• Non ci sono risultati.

L’in-sicurezza sul lavoro tra imposizioni formali e pratiche quotidiane: un’introduzione

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "L’in-sicurezza sul lavoro tra imposizioni formali e pratiche quotidiane: un’introduzione"

Copied!
13
0
0

Testo completo

(1)

STUDI ORGANIZZATIVI

Semestrale di studi e ricerche sui processi e i sistemi organizzativi fondato nel 1969

ANNO XVII - NUOVA SERIE

Diretto da Federico Butera

(2)

STUDI ORGANIZZATIVI

Nuova serie

Numero 1/2015

In-sicurezza sul lavoro tra imposizioni formali e pratiche quotidiane Silvia Gherardi, Annalisa Murgia, L’in-sicurezza sul lavoro

tra imposizioni formali e pratiche quotidiane: un’introduzione » 9

Dario Fontana, Francesco Tuccino, Effetti della salute nella

Lean Production: il settore auto in Europa » 20

Silvia Cervia, Rita Biancheri, Migliorare la salute delle donne

nei luoghi di lavoro: aspetti nomativi e gestione dei rischi.

Una ricerca in Toscana » 45

Silvia Doria, Il Pos: artefatti che (dis)organizzano la sicurezza » 74 Elisa Bellè, Anna Carreri, Francesco Miele, Lavoro

tempora-neo e in/sicurezza lavorativa: un approccio discorsivo » 98

Giorgio Gosetti, Lavoro, qualità e sicurezza: la prospettiva

degli operatori della prevenzione » 124

Giuseppe Scaratti, Silvia Ivaldi, (In)sostenibilità della vita

or-ganizzativa » 153

(3)

L’in-sicurezza sul lavoro tra imposizioni formali e

pratiche quotidiane: un’introduzione

di Silvia Gherardi, Annalisa Murgia

Introduzione

1

Il contributo sociologico allo studio del rischio, degli incidenti e della sicurezza è diventato in questi ultimi anni sempre più importante (Catino, 2006). Si tratta di tematiche di ricerca che i sociologi hanno posto in rela-zione a fattori sociali come la fiducia e il confidare che le cose familiari conservino una stabilità. Luhmann (1993) afferma, ad esempio, che la fidu-cia va specificamente intesa in relazione al rischio, termine che fa la sua comparsa solo in epoca moderna, quando si capì che i risultati imprevisti possono essere una conseguenza delle nostre decisioni.

Rischio e fiducia si compenetrano e assumono significati particolari al-la luce delal-la riflessività delal-la vita sociale moderna perché, come osserva Giddens (1994: 43), «in condizioni di modernità la fiducia esiste nel conte-sto della generale consapevolezza che l’attività umana […] è socialmente creata piuttosto che essere data dalla natura delle cose o determinata dall’influenza divina». La riflessività è coinvolta nella continua generazio-ne di uno spostamento dell’attenziogenerazio-ne generazio-nella comunità scientifica dallo stu-dio del rischio a quello dalla costruzione sociale e organizzativa della sicu-rezza e, conseguentemente, alla costruzione di organizzazioni affidabili.

Nell’ambito degli studi sociologici delle organizzazioni, l’analisi degli incidenti tecnologici (Weick, 1990) e della cultura aziendale della sicurezza (Pidgeon e Turner, 1997) hanno dato un contributo interessante alle cono-scenze su come le organizzazioni possano divenire più affidabili e come l’apprendimento organizzativo rappresenti un esempio di riflessività appli-cata (Gherardi, 2006) alla costruzione organizzativa della sicurezza. Essi hanno esplicitamente proposto di abbandonare lo studio del rischio per

(4)

dicarsi a quello della sicurezza, orientando il loro interesse conoscitivo ver-so un approccio che ver-sottolinei la responsabilità ver-sociale di tutti gli attori che partecipano nel processo sociale di costruzione del sapere sulla sicurezza. L’idea della costruzione sociale della sicurezza consente di leggere l’azione collettiva di più soggetti entro ambiti che sono artificiosamente separati e di interpretarla quale prodotto di un comune ambiente istituzionalizzato che definisce cosa sia pericolo, cosa si possa intendere con sicurezza e quale sia un ambiente lavorativo in grado di garantire il benessere di chi vi lavora.

