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Fattori prognostici per il decorso post operatorio dei pazienti con riparazione artroscopica della cuffia dei rotatori : revisone della letteratura

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Academic year: 2021

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Scuola Universitaria Professionale della Svizzera Italiana Dipartimento Economia Aziendale, Sanità e Sociale

Corso di laurea in: Fisioterapia Anno Accademico: 2014/2015

Lavoro di Tesi (Bachelor Thesis)

Fattori prognostici per il decorso post operatorio dei pazienti con riparazione artroscopica della cuffia dei rotatori.

Revisione della letteratura

Autore: Gioacchino Giancone Direttrice di tesi: Martina Erni

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Sommario

1. Abstract ... 2 2. Introduzione ... 4 BACKGROUND ... 5 3. Aspetti anatomici ... 5 3.1. Il cingolo scapolare ... 5

3.2. L’articolazione della spalla ... 5

3.3. L’ arco coracoacromiale ... 6

3.4. Cuffia dei rotatori ... 6

3.5. Movimenti del cingolo scapolare e dell’articolazione glenomerale... 7

3.6. Ritmo scapolo omerale ... 8

4. Patologie miotendinee della spalla. ... 9

4.1. Sindrome da conflitto subacromiale (SCS) ... 9

4.2. La rottura della cuffia dei rotatori ... 10

FOREGROUND ... 13

5. Metodologia ... 13

5.1. Domanda e design di ricerca. ... 13

5.2. Criteri di inclusione ed esclusione degli articoli scientifici ... 13

5.3. Prima selezione degli articoli scientifici ... 15

5.4. Seconda selezione degli articoli scientifici ... 15

6. Risultati ... 18

6.1. Caratteristiche degli articoli scientifici selezionati ... 18

6.2. Risultati degli articoli scientifici ... 19

7. Discussione ... 26

7.1. Studi di coorte prospettici ... 26

7.2. Studi di coorte retrospettivi e caso controllo. ... 28

7.3. Confronto dei fattori prognostici individuati da entrambi i gruppi di studi ... 31

7.4. Limiti della revisione ... 32

8. Conclusioni ... 33

9. Ringraziamenti ... 33

10. Tabelle riassuntive ... 34

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1. Abstract Introduzione

La lesione della cuffia dei rotatori è una problematica molto comune, la cui frequenza aumenta con l’aumentare dell’età. Il decorso postoperatorio dopo una riparazione artroscopica di tale lesione può variare da un soggetto all’altro e sono infatti diversi i fattori che possono influenzarlo. Individuare tali fattori potrebbe aiutare i fisioterapisti a spiegarsi un determinato decorso postoperatorio, a gestire le aspettative del paziente e a pianificare degli obiettivi fisioterapici pertinenti, tenendo conto dei diversi fattori presenti e aspettandosi dunque un recupero più o meno importante.

Obiettivi

L’obiettivo da raggiungere con questa revisione è quello di elaborare una ricerca approfondita sui fattori prognostici per il decorso post operatorio dei pazienti con riparazione artroscopica della cuffia dei rotatori, con lo scopo di individuarli ed integrarli nella pratica fisioterapica e poter così sempre di più adattare il proprio trattamento fisioterapico all’individualità del paziente.

Metodologia

Attraverso una revisione della letteratura sono state effettuate delle ricerche da dicembre 2014 a febbraio 2015 nelle banche dati di PubMed, Pedro e Cochrane Library. Sono state utilizzate le seguenti parole chiave: “rotator cuff”, “prognosis”, “wound healing”, “prognostic factor”, “Arthroscopy”, “quality of life”, “pain”, “functional” e “function”. Queste sono state combinate con l’utilizzo dell’operatore booleano AND.

Risultati

Con l’inserimento delle parole chiave sono stati trovati 961 studi su PubMed, 470 su Pedro e 260 su Cochrane Library. Con l’utilizzo dei criteri di inclusione ed esclusione sono stati infine selezionati ed analizzati 9 articoli. I risultati sono stati analizzati separando gli studi di coorte prospettici dagli studi di coorte retrospettivi e caso controllo e infine sono stati confrontati tra loro.

In totale sono stati individuati diciotto fattori prognostici negativi, raggruppati in fattori anagrafici (maggiore età, genere femminile), fattori di rischio cardiovascolare (fumo, obesità, diabete), fattori di comorbilità (osteopenia, osteoporosi, altre comorbilità), fattori personali (insoddisfazione del paziente), Yellow Flags (richieste di risarcimento per infortuni sul lavoro), fattori clinici funzionali (assenza di forza completa nella flessione della spalla) e fattori non accessibili in maniera diretta (ampiezza della lesione maggiore, concomitante procedura all’articolazione acromioclaveare, concomitante tenodesi o tenotomia al CLB, coinvolgimento di più tendini, maggiore quantità di retrazione tendinea, maggior grado di degenerazione grassa dei muscoli, minore distanza acromion – testa omerale).

I due differenti gruppi di studi hanno trovato in gran parte dei diversi fattori prognostici, ma riguardo i fattori in comune a entrambi, i risultati sono stati coerenti tra loro.

Conclusione

Sono diversi i fattori prognostici che possono influenzare il decorso postoperatorio di una riparazione artroscopica della cuffia dei rotatori. Il fisioterapista dovrà individuarli nella valutazione fisioterapica, per potersi aspettare un determinato outcome e

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3 riconoscere eventuali ritardi nel recupero postoperatorio, adattando i suoi obiettivi riabilitativi. Ogni paziente va comunque considerato nella sua individualità e bisogna tener presente che diversi fattori prognostici possono influenzare in maniera differente ogni soggetto. Ulteriori studi sono necessari per valutare l’effetto dei fattori prognostici a lungo termine.

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2. Introduzione

La tematica scelta per questo lavoro di tesi riguarda la riparazione artroscopica della lesione della cuffia dei rotatori, con particolare attenzione sui diversi fattori prognostici per il decorso fisioterapico postoperatorio dei pazienti sottoposti a questa procedura chirurgica.

