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L'esame incrociato come tecnica di attuazione del contraddittorio per la prova

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Dipartimento di Giurisprudenza

Corso di laurea magistrale in Giurisprudenza

L’esame incrociato come tecnica di attuazione del

Il Candidato

Federico De Ambris

UNIVERSITA’ DI PISA

Dipartimento di Giurisprudenza

Corso di laurea magistrale in Giurisprudenza

L’esame incrociato come tecnica di attuazione del

contraddittorio per la prova

Il Candidato

Il Relatore

Federico De Ambris

Prof.ssa Valentina Bonini

A.A. 2013/ 2014

Corso di laurea magistrale in Giurisprudenza

L’esame incrociato come tecnica di attuazione del

Il Relatore

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INDICE

Introduzione

4

Capitolo I

1.1- Criteri di distinzione sistema Accusatorio 7 e Inquisitorio

1.2- fisionomia del Codice Rocco 10

1.3- Dal Codice Rocco alla idea di riforma del codice 11 1.4- Linee sulla morfologia della prova dichiarativa

dal codice Rocco 23

1.5- considerazione conclusiva sul quadro di un sistema

misto? 26

Capitolo II

2.1-Principio del contraddittorio:

dal codice Vassalli alla riforma costituzionale 27

Capitolo III

3.1-Introduzione all’esame incrociato 53

3.2- L’art.498 58

3.3.- l’esame «diretto» 62

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3.5- il «riesame» 67

3.6- l’art 499 c.p.p., regole per l'esame testimoniale 68

3.7-il teste «ostile» 76

3.8- la figura del giudice nell'’esame incrociato 77

3.9- l’esame attutito 82 3.10- le contestazioni 88 3.11- conclusione 97 Bibliografia 98 Giurisprudenza 102 Sitografia 103

(4)

Introduzione

L’etimologia del termine contraddittorio individuato quivis de

populo si riconosce nella «discussione pubblica tra due persone

che sostengono e professano idee contrarie»1. Benché riduttiva, l’ interpretazione del principio permette ictu oculi di percepire che ogni forma di contraddittorio seriamente inteso presuppone una «dualità antagonistica e paritetica»2, requisiti questi che si debbono necessariamente accompagnare alla previsione di un soggetto terzo, il cui compito sia di decidere sull'esito del confronto dialettico.

Estendere il metodo del contraddittorio alla giurisdizione penale ha significato aprirsi ad un sistema fondato sulla contesa tra parti soprattutto nella formazione della prova, producendo attraverso il metodo maieutico risultati probatori rispettosi dei diritti e delle personalità delle fonti probatorie. Tale efficacia dialettica ha il dovere, nel suo perpetrarsi, di garantire al soggetto giudicante contezza di una verità probabile quanto mai più vicina a quella storica ed, al contempo, circoscritta in ferree regole di svolgimento. Ebbene, un principio del contraddittorio che si risolve in libera contesa non può e non poteva che mal conciliarsi con regimi autoritari, la « discussione fa presto a corrodere i fondamenti carismatici del potere politico»3. Un modello di natura inquisitorio radicato come quello di epoca fascista -in un passato nemmeno troppo lontano- dispose resistenze

1

G.Giostra, Contraddittorio (principio del), in Enc. Giur. Treccani, vol. VIII,

Roma, 1988, 1.

2

G.Giostra, Contraddittorio (principio del), cit., 2.

3

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ideologiche, le quali, anche dopo la caduta del regime, rallentarono l'ascesa di un sistema garantistico rispettoso del dialogo tra le parti a tutto discapito del monologo previgente. Ed allora, un confronto tra due modelli astratti per carpire gli elementi strutturali di sistemi agli antipodi è condizione preliminare imprescindibile: pubblicità contrapposta alla segretezza, par condicio alla disuguaglianza probatoria, oralità a discapito della scrittura.

Tuttavia la storia ci ha insegnato che passar da un sistema processuale all' altro per mezzo di una legge difficilmente ottenebra un modo di ragionare tenace. Molto tempo fu necessario per accantonare definitivamente la ricerca di una tanto anelata «verità», fine di cui si era fatto esclusivo obiettivo processuale e per la quale, le regole che un vero contraddittorio esige, erano state ritenute solo un ostacolo da aggirare non una roccaforte di diritti e tutele dei protagonisti processuali. Proprio in questo senso la Corte costituzionale sull'onta di un periodo incandescente caratterizzato da stragi di uomini illustri, propose la riedizione di caratteri inquisitori forgiando allo scopo uno sfuggente principio di non dispersione della prova. Contraddittorio versus ricerca della verità, l’idea sottesa nelle sentenze costituzionali degli anni novanta; in questo senso, la perdita di contributi dichiarativi preformati al dibattimento non poteva che risultare poco compresa: «nessuna dissipazione può, in effetti, essere giustificata, quando si ritiene che la prova, di cui è impossibile l'assunzione nel contraddittorio dibattimentale, sia già sostanzialmente contenuta nell'omologo atto di indagine svolto dalla parte»4.

4

(6)

Una riforma costituzionale prendeva corpo al culmine dello scontro tra poteri dello Stato e con essa, il principio del contraddittorio nella formazione della prova.

Con la celebre riforma si chiuse definitivamente il capitolo storico di risultati probatori prodotti con sterile monologo su una verità precostituita, illuminando il processo penale di un necessario confronto tra parti .

Archetipo processuale del contraddittorio poietico, l’esame incrociato. Microcosmo di conflittualità controllata per la prova dichiarativa, è meccanismo asincrono a battute brevi che affida alle parti l'escussione di fonti dichiarative. Previsto già nelle linee della legge delega n. 81 del 1987, il Legislatore lo adottò da sistemi di common law come terreno elettivo della dialettica. Coronamento del contraddittorio venne trasposto in due disposizioni codicistiche e regolato nei modi ovvero nei turni di escussione in quanto: diversi modus procedendi, diverse dichiarazioni, diverse verità. Per concludere, precise regole di conduzione: negano l'accesso a categorie tipizzate di domande, predispongono la dimensione della contesa su fatti specifici, enucleano per individui vulnerabili deroghe all'esame incrociato ed infine, impongono escussioni condotte nel rispetto della persona tradotta in giudizio.

(7)

I

Accusatorio- inquisitorio

Sommario: 1.1- Criteri di distinzione sistema Accusatorio e

inquisitorio; 1.2- fisionomia del Codice Rocco; 1.3- Dal Codice Rocco alla idea di riforma del codice; 1.4- Linee sulla morfologia della prova dichiarativa dal codice Rocco; 1.5- considerazione conclusiva sul quadro di un sistema misto?

1.1- La valutazione comparativa tra il modello processuale inquisitorio e quello accusatorio necessita della preliminare presa di coscienza che si stia trattando di «due modelli ipotetici, ricavati, mediante un'astrazione, a partire da alcuni caratteri reali di ordinamenti esistenti o storicamente ricostruibili»5. È evidente che in concreto non si avrà perfetta corrispondenza all'uno o all'altro tipo ideale, bensì sistemi solo tendenzialmente definibili come accusatori o inquisitori la cui appartenenza al differente tipo dipenderà dai caratteri di volta in volta considerati essenziali all'integrazione del modello. Cercheremo in questa sede di dare

5

G. Illuminati, Accusatorio ed inquisitorio (sistema), in Enciclopedia

(8)

contézza di una serie di principi generali che delineano in sintesi i sistemi di riferimento, fissando così preliminarmente i caratteri essenziali del sistema accusatorio e inquisitorio in assenza dei quali si dovrà escludere che un sistema possa appartenere all'uno o all'altro tipo.

