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Aggiornamento della Carta Inventario delle Frane della Provincia di Prato (Toscana) tramite interferometria satellitare

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Academic year: 2021

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C ORSO DI LA UREA MA GIS TRA LE IN S CIENZ E E

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Aggiornamento della Carta Inventario delle Frane della Provincia

di Prato (Toscana) tramite interferometria satellitare

Relatore: Dott. Andrea Ciampalini

Correlatore: Prof.ssa Maria Cristina Salvatore

Controrelatore: Prof.ssa Carolina Pagli

Candidato:

REBECCA SCUNCIO

Anno Accademico 2018-2019

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RIASSUNTO

Le Carte Inventario delle Frane (CIF) sono un prodotto cartografico che tramite l’identificazione delle frane passate e la loro caratterizzazione (estensione, distribuzione, tipo di movimento e stato di attività) fornisce le informazioni basilari allo scopo di valutare la suscettibilità, la pericolosità, la vulnerabilità e il rischio da frana in una specifica regione. I dati radar vengono utilizzati per redigere e aggiornare le carte inventario, soprattutto tramite l’utilizzo dell’interferometria satellitare (InSAR). Tra i vari metodi InSAR il più utilizzato per la redazione delle CIF è la tecnica PsInSAR e la sua evoluzione, l’algoritmo SqueeSAR, che individua i Permanent o Persistent Scatterer (PS), punti che riflettono persistentemente e stabilmente il segnale verso il sensore durante l’intero intervallo di acquisizione. Questo metodo è stato utilizzato per aggiornare la Carta Inventario delle Frane della Provincia di Prato, caratterizzata da un elevato numero di fenomeni franosi. L’inventario precedente è quello presente all’interno del Database Geomorfologico della Regione Toscana, aggiornato al 2017. Questo identifica 1296 frane per un’area totale di 53,52 km2. La CIF è stata aggiornata utilizzando i dati interferometrici dei satelliti ERS 1/2, RADARSAT 1,

ENVISAT e Sentinel-1. A supporto dei dati satellitari sono state utilizzate le Ortofoto Digitali a Colori degli anni 2000, 2006 e 2012 del Ministero dell’Ambiente e i dati LiDAR della Regione Toscana. Sono stati selezionati due siti, Migliana e Gavigno, ove convalidare le analisi effettuate con osservazioni e indagini in situ, essendo caratterizzati da frane attive. L’analisi dei dataset satellitari ha permesso di: (I) individuare 53 nuovi fenomeni di frana, (II) perfezionare il perimetro di 35 frane all’interno dell’inventario e (III) aggiornare o confermare lo stato di attività di tutte le frane identificate. Quest’ultima operazione è stata effettuata tramite la creazione di semplici “matrici di attività”, che mettono a confronto lo stato di attività registrato nell’inventario con la deformazione misurata dai satelliti. Da queste analisi nascono due prodotti cartografici: l’aggiornamento della carta inventario e una carta che mostra la deformazione rilevata da Sentinel-1. Le serie storiche dei fenomeni aventi deformazioni particolarmente significative sono state confrontate con i dati pluviometrici, i danni subiti dagli edifici e dalle infrastrutture nei siti scelti per la validazione e, nel caso di Migliana, è stato inoltre possibile mettere a confronto i dati satellitari con quelli di quattro inclinometri. Lo studio ha evidenziato sia le potenzialità che i limiti della tecnica. Tramite i Permenent Scatterer è possibile mappare, individuare e caratterizzare i fenomeni di frana, specialmente in aree urbane e sub-urbane. Inoltre, vi è un evidente miglioramento della qualità e della quantità di dati ottenuti se processati tramite l’algoritmo SqueeSAR. La tecnica non è, però, in grado di individuare deformazioni elevate, riuscendo ad identificare solamente frane molto lente ed estremamente lente. Il più grande limite è la decorrelazione, particolarmente evidente nella provincia di Prato a causa delle estese aree boschive. Grazie alla possibilità di importare i dati radar più recenti sui Sistemi Informativi Geografici è possibile aggiornare velocemente le carte inventario, fornendo un’utile strumento, costantemente rinnovato, per la prevenzione e per la pianificazione territoriale.

Parole Chiave: frane, Prato, carte inventario, interferometria SAR, persistent scatterers interferometry

ABSTRACT

Landslide Inventory Maps (LIMs) rely on the identification of past landslides and their characterization (extension, distribution, types and state of activity) to provide basic information for evaluating landslide susceptibility, hazard, vulnerability, and risk in a specific region. Radar data are used to compile and update inventory maps, especially

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3 by using satellite interferometry (InSAR). Among the various approaches, the PsInSAR technique and its evolution the SqueeSAR algorithm are the most used in compiling LIMs. These techniques identify points (Permanent or Persistent Scatterers, PS) that persistently and reliably reflect the signal to the sensor during the whole acquisition interval. This approach has been adopted to update the Landslide Inventory Map of the Province of Prato (Tuscany, Italy), a highly prone area. The most recent pre-existing inventory is the one included in the Database Geomorfologico Della Regione Toscana, last updated in 2017. This inventory has 1296 landslides for a total area of 53,52 km2. The LIM was updated using the interferometric data from the ERS 1/2, RADARSAT-1, ENVISAT, and

SENTINEL-1 satellites. To back the satellite data the Ortofoto Digitali a Colori of the years 2000, 2006 e 2012 (Ministero dell’Ambiente) and the LiDAR data from Regione Toscana were used. Also, two sites, Migliana and Gavigno, were selected to validate the data with in situ observations and investigations since both are characterized by active landslides. The analysis of the datasets produced the following: (I) detection of 53 new landslides, (II) refinement of the boundaries of 35 landslides already present in the inventory, and (III) evaluation of the state of activity of all the detected landslides. This last procedure was achieved by creating activity matrices. These compare the state of activity of the pre-existing inventory with the satellite LOS velocities. From these two maps were created: the update of the inventory map and a map only showing SENTINEL-1 data. The updated LIM includes 1349 landslides for a total area of 54,06 km2. The time series of the landslides that record intense surface

displacement were compared with the precipitations data, the damage to the infrastructures and the buildings in the validation sites and, in the case of Migliana, it was possible to compare the data from the satellite with four inclinometers. This work has highlighted the capabilities and limits of this technique. By using the Permanent Scatterers it is possible to map, identify and characterize landslides, particularly in the urban and sub-urban areas. Besides, there is an evident improvement in the data quality and quantity if processed with the SqueeSAR algorithm. However, the approach cannot identify high displacement ratios, and this results in the ability to identify only Very Slow and Extremely Slow landslides. The biggest limit the method has is decorrelation, notably obvious in the Prato Province due to frequent wooded areas. Thanks to the possibility of importing satellite data to Geographic Information Systems (GIS) it is possible to update landslide inventory maps swiftly, obtaining a powerful, continuously renewed tool for prevention and urban development planning.

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SOMMARIO

INTRODUZIONE

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INQUADRAMENTO DELL’AREA DI STUDIO

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Inquadramento Geografico e Morfologico 9

Inquadramento Geologico 12

METODI E MATERIALI

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Metodi 24 Materiali 40 Metodologia di lavoro 45

RISULTATI

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Analisi di stabilità dei Permanent Scatterer (PS) 49 Valutazione dello Stato di Attività tramite “matrici di attività” 53

Prodotti Cartografici 57

Analisi delle Serie Storiche 65

Validazione 77

DISCUSSIONE

92

Efficacia nell’individuazione delle frane 92

Copertura temporale 94

Validazione del dato 95

CONCLUSIONI

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BIBLIOGRAFIA

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INTRODUZIONE

Le frane sono fenomeni diffusi a livello globale che causano un numero significativo di perdite di vite umane e di feriti, oltre a importanti danni economici alle proprietà pubbliche e private. In Europa e in particolare in Italia, dove a causa dell’assetto orografico e geologico esistono più di mezzo milione di frane attive, i dissesti rappresentano la principale causa di morte da rischi naturali (Guzzetti et alii, 1999, 2012). Le Carte Inventario delle Frane (CIF; Figura 1) risultano uno strumento essenziale per documentare l’estensione dei fenomeni di frana in aree che vanno da bacini idrografici (e.g. Cardinali et alii, 2001), fino a regioni (e.g. Duman et alii, 2005), stati, nazioni (e.g. Trigila et alii, 2010) o altri pianeti (e.g. Quantin et alii, 2004). Disporre di tali documenti cartografici permette di (I) compiere un primo passo verso la valutazione della suscettibilità, della pericolosità e del rischio di frana (e.g. van Westen et alii, 2006, 2008), (II) studiare la distribuzione, la tipologia e l’evoluzione delle frane in relazione alle caratteristiche geologiche e morfologiche del terreno (e.g. Guzzetti et alii, 1996) e (III) studiare l’evoluzione dei paesaggi dominati da fenomeni di degradazione dei versanti (e.g. Parker et alii, 2011; Guzzetti et alii, 2012).

