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Natura della crosta profonda del Robertson Bay Terrane (Terra Vittoria, Antartide): informazioni petrologiche e geochimiche da xenoliti crostali

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Academic year: 2021

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(1)

UNIVERSITA’ DI PISA

Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali Corso di Laurea in Scienze Geologiche

Tesi di Laurea:

Natura della crosta profonda del Robertson Bay Terrane

(Terra Vittoria, Antartide): informazioni petrologiche e

geochimiche da xenoliti crostali

Relatore: Candidato: Chiar.mo Prof. Sergio Rocchi Maurizio Gemelli

Controrelatore:

(2)

Ai miei genitori

(3)

I

NDICE

I

NTRODUZIONE...1-3

P

REMESSA

GRANULITI...4-8

C

APITOLO

1

...9-23 INQUADRAMENTO GENERALE...9-23

C

APITOLO

2

...24-26 CAMPIONAMENTO...24-26

C

APITOLO

3

...27-30 3.1 PREPARAZIONE DEI CAMPIONI...27

3.1.1GRANULATI E POLVERI...27

3.1.2SEZIONI SOTTILI...27 3.2 PETROGRAFIA E CHIMICA DELLE FASI...27-28

3.2.1OSSERVAZIONI AL MICROSCOPIO OTTICO...27

3.2.2ANALISI DELLE SINGOLE FASI...28 3.3 ANALISI CHIMICHE ROCCE TOTALI...29-30

3.3.1ANALISI DEGLI ELEMENTI MAGGIORI...29

3.3.2ANALISI DEGLI ELEMENTI IN TRACCIA...29-30

C

APITOLO

4

...31-55 DESCRIZIONE PETROGRAFICA...31-55 4.1 XENOLITI FELSICI...32-40 4.2 XENOLITI MAFICI...41-43

4.3 XENOLITI ALCALINI...44-45 4.4 CHIMICA DELLE FASI...46-55

(4)

4.4.4OLIVINA...48-49

4.4.5VETRO...52-55

C

APITOLO

5

...56-75 GEOCHIMICA DEGLI XENOLITI...56-75 5.1 CONCENTRAZIONE DEGLI ELEMENTI MAGGIORI...56-62 5.2 ELEMENTI IN TRACCIA...63-75

5.2.1ELEMENTI DELLE TERRE RARE (REE)...66-69 5.2.2ELEMENTI INCOMPATIBILI...69-75

C

APITOLO

6

...76-101 DISCUSSIONE DEI DATI...76-101 6.1 STIMA DI PRESSIONE E TEMPERATURA...76-78

6.1.1GEOTERMOMETRIA...76-78

6.1.2GEOBAROMETRIA...78 6.2 VETRO...79-81 6.3 NATURA DEGLI XENOLITI...82-96 6.4 DISTRIBUZIONE AREALE...97-99

CONCLUSIONI...100-101

B

IBLIOGRAFIA...102-110

(5)

Introduzione

I

NTRODUZIONE

La crosta inferiore è una porzione molto importante all’interno della litosfera, dove si registrano le interazioni tra crosta e mantello, e dove avvengono importanti processi tettonici e magmatici. Per lo studio della crosta inferiore, i possibili approcci sono tre: indagini geofisiche, studio di vecchi terreni granulitici esposti alla superficie terrestre e studio degli xenoliti granulitici inclusi all’interno di lave basaltiche. Per quanto riguarda le indagini geofisiche, è sempre difficile ottenere dati attendibili man mano che ci si spinge in profondità nella litosfera, e mancando il contatto diretto si passa all’interpretazione di dati indiretti, sempre di grande utilità per un confronto. Lo studio dei vecchi terreni granulitici risulta di grande utilità anche per capire gli ambienti di formazione accompagnati da uno studio della tettonica dell’area in cui si trovano, e naturalmente da uno studio petrografico.

A differenza dei terreni granulitici, gli xenoliti rappresentano una finestra molto importante per le porzioni più profonde, visto che forniscono informazioni dirette sull’attuale e sulla passata composizione della crosta, e cosa molto importante, possono indicarci le condizioni di temperatura e pressione alla quale si sono formati, oltre che permetterci di studiare i processi di formazione ed accrezione di nuova crosta; infatti in molti casi gli xenoliti mantengono intatte la tessitura e le associazioni mineralogiche relative, il che permette di poter stimare la pressione e temperatura di formazione.

Lo studio di questo tipo di rocce presenta alcune comprensibili difficoltà, vista la storia metamorfica, e le condizioni di pressione e temperatura, alle quali sono state sottoposte, il ruolo ancora poco chiaro dei fluidi ad alta pressione, e le possibili variazioni nella mobilità degli elementi. E’ facilmente intuibile che

(6)

Introduzione

difficile, ma ciò non impedisce un loro studio, il più approfondito possibile, in funzione delle informazioni e dei mezzi e del materiale a nostra disposizione.

Xenoliti granulitici si trovano in lave basaltiche Cenozoiche del Robertson Bay Terrane, nella Terra Vittoria settentrionale, in Antartide. Più precisamente il campionamento è avvenuto nelle località di Cape McCormick, Nameless Glacier, Redcastle Rock, Murray Glacier, Elder Glacier e Mt.Burton. E’ da sottolineare come siano stati ritrovati xenoliti ultrafemici provenienti dall stesso cono di scorie, a testimoniare la grande eterogeneità della crosta al di sotto del Robertson Bay Terrane.

La Terra Vittoria settentrionale fa parte dell’Antartide orientale, una zona di grande interesse geologico studiata in crescente dettaglio negli ultimi decenni. Costituisce la terminazione pacifica di una grande cintura orogenica, l’Orogene di Ross, sviluppatasi dal Cambriano all’Ordoviciano lungo tutto il margine est-antartico, a seguito della subduzione della placca paleo-Pacifica al di sotto del margine del Supercontinente Gondwana (che comprendeva anche Australia, Africa, America meridionale e India), associata a processi tettonomagmatici.

La Terra Vittoria è caratterizzata dalla presenza di diversi terranes sulla cui origine si discute da diversi anni, con ipotesi che vanno da horsts e grabens ad exotic terranes. I tre terranes sono il Wilson Terrane, il Bowers Terrane ed il Robertson Bay Terrane, limitati tra di loro da faglie subverticali, e con caratteristiche stratigrafiche, petrografiche e tettoniche diverse.

L’obiettivo di questo lavoro è quello di caratterizzare petrograficamente e geochimicamente questa associazione di xenoliti crostali portati in superficie dai processi vulcanici Cenozoici della Terra Vittoria settentrionale in Antartide, in modo da ottenere dati ed informazioni sull’origine, la composizione e regime di temperatura e pressione della crosta al di sotto del Robertson Bay Terrane,

(7)

Introduzione

mineralogico-petrografico, tramite osservazione microscopica di 36 sezioni sottili, ed analisi al SEM-EDS di alcuni dei campioni raccolti. Inoltre grazie alle associazioni mineralogiche, è stato possibile eseguire studi di geotermobarometria. Si è passati poi ad un secondo studio di tipo geochimico, con l’analisi degli elementi maggiori in XRF e degli elementi in traccia in ICP-MS al fine di caratterizzare geochimicamente gli xenoliti.

Dai dati ottenuti è stato possibile distinguere tre tipi principali di xenoliti granulitici: felsici, mafici ed alcalini, ognuno dei quali con caratteristiche petrografiche e geochimiche diverse e con variabilità anche funzione delle località di campionamento.

In questa tesi si presenta una introduzione generale alle granuliti, alla quale seguirà un’inquadramento geologico e tettonico dell’area studiata, una descrizione petrografica, lo studio geochimico degli xenoliti, una stima delle loro pressioni e temperature di formazione ed una ricostruzione geodinamica-tettonica.

(8)

P

REMESSA

G

RANULITI

Il termine ‘granulite’ è stato usato con diversi significati in diversi paesi. In Francia veniva utilizzato per rocce granitiche a grana fine (Michel Lévy, 1874; Cogné e von Eller, 1961), ma questo suo uso non fu accettato dalla maggioranza degli studiosi internazionali. In Gran Bretagna fu applicato a rocce metamorfiche di alto grado prodotte a partire da rocce psammitiche, e molto diffuso è stato il termine granulite per rocce metamorfiche di alto grado, di colore chiaro e quarzo-feldspatiche. Questo significato è stato introdotto da Weiss (1803) e successivamente approvato da altri autori.

Il concetto di facies (Eskola 1921, 1952) complicò ancora di più la terminologia ed il nome granulite venne proposto per tutte le rocce metamorfiche di facies granulitica, anche per quelle di composizione intermedia e basica. Per risolvere queste ambiguità, Winkler e Sen (1973) proposero il termine granolite invece di granulite per le rocce con caratteristiche diagnostiche della facies granulitica (“regional hyperstene zone”), ma anche questa proposta non fu accettata unanimemente. Alla fine degli anni ‘60 un gruppo internazionale di studiosi, la Granulite Commission (H.J. Behr GDR; E. den Tex, Netherlands; D. De Waard, USA; K.H. Menhert, Berlin; H.G. Scharbert, Austria; V.S. Sobolev, USSR; A. Watznauer, GDR), cercò di definire il termine granulite è pubblicò due resoconti; i risultati sono stati riassunti da Menhert (1972), e la definizione proposta fu:

“con granulite si definisce una roccia metamorfica a grana da media a fine, composta essenzialmente da feldspato, quarzo, e minerali ferromagnesiaci

(9)

facies granulitica con associazione mineralogica tipica della facies granulitica. Non sono comprese in questa definizione le rocce a grana grossa (>3mm) di composizione simile, che invece devono essere chiamate granofels. Le granuliti con minerali ferro-magnesiaci in percentuali >30%(vol) devono essere chiamate piriclasiti, piriboliti o pirigraniti in funzione della loro composizione”.

