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Caratterizzazione meccanica di tessuti urogenitali e realizzazione di un phantom per valutare l'impianto di sfinteri artificiali

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Academic year: 2021

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Scuola di Ingegneria

Corso di Laurea Magistrale in Ingegneria Biomedica

Caratterizzazione meccanica di tessuti

urogenitali e realizzazione di un phantom per

valutare l’inserimento di sfinteri artificiali

Relatore Prof.ssa Arianna Menciassi Candidata Sandra Rodini

Relatore Dott.ssa Gioia Lucarini

Controrelatore Prof.ssa Arti Devi Ahluwalia

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INDICE

1.MOTIVAZIONI 4

2.BIOMECCANICA DEI TESSUTI BIOLOGICI ‘SOFT’ 8

2.1. Tessuti biologici 8

2.1. Biomeccanica dei tessuti biologici 11

3.ANATOMIA E STATO DELL’ARTE

3.1. Anatomia uretrale 20

3.2. Stato dell’arte sulla caratterizzazione meccanica di tessuto uretrale 25

3.2.1. Studi condotti su tessuto animale 27

3.2.2. Studi condotti su tessuto da cadavere 31

3.3. Sfinteri artificiali per il trattamento dell’incontinenza urinaria 36

4.CARATTERIZZAZIONE

MECCANICA

DI

TESSUTI

UROGENITALI

4.1 Prelievo dei campioni 42

4.2. Prova di trazione sui campioni 43

4.3. Risultati prova di trazione 47

4.4. Modelli costitutivi 70

5.PHANTOM PER VALUTARE L’INSERIMENTO DI SFINTERI

ARTIFICIALI

5.1. Stato dell’arte sui Phantom 80

5.2. Realizzazione Phantom di uretra 84

6.CONCLUSIONI 98

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1.MOTIVAZIONI

L’obiettivo di questo lavoro di tesi è la caratterizzazione meccanica di tessuti urogenitali, in particolare del tessuto uretrale, al fine di realizzare un phantom di uretra che possa essere utilizzato per guidare l’inserimento di dispositivi che entrano in contatto con tale tessuto.

In particolare, tale necessità nasce dall’esigenza di progettare sfinteri artificiali per il trattamento dell’incontinenza urinaria severa.

L’incontinenza urinaria è una condizione in cui si verifica una perdita incontrollata e involontaria di urina causando numerosi disagi sia a livello psicologico che sociale. Tale patologia colpisce sia donne che uomini di tutte le età anche se si osserva un’incidenza maggiore col passare degli anni nel sesso femminile (si stima che il rapporto tra donne e uomini che soffrono di tale patologia sia di 2:1) (Buckley and Lapitan 2010).

L’incontinenza urinaria può essere classificata come incontinenza da sforzo (o da stress), incontinenza da urgenza e incontinenza urinaria mista che è una combinazione delle due precedenti.

L’incontinenza urinaria da urgenza, spesso associata all’impellente sensazione di dover urinare, è dovuta ad una contrazione anomala della vescica che non è possibile controllare. La disfunzione del muscolo vescicale può essere dovuta a malattie o danni neurologici (come la sclerosi multipla, condizioni di para e tetraplegia) oppure può essere provocata da un’ostruzione al flusso d’urina dovuto ad un ingrossamento della prostata (iperplasia prostatica benigna) ma spesso non è possibile riconoscere una causa della patologia. Quando l’incontinenza da urgenza non ha una causa nota allora si parla di iperattività vescicale idiopatica.

L’incontinenza urinaria da sforzo è la forma più comune di incontinenza; si sviluppa quando lo sfintere diminuisce o perde la forza con cui chiude l’uretra: pertanto l’aumento della pressione sulla vescica ne provoca lo svuotamento totale o parziale. La perdita involontaria di urina si verifica in seguito ad attività (come sforzi fisici ma anche un colpo di tosse o uno starnuto) che determinano un aumento della pressione addominale provocando un aumento della pressione sulla vescica. Se lo sfintere risponde con una pressione più bassa rispetto a quella che lo sollecita si verifica una perdita di urina. Nei casi più gravi si può verificare una perdita di urina anche mentre si cammina o

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semplicemente cambiando posizione quando si sta sdraiati. In alcuni casi si tratta di poche gocce di urina, che comunque provocano notevole disagio, in altri casi si assiste a una perdita consistente di urina.

L’incontinenza urinaria mista interessa circa un terzo delle persone che soffrono di incontinenza. Si tratta di una perdita involontaria di urina associata sia all’urgenza che allo sforzo (Norton and Brubaker 2006).

L’incontinenza urinaria da sforzo (detta anche da stress) può essere classificata come leggera, moderata e severa a seconda del numero di episodi e del volume di urina persa (Rai and Parkinson 2014).

Il trattamento più efficace nel caso di incontinenza urinaria severa consiste nel posizionamento di uno sfintere artificiale. Si tratta di una protesi impiantabile che ripristina il normale controllo della minzione simulando il comportamento dello sfintere naturale.

Esistono due tipologie di sfinteri uretrali: extra-uretrali e endo-uretrali. I primi vengono posizionati attorno all’uretra (quindi non entrano in contatto con il flusso di urina), tipicamente attorno alla porzione bulbare. Questi dispositivi dovrebbero essere progettati in modo da ridurre al minimo il danneggiamento del tessuto uretrale che si potrebbe verificare a seguito della compressione esercitata dallo sfintere artificiale sull’uretra. Tra gli sfinteri extra uretrali ricordiamo AMS721, AMS800, Zephyr 375.

Gli sfinteri endo-uretrali sono dispositivi minimamente invasivi posizionati all’interno del lume uretrale. I principali limiti di questa categoria di sfinteri artificiali sono legati al movimento del dispositivo e alla sua corrosione dovuta al contatto con l’urina (Marziale et al. 2018). Sono esempi di sfinteri endo-uretrali FemSoft Insert e Reliance.

Il gruppo di ricerca con cui è stato portato avanti il lavoro di tesi ha recentemente sviluppato uno sfintere artificiale endo-uretrale. Si tratta di un dispositivo per ripristinare la continenza urinaria basato su un sistema di attivazione magnetica. Tale sfintere presenta numerosi vantaggi: è economico, minimamente invasivo, le dimensioni garantiscono un rapido inserimento senza ricovero ospedaliero, unisex (può essere utilizzato su pazienti di entrambi i sessi). Il principio di funzionamento di tale dispositivo si basa su due configurazioni, che garantiscono, una la continenza urinaria e l’altra la possibilità di urinare quando lo si desidera (Mazzocchi et al. 2017).

In questo contesto di progettazione di sfinteri extra ed endo-uretrali la caratterizzazione meccanica del tessuto uretrale è fondamentale per un duplice motivo. Da una parte, la

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valutazione delle performance durante le fasi di progettazione di uno sfintere artificiale extra-uretrale, ma la caratterizzazione meccanica del tessuto è anche necessaria per la realizzazione di un phantom di uretra utile per valutare se lo sfintere progettato possa danneggiare il tessuto uretrale.

Dall’altra parte, nella progettazione di sfinteri artificiali endo-uretrali è importante conoscere le proprietà meccaniche del tessuto uretrale al fine di realizzare un phantom, che dovrà mimare il comportamento meccanico del tessuto considerato, per permettere un semplice training di impianto. Infatti, disporre di un simulatore, realizzato in silicone, può servire per valutare il posizionamento dello sfintere endo-uretrale e per capire se questo possa o meno danneggiare il tessuto uretrale.

L’utilizzo di un simulatore in silicone, rispetto ad eseguire i test su campioni di tessuto animale, è vantaggioso sotto diversi punti di vista. L’utilizzo di animali per testare e validare nuovi dispositivi medici ha sollevato numerose questioni legate anche a ragioni etiche. Ad oggi molti animali vengono usati per testare e validare nuovi dispositivi medici. Un’alternativa ai test su tessuto animale potrebbe essere quella di realizzare dei simulatori di tessuto in silicone che hanno il vantaggio di poter essere utilizzati più volte, a differenza di un tessuto animale che può essere usato per un periodo di tempo limitato, inoltre utilizzando tessuti prelevati da animali nella maggior parte dei casi si hanno differenze in termini di morfologia rispetto al tessuto umano (Ristolainen, Colucci, and Kruusmaa).

Quindi la realizzazione e l’utilizzo di un phantom in silicone rappresenta un’alternativa efficace all’utilizzo di animali a scopi di ricerca e inoltre presenta vantaggi in termini economici legati alla maggiore durabilità del simulatore rispetto a un campione di tessuto animale.