L’impostazione più corretta per rintracciare i tratti fisionomici di questi due modelli processuali pare essere quella della contrapposizione, potendo da essa enucleare i tratti essenziali in una sorta di scaletta: a) il potere di iniziativa e di accusa nel sistema accusatorio spettano a una figura diversa dal giudice, non così nel sistema inquisitorio, per cui l'azione penale è promossa d'ufficio da un organo a cui è attribuita funzione inquirente e giudicante; b) ai caratteri cui è informato il procedimento accusatorio (ovvero la pubblicità così da permettere sull'attività giudiziaria un controllo diffuso, e l'oralità il cui compito è esaltare l'immediatezza nonché la concentrazione dell'attività giudiziaria), si contrappone la segretezza cui il magistrato svolge la procedura nei confronti dell'’inquisito; c) la posizione dell' accusatore e dell'imputato nel sistema accusatorio: di assoluta parità davanti ad un giudice il cui ruolo non è di protagonista della ricerca e della raccolta di prove a carico o discarico, ma di esaminatore di quelle allegate dalle parti. È proprio sulle parti quindi che grava l'onere probatorio nella tendenziale unità di tempo rappresentata dal pubblico dibattimento, ove in contraddittorio si formano le prove; a questo si contrappone la disparità di poteri fra giudice-accusatore ed imputato del modello inquisitorio. Il primo soggetto processuale, difensore della sicurezza collettiva, ha il potere di procedere ad una incondizionata indagine unilaterale scritta e segreta in cui

(9)

provvede alla ricerca, raccolta, e valutazione delle prove comprimendo fortemente il contraddittorio e con ciò la difesa dell'inquisito, al secondo non compete alcun dritto di acquisizione probatoria; d) infine la possibilità data dal sistema accusatorio all’accusato, di difendersi mantenendo la propria libertà personale fino al passaggio in giudicato della sentenza; ben diversa dalla permanente carcerazione preventiva del giudicabile, caratterizzante invece il secondo sistema, quello inquisitorio6.

La distinzione tra i due sistemi è efficacemente sintetizzata anche dalla predisposizione di coppie di opposti come: «Pubblicità - segretezza, oralità-scrittura, accusa privata- accusa ex officio, par

condicio o diseguaglianza probatoria»7. Da quanto precedentemente descritto traspare che il rito inquisitorio conduce alla "verità" pur nella assenza dell'accusato, essendo questo costruito come procedura pubblica d'inchiesta o di indagine; contrariamente il processo accusatorio è una disputa tra due parti di fronte a un giudice terzo ed in cui, scopo della giurisdizione è la composizione di un contrasto intersoggettivo. Segue a quanto fin qui espresso, che regimi democratici tenderanno ad applicare i principi del rito accusatorio e la relativa garanzia del contraddittorio, in una prospettiva di maggiore tutela del diritto di difesa ovvero della libertà dei cittadini; viceversa, i regimi autoritari saranno maggiormente inclini ad abbracciare i principi del rito inquisitorio, in quanto esso tende a privilegiare «l'interesse dello Stato all'affermazione della sua pretesa

6

Cfr. al riguardo G.Pierro, Sistema Accusatorio e inquisitorio, in Digesto

delle discipline penalistiche, Torino, 1997, 323; G. Illuminati, Accusatorio ed Inquisitorio (sistema), cit., 2.

7

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punitiva»8. Si deve per ultimo sottolineare che queste nette distinzioni hanno subito varie attenuazioni e contaminazioni, dando vita ad un sistema sostanzialmente misto.

1.2- Fabbro legale del codice di procedura penale approvato con

r.d. 19 ottobre 1930, in attuazione della legge-delega l. 24 dicembre 1925, n. 2260 , ed entrato in vigore il 1° luglio 1931 fu l'allora Guardasigilli Alfredo Rocco dal quale il codice trasse il suo nome. Composto di 675 articoli e diviso in cinque libri, rispecchiava l'ideologia politica dell'epoca in cui fu predisposto e pubblicato. La sua natura era di stampo inquisitorio soprattutto nella fase istruttoria, dove era assente la partecipazione della difesa alla formazione della prova ed in cui la raccolta e la valutazione della prova era affidata al Giudice Istruttore, o altresì Pubblico Ministero nella istruzione sommaria, ed inoltre non poco conto aveva il fondamentale rilievo che i due organi procedevano ad assolvere i loro compiti in assenza di contraddittorio ed in segretezza. Ed ancora, nella medesima logica si ascriveva il ricorrente ricorso alla carcerazione preventiva, prevista addirittura come obbligatoria per i reati più gravi: consisteva spesso e volentieri a causa della lunga durata in una vera anticipazione della pena. Ma il codice non si limitava a questo, ulteriori erano i profili che oggi sarebbero ritenuti a dir poco critici, «le catture automatiche sottintendono imputati presunti colpevoli; svaniscono le nullità assolute; quasi indiscriminate letture al dibattimento; un collegio misto sostituisce la giuria; previsioni tassative imbrigliano le

8

G.D.Pisapia, Codice di procedura penale (riforma del), in Enciclopedia

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impugnazioni e una norma odiosa ( art 210) la nega al latitante o evaso, nonché al difensore. Terribile ordigno inquisitorio»9.

1.3- Caduto il regime sotto cui era nato, il codice permane quasi intatto nella sua interezza per oltre un decennio, salvo un unico ritocco all'art 74 (l'archiviazione fu restituita al giudice istruttore: art 6 d.l.l.14 settembre 1944, n. 288) e, all'art 210 c.p.p. (il quale negava l'impugnazione al latitante, che resistette fino alla l. 29 dicembre 1948 n. 1514). Insomma, malgrado i dovuti aggiustamenti, il carattere fortemente inquisitorio del codice Rocco non venne meno: alla difesa rimaneva preclusa la possibilità di compiere importanti atti istruttori, come ad esempio l'assunzione delle prove testimoniali; nonostante le innovazioni, il Giudice Istruttore non perdeva la qualifica di « dominus della prova, nel senso che è egli stesso a stabilire le prove da acquisire, a raccoglierle senza contraddittorio e, infine, a decidere, previa la loro valutazione, se debba o meno procedersi al giudizio»10; «gli imputati rischiavano custodie cautelari indefinite; il pubblico ministero governa l'istruzione conducendola da solo, ogni volta gli convenga»11. La successiva fase a quella istruttoria era quella del giudizio, la quale avrebbe dovuto essere momento centrale per l'acquisizione della prova e contrassegnata dal contraddittorio delle parti, in realtà, era un contraddittorio tarlato che mancava di immediatezza. In dettaglio era il giudice –rectius presidente o pretore- a porre le domande proposte dalle parti dopo la relativa decisione sulla loro ammissibilità, ed in quest’ottica certo non

9

F. Cordero, Procedura penale, Milano, 2006, 86.

10

G.D.Pisapia Codice di procedura penale (riforma del), cit., 3.

11

(12)

sfuggiva che l’organo de quo fosse già condizionato nel suo operare dalla avuta conoscenza della precedente istruttoria nonché dalle prove precedentemente raccolte. Lo stesso giudice considerato mosso da autentica istanza di giustizia e verità, in tal veste garante che il contributo dichiarativo del teste non fosse piegato a interessi di parte, era invece fortemente influenzato dalla precedente lettura del fascicolo processuale, e da questa circostanza ne seguiva una riduzione della fase dibattimentale a una mera ripetizione delle prove in precedenza acquisite e raccolte. Da qui l’ulteriore enorme inconveniente: le prove addotte dalla difesa in dibattimento non potevano che essere guardate con sospetto, quasi come se «la prova raccolta in istruttoria sia [fosse] da considerarsi senz'altro la più attendibile»

12. Nella concretezza quindi, nonostante il giudizio fosse svolto

pubblicamente e con la garanzia del contradditorio orale, la prova era preformata nella fase istruttoria senza la garanzia del contraddittorio tra le parti.

Con l'entrata in vigore della Costituzione del 1948 furono presto e chiaramente percepibili le contraddizioni tra l'impalcatura del codice in vigore e il sistema di tutele nella prima contenute, «garanzie della persona nelle dinamiche del processo»13. Si dovettero comunque aspettare sette anni dalla sua entrata in vigore per pervenire a un primo tentativo di riforma del codice di rito. Con legge 18 giugno 1955 n. 517 si riesumarono garanzie

12

G.D.Pisapia, Codice di procedura penale (riforma del), cit., 3.

13

G. Di Chiara, Il binomio prova-contraddittorio: gli interventi sul vecchio

codice e la loro incidenza sulla costruzione del nuovo modello processuale

in, AA.VV., Il diritto processuale penale nella giurisprudenza costituzionale, Napoli reale, 2006, 536.