La sottocommissione per la nomenclatura delle rocce metamorfiche dell’ IUGS (SCMR), prese in considerazione questa definizione, ma i commenti furono sotto alcuni aspetti ancora contrastanti, ed alla fine le definizioni approvate dalla commissione furono:

- I principali costituenti delle granuliti sono: feldspato (K-feldspato pertitico e plagioclasio) e quarzo. I minerali mafici tipici sono granato, ortopirosseno (comunemente con alti contenuti in Al2O3) e clinopirosseno (diopsidico); altri possibili minerali costituenti sono cianite, sillimanite, rutilo ed ilmenite. Molte granuliti contengono biotite ed orneblenda e può esere presente in alcuni casi la cordierite.

- In alcuni tipi di granuliti a grana fine sono molto comuni cristalli di quarzo appiattiti, o lenti di quarzo, ma la SCMR ha proposto di non considerare la tessitura e la grana come criteri di definizione

- Il problema principale della definizione delle granuliti è quello della definizione della terminologia per le rocce metamorfiche di alto grado mafiche (granuliti basiche) e la loro relazione con le granuliti. Queste rocce, principalmente di composizione basaltica, venivano chiamate nelle vecchie pubblicazioni ‘granuliti a pirosseno’ (Lehemann, 1884), e questo termine è stato usato comunemente anche se non molto appropriato. La necessità di definire un termine specifico per questo tipo di rocce è stata menzionata da diversi autori (Lehemann, 1884; Scheumann, 1954), ma il nuovo termine

(10)

e perciò il termine granulite mafica (Harley, 1989) rimane ancora ad oggi il più appropriato.

Alla fine le molte ambiguità sul termine granulite furono chiarite dalla definizione generale di granulite accettata dalla SCMR:

granulite: roccia metamorfica di alto grado nella quale i minerali ferro-magnesiaci sono prevalentemente anidri. La presenza del feldspato è indispensabile come l’assenza di muscovite, mentre la cordierite può essere presente. Le rocce con minerali mafici >30% (principalmente pirosseno) possono essere chiamate granuliti mafiche, mentre le rocce con minerali mafici <30% (principalmente pirosseno) possono essere chiamate granuliti felsiche. Il termine non può essere applicato a rocce ultramafiche, marmi, quarziti.

Alcuni nomi sono associati con la nomenclatura delle granuliti; tra i più comuni: risolte

Charnockite: roccia metamorfica, con associazione mineralogica simile a quella di una charnockite ignea. Il termine granulite ne definisce il metamorfismo, charnockitica, l’associazione mineralogica.

Leptynite: nome creato da Haüy, applicato a rocce granitiche a grana fine composte da quarzo, feldspato e miche, dopo usato per tutte le rocce metamorfiche di colore chiaro senza tener conto dell’intensità del metamorfismo.

Leptite: vecchio termine usato dai geologi svedesi per rocce metamorfiche di origine sedimentaria sia granulose che a grana fine gneissiche, composte da feldspato, quarzo e minerali femici. Parzialmente sinonimo di Leptynite.

Piribolite: roccia metamorfica di alto grado costituita da plagioclasio, orneblenda, clinopirosseno, ortopirosseno+granato. La presenza dell’ortopirosseno è indispensabile, pirosseni ed orneblenda sono presenti circa

(11)

Piriclasite: roccia metamorfica di alto grado, costituita dal feldspato (plagioclasio) e pirosseno (clinopirosseno e/o ortopirosseno) con o senza granato. La presenza dell’ortopirosseno è necessaria ed i minerali mafici devono essere maggiori del 30%(vol). Il termine si può usare anche se la SCMR consiglia di usare granulite mafica.

Pirigranite: roccia metamorfica di alto grado composta da pirosseno e granato e la presenza o meno del plagioclasio deve essere segnalata con un prefisso plagio-pirigranite. I minerali mafici devono essere maggiori del 30%(vol). La SCMR consiglia di usare il termine granulite mafica a granato.

Come abbiamo visto, sulle granuliti c’è un interesse particolare, dovuto al fatto che il loro studio è di grande importanza per ottenere indicazioni sulla composizione e sulla formazione della crosta, in particolare della crosta media e profonda costituite appunto in grande parte da granuliti. Questo studio è stato fatto sia su vecchi terreni granulitici esposti che sugli xenoliti crostali inclusi in lave basaltiche, definendo che la crosta media è costituita da rocce metamorfiche in facies anfibolitica ed in facies granulitica, mentre la crosta profonda principalmente da rocce metamorfiche in facies granulitica (Fountain et al., 1990; Mengel et al., 1991; Weber et al., 2002). In generale, la crosta media ha una leggera tendenza ad avere alte proporzioni di rocce di composizione evoluta, come osservato sia su terreni granulitici che in xenoliti crostali, mentre la crosta inferiore è costituita appunto da rocce di tipo mafico, come osservato sugli xenoliti (Bohlen & Mezger, 1989).

Studiando la crosta profonda in particolare, si nota come sia i terreni granulitici esposti che gli xenoliti abbiano composizioni per la stragrande maggioranza mafiche, con qualche eccezione di xenoliti da intermedi a felsici (Lucassen et al., 1999; Villaseca et al., 1999; Liu et al., 2001).

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cristallizzate a basse profondità e che successivamente sono state seppellite fino a raggiungere le condizioni di pressione e temperatura della facies granulitica; oppure fusi basaltici e/o cumuliti cristallizzate in profondità e che hanno subito metamorfismo in facies granulitca durante un raffrreddamento isobaro, o spesso durante un underplating basaltico; oppure potrebbero rappresentare residui mafici di una fusione parziale legata alla genesi di graniti (restiti).

(13)

Inquadramento generale

Capitolo 1

I

NQUADRAMENTO GENERALE

L’Antartide rappresenta il più grande laboratorio naturale del nostro pianeta, dove è possibile studiare una storia iniziata a 4 Ga, cioè ai primordi dell’origine della Terra, e che ha importanza non solo per la comprensione dell’evoluzione del continente antartico, ma anche di tutte le aree continentali dell’emisfero australe, visto il ruolo chiave dell’Antartide nella ricostruzione dei paleosupercontinenti Rodinia e Gondwana. L’Italia dal 1985 occupa un ruolo di primo piano nella ricerca scientifica di questo continente, facendo parte del Trattato Antartico, fondamentale accordo che regolamenta le attività sul suo territorio, e portando avanti il Programma Nazionale di Ricerche in Antartide (PNRA). In particolare la Victoria

Land costituisce una delle zone più studiate, data anche la sua vicinanza con la base italiana di Baia Terra Nova, ora “Stazione Mario Zucchelli”, ma soprattutto vista la maggiore quantità di affioramenti non ricoperti dal ghiaccio.

Questo continente, il più affascinante ed inesplorato della Terra, si trova isolato in posizione

polare (figura 1), e ricoperto da Figura 1.(http://www.mna.it/italiano/Scopri_Antartide/img/Antartide_continAttuale posizione geografica dell’Antartide enti.jpg)

(14)

Inquadramento generale

ghiacci, conseguenza di una lunga e complessa evoluzione geologica tuttora in atto, ed almeno in parte ancora da comprendere e ricostruire. Dal punto di vista geologico, rispetto agli altri continenti, presenta delle peculiarità, tra le quali, la quasi totale assenza di sismicità, la immensa copertura glaciale, la presenza di rocce tra le più antiche del nostro pianeta e locali concentrazioni di meteoriti, utili per gli studi di geologia planetaria.

Figura 2 Mappa del continente antartico con le principali località geografiche citate nel testo. WARS indica il West Antarctic Rift System.

(15)

Inquadramento generale

Le conoscenze geologiche dell’Antartide sono di gran lunga inferiori a quelle di tutti gli altri continenti a causa della già citata copertura glaciale, che ricopre il 98% del continente, lasciando disponibili solo alcune aree parzialmente deglaciate, le zone costiere in particolare, lungo le quali si è sviluppata maggiormente l’esplorazione geologica. Per cercare di comprendere le caratteristiche delle zone più inaccessibili, e non solo, le indagini geofisiche (geomagnetismo, sismica), con lo sviluppo di nuove tecnologie, ricoprono un ruolo fondamentale, ed in pieno sviluppo.

Classicamente il continente antartico viene suddiviso in due province geologiche, separate dalle Transantarctic Mountains, che per circa 3.500 km si estendono dalle Pensacola Mountains alla northern Victoria Land (NVL) (fig.2):

-Antartide orientale -Antartide occidentale

L’Antartide orientale (quella parte di continente compresa tra le longitudini 40°W e 155°E) è considerata parte del vecchio continente di Gondwana, viste le similitudini geologiche con le aree continentali cui era unita (fig.3).

Mostra quote sul livello medio marino variabili tra i 1.000 ed i 2.000 metri, con qualche zona al suo interno che supera i 3.000 metri.

Fig. 3 Il supercontinente Gondwana. La figura evidenzia in modo schematico i nuclei archeani (>2500 Ma) e quelli proterozoici (2500-600 Ma); le fasce orogeniche di Ross (450-(2500-600 Ma), di Ellsworth (200-230 Ma) ed Andina (200-65 Ma). La ricostruzione colloca l'Antartide orientale al Polo Sud attuale. Ma: milioni di anni (http://www.mna.it/italiano/Scopri_Antartide/img/FIG3.jpg)

(16)

Inquadramento generale

E’ costituito principalmente da uno scudo cratonico precambriano, delimitato ad Ovest dalle Transantarctic Mountains e dalle Pensacola Mountains, e dalle profonde insenature del Ross Sea e del Weddell Sea.

Durante la sua evoluzione tettonica, è stato interessato intorno a 500 Ma, dall’Orogenesi di Ross, lungo tutto il margine; e nel Giurassico dalla messa in posto del Ferrar Group, con magmatismo di tipo tholeiitico.