L’ambito semantico della in/sicurezza ha subito negli anni una progres-siva estensione che dalla salute dei lavoratori, dall’assenza di incidenti sul lavoro, dalla prevenzione degli incidenti industriali e simili tematiche “classiche” si estende progressivamente al tema della qualità del lavoro e della sostenibilità del benessere ai confini tra i luoghi del lavoro e i luoghi della vita. Il mondo del lavoro è infatti investito da una progressiva fram-mentazione dei processi produttivi e delle carriere professionali. I soggetti esposti a condizioni di particolare vulnerabilità – si pensi ai/alle lavorato-ri/trici con contratti temporanei, soprattutto se migranti – a cui viene richie-sta una sempre più ampia disponibilità, in termini di prolungamento degli orari di lavoro, di intensificazione dei ritmi e di un più generale abbassa-mento della qualità del lavoro, si trovano al centro di una crescente insicu-rezza sia nella vita lavorativa che nella loro vita sociale. Nonostante la rin-novata attenzione ai temi del benessere, della salute e della sicurezza sul luogo di lavoro, risultano ancora limitate le riflessioni intorno alle implica-zioni dei mutamenti del mercato del lavoro e delle nuove modalità di orga-nizzazione del lavoro sulla realizzazione di condizioni di lavoro e di culture organizzative sicure.

Nello scrivere questo appello per un numero monografico abbiamo uti-lizzato la forma linguistica della “in/sicurezza” sia per conservare l’ambi-guità del termine, sia per ironizzare su come per studiarla siano i fallimenti della sicurezza (l’insicurezza per l’appunto) ad essere generalmente messi a fuoco piuttosto che la produzione sociale di sicurezza e di contesti sicuri. Infatti, definire gli stessi temi nei termini del come viene costruita social-mente la sicurezza, come organizzare contesti lavorativi più sicuri e affida-bili riporta la genesi dell’azione nelle mani di quanti vi partecipano e nella qualità delle loro modalità relazionali con la sicurezza. Adottare un approc-cio centrato sulla sicurezza implica dunque un cambiamento tanto nella prospettiva quanto negli oggetti di studio.

Con il termine cultura della sicurezza si designa l’insieme di assunzio-ni e delle pratiche a queste associate che permette alle credenze sulla sicu-rezza e sui pericoli di realizzarsi all’interno di un certo contesto

(5)

organizza-tivo. La cultura della sicurezza è una capacità e abilità organizzativa che contribuisce a rendere i sistemi sociali (fra cui le istituzioni) meno vulnera-bili di fronte al rischio e in quanto tale definisce le organizzazioni affidabi-li. La sicurezza dunque, entro un approccio culturale alle organizzazioni, può essere concepita come una competenza sociale che si realizza nell’interazione fra individui, organizzazioni e ambiente istituzionale (Ghe-rardi, Nicolini e Odella, 1997a; 1997b). Indagare la costruzione sociale del-la sicurezza porta perciò a prendere in esame come questa capacità si rea-lizzi all’interno di tre diversi livelli: individuale, organizzativo e istituzio-nale. Analizzare questo processo significa analizzare in primo luogo le isti-tuzioni, come attori che stabiliscono e impongono l’aspetto normativo e at-tuativo della sicurezza sul lavoro all’interno della società, in seguito le or-ganizzazioni che agiscono e prendono decisioni in base alla loro cultura della sicurezza, e infine i gruppi occupazionali che nella prassi e nelle rela-zioni con il contesto di lavoro, fra organizzazione del lavoro e tecnologia, mettono in atto quella che può essere definita come “cultura occupazionale della sicurezza”.