L’articolazione della spalla desta particolare importanza per la sua armonia con il cingolo scapolare e per la sua ampia mobilità articolare rispetto alle altre articolazioni corporee, senza la quale saremmo gravemente limitati nelle nostre attività della vita quotidiana.

È stata scelta questa tematica per diversi motivi. Primo, per un personale interesse riguardo l’articolazione glenomerale.

Secondo, colgo questa opportunità quale motivo di approfondimento, poiché, durante le esperienze di stage mi sono occupato rarissimamente di pazienti con tale patologia. Un’altra motivazione è nata dalla discussione con alcuni docenti universitari, riguardante la prognosi riabilitativa dei pazienti dopo riparazione artroscopica della cuffia dei rotatori. Tale prognosi sembra presentare molte diversità a dipendenza dei soggetti, dalle loro caratteristiche e da diversi altri fattori. Da ciò, nasce la domanda di come potrebbe un fisioterapista riuscire a gestire le aspettative di un paziente, che per esempio, avendo una prognosi molto più lenta rispetto alla norma, potrebbe con tutte le sue buone ragioni, chiedere ai professionisti della salute una spiegazione legata a questo evento postoperatorio. Quindi, una fondata ed approfondita conoscenza insieme ad un’efficace spiegazione da parte del fisioterapista, possono essere di grande utilità non soltanto per il fisioterapista, ma anche e soprattutto per i pazienti e per la loro serenità.

Quindi una volta individuati quali fattori portano ad una prognosi migliore o peggiore, questi aiuterebbero il fisioterapista ad adattare il trattamento e l’intensità più idonei al paziente.

Gli obiettivi di questo lavoro di Bachelor sono dunque:

- conoscere i molteplici aspetti riguardanti le lesioni e il trattamento di riparazione artroscopica della cuffia dei rotatori;

- identificare i fattori prognostici che influenzano l’outcome post operatorio dei pazienti sottoposti a riparazione artroscopica della cuffia dei rotatori;

- attraverso l’identificazione dei fattori prognostici, poter dare ai fisioterapisti la possibilità di prevedere indicativamente un ipotetico outcome ed una più o meno veloce risposta al trattamento fisioterapico per poter quindi adattarlo il più possibile al paziente.

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BACKGROUND

Prima di iniziare il lavoro, per una miglior comprensione, verranno introdotti alcuni aspetti generali, ma basilari, e presentate le strutture anatomiche maggiormente implicate nella problematica che sarà oggetto del Lavoro di Tesi.

3. Aspetti anatomici 3.1. Il cingolo scapolare

Il cingolo scapolare è un complesso articolare, costituito da diverse strutture anatomiche.

Le ossa che compongono il cingolo scapolare sono la scapola e la clavicola. Quest’ultima si articola con il torace attraverso l’articolazione sternoclaveare, e con la scapola attraverso l’articolazione acromioclaveare. La scapola, si articola anche con l’omero attraverso l’articolazione glenomerale che non fa parte anatomicamente del cingolo scapolare, anche se i suoi movimenti ne sono strettamente correlati e interdipendenti (Palastanga, Field, e Soames 2007).

Il cingolo scapolare si articola anche con la parete toracica attraverso la scapola, che scivola sul torace grazie ai piani di scorrimento della muscolatura che l’avvolge e la mantiene attaccata alla gabbia toracica, in modo da garantire una buona stabilità all’arto superiore, trasferire le forze dall’arto superiore al tronco e assorbire gli urti con gli arti superiori (ibidem, p. 121).

Le forze dell’arto superiore vengono trasmesse al tronco, oltre che dalla muscolatura, anche grazie alle articolazioni e ai rispettivi legamenti, che fanno parte del cingolo scapolare. L’articolazione sternoclaveare è un’articolazione a sella, ma funzionalmente agisce come un’enartrosi. Essa è formata dalla parte mediale della clavicola e dall’incisura clavicolare del manubrio dello sterno. Grazie ad essa, l’arto superiore, attraverso il cingolo scapolare è connesso al tronco. Tra le due superfici articolari convessa e concava, si interpone un disco fibrocartilagineo che aumenta la loro congruenza articolare e ammortizza le forze trasferite dall’arto superiore al tronco. L’articolazione è rinforzata dalla capsula articolare, anteriormente e posteriormente dai legamenti sternoclaveare anteriore e posteriore, superiormente dal legamento interclaveare, e inferiormente dal legamento costoclaveare (ibidem, pp. 122-125).

L’articolazione acromioclaveare è un artrodia formata dall’estremità laterale della clavicola e dal margine anteromediale del processo acromiale. Anche in questa articolazione è presente un disco intrarticolare fibrocartilagineo ed è anch’essa rinforzata dalla capsula e dal legamento coracoclaveare (conoide e trapezoide) che unisce la superficie inferiore e laterale della clavicola al processo coracoideo della scapola (ibidem, pp. 128-130).

3.2. L’articolazione della spalla

L’articolazione glenomerale è costituita dalla testa omerale e dalla cavità glenoidea della scapola. È un’enartrosi sinoviale, che permette movimenti nel piano frontale, sagittale e orizzontale, e questo grazie alla superficie sferica della testa dell’omero che si articola all’interno della superficie concava della cavità glenoidea, quest’ultima ampliata e resa più profonda dal cercine glenoideo, una struttura fibrocartilaginea (Palastanga, Field, e Soames 2007).

L’articolazione è rinforzata passivamente dalla capsula articolare e dai legamenti, che sono comunque sufficientemente lassi per permettere un’elevata mobilità (Kapandji 2011). Tutte queste strutture contribuiscono in parte a mantenere la stabilità di un’articolazione che per sua natura è molto soggetta all’instabilità, vista la grande escursione articolare di cui essa dispone e la congruenza articolare tra le superfici

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6 omerale e glenoidea, che di per sé è di scarso aiuto nel mantenimento della stabilità. Infatti, solamente un terzo della testa omerale viene ricoperta dalla glenoide della scapola (Palastanga, Field, e Soames 2007).