L’Antartide occidentale (dalle Transantarctic Mountains alla Antarctic Peninsula) è formato da una serie di blocchi crostali, le cui relazioni restano ancora da definire. Ipotesi questa formulata su basi topografiche e geologiche, ma rafforzata da dati magnetici (Garrett, 1991), e chiaramente limitata dalla copertura glaciale. È caratterizzato da quote inferiori al livello marino medio, e da una profonda depressione, che dal Ross Sea si estende verso NW fino al Bellingshausen Sea, verso la Antarctic Peninsula, e verso il Weddell Sea (fig.2).

Questa profonda depressione, sulla quale sono stati eseguiti studi geofisici, e geologici (studio dell’intenso magmatismo alcalino), è stata definita come West Antarctic Rift System (WARS).

Il WARS si estende per circa 3000 km dal Ross Sea fino alla base dell’Antarctic Peninsula. Ha una estensione molto ampia, ed è paragonato al Basin and Range degli USA occidentali, ed al rift dell’Africa orientale; questi ultimi però sono intracratonici, mentre il WARS si trova al margine tra il cratone dell’Antartide orientale e l’Antartide occidentale. Le Transantarctic Mountains costituiscono appunto una spalla del rift che ha un andamento asimmetrico, probabilmente dovuto alla differente rigidità della litosfera sottostante l’Antartide orientale ed occidentale, la prima più spessa della seconda (Behrendt et al., 1993). Le parti emerse dell’Antartide occidentale,

(17)

Inquadramento generale

sono costituite da una serie di isole, le più grandi delle quali sono: la Mary Bird Land, la Ellsworth Mountains, e la Antarctic Peninsula (fig.2).

L’Antartide occidentale è costituita da un basamento di rocce sedimentarie e vulcaniche di probabile età Paleozoica e Mesozoica, che hanno subito deformazioni a più riprese. Inoltre è caratterizzata da una provincia vulcanica Cenozoica tutt’ora attiva. Infatti a partire dall’Oligocene, la Mary Bird Land, l’Antarctic Peninsula, ed il Ross Embayment (Ross Sea+Ross Ice Shelf) (Kyle, 1990), sono state interessate da un vulcanismo alcalino che fa di questa regione una delle più grandi province vulcaniche alcaline del mondo (LeMasurier, 1990).

(18)

Inquadramento generale

L’assetto geologico della porzione occidentale del continente antartico, è caratterizzato dalla presenza di fasce orogeniche, di età via via inferiore spostandosi dal cratone verso l’Oceano Pacifico (fig.4):

-Orogene di Ross (Cambro-Ordoviciano) (~500Ma)

-Orogene Gondwanico (Paleozoico-Mesozoico) (~230-180 Ma) -Orogene Andino (Mesozoico-Cenozoico) (<100 Ma)

L’Orogene di Ross (fig.4), di cui la NVL costituisce la terminazione pacifica, si estende per circa 3.000 km lungo il margine del cratone est-antartico. E’ caratterizzato da un magmatismo con affinità calcalcalina, indicativo di un margine attivo. Come volumi ed estensione può essere paragonato al margine attivo che interessa il margine andino del Sud America.

Infatti nel Cambriano il margine pacifico del Gondwana, che comprendeva Australia, Sud Africa ed Antartide come parte integrante del supercontinente, era sottoposto a compressione, deformazione, e magmatismo, come conseguenza della subduzione della placca Pacifica al di sotto del cratone Est-Antartico (Kleinschmidt & Tessensohn, 1987) (Fig.5).

L’attività magmatica è rappresentata da intrusioni diffuse che

Fig. 5 Schema che riassume la situazione del supercontinente Gondwana nel Cambriano, con l’apertura dell’Oceano Pacifico e la subduzione della placca Pacifica al di sotto del cratone (Dalziel, 1992 modificata)

(19)

Inquadramento generale

costituiscono i Granite Harbour Intrusives, un vasto complesso granitoide, in gran parte post tettonico, legato ad un arco magmatico calcalcalino (Ghezzo et al., 1989). L’intrusione di queste rocce plutoniche avvenuta intorno ai 510 Ma, rappresenta il culmine dell’evento di Ross (Stump, 1995).

I prodotti di quest’attività affiorano con caratteristiche variabili lungo le Transantarctic Mountains per circa 3000 km (Tessensohn et al., 1999) (fig.5).

Subito dopo l’orogenesi è seguito un periodo di stabilità tettonica che permise probabilmente lo sviluppo di una superficie di erosione a carattere regionale (Kukri Peneplain), pressocchè

orizzontale, che rappresenterebbe il limite fisico e/o temporale dell’orogenesi stessa (Pagliuca N.M., 2001).

Infatti, al di sopra del basamento cristallino dell’Antartide orientale, si trovano due formazioni sub-orizzontali, pressochè indisturbate: il Beacon Supergroup (sedimentario) ed il Ferrar Group (magmatico) (Pagliuca N.M., 2001).

I depositi del Beacon Supergroup, di età Devoniano-Triassica, sono formati da successioni sedimentarie di origine continentale e spesse ~2-3 km. Questa sequenza è sovrastata ed intrusa dal Ferrar Group (fig.6), una successione Giurassica di tipo tholeiitico costituita da dicchi e sills

doleritici (doleriti del Ferrar), da colate basaltiche (basalti di Kirckpatrick), dal Fig. 6 Distribuzione areale delle tholeiiti Mesozoiche (Elliot, 1985 modificata).

(20)

Inquadramento generale

complesso intrusivo di Dufek che costituisce l’80% di tutta la provincia del Ferrar Group che ha un volume di circa 500.000 km3 (Elliot D.H., 1987).

Questi prodotti si ritrovano lungo tutte le Transantarctic Mountains, e si sarebbero messi in posto in un regime di tettonica estensionale legata ad un plume, che avrebbe generato la successiva fratturazione del continente Gondwana (Dalziel, 1987).

Durante il Mesozoico il continente antartico infatti è stato coinvolto nel processo di smembramento del supercontinente Gondwana, subendo un esteso fenomeno di rifting, parte del quale, potrebbe giustificare la tettonica estensionale attualmente presente nel Ross Embayment ed in parte dell’Antartide occidentale (Behrendt & Cooper, 1991).

La frammentazione del supercontinente però è stata preceduta da un evento localizzato, che con deformazioni compressive ha portato alla formazione di una fascia che costituisce l’Orogene Gondwanico (fig.4).

L’ultimo episodio orogenetico, verificatosi in Antartide è testimoniato dall’Orogene Andino (fig.4). A differenza delle altre, questa orogenesi non evidenzia deformazioni significative né metamorfismo regionale; d’altro canto però è presente un’intensa attività magmatica granitoide di età meso-cenozoica.

Nel Cenozoico poi, una intensa attività ignea che copre una vasta area, dall’Antarctic Peninsula fino alla NVL, interessa l’Antartide occidentale, con prodotti associati a subduzione di crosta oceanica (Antarctic Peninsula), ed attività magmatica alcalina, legata al West Antarctic Rift System, con prodotti che si ritrovano lungo le Transantarctic Mountains, nella Mary Bird Land, nelle Ellsworth Mountains e nell’Antarctic Peninsula (LeMasurier & Thomson, 1990; Panter et al., 2000).

(21)

Inquadramento generale

1.1 NORTHERN

V

ICTORIA

L

AND

Come detto la NVL costituisce la terminazione pacifica dell’Orogene di Ross. Essa è caratterizzata dalla presenza di diversi terranes (sensu Coney et al., 1980), sulla cui origine si dibatte da decenni.

Per lo studio di quest’area, che, come detto rappresenta una delle più studiate dell’intero continente antartico, ci si è affidati oltre che all’analisi geologico-strutturale, all’interpretazione delle anomalie magnetiche (Ferraccioli & Bozzo, 1999; Finn et al., 1999). Ciò ha permesso di formulare ipotesi evolutive circa quest’area, oltre che a fornire dati su zone remote e di difficile raggiungimento.

Come mostrato in fig.7, la NVL è suddivisa in tre terranes (Bradshaw, 1989) dal cratone verso l’Oceano Pacifico:

-Wilson Terrane -Bowers Terrane

-Robertson Bay Terrane

I tre terranes sono limitati da sistemi di faglie subverticali con direzione NW-SE: la Lanterman Fault e la Leap Year Fault (fig.7). La prima che separa il Wilson Terrane dal Bowers Terrane, e la seconda che separa il Bowers Terrane dal più esterno Robertson Bay Terrane.

(22)

Inquadramento generale

Fig. 7 Schemariassuntivo della NVL.

Il Wilson Terrane, che rappresenta l’unità tettonica più interna verso il cratone Antartico, secondo alcuni autori (Tessensohn, 1997; Ferraccioli & Bozzo, 1999) sarebbe da non considerarsi un vero e proprio terrane, in quanto non esisterebbero limiti, tra di esso ed il cratone.

E’ costituito da rocce metamorfiche di grado variabile; da metasedimenti, a scisti e gneiss di medio ed alto grado, e da granuliti che potrebbero

(23)

Inquadramento generale

rappresentare frammenti di crosta continentale profonda coinvolti nell’orogenesi di Ross (Talarico et al., 1992).

All’interno del Wilson Terrane si posso distinguere due complessi principali (Talarico et al., 1992): un complesso pre-Cambriano (Snowy Point Gneiss Complex), costituito da rocce di alto grado metamorfico, da migmatiti a granuliti; ed una sequenza di rocce metamorfiche originate da sequenze torbiditiche (Priestley Formation), in discordanza con lo Snowy Point Gneiss Complex.

La litologia dominante, comunque, è costituita dai Granite Harbour Intrusives, che intrudono entrambi i complessi in maniera importante. Come detto, la messa in posto di questi granitoidi ad affinità calco-alcalina è legata alla subduzione verso SW della placca pacifica al di sotto del cratone. Queste intrusioni sono esclusive del Wilson Terrane e non si ritrovano negli altri due terranes (fig.7).