Gli articoli che compongono questo numero monografico forniscono un prisma attraverso il quale guardare e rappresentare le molteplici facce dell’in/sicurezza. Abbiamo organizzato l’ordine dei contributi in modo che essi lo illuminino progressivamente: le conseguenze sulla salute dei lavora-tori di una modalità di organizzare il lavoro (la lean production); la relazio-ne tra sicurezza e gerelazio-nere e l’inadeguatezza dell’archiviaziorelazio-ne e della moda-lità di analisi delle informazioni infortunistiche; le pratiche lavorative situa-te e la dimensione organizzativa della sicurezza; l’incidenza della forma contrattuale sulla sicurezza nei luoghi di lavoro e più in generale sui livelli di vulnerabilità cui i soggetti sono esposti; la qualità della vita lavorativa come sicurezza nelle relazioni fra lavoro e vita lavorativa e, infine, il tema della in/sostenibilità della vita lavorativa che ci consentirà di comprendere l’allargamento del concetto di sicurezza del lavoro alla molteplice presenza di aspetti fisici, psichici, organizzativi e sociali.

Nel primo saggio del volume, Dario Fontana e Francesco Tuccino pro-pongono una lettura dell’in/sicurezza in relazione all’intensificazione del tempo di lavoro che scaturisce dal modello organizzativo. L’industria au-tomobilistica è in questo caso paradigmatica per comprendere come il pas-saggio dal modello taylorista alla lean production instauri pratiche di misu-razione e satumisu-razione del tempo di lavoro che hanno conseguenze molto gravi sulla salute dei lavoratori. Non si tratta di un rapporto meccanicistico tra organizzazione del lavoro e crescente incidenza di disturbi muscolo-scheletrici correlati al lavoro, bensì di una problematica relazione tra la

(6)

comprensione della costruzione dei sistemi di metrica del lavoro e la capa-cità di contrattazione dei tempi di lavoro. Questa è la tesi dei due autori che, con rara capacità di esporre in modo semplice come viene costruita la metrica di lavoro, illustrano come la capacità di verificare la correttezza della valutazione dei rischi sia fondamentale non solo per potenziare l’azione dei lavoratori (quindi anche sindacale), ma anche per ottenere una equilibrata qualità del lavoro. Come descritto nell’articolo per metrica del

lavoro s’intende il percorso utilizzato nelle imprese per definire: le

modali-tà e il numero di operazioni con cui ogni operaio deve svolgere la sua man-sione; il tempo con cui tale operazione va svolta (cosiddetto tempo ciclo); il salario corrisposto alle singole operazioni; le pause e il carico di lavoro. Il rapporto fra la quantità di tempo base e quello dei coefficienti di riposo de-termina il livello di saturazione del tempo ciclo, cioè l’intensità della pre-stazione di lavoro. Mentre nel modello taylorista la saturazione è fissa e de-terminata dall’ufficio tempi e metodi, nella lean production la saturazione è flessibile variando a seconda delle esigenze esterne di mercato (mix produt-tivo, just in time, costi o altro). Nel modello lean production il lavoratore deve dunque rispettare gli standard di tempo di esecuzione, ma adattandosi contemporaneamente al tempo flessibile dell’intero processo produttivo, con accelerazioni e decelerazioni che incidono sul rischio per la salute. In-fatti uno dei pilastri fondativi della lean production è la ridefinizione conti-nua dei tempi di lavoro, nella logica della sua riduzione al solo tempo pro-duttivo, riducendo al minimo i tempi a non valore aggiunto. Inoltre la va-riabilità del mix produttivo ha degli effetti rilevanti sulla coerenza tra il ca-rico di lavoro teoca-rico, assegnato dai tecnici tempi e metodi, e quello reale eseguito dai lavoratori sulle singole postazioni di lavoro. La costruzione della metrica è dunque un elemento centrale per capire e per incidere sul legame fra la maggior parte dei fattori di rischio (ritmo, forza, fatica, inten-sità, ripetitività, carico) e le pratiche lavorative. Le conclusioni alle quali i due autori giungono sono articolate, ben argomentate e fondamentalmente preoccupanti. Le nuove metriche, anche quando sono integrate da una mi-surazione del rischio attraverso strumenti ergonomici che definiscono coef-ficienti di riposo più accurati, continuano a mantenere l’obiettivo della satu-razione della prestazione lavorativa. Le statistiche italiane ed europee sulla salute dei lavoratori registrano, contemporaneamente ad un calo degli infor-tuni (dovuto in parte ad una compressione occupazionale e delle ore lavora-te), l’aumento esponenziale delle malattie professionali. All’aumentata dif-fusione di tecnologie informatiche che coadiuvano o sostituiscono l’uso di macchinari, non corrisponde dunque un allentamento del ritmo di lavoro. Infine, nell’ormai lungo riflusso della stagione sindacale, la partecipazione

(7)

dei lavoratori è prigioniera di una narrazione in cui il lavoratore e l’azienda fanno parte di una “comunità di destino”. Pertanto la situazione di in/sicu-rezza rispetto alla salute in fabbrica non sembra allo stato attuale avviata ad un miglioramento.