In questo lavoro di tesi, come punto di partenza, ci si è focalizzati sui dati relativi al comportamento meccanico dell’uretra forniti dalla letteratura scientifica in questo ambito. Purtroppo, nonostante i numerosi studi eseguiti sul tratto urinario, il segmento uretrale rappresenta una regione ancora poco indagata. Gli studi relativi a tale tessuto riguardano principalmente esperimenti condotti su tessuto animale o eventualmente su tessuto prelevato da cadavere.

Gli studi finora condotti rappresentano senza dubbio una buona base di partenza per la caratterizzazione del tessuto, però, si devono considerare le differenze tra tessuto umano e tessuto animale e anche le differenze con tessuto prelevato da cadavere rispetto a tessuto ex-vivo. Questo ci ha spinto ad indagare il comportamento del tessuto uretrale eseguendo

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una prova di trazione uniassiale su campioni di uretra forniti dall’ U.O.Urologia Universitaria grazie alla collaborazione con la Dott.ssa Donatella Pistolesi e al Dr. Girolamo Morelli, ricercatore Universitario presso il Dipartimento di Patologia Chirurgica, Medica, Molecolare e dell’Area Critica. Per ricavare informazioni utili sul comportamento meccanico del tessuto abbiamo considerato il numero minimo di campioni per avere dei risultativi significativi; a partire dai risultati ottenuti dalle prove sperimentali si è studiato un modello numerico in modo da riuscire a descrivere con un’equazione matematica il comportamento del tessuto.

Una volta ottenute informazioni importanti circa il comportamento meccanico del tessuto ci si è dedicati alla realizzazione di un simulatore di uretra che possa avere proprietà quanto più possibile simili a quelle del tessuto umano. In particolare, si è cercato di ottimizzare un phantom commerciale presente in laboratorio che non replicava le proprietà meccaniche e tribologiche del tessuto uretrale naturale. Il phantom realizzato potrà essere utilizzato per valutare l’inserimento di un dispositivo che si interfaccia con l’uretra prima che la pratica venga eseguita sul paziente.

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2. PROPRIETA’ DEI TESSUTI BIOLOGICI

2.1. I tessuti biologici

I tessuti biologici hanno una composizione complessa che rende complicato determinarne il comportamento meccanico.

I tessuti biologici sono formati da gruppi di cellule, con struttura e funzioni simili, tenute insieme da una matrice extracellulare. Il comportamento meccanico di un tessuto è legato alle proprietà meccaniche dei suoi componenti.

Ai fini del nostro lavoro di tesi, poiché le fibre muscolari che costituiscono la parete dell’uretra sono avvolte da fasci di tessuto connettivo, ci concentreremo sulla composizione di tale tessuto.

L’ECM è una struttura complessa che esercita un ruolo strutturale importante nel mantenimento di organi e tessuti, ma regola anche l’adesione, la proliferazione, il differenziamento e il metabolismo delle cellule che sono in contatto con essa.

L’ECM è composta da una sostanza amorfa e da una componente fibrosa, per questo i tessuti biologici possono essere considerati come materiali compositi fibrorinforzati, in cui le fibre rappresentano la componente rinforzata, e la sostanza di fondo la matrice isotropica (Holzapfel 2000). Dalle caratteristiche della matrice dipendono le proprietà strutturali e funzionali del tessuto.

I principali componenti della sostanza amorfa sono i glicosaminoglicani e i proteoglicani, la cui elevata idratazione permette la diffusione di nutrienti, metaboliti e ormoni attraverso la sostanza intercellulare. La sostanza intercellulare, col passare degli anni, subisce numerose alterazioni legate alla senescenza. Proteoglicani e glicosaminoglicani sono legati all’acido ialuronico e formano una struttura complessa, responsabile del comportamento viscoso della sostanza fondamentale. Inoltre, le numerose molecole di acqua, che sono in grado di legarsi ai proteoglicani, rendono tale struttura resistente alla compressione.

Nella sostanza amorfa sono immerse le fibre. Oltre alle fibre collagene ed elastiche, che determinano le proprietà meccaniche del tessuto, sono presenti proteine di adesione o di connessione che legano le cellule ai componenti della matrice (Monesi and Adamo, 2012).

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Le fibre collagene rappresentano la categoria di fibre maggiormente presente nei tessuti connettivi. Il collagene mostra una struttura gerarchica molto complessa. L’unità fondamentale è il tropocollagene formato da tre catene 𝛼 avvolte a formare una tripla elica destrorsa. Le triple eliche poi si avvolgono tra loro a formare le microfibrille le quali infine, possono disporsi in fasci ondulati o paralleli per formare le fibre di collagene (Figura 1). I legami tra le fibre rendono le molecole di collagene estremamente resistenti alla trazione.

Figura 1 Formazione delle fibre di collagene. Dall'assemblaggio delle catene di tropocollagene (a sinistra) si ottengono le fibrille di collagene e da queste le fibre di collagene (“The Medical Biochemistry Page ")

Le fibre elastiche sono costituite principalmente dalla proteina elastina. Le reti di fibre elastiche presenti nei tessuti biologici si formano nella ECM a partire dal precursore monomerico: la tropoelastina. Questa è costituita dall’alternanza di domini idrofobi e reticolanti. I primi contribuiscono all’assemblaggio dei vari monomeri per formare la molecola di elastina i secondi invece sono i responsabili della coesione della molecola (Rauscher, 2017). Le molecole di elastina si avvolgono in maniera casuale. Questa disposizione casuale è la principale responsabile delle proprietà elastiche infatti, una forza esterna applicata su un tessuto elastico agisce aumentando l’ordinamento molecolare della struttura e diminuisce l’entropia; la rimozione del carico produce la tendenza ad

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incrementare l’entropia e quindi riporta il tessuto alla configurazione di partenza. Tessuto connettivo ricco di fibre elastiche si trova, tra gli altri, nella vescica urinaria e nella tonaca media delle arterie, tutti tessuti in cui è richiesta un’elevata elasticità. I principali responsabili delle proprietà meccaniche di un tessuto sono proprio collagene ed elastina (Figura 2). In particolare, le proprietà di un tessuto come elasticità, densità e anisotropia dipendono dai rapporti quantitativi tra queste due categorie di fibre. Infatti, le fibre di elastina sono organizzate in modo da formare estesi reticoli e sono intrecciate alle fibre di collagene, che essendo dotato di scarsa elasticità, limita l’entità della deformazione.

Figura 2 Curve Stress/Strain dei principali responsabili delle proprietà meccaniche dei tessuti 'soft' (collagene a sinistra ed elastina a destra)(Redaelli and Montevecchi, 2008.)

L’elastina ha un modulo elastico di 0.6 MPa e mostra un comportamento che può essere considerato in prima approssimazione elastico lineare. Il collagene invece (modulo elastico 1 GPa) mostra un comportamento non lineare causato dalla non linearità del materiale e dal fatto che, come vedremo nel paragrafo successivo, le sue fibre entrano in azione progressivamente.

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2.2 Biomeccanica dei tessuti biologici

Per biomeccanica si intende la meccanica applicata alla biologia (Fung 2013). La biomeccanica si propone di studiare la meccanica dei sistemi viventi. Essa è fondamentale per capire le normali funzioni di un organismo, gli effetti di eventuali alterazioni e svolge un ruolo fondamentale nello sviluppo di dispositivi che si interfacciano con i sistemi viventi.

Quindi per biomeccanica si intende lo sviluppo, l’estensione e l’applicazione della meccanica allo scopo di capire meglio la fisiologia e la fisiopatologia, nonché la diagnosi e il trattamento di malattie e lesioni. L’obiettivo generale è dunque il miglioramento della condizione umana. La biomeccanica ha dato un contributo significativo in vari ambiti; ad esempio ha rappresentato un elemento fondamentale nella soluzione di problemi al livello del sistema cardiovascolare, consentendo di arrivare alla progettazione di valvole cardiache artificiali, ma anche nella realizzazione di protesi in ambito ortopedico. La biomeccanica include lo studio di:

-tessuti composti da vari strati

-comportamento Stress/Strain dei tessuti

-equazioni costitutive che descrivono le proprietà meccaniche dei tessuti -forze agenti sui tessuti

-fenomeni di rottura, fatica.

La risposta di un tessuto ai carichi applicati dipende dalla sua costituzione interna, cioè dalla distribuzione, orientamento e interconnessioni dei componenti microstrutturali. L’istologia, ossia lo studio della struttura dei tessuti, e anche la biologia cellulare (studio di come le cellule crescono, si muovono, funzionano e comunicano) sono fondamentali per la biomeccanica (Jay D. Humphrey 2003).