All’interno del Wilson Terrane è presente inoltre una serie di unità tettoniche con caratteristiche di temperatura e pressione variabili: il Deep Freeze Range, il Daniels Range ed il Morozumi Range (Talarico et al., 1992) (fig.7), con un regime di alta temperatura e bassa pressione; Mountaineer, Salamander e Lanterman Range (Castelli et al., 1993) (fig.7) , di alta temperatura e medio-bassa pressione; ed un’unità più sottile che evidenzia regimi di alta temperatura e medio-alta pressione, Dessent ridge Unit (fig.7), che non contiene intrusioni granitiche.

In particolare in quest’ultima unità, il ritrovamento di rocce metamorfiche in facies eclogitica (Pertusati et al., 1994; Ricci et al., 1996; Di Vincenzo et al., 1997) indicherebbero condizioni di pressione e temperatura più elevate.

(24)

Inquadramento generale

Il Bowers Terrane si estende per circa 400 km in una fascia che va dal Mariner Glacier, sul Mare di Ross, fino alla Rennick Bay, sull’Oceano Pacifico. E’ una fascia non molto larga, in media 40 km, confinata tra la Lanterman Fault e la Leap Year Fault (fig.7), costituita dal Bower Supergroup, un insieme di rocce vulcaniche e sedimentarie di età Cambriano-Ordoviciano inferiore (Stump, 1995 b).

All’interno del Bowers Supergroup si distinguono tre gruppi litologici (GANOVEX Team, 1987): lo Sledgers Group (Glasgow Volcanics + Molar Formation), il Mariner Group e lo Leap Year Group.

Lo Sledgers Group comprende: Glasgow Volcanics, costituiti principalmente da pillow lava, vulcaniti mafiche, brecce vulcaniche e tufi, al di sopra delle quali, arenarie e conglomerati formano la Molar Formation (Cambriano medio).

Il Mariner Group, è formato da calcari e argille fossiliferi, intercalati spesso con conglomerati, mentre lo Leap Year Group da quarziti deltaico-fluviali, e conglomerati ricchi in quarzo. Le caratteristiche delle rocce sedimentarie evidenziano un possibile ambiente di scarpata. Inoltre il Bowers Terrane è caratterizzato da una serie di pieghe chiuse il cui asse ha un andamento parallelo all’allungamento del terrane (NW-SE).

Il Robertson Bay Terrane, il più nordorientale dei tre, largo circa 200 km, è costituito da una sequenza molto spessa di sedimenti marini di piattaforma continentale, torbiditici, conosciuta come Robertson Bay Group, di età Cambriano-Ordoviciano inferiore. La sequenza risulta piegata e debolmente metamorfosata, ed intrusa da corpi plutonici , di età Devoniano-Carbonifero, dell’Admiralty Intrusives (Talarico et al., 1992).

(25)

Inquadramento generale

Gli Admiralty Intrusives, che rappresentano il secondo grande fenomeno intrusivo della NVL, affiorano principalmente nel Robertson Bay Terrane, ma anche nel Bowers Terrane e probabilmente nel margine orientale del Wilson Terrane (GANOVEX-ItaliAntartide, 1995), (fig.7). Gli Admiralty Intrusives mostrano caratteristiche geologiche e petrografiche abbastanza uniformi; sono indeformati, costituiti da plutoni di composizione granodioritica, ed in qualche caso anche tonalitica e granitica. Sono calcalcalini principalmente di tipo-I (Chappell & White, 1974). Ciò pone un importante limite a circa 350 Ma (Kreuzer et al., 1981) per quanto riguarda l’età della formazione di questo collage di terranes. Il fatto che siano privi di effetti deformativi, indicherebbe il fatto che siano postettonici (Stump, 1995 c). Per quanto riguarda l’attività più recente nella NVL, e più in generale nella Victoria Land, questi è caratterizzata durante il Cenozoico da un’intensa attività vulcanica, tuttora presente. In particolare, tutte le rocce vulcaniche Cenozoiche situate tra il Ross Embayment e le Transantarctic Mountains, costituiscono un gruppo definito McMurdo Volcanic Group (fig.7), suddiviso in diverse province: Hallett, Melbourne ed Erebus. Queste province sono state suddivise sulla base della distribuzione areale e sulle caratteristiche tettoniche. I centri vulcanici all’interno del McMurdo Volcanic Group presentano diversità di forma e struttura. Vanno da piccoli coni di scorie Fig. 8 Distribuzione del McMurdo Volcanic

Group nella provincia vulcanica di Hallett (McIntosh & Kyle 1990, modificata)

(26)

Inquadramento generale

e colate di poche decine di metri quadri, fino ad enormi strutture quali ad esempio il Mt. Erebus ed il Mt. Melbourne che danno il loro nome alle rispettive provincie vulcaniche. Il Mt. Erebus, che domina la Ross Island, è uno dei vulcani più attivi del mondo; si tratta di un vulcano composito con piccole bocche parassite. Il Mt. Melbourne invece è uno stratovulcano che fa parte di un largo campo lavico di vulcani subglaciali e subaerei (Kyle, 1990). In particolare, la provincia di Hallett della NVL, che si estende più o meno in modo continuo per circa 250 km, è costituita da una catena di vulcani tra i quali quattro complessi di vulcani a scudo: Adare, Hallett e Daniell Peninsula, e Coulman Island (fig.8), (McIntosh & Kyle, 1990).

L’Adare Peninsula è costituita da un vasto complesso, di forma allungata e stretta, con il margine est caratterizzato da ripide scogliere, ed altezze fino a 2000 m, ed il margine ovest con altezze intorno ai 1000 m ed un profilo meno ripido. L’aspetto generale dell’Adare Peninsula suggerisce che esso possa rappresentare la porzione di un più largo edificio eroso, ipotesi questa supportata da dati batimetrici.

Nella sua parte centrale è presente il maggiore centro vulcanico, come evidenziato dalla topografia e dalla presenza di dicchi associati ad alterazione idrotermale. Questo

centro comprende una caldera situata in una depressione ora occupata dal Nameless Glacier (Fig.9), due bocche lungo la cresta dell’Adare Peninsula, ed

Fig. 9 Mappa generalizzata della Adare Peninsula (McIntosh & Kyle 1990, modificata).

(27)

Inquadramento generale

altre tre bocche, erose, situate ad Est della penisola (fig.9); inoltre nella zona a Sud due coni di scorie a Cape MacCormick.

La Hallett Peninsula rappresenta il fianco occidentale di un complesso di vulcani a scudo sovrapposti, confinanti ad est con il Ross Sea, ed a sud con il Tucker Glacier (fig.10). Inoltre è uno dei complessi vulcanici meglio studiati di tutta la provincia, con diverse località descritte petrograficamente, tra le quali Redcastle Rock.

Fig. 10 Mappa generalizzata della Hallett Peninsula (McIntosh & Kyle 1990, modificata).

(28)

Campionamento

Capitolo 2

C

AMPIONAMENTO

Durante la XVII Spedizione del Progetto Antartide, un campo remoto (Campo Hallett) è stato allestito nella Hallett Peninsula sul lato Est della conca sottostante Redcastle Rock, alla estremità meridionale dell’insenatura Edisto Inlet. Dal Campo Hallett sono state svolte attività da parte di tre gruppi di ricerca operanti in sinergia logistica e scientifica. Un gruppo della Università di Genova ha svolto ricerche di tipo geofisico con metodologie aeromagnetiche. Un gruppo della Università di Roma Tre ha svolto ricerche di tipo geologico strutturale. Un gruppo misto Università di Pisa e IGG-CNR ha svolto ricerche di tipo petrologico-vulcanologico sulle rocce vulcaniche Cenozoiche del McMurdo Volcanic Group nelle penisole costiere di Daniell, Hallett e Adare e nel relativo entroterra delle Victory e Admiralty Mountains.

(29)

Campionamento

Le penisole di Daniell, Hallett e Adare sono costruite tramite la coalescenza di edifici vulcanici complessi, e sono generalmente sormontati da apparati compositi di coni di scorie (foto 1) parzialmente saldate.

Altri apparati di piccole dimensioni, sia singoli che multipli, sono stati rinvenuti nelle zone interne fino a oltre 100 km di distanza dalla costa del Mare di Ross. In questi coni di scorie, sia nei grandi apparati costieri che negli apparati minori più interni sono stati rinvenuti xenoliti di origine profonda, sia crostale che mantellica, eruttati sotto forma di "cored bombs". Xenoliti crostali sono stati campionati in 9 diversi apparati.

Fig. 2. Coni di scorie – Cape McCormick

Le dimensioni degli xenoliti crostali campionati varia da circa 2 a circa 20 cm di diametro, e la loro forma è prevalentemente ellissoidica con assi simili tra loro. L’aspetto macroscopico dei campioni ha permesso di distinguere sul terreno due gruppi principali. Gli xenoliti più comuni presentano una tipologia felsica a grana medio-grossa, ricca in quarzo e feldspato, e frequentemente

(30)

Campionamento

presentano vene scure di aspetto vetroso tra i cristalli. Xenoliti a composizione gabbroide sono meno comuni e presentano dimensioni sempre inferiori ai 10 cm.

In questo lavoro sono stati considerati 39 xenoliti, 36 sezioni sottili, 50 analisi al SEM-EDS su 4 campioni, 21 campioni analizzati in XRF, 12 campioni analizzati in ICP MS.

(31)

Metodi analitici

Capitolo 3

M

ETODI ANALITICI

3.1

P

REPARAZIONE DEI CAMPIONI

3.1.1GRANULATI E POLVERI

Per ogni campione è stata preparata una sezione sottile per l’analisi petrografica della roccia, un granulato ed una polvere per l’analisi chimica.