Il secondo articolo di questo numero speciale propone una riflessione sulla in/sicurezza in ottica di genere. Le autrici – Silvia Cervia e Rita Bian-cheri – conducono uno studio di caso nella regione Toscana per analizzare il portato di una lettura dei dati Inail sugli infortuni (nel periodo 2000-2010) che prenda in considerazione la differenza di genere. Infatti la critica al sistema di rilevamento dati in modo aggregato per sesso ha evidenziato i limiti di un approccio gender blind. Inoltre l’obbligo di legge di prendere in considerazione, in sede di valutazione dei rischi, anche l’eventuale possibi-le impatto delpossibi-le differenze di genere rende ineludibipossibi-le il probpossibi-lema di trovare una metodologia adatta. La stessa European Agency for Safety and Health at Work evidenzia, ormai dal 2003, come le ineguaglianze di genere e la segregazione occupazionale influiscano sulla salute e la sicurezza delle la-voratrici, facendo emergere rischi differenziati per uomini e donne. Il fe-nomeno degli infortuni sul lavoro e quello delle malattie professionali non possono dunque più essere affrontati senza prendere in considerazione gli eventuali condizionamenti riconducibili all’appartenenza di genere dei la-voratori. Tuttavia la difficoltà metodologica nell’approntare statistiche di genere è ben evidenziata dalla ricerca che le autrici presentano. Il problema principale è costituito dalla normalizzazione dei dati (rapportare il numero di infortuni e di malattie professionali al numero di occupati e occupate) e dal fatto che la crisi economica e finanziaria ha prodotto un ulteriore inde-bolimento della partecipazione femminile al mercato del lavoro. Pur nei li-miti della sperimentazione condotta, il significato dell’incidenza del genere è incontrovertibile: a fronte di una contrazione non trascurabile del tasso di infortuni maschile, permane una sostanziale stabilità di quello femminile. L’articolo di Cervia e Biancheri testimonia la necessità di un cambiamento di paradigma in tutto il processo di archiviazione delle informazioni infor-tunistiche, a partire dalla fase di raccolta del dato.

Il terzo contributo del volume restituisce i principali esiti di una ricerca etnografica, entrando nel vivo delle pratiche quotidiane situate di uno speci-fico contesto di lavoro. L’autrice – Silvia Doria – descrive in maniera bril-lante la traduzione in pratica delle norme di salute e sicurezza previste in un cantiere edile. Al centro dell’analisi è il Pos (Piano operativo di sicurezza), un artefatto organizzativo in cui sono inscritti i dettami normativi in materia di sicurezza e sono al contempo incorporate prassi e competenze delle di-verse comunità professionali che partecipano alla costruzione collettiva di

(8)