Per arrivare a determinare il complesso comportamento di un tessuto biologico le prime informazioni importanti provengono da test meccanici. Dai risultati delle prove meccaniche possiamo avere utili informazioni circa la non linearità del tessuto, la sua incomprimibilità o quasi incomprimibilità, l’anisotropia e il comportamento viscoelastico. Dall’analisi istologica si può invece capire che la maggior parte dei tessuti ‘soft’ sono tessuti complessi costituiti da vari componenti tra cui fibre elastiche, fibre muscolari, fibre di collagene e sostanza amorfa (J.D. Humphrey and Yin 1987).

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il tessuto sia sottoposto a carichi extra dovuti a condizioni patologiche o all’eventuale interazione con dispositivi medici con i quali entrano in contatto.

Nella biomeccanica è importante capire le relazioni tra sforzi e deformazioni. Una delle principali proprietà dei tessuti biologici molli dal punto di vista meccanico è il loro comportamento elastico non lineare.

La classica curva Stress/Strain, che si ottiene da una prova di trazione uniassiale su campioni di tessuti biologici molli è rappresentata in Figura 3. Sull’asse y di tale grafico è riportato lo Stress ossia il rapporto tra la forza applicata al provino e l’area iniziale della sezione del provino, mentre lo Strain rappresenta il rapporto tra l’allungamento subito dal campione e la sua lunghezza iniziale.

Figura 3 Curva Stress/Strain tessuti biologici (Holzapfel 2000)

Su tale grafico si possono identificare principalmente tre regioni. Nella prima regione le fibre collagene sono ondulate. Inizialmente è richiesto un basso stress per deformare il tessuto. In questa fase le principali responsabili dell’allungamento del tessuto sono le

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fibre elastiche. La relazione Stress/Strain è pressoché lineare e in questa regione il modulo elastico è basso.

Nella seconda regione, all’aumentare del carico, le fibre di collagene tendono ad allinearsi con la direzione del carico e iniziano ad allungarsi gradualmente.

Nell’ultima regione le fibre di collagene sono praticamente allineate nella direzione del carico, la relazione Stress/Strain torna nuovamente lineare. Oltre tale fase si raggiunge la massima resistenza a trazione e le fibre iniziano a rompersi. Possiamo concludere che nel primo tratto il comportamento del tessuto è dovuto quasi esclusivamente alle fibre elastiche, successivamente sono le fibre di collagene le responsabili dell’incremento della rigidezza del tessuto (Holzapfel 2000).

Questo comportamento Stress/Strain è caratteristico dei tessuti biologici molli ma ovviamente a causa della diversa composizione dei tessuti in termini di fibre elastiche e collagene, ogni tessuto avrà la propria curva caratteristica.

Nella caratterizzazione meccanica dei tessuti biologici si riscontrano vari problemi primo tra tutti la difficoltà di reperire campioni di tessuto. Inoltre, si devono trovare le giuste condizioni affinché le proprietà del tessuto non vengano alterate. Altro problema riguarda la variabilità tra soggetti. Per arrivare ad una caratterizzazione meccanica di un tessuto il più possibile fedele alla realtà si dovrebbe considerare un campione di soggetti con la stessa età, stessa condizioni di salute e stessa conformazione fisica. Questo ovviamente non è semplice.

Nello studio della biomeccanica di un tessuto, o di un organo, si deve sempre partire da considerazioni morfologiche e istologiche. È necessario poi eseguire il test più appropriato per il tessuto in esame. La scelta del tipo di test non è semplice. Bisogna innanzitutto considerare il tipo di informazioni che si vogliono ottenere. I test che possono essere eseguiti per ricavare informazioni utili ai fini della caratterizzazione meccanica del tessuto i test più utilizzati sono: prove uniassiali, biassiali e prove a taglio.

Le prime sono in genere utilizzate per caratterizzare il comportamento statico del tessuto e sono realizzate su provini con un elevato rapporto lunghezza/larghezza. Poiché tali test forniscono informazioni solo sul comportamento del tessuto in una direzione è bene scegliere accuratamente la direzione lungo la quale sollecitare il provino. Infatti, a seconda della direzione scelta le proprietà meccaniche cambiano notevolmente. Ad esempio, osservando la Figura 4, si può notare che lo stesso legamento sollecitato in diverse direzioni mostra una curva completamente diversa questo a conferma

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Figura 4 Prova uniassiale su due provini di legamento umano ottenuto sezionando il tessuto in direzione parallela e perpendicolare alla direzione delle fibre di collagene (Redaelli and Montevecchi, 2008.)

Le prove biassiali vengono invece eseguiti su provini la cui larghezza e simile alla lunghezza e forniscono informazioni sul tessuto in due dimensioni. Poiché sia le prove uniassiali che quelle biassiali non replicano correttamente le reali sollecitazioni a cui è sottoposto il tessuto in vivo spesso si eseguono delle prove a taglio che danno informazioni sul comportamento del tessuto in tre direzioni.

I tessuti biologici soft mostrano un comportamento viscoelastico dovuto all’interazione tra il contenuto d’acqua dei tessuti e la matrice extracellulare ma anche all’intrinseca viscoelasticità della fase solida che costituisce il tessuto. La viscoelasticità è la caratteristica di quei materiali e/o tessuti che mostrano sia comportamenti elastici che viscosi.

Gli effetti viscosi di un tessuto vengono studiati mediante test di rilassamento o di creep. Nei test di rilassamento la deformazione viene mantenuta costante e si misura la tensione

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sviluppata che ha un andamento decrescente fino a che non raggiunge un asintoto. Nelle prove di creep invece si mantiene costante lo sforzo e si misura la deformazione che aumenterà nel tempo.

In un materiale viscoelastico, se viene sottoposto in successione ad una serie di cicli di carico e scarico, si può osservare che la curva di scarico sarà diversa da quella di carico (Figura 5). Questo fenomeno è detto isteresi. All’aumentare del numero di cicli di carico e scarico l’area dell’isteresi risulta minore finché ad un certo punto le curve saranno quasi coincidenti. Il fenomeno dell’isteresi è dovuto alla dissipazione di energia dovuto alla presenza dei termini viscosi.

Figura 5 Curva di isteresi per un tessuto biologico momento. All'aumentare dei cicli di carico scarico l'area dell'isteresi si riduce (Redaelli and Montevecchi, 2008)

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Dai test meccanici si ricavano le prime informazioni dalle quali si deve partire per capire qual è il modello costitutivo che descriva il comportamento del tessuto. Questo rappresenta uno step fondamentale per caratterizzare meccanicamente tessuto.

I modelli costitutivi sono modelli matematici che descrivono il comportamento meccanico del materiale traducendo in termini matematici le evidenze sperimentali, fornendo una relazione tra stato tensionale e deformativo. I modelli costitutivi hanno lo scopo di valutare il comportamento del tessuto sia nelle normali condizioni fisiologiche che in situazioni patologiche. La definizione di un modello costitutivo per un tessuto biologico è molto complessa dal momento in cui si ha a che fare con tessuti che sono non-lineari, anisotropi, non omogenei, viscoelastici e sottoposti a grandi deformazioni. Diversi modelli sono stati proposti per spiegare il comportamento dei tessuti biologici molli.

Esistono due approcci che consentono di formulare un modello costitutivo: un approccio fenomenologico e uno microstrutturale.

Il primo non tiene conto dei legami tra i vari componenti del tessuto ma si cerca di definire un’equazione che possa fittare bene con i risultati ottenuti sperimentalmente. Lo svantaggio di questo approccio è che spesso i modelli formulati non hanno una diretta interpretazione fisica.

Il secondo metodo si basa sul fatto che la risposta del tessuto dipende dai contributi e dalle interazioni tra i vari componenti strutturali. Si basa quindi sulla sovrapposizione della risposta dei singoli componenti. Sebbene questi modelli siano più accurati sono molto complessi da formulare in quanto non sempre è semplice studiare le relazioni tra i vari componenti strutturali. Quindi l’ideale sarebbe trovare un compromesso tra i due approcci (J.D. Humphrey and Yin 1987).

I modelli elastici vengono utilizzati quando si può trascurare la natura viscoelastica del materiale in esame, ad esempio la condizione ideale per poter utilizzare tali modelli è che il materiale sia stato precondizionato, ossia che sia stato sottoposto ad una serie di cicli di carico scarico in successione, in modo tale che il fenomeno di isteresi venga ridotto. L’obiettivo di tali modelli è quello di cogliere la non linearità del tessuto biologico. Si potrebbe considerare il tessuto come costituito da una serie di elementi elastici (molle) che vengono reclutati uno alla volta. Il fatto che tali elementi entrino in gioco uno alla volta spiega il comportamento non lineare del tessuto. Questi modelli si possono usare

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quando il tessuto è caratterizzato da una direzione preferenziale nell’orientamento delle fibre (Redaelli and Montevecchi, 2008.).