Figura 1 - Carta Inventario Multi-temporale per l'area di Monte Castello di Vibio, Umbria (Italia). (1) Frane relitte, (2) Frane molto antiche, (3) frane precedenti al 1941, (4) frane attive nel 1941, (5) frane attive nel 1954, (6) frane attive nel periodo 1955-1976, (7) frane attive nel 1977, (8) frane attive nel periodo 1978 -1984, (9) frane attive nel

1985, (10) frane mappate in campagna nell’inverno del 2010 (Guzzetti et alii, 2012).

Una frana è il movimento, sotto l’influenza della gravità, di una massa di roccia, detrito o terra lungo un versante (Cruden e Varnes, 1996). Le frane possono essere subaeree o subacquee e sono causate da differenti fenomeni, come piogge intense o prolungate, terremoti, rapida fusione del ghiaccio o della neve, attività vulcanica o come conseguenza dell’intervento dell’uomo sul territorio (Guzzetti et alii, 2012). Le frane possono avvenire come crolli, ribaltamenti, espansioni, scorrimenti o colate, e molte frane mostrano una combinazione di due o più tipi di

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6 movimento, sia nel singolo evento che durante l’intera esistenza della frana (Cruden e Varnes, 1996). Una CIF documenta il luogo, il tipo di movimento e, dove nota, la data di avvenimento degli eventi franosi che hanno lasciato tracce identificabili nell’area di studio (Guzzetti et alii, 2012). Le carte inventario possono essere redatte utilizzando differenti tecniche (Guzzetti, 2006): la selezione di un metodo specifico dipende dallo scopo dell’inventario, l’estensione dell’area di studio, la scala delle carte di base, la scala della carta inventario, la risoluzione e le caratteristiche delle immagini disponibili (e.g. fotografie aeree, immagini satellitari), l’abilità e l’esperienza di coloro che la redigono e le risorse disponibili per completare il lavoro (Guzzetti et alii, 2000; wan Westen et alii, 2006). Tipicamente una singola carta viene utilizzata per rappresentare tutti i differenti tipi di frane presenti in un’area. I progressi ottenuti nello sviluppo di Sistemi Informativi Geografici (Geographic Information Systems – GIS) hanno risolto il problema del mostrare molteplici informazioni sulle frane nella stessa carta, permettendo la consultazione delle informazioni disponibili per ogni singolo fenomeno senza sovraccaricarla a livello grafico (Guzzetti et alii, 2012). In un inventario le tipologie di movimento franoso sono tipicamente classificate seguendo Varnes (1978), il WP/WLI (1993) e Cruden e Varnes (1996), o una versione semplificata di queste classificazioni. Le informazioni aggiuntive sulle frane, come l’età, lo stato di attività, la profondità e la velocità sono tipicamente dedotte dal tipo di movimento, dalle caratteristiche morfologiche e dall’aspetto della frana nelle immagini (e.g. fotografie aeree, immagini satellitari, rilievo ombreggiato), dall’assetto strutturale e litologico locale e dalla data a cui risalgono le immagini (Antonini et alii, 2002b; Fiorucci et alii, 2011). Tipicamente le frane sono classificate come attive se appaiono recenti nelle immagini di una data specifica mentre la velocità è spesso associata al tipo di movimento, ad esempio nella Figura 1 - Carta Inventario Multi-temporale per l'area di Monte Castello di Vibio, Umbria (Italia). (1) Frane relitte, (2) Frane molto antiche, (3) frane precedenti al 1941, (4) frane attive nel 1941, (5) frane attive nel 1954, (6) frane attive nel periodo 1955-1976, (7) frane attive nel 1977, (8) frane attive nel periodo 1978-1984, (9) frane attive nel 1985, (10) frane mappate in campagna nell’inverno del 2010 (Guzzetti et alii, 2012). un estratto della carta inventario multi-temporale dell’area di Monte Castello di Vibio, sono indicate con colori diversi le frane attive nelle diverse fotografie aeree che sono state utilizzate per redigere la carta (Guzzetti et alii, 2012). È bene ricordare che ogni opera di classificazione delle frane presenta delle semplificazioni ed è soggettiva.

Le Carte Inventario delle Frane sono classificate in base alla scala e al metodo di redazione (Guzzetti et alii, 2000; Galli et alii, 2008). Carte sinottiche a piccola scala (< 1:200.000) sono redatte principalmente tramite i dati presenti nella letteratura, le richieste ad enti pubblici e consulenti privati, i resoconti, i giornali, le relazioni tecniche e scientifiche e rivolgendosi ad esperti nel campo delle frane (Taylor e Brabb, 1986; Brabb, 1995; Glade, 1998; Reichenbach et alii, 1998; Salvati et alii, 2003, 2009), ma esistono esempi di CIF a piccola scala ottenute tramite l’analisi di un gran numero di fotografie aeree (Cardinali et alii, 1990). Le CIF a media scala (da 1:25.000 a 1:200.000 e.g. Cardinali et alii, 2001; Duman et alii, 2005) sono redatte attraverso l’interpretazione sistematica delle fotografie aeree a scale nominali che vanno da 1:60.000 a 1:10.000, integrando con indagini in campagna e informazioni storiche (Guzzetti et alii, 2012). Inventari a grande scala (> 1:25.000) sono redatti, tipicamente per aree limitate, usando sia l’interpretazione di fotografie aeree a scale maggiori di 1:20.000, sia immagini satellitari ad alta risoluzione e modelli digitali del terreno, oltre ad indagini in campagna (Guzzetti et alii, 2000; Reichenbach et alii, 2005). In base al metodo di redazione, le CIF possono essere classificate come inventari archivio o inventari geomorfologici (Guzzetti et alii, 2000; Malamud et alii, 2004). Un inventario archivio mostra informazioni sulle frane ottenute dalla letteratura o altre fonti di archiviazione (e.g. Taylor e Brabb, 1986; Reichenbach et alii, 1998; Salvati et alii, 2003, 2009). Gli inventari geomorfologici possono essere ulteriormente classificati come storici, per

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7 evento, stagionali o multi-temporali (Guzzetti et alii, 2012). Un inventario geomorfologico storico mostra gli effetti cumulativi di molti eventi di frana lungo un periodo di decine, centinaia o migliaia di anni (e.g. Cardinali et alii, 2001; Galli et alii, 2008). In questo tipo di inventario l’età della frana non è segnalata o è fornita in termini relativi come recente, antica o molto antica (Guzzetti et alii, 2012). Un inventario geomorfologico per evento mostra le frane causate da un singolo meccanismo innescante, come un terremoto (e.g. Parker et alii, 2011), un evento di pioggia (Tsai et alii, 2010) o di fusione della neve (Cardinali et alii, 2000). In un inventario per evento la data indicata per le frane indica la data (o il periodo) di azione del meccanismo innescante (Guzzetti et alii, 2012). Sfruttando molteplici serie di fotografie aeree e di immagini satellitari che coprono periodi diversi è possibile redigere inventari stagionali e multi-temporali (e.g. Galli et alii, 2008; Fiorucci et alii, 2011). Un inventario stagionale mostra frane innescate da eventi singoli o multipli durante una o qualche stagione (Fiorucci et alii, 2011), mentre gli inventari multi-temporali (Figura 1) presentano frane innescate da eventi multipli lungo periodi più lunghi (anni o decadi; Galli et alii, 2008). Negli inventari stagionali o multi-temporali la data (o periodo) indicata per la frana è attribuita in base alla data (o periodo) dei meccanismi innescanti e alla data delle immagini o delle indagini sul terreno effettuate per compilare gli inventari (Guzzetti et alii, 2012).

Esistono sia tecniche convenzionali che metodi innovativi per produrre le Carte Inventario delle Frane (Guzzetti et alii, 2012). Le tecniche convenzionali sono principalmente due: cartografare le frane durante indagini sul terreno e l’interpretazione delle fotografie aeree stereoscopiche. Le tecniche e i metodi innovativi sono: analisi visiva di DEM (Digital Terrain Models) ottenuti tramite LiDAR (Light Detection And Ranging) aerei, analisi di immagini multispettrali, uso di dati Synthetic Aperture Radar (SAR), utilizzo dati GPS (Global Positioning System), riconoscimento automatico o semi-automatico delle frane tramite l’utilizzo di DEM LiDAR e immagini multispettrali.

In Italia vi sono due inventari che censiscono i dissesti a livello nazionale: l’inventario AVI (Aree Vulnerate Italiane) e il Progetto IFFI (Inventario Fenomeni Franosi Italiani). Il primo fu compilato dal Gruppo Nazionale per la Difesa dalle Catastrofi Idrogeologiche (GNDCI) del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR), a cui era stato commissionato dal Dipartimento della Protezione Civile il censimento delle aree del paese colpite da frane e inondazioni per il periodo 1918-1990 (Fonte Web 1). Il Progetto IFFI, realizzato da ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e Ricerca Ambientale) e dalla Regioni e Provincie Autonome, fornisce un quadro dettagliato sulla distribuzione dei fenomeni franosi sul territorio italiano. L'inventario ha censito ad oggi 620.808 fenomeni franosi che interessano un’area di circa 23.700 km2, pari al 7,9% del territorio nazionale. L’inventario è aggiornato al 2015 per la Regione

Toscana (Fonte Web 2). Gli inventari, per essere aggiornati, necessitano di dati aggiornati su cui poter effettuare nuove analisi; la frequenza con cui vengono prodotti nuovi dataset è quindi ciò che dilata gli intervalli di tempo che intercorrono tra due successive iterazioni dello stesso inventario.