(13)

proprie del codice di procedura del 1913 riproponendo le logiche degli artt. 197 e 198 c.p.p. negli artt. bis, ter e

304-quater c.p.p. del 1930 come interpolati dall'art 14 della legge in

oggetto. In questi articoli si predisponevano un complesso di garanzie, in particolare, «l'art 304 -bis sanciva il diritto del difensore di assistere agli esperimenti giudiziari, alle perizie, alle perquisizioni domiciliari e alle ricognizioni, salvi i casi eccettuati previsti dalla legge, estendendo tale diritto partecipativo -ma su autorizzazione del giudice- anche all'imputato e alla persona offesa; l'art 304-ter disciplinava l'avviso al difensore, propedeutico all'esercizio del diritto partecipativo, e ne sanciva le relative eccezioni; l'art 304- quater, infine, fissava l'obbligo di deposito di documentazione concernente atti garantiti e le consequenziali facoltà riconosciute alla difesa»14. Siffatto ritorno al 1913 predispose il noto impianto ricostruttivo del 17 maggio 1958 ad opera delle sezioni unite della Cassazione 15, le quali esclusero ogni possibilità di poter applicare le garanzie difensive all'istruzione sommaria, sulla considerazione che fossero incompatibili con i tempi celeri ed i meccanismi semplici del relativo procedimento, facendosi allo scopo leva sulla vaga clausola di compatibilità prevista all'art 392 c.p.p. del 1930, per cui le norme stabilite per l'istruzione formale si osservano nella diversa istruzione sommaria « in quanto applicabili»16. In questi termini la questione era chiaro collidesse con la tutela predisposta

14

G.Di Chiara, Il binomio prova-contraddittorio: gli interventi sul vecchio

codice e la loro incidenza sulla costruzione del nuovo modello processuale,

cit.. 538.

15

Cass., sez. Un., 17 maggio 1958, Fumagalli, in Giust. pen., 1958, III, col.676; Cass., sez.un., 17 maggio 1958, Sciacca, ibid., col. 737.

16

Cfr. Sul punto, F.Cordero, Procedura penale, 88; G.Di Chiara, Il binomio

prova-contraddittorio: gli interventi sul vecchio codice e la loro incidenza sulla costruzione del nuovo modello processuale, cit., 539.

(14)

dall'art 24 comma 2 della Costituzione, non potendosi, pur nella diversità delle due istruttorie, tollerare una così deficitaria presenza di garanzie a fronte dell'omogeneo sbocco dibattimentale del materiale probatorio acquisito nell'una e nell'altra fase.

Tale questione sarebbe presto stata sottoposta al vaglio della Consulta, dando così origine alla nuova stagione del «garantismo inquisitorio»17 con due sentenze, la numero 11 e la numero 52 del 1965. Con la prima, si era proceduto a ricostruire in differenti termini la lettura della norma sottoposta scrutinio ad opera del giudice a quo. Partendo dall'’analisi dei lavori preparatori della legge 517/1955, da cui si poteva arguire soluzione contraria da quella prospettata dal giudice a quo, ovvero la riferibilità degli artt. 304-bis, ter e quater c.p.p. alla istruzione formale e alla sommaria, la Corte sottoponeva a dura a critica gli argomenti posti a fondamento dell'inestensibilità 18.

Ad una simile ricostruzione cristallizzata in questa prima sentenza, non cessarono gli atteggiamenti mentali degli operatori della tesi esclusivista, denotando una corrente di lettura opposta a quella dalla Consulta. La vicenda doveva quindi tornare all'attenzione della Corte con sentenza del 26 giugno del 1965 n. 52, continuando la disposizione a vivere, nella realtà, dissimilmente da quanto stabilito in Costituzione. La soluzione era scritta, l'art 392 comma 1 c.p.p. venne dichiarato

17

Così G. Di Chiara, Il binomio prova-contraddittorio: gli interventi sul

vecchio codice e la loro incidenza sulla costruzione del nuovo modello processuale, cit., 540.

18

sul punto vedi in maniera approfondita, G. Di Chiara, Il binomio

prova-contraddittorio: gli interventi sul vecchio codice e la loro incidenza sulla costruzione del nuovo modello processuale, cit.,540.

(15)

incostituzionale nella parte in cui con l'inciso « in quanto sono applicabili» escludesse la riferibilità degli artt. 304-bis, ter e

quater all'istruzione sommaria. Da quanto stabilito con le

pronunce nel 1965 parve annunciato il vaglio della prassi di escludere l'estensione degli artt. 304-bis, ter e quater agli atti della fase preistruttoria, presto finendo sotto scrutinio di costituzionalità anche l'art 225 c.p.p. del 1930. Nell’articolo era predisposto che « gli ufficiali di polizia giudiziaria , in caso di flagranza, e quando vi è urgenza di raccogliere prove del reato o di conservare le tracce, possono procedere a sommario interrogatorio dell'arrestato, a sommarie informazioni testimoniali e ai necessari atti di ricognizione, ispezione o confronto, osservate per quanto è possibile le norme sull'istruzione formale, senza deferire il giuramento, salvo che la legge stabilisca altrimenti»; a questo similmente seguiva il disposto dell'art. 232 c.p.p. 1930 in cui , il Pubblico ministero « prima di richiedere l'istruzione formale o di iniziare l'istruzione sommaria può procedere ad atti di polizia giudiziaria direttamente ovvero per mezzo di ufficiali di polizia giudiziaria». L'aver escluso l'applicabilità delle garanzie degli artt. 304-bis, ter e

quater a questa fase era del tutto fisiologico secondo la

giurisprudenza, posto che l’urgenza delle indagini preistruttorie era incompatibile con queste norme. La Corte cost. con sent. 86/1968 stabilì che gli atti istruttori compiuti dal Pubblico ministero ovvero dalla polizia giudiziaria non differissero nella sostanza da quelli compiuti nella istruzione, potendo « il modo come le indagini vengono eseguite, gli strumenti dei quali è costretto a servirsi l'inquirente, l'assenza di vera collaborazione da parte dell'indiziato e di chi lo assiste compromettere

(16)

irrimediabilmente la sorte del giudizio»19 . Proseguiva poi la Corte che « se quegli stessi atti fossero compiuti nel corso dell'istruzione formale, si svolgerebbero quasi tutti alla presenza dei difensori delle parti e i documenti, (...) sarebbero depositati presso la cancelleria a presidio di un aperto esercizio del diritto di difesa» 20. Da qui la differenza tra l'istruzione sommaria, nella quale operano le garanzie di cui agli artt. 304 bis, ter e quater, e quella precedente in cui queste non trovavano spazio, non v'era dubbio a parere della Corte contrastasse con il disposto dell'art 24 comma 2 Cost. Non potendosi nemmeno dare rilievo al fatto che le operazioni compiute in tale fase, e quindi prima del giudizio, fossero fuori da « ogni stato e grado» del processo, traducendosi tali atti in processi verbali cui era consentita lettura in dibattimento secondo quanto previsto dall'art 463 c.p.p. del 1930. Sulla base di tali considerazioni, la sentenza in oggetto dichiarò l'illegittimità costituzionale degli artt. 225 e 232 c.p.p. nella parte in cui rendevano possibile nelle indagini di polizia giudiziaria in questi articoli previste, compimento di atti istruttori senza l'applicazione delle garanzie di cui agli artt. 304 bis, ter e quater , ed in tal senso estendendo alla fase preistruttoria le garanzie partecipative. Rimanevano escluse dalle garanzie partecipative gli «accertamenti sullo stato delle cose» e le «operazioni tecniche» disciplinate rispettivamente agli artt. 222 comma 2 e dall'art 223 comma 1 c.p.p. del 1930. Anche tali profili non sfuggirono alla Corte che intervenne con sentenza n.148 del 1969 dichiarando l'illegittimità costituzionale delle norme in oggetto, volendo assicurare che la polizia giudiziaria, pur con prontezza in

19

Corte cost., 5 luglio 1968, n. 86, in Giur. cost., 1969, 486 e ss.

20

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caso di motivata urgenza, procedesse nel caso vi sia un indiziato del reato (cfr. Art 78, comma 2, c.p.p.) nel rispetto delle garanzie che l'ordinamento appresta all'interessato nella formazione delle prove utilizzabili nel giudizio attinente alla sua reità21.

I successivi interventi della Consulta si caratterizzarono per la ricerca degli atti da ritenersi inclusi o viceversa esclusi dal genus di quelli ammessi all'esercizio delle garanzie partecipative: il ruolo di ago della bilancia in questo intento fu assegnato al parametro dell' «importanza dell'atto», e al paradigma della irripetibilità22.