Figura 6 Comportamento elastico non lineare dovuto al reclutamento in successione delle molle caratterizzate da lunghezze di attivazione diverse (Redaelli and Montevecchi, 2008.)

In generale, per descrivere il comportamento dei tessuti biologici molli, poiché questi sono soggetti a grandi deformazioni, si usano i modelli iperelastici. Questi modelli sono usati per caratterizzare materiali che rispondono elasticamente quando soggetti a grandi deformazioni ma allo stesso tempo il legame sforzo deformazione non è lineare. Esistono diversi tipi di tessuti biologici soft che presentano diverse architetture tissutali e quindi vari gradi di anisotropia, per questo motivo sono proposti numerosi modelli costitutivi. Non esiste un modello costitutivo universale ma ci sono diversi modelli e questi subiscono numerose modificazioni per essere adattati al tessuto in esame.

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Figura 7 Confronto tra modelli lineari e non lineari per descrivere il comportamento di tessuto vaginale (Rubod et al. 2008)

Nella Figura 7, in cui è riportato il comportamento meccanico del tessuto vaginale, vediamo come un modello iperelastico non lineare fitta bene con i dati sperimentali ricavati dalle prove meccaniche eseguite su campioni di tessuto umano a differenza ovviamente di un modello elastico lineare che non è in grado di descrivere fedelmente il comportamento del tessuto.

La legge costitutiva per un materiale iperelastico è descritta da una funzione energia di deformazione W(C), dove C rappresenta il tensore destro di Cauchy-Green

𝐶 = 𝐹%𝐹 F è il gradiente di deformazione

La relazione Stress/Strain può essere ricavata come: 𝑆 = 2()(*

Per un materiale iperelastico isotropo W è espressa in funzione degli invarianti del tensore

C.

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Ι = 𝑡𝑟(𝐶) ΙΙ =34× [Ι4− 𝑡𝑟(𝐶4)] ΙΙΙ = det(𝐶) = 𝐽4

Uno dei modelli costitutivi iperelastici usati per descrivere il comportamento dei tessuti biologici è il modello di Rivlin la cui energia di deformazione può essere scritta come:

𝑊=>?@>AB𝐶3C(𝐼 − 3) + 𝐶C3(𝐼𝐼 − 3) + 𝐶4C(𝐼 − 3)4

Dove 𝐶3C, 𝐶C3, 𝐶4C sono costanti del materiale. Ponendo 𝐶4C=0 si ottiene il modello di Mooney-Rivlin mentre ponendo 𝐶4C=0 e 𝐶C3=0 si ottiene il modello Neo-Hookean che è

il modello iperelastico più semplice (Ye et al. 2018).

Oltre i due modelli citati, in letteratura sono stati proposti tantissimi modelli (Chagnon, Rebouah, and Favier 2015) per descrivere il comportamento dei tessuti soft, alcuni dei quali sono riportati nella tabella che segue.

Mooney-Rivlin 𝑊 = 𝐶3C(𝐼 − 3) + 𝐶C3(𝐼𝐼 − 3) Neo-Hookean 𝑊 = 𝐶3C(𝐼 − 3) Demiray 𝑊 =𝐶1 𝐶2[exp ( 𝐶2 2 (𝐼 − 3)) − 1] Arnoux et al. 𝑊 = 𝐶1[exp (𝐶2 (𝐼 − 3)) −𝐶1𝐶22 (𝐼𝐼 − 3)] Gasser 𝑊 = 𝐶1 2𝐶2exp [C2(kI + (1 − 3k)IIII − 1)4 − 1] Holzapfel et al. 𝑊 = 𝐶1 2𝐶2exp [C2(1 − k)(𝐼 − 3)4+ k(𝐼𝐼𝐼𝐼 − 1)4) − 1)] Natali et al. 𝑊 =𝐶1 𝐶2[expM𝑐2(𝐼𝐼𝐼𝐼 − 1)O − 𝐶2(𝐼𝐼𝐼𝐼 − 1) − 1]

Tabella 1 Funzioni energia di deformazione per alcuni modelli proposti per descrivere il comportamento dei tessuti biologici soft

Una volta scelto il modello costitutivo più adatto per descrivere il comportamento del tessuto in esame (come vedremo nel capitolo 4) il passo successivo è quello di determinare i parametri del modello attraverso la minimizzazione di una funzione costo che esprime la differenza tra i dati risultanti dalle prove sperimentali e quelli ottenuti dalla formulazione teorica. Ricavati i parametri abbiamo una relazione matematica che esprime

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CAPITOLO 3. ANATOMIA URETRALE E

STATO DELL’ARTE

3.1. Anatomia del tratto urinario

L’apparato urinario ha come funzione principale quella di produrre, accumulare momentaneamente ed eliminare l’urina (Anastasi 2007). Esso svolge quindi un ruolo fondamentale nell’eliminazione di sostanze di rifiuto (come urea, acido urico, creatinina e altre sostanze) e nel mantenimento dell’omeostasi dei fluidi corporei essendo la via principale attraverso cui viene eliminata la maggior parte dell’acqua e di molti ioni. L’apparato urinario è costituito dai reni e dalle vie urinarie (Figura 8). I reni, situati nella regione posteriore dell’addome, hanno come funzione principale quella di produrre l’urina ma sono anche i responsabili per l’attività metabolica ed endocrina. Le vie urinarie si distinguono in superiori (calici, pelvi e ureteri) e inferiori (vescica e uretra). Queste iniziano in corrispondenza di ciascun rene con i calici che si riuniscono nella pelvi. Le pelvi dei due lati proseguono con gli ureteri i quali terminano nella vescica urinaria che rappresenta un vero e proprio serbatoio per l’urina. La vescica comunica con l’esterno tramite l’uretra.

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L’uretra è il canale che permette lo svuotamento della vescica durante la minzione. Rappresenta l’ultimo segmento delle vie urinarie; origina nella vescica con il meato uretrale interno e termina aprendosi all’esterno con il meato uretrale esterno. L’uretra presenta caratteristiche differenti nei due sessi.

L’uretra maschile ha una lunghezza di 18-20 cm con diametro variabile a seconda della porzione considerata; il diametro medio risulta essere pari a 10 mm. L’uretra ha origine a livello dell’apice anteriore del trigono vescicale (meato uretrale interno) e termina alla sommità del glande del pene (meato uretrale esterno). L’uretra decorre dapprima nella pelvi, circondata dalla prostata, e, dopo aver attraversato il pavimento pelvico, nel perineo anteriore. Percorre il pene in tutta la sua lunghezza per aprirsi all’esterno. Nell’uomo l’uretra non ha solo la funzione di espellere l’urina ma permette anche il passaggio dello sperma. L’uretra maschile può essere suddivisa in vari segmenti (Figura 9). In base ai rapporti con gli organi circostanti si può suddividere in:

• Uretra prostatica, lunga 3-4 cm, corrispondente al tratto iniziale durante il quale attraversa la prostata

• Uretra membranosa, circa 1.5 cm di lunghezza, compresa nello spessore del diaframma urogenitale

• Uretra spongiosa, 13-15 cm di lunghezza avvolta da un manicotto di tessuto erettile, il corpo spongioso.

L’uretra penetra nell’interno della prostata e l’attraversa dalla base fino all’apice. Quindi la prostata circonda completamente l’uretra e la separa anteriormente dalla porzione superiore dello sfintere striato dell’uretra, dal plesso venoso pudendo e dalla sinfisi pubica; lateralmente dal plesso venoso vescicoprostatico e dal margine mediale del muscolo elevatore dell’ano e posteriormente dalla fascia rettovescicale e dall’intestino retto.

Successivamente alla prostata, l’uretra attraversa il trigono e vi aderisce intimamente. Durante l’attraversamento del trigono l’uretra è circondata da un anello di fibre muscolari striate che costituiscono il muscolo sfintere striato dell’uretra (rabdosfintere).

Proseguendo, per una lunghezza di circa 1 cm l’uretra non presenta rivestimenti particolari; penetra poi nel corpo spongioso. Completamente avvolta dal corpo spongioso l’uretra percorre la loggia peniena del perineo anteriore, incrocia la radice dello scroto e penetra nella parte libera del pene, collocandosi tra i due corpi cavernosi del pene.