Dalla capsula, attraverso una soluzione di continuo, emerge il capo lungo del bicipite, che, originando dalla tuberosità sovra glenoidea e dall’adiacente cercine glenoideo permette di dare un’ulteriore stabilità all’articolazione della spalla (ibidem, p. 140).

3.3. L’ arco coracoacromiale

Il legamento coracoacromiale, che si estende tra il processo coracoideo e l’acromion della scapola, unisce questi due reperi ossei (Palastanga, Field, e Soames 2007). Tale legamento, insieme alla superficie antero-inferiore dell’acromion ed al processo coracoideo, formano l’arco coracoacromiale. Questa struttura osteofibrosa delimita superiormente il cosiddetto “outlet” (o sbocco), cioè lo spazio da cui passa il tendine di un muscolo, il sopraspinato, di cui parleremo nel capitolo successivo. L’outlet è anche delimitato medialmente dall’articolazione acromioclaveare (Grassi et al. 2012).

L’arco coracoacromiale è importante poiché accresce la superficie che sostiene la testa dell’omero quando le forze sono direzionate prossimalmente lungo la diafisi omerale (Palastanga, Field, e Soames 2007).

3.4. Cuffia dei rotatori

La cuffia dei rotatori è costituita dai tendini di quattro muscoli profondi della spalla: sopraspinato, sottospinato, sottoscapolare e piccolo rotondo (figura nr. 1) (Tortora e Derrickson 2011).

Il muscolo sopraspinato origina dalla fossa sopraspinosa della scapola per inserirsi sulla faccia superiore del trochite. Esso insieme al deltoide agisce come muscolo motore dell’abduzione scapolo-omerale. Inoltre, il muscolo sopraspinato mantiene la testa dell’omero contro la cavità glenoidea, prevenendo una lussazione verso l’alto della testa dell’omero altrimenti provocata dall’azione del deltoide (Kapandji 2011).

Il muscolo sottospinato, rotatore esterno della spalla, origina dalla fossa sottospinosa della scapola e si inserisce sulla faccia postero superiore del trochite. Il muscolo sottoscapolare origina dalla fossa scapolare e si inserisce sul trochine. Esso è invece un rotatore interno della spalla. Infine, il muscolo piccolo rotondo, rotatore esterno della spalla, origina dalla parte inferiore della fossa sottospinosa e si inserisce sulla faccia postero inferiore del trochite. Questi tre muscoli, rotatori della spalla, hanno un ruolo importante, ovvero quello di stabilizzare l’articolazione gleonomerale e contrastare l’azione lussante del deltoide. Contraendosi, infatti, producono una forza di abbassamento che si contrappone perfettamente all’azione opposta del deltoide creando una coppia di rotazione generante l’abduzione (ivi).

Tutti i quattro muscoli della cuffia dei rotatori uniscono la scapola all’omero, avvolgendo l’articolazione glenomerale; i loro tendini ricoprono la capsula e si fondono con essa, dunque sono molto importanti per conservare l’integrità articolare (Palastanga, Field, e Soames 2007). Tali muscoli sono anche definiti stabilizzatori trasversali della spalla poiché, grazie ad essi, la testa dell’omero viene stabilizzata e mantenuta sulla glena della scapola. Tali stabilizzatori agiscono in sinergia-antagonismo con gli stabilizzatori longitudinali della spalla (deltoide, capo breve e lungo del bicipite, capo lungo del tricipite, fascio clavicolare del gran pettorale e coracorbrachiale), ovvero quei muscoli che impediscono la lussazione inferiore della testa omerale durante il sollevamento di grandi pesi (Kapandji 2011).

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7 Figura nr. 1: i tendini della cuffia dei rotatori

(www.spalla.it)

3.5. Movimenti del cingolo scapolare e dell’articolazione glenomerale.

Sono diversi i muscoli che fanno parte del cingolo scapolare. Nella scapola, infatti si inseriscono molti muscoli, alcuni arrivano all’arto superiore corrispondente, mentre una gran parte, collegano e fissano il cingolo scapolare al torace. Il cingolo scapolare, attraverso la sua posizione anatomica, orienta la glena della scapola nei diversi piani dello spazio, aumentando quindi l’articolarità dell’articolazione glenomerale. Infatti, come citato precedentemente, i movimenti dell’articolazione glenomerale sono correlati e interdipendenti con i movimenti del cingolo scapolare. Inoltre, la posizione anatomica della clavicola, le permette di essere un sostegno che attraverso le due articolazioni poste alle sue estremità, tiene l’arto superiore distante dal tronco (Palastanga, Field, e Soames 2007).

È importante ribadire che insieme ai movimenti di queste articolazioni, deve essere presa in considerazione anche la mobilità del rachide, poiché come verrà descritto nelle pagine successive, anch’essa influisce sulla mobilità e funzionalità della spalla (Kapandji 2011).

Globalmente, i movimenti del cingolo scapolare sono descritti attraverso la posizione che la scapola assume sulla parte posteriore del torace. La protrazione e la retrazione sono i due movimenti opposti, apprezzati da una sezione orizzontale, dove il margine mediale della scapola si allontana (protrazione) e avvicina (retrazione) alla colonna vertebrale. Nel primo movimento, la cavità glenoidea guarda lateralmente, mentre nel secondo, guarda in avanti (Palastanga, Field, e Soames 2007).

Nell’elevazione, invece, il cingolo scapolare viene portato in alto, mentre nella depressione viene portato in basso (ivi).

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8 Infine, nell’ extrarotazione, l’angolo inferiore della scapola si muove lateralmente e in su, portando la glena a guardare più in alto, mentre nell’intrarotazione, l’angolo della scapola si porta verso l’interno e la glena si orienta verso il basso (ivi).