Fondamentale importanza per una prima radice del parametro dell'«importanza dell'atto» l'ebbe la sentenza 190/1970 della Corte cost., nella quale il rimettente ambiva ad una declaratoria di illegittimità costituzionale dell'art 303 c.p.p. eccependo che, in relazione agli artt. 365, 366, 367 e 368 c.p.p. si accordava al Pubblico ministero facoltà di assistere all'interrogatorio dell'imputato ovvero di fare istanze, osservazioni e richieste mentre il difensore ne era pretermesso, sancendo così, secondo la tesi di questo, una netta disparità di trattamento tra le parti. Nel corso del giudizio di legittimità, la Corte con ord. n. 100 del 1970 sollevava d'ufficio una nuova questione di legittimità costituzionale allargando con questa il thema decidendum, ritenendo che la sua delibazione non avrebbe potuto attenere alla mancanza in una singola disposizione dell'attribuzione al difensore del potere di assistere all'interrogatorio dell'imputato, in

21

Cfr. Sent. Corte cost., 3 dicembre 1969, n. 148, in Giur. cost., 1969, 943.

22

Cfr. sul punto G.Di Chiara, Il binomio prova-contraddittorio: gli interventi

sul vecchio codice e la loro incidenza sulla costruzione del nuovo modello processuale, cit., 550 e ss.

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questo senso evidenziando un più ampio deficit nel sistema espresso dall'art 304-bis, comma 1, c.p.p. 1930 nella parte in cui escludeva il diritto del difensore ad assistere all'interrogatorio, in violazione dell’art 24 comma 2 Cost23. Per mezzo di questa ordinanza la Corte delineò anticipatamente la direttrice della successiva decisione di merito. Nei suoi contenuti la sentenza ribadì il ruolo di «organo di giustizia» del Pubblico ministero, cosicché da un lato questo non si potesse considerare parte in senso stretto, tuttavia per altro verso non poté esimersi dal prendere atto che «i due poli del contraddittorio» sono occupati dalla coppia imputato-difensore e pubblico ministero, da qui pervenendo alla conclusione che entrambi debbano essere considerati parti sulla scorta degli interessi a «tutela dei quali rispettivamente agiscono». Tuttavia, la Consulta non tardò a sottolineare che ciò « non comporta la conseguenza che i poteri processuali del Pubblico ministero debbano sempre ed in ogni caso essere pari a quelli dell'imputato e del suo difensore». Statuito questo, la Corte proseguì la sua analisi toccando il vivo della questione per mezzo dell'affermazione che il diritto di difesa è: « garanzia di contraddittorio e di assistenza tecnico-professionale» quindi «quel diritto, di regola, è assicurato nella misura in cui si dia all'interessato la possibilità di partecipare ad una effettiva dialettica processuale, non pienamente realizzabile senza l'intervento del difensore», poi proseguendo che la presenza del difensore non sia imprescindibile ma che la si debba «di volta in volta accertare, in relazione all'importanza del

singolo atto, se l'assenza del difensore e la conseguente minor

pienezza di contraddittorio si traducano, per gli effetti che

23

(19)

abbiano a derivarne, in una effettiva lesione del diritto costituzionale di cui si discorre». Con ciò detto, proseguì con una valutazione concreta ovvero sia se l'interrogatorio avesse o meno rilievo tale per cui, l'assenza del difensore e la partecipazione del Pubblico ministero menomassero il diritto di difesa. L'indiscutibile rilevanza di questo strumento processuale come mezzo di prova e come filo d'Arianna nel corso delle indagini, non poteva che dar risposta affermativa al quesito: tale disparità di trattamento tra Pubblico ministero e difensore era una consistente compressione del diritto di difesa. In aggiunta a quanto fin qui in commento, la Corte non mancò di sottolineare un ulteriore profilo, «l'equilibrio del contraddittorio non solo garantirebbe il diritto di difesa, ma contribuirebbe in modo rilevante ad offrire al giudice fin dal primo atto istruttorio, nella dialettica delle due parti, tutti gli elementi idonei ad orientarlo nell'esercizio della sua delicata funzione», concludendosi che il «contraddittorio giova, per quanto riguarda l'atto qui considerato, alla stessa amministrazione della giustizia». In quest'ottica quindi risolse la quaestio a lei prospettata ampliando la possibilità di intervento del difensore.

Due ulteriori sentenze di grande rilievo nel nostro percorso furono la n. 63 e la n. 64 del 1972, per mezzo delle quali si ampliò il novero degli atti garantiti sul costrutto dello sfuggente parametro della « ripetibilità». In queste, due furono i temi cruciali oggetto di attenzione da parte della Corte attinenti alle garanzie difensive in sede di testimonianza istruttoria: oggetto della sent. n.63 del 1972 fu la testimonianza "semplice", mentre alla testimonianza a futura memoria si dedicò la n. 64/1972. Principiando l'analisi dalla sent. n. 63 del 1972, oggetto del

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rilievo era l'art 304-bis nella parte in cui non prevedeva all'atto della testimonianza "semplice" il diritto del difensore di assistere l'imputato; in questa lacuna era ravvisato un contrasto con l'art 24 co. 2 e 3 della Cost. ed ulteriore motivo di doglianza era una poco compresa disparità di trattamento con la parte del Pubblico ministero, il quale aveva invece diritto di assistervi. La Corte dichiarò l'infondatezza della questione ripercorrendo il solco tracciato con la sua precedente giurisprudenza della sent. n. 190 del 1970: in quella sede il deficit di garanzie difensive aveva portato a declaratoria di incostituzionalità sulla base del criterio di «importanza dell'atto», considerata la natura dell'interrogatorio dell'imputato sia di strumento difensivo che di premessa per dar luogo ad ulteriore svolgimento delle indagini.

Differente situazione era adesso riscontrata dalla Corte in questo rapporto tra testimonianza istruttoria e garanzie partecipative, prospettando nei termini della motivazione derive inquisitorie. Infatti, si scriveva «In questa fase è dominante l'attività del magistrato inquirente, attività da svolgere, in condizioni di riservatezza, nei modi, nei tempi e nelle varie direzioni a lui suggeriti di volta in volta, come più utili per la ricostruzione della verità obbiettiva al fine di ricavarne dati per il rinvio a giudizio, o meno, dell'imputato»24. Si rilevava inoltre che i testimoni in istruttoria ex art 357, comma 2, c.p.p. 1930 non prestassero giuramento così mettendo in evidenza che questi fossero in sede di dibattimento, atti da ripetere nel contraddittorio e pertanto non definitivi. Sottolineato questo profilo di ripetibilità dell'atto contrapposto alla irripetibilità dello stesso, il quale comprometterebbe irrimediabilmente il diritto di difesa, la Corte

24

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fornì la chiave di volta per ammettere o escludere l'intervento difensivo in sede istruttoria; inoltre, ad avviso della Corte non aveva rilievo la questione sollevata sulla illegittima disparità di trattamento della difesa avverso il diritto dell'accusa di intervenire nelle dinamiche dell'atto istruttorio considerato che l'organo dell'accusa esercita funzione pubblica a tutela di « superiori interessi di giustizia».