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Il lume dell’uretra a riposo è una fessura con forma variabile a seconda delle zone. Le pareti sono molli ed elastiche e ne permettono la distensione. Durante la distensione il lume diventa cilindrico e presenta dei restringimenti in alcune zone e dilatazioni in altre. Il meato uretrale interno è più stretto rispetto alla porzione prostatica. Quest’ultima, durante la dilatazione, ha un diametro massimo di 13 mm. La porzione prostatica è compresa tra due restringimenti: a monte il collo vescicale con lo sfintere della vescica e lo sfintere preprostatico; a valle lo sfintere striato dell’uretra nel tratto membranoso (diametro 7 mm).

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Al restringimento dell’uretra membranosa fa seguito una dilatazione nella prima parte dell’uretra spongiosa, la fossa del bulbo. Questa porzione, assente nel bambino, arriva ad avere nell’anziano un diametro di 12 mm.

L’uretra spongiosa può essere approssimata ad un cilindro con un diametro pressoché costante di 8mm fino alla fossa navicolare. La parte terminale, il meato uretrale esterno, rappresenta la parte più stretta di tutto il canale (diametro 6.5 mm).

La parete dell’uretra è costituita da tonaca mucosa e tonaca muscolare. Nella porzione spongiosa la tonaca muscolare viene sostituita da un manicotto di tessuto erettile, il corpo spongioso dell’uretra.

La tonaca mucosa è un tessuto particolarmente elastico e di colore rosa. La tonaca mucosa è rivestita da epitelio di transizione, analogo a quello vescicale, fino allo sbocco dei dotti eiaculatori e da epitelio cilindrico composto fino alla fossa navicolare. Circa a metà della fossa, l’epitelio cilindrico composto viene sostituito da epitelio pavimentoso composto le cui cellule contengono abbondanti depositi di glicogeno. Questi ultimi scompaiono in vicinanza del meato uretrale esterno, laddove l’epitelio uretrale trapassa nell’epitelio pavimentoso cheratinizzato che riveste il glande. L’epitelio posa su una lamina propria costituita da tessuto connettivo denso, ricco di fibre elastiche. Nella parete dell’uretra spongiosa sono presenti numerose ghiandole la cui secrezione di muco ha la funzione di lubrificare l’uretra.

Nella tonaca muscolare si distingue una componente liscia e una striata, più superficiale. La muscolatura liscia è disposta in due strati: longitudinale interno e circolare esterno. Quello interno si connette con la muscolatura vescicale, raggiunge lo spessore massimo nella sezione prostatica e si assottiglia fino quasi a scomparire all’inizio dell’uretra spongiosa. Lo strato circolare è molto sviluppato nella porzione iniziale dove costituisce lo sfintere liscio dell’uretra.

La muscolatura striata è costituita dal muscolo sfintere striato dell’uretra, che inizia nel tratto prostatico e prosegue fino al bulbo dell’uretra continuando con i muscoli bulbocavernosi. Lo sfintere striato mediante la contrazione esplica un controllo volontario sul riflesso della minzione. Questo fa si che la vescica non si svuoti quando ha raggiunto un certo grado di riempimento.

Nella porzione spongiosa la mucosa dell’uretra è circondata da tessuto riccamente vascolarizzato che forma il corpo spongioso dell’uretra.

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dilatabile tanto da accogliere strumenti, come sonde e cateteri, con diametro fino a 25 mm. L’uretra inizia nella vescica urinaria (meato uretrale interno) e, dopo aver attraversato il pavimento pelvico, si apre nella parte anteriore del vestibolo della vagina (meato uretrale esterno).

Durante il suo decorso l’uretra attraversa il diaframma urogenitale che la fissa al pavimento pelvico. Essa può essere suddivisa in una porzione superiore, parte pelvica, più lunga e in una inferiore, più breve, parte perineale.

La parete dell’uretra ha uno spessore di circa 5-6 mm. È costituita da tonaca mucosa e muscolare.

La prima è rivestita da epitelio di transizione nella porzione superiore e da epitelio pavimentoso in quella inferiore. Tra i due c’è un tratto di epitelio cilindrico composto. La lamina propria, maggiormente sviluppata nella porzione inferiore, è costituita da tessuto connettivo ricco di fibre elastiche. Più in profondità la lamina propria è costituita da tessuto connettivo lasso e contiene un ricco plesso venoso che si spinge nella tonaca muscolare a formare il corpo spongioso.

La tonaca muscolare è composta da una componente liscia in profondità e da una striata in superficie.

La muscolatura liscia è composta da uno strato longitudinale interno e da uno circolare esterno chiamato sfintere liscio.

La muscolatura striata è costituita da fasci di fibre con andamento circolare che formano lo sfintere striato dell’uretra.

Nonostante da un punto di vista morfologico l’uretra maschile è diversa da quella femminile per quanto riguarda la composizione delle pareti dell’uretra queste è pressoché uguale nei due sessi. Quindi si potrebbe assumere che, dal momento in cui il comportamento meccanico di un tessuto dipende dalla sua composizione, il comportamento meccanico dell’uretra maschile e femminile sia, in prima approssimazione, lo stesso.

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3.2. Caratterizzazione meccanica del tessuto uretrale

La caratterizzazione meccanica dell’uretra rappresenta un elemento fondamentale nel trattamento di alcune patologie, come l’incontinenza urinaria severa, che interessano questo distretto anatomico. Infatti, conoscere le proprietà meccaniche del tessuto è fondamentale nella progettazione di sfinteri extra-uretrali che vengono posizionati, in genere, attorno alla porzione bulbare dell’uretra. La conoscenza delle proprietà del condotto uretrale rende possibile la progettazione di uno sfintere che, posto a contatto col tessuto, non ne provochi alcun danno. Inoltre, sempre nell’ambito della progettazione di sfinteri extra-uretrali, la conoscenza del comportamento meccanico del tessuto è utile per realizzare un phantom di uretra, in modo tale da valutarne gli effetti dell’interazione e, quindi, possibili problemi derivanti dal contatto con il dispositivo prima che questo venga usato sull’uomo.

Nell’ambito invece della progettazione di sfinteri endo-uretrali è utile conoscere il comportamento meccanico del tessuto al fine di replicarne le proprietà attraverso la realizzazione di un phantom per permettere un semplice training di impianto.

Purtroppo, ad oggi sono stati fatti pochi studi sull’uretra umana a causa della scarsa reperibilità dei campioni. La maggior parte degli studi presenti in letteratura riguardano la caratterizzazione di tessuto animale o eventualmente tessuti prelevati da cadavere. I risultati finora ottenuti sono comunque utili per avere un’idea su quello che è il comportamento meccanico del tessuto.

Le proprietà meccaniche e strutturali dei tessuti biologici possono essere valutate mediante test distruttivi su tessuto ex-vivo. La prova più semplice per indagare sia proprietà strutturali che meccaniche è la prova di trazione uniassiale. Si tratta in genere di un test distruttivo in quanto si arriva alla rottura del provino (Ruiz-Zapata et al. 2018). L’apparato per eseguire la prova di trazione (Figura 10A) è costituito da un morsetto fisso nella parte inferiore e uno mobile, collegato alla cella di carico, sulla parte superiore. Il tessuto viene posto tra i due morsetti. Grazie alla cella di carico si ottiene una curva Carico (N)/Spostamento (mm) dal quale si ricavano le proprietà strutturali del tessuto.

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Figura 10 (A) Apparato sperimentale per la prova di trazione. Il campione di tessuto umano è serrato tra due morse (B) Grafici ottenuti dalla prova di trazione per valutare sia le proprietà meccaniche che strutturali (Ruiz-Zapata et al. 2018)

In Figura 10B sono riportate le curve risultanti dalla prova di trazione. Su tali grafici si possono individuare due regioni, comfort zone (o toe region) e linear region (o stress

zone). La prima rappresenta la risposta del tessuto per piccoli spostamenti (condizioni

fisiologiche), mentre la seconda dice come si comporta il tessuto per grandi spostamenti (oltre il range fisiologico).

Superata la regione lineare il tessuto inizia a danneggiarsi fino a completa rottura. Con la prova di trazione è possibile ricavare sia proprietà meccaniche che strutturali. La principale differenza tra le due è che le prime sono normalizzate per la dimensione del campione (quindi si ottiene una curva Stress/Strain), le secondo no. Nel secondo caso non otteniamo una curva Stress/Strain ma una curva Carico/Spostamento. Quindi è possibile che a parità di proprietà strutturali le proprietà meccaniche siano molto diverse e viceversa.

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Come si vede dai grafici Stress/Strain o Carico/Spostamento in Figura 10B, i tessuti biologici hanno un comportamento non lineare dovuto alle loro proprietà viscoelastiche. Il modulo tangente può essere calcolato come la pendenza della curva in entrambe le regioni. Poiché può essere calcolato in ogni punto della curva è bene specificare sempre l’intervallo di strain considerato.