Per la preparazione delle polveri si è proceduto alla frantumazione della roccia tramite un mulino a ganasce, in modo da ottenere un granulato, successivamente quartato manualmente e pronto per la polverizzazione.

La polverizzazione è avvenuta tramite l’utilizzo di un mulino planetario Retch a quattro giare di agata.

3.1.2 SEZIONI SOTTILI

Sono state preparate 36 sezioni sottili di campioni di roccia, utilizzate per la descrizione petrografica e tessiturale.

3.2

P

ETROGRAFIA E CHIMICA DELLE FASI

3.2.1 OSSERVAZIONI AL MICROSCOPIO OTTICO

Tutte e 36 sezioni sottili, sono state osservate al microscopio da petrografia, e per ogni sezione è stata fatta una descrizione accurata delle fasi presenti, e della loro tessitura.

(32)

Metodi analitici

3.2.2 ANALISI DELLE SINGOLE FASI

La composizione chimica dei principali minerali su 4 campioni per un numero totale di 50 analisi è stata determinata attraverso la microanalisi, con un sistema a dispersione di energia EDAX PV 9900 montato su di un Microscopio Elettronico a Scansione Philips XL30, presso il Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Pisa.

Il software utilizzato (EDAX DX4 2.11, 1996) permette di eseguire determinazioni microanalitiche senza la necessita di standars esterni di riferimento e consente, quindi, una maggiore velocità di analisi rispetto ai metodi classici.

Tale metodo comporta tuttavia la necessità di normalizzare le analisi ad un valore fisso (di solito 100). La taratura del programma è stata eseguita mediante l’impiego di 29 standards internazionali di minerali e vetri, secondo la procedura suggerita da Leoni et al.(1989).

I risultati ottenuti hanno mostrato, per gli elementi maggiori, precisioni ed accuratezze comparabili a quelle ottenibili con il sistema di microsonda VDS.

Per le determinazioni microanalitiche sono state usate sezioni sottili lucide del diametro di 1 pollice, metallizzate con un film di carbonio dello spessore di 35 nm.

Le condizioni strumentali erano le seguenti: tensione di accelerazione 20 kV; angolo di tilt 0°; angolo di take-off 35°16’; tempo di conteggio 100’’; conteggi al secondo ~2700; diametro del fascio elettronico 0,2-0,5 µm; spessore della finestra 0,3 µm.

La correzione degli effetti di matrice (ZAF) è stata effettuata utilizzando gli algoritmi di Duncumb e Reed (1968), Philibert (1963), Love (1978) e Reed (1965).

(33)

Metodi analitici

3.3

A

NALISI

C

HIMICHE ROCCE TOTALI

3.3.1 ANALISI DEGLI ELEMENTI MAGGIORI

Le concentrazioni degli elementi maggiori sono state ottenute tramite l’analisi in fluorescenza a raggi X su perle appositamente preparate presso il Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Pisa.

La preparazione delle perle consiste nella fusione a 1000°C del campione con metaborato di litio (Rapporto Sali/campione=7/1) all’interno di un crogiolo di platino.

Dopo 15 minuti il fuso viene raffreddato molto velocemente, e il vetro ottenuto può essere analizzato in fluorescenza a raggi X.

Per la determinazione dei seguenti elementi, espressi in ossidi come percentuali in peso, SiO2, TiO2, Al2O3, Fe2O3, MnO, MgO CaO, Na2O, K2O è stato utilizzato uno spettrometro ARL9400 XP+ con tubo di Rh (per i dettagli sulle metodologie strumentali, gli effetti di matrice e gli errori analitici vedere Franzini et al., 1975)

3.3.2 ANALISI DEGLI ELEMENTI IN TRACCIA

Per la determinazione degli elementi in traccia sono stati analizzati … campioni (i diversi tipi analizzati)

Le analisi sono state effettuate con il metodo dell’ICP-MS (Inductively Coupled Plasma-Mass Spectrometry), con lo strumento Fisons PQII+Ste del Dipartimento di Scienze della Terra dell’ Università di Pisa. Gli elementi determinati con questo metodo sono: Be, Sc, V, Cr, Ni, Rb, Sr, Nb, Cs, Ba, tutte le REE, Hf, Ta, Pb, Th, U.

(34)

Metodi analitici

I campioni sono stati preparati a partire da polveri, che sono state sottoposte a ripetuti attacchi con HF e HNO3 e portate in soluzione acida con solido totale disciolto <1mg/ml in matrice di 2% HNO3 in acqua deionizzata; a questo punto sono stati aggiunti nelle soluzioni Rh, Re, Bi come standard interni.

Le analisi sono state effettuate in due serie di misura ed entrambe le volte sono state analizzati un bianco, lo standard di calibrazione BE-N e un in-house standard (He-1) ed uno standard internazionale (RGM-1); le misure ottenute quindi sono state corrette con la sottrazione del bianco e con il controllo della deriva strumentale.

(35)

Descrizione petrografica

Capitolo 4

D

ESCRIZIONE PETROGRAFICA

I campioni raccolti nelle diverse località sede di campionamento già ad una prima analisi macroscopica presentano caratteristiche diverse, sia dal punto di vista tessiturale che mineralogico. Hanno dimensioni variabili da pochi centimetri fino a circa 20 cm (fig. 1), e sono stati ritrovati come xenoliti all’ interno di lave, o anche all’interno di cored-bomb in coni di scorie.

Fig. 1. Variabilità dimensionale dei campioni raccolti.

Dal punto di vista tessiturale si presentano per lo più con una tessitura granoblastica, con diverse associazioni mineralogiche; plagioclasio, quarzo, clinopirosseno, ortopirosseno, K-feldspato, sono i minerali più abbondanti, ma in qualche campione all’analisi microscopica, sono stati riconosciuti anche cristalli di olivina, mentre sono assenti granato e spinello; una nota da sottolineare è la presenza in alcuni campioni di sottili vene di materiale

(36)

Descrizione petrografica

dall’aspetto vetroso. Si distinguono bene in sezione sottile, quelle che sembrano essere infiltrazioni di lava, intorno ai bordi dello xenolite e vicino al contatto, dal vetro interstiziale che è più o meno diffuso all’interno dello xenolite e la cui origine potrebbe essere ricondotta ad infiltrazioni della lava ospite o a fusione incipiente dello xenolite stesso. Il colore degli xenoliti varia dal grigio, al bianco, fino a colori molto scuri, in funzione delle associazioni mineralogiche. Non presentano particolari foliazioni o layering, e solo in alcuni casi, che riguardano i campioni con maggiore evidenza di vene di vetro, si ha una anisotropia visibile ad occhio nudo. Passando ad una attenta analisi microscopica degli xenoliti, è stato ritenuto opportuno suddividerli in tre categorie: felsici, mafici ed alcalini, rispettivamente indicati con i simboli F , M ed A (Tabella 1 e 2).

4.1 X

ENOLITI FELSICI

(F)

Questi xenoliti, che sono i più

abbondanti (19), sono rappresentativi di quattro diverse località: Cape McCormick, Nameless Glacier, Redcastle Rock e Murray Glacier. Sono, nella maggior parte dei casi, costituiti da plagioclasio e quarzo, ed in quantità minori da ortopirosseno e

(37)

Tabella 1

Tabella riassuntiva delle principali caratteristiche petrografiche

Località Tipo Tessitura Deformazione Infiltrazione

26.01.02 DS 4B/4 Cape McCormick M I - V 26.01.02 DS 4B/2 Cape McCormick M I - -26.01.02 DS 4B/1 Cape McCormick M I - -27.01.02 DS 15/4 Nameless Glacier M II - -27.01.02 DS 15/2 Nameless Glacier M II - -27.01.02 DS 15/1 Nameless Glacier M II - V 18.01.02 DS 1C/1 Redcastle Rock M II - V 14.01.02 DS 12 Elder Glacier M II - VV 26.01.02 DS 4B/3 Cape McCormick M I - V

26.01.02 DS 4A/34 Cape McCormick M - ** V

26.01.02 DS 4A/6 Cape McCormick F - ** V

26.01.02 DS 4A/29 Cape McCormick F - * V

26.01.02 DS 4A/28 Cape McCormick F - * V

26.01.02 DS 4A/27 Cape McCormick F - * VV

26.01.02 DS 4A/25 Cape McCormick F - ** VV

26.01.02 DS 4A/16 Cape McCormick F - * VV

26.01.02 DS 4A/7 Cape McCormick F - * VV

26.01.02 DS 4A/23 Cape McCormick F - ** VV

26.01.02 DS 4A/4 Cape McCormick F - - V

26.01.02 DS 4A/1 Cape McCormick F - * VV

23.01.02 DS 16 Mt. Burton F I - V

18.01.02 DS 1B Redcastle Rock F - * V

17.01.02 DS 5/9 Murray Glacier F - *

-17.01.02 DS 5/5 Murray Glacier F - * V

17.01.02 DS 5/3 Murray Glacier F I * V

26.01.02 DS 4A/3 Cape McCormick FC - * V

26.01.02 DS 4A/2 Cape McCormick FC - * V

18.01.02 DS 1C/2 Redcastle Rock F G - V

18.01.02 DS 1A/1 Redcastle Rock F G * V

27.01.02 DS 13/10 Nameless Glacier A C - -27.01.02 DS 13/9 Nameless Glacier A C - -27.01.02 DS 13/7 Nameless Glacier A C - -27.01.02 DS 13/5 Nameless Glacier A C - -27.01.02 DS 13/4 Nameless Glacier A C - -27.01.02 DS 13/3 Nameless Glacier A C - -27.01.02 DS 13/2 Nameless Glacier A C - V Legenda

M= Mafico, F= Felsico, A= Alcalino, FC=Felsico charnockitico

I= Tessitura ignea visibile, II= Tessitura ignea ben preservata, G= tessitura di tipo granitoide C= Tessitura con fasce cataclastiche, V= scarsa quantità di vene vetrose (<1%)