un ambiente più (o meno) sicuro. La prospettiva della sociologia della tra-slazione risulta efficace come guida alla comprensione dei modi in cui la sicurezza si costruisce quotidianamente e collettivamente nei contesti di la-voro. L’autrice ripercorre il processo di traduzione in pratica della normati-va a partire dalla policy elaborata dal legislatore, passando per le organiz-zazioni che la interpretano e recepiscono secondo la propria cultura orga-nizzativa, fino alle pratiche quotidiane e alle relazioni tra diversi attori – umani e non umani – che intessono la trama organizzativa della sicurezza. Attraverso lo studio delle pratiche situate in un cantiere del Centro Italia, per la realizzazione di una linea di trasporto urbano, vengono quindi esplo-rati processi, attori e artefatti che veicolano modalità di lavoro in/sicure. Il Pos viene infatti analizzato non tanto al momento della sua produzione, im-posta per legge, ma nei modi in cui viene calato nelle realtà di cantiere, tra imposizioni formali e pratiche quotidiane. L’autrice mette in luce alcune criticità connesse alla traduzione in pratica delle norme di sicurezza, che rischiano di esacerbare le già difficili condizioni di lavoro del settore dell’e-dilizia industriale, uno tra i più colpiti dai fenomeni infortunistici. È proprio la distanza tra il Pos e le pratiche quotidiane e il sapere esperto che rischia di renderlo statico e astratto, e dunque inefficace una volta in-uso, perché privo della conoscenza del suo contesto di riferimento. La pratica del “co-pia e incolla” di “co-piani operativi già approvati in altri cantieri, ad esempio, da un lato impedisce di innescare una dinamica virtuosa di circolazione di pratiche sicure esperite in altri contesti, dall’altro delegittima il documento del Pos, proprio perché incapace di incorporare le esigenze situate, veico-lando al contrario un sapere standardizzato. La traduzione in pratica della norma si trasforma dunque in questi casi piuttosto in un tradimento, un adempimento burocratico che non tiene conto delle pratiche consolidate e dei trucchi del mestiere. La difficoltà di rendere conto di ciò che si fa quan-do si lavora – riportanquan-do le attività lavorative in forma di testo scritto – in-sieme al persistere di una visione tecnica e normativa della sicurezza può infatti portare l’organizzazione a dichiararsi “sicura” per il solo fatto di ave-re “le carte a posto”. Al contrario, come evidenziato dall’autrice e dagli operai che ha intervistato, la sicurezza è qualcosa che si fa (o non si fa)

nel-le pratiche, più che essere qualcosa da scrivere (in questo caso nel Pos).

La distanza tra le norme di salute e sicurezza e le condizioni lavorative quotidiane fa da sfondo anche al quarto contributo – co-autorato da Elisa Bellè, Anna Carreri e Francesco Miele – che indaga le problematicità del lavoro a termine rispetto alla sicurezza e alla salute sul luogo di lavoro. Da un punto di vista normativo, infatti, il Testo Unico del 2008 riconosce un principio universalista delle tutele sancendo dunque, quantomeno sulla

(9)

car-ta, lo stesso livello di protezione per tutti i lavoratori, a prescindere dalla forma contrattuale di assunzione. Nonostante la rilevanza della normativa sul piano della regolazione formale, gli autori sottolineano quanto la forza lavoro a termine rimanga ancora fortemente a rischio, principalmente a causa di processi lavorativi frammentati, della scarsa conoscenza dei luoghi di lavoro, della paura di perdere la propria occupazione e del minor livello di sindacalizzazione. L’articolo illustra i principali esiti di una interessante ricerca condotta in provincia di Trento, nel settore della cura-assistenza alla persona e in quello turistico, alberghiero e della ristorazione, nel corso della quale sono stati intervistati sia lavoratori con contratti a termine che hanno subito un infortunio, sia testimoni privilegiati coinvolti a vario titolo nella pianificazione e nell’attuazione di politiche nel campo della salute e della sicurezza sul lavoro. La prospettiva teorica adottata è quella degli

organiza-tional discourse studies, che hanno consentito di illustrare accuratamente