3.2.1. Studi sperimentali su tessuto uretrale animale

In uno studio condotto da Lalla (Lalla et al. 2007) sono state valutate le proprietà meccaniche di tessuto uretrale prelevato da esemplari maschi di coniglio bianco. Sui campioni uretrali è stato eseguito un test di allungamento, ad una velocità di 10mm/min, fino a rottura utilizzando una macchina orizzontale. Da tale prova si ricava un grafico Carico (N)/Strain, utile per capire da un punto di vista qualitativo il comportamento meccanico del tessuto uretrale (Figura 11).

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Nel grafico si può individuare una prima regione in cui il carico aumenta debolmente, poi all’aumentare della deformazione aumenta la pendenza della curva che acquista un andamento pressoché lineare. Raggiunto il carico massimo i legami interfibrillari iniziano a fallire, quindi all’aumentare della deformazione diminuisce la resistenza del tessuto fino a completa rottura quando lo strain arriva a 0.8.

Un altro studio condotto su campioni uretrali animali è quello di N.A.Natali (Natali et al. 2016). In tale studio è stato analizzato il comportamento dell’uretra equina in quanto simile da un punto di vista morfologico e istologico a quella umana. Sui campioni è stata eseguita sia un’analisi di tipo istologico che test meccanici. L’analisi istologica aiuta a identificare la composizione del tessuto, ad esempio il contenuto di fibre collagene o di fibre muscolari. Da queste prime informazioni si potrebbe iniziare a capire in linea di massima quale sarà il comportamento del tessuto.

Il tessuto è stato prelevato da 15 cavalli con età compresa tra i 4 e gli 11 anni e peso compreso tra i 300 e 400 Kg. Tutti gli animali godevano di buona salute. Il campione è stato raccolto entro 15 minuti dal momento del macello ed è stato conservato in soluzione salina fisiologica a una temperatura di 4°C. Il pene dell’animale è stato accuratamente ripulito con soluzione salina. Sono state rimosse ghiandole e pelle. Il corpo cavernoso del pene è stato separato dai muscoli bulbospongiosi dell’uretra. Dopo aver ripulito il tessuto si sono ottenuti dei campioni di uretra di forma rettangolare (Figura 12). Dei 15 campioni due sono stati destinati all’analisi istologica, sui restanti sono stati condotti i test meccanici.

Figura 12 Preparazione dei campioni di uretra equina e suddivisione del tessuto in vari segmenti da testare. A seconda della dimensione del campione si può ricavare un numero diverso di porzioni rettangolari su cui eseguire il test (Natali et al. 2016)

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I test meccanici, eseguiti entro 6 ore dal macello e a temperatura ambiente, sono stati eseguiti sia sulla porzione distale che prossimale del tessuto uretrale. I segmenti rettangolari, a seconda delle loro delle loro dimensioni, sono stati a loro volta suddivisi per ottenere dai due ai quattro campioni per la direzione longitudinale e altrettanti per la direzione circonferenziale.

Per eseguire la prova di trazione è stata utilizzata la macchina Bose ElettroForce usando una cella di carico da 20 N. Ogni campione è stato deformato fino ad uno strain del 60%. Lo strain è stato calcolato come il rapporto tra l’allungamento e la lunghezza iniziale del campione, mentre lo stress è stato calcolato come il rapporto tra la forza misurata dalla cella di carico e l’area iniziale (calcolata come il prodotto tra la larghezza del campione e il suo spessore). Per interpretare la relazione Stress-Strain gli autori hanno usato una funzione esponenziale.

𝜎(𝜀) =RS[𝑒𝑥𝑝(𝛼𝜀) − 1]

Dove 𝜅 rappresenta la rigidezza nel primo tratto, mentre α rappresenta la non linearità della risposta dovuta all’irrigidimento. I parametri del modello, riportati nella tabella che segue, sono stati ricavati risolvendo un problema di minimi quadrati non lineari.

K(kPa) 𝛼 Regione prossimale Direzione circonferenziale 5.41 4.22 Regione prossimale Direzione longitudinale 14.41 2.75 Regione distale Direzione circonferenziale 4.46 2.32 Regione distale Direzione longitudinale 6.55 1.69

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Dall’analisi istologica è emerso che la quantità di fibre muscolari è maggiore nella porzione prossimale rispetto a quella distale. Inoltre, si osserva un incremento delle fibre collagene passando dalla regione prossimale a quella distale e una contemporanea diminuzione delle fibre muscolari (Figura 13).

Figura 13 Percentuale di fibre muscolari e collagene nelle diverse regioni dell’uretra (Natali et al. 2016)

I test meccanici hanno dimostrato che il tessuto uretrale, come del resto i tessuti molli in generale, presenta un comportamento meccanico non lineare. Inoltre, è stata osservato che la rigidezza della porzione prossimale è maggiore nella direzione longitudinale rispetto a quella circonferenziale, mentre nella porzione distale non sono presenti tali differenze (Figura 14).

Figura 14. Comportamento Stress-Strain tessuto uretrale (porzione prossimale e distale) sia nella direzione longitudinale che circonferenziale (Natali et al. 2016)

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Questo può essere giustificato dal fatto che nella porzione prossimale si ha un orientamento preferenziale delle fibre nella direzione longitudinale. In aggiunta è stata osservata una riduzione delle fibre muscolari passando dalla sezione prossimale a quella distale che giustifica la maggiore rigidezza della prima sezione. Quindi i risultati dei test meccanici possono essere confermati dall’analisi istologica, infatti il comportamento meccanico dipende dalla quantità e dalla disposizione dei vari componenti del tessuto.

3.2.2 Studi sperimentali su tessuto uretrale da cadavere

Il comportamento meccanico dei tessuti molli è stato ampiamente studiato fatta eccezione per il tratto urinario. Diversi animali sono stati considerati ai fini della caratterizzazione meccanica del tessuto uretrale. Tuttavia, bisogna sempre considerare la differenza rispetto al tessuto umano, per questo alcuni test sono stati eseguiti su tessuto prelavato da cadavere.

Uno di questi (Masri et al. 2018) include il tessuto prelevato da 8 cadaveri senza evidenti disordini del sistema urinario. I campioni sono stati espiantati da cadaveri di persone con età compresa tra i 72 e gli 87 anni. Degli 8 campioni ottenuti, 5 sono stati utilizzati per i test meccanici i restanti 3 per osservazioni istologiche.

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I campioni destinati all’analisi istologica sono stati conservati in formaldeide, fissati in formalina per 24 ore a 4 gradi e successivamente conservati in paraffina. Dai risultati dell’analisi istologica emerge per il tessuto uretrale una struttura pluristratificata. I principali strati identificabili sono: urotelio, strato sotto muscolare, muscolatura e avventizia (Figura 15).

I campioni destinati allo studio delle proprietà meccaniche sono stati conservati in soluzione salina fino al momento del test (effettuato entro le 4 ore dall’espianto). Dal tessuto espiantato (sia dalla porzione spongiosa che membranosa) sono stati ricavati campioni rettangolari (Figura 16) con dimensioni di circa 34.56 mm di altezza, 2.5 di spessore e 10 mm di larghezza. I test sono stati eseguiti sia nella direzione longitudinale che circonferenziale.

Figura 16 Preparazione campioni uretrali di forma rettangolare (Masri et al. 2018)

Per entrambe le porzioni di uretra si riscontra un comportamento meccanico di tipo non lineare tipico dei tessuti biologici. Osservando la figura relativa alla porzione membranosa dell’uretra (Figura 17), dove si riporta l’andamento dello Stress (kPa) in funzione dello stretch (𝜆 = 𝜀 + 1), si osserva un comportamento molto simile nelle due direzioni di prova. Mentre sulla porzione spongiosa (Figura 18) ci sono maggiori differenze tra le due direzioni. In particolare, si osserva una rigidezza maggiore nella direzione circonferenziale.

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Figura 17 Risultati del test sulla porzione membranosa dell’uretra (Masri et al. 2018)

Figura 18 Risultati del test sulla porzione spongiosa dell'uretra (Masri et al. 2018)

Si può notare sui grafici l’isteresi dovuta al comportamento viscoelastico del tessuto, inoltre, se si osservano due curve successive queste non saranno uguali. Questo è legato alle deformazioni residue dal ciclo precedente. In generale l’isteresi aumenta con il carico applicato che a sua volta genera un maggiore deformazione residua. Osservando lo stress

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massimo, si vede una differenza tra direzione longitudinale e direzione circonferenziale il che significa che il tessuto ha un comportamento anisotropo.