VV= moderata quantità di vene vetrose (<3%) Sigla campione

(38)

Tabella 2

Tabella riassuntiva delle fasi presenti, tipo, ed infiltrazioni di lava

Località Tipo Plg Cpx Opx K-Fs Qtz Anf Ol Oxd Ep Infiltrazione

26.01.02 DS 4B/4 Cape McCormick M X X X x V 26.01.02 DS 4B/2 Cape McCormick M X X X x X -26.01.02 DS 4B/1 Cape McCormick M X X X X -27.01.02 DS 15/4 Nameless Glacier M X X x -27.01.02 DS 15/2 Nameless Glacier M X X X -27.01.02 DS 15/1 Nameless Glacier M X X x V 18.01.02 DS 1C/2 Redcastle Rock F X x V 18.01.02 DS 1C/1 Redcastle Rock M X X X x V 14.01.02 DS 12 Elder Glacier M X X X VV 26.01.02 DS 4B/3 Cape McCormick M X X X x X V

26.01.02 DS 4A/34 Cape McCormick M X X X X V

26.01.02 DS 4A/6 Cape McCormick F X X X X X V

26.01.02 DS 4A/29 Cape McCormick F X X X X V

26.01.02 DS 4A/28 Cape McCormick F X x X V

26.01.02 DS 4A/27 Cape McCormick F X X VV

26.01.02 DS 4A/25 Cape McCormick F X X X VV

26.01.02 DS 4A/16 Cape McCormick F X X X VV

26.01.02 DS 4A/7 Cape McCormick F X x X X VV

26.01.02 DS 4A/23 Cape McCormick F X x x VV

26.01.02 DS 4A/4 Cape McCormick F X X X X V

26.01.02 DS 4A/3 Cape McCormick FC X X X X X V

26.01.02 DS 4A/2 Cape McCormick FC X x X X V

26.01.02 DS 4A/1 Cape McCormick F X X x VV

23.01.02 DS 16 Mt. Burton F X X X X V

18.01.02 DS 1B Redcastle Rock F X X V

17.01.02 DS 5/9 Murray Glacier F X X

-17.01.02 DS 5/5 Murray Glacier F X x X V

17.01.02 DS 5/3 Murray Glacier F X X X V

18.01.02 DS 1A/1 Redcastle Rock F X X V

27.01.02 DS 13/9 Nameless Glacier A x X x V 27.01.02 DS 13/10 Nameless Glacier A x X X x -27.01.02 DS 13/7 Nameless Glacier A X X x X -27.01.02 DS 13/5 Nameless Glacier A X X x X -27.01.02 DS 13/4 Nameless Glacier A X X X -27.01.02 DS 13/3 Nameless Glacier A X X X x -27.01.02 DS 13/2 Nameless Glacier A X X X x V Legenda

M= Mafico F= Felsico A= Alcalino X= presente x= presente in minore quantità

(39)

Descrizione petrografica

Fig. 3 Xenolite di tipo felsico (F) incluso in “cored bomb”

In molti casi, già ad occhio nudo, si notano infiltrazioni di lava più o meno importanti, verso il

bordo dello xenolite di colore variabile. Durante la preparazione dei campioni per le analisi chimiche si è fatta molta attenzione ad escludere queste infiltrazioni dalla

parte di campione macinato (fig. 2).

(40)

Descrizione petrografica

Dal punto di vista microscopico, gli xenoliti felsici sono caratterizzati da una tessitura granoblastica, con una grana variabile da media a fine, con contatti tra i cristalli da ameboidi,

interlobati a poligonali. In figura 4 si può notare la tessitura di questi xenoliti e le infiltrazioni di lava più scura che le interessano. Il plagioclasio si presenta in cristalli di varia grandezza, e spesso con geminazione a

lamelle polisintetiche, che risulta in molti casi

leggermente piegata, ad indicare insieme da altre caratteristiche, quali una leggera estinzione ondulata, i fenomeni di deformazione e stress subiti (fig. 5).

Il quarzo si presenta, per lo più, con una tessitura pavimentosa, in cristalli ricristallizati subgrain, con

giunti tripli a 120° (figura 6 a-b), e dimensioni variabili. Spesso al contatto tra i vari cristalli, si trova una

ricristallizzazione di dimensioni più piccole, che li

borda (fig. 7).

L’ortopirosseno, dalle caratteristiche ottiche

Fig. 5. Plagioclasio con geminazione deformata (nicols incrociati).

(41)

Descrizione petrografica

iperstene, è presente in quantità, più o meno abbondanti, leggermente alterato, ed in qualche caso leggermente fratturato. I fenomeni di deformazione e stress sono evidenti anche per il quarzo che infatti mostra spesso estinzione ondulata e fratture. Il quarzo

in modo particolare, ma anche il plagioclasio in alcuni casi, è concentrato lungo delle fasce cataclastiche, (fig. 7). Le rocce con questo tipo di associazione mineralogica, e con queste caratteristiche tessiturali, posso essere

classificate come granuliti enderbitiche1 (figura 9) , nel caso il

1

Per enderbite si intende una roccia metamorfica di composizione tonalitica, composta da plagioclasio e ortopirosseno, tipicamente iperstene.

Fig. 7. Estinzione ondulata per il quarzo con riciristallizzazione subgrain tra i cristalli, e fasce cataclastiche (nicols incrociati).

Fig. 8. Vetro interstiziale (nicols paralleli).

Figura 6b. Foto al SEM-EDS di pellicole di vetro in corrispondenza di giunti tripli tra cristalli di quarzo.

(42)

Descrizione petrografica

pirosseno sia meno abbondante, oppure come granuliti charno-enderbitiche2, nei casi in cui il pirosseno è più abbondante.

Alcuni xenoliti contengono delle piccole quantità di vetro interstiziale, al contatto tra i cristalli; vetro che potrebbe essere considerato fuso infiltrato ed intrappolato, oppure un prodotto di una fusione indotta da fluidi caldi infiltratisi prima dell’intrappolamento degli xenoliti, o dovuto ad una fusione per riscaldamento dello xenolite al momento dell’intrappolamento (fig. 8) (vedi analisi SEM-EDS nel paragrafo seguente).

Una particolare categoria di xenoliti felsici sono alcuni xenoliti, campionati in località Redcastle Rock, costituiti dal plagioclasio, quarzo, pirosseno, e cristalli di microclino. Il plagioclasio geminato albite-Karlsbad, ben formato, allungato (figura 18), si differenzia molto dalla tipica tessitura granulitica, ad indicare una probabile appartenenza a rocce intrusive originariamente di crosta continentale. Questo gruppo, che indicheremo con la lettera G (granitico), nel diagramma classificativo di figura 9, ricade nel campo delle granuliti charnockitiche3.

2

Per charno-enderbite si intende una roccia metamorfica con composizione granodioritica, con ortopirosseno tipicamente iperstene.

3

(43)

Descrizione petrografica

a

b

c

Figura 18. a) Plagioclasio allungato lungo circa 6 mm, con geminazione albite-Karlsbad. b) Cristallo di microclino c) Cristallo di feldspato con geminazione albite-Karlsbad

(44)

Descrizione petrografica

Figura 9. Schema classificativo QAP (Streckeisen, 1978), per le rocce metamorfiche del gruppo delle granuliti di alto grado ad iperstene.

Il diagramma classificativo in figura 9, fa riferimento al triangolo classificativo QAP di Streckeisen (1978) modale, gli end-member usati si riferiscono però in questo caso rispettivamente al valore normativo di quarzo (Q), al valore normativo di plagioclasio Ab/Ab+An (P) ed al valore normativo di feldspato alcalino (A).

(45)

Descrizione petrografica

4.2 X

ENOLITI MAFICI

(M)

Gli xenoliti mafici (11), rappresentativi delle località Cape McCormick, Nameless Glacier, Redcastle Rock, Mt.Burton, Elder Glacier, sono costituiti fondamentalmente da ortopirosseno, clinopirosseno, plagioclasio, e rari cristalli di quarzo, con magnetite, apatite, ilmenite come minerali accessori. In un solo campione (26.01.02 DS 4B/1) è presente olivina, alterata e leggermente fratturata.

Macroscopicamente (figura 10) si nota subito, rispetto agli xenoliti felsici, la differenza di colore, e maneggiando il campione ci si rende conto della diversa densità.

Fig. 10.Xenolite di tipo mafico (M).

All’analisi microscopica si presentano con una tessitura granoblastica di grana variabile da media a fine e contatti tra i cristalli da poligonali ad interlobati. Si possono distinguere due tipologie di xenoliti mafici, leggermente diversi dal punto di vista tessiturale. Uno con contatti più poligonali,

(46)

Descrizione petrografica contatti poligonali meno abbondanti (figure 13 e 14). L’ortopirosseno, leggermente

pleocroico dal verde pallido al marrone pallido, si ritrova in

cristalli anedrali e subedrali, in

qualche caso fratturati e con un leggero bordo di reazione (figura 11 e 12); il

clinopirosseno verde (diopside-augite), è presente

in quantità simili a quelle dell’ortopirosseno in un tipo di xenolite (figura 11) nell’altro caso è leggermente

instabile, con cristallizzazione di ossidi ed

alterazione lungo fratture (figure 13 e 14). Il plagioclasio, fase meno abbondante delle tre, si presenta qualche volta zonato,

Figura 11. Scansione di una sezione sottile degli xenoliti mafici

(47)

Descrizione petrografica fenomeni di stress e deformazione grazie al piegamento della stessa geminazione . I contatti tra i cristalli formano spesso giunti tripli tipici delle tessiture granulitiche

(figura 12). Al

contatto tra i cristalli, subedrali-anedrali, a volte si trovano ricristallizzazioni subgrain di plagioclasio e/o quarzo, ed anche una matrice vetrosa interstiziale, forse dovuta ad infiltrazione di fuso, oppure dovuta ad una fusione per riscaldamento dello xenolite al momento dell’intrappolamento. Dalle

tessiture osservate e dall’associazione mineralogica queste rocce posso essere classificate come pyriclasiti4 e granuliti enderbitiche in funzione della quantità più o meno abbondante di quarzo (figura 9).