L’obiettivo di questo lavoro di tesi è quello di aggiornare la Carta Inventario delle Frane della Provincia di Prato tramite l’utilizzo di dati interferometrici satellitari riportati sul software QGIS. A partire dalle frane presenti nel Database Geomorfologico della Regione Toscana (Fonte Web 3), il cui ultimo aggiornamento risale al 2017. Il lavoro è consistito nell’ (I) individuare i fenomeni franosi non precedentemente segnalati e modificare, eventualmente, il perimetro di quelli già identificati, (II) valutarne lo stato di attività e (III) aggiornare i dati sui dissesti. A tale scopo sono stati utilizzati i dataset forniti dai satelliti ERS 1/2, Envisat, RADARSAT-1 e Sentinel-1 impiegando come supporto i dati LiDAR della Regione Toscana e le ortofoto digitali a colori con risoluzione 1:10.000 degli anni 2000, 2006 e 2012 (Geoportale Nazionale - Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio

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8 e del Mare); inoltre, sono stati selezionati due siti, Migliana e Gavigno, frazioni del comune di Cantagallo, ove comparare le analisi effettuate tramite dati telerilevati ad osservazioni e indagini in situ, essendo entrambi caratterizzati da frane attive che interessano parte dell’abitato, provocando evidenti danni alle strutture, e avendo, nel caso di Migliana, sistemi di monitoraggio recentemente installati.

I centri abitati che sorgono lungo la dorsale Appenninica e nella porzione collinare presente nella parte meridionale della Provincia Prato sono interessati da frequenti fenomeni di dissesto. La frequenza e l’intensità delle frane è da ricondurre principalmente all’assetto geologico di questo settore appenninico, che è caratterizzato da alternanze di strati più e meno competenti, in particolare di siltiti e arenarie per le formazioni appartenenti alla Falda Toscana e di argilliti e siltiti alternate a calcari, calcilutiti o marne per quelle appartenenti alle Unità Liguri. Sono anche presenti isolati affioramenti di rocce appartenenti alla sequenza ofiolitica (e.g. peridotiti serpentinizzate, filoni basaltici, basalti a cuscino; Fonte Web 4; Bettelli et alii, 2015). Le frane interessano frequentemente le infrastrutture presenti in queste zone, provocando ingenti danni alle strade di collegamento tra i vari paesi, in alcuni casi isolandoli completamente, avendo molti centri un’unica via d’accesso, come nel caso dei centri abitati di Cantagallo e Vernio, due comuni in cui abitano circa 10.000 persone, che nel 2016 sono rimasti isolati per diverse ore. È di assoluta rilevanza, quindi, disporre di dati e informazioni circa lo stato del dissesto attraverso l’aggiornamento della Carta Inventario delle Frane. Quest’ultima, infatti, risulta fondamentale per una azione di corretta gestione del territorio in quanto le informazioni contenute in essa sono di vitale importanza negli studi di suscettibilità, rischio e pericolosità da frana, fondamentali per la pianificazione urbanistica e per ridurre l’impatto socioeconomico di questi fenomeni.

I dati interferometrici satellitari sono un ottimo strumento per aggiornare o redigere le CIF in quanto permettono di misurare le deformazioni superficiali, con un’accuratezza da centimetrica a millimetrica. Le numerose missioni satellitari lanciate negli ultimi 30 anni hanno fornito un enorme quantità di dati, andando a costituire preziosi archivi storici che permettono di studiare sia le frane recenti che quelle passate. Risultano particolarmente utili per l’individuazione di frane superficiali Lente ed Estremamente Lente (Cruden e Varnes, 1996), avendo (I) un’ampia copertura spaziale e un’elevata risoluzione spaziale e temporale, (II) permettendo di analizzare siti difficili da raggiungere, (III) essendo un metodo non-invasivo e (IV) presentando dei vantaggi dal punto di vista economico. Nel caso specifico dell’Interferometria di Permanent Scatterers (Permanent Scatterers Interferometry, PSI), per ogni singolo Permanent Scatterer (PS, punto con comportamento elettromagnetico coerente in tutte le immagini SAR) è possibile ottenere, oltre ai dati di deformazione, i valori di velocità annuale, che permettono di valutare l’intensità della frana, e le serie storiche della deformazione, che forniscono informazioni sullo stato di attività della frana (e.g. Ciampalini et alii, 2014; Bianchini et alii, 2015a, 2015b; Intrieri et alii, 2017; Solari et alii, 2018).

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INQUADRAMENTO DELL’AREA DI STUDIO

L’area oggetto di studio è la Provincia di Prato (Toscana), confinante a Nord con la Provincia di Bologna (Emilia-Romagna), a Est e a Sud con la Provincia di Firenze (Toscana) e a Ovest con quella di Pistoia (Toscana).

Inquadramento Geografico e Morfologico

La Provincia di Prato (Figura 2) ha una superficie di 365,72 km2 ed è la seconda più piccola di tutta Italia, per

estensione, dopo Trieste. Nella parte settentrionale è attraversata dalla dorsale Appenninica, con parte del territorio del comune di Vernio che si trova al di là dello spartiacque, mentre nella porzione meridionale si trovano le pendici collinari del Montalbano. I rilievi di altezza maggiore di questa porzione dell’Appennino sono il monte della Scoperta (1273 m s.l.m.) e il monte Casciaio (1194 m s.l.m.).

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Figura 2- DEM della Provincia di Prato e rete idrografica.

Nella parte centrale della Provincia, si estende un’area pianeggiante che segue il corso del fiume Bisenzio e dell’ultimo tratto dell’Ombrone Pistoiese Questi, insieme all’Arno sono i due corsi d’acqua principali della Provincia (Figura 2). Il fiume Bisenzio nasce nel comune di Cantagallo (PO), presso il Poggio Cicialbo (900 m s.l.m.). Scende fino a Mercatale di Vernio, dove riceve il torrente Fiumenta e da qui si dirige a Sud verso Prato, ricevendo le acque del Rio di Buti, dove forma la val di Bisenzio vera e propria, per poi proseguire il suo corso e sfociare nell’Arno a Ponte a Signa (FI). In località Santa Lucia, a Prato, è presente un’ampia pescaia con una diga che un tempo serviva a far arrivare le acque alle varie industrie tessili della piana attraverso una serie di canali, oggi coperti nel tratto urbano, che sfociano nell’Ombrone Pistoiese. Quest’ultimo nasce sulle colline pistoiesi, presso Poggio dei Lagoni, passa attraverso Pistoia per poi entrare nel settore occidentale della piana di Firenze-Prato-Pistoia, entrando nel territorio pratese e sfociando poi nell’Arno al confine tra Signa (FI) e il comune di Carmignano (PO).

Nella Provincia si trova l’area naturale protetta di interesse locale del Monteferrato, una superficie di 1760 ha istituita per la protezione di “terreni erbosi calcarei carsici (o comunque basici) (Alysso-Sedion albi)”, “rupi

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11 ombrose con Asplenium cuifolium (Sedo dasyphylli-Asplenietum cuneifolii)” e “lande secche europee” (Fonte Web 5).

La Provincia è la prima in Toscana per densità di popolazione, la quale si concentra principalmente nella città di Prato, il capoluogo, dove risiedono circa 195.000 abitanti dei 256.000 totali. L’economia è legata principalmente al settore della lavorazione della lana, nel cosiddetto “bacino tessile pratese”, dove il ciclo produttivo è suddiviso tra numerosissime aziende di piccole dimensioni.

MIGLIANA

Migliana (Figura 3) è una frazione di circa 400 abitanti del comune di Cantagallo (PO) situata su un colle a 620 m s.l.m., il cui territorio si sviluppa interamente sul coronamento del Torrente Migliana, affluente di destra del Bisenzio (Fonte Web 6 e 7). La frazione è in realtà costituita da un gran numero di località sparse: La Ghiffia, Il Poggio, Masseto, I Castagneti, Caprodosso, I Felciai, Case di sotto, Fossi del Mulinaccio, Castiglioncello, La Pertugiata, La Vergine, I Montini, Chiusoli ecc.

Figura 3 - Ortofoto dell’area di Migliana con sovrapposto il reticolo idrografico .

GAVIGNO

Gavigno (Figura 4) è una frazione di circa 6 abitanti del Comune di Cantagallo (PO) situata nella Valle del Carigiola, a 747 m s.l.m. Il paese si ripopola durante l’estate. (Fonte Web 8 e 9).