Confrontando i due grafici precedenti si vedono delle differenze tra le due porzioni dell’uretra. Lo stress massimo nella porzione spongiosa è circa doppio rispetto a quello nella porzione membranosa. Nella porzione spongiosa si vedono i primi segni di cedimento del tessuto ad uno stretch di 1.6.

Il fatto che l’uretra sia un condotto deputato al passaggio dell’urina è normale che abbia una resistenza maggiore nella direzione circonferenziale.

Bisogna anche considerare che nell’uomo l’uretra è soggetta ad una grande dilatazione in direzione longitudinale dovuta al forte carico del corpo cavernoso durante l’erezione. Per questo ha un’elevata elasticità in tale direzione. Per ricavare le proprietà meccaniche dell’uretra è stato fatto un fitting dei dati sperimentali usando un modello iperelastico anisotropo sotto l’ipotesi che il tessuto sia incomprimibile (modello di Gasser) (Figura 19-20). I parametri del modello che rendono minimo l’errore tra la curva sperimentale e la curva del modello sono riportati in tabella.

µ k (kPa)

Porzione membranosa 3.65 1.88

Porzione 5.79 7.77

Tabella 3. Valori dei parametri del modello costitutivo di Gasser

Per la porzione membranosa dell’uretra superato lo stretch di 1.5 il fitting risulta essere molto buono in particolare per il comportamento del tessuto in direzione circonferenziale. Per quando riguarda il fitting nel caso dell’uretra spongiosa si vedono gli effetti del danneggiamento del tessuto, i dati sperimentali relativi al test che presentano uno stretch maggiore di 1.6 risultano compromessi

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Figura 19 Sovrapposizione dati sperimentali con modello di Gasser per l'uretra membranosa (Masri et al. 2018)

Figura 20 Sovrapposizione dati sperimentali con modello di Gasser per l'uretra spongiosa (Masri et al. 2018)

Gli studi precedenti riguardano campioni prelevati da animali e/o da cadavere. Da questi studi la prima cosa che salta all’occhio è il comportamento di tipo non lineare del tessuto uretrale, come ci si poteva aspettare trattandosi di un tessuto biologico molle. Un altro

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comportamento in direzione longitudinale è diverso da quello in direzione circonferenziale. Purtroppo, le informazioni ottenute dalla letteratura presentano diversi limiti. Innanzitutto, non si può non tener conto delle differenze che ovviamente esistono tra tessuto animale e tessuto umano. Inoltre, trattandosi di un campo ancora inesplorato i dati di letteratura sono spesso discordanti tra loro. Possiamo fare un confronto tra due degli studi più significativi precedentemente citati (test su campione equino e su tessuto prelevato da cadavere). Osserviamo che si hanno risultati opposti nei due studi precedenti. Infatti, mentre sul tessuto prelevato da cadavere a parità di stress il tessuto si deforma maggiormente in direzione longitudinale, nel tessuto equino la situazione è completamente opposta, a parità di stress la deformazione è maggiore in direzione circonferenziale. I risultati finora ottenuti possono rappresentare un punto di partenza per capire il comportamento del tessuto uretrale ma per conoscere le caratteristiche del tessuto umano, che saranno utili al fine di progettare sfinteri artificiali e anche per la realizzazione di un phantom di uretra, è necessaria un ulteriore analisi. In particolare, nel capitolo 4 vedremo i risultati delle prove di trazione eseguite su tessuto uretrale umano ex-vivo.

3.3. Sfinteri artificiali per il trattamento dell’incontinenza urinaria

La caratterizzazione meccanica del tessuto uretrale fornisce informazioni indispensabili per la progettazione di sfinteri extra-uretrali per il trattamento dell’incontinenza urinaria severa. L’incontinenza urinaria è una patologia che consiste nella perdita involontaria di urina attraverso l’uretra al di fuori dell’atto della minzione. Questo crea ovviamente notevoli disagi a livello psicologico e sociale. Si distinguono tre tipi di incontinenza: da urgenza, da sforzo e mista che rappresenta una combinazione delle due precedenti. La prima si verifica quando la vescica si contrae prima che il cervello ne inibisca la contrazione. Questa è in genere dovuta a infezioni o malattie neurologiche che alterano o interrompono i collegamenti nervosi tra vescica e cervello.

La seconda si manifesta quando lo sfintere diminuisce o perde la forza con cui chiude l’uretra. La perdita involontaria di urina avviene in seguito a colpi di tosse, sollevamento di pesi o nei casi più gravi anche in seguito a cambi di posizione o semplicemente mentre si cammina. L’incontinenza da sforzo viene classificata in base alla quantità di urina persa. Nel caso di incontinenza severa il trattamento preferito è il posizionamento di uno sfintere urinario artificiale a contatto con l’uretra. Per questo è necessario conoscere le

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proprietà meccaniche del tessuto per evitare che lo sfintere (in particolare quello extra-uretrale che avvolge il tratto bulbare del tessuto) danneggi l’uretra.

Lo sfintere artificiale è una protesi impiantabile che permette di restaurare il controllo urinario quando l’incontinenza è causata da un meccanismo sfinterico incompetente o assente. La maggior parte degli sfinteri finora progettati sono di tipo extra-uretrale. La prima idea di sfintere artificiale risale al 1947 (Kil and De Vries 1993) quando Foley progettò un dispositivo composto da una cuffia occlusiva attaccata ad una pompa tenuta nella tasca del paziente. Una versione successiva, l’AMS721 (1973), era costituito da un bracciale posto attorno al collo della vescica o dell’uretra bulbare. Grazie a piccole pompe posizionate nello scroto il paziente era in grado di controllare l’inflazione o deflazione della cuffia. Il passaggio di fluido da e verso la cuffia era consentito da un serbatoio. Tra i limiti di tale dispositivo vi era un alto tasso di erosione, la mancanza di una chiusura automatica della cuffia e le difficoltà nel posizionamento. Tutto ciò portò ad un insuccesso di tale dispositivo.

Gli sfinteri artificiali moderni fanno la loro comparsa nel 1983 con il dispositivo AMS800 (Figura 21).

Si tratta di un dispositivo in silicone composto da tre componenti separati: una cuffia gonfiabile, un palloncino per regolare la pressione e un sistema di controllo composto da pompa di sgonfiaggio, resistore di ricarica e un pulsante di disattivazione (Cordon, Singla, and Singla 2016).

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La cuffia, realizzata con un elastomero in silicone, viene posta attorno all’uretra bulbare. La dimensione della cuffia viene scelta in base alle dimensioni anatomiche del paziente. Questo componente circonda l’uretra applicando una pressione circonferenziale. Il tubo della cuffia viene collegato al tubo della pompa attraverso un connettore.

Il palloncino per il controllo della pressione, anch’esso realizzato in silicone, controlla la pressione esercitata dalla cuffia. Questo garantisce diversi livelli di pressione, da 41 a 100 cm di H2O. L’obiettivo di questo componente è quello di fornire la minima pressione per

garantire la continenza urinaria. Una pressione maggiore potrebbe causare atrofia del segmento uretrale. Questo componente viene impiantato nella regione inguinale.

La pompa che costituisce l’unità di controllo è impiantata nell’uomo sotto la pelle dello scroto e nella donna nelle grandi labbra. La parte superiore di tale componente contiene il resistore e le valvole necessarie al trasferimento di liquido tra i componenti. La parte inferiore è un bottone che il paziente preme e rilascia quando vuole urinare.

L’AMS800 simula la normale funzionalità sfinterica mediante l’apertura e la chiusura dell’uretra comandata dal paziente. Quando la cuffia è chiusa l’urina rimane nella vescica. Premendo sulla pompa per una serie di volte sarà possibile svuotare la vescica (Figura 22).

Figura 22 A. Uretra chiusa dalla cuffia; B. Apertura cuffia e minzione; C. Chiusura automatica della cuffia

(“Sfintere Artificiale Ams 800)

Un altro dispositivo extra-uretrale sviluppato per il trattamento dell’incontinenza urinaria è lo Zephyr 375 (Vakalopoulos et al. 2012) (Figura 23). Si tratta di un dispositivo

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idraulico composto da un manicotto gonfiabile e regolabile che si adatta all’uretra e una pompa con incorporato un serbatoio per la regolazione della pressione. I due componenti sono connessi tramite un tubo in silicone. A differenza dell’AMS 800 questo dispositivo può essere utilizzato solo sull’uomo e non sulla donna.

Tale dispositivo è realizzato in silicone riempito con soluzione fisiologica sterile.