L’articolazione glenomerale, oltre alla cuffia dei rotatori, è costituita anch’essa da diversi altri muscoli: ci siamo però limitati per questo lavoro di tesi a citare solamente quelli che permettono di comprendere e raggiungere gli obiettivi prefissati.

I movimenti dell’articolazione glenomerale, se descritti a partire dai piani cartesiani di riferimento, sono la flessione e l’ estensione, la rotazione interna e la rotazione esterna, l’ adduzione e l’abduzione (ibidem, p. 72). Sul piano sagittale avvengono i movimenti di flessione ed estensione: nel primo movimento, il braccio si muove in avanti e in alto, mentre nel secondo, il braccio si muove indietro e in alto o ritorna dalla posizione di massima flessione (Kapandji 2011).

Nella rotazione invece, l’omero ruota attorno al proprio asse longitudinale. Infine l’abduzione e l’adduzione sono i movimenti opposti che allontanano o avvicinano l’arto superiore al piano di simmetria del corpo e possono avvenire sia sul piano frontale che orizzontale (Kapandji 2011).

3.6. Ritmo scapolo omerale

Il cingolo scapolare, movendosi insieme all’articolazione glenomerale, consente alla spalla di raggiungere da 150° a 180° di escursione articolare sia nella flessione che nell’abduzione (Kisner e Colby 2010).

Il ritmo scapolo omerale, ovvero i movimenti simultanei della scapola sul torace e dell’articolazione glenomerale, variano da individuo a individuo, ma è comunemente accettato il rapporto di 2:1, cioè che ogni 2° di movimento dell’articolazione glenomerale si associa 1° di rotazione scapolare (Ivi).

È importante ribadire che “la scapola va in cerca di una posizione di stabilità durante i primi 30° - 60° di movimento (la cosiddetta setting phase), cui segue lo stabilirsi di un rapporto costante 2:1 tra il movimento omerale e quello scapolare, laddove fra i 30° e i 170°, per ogni 15° di movimento, 10° si verificano a livello dell’articolazione glenomerale e 5° a livello dell’articolazione scapolo toracica” (Porter et al. 2014).

Per Kapandji (2011) nell’abduzione, l’inizio del movimento fino a circa 60°, viene svolto puramente dall’articolazione glenomerale; tale escursione termina a circa 90° per il contatto tra il trochite e l’ arco coracoacromiale. Quest’ultimo contatto può essere ritardato con un’extrarotazione dell’articolazione glenomerale che porta il trochite posteriormente all’acromion. Nella fase intermedia, cioè dai 60° ai 120° di abduzione, interviene il cingolo scapolare, con un movimento a campana della scapola che extraruota sulla parete toracica, grazie all’attivazione dei muscoli trapezio e gran dentato e tale movimento termina a circa 150°. Dai 120° fino alla fine dell’escursione articolare, ovvero fino a 180°, interviene nel movimento anche il rachide: se il movimento abduttorio è monolaterale, il rachide interviene con un’ inclinazione contro laterale all’arto che viene abdotto, se invece il movimento è eseguito da entrambi gli arti superiori, il rachide esegue un’estensione che produce un’iperlordosi lombare.

Per ciò che concerne il movimento di flessione, i primi 60° vengono eseguiti anch’essi puramente dall’articolazione glenomerale; dai 60° ai 120° interviene il cingolo scapolare e dai 120° ai 180° interviene il rachide, inclinandosi lateralmente in caso di flessione eseguita con un solo arto o aumentando la lordosi lombare nel caso il movimento di flessione venga eseguito da entrambi gli arti (Kapandji 2011).

Attenzione però a tali divisioni, in quanto convenzionali e variano da un soggetto all’altro. Analizzando nel dettaglio, infatti, sia la scapola che il rachide intervengono un po’ prima e i loro movimenti risultano tra di loro armonici e interdipendenti (ivi).

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4. Patologie miotendinee della spalla.

4.1. Sindrome da conflitto subacromiale (SCS)

La sindrome da conflitto subacromiale, non è una patologia specifica, ma un insieme di sintomi soprattutto dolorosi, dati dall’infiammazione dei tessuti molli all’interno del cosiddetto “outlet” descritto precedentemente, e quindi delle strutture che si trovano al di sotto dell’arco coracoacromiale, ovvero la cuffia dei rotatori, la borsa sottoacromiale e il capo lungo del bicipite brachiale. Tale infiammazione è causata dall’attrito tra lo stesso arco coracoacromiale ed i tessuti molli subacromiali e può portare alla loro degenerazione, fino alla rottura della cuffia dei rotatori (Grassi et al. 2012).

Il dolore compare generalmente di notte, o dopo un’attività intensa, ed è localizzato in prossimità del muscolo deltoide o lungo il tendine del capo lungo del bicipite brachiale, così come potrebbe essere evocato alla palpazione del trochite, del legamento coracoacromiale, del solco intertubercolare o della giunzione muscolo tendinea interessata. Una caratteristica del conflitto subacromiale è la comparsa del dolore in un arco di movimento compreso tra i 60° e i 120° di elevazione della spalla (ibidem, p. 161-162) e dal dolore che può aumentare con attività ripetute eseguite oltre l’altezza del capo (Porter et al. 2014).

4.1.1. Cause del conflitto subacromiale

L’eziopatogenesi del conflitto subacromiale è multifattoriale. Può essere provocata da alcune cause strutturali tra cui:

- la diminuzione dello spazio subacromiale: diversi fattori possono ridurre il cosiddetto “outlet” e questi sono ad esempio la forma dell’acromion, la presenza di uno sperone acromiale o la comparsa di osteofiti nell’articolazione acromioclaveare dovuti ad un’artropatia della stessa articolazione (Grassi et al. 2012). Una diminuzione dell’outlet può essere anche causata da un accorciamento di alcuni muscoli della scapola come ad esempio del muscolo piccolo pettorale (Porter et al. 2014), che ridotto limita la rotazione esterna della scapola durante l’abduzione. Anche un’alterazione della postura può diminuire lo spazio subacromiale: con l’aumento della cifosi toracica, infatti, l’articolazione glenomerale assume una posizione intraruotata, e insieme alla scapola abdotta si viene a creare una meccanica scapolare errata durante i movimenti (Kisner e Colby 2010);

- l’ispessimento della borsa sottoacromiale: esso dovuto ad un’infiammazione cronica della stessa, che anche se non riduce direttamente l’outlet può causare un conflitto (Grassi et al. 2012).