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Figura 4 - Ortofoto dell'area di Gavigno con sovrapposto reticolo idrografico.

Inquadramento Geologico

L’Appennino Settentrionale (Figura 5), di cui fa parte la porzione di Appennino tosco-emiliano che attraversa la provincia di Prato, è una catena orogenica che fa parte del sistema alpino-himalaiano. È il risultato della convergenza tra la microplacca Adria (e di tutto il paleocontinente africano) e il paleocontinente europeo che provocò la sparizione della Tetide occidentale, oceano che li divideva (Abbate et alii, 1986).

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Figura 5 - Carta e sezione geologica schematica dell'Appennino Settentrionale (da Pandeli et alii, 2008).

L’orogenesi Paleozoica e la collisione Varisica formarono la Pangea a partire dall’unione dei megacontinenti Gondwana e Laurasia e la sparizione degli oceani che gli separavano. Il termine “Varisico” è stato coniato per definire la collisione Carbonifera nell’Europa centrale, ma eventi precedenti dell’Ordoviciano-Devoniano sono stati successivamente documentati, suggerendo l’esistenza di un’orogenesi paleozoica essenzialmente continua. In generale l’evoluzione pre-Permiano dell’Appennino e delle Alpi può essere riassunta come segue: (I) rifting, archi vulcanici e vulcanismo bimodale nel Proterozoico-Cambriano inf., documentati nel basamento Europeo e Adriatico, (II) subduzione verso Nord dell’oceano che bagnava settentrionalmente il Gondwana, registrata nelle unità alpine e (III) collisione continentale del Siluriano-Carbonifero inf. (orogenesi Varisica classica) che generò un ispessimento crostale per sovrapposizione di falde, metamorfismo regionale di basso-medio grado, processi anatettici, deformazione post-falda, deposizione di flysch e attività ignea sin-orogenica (350-320 Ma). Nel Carbonifero sup. la catena Varisica collassata fu sigillata da depositi clastici e intrusa da plutoni post-orogenici (Dal Piaz et alii, 2003).

La convergenza Varisica terminò all’incirca al limite Carbonifero-Permiano, quando divennero dominanti tettoniche transtensive e trascorrenti alla scala della placca Eurasiatica. La risalita dell’astenosfera, la perturbazione termica e l’assottigliamento della litosfera segnarono, nel Permiano inf., il principio di un nuovo

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14 regime geotettonico nel futuro dominio Adriatico. L’evoluzione Permiana fu caratterizzata, a scala litosferica, da detachments estensionali, estensioni asimmetriche e attività magmatica astenosferica diffusa (Dal Piaz et alii, 2003).

Dal Triassico sup. il rifting continentale tra l’Adria (Africa) e l’Europa (incluse le microplacche Corsica e Sardegna) generò l’oceano Ligure-Piemontese, un profondo “canale” caratterizzato da faglie listriche, half-graben e depositi sin-rift, braccio di 400-500 km della Tetide occidentale (Figura 6; Bortolotti et alii, 1990; Dal Piaz et alii, 2003; Marroni et alii, 2006; Pandeli, 2008).

Figura 6 - Schema dell’apertura dei bacini della Tetide occidentale (da Pandeli et alii, 2008).

Nel Cretaceo sup. il quadro geodinamico cambiò ed ebbe inizio una nuova fase di subduzione intra-oceanica, a spese dell’Oceano Ligure-Piemontese, come conseguenza della convergenza tra la megaplacca Africana e quella Europea. Le rocce che formavano il fondale oceanico, la transizione al margine continentale e la porzione più esterna di quest’ultimo si deformarono e si accavallarono andando a formare il prisma di accrezione, dando origine alle Unità Liguri s.l. Nell’Eocene medio (48 - 43 Ma) la placca Europea e la microplacca Adria entrarono in collisione e questa diede origine alla subduzione del margine continentale assottigliato della placca Adria al di sotto dell’Europa (Figura 7). Nell’Oligocene sup. il blocco Sardo-Corso si distacca dal margine europeo e ruota in senso antiorario provocando l’apertura del Bacino Ligure-Baleare. A causa di ciò, si ferma la tettonica compressiva nella parte occidentale (Corsica e Sardegna) della collisione, mentre continua nella sua parte orientale (Appennino Settentrionale). La subduzione della placca Adria avviene durante e dopo la rotazione, dando luogo a magmatismo

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15 calcalcalino in Corsica e Sardegna (28 – 15 Ma). Nel Miocene inf. - Pliocene/Pleistocene iniziano a manifestarsi nella parte più interna dell’orogene fenomeni di rilassamento della catena. I fenomeni estensionali del Tortoniano (8 Ma) nella parte interna della catena danno origine alla struttura a horst e graben dell’Appennino Settentrionale e a fenomeni magmatici ed idrotermali, mentre nel settore esterno continua la compressione per tutto il Quaternario. Allo stesso momento avviene un ulteriore processo di rifting tra Corsica e Sardegna e l’Appennino settentrionale che porta all’origine del bacino Tirrenico occidentale. Al giorno d’oggi l’Appennino settentrionale è caratterizzato da Est (avampaese) a Ovest (retropaese) da tre differenti settori: (I) una catena sepolta sotto la Pianura Padana dove un sistema di thrust, principalmente Plio-Quaternario, è ancora attivo, (II) la parte orientale della catena dove il sistema di thrust, in larga parte originato nel Miocene sup. – Pliocene, è esposto è caratterizzato da compressione attiva e (III) la porzione occidentale della catena caratterizzata da tettonica estensionale e un bacino in subsidenza formatosi nel Tortoniano. (Boccaletti et alii, 1971; Abbate et alii, 1984; Marroni et alii, 2006).

Figura 7 - Posizione delle Unità Tettoniche (Modificato da Marroni et alii, 2005).

LE UNITÀ TOSCANE

I depositi orogenici possono quindi essere suddivisi nelle Unità Tettoniche Toscane e Liguri (Figura 7). Le Unità Tettoniche Toscane derivano dalla deformazione e scagliatura del paleomargine continentale o adriatico; a maggiore profondità, deformate e ricristallizzate, emergenti solamente in finestre tettoniche (es. Alpi Apuane) si trovano le Unità Toscane Metamorfiche. Di esse fanno parte le filladi e le quarziti del Basamento Cristallino, di età Paleozoica, seguite verso l’alto da metaconglomerati quarzosi, filladi e quarziti del Triassico medio-superiore (Pandeli, 2002). Successivamente si trovano formazioni prevalentemente dolomitiche e marmoree-calcescistose del Triassico sup.-Cretaceo inf. (di cui fanno parte i Marmi Apuani), filladiche-calcescistose varicolori del Cretaceo sup.-Oligocene e metarenacee dell’Oligocene sup. Queste formazioni sono correlabili con le coeve della Falda Toscana, non metamorfica (Pandeli, 2008).

La Falda Toscana, non sempre completa, è costituita dalle Anidriti di Burano (Carnico-Norico), formatesi in bacini costieri evaporitici in clima intertropicale, spesso sostituite da brecce tettoniche, che rappresentano il livello di scollamento della Falda dal suo basamento. Il segmento Triassico sup.-Giurassico medio è caratterizzato da Calcari e Marne a Rhaetavicula contorta (Retico) di ambiente lagunare, Calcare Massiccio (Retico-Hettangiano) eteropico con i Calcari ad Angulati, entrambi depostisi in ambiente di piattaforma carbonatica in bacini poco profondi, il Calcare Rosso Ammonitico (Giurassico inf.), indicativo di un annegamento della piattaforma, il Calcare Selcifero Inferiore (Giurassico inf.) di ambiente bacinale, le Marne a Posidonia (Giurassico medio) di ambiente pelagico e il

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16 Calcare Selcifero Superiore, non sempre presente, del Giurassico medio. La successione continua con i Diaspri, radiolariti del Giurassico sup., la Maiolica, calcari pelagici torbiditici (Cretaceo inf.), la Scaglia Toscana, argilliti, marne varicolori e calcari di mare profondo (Cretaceo-Oligocene), e il Macigno, torbiditi silicoclastiche dell’Aquitaniano che rappresentano i primi depositi di avanfossa (Bortolotti et alii, 1992).

L’Unità Cervarola-Falterona, divisa in numerose formazioni e gruppi, è l’Unità Toscana più esterna. Essa è costituita da peliti e calcari varicolori di età Cretaceo-Miocenica, seguiti da una successione arenaceo-torbiditica di avanfossa (Bettelli et alii, 2005).

LE UNITÀ LIGURI

Queste unità sono rappresentative del dominio oceanico, della transizione oceano-continente e della parte più esterna del margine continentale, e sono impilate al di sopra delle Unità Toscane a seguito della collisione continentale.