Sono presenti due compartimenti: un circuito idraulico e un circuito di compensazione separati da un pistone. La molla spinge il pistone verso l’alto che a sua volta spinge il liquido nella cuffia.

Per garantire la continenza urinaria la cuffia deve comprimere l’uretra. I vantaggi del dispositivo rispetto all’AMS 800 sono i costi ridotti, la possibilità di regolare la pressione e la possibilità di regolare la cuffia in caso di atrofia uretrale postoperatoria.

Figura 23 (A) Sfintere extra-uretrale Zephyr 375; (B) Cuffia gonfiabile; (C) Pompa e serbatoio regolatore di pressione (Staerman et al. 2013)

Gli sfinteri endo-uretrali sono dispositivi miniaturizzati che vengono posti all’interno del lume uretrale. Proprio a causa del loro posizionamento in contatto con l’urina spesso si assiste al deterioramento dei componenti di tali dispositivi. I dispositivi endo-uretrali sono pensati principalmente per le donne a causa della ridotta dimensione dell’uretra che rende più semplice l’inserimento. Uno di questi dispositivi è il FemSoft Insert. Esso è costituito da un tubo di silicone rivestito da una guaina di silicone riempita di olio minerale. Quando la punta del dispositivo entra in contatto con la vescica il fluido scorre verso l’estremità bulbosa dello sfintere andando a gonfiare un palloncino. Nella parte opposta alla parte bulbosa è presente una flangia in silicone che serve per impedire lo

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spostamento dello sfintere. Quando la paziente deve urinare lo sfintere va rimosso tirando la parte in cui è presente la flangia. Uno dei principali limiti di questo dispositivo è legato al fatto che può provocare infezioni alle vie urinarie (Marziale et al. 2018). Reliance è un altro dispositivo endo-uretrale realizzato esclusivamente per le donne. Esso è costituito da un catetere in silicone che presenta ad un’estremità un palloncino che quando viene gonfiato blocca il flusso urinario. La migrazione del dispositivo è impedita grazie ad una linguetta posta sull’estremità distale che fissa lo sfintere nella posizione desiderata (Miller and Bavendam 1996).

Recentemente è stato progettato un nuovo sfintere artificiale, completamente invisibile esternamente, controllato magneticamente (Mazzocchi et al. 2017) . Si tratta di un dispositivo unisex, il cui inserimento è rapido e indolore. Il dispositivo, le cui dimensioni sono compatibili con quelle dell’uretra, è composto da sette componenti: un case esterno, una valvola polimerica, un cursore di sicurezza, una molla e un magnete interno (Figura 24A).

Figura 24 (A) Componenti interne sfintere artificiale endo-uretrale; (B) Schematizzazione dello sfintere endouretrale nella prima e seconda configurazione stabile (Mazzocchi et al. 2017)

Il sistema di sicurezza, costituito dalla molla, dal cursore e dal magnete interno è in grado di modulare la pressione di apertura della valvola. Se non viene applicato un trigger esterno, mediante il magnete, il sistema di sicurezza fa si che la molla spinga il cursore che va a contatto con la valvola garantendo così la continenza. Avvicinando il magnete esterno alla pelle, con la corretta orientazione, il magnete interno viene attratto. Questo

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provoca una compressione della molla, che porta il cursore in basso, lasciando libera la valvola. Questo fa si che la valvola, sotto la spinta dell’urina, possa aprirsi con conseguente possibilità di urinare (Figura 24B).

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4.CARATTERIZZAZIONE MECCANICA DI

TESSUTI UROGENITALI

La caratterizzazione meccanica del tessuto uretrale è un argomento ad oggi ancora poco studiato soprattutto a causa delle difficoltà nel reperire i campioni di tessuto da analizzare. Le informazioni circa il comportamento meccanico di questo distretto anatomico provengono da studi condotti su tessuto animale o tessuto prelevato da cadavere (Natali et al. 2016), (Masri et al. 2018). Ancora nulla è stato fatto su tessuto umano in vivo o ex-vivo.

4.1 Prelievo dei campioni

Eseguire delle prove su tessuto ex-vivo non è semplice soprattutto a causa della scarsa reperibilità dei campioni. Noi abbiamo avuto la possibilità di ottenere i campioni da pazienti che si sono sottoposti a interventi di conversione di tipo andro-ginoide.

I campioni di tessuto sono stati forniti dall’ U.O.Urologia Universitaria grazie alla collaborazione con la Dott.ssa Donatella Pistolesi e al Dr. Girolamo Morelli, ricercatore Universitario presso il Dipartimento di Patologia Chirurgica, Medica, Molecolare e dell’Area Critica. A noi interessava principalmente caratterizzare il tessuto uretrale però ci sono stati forniti anche campioni di corpo cavernoso e di testicolo. Abbiamo quindi deciso di caratterizzare i tre tessuti al fine di valutare le loro differenze in termini di comportamento meccanico.

L’intervento di conversione richiede due fasi:

-fase demolitiva in cui vengono asportati testicoli, epidimi, corpi cavernosi e parte dell’uretra

-fase ricostruttiva in cui viene ricostruita la vagina e i genitali esterni che siano il più possibile simili a quelli naturali.

Nella prima fase si deve fare attenzione a preservare le strutture di rivestimento (pelle e scroto) che saranno utilizzate per la confezione dell’introito e della cavità vaginale. Per

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rivestire la cavità vaginale in genere si usa la cute peniena mentre la cute scrotale viene usata nella realizzazione delle grandi labbra.

Nella seconda fase è fondamentale garantire un buon risultato sia dal punto di vista funzionale ma anche estetico.

I testicoli vengono asportati durante la primissima fase dell’intervento per offrire un migliore campo visivo nelle successive fasi.

I corpi cavernosi devono essere separati da rivestimenti cutanei, uretra e glande.

Dopo aver rimosso il rivestimento cutaneo, l’uretra dev’essere completamente isolata e mobilizzata dal glande fino al tratto bulbare. Distalmente, il corpo spongioso dell’uretra viene sezionato nell’immediata vicinanza del glande, in modo da non lasciarvi adesi residui uretrali.

Il glande viene poi separato dai corpi cavernosi. L’asportazione dei corpi cavernosi dev’essere quanto più possibile prossimale per evitare un eventuale inturgidimento del tessuto cavernoso residuo che può provocare dolore e disagio. Una volta creata la neovagina l’uretra verrà accorciata. La sua direzione e il suo percorso devono essere rettilinei in modo da garantire un flusso urinario lineare e ben direzionabile.

La preparazione dei campioni rappresenta un passaggio fondamentale per i successivi test. Infatti, è bene che i campioni vengano ben ripuliti dai tessuti circostanti, diversamente eventuali residui di tessuto provenienti da regioni adiacenti falserebbero i risultati del test. Si andrebbero quindi a valutare non le proprietà esclusivamente del tessuto uretrale ma le proprietà derivanti dall’interazione con altri tessuti. Questo step è fondamentale ed è operatore dipendente, dipende cioè da come ciascun operatore ripulisce il tessuto di interesse. Proprio da questo dipende in parte la variabilità dei risultati ottenuti dalle prove sui campioni.

I campioni forniti sono stati conservati in soluzione fisiologica, per cercare di preservarne il più possibile le proprietà, fino al momento del test di caratterizzazione meccanica che è stato eseguito entro le 6 ore dall’espianto.

4.2 Prova di trazione sui campioni di tessuto umano

La prova più semplice per determinare le proprietà meccaniche di un materiale è la prova di trazione uniassiale. Ovviamente una prova di trazione uniassiale non riesce a replicare

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partenza per avere le prime informazioni importanti per la caratterizzazione del tessuto. Tale prova consiste nel sottoporre il provino, in genere di forma rettangolare, ad una deformazione, a velocità costante, tramite l’applicazione di un carico unidirezionale. Il carico viene applicato in direzione ortogonale rispetto alla sezione del provino. Durante la prova si misura il valore del carico e la lunghezza del provino mediante rispettivamente una cella di carico e un estensimetro. Il macchinario utilizzato per effettuare le prove di trazione è INSTRON 4464 Mechanical Testing System (Figura 25) con cella di carico da ±10𝑁 connesso al computer tramite un’interfaccia LabView. Le prove sono state effettuate ad una velocità costante di 15 mm/min.

Figura 25 Macchina INSTRON 4464 Mechanical Testing System presente nel laboratorio in cui sono state eseguite le prove meccaniche

Le dimensioni dei campioni sono state misurate usando un calibro digitale.

Campione 1 Campione 2 Campione 3 Campione 4 Campione 5 Campione 6 Campione 7

Larghezza

uretra (mm) 17.8 5.56 18.12 11.09 17.84 15.02 12.92 Spessore

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