da un lato le differenti attribuzioni di senso che caratterizzano il tessuto in-terorganizzativo della sicurezza, dall’altro gli effetti – di spinta al cambia-mento o di mantenicambia-mento delle status quo – che i processi di significazione hanno sulle azioni di istituzioni, organizzazioni e singoli individui, e dun-que sul modo in cui l’in/sicurezza viene costruita in uno specifico territorio. Al centro della discussione sono i tre principali discorsi sulla sicurezza emersi dall’analisi del materiale empirico: il discorso normativo-della colpa individuale; del sistema-organizzazione; della qualità della vita e delle con-dizioni sociali ed esistenziali. L’interesse del contributo risiede tuttavia non tanto nelle diverse rappresentazioni della sicurezza nel tessuto interoganiz-zativo analizzato, ma soprattutto nella discussione degli effetti prodotti da tali posizionamenti discorsivi. Riprendendo i lavori di Carol Bacchi (2009), gli autori mettono in luce diversi tipi di effetti dei discorsi analizzati: effetti di tipo discorsivo, vale a dire cosa viene discusso e cosa invece viene taciu-to dagli attaciu-tori in gioco; effetti di soggettivazione, relativi a come i soggetti rappresentano se stessi e vengono rappresentati dagli attuatori delle politi-che di sicurezza; e infine esperienziali, politi-che si traducono nei racconti degli infortuni e nei modi in cui sono stati vissuti. Anche questa ricerca identifica il discorso della norma-colpa come visione dominante, che relega organiz-zazioni e istituzioni a un ruolo di mero controllo dell’adempimento delle misure di sicurezza. Destano allarme, in particolare, gli effetti di soggetti-vazione improntati alla auto/colpevolizzazione: sembrano essere i lavorato-ri, infatti, gli unici responsabili degli infortuni subiti. Questa rappresenta-zione, per chi lavora con contratti a termine, non fa che alimentare il pro-cesso di naturalizzazione delle condizioni di rischio, nonché il fenomeno delle mancate denunce. La lettura intersezionale offerta, infine, restituisce

(10)

un’analisi tanto articolata quanto inquietante della condizione di ricattabili-tà associata alla temporaneiricattabili-tà dell’impiego e, più in generale, ai gradi di marginalità sociale e di esposizione al rischio esperiti dai soggetti.

La visione prismatica offerta da questo numero monografico mostra una ulteriore lente attraverso cui guardare l’in/sicurezza sul e del lavoro nel contributo di Giorgio Gosetti, che allarga ulteriormente lo spettro, propo-nendo un passaggio analitico dalla qualità del lavoro alla qualità della vita lavorativa. Non solo, dunque, un’attenzione alla multidimensionalità delle condizioni di lavoro, ma anche – e soprattutto – alla messa a valore di risor-se personali e “vitali” dei soggetti (relazioni, tempi, spazi ecc.) nell’ambito delle attuali organizzazioni flessibili, frammentate e reticolari. L’autore presenta alcuni risultati di un articolato percorso di ricerca qualitativa che ha coinvolto gli operatori dell’Area prevenzione e sicurezza nei luoghi di lavoro (Apsal) dell’Azienda sanitaria di Bologna. Di estremo interesse è lo sfondo teorico-interpretativo, che rende conto in primo luogo dei cambia-menti del lavoro, legati alla globalizzazione delle catene del valore e ai pro-cessi di finanziarizzazione dell’economia, che centralizzano il controllo e delocalizzano, viceversa, la produzione. Si tratta di fenomeni macro che si traducono, a livello organizzativo, in modelli flessibili, a rete, distribuiti nello spazio, che chiedono estrema adattabilità ai lavoratori, sempre più po-larizzati in impieghi ad alta e bassa qualificazione. È in questo quadro di progressiva frammentazione, precarizzazione ed erosione della qualità del lavoro, e più in generale dei percorsi biografici, che si colloca l’analisi mul-tidimensionale offerta dall’autore, volta a comprendere la generale diffu-sione dei rischi e l’esposizione a una molteplicità di elementi pericolosi nel corso della vita lavorativa. In particolare, riprendendo lo strutturalismo co-struttivista bourdieusiano, vengono esplorate da un punto di vista soggetti-vo e oggettisoggetti-vo sia la qualità del lasoggetti-voro che la qualità del rapporto fra lasoggetti-voro e vita, analizzate a livello individuale, organizzativo e dello specifico am-biente sociale di riferimento. Gli operatori di un servizio di prevenzione e sicurezza degli ambienti di lavoro si sono rivelati degli interessanti attori privilegiati del campo oggetto di analisi, in quanto capaci di intessere una prima trama riflessiva dei nuovi e vecchi rischi lavorativi, che convivono in forme inedite e in continuo mutamento. Se per un verso si assiste a un ten-denziale miglioramento della qualità ambientale, per l’altro persiste una fa-scia di lavori fisicamente usuranti, insieme ad attività che implicano una forte pressione cognitiva e conseguenti fattori di rischio psico-sociale. L’attenzione alla salute e alla sicurezza non può dunque limitarsi all’analisi dei rischi lavorativi, legati all’accelerazione dei ritmi, alla discontinuità e all’incertezza del lavoro, ma deve estendersi alle situazioni di stress e