Figura 13. Scansione di una sezione sottile di xenolite mafico

Figura 14. Foto a nicols incrociati di un particolare della sezione in foto 13.

(48)

Descrizione petrografica

4.3 X

ENOLITI ALCALINI

(A)

Fig. 15. Xenolite di tipo alcalino (A)

Gli xenoliti alcalini, campionati tutti in località Nameless Glacier, sono costituiti quasi esclusivamente da K-feldspato, clinopirosseno in quantità molto subordinate, e minerali accessori quali epidoto ed ossidi di ferro e titanio.

Macroscopicamente mostrano un colore più uniforme, rispetto agli altri due tipi a causa della loro minore variabilità mineralogica.

In questo tipo di xenolite (figure 15 e 16) le infiltrazioni di lava sono quasi del

tutto assenti. Microscopicamente

questi xenoliti hanno tessitura granoblastica, con contatti tra i cristalli

(49)

Descrizione petrografica

grana medio-fine (figura 17), e non presentano particolari fenomeni di deformazione.

Fig. 17. Tessitura granoblastica, ameboide in uno xenolite alcalino (nicols paralleli-sx e nicols incrociati-dx).

Il K-feldspato, in cristalli anedrali ed a volte subedrali, è in qualche caso interessato da fenomeni di smescolamento. Il clinopirosseno, aegirina/aegirina -augite da subedrale ad anedrale, in cristalli allungati di colore verde, in scarsa quantità è a volte fratturato, alterato e/o ossidato in corrispondenza delle fratture stesse. Per quanto riguarda l’epidoto, si trova in piccoli cristalli di colore grigio pallido, con i classici colori di birifrangenza elevati. Queste rocce così ricche di K-feldspato, e con questa tessitura, nel diagramma di classificazione usato (figura 9), ricadono nel campo delle perticlasiti5.

(50)

Descrizione petrografica

4.4 C

HIMICA DELLE FASI

Le analisi chimiche sono state effettuate, come esposto nel capitolo “Metodi Analitici”, tramite microscopio elettronico SEM-EDS.

4.4.1 PLAGIOCLASIO

Il plagioclasio è stato analizzato su due campioni di xenoliti mafici e su due di xenoliti felsici. Per quanto riguarda gli xenoliti mafici, il plagioclasio ha una composizione variabile An44-63, ed ha contenuti di Al e Ca in media più elevati rispetto al plagioclasio analizzato per gli xenoliti felsici, che ha composizione An7-46 (vedi Tabella 3). In figura si nota come un’analisi si discosti dalle altre per il contenuto in ortose; si tratta di un’analisi fatta sul campione 26.01.02 DS 4A/7 che in figura 9 ricade pienamente nel campo delle charno-enderbiti. Probabilmente si tratta di un feldspato alcalino, il che giustifica anche il suo maggior arricchimento in ortose nel triangolo QAP. Le analisi per i campioni che presentavano una zonatura sono state fatte sul nucleo e sul bordo dei cristalli.

(51)

26.01.02 26.01.02 26.01.02 26.01.02 26.01.02 26.01.02 26.01.02 26.01.02 26.01.02 26.01.02 26.01.02 26.01.02 DS 4B/1 DS 4B/1 DS 4B/1 DS 4B/1 DS 4B/2 DS 4B/2 DS 4B/2 DS 4A/7 DS 4A/7 DS 4A/7 DS 4A/34 DS 4A/34 Plg1 Plg2 Plg3 Plg3 Plg1 Plg1 Plg3 Plg1 Plg1 Plg2 Plg1 Plg2 Nucleo Nucleo Nucleo Bordo Nucleo Bordo Nucleo Nucleo Bordo Nucleo Nucleo Nucleo M M M M M M M F F F M M CMC CMC CMC CMC CMC CMC CMC NG NG NG NG NG 55,84 51,99 55,59 55,50 57,03 56,47 57,03 64,45 64,03 67,23 56,27 56,15 3 28,67 30,35 28,57 28,48 27,48 28,08 27,58 22,53 22,70 22,12 27,94 27,83 -1,02 -10,07 12,61 10,01 10,07 9,43 9,31 9,01 3,10 3,99 1,16 9,61 9,64 5,42 4,03 5,46 5,57 5,59 5,67 5,89 8,49 8,41 6,23 5,73 5,95 -0,36 0,37 0,47 0,47 0,49 1,43 0,87 3,25 0,45 0,43 100,00 100,00 99,99 99,99 100,00 100,00 100,00 100,00 100,00 99,99 100,00 100,00 2,504 2,360 2,499 2,497 2,556 2,533 2,556 2,845 2,827 2,940 2,528 2,525 1,515 1,624 1,514 1,511 1,452 1,485 1,457 1,172 1,181 1,140 1,479 1,475 0,000 0,035 0,000 0,000 0,000 0,000 0,000 0,000 0,000 0,000 0,000 0,000 0,484 0,613 0,482 0,486 0,453 0,447 0,433 0,147 0,189 0,054 0,463 0,465 0,471 0,355 0,476 0,486 0,486 0,493 0,512 0,727 0,720 0,528 0,499 0,519 0,000 0,000 0,021 0,021 0,027 0,027 0,028 0,081 0,049 0,181 0,026 0,025 50,659 63,358 49,264 48,907 46,903 46,249 44,489 15,372 19,709 7,115 46,844 46,082 49,341 36,642 48,627 48,953 50,314 50,971 52,630 76,185 75,174 69,150 50,544 51,470 -2,110 2,140 2,783 2,780 2,881 8,443 5,117 23,735 2,612 2,447

(52)

Descrizione petrografica

4.4.2 ORTOPIROSSENI

E’ stato analizzato l’ortopirosseno sia in campioni di xenoliti mafici che di categoria felsica. L’ortopirosseno (Tabella 4) non presenta grosse differenze tra i due tipi di xenoliti, l’unica leggera differenza è nel maggiore contenuto di Fe negli xenoliti felsici. Per gli xenoliti mafici la composizione dell’ortopirosseno è Wo2-En37-56-Fs43-47, mentre per gli xenoliti felsici è Wo1-2-En35-56-Fs42-63 , con la componente ferrosilite a sottolineare questa differenza.

4.4.3 CLINOPIROSSENI

Il clinopirosseno, analizzato solo in xenoliti di categoria mafica, con CaO in media ~20% e MgO~13% in peso, ha composizione diospide-augite (vedi Tabella 4-b).

Fig. 2Quadrilatero classificativo dei pirosseni.

(53)

Descrizione petrografica

figura 4. Si trova in cristalli, in crescita sul clinopirosseno, oppure nel plagioclasio insieme al clinopirosseno (tipo pecilitico) (fig. 3).

Fig. 3

(54)

26.01.02 26.01.02 26.01.02 26.01.02 26.01.02 26.01.02 26.01.02 26.01.02 26.01.02 26.01.02 26.01.02 26.01.02 DS 4B/2 DS 4B/2 DS 4B/2 DS 4B/2 DS 4A/7 DS 4A/7 DS 4A/7 DS 4A/7 DS 4A/7 DS 4A/34 DS 4A/34 DS 4A/34 M M M M F F F F F F M M CMC CMC CMC CMC NG NG NG NG NG NG NG NG 51.51 51.83 48.03 51.45 49.72 50.00 49.75 49.87 50.95 51.69 51.63 51.99 1.98 2.21 1.83 2.16 0.74 0.86 1.03 0.72 1.99 1.91 2.02 1.92 25.22 24.85 30.08 25.40 34.55 34.22 34.18 34.50 27.88 26.36 25.71 25.99 1.13 1.15 1.26 1.28 2.20 2.40 2.30 2.22 1.65 -0.81 -19.36 19.30 18.13 19.03 12.05 11.57 11.84 11.68 16.16 19.34 19.27 19.37 0.79 0.67 0.67 0.66 0.75 0.94 0.91 0.81 0.85 0.71 0.56 0.73 -0.20 0.53 -99.99 100.01 100.00 99.98 100.01 99.99 100.01 100.00 100.01 100.01 100.00 100.00 1.951 1.962 1.845 1.953 1.986 2.002 1.988 1.992 1.959 1.958 1.957 1.968 0.088 0.099 0.083 0.097 0.035 0.041 0.049 0.034 0.090 0.085 0.090 0.086 0.009 0.000 0.228 0.000 0.000 0.000 0.000 0.000 0.032 0.000 0.000 0.000 0.789 0.787 0.738 0.806 1.154 1.146 1.142 1.153 0.865 0.835 0.815 0.823 0.036 0.037 0.041 0.041 0.074 0.081 0.078 0.075 0.054 0.000 0.026 0.000 1.093 1.089 1.038 1.077 0.718 0.691 0.705 0.696 0.926 1.092 1.089 1.093 0.032 0.027 0.028 0.027 0.032 0.040 0.039 0.035 0.035 0.029 0.023 0.030 -0.015 0.040 -4.000 4.000 4.000 4.000 4.000 4.000 4.000 4.000 4.000 4.000 4.000 4.000 1.6 1.4 1.4 1.4 1.6 2.1 2.0 1.8 1.8 1.5 1.2 1.5 55.8 56.1 51.9 55.2 36.3 35.3 35.9 35.5 48.5 55.8 55.8 56.2 42.6 42.5 46.7 43.4 62.1 62.7 62.1 62.7 49.7 42.7 43.1 42.3

(55)