Non dissimile ragionamento fu seguito dalla Corte nel dichiarare l'infondatezza di altra questione relativa l'art 304-bis comma 1, c.p.p. del 1930 impugnato nella parte in cui al difensore non era riconosciuto diritto ad assistere ai confronti indicati nell'art 364 c.p.p., ed anche in questo caso ritenuto in contrasto con l’art 24 co. 2 e 3 Cost. La sentenza n. 63 del 1972 richiamava gli stessi motivi ovvero la precedente sua posizione a proposito della testimonianza istruttoria per quanto riguardava i confronti tra testimoni, ovvero testimoni ed imputati in tal senso giustificando l'esclusione; partiva invece, da posizione diversa per quanto riguarda la disciplina dei confronti tra coimputati osservando che, il rito dei confronti si annovera tra le attività in istruttoria successiva e che tale mezzo è affidato alla «sagacia» del magistrato istruente; con ciò detto essi attengono a diversa fase da quella istruttoria iniziale dell'interrogatorio. Le ragioni dell'esclusione vengono ad essere quindi «sostanzialmente le stesse [della precedente decisione considerati i caratteri precisati per la testimonianza trai quali la ripetibilità25] senza che i diritti della difesa possano dirsi menomati data l'immanente riserva di poterli con migliore cognizione di causa far valere in sede, tempo

25

Così G. Di Chiara, Il binomio prova-contraddittorio: gli interventi sul

vecchio codice e la loro incidenza sulla costruzione del nuovo modello processuale, cit., 559 e ss

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e modo utili»26

Nella diversa sent. n.64 del 1972 veniva ribadita la medesima

ratio della ripetibilità dell'atto e delle garanzie partecipative

espressa dalla Corte nella sent. n. 63/72. Sul diverso thema

decidendum, attinente alla tutela del diritto di difesa in sede di

testimonianza a futura memoria e di confronto, in cui partecipi nel corso dell'istruzione un teste a futura memoria, ripercorrendo quanto argomentato sulla testimonianza "semplice" la sentenza 64 del 1972 decretò la incostituzionalità dell'art 304-bis c.p.p. del 1930 «limitatamente alla parte in cui esclude[va] il diritto del difensore dell'imputato di assistere alla testimonianza a futura memoria (art.357 cpv.) e al confronto fra imputato e testimone esaminato a futura memoria ( art.364)»27. Il non aver previsto garanzie partecipative in sede di testimonianza "semplice " trovava giustificazione nella sua ripetibilità in dibattimento e nelle esigenze precipue che attengono all'istruttoria, tuttavia sottolineando che « il contraddittorio si dispiegherà in quella sede, in tutta la sua pienezza, il difensore sarà in grado di richiedere che al teste siano rivolte tutte le domande pertinenti all'oggetto della testimonianza (art 467) ed il giudice potrà decidere tenendo presenti le risultanze acquisite a processo col dialettico intervento dell'accusa e della difesa». Tali considerazioni non potevano trovare luogo nella testimonianza a futura memoria sulla considerazione che l'atto veniva assunto con modalità ex art 357, comma 2, c.p.p. del 1930 « proprio in previsione dell'impossibilità che il teste, a causa di infermità o di altro grave impedimento, sia riesaminato in giudizio» cosicché

26

Corte cost., 19 aprile 1972, n.63 in Giur. cost., 1972, 301 e ss.

27

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tali deposizioni a futura memoria venivano incluse puntualmente tra gli atti dei quali è consentita «lettura del verbale in dibattimento» ex art 462, comma 2 c.p.p. del 1930. Dalle considerazioni fatte ne seguiva che l'assistenza difensiva risultava esclusa pertanto un atto irripetibile come questo veniva acquisito al processo come prova senza che, alla difesa, fosse stata data possibilità di effettuare contestazioni, domande o altro che nella normale ripetizione della testimonianza in dibattimento gli sarebbe stata permessa. Con ciò detto venne dichiarata incostituzionale in parte qua dell'art 304-bis c.p.p. del 1930 ed inoltre estendendo tale declaratoria, sulla cresta di medesimo ragionamento, all'omessa previsione di assistenza difensiva nella sede dello svolgimento dei confronti in cui un teste esaminato a futura memoria si renda partecipe.

1.4- Delineato il quadro delle garanzie difensive in fase istruttoria con progressione di sviluppo cronologico in questa ultima parte si è deciso di aprire una ulteriore breve parentesi di attenzione sulla prova dichiarativa come dal codice Rocco disciplinata.

La prova testimoniale era un mezzo di prova che nella fase dell'istruttoria era completamente sguarnito di garanzie partecipative. Tale lacuna era legittimata sul presupposto della ripetibilità dell'atto e che il rimando proprio a questo, come visto, aveva permesso alla Corte di superare i dedotti profili di incostituzionalità di tale metodo unilaterale di acquisizione del sapere, era infatti rimandato al dibattimento attraverso la ripetizione dell'atto il successivo contraddittorio sul risultato di prova. Spettava così « all'istruttore, in corso di fase, acquisire le dichiarazioni rappresentative senza intervento alcuno da parte

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della difesa, onde preservare la genuinità della fonte e garantire segretezza ed efficienza alle indagini; il dictum sarà, quindi, consacrato in un verbale che, custodito in fascicolo, sarà reso disponibile al difensore per tramite del deposito degli atti al termine dell'istruttoria; pervenuti a dibattimento, le garanzie difensive potranno integralmente dispiegarsi attraverso il duplice congegno dell'audizione orale del teste in contraddittorio e della ricerca del precedente risultato di prova, nel frattempo acquisito attraverso relativa lettura»28. Tuttavia, da tale quadro, nessuna lesione del diritto di difesa si considerava esistente sulla considerazione che garanzie difensive sarebbero state ultronee nella prima fase, in quanto esse avrebbero operato poi grazie alla già più volte citata «ripetibilità» dell'atto a dibattimento, ed in un pieno contraddittorio tra le parti sulla dichiarazione preacquisita. Non sfugge però ad una analisi attenta del termine «ripetibilità», che con questo si sarebbe dovuta intendere la possibilità di ricreare in differente contesto «contributi probatori d'identico contenuto»29, e quindi una nuova escussione della fonte narrativa, riespandendo le precedentemente compresse garanzie partecipative in questo spazio. A ben vedere, anello debole del ragionamento in commento stava nella unicità del fascicolo in cui confluivano con valore probatorio tanto le dichiarazioni raccolte unilateralmente nel segreto dell'istruttoria e senza garanzie difensive, quanto quelle raccolte in dibattimento, potendo così entrambe ed in egual misura incidere sul convincimento del

28

G. Di Chiara, Il binomio prova-contraddittorio: gli interventi sul vecchio

codice e la loro incidenza sulla costruzione del nuovo modello processuale,

cit. 561

29

G. Di Chiara, Il binomio prova-contraddittorio: gli interventi sul vecchio

codice e la loro incidenza sulla costruzione del nuovo modello processuale,

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giudice. L'unicità di questo fascicolo dopo le sentenze della Consulta per cui l'assenza del difensore all'assunzione testimoniale in istruttoria era costituzionalmente legittima, aveva consentito al mezzo delle letture l’accesso a dichiarazioni istruttorie rese senza l'intervento del difensore, così ammettendo che materiale acquisito fuori dal contraddittorio entrasse tramite lettura, all'interno di quello utilizzabile. A tale prassi alcuni esponenti della dottrina si erano opposti, ravvisandovi una lesione dell'art 24 comma 2 della cost. e tale da escludere che detto materiale raccolto senza difensore potesse essere utilizzato. Di differente avviso era la Corte, che con due decisioni del 21 novembre 1973 numero 154 e 159 aveva promosso tale sistema di letture sottolineando la « fondamentale esigenza di ricerca della verità, che domina il processo penale e non si pone in contrasto con le garanzie della difesa»30. Da tale prassi ne conseguiva che in udienza il teste confermasse quanto nei verbali istruttori trascritto rilegando il ruolo dell'esame testimoniale a mera formalità; ma anche quando il teste si fosse discostato in dibattimento da quando precedentemente dichiarato nessun colpo di scena si sarebbe profilato: attraverso la lettura dei verbali contenuti nel fascicolo di dichiarazioni più vicine allo svolgimento dei fatti e rese in ambiente segretato, ed avverso un più ampio trascorrere del tempo rispetto ai fatti e ad influssi perturbatori il giudice avrebbe subito il fascino delle scritture, influenzando il proprio libero convincimento verso queste. Ad un siffatto sistema si imponeva una riforma globale tale da permettere alla luce costituzionale di illuminare il processo

30

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penale: valorizzando il meccanismo del doppio fascicolo, il principio della separazione dei ruoli ovvero delle diverse fasi, ed in questo modo far sì che lo sviluppo dell'indagine servisse per determinare o meno il pubblico ministero all'esercizio dell'azione mentre, un vero contraddittorio la formazione della prova.

1.5- Occorre in queste ultime battute rilevare come il carattere del codice Rocco, nonostante le modifiche intervenute, non desse luogo a un sistema misto bensì a un sistema inquisitorio nella sua fase istruttoria ovvero accusatorio nella fase del giudizio, assommando gli aspetti negativi di entrambi i sistemi, tale che nel processo si realizzava una defatigante ripetizione gli atti istruttori: « una prima istruzione preliminare compiuta dalla polizia giudiziaria; una istruzione sommaria affidata al Pubblico Ministero; una lunga istruzione formale affidata al Giudice istruttore; ed, in fine, una istruzione dibattimentale compiuta nel giudizio di primo grado, cui può far seguito un supplemento istruttorio, nel caso di rinnovazione del dibattimento nel giudizio di secondo grado» 31.