(11)

disa-gio sociale che tali rischi comportano. A ciò si aggiunge il progressivo al-lontanamento fra il sistema della produzione e della sicurezza, che si tradu-ce in una maggiore attenzione delle aziende alla prevenzione secondaria, definita in base a rischi che si sono già concretamente manifestati, piuttosto che alla prevenzione primaria, che mira invece a costruire processi organiz-zativi e produttivi intrinsecamente sicuri. Ancora una volta viene dunque evidenziato – in questo caso nel rapporto fra servizi di prevenzione e azien-de – il prevalere di aazien-dempimenti burocratici e di elementi tecnici relativa-mente alla costruzione della sicurezza sui luoghi di lavoro. La ricerca illu-stra inoltre l’attuale difficoltà, per gli operatori della sicurezza, di instaurare delle relazioni collaborative con lavoratori/trici sempre più individualizzati ed esposti alla minaccia di perdere il posto di lavoro. La qualità della vita lavorativa non può dunque essere confinata ai luoghi di lavoro, ma passa per una ri-significazione del lavoro, capace di sottrarlo al processo di mer-cificazione in atto in questo periodo.

Questo numero si chiude con l’articolo di Giuseppe Scaratti e Silvia Ivaldi, in cui il tema della in/sicurezza è declinato in chiave di (in)sosteni-bilità. Alcuni dei temi presenti negli articoli precedenti, quali la precarizza-zione del lavoro e la qualità della vita lavorativa sono qui rivisitati ponendo al centro dell’attenzione la questione di quanto siano sostenibili le condi-zioni di lavoro che caratterizzano le organizzacondi-zioni contemporanee. In que-sti conteque-sti organizzativi vi è una costante tensione tra richieste, interessi, valori spesso conflittuali e contrastanti. Ad esempio la tensione che si crea tra l’esigenza di efficienza e la connessa riduzione dei costi, da un lato, e la tutela dei beni comuni, dall’altro. Gli autori sottolineano come il costrutto della sostenibilità abbia significati legati alla capacità dell’organizzazione di perseguire scopi che riguardano la massimizzazione del profitto e del va-lore economico, non disgiunta dalla minimizzazione dell’impatto ambienta-le negativo e dalla possibilità di contribuire al miglioramento della qualità di vita delle comunità in cui l’organizzazione opera. La sostenibilità è gene-ralmente definita come la capacità di promuovere azioni in grado di garan-tire alle generazioni future prospettive di consumo, salute, benessere e ric-chezza paragonabili e non inferiori a quelle di cui godono le presenti gene-razioni. Il concetto di sostenibilità organizzativa (che gli autori ben esplici-tano nelle dimensioni operative) esprime il difficile bilancio da costruire, nella vita lavorativa di individui e gruppi, tra bisogni, aspettative, richieste e risorse disponibili. La sfida principale è quella di rendere tale bilancio as-sumibile e gestibile, in modo da consentire alle persone e alle organizza-zioni non solo di sopravvivere, ma anche di rigenerarsi e di crescere nel fu-turo. Partendo da un’ottica al confine tra psicologia e sociologia del lavoro

(12)

e delle organizzazioni, l’articolo propone di andare oltre una lettura mecca-nicistica dei fattori di rischio, assumendo il tema della sicurezza in un’ac-cezione allargata. In particolare si sostiene che l’allargamento agli elementi psico-sociali dei fattori di stress lavoro-correlato possa connettere tra loro i temi del rischio, della sicurezza, dello stress lavoro correlato, della salute, del benessere organizzativo e della qualità della vita lavorativa e aprire sia una particolare visione della in/sicurezza, sia interrogare diversamente il tema della responsabilità. La tesi dell’articolo viene presentata e sostenuta attraverso tre spaccati (vignettes) di ordinaria vita organizzativa che sono tratti da altrettante ricerche ed interventi compiuti dal gruppo di ricerca mi-lanese. Esse sono finalizzate a cogliere come il tema della (in)sostenibilità sia pervasivo e radicato all’interno dei processi organizzativi. In ciascuna vignetta l’accento è posto su quegli aspetti delle pratiche lavorative che esprimono modalità e forme in cui si declina l’esperienza dei soggetti nel loro rapporto con l’organizzazione. Le situazioni richiamate testimoniano la tenuta di un approccio sensibile a un ampliamento dei temi legati al rischio e alla sicurezza in un’ottica di sostenibilità organizzativa.