Il dominio oceanico, Unità Liguri Interne, è formato da una sequenza ofiolitica del Giurassico medio-sup. caratterizzata da un substrato di serpentiniti e gabbri, sormontate da oficalciti e basalti a cuscino. Su queste si vanno a depositare brecce ofiolitiche e radiolariti (corrispondenti ai Diaspri della Falda Toscana). Seguono Calcari a Calpionelle (Giurassico sup.-Cretaceo inf.), che corrispondono alla Maiolica della Falda Toscana e Argille a Palombini. In seguito, si osservano depositi prevalentemente torbiditici e depositi gravitativi (Abbate et alii, 1980; Bettelli et alii, 2005). Le Unità Liguri Esterne presentano invece le ofioliti solo come grandi blocchi all’interno dei mélange sedimentari del Cretaceo sup. nelle Unità Occidentali, mentre sono completamente assenti in quelle Orientali. Dal Campaniano sup. all’Eocene medio, invece, entrambe presentano spesse successioni di torbiditi carbonatiche di mare profondo, la cui porzione Cretacica è denominata Flysch a Helmintoidi. Talvolta queste successioni, a causa della complessa storia tettonica, si sono caoticizzate e vengono denominate Complesso Caotico Autoctono (Elter, 1975; Marroni et alii, 2005; 2010). Le unità Subliguri, appartenenti al margine assottigliato della placca Adria, comprendono l’Unità di Canetolo, torbiditi carbonatiche intercalate in peliti emipelagiche, rappresentative del substrato continentale (Paleocene sup.-Eocene medio), l’Unità di Aveto, deposito di avanfossa, torbiditi silicoclastiche in strati medi e spessi di areniti grossolane, conglomerati e peliti (Oligocene inf.) e l’Unità Bratica, anch’esso deposito di avanfossa, torbiditi silicoclastiche in strati sottili e medi di areniti fini, siltiti e peliti (Oligocene sup.) (Elter, 1975; Marroni et alii, 2006; 2010). Nell’Eocene medio – Miocene sup. si vanno a sedimentare, in discordanza sulle Unità Liguri Interne ed Esterne già parzialmente strutturate e in fase di traslazione, le successioni Epiligure ed Epimesoalpina. Queste vengono anche chiamate “semialloctone” Auctt. e sono successioni episuturali sintettoniche di bacino confinato, caratterizzate da frequenti variazioni di facies sia verticalmente che lateralmente, intervallate da discordanze stratigrafiche e lacune di diversa entità. Si tratta in prevalenza di alternanze di marne di scarpata, torbiditi e depositi di frana sottomarina. La successione Epiligure tipo comprende: Mélange sedimentari (Eocene medio), Marne di M. Piano (Eocene medio-sup.), Arenarie di Ranzano (Eocene sup. - Oligocene inf.), Formazione di Antognola (Oligocene Superiore–Burdigaliano), Formazione di Bismantova (Langhiano-Serravalliano), Formazione del Termina (Tortoniano), Formazione Gessoso-Solfifera (Messiniano) eteropica della Formazione a Colombacci (Messiniano) (Martelli et alii, 2009).

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DEPOSITI DEI BACINI INTRAMONTANI

All’interno dei sistemi a horst e graben della catena appenninica si sono depositate numerose successioni di sedimenti continentali e marini (Figura 8). A partire dalle successioni Epiliguri, solitamente è possibile riconoscere:

Figura 8 - Distribuzione dei principali bacini post-orogeni dell’Appennino Settentrionale. In rigato sono indicati i bacini Mio-Pliocenici con depositi continentali e marini, in puntinato i bacini Plio -Pleistocenici con sedimenti continentali fluviolacustri.

1) principali fronti di accavallamento delle unità tettoniche appenninic he; 2) faglie principali al bordo dei bacini; 3) linee tettoniche trasversali; 4) faglie minori al bordo dei bacini. (da Martini e Sagri, 1993).

1. Miocene superiore (porzione sommitale della successione Epiligure): Formazione del Termina, successione lacustre lignitifera (Tortoniano sup.-Messiniano inf.), ambiente di savana con bacini lacustri a prevalente sedimentazione argillosa-marnosa e, localmente, torbosa; b) Formazione Gessoso-Solfifera (Messiniano), legata all’insinuazione di bracci di mare dovuta a sprofondamenti tettonici.

2. Pliocene: il mare si spinge ancora più a Est che nel Messiniano, colmando i bacini di depositi essenzialmente sabbioso argillosi. Si ritira da gran parte della Toscana alla fine del Pliocene inf., la sedimentazione diviene più grossolana durante il Pliocene medio, mentre il Pliocene superiore è caratterizzato dalla totale assenza di depositi marini in tutta la regione. In questo periodo la sedimentazione è prevalentemente continentale.

3. Pleistocene: Valli fluviali e apertura di bacini fluviali lacustri, con ingressioni marine solo nelle aree costiere. L’evoluzione verso Est delle strutture distensive e le variazioni del livello del mare dovute alle glaciazioni influenzano particolarmente l’evoluzione dei reticoli idrografici (Mazzanti e Trevisan, 1978; Bartolini e Pranzini, 1981; Pandeli; 2008).

MAGMATISMO

Dal Miocene sup. a circa 200.000 anni fa la Toscana e, in particolare, la Toscana Meridionale e l’Arcipelago Toscano sono state interessate da fenomeni magmatici (Figura 5), a causa dell’assottigliamento della crosta continentale

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18 dovuto all’apertura del bacino Tirrenico. Questo processo è riscontrabile tutt’oggi nelle diffuse manifestazioni idrotermali e termominerali e nei ricchi, in passato ampiamente sfruttati, giacimenti metallici (Serri et alii, 1991).

LA PROVINCIA DI PRATO

La Provincia di Prato è per la maggior parte della sua estensione occupata dal bacino intramontano di Firenze-Prato-Pistoia, orientato NO-SE, che si estende per un totale di 45 km in lunghezza e un massimo di 10 km in larghezza, con un’elevazione media di 45 m s.l.m. Il bacino è limitato da due alti strutturali: a) la dorsale Pistoia-Montale-Calvana-M. Morello-Fiesole-Settignano, a Nord, dove affiorano estesamente le Unità Liguri (Unità di M. Morello, caratterizzata da una sequenza ofiolitica con associata copertura sedimentaria), mentre più limitati sono gli affioramenti delle rocce appartenenti alle Unità Toscane arenaceo-torbiditiche (Unità Cervarola-Falterona); b) la dorsale M. Albano-Pian dei Cerri-Impruneta, verso Sud, costituita largamente dal Macigno della Falda Toscana e dal Complesso Caotico Autoctono (Bettelli et alii, 2005; Pandeli, 2008). In entrambe le dorsali vi sono diffusi fenomeni di dissesto. Il limite settentrionale del bacino è controllato dalla Faglia di Prato-San Domenico di Fiesole, di andamento appenninico, che ribassa verso SO le rocce appartenenti alle Unità Toscane e Liguri del bacino con un rigetto totale di oltre 1000 m (Coli e Rubellini, 2007). Questo fa di modo che la geometria del fondo del bacino sia fortemente asimmetrica, con il massimo di profondità (600 m) raggiunto nel settore nord-orientale (l’area a SE di Prato, Campi Bisenzio e Cadenzano). Sono presenti, inoltre, altre faglie di direzione antiappenninica (SO-NE), che suddividono trasversalmente in blocchi variamente ribassati il bacino stesso (Faglie di Castello-Scandicci e di Maiano-Bagno a Ripoli) che rialzano il blocco di Firenze rispetto al resto del bacino (Figura 9) (Pandeli, 2008).

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Figura 9 - Carta geologica schematica del Bacino di Firenze -Prato-Pistoia e delle aree limitrofe (da Coli e Rubellini, 2007).

L’evoluzione della piana inizia con la sedimentazione, nel Pliocene inferiore (5.1-3.2 Ma) di depositi fluviali, per lo più grossolani, e lacustro-palustri antichi, precedenti all’impostazione del bacino, che si ritrovano solo localmente nel sottosuolo. Nel Pliocene sup. (3.2 Ma) inizia a prendere forma la valle e si depongono i sedimenti del Sintema di Firenze-Pistoia, argille più o meno sabbioso-ghiaiose (Argille Turchine) con locali livelli di lignite/torba di ambiente per lo più lacustre. Questi depositi passano lateralmente a quelli in più grossolani legati agli apparati deltizi e di fan-delta in corrispondenza all’immissione dei torrenti nello stesso lago (es. paleo-Bisenzio). Durante il Pleistocene inf. (1.7- 1.2 Ma) sono attive le faglie antiappenniniche che sollevano il blocco di Firenze di circa 50 m rispetto all’area di Prato-Pistoia. In un successivo periodo di stasi tettonica il bacino viene colmato e si formano le spianate di colmo oggi a quota 140 m s.l.m. Nel Pleistocene medio-superiore (1.2-0.01 Ma) l’ambiente diviene decisamente fluviale (Depositi Alluvionali Antichi) con i corsi d’acqua che iniziano ad impostarsi sui depositi del bacino palustre-lacustre, ormai colmato, e ad alternare periodi di incisione a periodi di deposizione a seconda delle variazioni del livello del mare dovute alle glaciazioni. (Pandeli, 2008) Numerosi sondaggi (Figura 10) mostrano come i drenaggi dei corsi d’acqua principali e le relative aree di esondazione non erano particolarmente

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20 diversi da quelli attuali (es. Ombrone Pistoiese, paleo-Arno), ma sicuramente con percorsi più divaganti nella pianura (Conedera e Ercoli, 1973).