La sindrome da conflitto subacromiale può essere anche causata da fattori funzionali, ovvero disfunzioni muscolari:

- la diminuzione o mancanza della stabilizzazione scapolare provoca un ritmo scapolo omerale errato e quindi un’alterata biomeccanica articolare (Porter et al. 2014);

- patologie a livello del rachide cervicale, possono anch’ esse alterare il ritmo scapolo omerale, e portare così ad un conflitto; un muscolo spesso coinvolto nella disfunzione è il trapezio (Grassi et al. 2012);

- l’indebolimento dei muscoli della cuffia dei rotatori, può causare una traslazione prossimale della testa dell’omero che viene spinta dal deltoide, portando così al conflitto (Porter et al. 2014);

- anche il sovraccarico può essere un’altra causa funzionale di conflitto subacromiale; esso si può verificare soprattutto nei movimenti di lancio ripetitivi,

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10 tipici degli atleti, ma anche nelle attività intense della vita quotidiana (Grassi et al. 2012); tale stress, affaticando i muscoli stabilizzatori, sottopone la capsula a delle forze di stiramento eccessive che creano nel tempo una lassità capsulo legamentosa ed avviene così uno spostamento eccessivo della testa omerale durante i movimenti (Kisner e Colby 2010).

4.1.2. Classificazione della SCS.

La sindrome da conflitto subacromiale è classificata in 3 stadi a seconda del grado di degenerazione anatomica (Grassi et al. 2012). Si possono distinguere:

- stadio 1: caratterizzato da infiammazione acuta, reversibile a carico della borsa sottoacromiale (Ivi);

- stadio 2: ancora reversibile e caratterizzato da un’ infiammazione cronica della borsa sottoacromiale, un’infiammazione dei tendini della cuffia dei rotatori e del capo lungo del bicipite (Ivi);

- la sindrome da conflitto subacromiale può progredire fino allo stadio 3, causando una degenerazione cronica della cuffia, sino al risultato ultimo ovvero una rottura della stessa. Come effetto secondario si può verificare una progressiva traslazione superiore della testa dell’omero causata dal muscolo deltoide, la cui azione prevale su quella della cuffia dei rotatori (Ivi).

4.2. La rottura della cuffia dei rotatori

Le rotture della cuffia dei rotatori sono un evento abbastanza comune, la cui frequenza è direttamente proporzionale all’età. Esse infatti avvengono raramente nei soggetti con meno di 40 anni, mentre sono molto frequenti nei soggetti con più di 70 anni, di cui ne vengono colpiti più della metà (Grassi et al. 2012).

La sintomatologia può variare molto da un soggetto a un altro: vi possono essere delle forme asintomatiche, così come forme molto dolorose che limitano gravemente la funzionalità della spalla (ivi). Nei pazienti con più di 70 anni, la metà delle lesioni asintomatiche diventano sintomatiche dopo circa una media di 2.8 anni dalla diagnosi (Rhee et al. 2014).

La sintomatologia principale è caratterizzata da dolore intermittente alla spalla, la cui localizzazione è simile come per la sindrome da conflitto subacromiale e da ipostenia muscolare. Inoltre, può essere presente un’ ipotrofia muscolare osservabile dalla scapola, nelle zone da cui originano i muscoli della cuffia dei rotatori e in particolare si possono maggiormente notare i muscoli sopraspinato e sottoscapolare (Grassi et al. 2012).

Molto comune è il deficit di forza; con la progressione della lesione, si arriva al punto che il deltoide, che dovrebbe lavorare in sinergia con la cuffia dei rotatori, perde la sua funzione abduttoria poiché perde il fulcro per la propria azione muscolare ed il paziente utilizza solamente i movimenti del cingolo scapolare per muovere la spalla (ibidem, p. 166).

4.2.1. Cause delle lesioni della cuffia dei rotatori

Tra le diverse cause delle rotture della cuffia, vi sono principalmente:

- la degenerazione tendinea, la cui insorgenza è maggiore con l’avanzare dell’età del paziente; essa è causata sia dalla scarsa vascolarizzazione che dal continuo stress ripetitivo su questi tessuti che portano ad un indebolimento delle strutture tendinee fino alla loro rottura (Grassi et al. 2012; Warrender et al. 2011);

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11 - un’altra causa di rottura è l’attrito tra la cuffia dei rotatori e l’arco coracoacromiale, fenomeno definito come “sindrome da conflitto subacromiale”, già descritto precedentemente (Grassi et al. 2012);

- infine, anche i traumi possono essere dei fattori eziologici di rotture della cuffia dei rotatori; le lesioni sono più o meno probabili a seconda dei soggetti, poiché in essi potrebbero essere già presenti e coesistere diverse cause (ivi).

4.2.2. Classificazione delle lesioni della cuffia dei rotatori

Le lesioni della cuffia dei rotatori possono essere classificate in più modi, ma comunemente sono classificate in base alla caratteristica anatomica della lesione: si distinguono lesioni parziali o complete a seconda del loro spessore, ovvero nel primo caso vi è un’interruzione parziale del tendine mentre nel secondo caso, un’interruzione totale (Grassi et al. 2012).

Le rotture parziali sono a loro volta classificate in base alla localizzazione della lesione all’interno del tendine, distinguendo lesioni parziali articolari, parziali bursali e parziali intratendinee (figura nr. 2) (ivi).