31

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II

Il contraddittorio

Sommario: 2.1-Principio del contraddittorio: dal codice Vassalli

alla riforma costituzionale

2.1-Enorme fu la rilevanza che ebbe il passaggio da un sistema "misto di tipo prevalentemente accusatorio" 32 ad un sistema processuale accusatorio, scritto nella storia Repubblicana dalla Commissione nominata dal Ministro della Giustizia Giuliano Vassalli e presieduta dal Prof. Gian Domenico Pisapia, per mezzo del nuovo codice di procedura penale approvato il 22 settembre 1988 dal Governo, pubblicato in Gazzetta ufficiale del 24 ottobre 1988 nonché entrato in vigore il 24 ottobre 1989. Tuttavia, come avremo modo di approfondire, tale passaggio non fu scevro di asperità.

I pilastri su cui tale sistema fondava erano principalmente tre: il principio delle separazione delle funzioni, la netta divisione tra fasi processuali e l'introduzione di procedimenti semplificati

32

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alternativi a quello ordinario. A tale cambiamento di rotta, corrisposero difficoltà di adattamento degli addetti ai lavori, trovatisi adesso a doversi confrontare con una diversa "logica processuale"33 fondata sul principio dialettico. A rigor di questo nuovo principio, le prove si formavano nel dibattimento e in contraddittorio davanti al giudice, discostandosi a questo riguardo, dal ben diverso modello di contraddittorio precedente su "prove già formate, come i verbali delle dichiarazioni raccolte dagli organi inquirenti"34, e in questo, realizzando il passaggio"dal contraddittorio sulla prova al contraddittorio per la prova" 35. All’interno del nuovo sistema processuale accusatorio delineato dal Legislatore, salvo particolari eccezioni, era regola aurea che nessuna dichiarazione raccolta unilateralmente, avrebbe potuto assumere valore probatorio in giudizio nemmeno attraverso contestazione a chi l'avesse resa, dovendo le dichiarazioni essere assunte con il metodo della

cross-examination.

Da lì a poco, fu chiaro che il complesso di nuove regole di esclusione probatoria avrebbe condotto una vita grama. Degne di nota furono le resistenze opposte dalla Magistratura, i cui timori che il contraddittorio nella formazione della prova come metodo prima, e come tecnica di accertamento poi, costituissero ostacolo alla ricerca della verità così da creare le condizioni di successive questioni di costituzionalità, tempestivamente sollevate e accolte

33

P. Ferrua, Il “giusto processo”, Bologna, 2012, 2.

34

Cfr., P. Tonini, Manuale di procedura penale, Milano, 2012, 33.

35

D. Siracusano, Vecchi schemi e nuovi modelli per l’attuazione di un

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dal giudice delle leggi con alcune sentenze del 1992. Parve evidente che codeste sentenze, nel tentativo di ripristinare la lesa "ricerca della verità", avrebbero condizionato il futuro operato del legislatore non prestando forse dovuta attenzione all'idea che una esatta ricostruzione dei fatti possa trovare ragione pur senza materiali raccolti inaudita altera parte 36. Il calo della scure costituzionale trovò luogo ben tre volte con note sentenze nn. 24, 254 e n.255 del 1992, le quali scossero le fondamenta della costruzione accusatoria del 1989, dovendo sottolineare ex contra che in nessuna di queste, fu indicato un principio a diretta rilevanza processuale con cui le regole prese in analisi avrebbero contrastato, richiamando altresì un "principio di non dispersione della prova", all’evidenza non ritracciabile in maniera diretta nel dettato Costituzionale, e che "la Corte stessa ricavava per amplificazione dalle deroghe all'oralità e al contraddittorio previste dal codice di rito"37.

Poste queste premesse, pare necessario procedere a un’analisi più puntuale dell'’ excursus storico.

Il primo passo fu mosso con la sentenza n. 24 del 1992, nella quale la declaratoria di illegittimità attenne all'art 195, 4° co., c.p.p., i cui contenuti disciplinavano il divieto di testimonianza indiretta della polizia giudiziaria, conseguendo come risultato di tale pronuncia, che le dichiarazioni raccolte nel corso delle indagini permeassero in dibattimento attraverso la testimonianza di colui che le aveva verbalizzate, prescindendo dalla eventuale possibilità di esaminare il teste diretto, le cui dichiarazioni, non si sarebbero sostituite a quelle

36

Cfr. P. Ferrua, Il “giusto processo”, Bologna, 2012, 3 e ss.

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indirette della polizia giudiziaria ma le avrebbero accompagnate, in tal senso permettendo al giudice di valutare liberamente le une e le altre. In questa direzione, non poco rilievo aveva la circostanza che al verbalizzante difficilmente fosse possibile richiedere memoria nitida sui contenuti del verbale senza ad esso attingere, compromettendo in questo modo l’efficacia del controesame e di conseguenza l'attendibilità del teste in esame. Per contro, la ratio di tale divieto non pareva così illogica considerato che ammettere la testimonianza de relato, equivaleva a rendere vano il divieto di acquisizione dei verbali che le contengono , né inoltre va dimenticato che tali dichiarazioni venivano raccolte da organi che, nel colloquio con il testimone, non offrono le medesime garanzie di un magistrato 38. Perciò, l’aver ammesso il recupero delle dichiarazioni raccolte dalla polizia giudiziaria nella fase delle indagini preliminari, ma non analogo recupero per le dichiarazioni raccolte dal Pubblico ministero per mezzo di lettura dei verbali, inflisse una contraddizione al sistema di non poco conto. In aggiunta, ulteriore profilo di attenzione riguardava il fatto che la lettura di atti assunti dalla polizia giudiziaria, dal Pubblico ministero, dai difensori delle parti private ovvero dal giudice nel corso dell'’udienza preliminare, atti quindi non conoscibili dal giudice del dibattimento perché contenenti dichiarazioni raccolte nella fase delle indagini, era stata ammessa per mezzo dell'art 512 c.p.p. in species di irripetibilità sopravvenuta tale da renderne impossibile la ripetizione, rendendo quindi potenzialmente prevedibile ulteriore successivo intervento della consulta, avente

38

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ad oggetto il regime dettato dal comma 3° dell'art. 500 c.p.p. Infatti, tale disposizione prevedeva che, se nel corso dell'esame il teste avesse reso dichiarazioni difformi da quelle precedentemente rese, si ammettesse con il mezzo della contestazione, il recupero di queste in chiave unicamente critica: « La dichiarazione utilizzata per la contestazione, anche se letta dalla parte, non può costituire prova dei fatti in essa affermati. Può essere valutata dal giudice per stabilire la credibilità della persona esaminata». L’ originaria disciplina delle contestazioni posta dal testo dell'art 500 c.p.p. era di generale divieto all’ utilizzabilità per fini probatori delle dichiarazioni contestate, consentendone invece l’utilizzo al fine di saggiare la credibilità del testimone. A tale previsione, d’altro canto, seguiva un eccezione per le dichiarazioni assunte ex art 500 co. 4° c.p.p.,

ovvero sia « dichiarazioni assunte dal pubblico ministero o dalla polizia giudiziaria nel corso delle perquisizioni ovvero sul luogo e nell'immediatezza del fatto» le quali, se utilizzate per le contestazioni, potevano essere inserite nel fascicolo per il dibattimento divenendo quindi materiale probatorio.