Figura 10 - Successioni stratigrafiche rappresentative del riempimento del Bacino di Firenze -Prato-Pistoia desunte da sondaggi. 1) Sabbie argillose, 2) Ciottolami e ghiaie, 3) Ciottolati con matr ice sabbioso-argillosa, 4) Argille, 5) Argille con lenti

di ciottolati, 6) Calcari cariati tipo travertino, 7) Rocce del substrato della conca fluvio -lacustre (da Capecchi et al., 1975).

Nell’Olocene-Attuale (< 0.01 Ma) i fiumi divagano ancora nella pianura di Firenze-Prato-Pistoia, mettendo in posto i cosiddetti Depositi Alluvionali Recenti; localmente persistono ancora ambienti lacustro-palustri, la cui bonifica è iniziata con la centuriazione romana. In seguito, sono state effettuate le opere di rettificazione e canalizzazione dei corsi d’acqua, specialmente nelle grandi città, con la deposizione dei sedimenti che inizia ad avvenire quasi esclusivamente negli alvei stessi, interessando la piana solo a causa di grandi alluvioni. (Pandeli, 2008)

L’Area di Migliana

Il versante ove sorge l’abitato di Migliana è costituito dai membri arenaceo-pelitico e pelitico-arenaceo della Formazione dell’Acquerino (Figura 11), in condizioni di affioramento o sub-affioramento, parte di una lunga potente successione thinning e fining upward (da areniti prevalenti alla base a torbiditi finissime pelitiche al tetto) di depositi Miocenici di avanfossa dell’Unità Tettonica Cervarola (Bettelli et alii, 2005).

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Figura 11 – Carta geologica di Migliana (modificato da Database Geologico Regionale in Scala 1:10.000 della Regione Toscana, Fonte Web 4).

La formazione è costituita da alternanze di strati gradati arenaceo-pelitici con spessore e granulometria variabili. Le areniti sono di colore grigio scuro, di composizione feldspatolitica e molto ben cementate. Le peliti sono da grigie a grigie scure a nere, molto indurite. La formazione dell’Acquerino è articolata in tre membri sovrapposti stratigraficamente e in rapporti di parziale eteropia: il membro arenaceo-pelitico, il membro pelitico-arenaceo e il membro pelitico. Il primo (AQR1, Chattiano?-Aquitaniano) è caratterizzato da alternanze arenaceo-pelitiche in strati gradati da medi a molto spessi a banchi (Figura 12). La granulometria varia da fine a grossolana, legata allo spessore dei livelli arenitici. Il secondo (AQR2, Aquitaniano-Burdigaliano) è costituito da alternanze pelitico-arenacee in strati gradati, generalmente da sottili a medi e, talvolta, spessi. Il terzo (AQR3), non affiorante nell’area di Migliana, è composto da marne e marne siltose da grigio chiare a nocciola con presenza verso la base di livelli siltosi e arenitici gradati (Bettelli et alii, 2005).

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Figura 12 - Alternanze di arenarie e peliti del membro AQR1.

Sul versante è anche presente una modesta copertura detritica arenaceo-silititica con matrice fine, concentrata nelle aree di compluvio e in corrispondenza dei fenomeni di dissesto.

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L’Area di Gavigno

Figura 13- Carta Geologica di Gavigno (modificato dalla Carta Geologica Regionale in Scala 1:10.000).

L’area di Gavigno è caratterizzata dal punto di vista geologico dalla presenza del membro a megastrati arenacei della Formazione del Torrente Carigiola (Aquitaniano) facente parte dell’Unità Tettonica Cervarola (Figura 13). La formazione è costituita da alternanze arenaceo-pelitiche caratterizzate da un rapporto A/P variabile e dalla presenza di strati particolarmente spessi (“megastrati”) a grana da grossolana a microconglomeratica. Al tetto della formazione sono presenti prevalentemente peliti. Le areniti hanno composizione principalmente feldspatolitica e sono molto ben cementate. La formazione è stata interamente suddivisa in due membri (TCG1-2), in rapporti di sovrapposizione stratigrafica e parziale eteropia, e rappresenta un sistema torbiditico pienamente sviluppato (Bettelli et alii, 2005).

Il membro a megastrati arenacei (TCG1) è rappresentato da alternanze arenaceo-pelitiche caratterizzate dalla presenza di potenti strati gradati (fino a 35 m) a base da grossolana a microconglomeratica, spesso erosiva, seguita da un potente intervallo arenitico, con gradazione spesso assente, scarsa cernita e con grossi inclusi pelitici e strutture interne caotiche. Questi strati si chiudono con un intervallo pelitico di spessore raffrontabile con la porzione arenitica. Negli intervalli della successione più ricchi di pelite anche gli strati molto spessi hanno la frazione arenitica nettamente subordinata a quella pelitica. La geometria degli strati, compresi quelli più potenti, è piano parallela. Nella parte medio-superiore del membro è talora presente selce nera in liste e livelli centimetrici. Localmente, negli intervalli più pelitici, si riconoscono depositi di slump. La potenza del membro è di circa 950 m. Il contatto superiore è graduale e parzialmente eteropico con TCG2. Si tratta di depositi torbiditici di lobo arenaceo e di frangia di lobo, contenenti megastrati grossolani che rappresentano eventi di risedimentazione in massa di grande volume in un bacino relativamente confinato (Bettelli et alii, 2005).L’area ove sorge l’abitato di Gavigno presenta una modesta copertura detritica arenaceo-pelitica in corrispondenza dei fenomeni di dissesto.

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METODI E MATERIALI

Metodi

Vengono di seguito descritte approfonditamente le metodologie applicate in questa tesi con particolare riguardo per il metodo dell’interferometria satellitare e l’analisi dei Permanent Scatterer (PS), principale tecnica utilizzata per aggiornare la CIF della Provincia di Prato. Gli altri metodi sono illustrati brevemente nei paragrafi successivi.

INTERFEROMETRIA SATELLITARE

L’interferometria radar satellitare è una tecnica di telerilevamento, la scienza e l’arte di ottenere informazioni su un fenomeno, un oggetto o un’area, attraverso l’analisi di dati acquisiti tramite un sensore non a diretto contatto con il fenomeno, l’oggetto o l’area osservati (Lillesand et alii, 2008). Il radar è un sensore attivo, che produce l’energia necessaria alle sue misurazioni inviando un fascio di radiazioni elettromagnetiche e registrando il segnale di ritorno una volta che questo ha interagito con le superfici oggetto di analisi (Boschetti et alii, 2005).

Radar

Il radar (RAdio Detection And Ranging) è un sistema di telerilevamento utilizzato per l’individuazione e la determinazione della posizione di oggetti fissi o mobili. Utilizza un fascio di energia elettromagnetica che si propaga sotto forma di onde che viaggiano alla velocità della luce, c. L’energia elettromagnetica trasmessa è caratterizzata dalla sua lunghezza d’onda (λ, la distanza tra due “punti corrispondenti” in due onde consecutive), la sua ampiezza (A, l’altezza della cresta dell’onda), il periodo (T, il tempo necessario all’onda per percorrere una distanza pari alla sua lunghezza d’onda), la polarizzazione (la direzione dell’oscillazione del vettore campo elettrico) e la fase (𝜑, la posizione particolare di un punto nel ciclo di un onda, misurato come angolo; Figura 14).

Figura 14 - Caratteristiche di un'onda.

Il funzionamento del radar si basa sul fenomeno della dispersione della radiazione elettromagnetica che si verifica quando questa colpisce un oggetto di dimensioni maggiori della lunghezza d’onda (λ) della radiazione incidente e

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25 che ne modifica le caratteristiche. La radiazione di ritorno (o eco) può essere quindi rilevata dall’antenna ricevente e confrontata con quella emessa dopo un tempo 𝑡 =2𝑅𝑐 , dove R è la distanza (range) tra il bersaglio e il sensore. Il radar opera generalmente nella regione delle microonde (λ compresa tra 1 mm e 1 m) che sono sostanzialmente in grado di penetrare l’atmosfera in ogni condizione; per questo motivo questo sistema di telerilevamento, a differenza di altri, può essere usato sia di giorno che di notte, con la pioggia, la neve o altre condizioni atmosferiche tipicamente proibitive; la continuità di rilevamento è, difatti, uno dei suoi principali punti di forza. I radar per l’imaging (produzione di immagini), progettati per registrare le informazioni contenute negli echi con lo scopo di mappare il terreno e che vengono usati per il telerilevamento del territorio, utilizzano un’antenna orientata lateralmente e vengono perciò detti Side-Looking Radars (SLR) o Side-Looking Airborne Radars (SLAR; Figura 16). Questo perché il radar può riconoscere gli echi provenienti dai vari bersagli soltanto basandosi sul tempo di arrivo dei segnali ricevuti (Skolnik, 1981, 1990; Hanssen, 2001).