Le lesioni complete invece possono essere piccole, medie, ampie o massive in base al loro diametro o a quanti tendini sono stati coinvolti.

Figura nr. 2: i tre tipi di rottura parziale della cuffia dei rotatori: subacromiale (a); intratendinea (b); articolare (c).

(Grassi et al. 2012)

4.2.3. Il trattamento delle lesioni della cuffia dei rotatori: la ricostruzione artroscopica.

Il trattamento delle lesioni della cuffia dei rotatori dipende molto dall’evoluzione stessa della lesione ma anche dall’età del paziente (Grassi et al. 2012).

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12 Per i pazienti con età maggiore di 70 anni, a prescindere dal tipo di lesione, si opta maggiormente per un trattamento conservativo, caratterizzato da farmaci antinfiammatori e fisioterapia, con lo scopo di diminuire l’infiammazione e recuperare una funzionalità articolare sufficiente ai bisogni del paziente (ivi).

Nei pazienti giovani e attivi, invece, si ricorre alla terapia chirurgica. Infatti, una volta creata la lesione della cuffia, essa tende a non regredire, quanto piuttosto ad ampliarsi sia all’interno dello stesso tendine, sia coinvolgendo altri tendini. Con la terapia chirurgica, oltre a riparare la rottura, si previene anche il rischio di peggioramento ovvero di estensione della lesione (ivi).

La presenza di infiltrazioni adipose muscolari causate dalle lesioni stesse, complicano l’efficacia del trattamento chirurgico e nel caso siano molto estese, il trattamento chirurgico diventa inutile poiché il danno anatomico diviene irreversibile (Grassi et al. 2012; Goutallier et al. 1999).

Il trattamento chirurgico è indicato in caso di fallimento del trattamento conservativo; esso è eseguito sia per rotture parziali sia totali della cuffia dei rotatori che causano dolore e limitazioni funzionali, ma non è indicato in caso di pazienti asintomatici (Kisner e Colby 2010).

La terapia chirurgica è costituita da diverse tecniche: vi sono interventi di riparazione della cuffia dei rotatori eseguiti a cielo aperto e interventi applicati con tecniche artroscopiche (Grassi et al. 2012).

Nei casi più gravi e per pazienti anziani, si può ricorrere anche ad un intervento chirurgico di posa di “protesi articolare inversa”, ovvero una protesi che permette, nonostante la presenza di una cuffia dei rotatori irreparabile, di recuperare l’elevazione della spalla con il solo utilizzo del deltoide (ivi).

La riparazione artroscopica della cuffia dei rotatori è una tecnica chirurgica caratterizzata dall’impiego di un artroscopio e di 2 cannule inseriti attraverso 3 diversi accessi artroscopici in punti precisi della spalla (accesso anteriore, laterale e posteriore), che permettono di raggiungere l’area della cuffia lesionata (Taverna e Ufenast 2008).

All’inizio si ispeziona l’articolazione glenomerale e lo spazio subacromiale, valutando le dimensioni della lesione, la qualità dei tessuti, la mobilità del tendine, rimuovendo gli eventuali tessuti che creano aderenze e se vi sono presenti segni di impingement sottoacromiale, si decomprime l’area subacromiale (ivi).

La riparazione della cuffia avviene con delle ancorine metalliche, inserite attraverso le cannule e posizionate sulla testa dell’omero, e con dei fili di sutura fatti passare attraverso il tendine della cuffia dei rotatori da riparare, che viene così riattaccato alla superficie della testa omerale (ivi).

La procedura artroscopica, inizialmente utilizzata a solo scopo diagnostico, si è sempre più sviluppata diventando oggi una tecnica chirurgica adottata tanto per lesioni a spessore parziale quanto per le lesioni a tutto spessore (Kisner e Colby 2010). Per quest’ultimo tipo di lesioni, però non tutti i chirurghi ne fanno uso, poiché richiede molta esperienza, essendo una procedura abbastanza complicata. Ciononostante, la riparazione artroscopica della cuffia dei rotatori rimane una tecnica molto affascinante che a differenza delle tecniche a cielo aperto, è molto meno invasiva e ciò comporta alcuni vantaggi tra cui l’assenza di grosse cicatrici, tempi di recupero più veloci, maggior mobilità post operatoria, rischi di infezione più bassi e minor dolore (Taverna e Ufenast 2008).

(14)

13

FOREGROUND 5. Metodologia

5.1. Domanda e design di ricerca.

Come già accennato prima, la prognosi riabilitativa dei pazienti con riparazione artroscopica per una lesione della cuffia dei rotatori, varia molto da un soggetto a un altro a causa delle caratteristiche stesse dei soggetti e di diversi altri fattori (Kisner e Colby 2010). Per tale ragione è importante avere bene in chiaro tali fattori, in modo da potersi spiegare un certo decorso o quadro clinico e poter rispondere adeguatamente alle esigenze dei pazienti. In merito a ciò, il quesito di ricerca cui si cercherà di rispondere con questo lavoro di Bachelor è “quali sono i fattori prognostici per il decorso post operatorio dei pazienti sottoposti a riparazione artroscopica della cuffia dei rotatori?”.

Dopo lunghe riflessioni sul disegno di ricerca da poter utilizzare per questo lavoro di tesi, si è ritenuto più appropriato adottare una “revisione della letteratura”, poiché attraverso alcune ricerche grossolane, si è constatata la presenza di numerosi studi nella letteratura scientifica, che affrontano tale tematica e che quindi possono rispondere alla domanda di ricerca in modo molto pertinente.

Per revisione della letteratura si intende una sintesi critica degli articoli pubblicati e concernenti una particolare tematica (Saiani e Brugnolli 2010). Si tratta di un documento il quale, grazie ad un percorso di ricerca, analisi e sintesi delle evidenze scientifiche su una determinata e specifica domanda di ricerca, fornisce informazioni sull’efficacia o meno di trattamenti, mette in luce gli aspetti oscuri cui ancora non si è data risposta soddisfacente, fungendo quindi da stimolo per ulteriori ricerche e inoltre garantisce risultati concreti e sicuri su cui poi realizzare ulteriori documenti più articolati come ad esempio le linee guida (Pomponio e Calosso 2005).