Come previsto quindi, con sentenza del 1992 numero 255, la Corte dichiarò l’incostituzionalità dell'art 500 co. 3° e 4°, nella parte in cui negava valore di prova alle dichiarazioni precedentemente rese dal testimone, quindi contenute nel fascicolo del Pubblico ministero e usate per le contestazioni di cui ai commi 1° e 2°. Recependo tale pronuncia, il legislatore del ‘92 con d.l. n. 306, si adoperò alla riformulazione dell'art 500 c.p.p. Sulla base delle considerazioni della Corte, mantenne fermo il regime generale di cui al comma 3°, prescrivendo al 4° comma che le dichiarazioni contestate, perdurando difformità

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rispetto al contenuto della deposizione, venivano acquisite al fascicolo per il dibattimento, potendo, se confermate da altri elementi, diventare valutabili come prova 39. Rebus sic stantibus, l'utilizzo delle dichiarazioni rese nel segreto delle indagini preliminari fu parificato a quelle rese nel dibattimento, rendendo vano in tal modo, sia il principio di immediatezza che del contraddittorio: quest’ultimo in quanto, l'acquisizione formalmente era svolta tramite esame incrociato, sostanzialmente invece era attuata in un contraddittorio successivo e non sulla formazione della prova, bensì su elementi unilateralmente preformati 40; l’immediatezza nella misura il giudice per poter decidere su dati percepiti direttamente in giudizio avrebbe dovuto confrontarli con i precedenti cosicché, se tra la dichiarazione dibattimentale e quella precedentemente resa vi era coincidenza, la dichiarazione aveva valore di prova; se viceversa vi era discrepanza tra le due, la precedente era sempre utilizzabile41 potendo addirittura accadere, che l'anteriore in caso di contestazione ex art. 500 comma 2 bis c.p.p. « (…) quando il teste rifiuta o comunque omette, in tutto o in parte, di rispondere sulle circostanze riferite nelle precedenti dichiarazioni.» fosse per ciò la sola utilizzabile tramite lettura integrale.

39

Cass. 26 novembre 1996, Piscopo, in Guida dir., 1997, 14, 79; Id. 9 novembre 1994, Casini, in Arch. N. proc. Pen., 1996, 136.

40

Sul punto, F.M. Grifantini, Utilizzabilità in dibattimento degli atti

provenienti dalle fasi anteriori, in, P. Ferrua, F.M. Grifantini, G. Illuminati,

E. Orlandi, La prova nel dibattimento penale, Torino, 1999, 138 e ss.

41

D. Siracusano, le prove in Diritto processuale penale, vol. I, 375; G. Illuminati, Principio di oralità e ideologie della Corte costituzionale nella

motivazione della sent. n 255/1992, in Giur. Cost. 1992, 1975 s. Più in

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Infine, per mezzo della sent. 254 del 1992, i giudici della Consulta dichiararono illegittimo il comma secondo dell'art 513 c.p.p. «nella parte in cui non prevede che il giudice, sentite le parti, dispone la lettura dei verbali delle dichiarazioni di cui al comma 1 del medesimo articolo rese dalle persone indicate nell'art 210 c.p.p., qualora queste si avvalgano della facoltà di non rispondere»42. Ad attento esame, certo non sfuggiva che i primi due commi dell'art 513 c.p.p. erano dedicati a due diversi soggetti: il comma primo, riguardava l'imputato nel medesimo procedimento, il comma secondo, invece, il coimputato in un procedimento separato ex art. 210. Differenti figure che necessitavano di una differente disciplina in fatto di letture, tuttavia destinata con il trascorrere del tempo ad andar sempre più assottigliandosi , trovando infine, nella sentenza in analisi, l’appianamento definitivo della differenza tra i due regimi.

Nell'’originario testo dell'articolo, la disciplina dei presupposti che ammettevano la lettura, era subordinata per l'imputato alla contumacia, all'assenza o al rifiuto di sottoporsi all'esame così disciplinati al comma primo; al secondo comma per il coimputato ex art 210, obbligato a sottoporsi all'esame, si consentiva la lettura, «sentite le parti», nel caso in cui fosse stato impossibile ottenere la presenza del soggetto, la ripetizione dell'esame tramite l'accompagnamento coattivo, l'esame a domicilio o la rogatoria internazionale, tralasciando l’importante ipotesi in cui tale soggetto si fosse avvalso del diritto al silenzio, sottraendosi così all' esame dibattimentale, e impedendo l'uso mediante lettura delle precedenti sue dichiarazioni. Avvertita tale

42

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lacuna, la Corte aveva censurato questo profilo dell'art 513 co 2° c.p.p., equiparando due figure molto differenti tra loro, il coimputato che rifiuta di sottoporsi all'esame, con l'imputato in procedimento connesso che si avvale della facoltà di non rispondere, riconducendo all’uòpo entrambe alla «impossibilità sopravvenuta di ripetizione dell'atto». In questo modo il precedente testo dell'art 513c.p.p., al fine di tutelare nel proprio procedimento il coimputato ex art 210 c.p.p. dal

vedersi ritorcere contro le sue dichiarazioni, ammetteva il sacrificio del diritto di difesa dell'imputato nell'attuale procedimento, considerando bastevole che nel dibattimento il primo si avvalesse della facoltà di non rispondere perché l'imputato subisse senza possibilità di poterle contrastare, l'utilizzabilità delle dichiarazioni segretamente raccolte dall'accusatore avverso i suoi confronti. In questi termini, la previsione violava «il diritto di difesa di cui all'art 24 Cost., come diritto di difendersi provando, e il diritto di «interrogare o far interrogare i testimoni a carico» ( artt.6 Conv. Eur. e 14 del Patto internazionale), rinnegando in tal modo anche il contraddittorio come metodo di accertamento»43.

Le illustrate modifiche del 1992 furono attuate in un atmosfera segnata dalle purtroppo famose stragi di mafia, nelle quali restarono vittime il giudice "ragazzino" Rosario Livatino (21 settembre 1990), il giudice Giovanni Falcone (23 maggio 1992) e infine il giudice Paolo Borsellino ( 19 luglio 1992). Tali stragi contribuirono fortemente a determinare le modifiche dei visti

43

F.M. Grifantini, Utilizzabilità in dibattimento degli atti provenienti dalle

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punti focali della disciplina processuale penale, ne è prova il decreto legge 306 del 1992 convertito in legge n. 356 del 1992, ratificante gli orientamenti fatti propri dalla Corte con le sue sentenze 254 e 255.

Svanita tale atmosfera di emergenza, negli anni che seguirono si intraprese la via del recupero del contraddittorio, con due tentativi entrambi attuati nel 1997. La prima iniziativa si ebbe con legge ordinaria, la 7 agosto 1997 n.267, rubricata "Modifiche delle disposizioni del codice di procedura penale in tema di valutazione delle prove", il cui compito fu quello di riformulare internamente l'art 513 c.p.p. intendendo prevedere l'utilizzabilità delle sole dichiarazioni rese davanti ad un giudice nel contraddittorio delle parti, ed al contempo aumentare il potere di disposizione delle parti sulla utilizzabilità mediante lettura di dichiarazioni unilateralmente raccolte. Con il nuovo testo dell'art 513 c.p.p. si previde al comma primo che le dichiarazioni dell'imputato non fossero utilizzabili «nei confronti di altri senza il loro consenso»; al comma secondo si dispose analogo regime di inutilizzabilità per quanto riguardava le dichiarazioni del coimputato ex art 210 c.p.p. Al giudice, su richiesta di parte, era affidato il dovere di assicurare la presenza del coimputato mediante accompagnamento coattivo, disponendo esame a domicilio, rogatoria ovvero «l'esame in altro modo previsto dalla legge con le garanzie del contraddittorio» 44; in difetto di queste possibilità, a differenza di quanto precedentemente previsto, la prova non era ugualmente utilizzabile. Intento del Legislatore era

44

Su questo riferimento mirato all’esame a distanza ex art 140 bis disp. att., G.P. Voena, L’esame a distanza, in Dir. Pen. Proc.,1998, 120.