Il quadro complessivo che emerge dai diversi contributi raccolti in que-sto numero monografico è certamente quello di una progressiva espansione dello spettro di indagine della ricerca sulla sicurezza. Per un verso, infatti, adottare un approccio culturale consente di analizzare la sicurezza a diversi livelli, guardando ai modi in cui viene costruita nelle interazioni tra sogget-ti, organizzazioni e istituzioni. Al contempo, per l’altro verso, studiare la sicurezza nell’ambito degli attuali processi produttivi non può limitarsi a comprendere i rischi di luoghi o processi di lavoro, ma implica prendere in considerazione sia elementi psico-sociali e legati al benessere organizzati-vo, sia la qualità della vita (non solo) lavorativa e i diversi gradi di vulnera-bilità cui i soggetti sono esposti, dentro e fuori il mondo del lavoro. Gli ar-ticoli presentati propongono diversi approcci di ricerca e nella loro visione complessiva restituiscono le molteplici sfaccettature degli studi più recenti sulla in-sicurezza.

Riferimenti bibliografici

Bacchi, C. (2009), Analysing Policy: What’s the problem represented to be?, Frenchs Forest, NSW, Pearson Education.

Catino, M. (2006), Da Chernobyl a Linate: incidenti tecnologici o errori

(13)

Gherardi, S. (2006), Organizational Knowledge: The Texture of Workplace

Learning, Oxford, Blackwell.

Gherardi, S., Nicolini, D., Odella, F. (1997a), “Dal rischio alla sicurezza: il con-tributo sociologico alla costruzione di organizzazioni affidabili, Quaderni

di Sociologia, 16: 79-108.

Gherardi, S., Nicolini, D., Odella, F. (1997b), “La cultura della sicurezza nei luoghi di lavoro”, Sviluppo & Organizzazione, 162: 15-30.

Giddens, A. (1994), Le conseguenze della modernità, Bologna, il Mulino. Luhmann, N. (1993), Risk: A Sociological Theory, New York, Aldine de

Gruy-ter.

Turner, B.A., Pidgeon, N. (1997), Man-Made Disasters, Oxford, Butterworth Heinemmann.

Weick, K. (1990), “The Vulnerable System: An Analysis of the Tenerife Air Disaster”, Journal of Management, 16(3): 571-593.

Riferimenti

Documenti correlati

UD2.3 I sistemi operativi e il potere organizzativo UD2.4 La formalizzazione della struttura organizzativa UD2.5 Evoluzione dei modelli e delle strutture organizzative UD2.6

Formazione alla Salute e Sicurezza nei luoghi di lavoro il COmitato REgionale di COordinamento delle attività di. prevenzione e vigilanza in materia di salute e sicurezza sul

Eursafe, Università degli studi di Modena e Reggio Emilia, Centro di ricerca interdipartimentale sulla sicurezza e prevenzione dei rischi (Cris), Coordinamento tecnico

g) frequentare appositi corsi di formazione secondo quanto previsto dall'articolo 37. Obbligo di valutazione dei rischi. Ai sensi degli artt. 81/2008 il datore di lavoro -

Le formule (11) e (12) possono essere calcolate considerando le sole voci di bilancio che fanno riferimento alla gestione della sicurezza e della salute dei lavoratori sul luogo

aderenza della Azienda alle norme, attraverso una formazione puntuale dei lavoratori centrata sulla loro protezione ma anche l’aggiornamento delle procedure con la relativa

Il datore di lavoro deve ricorrere alla segnaletica di salute e sicurezza soltanto se emergono rischi che non possono essere evitati o.. sufficientemente limitati con misure, metodi,

Tutti i lavoratori, al fine di prevenire eventuali infortuni sul lavoro e dare attuazione agli obblighi di legge previsti in materia di SSL, sono tenuti, ciascuno in relazione