Figura 15 - Grafico dello spettro elettromagnetico (da Hansson e Rachavula, 2006)

Figura 16 - Differenza tra SAR e NAR (Nadir-looking Radar). Nel primo caso i due bersagli non possono essere distinti perché l’antenna gli illumina nello stesso momento, mentre nel secondo caso vi è un intervallo di tempo tra

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26 Tipicamente un segnale radar è composto da una serie di impulsi rettangolari di breve durata, definito treno di impulsi (Figura 17). Un impulso di breve durata fa in modo che il trasmettitore non stia emanando un segnale quando riceve un eco debole, ossia che una volta che il segnale viene trasmesso nello spazio debba passare un intervallo di tempo che permetta a tutti gli echi di ritornare al sensore prima che venga trasmesso il successivo, altrimenti vi sarebbero errori nelle misurazioni della distanza sensore-oggetto. Inoltre, la qualità delle mappe del terreno prodotte da un radar si basa, primariamente, proprio sulla capacità del sensore di distinguere bersagli molto vicini. Quest’abilità è tipicamente valutata in termini di dimensione della cella, che è definita in range e azimut (Figura 18; Figura 19). Con un impulso di breve durata la risoluzione in range (inclinato) del radar ∆𝑅 =

𝑐𝜏

2 , dove τ è la durata dell’impulso (Figura 17), è migliore (la risoluzione a terra è pari a ∆𝑅𝑔 = 𝑐𝜏

2𝑠𝑖𝑛𝜗, dove 𝜗 è

l’angolo d’incidenza).

Figura 17 - Treno d'impulsi (modificato da https://en.wikipedia.org/wiki/Pulse_wave)

Un impulso lungo quindi ha minore risoluzione spaziale in quanto τ è maggiore, ma ha maggiori possibilità di ricevere un eco, in quanto l’energia di un impulso 𝐸 = 𝑃0𝜏 , dove P0 è la potenza istantanea di picco, è

direttamente proporzionale a τ. Per ottenere un’elevata risoluzione in range senza sacrificare l’energia del segnale è possibile comprimere gli impulsi. Questa operazione si basa sul fatto che un impulso lungo può avere la stessa larghezza di banda 𝐵 =1𝜏 di un impulso breve se viene modulato nella frequenza o nella fase. Viene quindi emesso un impulso codificato per essere di lunga durata, o chirp, che viene poi processato, una volta che ne è stato ricevuto l’eco, in un filtro adattato per ottenere un impulso relativamente ristretto, avendo così le capacità di individuazione del segnale di un impulso lungo e la risoluzione di un impulso breve. Nella direzione dell’azimut due oggetti alla stessa distanza possono essere distinti solamente se non sono illuminati dal fascio nello stesso momento. L’apertura angolare dell’antenna nel piano orizzontale è 𝜃 =𝜆𝐿, dove L è la lunghezza dell’antenna (direzione orizzontale); quindi la risoluzione in azimut 𝐴𝑔 =

𝜆𝑅

𝐿 dipende dalle dimensioni dell’antenna (Skolnik,

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Figura 18 - Geometria di vista di uno SLAR (da Dzurisin, 2007)

Per risolvere i problemi collegati alla massima dimensione che può meccanicamente avere un’antenna sono stati ideati i radar ad apertura sintetica (Synthetic Aperture Radar, SAR) che sfruttano il movimento del sensore per produrre l’equivalente di un’antenna lunga, in quanto ogni volta che il segnale è trasmesso il radar occupa una posizione leggermente più avanzata lungo la sua traiettoria di volo. La lunghezza dell’antenna sintetica è quindi pari alla distanza coperta dall’antenna in movimento dal punto in cui il bersaglio entra nel fascio di radiazione elettromagnetica del radar fino a quando non ne esce (Figura 19). A causa della variazione di larghezza del fascio lungo il range, i bersagli in near range vengono rilevati per poco tempo da uno stretto fascio di radiazioni e i bersagli in far range vengono osservati più a lungo ma con un fascio più ampio. In questo modo l’energia trasmessa dall’antenna sull’intera scena è praticamente la stessa e la produzione dell’immagine è uniforme (Franceschetti e Lanari 1999; Ferretti et alii, 2007; Simons e Rosen, 2007; Figura 19). Sfruttando il movimento dell’antenna i sistemi SAR possono essere più precisi nel posizionamento degli oggetti lungo il percorso di volo di quanto sarebbe possibile con un’antenna reale (Skolnik, 1981, 1990; Hanssen, 2001).

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Figura 19 - Principio di funzionamento del SAR (da Fonte WEB 11)

La porzione del segnale che ritorna all’antenna e viene rilevata è denominata backscatter (o radiazione di ritorno). Quale parte ritorna al sensore è fortemente influenzata dalla ruvidezza e dalla geometria della superficie. La quantificazione della ruvidezza di una superficie nasce dal fatto che la radiazione incidente possa essere riflessa sia verso il sensore che lontano da esso. Ciò significa che una superficie orizzontale liscia, ad esempio l’acqua, agisce come uno specchio e la radiazione emessa dal radar non viene riflessa verso il sensore. (Figura 20). Le superfici lisce inclinate o verticali dei manufatti o degli affioramenti di roccia riflettono la radiazione verso il sensore; questi bersagli, principalmente strutture artificiali, vengono definiti double-bounce scatterer (Figura 20). La vegetazione, invece, ha una superficie piuttosto ruvida, in quanto la radiazione non viene riflessa direttamente al sensore come descritto per i double-bounce scatterer e il suo percorso è molto più caotico e sparso. Questi bersagli vengono definiti volume scatterer: la radiazione entra in un volume, come la chioma di un albero, e all’interno di esso viene riflessa numerose volte da molti piccoli elementary scatterer prima di riuscire a uscirne (Figura 20). L’ampiezza di questo segnale, perciò, dipende dalla somma di molti backscatter positivi e negativi provenienti dai numerosi elementary scatterer. (Franceschetti e Lanari, 1999; Ferretti et alii, 2007; Hoser, 2018).

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Figura 20 - Comportamento tipico di tre classi di superfici. La freccia indica la radiazione elettromagnetica in arrivo dal sensore (da Hoser, 2018)

La geometria di vista causata dall’antenna orientata di lato (tipicamente a destra) porta la ripidità della topografia ad influenzare inevitabilmente quali porzioni della superficie verranno illuminate. Ovviamente, un versante ripido parallelo o più inclinato della linea di vista (Line Of Sight, LOS) del sensore non può essere rilevato, in quanto tale parte della superficie ricade nella zona d’ombra del radar. Lo stesso principio si applica alle parti di versante, tipicamente ricadenti dietro una cresta, che sono meno inclinate della LOS e sono schermate dagli impulsi elettromagnetici dal versante immediatamente di fronte al radar. (Franceshetti e Lanari, 1999; Rosen et alii, 2000; Simons e Rosen, 2007; Hoser, 2018). Questo, al contrario, rifletterà sempre la radiazione, anche se possono occorrere numerosi fenomeni. Il primo è detto foreshortening (scorciamento) e avviene se l’angolo di inclinazione del versante è inferiore all’angolo incidente 𝜗, per cui il segnale radar raggiunge la base del pendio prima della cima. La quantità di energia riflessa verso il sensore è quindi più alta di quella che rifletterebbe la stessa area se fosse orizzontale, in quanto, proiettata a terra, la cella di risoluzione è più corta della stessa cella rappresentante la suddetta superficie orizzontale (Figura 21). Il foreshortening avviene fin quando l’angolo d’inclinazione del versante non diviene uguale all’angolo d’incidenza, ossia quando il radar illumina la cima e il piede contemporaneamente. Tuttavia, se l’angolo d’incidenza 𝜗 è minore dell’angolo di inclinazione del versante e la cima è illuminata prima del piede del pendio, si verifica l’effetto detto layover (copertura). Proiettato lungo il range inclinato sembra che il segnale della parte superiore del pendio arrivi da una posizione di fronte al pendio stesso visto dalla prospettiva del range a terra (Figura 21). Per superare questi due fenomeni geometrici può essere applicata una tipologia di processing delle immagini detta geocoding. La posizione delle celle è riproiettata dalle coordinate SAR per come sono rilevate dal sensore a coordinate che rappresentino posizioni reali sulla superficie terrestre, mentre la dimensione delle celle viene resa uniforme su tutta l’immagine (Franceschetti e Lanari, 1999; Rosen et alii, 2000; Lauknes, 2004; Ferretti et alii, 2007; Simons e Rosen, 2007; Hoser, 2018).

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Figura 21 - Effetti geometrici dovuti all'orientazione dell'antenna (da Hoser, 2018)

I satelliti SAR, tipicamente posizionati ad una quota di 600-1000 km, si muovono su un’orbita eliosincrona quasi polare intorno al pianeta. I satelliti passano quindi al di sopra o circa al di sopra di entrambi i poli in ogni rivoluzione, alternando orbite ascendenti con orbite discendenti.