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stato quindi ripristinare la dialettica tra le parti nella formazione della prova. Fondamentale era quindi un analisi delle eventuali cause che avessero impedito l'esame in quanto: se impossibilità fosse derivata dall' «ottenere la presenza del dichiarante» oppure «procedere all'esame in uno dei modi suddetti», si sarebbero potute utilizzare le precedenti dichiarazioni ex l'art 512 c.p.p. per cui l'irripetibilità sopravvenuta fosse derivata, come nel caso di specie, da «fatti o circostanze imprevedibili al momento delle dichiarazioni». Diversamente in una terza ipotesi ove, il dichiarante si fosse avvalso «della facoltà di non rispondere» condizionando in questa ipotesi l'utilizzabilità all' « accordo tra le parti». Infine al terzo comma dell'articolo, come modificato dalla l. n. 267/97, si prevedeva che le dichiarazioni assunte nell'incidente probatorio fossero sempre utilizzabili tramite lettura ex art 511 c.p.p., ed inoltre un estensione dell'incidente probatorio stesso per l'esame dei coimputati, oltre i precedenti limiti fissati dall'art 392 c.p.p., così da impedire la perdita di contributi probatori nel caso questi si avvalessero del diritto al silenzio nel dibattimento 45. La scelta del legislatore sembrava quindi ben costruita: l'incedente probatorio per l'utilizzabilità, senza la necessità di consenso e accordo delle parti, di quanto precedentemente dichiarato perché raccolto in contraddittorio; la disposizione di un regime di inutilizzabilità di queste dichiarazioni invece in caso di mancata integrazione, così da dover procedere a nuovo esame in dibattimento, salvo che tale prova potesse andare perduta per irripetibilità sopravvenuta. Proprio a questo proposito, il diritto al silenzio non legittimò più il ricorso alla lettura di atti per mezzo del suo esercizio

45

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considerati irripetibili, tornando ad essere causa ostativa all'utilizzabilità, quindi distinto dalla «impossibilità sopravvenuta di ripetizione dell'atto». Sotto questo profilo l'intento era chiaro, depurare l'art 513 comma 2 c.p.p. dalla precedente pronuncia della Corte. Infatti, con l'esercizio del diritto al silenzio l'irripetibilità è frutto di una scelta cosciente dell'imputato, di natura "soggettiva", e quindi diversa da quella disciplinata nell'art 512 c.p.p. In questo, l'esame era impossibile a causa di una irripetibilità di natura oggettiva, ovvero dipendente da « fatti o circostanze imprevedibili», e quindi tale da giustificare l'utilizzabilità salvo, prova vietata ex art 191 c.p.p. Ebbene, per quanto attiene il primo comma dell'art 513 c.p.p., l'imputato è chiamato a rispondere della sua posizione, e la lettura risulta consentita sulla base della considerazione che la prova contro o a favore, deriva da egli stesso; diversamente il divieto di utilizzabilità, salvo loro consenso, opera a riguardo della posizione di altri soggetti.46

In proposito al contenuto del secondo comma, la dichiarazione a carico di altri promana dal coimputato in un diverso processo, imponendo diversamente da quanto previsto dal primo comma un regime di inutilizzabilità assoluta e non relativa, così impedendo la lettura dell'atto, superabile solo con accordo delle parti47. La

46

F.M. Grifantini, Utilizzabilità in dibattimento degli atti provenienti dalle

fasi anteriori, cit., 164.

47

G. Illuminati, Lineamenti essenziali delle più recenti riforme legislative del

codice di procedura penale, , in G.Conso-V.Grevi,Profili del nuovo codice di procedura penale,Padova, 1998 3 s.; A. Mambriani, La delimitazione del materiale probatorio utilizzabile ai fini della decisione. Le questioni

concernenti il contenuto del fascicolo per il dibattimento. Gli atti irripetibili. L’art 513, in Arch. Nuova proc. Pen., 1998,,333 s.

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soluzione adottata dal legislatore pareva essere equilibrata, evitando da un lato la perdita del materiale predibattimentale, ma per contro non consentendone un utilizzo incondizionato.

Nel merito, qualche dubbio poteva forse sollevarlo la realisticità del consenso dell'imputato all'uso di dichiarazioni a lui sfavorevoli,

o ancora, un consenso dato per scontato del pubblico ministero, in caso di elementi favorevoli 48.

La seconda iniziativa di recupero del contraddittorio si sviluppò questa volta con disciplina costituzionale, affidando alla Commissione bicamerale per le riforme costituzionali, istituita con legge cost. 24 gennaio 1997, anche l’annoso tema della Giustizia. L’importanza di questa Commissione non fu determinato dal , per altro fallito, raggiungimento degli obiettivi per cui era stata istituita, bensì nell'’aver fissato nell'art 130 del progetto di legge costituzionale C/3931 da questa elaborato, quelli che sarebbero stati i contenuti grezzi dei principi e delle regole del “giusto processo”, cristallizzati successivamente con la famosa riforma dell'art 111 della Costituzione49.

Alla prima iniziativa del Legislatore del ‘97, tradotta nella introduzione del nuovo testo dell'art 513 c.p.p., seguì la rimessione di tale articolo all'attenzione della Corte costituzionale

48

In proposito criticamente, F. Cordero, Procedura penale, 1998, 665, 688; cfr anche con diverse impostazioni, G. Garutti , art 513, in, Commento al

nuovo codice di proc. Pen., 116; F. Peroni, La nuova disciplina delle letture di dichiarazioni provenienti dall'’imputato, in AA.VV., Le nuove leggi penali,

Cedam, 161.

49

(39)

da parte di ben otto giudici di merito, ravvisando una poco ragionevole dispersione della prova nell'’ inutilizzabilità delle dichiarazioni rese dal coimputato erga alios nelle indagini preliminari, e successivamente in dibattimento non udite perché rimasto silente.

In tal senso, la scelta della Corte con sent. 361 del 1998 fu di intervenire sul regime delle letture introdotto dalla l. 267 del 1997 rimodellando il dettato dell'art 513 c.p.p. L'utilizzabilità delle dichiarazioni, come modificata da tale sentenza, dipese non più dalla distinzione tra esame dell'imputato nel suo procedimento ed esame dell'imputato in procedimento connesso, bensì dal fatto che le dichiarazioni rese precedentemente riguardassero il fatto proprio o il fatto altrui.

Si dispose poi, per il coimputato in procedimento separato di cui all'art 210 c.p.p., e previsto all'art 513 comma 2 c.p.p., di estendere l'utilizzabilità per le contestazioni ex art 500 comma

2-bis c.p.p., cosicché qualora il soggetto si fosse rifiutato di

rispondere o avesse taciuto sul fatto altrui, le sue precedenti dichiarazioni, divenivano acquisibili tramite contestazione nel caso non lo fossero state con lettura (quindi in mancanza dell'accordo delle parti), potendo perciò, nel momento in cui vi fossero i necessari riscontri, essere utilizzate come prova ex art 500 comma 4 c.p.p. Viceversa, l'imputato non essendo obbligato né a presentarsi né a sottoporsi all'esame, era tutto un altro discorso. La Corte pur potendo intervenire sul primo comma, non avrebbe comunque potuto impedire che l'imputato non si sottoponesse all'esame, evitando così anche le contestazioni, perciò rivolse la sua declaratoria di incostituzionalità all' art 210 c.p.p. Operando in questi termini, l'art 210 c.p.p. risultava

(40)

applicabile all'esame svolto su fatti riguardanti la responsabilità di altri, sui quali l’imputato nel suo procedimento, avesse reso precedenti dichiarazioni all'autorità giudiziaria o, altresì, alla polizia giudiziaria su delega del Pubblico ministero. "Ricorrendo tali condizioni, l'imputato può ora essere accompagnato coattivamente e obbligato all'esame; se poi non risponde, trattandosi di fatto altrui, si dovrà applicare l'art 513 comma 2 c.p.p. come modificato, con conseguente utilizzabilità per le contestazioni ex art 500 comma 2-bis c.p.p. A questo punto, i comportamenti dell'esaminato si equivalgono, dal momento che ha luogo comunque l'esame di un soggetto che non può rifiutarlo

in toto"50.

Un così incisivo intervento della Corte provocò forti reazioni e aspre critiche: dall'accusa di aver demolito con una sentenza dal contenuto politico la garanzia del contraddittorio, a quella di essersi arrogata funzione legislativa travalicando la propria sfera di competenza. Le Camere penali insorsero proclamando in segno di protesta, nella settimana dal 9 al 14 novembre, l'astensione dalle udienze. Senz’altro più significativa reazione si ebbe dal mondo politico, un senso di

ostile rivalsa nei confronti della Magistratura e della Corte costituzionale si era adesso liberato, riaprendo il sopito dibattito sulla Giustizia, concluso con il fallimento della Bicamerale. Da tali premesse non sfugge perché una riforma dalla suggestiva importanza, la si andò affrontando con ritmi e tempi stranamente celeri: « presentato il d.d.l. n. 3619 dal senatore Pera il 4

50

F.M. Grifantini, Utilizzabilità in dibattimento degli atti provenienti dalle

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