La revisione della letteratura è essenzialmente composta da alcune fasi: - scelta della tematica,

- formulazione della domanda di ricerca,

- formulazione dei criteri di inclusione e di esclusione degli studi, - svolgimento della ricerca,

- selezione degli studi,

- estrazione, organizzazione, analisi e sintesi delle informazioni degli studi (Saiani e Brugnolli 2010; Pomponio e Calosso 2005).

5.2. Criteri di inclusione ed esclusione degli articoli scientifici

Dopo aver svolto una grossolana ricerca della letteratura sulla tematica scelta e una volta formulato il quesito di ricerca, data la grande quantità di articoli scientifici, si è deciso di stabilire i seguenti criteri di inclusione:

- il campione è rappresentato da soggetti sottoposti a una tecnica di riparazione artroscopica per lesione (parziale o totale) di almeno un tendine della cuffia dei rotatori;

- gli studi contenenti soggetti sottoposti a diversi approcci chirurgici sono inclusi solamente se le informazioni riguardanti la riparazione artroscopica sono disponibili separatamente.

La tecnica di riparazione artroscopica si è infatti sempre più sviluppata ed è attualmente la più utilizzata (Kisner e Colby 2010; Aleem e Brophy 2012). Essa, come descritto prima, presenta numerosi vantaggi rispetto agli altri approcci chirurgici (Taverna e Ufenast 2008; Katthagen et al. 2012);

(15)

14 - gli articoli sono composti da studi randomizzati controllati, studi di coorte, studi caso-controllo, studi di caso (case reports), studi di casi (case series), revisioni sistematiche e meta analisi;

- gli articoli selezionati sono studi pubblicati dal 2010 al 2015. Tale scelta è motivata dallo scopo di fornire una fonte di informazione recente: infatti, le tecniche artroscopiche sono state sempre più sofisticate, per cui, gli ultimi studi hanno una valenza e un’attendibilità maggiore rispetto agli studi precedenti. L’arco di tempo è comunque sufficientemente ampio, per evitare che studi molto validi, anche se non così recenti, possano sfuggire alla selezione;

- gli studi presentano fattori prognostici, confrontati con diversi indicatori di outcome, in pazienti sottoposti a ricostruzione artroscopica della cuffia dei rotatori.

Sono invece stati esclusi:

- articoli in cui sono presenti soggetti con patologie miotendinee della spalla, ma senza ancora una lesione alla cuffia dei rotatori. In questi soggetti, infatti, la prognosi potrebbe essere diversa dai pazienti con lesione e ciò potrebbe essere un fattore confondente per lo studio.

- articoli in cui i pazienti sono sottoposti a una revisione artroscopica della cuffia dei rotatori. Ciò, infatti, implica che i pazienti abbiano già avuto una precedente riparazione e potrebbero avere una lesione più cronica e un outcome differente, tutti fattori confondenti per i risultati della revisione.

La ricerca degli articoli scientifici, avvenuta da dicembre 2014 a febbraio 2015, è stata eseguita nelle banche dati PubMed, Pedro e Cochrane Library con l’ utilizzo dell’ operatore Booleano di tipo AND e delle seguenti parole chiave: “rotator cuff”, “prognosis”, “wound healing”, “prognostic factor”, “Arthroscopy”, “quality of life”, “pain”, “functional” e “function”.

Per avere una conoscenza più approfondita degli aspetti di background, sono stati utilizzati i seguenti libri di testo: “L’esercizio Terapeutico. Principi e tecniche di rieducazione funzionale” di C. Kisner, L. A. Colby (2010), “Manuale di Ortopedia e traumatologia” di A. Grassi, U. E. Pazzaglia, G. Pilato, G. Zatti (2012), “Tidy’s manuale di fisioterapia” di S. Porter, G. Capra, A. Foglia, M. Barbero (2014), “Anatomia Funzionale arto superiore” di A.I. Kapandji, M.C. Marguier, P.A. Pagani (2011), “Principi di anatomia e fisiologia” di G.J. Tortora, B. Derrickson (2011), e “Anatomia del movimento umano” di N.P. Palastanga, D. Field, R. Soames (2007).

Banche dati Stringhe di ricerca

PubMed (961 risultati) - ("Rotator Cuff"[Mesh]) AND "Prognosis"[Mesh] - rotator cuff AND prognostic factor

- (("Rotator Cuff"[Mesh]) AND "Wound Healing"[Mesh]) AND "Prognosis"[Mesh]

- (("Rotator Cuff"[Mesh]) AND "Prognosis"[Mesh]) AND "Quality of Life"[Mesh]

- ((("Rotator Cuff"[Mesh]) AND "Wound Healing"[Mesh]) AND "Prognosis"[Mesh]) AND "Arthroscopy"[Mesh]

- (("Rotator Cuff"[Mesh]) AND "Pain"[Mesh]) AND "Prognosis"[Mesh]

- "Rotator Cuff"[Mesh] AND functional AND "prognosis" - (("Rotator Cuff"[Mesh]) AND "Prognosis"[Mesh]) AND

(16)

15 Pedro (470 risultati) - New Search (simple)

Searchterm (or terms): rotator cuff

- New Search (Advanced):

Body part: upperarm, shoulder or shouldergirdle Subdiscipline: orthopaedics

Match allsearchterms (AND)

- New Search (Advanced):

Body part: upperarm, shoulder or shouldergirdle Subdiscipline: musculoskeletal

Match allsearchterms (AND) Publishedsince: 2010 Cochrane Library (260 risultati) - “rotator cuff” AND “prognosis”

- “rotator cuff” Tabella nr. 1: stringhe di ricerca

Con l’inserimento delle parole chiave sono stati trovati in totale 1691 articoli pubblicati dal 2010 al 2015: 961 su PubMed; 470 su Pedro e 260 su Cochrane Library.