4 -b 26.01.02 26.01.02 26.01.02 26.01.02 26.01.02 26.01.02 26.01.02 26.01.02 26.01.02 26.01.02 DS 4B/1 DS 4B/1 DS 4B/1 DS 4B/1 DS 4B/1 DS 4B/1 DS 4B/1 DS 4B/2 DS 4B/2 DS 4B/2 Cpx1 Cpx2 Cpx3 Cpx4 Cpx5 Cpx6 Cpx7 Cpx1 Cpx2 Cpx3 M M M M M M M M M M CMC CMC CMC CMC CMC CMC CMC CMC CMC CMC 50.45 50.60 50.52 47.92 51.81 48.65 50.57 51.56 50.82 50.20 0.47 0.28 0.38 -0.31 0.97 0.55 0.36 0.42 0.48 3 5.28 4.52 4.37 7.77 3.00 6.83 5.22 5.36 4.04 4.29 9.85 11.28 12.04 13.83 11.82 10.05 9.79 9.89 10.82 11.06 -0.42 0.42 -0.28 -0.37 0.57 0.54 12.58 12.31 11.75 8.91 12.65 12.79 12.99 12.33 11.98 11.71 20.43 19.70 19.79 20.97 19.14 19.98 19.60 19.19 20.49 20.79 0.93 0.88 0.73 0.58 1.00 0.73 1.29 0.95 0.85 0.93 99.99 99.99 100.00 99.98 100.01 100.00 100.01 100.01 99.99 100.00 1.874 1.890 1.897 1.817 1.937 1.806 1.870 1.918 1.902 1.879 0.013 0.008 0.011 -0.009 0.027 0.015 0.010 0.012 0.014 0.231 0.199 0.193 0.347 0.132 0.299 0.228 0.235 0.178 0.189 0.063 0.069 0.044 0.062 0.049 0.087 0.095 -0.056 0.093 0.243 0.283 0.334 0.376 0.320 0.226 0.208 0.308 0.282 0.253 -0.013 0.013 -0.009 -0.012 0.018 0.017 0.697 0.686 0.658 0.504 0.705 0.708 0.716 0.684 0.668 0.654 0.813 0.788 0.796 0.852 0.767 0.795 0.776 0.765 0.822 0.834 0.067 0.064 0.053 0.043 0.072 0.053 0.092 0.069 0.062 0.067 4.000 4.000 4.000 4.000 4.000 4.000 4.000 4.000 4.000 4.000 44.8 42.9 43.1 47.5 41.4 43.8 43.3 43.3 44.5 45.1 38.4 37.3 35.6 28.1 38.1 39.0 39.9 38.7 36.2 35.3 16.9 19.9 21.2 24.4 20.5 17.2 16.9 18.1 19.3 19.6

(56)

Descrizione petrografica

4.4.5 VETRO

Durante l’analisi chimica delle fasi al microscopio elettronico SEM-EDS, nei due campioni di xenoliti felsici (26.01.02 DS 4A/7 e 26.01.02 DS 4A/34), sono state analizzate delle vene vetrose (Tabella 5), evidenti già durante l’osservazione al microscopio ottico (figura 1).

Figura 1. Vena vetrosa in uno xenolite felsico (nicols paralleli)

Queste vene vetrose sono talvolta ricche di microliti (figure 2 e 3), per i quali sono state eseguite 4 analisi puntuali per il campione 26.01.02 DS 4A/7 (Tabella 2).

(57)

Descrizione petrografica

In alcuni casi si nota come queste vene si possano essere impostate su delle fratture (figure 4 e 5) dove si notano i margini a gradini delle vene, spesso corrispondenti ai piani di sfaldatura del plagioclasio (vedi anche Wilshire & McGuire, 1996 figura 8).

Figura 4 Figura 5

Per il vetro invece sono state eseguite cinque analisi puntuali su questi due campioni i cui risultati sono in Tabella 1. La composizione del vetro ha contenuti in SiO2 elevati, in particolare per il campione 26.01.02 DS 4A/7, con valori quasi costanti intorno al 73%, e per entrambi valori maggiori in alcali rispetto alla roccia totale (figura 6).

(58)

Descrizione petrografica

Figura 6 Figura 7

Figura 8. Vena vetrosa ricca di microliti impostata sui piani di sfaldatura di un plagioclasio (da Wilshire & McGuire, 1996)

Tabella 5

Analisi chimica del vetro

26.01.02 26.01.02 26.01.02 26.01.02 26.01.02 DS 4A/7 DS 4A/7 DS 4A/7 DS 4A/7 DS 4A/34 Sigla Gl1 Gl2 Gl3 Gl4 Gl1 Tipo F F F F M Località NG NG NG NG NG SiO2 73,41 73,35 73,15 73,77 67,13 TiO2 - - - - 1,50 Al2O3 14,65 13,48 14,40 15,06 11,65 FeO 3,09 3,97 2,74 2,29 6,21 MgO 0,41 0,58 0,54 0,24 0,82 CaO 1,05 0,89 1,17 1,21 3,78

(59)

Descrizione petrografica

Si può notare come i microliti abbiano forme scheletriche, con vertici ben formati e facce a crescita lacunosa a testimoniare una rapida crescita all’interno del vetro (fig. 6 e 7 ).

Tabella 6

Analisi chimica dei

microliti

26.01.02 26.01.02 26.01.02 26.01.02 DS 4A/7 DS 4A/7 DS 4A/7 DS 4A/7 Sigla Ml1 Ml2 Ml3 Ml4 Tipo F F F F Località NG NG NG NG SiO2 51,01 51,51 47,89 51,35 Al2O3 4,88 4,99 5,09 6,74 FeO 28,08 26,63 37,46 33,70 MnO 2,01 1,93 1,49 1,21 MgO 11,22 12,19 6,91 4,01 CaO 1,49 1,91 1,16 1,05 Na2O 0,73 - - 1,48 K2O 0,57 0,84 - 0,46 Total 99,99 100,00 100,00 100,00

Cationi sulla base di quattro cationi e sei atomi di ossigeno

Si 1,99 2,01 1,95 2,07 Ti 0,00 0,00 0,00 0,00 Al 0,22 0,23 0,24 0,32 Fe3+ 0,00 0,00 0,00 0,00 Fe2+ 0,92 0,87 1,28 1,14 Mn 0,07 0,06 0,05 0,04 Mg 0,65 0,71 0,42 0,24 Ca 0,06 0,08 0,05 0,05 Na 0,06 0,00 0,00 0,12 K 0,03 0,04 0,00 0,02 Tot 4,00 4,00 4,00 4,00 Wo 3,67 4,64 2,82 3,10 En 38,45 41,19 23,34 16,47 Fs 57,88 54,17 73,84 80,44

Tipo: Mafico (M), felsico (F)

(60)

Geochimica degli xenoliti

Capitolo 5

G

EOCHIMICA DEGLI XENOLITI

5.1 C

ONCENTRAZIONE DEGLI ELEMENTI MAGGIORI

Gli elementi maggiori determinati per i tre tipi di xenoliti (mafici, felsici ed alcalini), permettono una prima classificazione in funzione del loro contenuto in alcali e silice che sottolinea in modo chiaro le diversità tra i gruppi. All’interno del gruppo definito mafico, dal punto di vista geochimico si possono distinguere tre sottogruppi in funzione del contenuto in SiO2: mafico (MM), intermedio (MI), e relativamente felsico (MF). Questi tre sottogruppi hanno SiO2 variabile da 45,5% a 68,3%, contenuto in alcali (Na2O+K2O) che varia tra 1,34% e 4,38% e contenuto in CaO più elevati rispetto agli altri gruppi con valori compresi tra 5,47% e 14,10%. Gli xenoliti del gruppo felsico (F), con i più elevati contenuti in SiO2 variabili tra 72,40% e 77,16%, alcali in quantità variabili tra 0,92% e 7,96% e CaO da 1,35% a 3,48%, ricadono tutti all’interno del campo delle rioliti/graniti (Middlemost, 1994). Da distinguere due campioni più ricchi in ortopirosseno, definiti felsici charnockitici (FC) (Middlemost, 1994). Gli xenoliti del gruppo alcalino sono suddivisi in due sottogruppi: alcalino di tipo sienitico (AS), ed alcalino mafico (AM). La SiO2 varia dal 36,83% al 64,37%, il contenuto in alcali passa dal 3,06% ai valori elevati del sottogruppo AS con valori fino al 12,11%. Del gruppo definito granitico (G), il campione analizzato, mostra valori alti di K2O (4,68%), nettamente maggiore di qualsiasi altro campione subalcalino, sia mafico che felsico. Per un quadro più completo della variabilità composizionale, vedi Tabella 1. In figura 1 lo schema classificativo

(61)

Geochimica degli xenoliti

molto povero in silice (~37%), al contrario il tipo felsico ed il tipo mafico, ricadono al di sotto della curva di Irvine & Baragar, 1971 che delimita le serie alcaline da quelle subalcaline.

Fig. 1.TAS (Total Alkalis vs Silica), SiO2 e K2O+Na2O sono in wt%.

Per quanto riguarda l’analisi normativa CIPW delle rocce (Tabella 1), anche in questo caso i diversi gruppi sono ben distinguibili, i valori calcolati sono stati inseriti nel diagramma classificativo Streckeisen normativo (fig. 2).

Figura

Figura 2  Mappa del continente antartico con le principali località geografiche citate nel testo
Fig. 3  Il supercontinente Gondwana. La figura evidenzia in modo  schematico i nuclei archeani (&gt;2500 Ma) e quelli proterozoici  (2500-600 Ma); le fasce orogeniche di Ross (450-(2500-600 Ma), di Ellsworth  (200-230 Ma) ed Andina (200-65 Ma)
Fig. 5  Schema che riassume la situazione del supercontinente  Gondwana nel Cambriano, con l’apertura dell’Oceano Pacifico e la  subduzione della placca Pacifica al di sotto del cratone (Dalziel,  1992 modificata)
Figura 4. Scansione di una sezione sottile rappresentativa degli  xenoliti  felsici
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