di parole, rispetto al numero totale delle parole stesse che formano il rispettivo testo, attribuibili alla macro-area “affect words” e alle varie sottocategorie. Come è possibile osservare nella Figura 4, rispetto alla dimensione “affect words”, l’articolo numero tre riporta il 2.02%. Questo significa che all’interno del testo, il 2.02% delle parole è annoverabile in questa categoria; più specificatamente, poi, l’1.54% di quest’ultimo valore corrisponde ad emozioni positive e lo 0.48% a emozioni negative, e così via.

Nel prossimo capitolo vengono presentate le analisi e le relative interpretazioni effettuate sull’output della Content Analysis. Alcuni dei quesiti ai quali cercheremo di rispondere attraverso il suddetto processo sono i seguenti: da quanto tempo si discute del concetto di Digital Health? Quali sono i Paesi in cui si parla maggiormente

Figura 4. Esempio di interpretazione dell’output della

Content Analysis

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di questa tematica? E ancora, se ne parla con un’accezione tendenzialmente negativa oppure positiva? Nel corso degli anni c’è stata un’inversione di tendenza?

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CAPITOLO 3

ANALISI DEI RISULTATI

La fase successiva riguarda proprio il processo di analisi ed interpretazione dei risultati (Figura 5).

Figura 5. Il quinto stadio della Content Analysis

Nello specifico, le analisi4 effettuate sono presentate secondo la seguente impostazione5:

A. Analisi preliminare relativa agli articoli di carattere divulgativo (banca dati Lexis Nexis);

B. Analisi della correlazione lineare relativa agli articoli di carattere divulgativo (banca dati Lexis Nexis);

C. ANOVA relativa agli articoli di carattere divulgativo (banca dati Lexis Nexis);

4 Le analisi sono state condotte attraverso l’utilizzo di tre software: R, SPSS ed Excel.

5 Si noti che i dataset relativi alle due banche dati son stati analizzati sia separatamente sia assieme: questo ha permesso di

cogliere anche le differenze che sussistono tra gli articoli di natura prettamente divulgativa e quelli di natura squisitamente scientifica.

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D. Analisi preliminare relativa agli articoli di carattere scientifico (banca dati Scopus);

E. Analisi della correlazione lineare relativa agli articoli di carattere scientifico (banca dati Scopus);

F. ANOVA relativa agli articoli di carattere scientifico (banca dati Scopus);

G. Confronto tra gli articoli di carattere divulgativo (Lexis Nexis) e quelli di carattere scientifico (Scopus).

Prima di procedere oltre, è bene chiarire subito che nelle sezioni B, C, E, F e G sono state prese in considerazione solamente le variabili del dizionario di Liwc maggiormente utili al raggiungimento dell’obiettivo, ovvero analizzare in chiave Neo-Istituzionale l’evoluzione della discussione creatasi attorno alla Digital Health, la quale, come spiegato nel capitolo 1, è caratterizzata da alcune logiche6

fondamentali. Nello specifico, dopo un’attenta valutazione del dizionario in questione, sono stati considerati i gruppi di variabili denominati “affect words”7

(Pennebaker, Chung, Ireland, 2007) e “core drives and needs”8 (Pennebaker,

Chung, Ireland, 2007) per stabilire se da un punto di vista teorico il field considerato è sottoposto a legittimazione o meno, e i gruppi denominati

“biological processes”9 (Pennebaker, J., Chung, C., Ireland, 2007) e “personal

concerns”10 (Pennebaker, Chung, Ireland, 2007) per analizzare la dinamica delle

logiche che caratterizzano la Digital Health stessa.

6

Si ricorda che, in base al lavoro di Macnaughtan, Patriotta, Pinnington e Raman (2015), la Digital Health è caratterizzata da cinque logiche: professione medica, cittadino, Stato, mercato e scienza.

7

Si tratta di quel blocco di variabili che identificano tutti i termini che esprimono emozioni positive e negative.

8

Si tratta di quel blocco di variabili che identificano tutti i termini inerenti alle necessità ritenute fondamentali.

9

Si tratta di quel blocco di variabili che identificano tutti i termini inerenti alle tematiche biologiche.

10

(43)

- 43 -

A. Analisi preliminare relativa agli articoli di carattere divulgativo (banca dati Lexis Nexis)

In prima istanza, dopo che il dataset relativo agli articoli di Lexis Nexis è stato integrato con il rispettivo output ottenuto dall’analisi del linguaggio, è stata costruita la tabella di distribuzione di frequenza assoluta della variabile ANNO DI

PUBBLICAZIONE DELL’ARTICOLO (Figura 6).

Dalla distribuzione di frequenza assoluta di questo carattere (Figura 6) si può osservare come il suo valore minimo sia l’anno 1983 mentre il suo valore massimo sia l’anno 2019; questo significa che l’articolo più datato risale proprio all’estremo inferiore mentre il più recente all’estremo superiore. In termini assoluti, inoltre, è il 2018 l’anno in cui sono stati pubblicati più articoli divulgativi inerenti alla Digital Health.

Una volta ottenute le frequenze assolute, sono state calcolate anche quelle percentuali11 (Figura 7).

11 La frequenza percentuale è calcolata come prodotto tra frequenza relativa e il valore 100.

Figura 6. Distribuzione di frequenza assoluta della variabile ANNO DI

PUBBLICAZIONE DELL’ARTICOLO

(44)

- 44 -

Figura 7. Distribuzione di frequenza percentuale della variabile ANNO

DI PUBBLICAZIONE DELL’ARTICOLO

Dalla distribuzione di frequenza percentuale (Figura 7) è possibile affermare che: il 28.6% degli articoli che parlano di Digital Health sono stati pubblicati appena due anni fa, ovvero nel 2018, il 19% circa nel 2017 e il 14.5% nel 2016. Ciò significa che in questi tre anni (2016, 2017 e 2018) si concentra il grosso degli articoli che parlano della tematica in questione.

Successivamente, è stato costruito anche il grafico a barre relativo alle frequenze assolute del carattere ANNO DI PUBBLICAZIONE DELL’ARTICOLO (Grafico 1).

Grafico 1. Grafico a barre per il carattere ANNO DI PUBBLICAZIONE

DELL'ARTICOLO (frequenze assolute)

1 1 1 1 2 4 2 5 12 5 4 1 24 15 18 29 48 30 50 59 129183 297 418 550 822 167 0 100 200 300 400 500 600 700 800 900 1983 1989 1994 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013 2014 2015 2016 2017 2018 2019

Riferimenti

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Nella stessa logica si muovono sia le regole rivolte a disciplinare l’affidabilità e la qualificazione delle imprese: l’intento è chiaramente quello di “proteggere”

14.. sono punti di discontinuit`a eliminabile. a)La funzione f ha due punti angolosi in x = ±1, come si vede facilmente anche disegnandone il grafico... Si pu`o quindi applicare

[r]

questo parametro viene definito errore standard (E.S.) ed è una misura della precisione della stima campionaria della media aritmetica della popolazione (misura dell'errore