Interferometria SAR

L’interferometria SAR è una tecnica che utilizza due o più immagini SAR per generare mappe della deformazione superficiale o modelli di elevazione del terreno. Si basa sul fatto che ad ogni passaggio i satelliti misurano precisamente la distanza (range) sensore-superficie, per cui sono anche in grado di misurarne le variazioni. I satelliti SAR a causa dei loro angoli di incidenza molto elevati sono principalmente in grado di rilevare la componente verticale del movimento.

Le immagini SAR sono composte da una griglia di numeri complessi y, chiamati fasori, che possono essere distinti in ampiezza e fase, quest’ultima di interesse maggiore quando si vuole produrre un interferogramma. Il segnale può essere descritto come 𝑦 = 𝐴𝑒−𝑗𝜑= 𝐴𝑒−𝑗4𝜋𝜆𝑅

, dove 𝑦 è il fasore, 𝐴 è l’ampiezza, 𝑗𝜑 è la fase registrata e 𝑅 è la distanza in range inclinato tra il sensore e l’oggetto (Rosen et alii, 2000; Lauknes, 2004; Simons e Rosen 2007; Hoser, 2018). La differenza di fase tra due immagini dipende quindi dal range e dalla fase di backscatter all’interno della cella di risoluzione, rappresentata da valori casuali legati ai bersagli presenti al suo interno. La posizione di un bersaglio in range inclinato può quindi essere riconosciuta da un sistema SAR a causa del valore di fase del segnale, come ci dice l’equazione della fase 𝜑 = −2𝜋𝜆 2𝑅 = −4𝜋

𝜆 𝑅, dove 𝜑 è la fase. Siccome il segnale deve

percorrere due volte la distanza sensore-oggetto il range R è raddoppiato. Differenze nella lunghezza di questo percorso determinano variazioni della fase e conseguentemente della posizione in range del bersaglio. Tipicamente i valori di spostamento negativi, derivati dal valore della fase, sono interpretati come movimenti in allontanamento dal sensore nella direzione del range (inclinato), mentre i valori positivi sono interpretati come in avvicinamento (Rosen et alii, 2000; Ferretti et alii, 2007; Hooper et alii, 2007; Simons e Rosen, 2007). Nella tecnica Interferometric Synthethic Aperture Radar (InSAR) la differenza tra i due segnali di fase viene sfruttata utilizzando due immagini SAR per costruire un interferogramma complesso Φ. Durante la formazione di un interferogramma, alla prima immagine, chiamata master, viene sottratta la seconda, chiamata slave. La sottrazione porta ad una fase interferometrica 𝜙 che rappresenta la differenza di fase tra le due immagini SAR (Rosen et alii, 2000; Ferretti et alii, 2007; Hooper, 2007; Simons e Rosen, 2007; Hoser, 2018).

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31 La fase interferometrica è formata da diversi componenti:

𝜙 = 𝜙𝑇.𝑝𝑖𝑎𝑡𝑡𝑎+ 𝜙𝑡𝑜𝑝𝑜+ 𝜙𝑠𝑝𝑜𝑠𝑡+ 𝜙𝑎𝑡𝑚+ 𝜙𝑜𝑟𝑏+ 𝜙𝑟𝑢𝑚

dove 𝜙𝑇.𝑝𝑖𝑎𝑡𝑡𝑎 è la fase della terra piatta (assume che non ci sia topografia), 𝜙𝑡𝑜𝑝𝑜è la fase topografica o elevazione della superficie, 𝜙𝑑𝑖𝑠𝑝 è lo spostamento della superficie tra le due immagini, 𝜙𝑎𝑡𝑚 è il contributo dell’atmosfera al segnale di fase, 𝜙𝑜𝑟𝑏 è il contributo causato alle variazioni dell’orbita della piattaforma e 𝜙𝑟𝑢𝑚

è il rumore di fase (Hanssen, 2001; Berardino et alii, 2002; Crosetto et alii, 2016). L’obiettivo principale del Differential Interferometric SAR (DInSAR) è quello di individuare il contributo di 𝜙𝑠𝑝𝑜𝑠𝑡. Se è possibile isolare

questo componente sottraendo e minimizzando gli altri, possono essere registrate differenze di fase inferiori alla lunghezza d’onda del segnale, arrivando a individuare movimenti di pochi millimetri. I componenti principali di 𝜙 sono 𝜙𝑇.𝑝𝑖𝑎𝑡𝑡𝑎 e 𝜙𝑡𝑜𝑝𝑜 che possono essere calcolati utilizzando le posizioni relative dei sensori e un DEM preesistente (tipicamente lo Shuttle Radar Topography Mission (SRTM) con dimensione delle celle 30-90 m), in modo da sottrarli a 𝜙 (Figura 23). 𝜙𝑎𝑡𝑚 viene causato dalla stratificazione dell’atmosfera e dalla presenza di

fenomeni metereologici che la rendono “turbolenta”. Il rumore atmosferico viene rimosso tramite modelli ottenuti con altri tipi di osservazioni (e.g. GPS, palloni sonda) o aumentando il rapporto segnale-rumore durante il post-processing, tramite lo stacking o l’analisi delle serie temporali. 𝜙𝑜𝑟𝑏 è causato dalla differente posizione del satellite nelle due scene; maggiore è la baseline perpendicolare trai due satelliti (Figura 23), maggiore è la differenza fra le due geometrie di vista. Tipicamente viene rimosso tramite valutazioni statistiche. 𝜙𝑟𝑢𝑚 può essere ridotto tramite del filtraggio ma non può essere completamente rimosso.

Inizialmente la fase è nota soltanto rispetto al modulo 2π, ma la fase totale può essere data da molti multipli di 2π. Si dice quindi che la fase è impacchettata (wrapped). Determinare la fase assoluta, ossia i multipli totali di 2π, è un procedimento definito spacchettamento (unwrapping) della fase. Una variazione di fase di 2π è nota come frangia e corrisponde ad una variazione del range (inclinato) di 𝜆2, rappresentato graficamente da un ciclo di colori completo. Lo spacchettamento visivo corrisponde quindi al contare i cicli di colori nell’immagine (Figura 22).

Figura 22 - Lo spacchettamento visivo della fase consiste nel contare i cicli di colori per ricavare la deformazione (da Dzurisin, 2007)

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32 Dopo aver creato un interferogramma, la fase interferometrica presente non deve essere interpretata come omogenea. Alcune parti dell’interferogramma possono avere differenti contributi alla fase rilevata da parte del rumore rispetto ad altre, con alcune che possono essere rumorose al punto da rendere non interpretabile la fase interferometrica. Questo fenomeno è detto decorrelazione ed è tipicamente dovuto a diversi fattori: decorrelazione geometrica, gradiente di fase e decorrelazione temporale. La decorrelazione geometrica è dovuta a baseline perpendicolari (Figura 23) troppo elevate e ogni satellite ha una sua baseline critica che non deve essere superata. Le baseline elevate erano un problema per le missioni più vecchie (European Remote-sensing Satellite, ERS), ma i satelliti più recenti hanno un buon controllo della loro orbita. Il gradiente di fase è il massimo tasso di deformazione che può essere misurato, pari a una frangia per pixel. Movimenti troppo rapidi del terreno, come una colata di fango, non possono quindi essere misurati. Un tempo di ritorno (intervallo di tempo tra due passaggi consecutivi) del satellite basso e un’elevata risoluzione degli interferogrammi possono mitigare la perdita di coerenza. La decorrelazione temporale è legata alla variazione delle caratteristiche dei bersagli tra due successive acquisizioni. Queste possono essere dovute alla degradazione, alla variazione del contenuto di acqua nelle aree vegetate, alle attività antropiche etc. Per sapere quali valori di fase sono affidabili e quali non devono essere considerati nelle analisi successive, viene utilizzato un valore noto come coerenza (γ). Questo viene ricavato da una correlazione complessa in un piccolo gruppo di celle vicine. Si assume che i valori di fase affidabili si trovino in aree dominate da double-bounce scatterer e non, ad esempio, in aree dominate da volume scatterer. La coerenza è un valore che varia tra 0 e 1, dove 1 è la totale assenza di rumore e 0 è rumore puro (Rosen et alii, 2000; Lauknes, 2004; Ferretti et alii, 2007).

Figura 23 - Costellazione teorica per calcolare 𝝓𝒐𝒓𝒃 e 𝝓𝑻.𝒑𝒊𝒂𝒕𝒕𝒂 usando la posizione relativa dei sensori (da Xiong et alii, 2017)

Per aumentare il rapporto segnale-rumore e minimizzare le fonti di errore è possibile utilizzare i metodi multi-interferogramma, come lo stacking (la somma di un numero n di interferogrammi successivi), l’analisi delle serie temporali (l’utilizzo di una “pila” di interferogrammi per ottenere l’evoluzione temporale della deformazione) o la

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