5.3. Prima selezione degli articoli scientifici

Per una selezione precisa fatta mediante criteri di inclusione ed esclusione precedentemente selezionati, sono stati letti i titoli ed alcuni abstract.

Durante la lettura degli abstract, è emerso che alcuni fattori prognostici identificati non fossero tutti così facilmente valutabili da un fisioterapista poiché necessitavano di tecniche e strumenti non accessibili ai fisioterapisti, quindi, per cercare di selezionare e rendere la ricerca più utile alla pratica fisioterapica, sono stati inoltre inseriti alcuni criteri di esclusione e scartati i rispettivi studi:

- articoli che presentano fattori prognostici riguardanti il trattamento chirurgico; - articoli che presentano esclusivamente fattori prognostici rilevabili con strumenti

non accessibili al fisioterapista, o valutabili attraverso competenze diverse da quelle fisioterapiche.

Sono stati così selezionati, secondo i criteri di inclusione e di esclusione ed eliminando gli articoli duplicati, 42 articoli dalla banca dati PubMed, 5 articoli dalla banca dati Pedro e 1 articolo dalla banca dati Cochrane Library (diagramma di flusso figura nr. 2).

5.4. Seconda selezione degli articoli scientifici

Dopo la prima selezione, per migliorare l’affidabilità dei risultati, sono stati inclusi solamente:

- studi di coorte prospettici o sistematic review di questo tipo di studi;

- studi di coorte retrospettivi, studi caso - controllo o sistematic review di questo tipo di studi.

Sono quindi stati esclusi:

- studi randomizzati controllati, studi di caso (case reports), studi di casi (case series) e revisioni sistematiche di questo tipo di studi.

In tal maniera si è cercato di adattare la ricerca il più possibile all’argomento trattato in questo lavoro. Infatti, gli studi di coorte prospettici sono il tipo di studi che meglio si addicono a individuare la correlazione tra fattori di rischio ed eventi, poiché hanno l’opportunità di misurare l’esposizione a fattori di rischio in modo protratto nel tempo in gruppi omogenei e prima che l’evento accada; infatti, l’esposizione al fattore di rischio

(17)

16 che precede la manifestazione dell’evento durante l’outcome, aiuta nel capire se la loro relazione sia causale o meno (Pomponio e Calosso 2005; Bruce, Pope, e Stanistreet 2009).

Studi di coorte retrospettivi sono meno affidabili degli studi di coorte prospettici, dato il ridotto controllo che si ha sui dati raccolti retrospettivamente: le informazioni, infatti, potrebbero essere carenti, inaccurate o raccolte in modo non molto rigoroso (Pomponio e Calosso 2005; Song e Chung 2010), ma tale tipologia di design è comunque utile per questa revisione.

Per quanto riguarda gli studi caso - controllo, che generalmente sono retrospettivi, anche se si scende di un gradino rispetto alla potenza di ricerca, poiché più soggetti a bias rispetto agli studi di coorte, questo tipo di design di ricerca è anch’esso utile ad identificare e dare un certo peso a determinati fattori di rischio o di protezione (Bruce, Pope, e Stanistreet 2009).

Dunque gli studi di coorte e gli studi caso - controllo, sono 2 principali design di ricerca adatti per valutare l’associazione tra fattori di rischio ed eventi ad essi correlati (Song e Chung 2010).

Con questa seconda selezione, avvenuta inizialmente mediante lettura degli abstract, sono stati selezionati quattordici studi, i quali sono stati letti in maniera approfondita. Dopo la lettura completa degli stessi, alcuni sono stati scartati poiché non rientravano nei criteri di selezione e alla fine sono stati selezionati nove studi (diagramma di flusso figura nr. 2).

Gli studi selezionati sono stati raccolti in due gruppi in base alla potenza del loro design di ricerca, con l’obiettivo di confrontarne i risultati e vedere se questi sono stati più o meno coerenti tra loro.

Come è stato detto precedentemente, il design di ricerca migliore per valutare la correlazione tra fattori di rischio ed eventi sono gli studi di coorte prospettici, dunque un primo gruppo ha incluso questo tipo di studi. Il secondo gruppo è invece stato destinato agli altri due design di ricerca, ovvero gli studi di coorte retrospettivi e gli studi caso controllo, entrambi di livello leggermente inferiore agli studi del primo gruppo.

Alla fine sono stati analizzati e discussi separatamente i risultati dei due gruppi di studi e sono stati confrontati tra loro.

(18)

17 Figura nr. 2: diagramma di flusso

Totale studi pubblicati dal 2010 al 2015 con inserimento parole chiavi:

961 (PubMed); 470 (Pedro); 260 (Cochrane Library)

Articoli rimanenti dopo la 1° selezione e l’ esclusione degli studi

duplicati: 42 studi (PubMed); 5 studi (Pedro); 1 studio (Cochrane

Library).

Motivazione per la 1° selezione. Criteri di inclusione:

- campione rappresentato da soggetti sottoposti a una tecnica di riparazione artroscopica per lesione (parziale o totale) di almeno un tendine della cuffia dei rotatori;

- studi contenenti soggetti sottoposti a diversi approcci chirurgici sono inclusi solamente se le informazioni riguardanti la riparazione artroscopica sono disponibili separatamente; - studi randomizzati controllati, studi di coorte, studi

caso-controllo, studi di caso (case reports), studi di casi (case series), revisioni sistematiche e meta analisi

- studi pubblicati dal 2010 al 2015;

- studi che presentano fattori prognostici, confrontati con diversi indicatori di outcome, in pazienti sottoposti a ricostruzione artroscopica della cuffia dei rotatori.

Criteri di esclusione:

- presenza di soggetti con patologie miotendinee della spalla, ma senza ancora una lesione alla cuffia dei rotatori;

- presenza di soggetti sottoposti a una revisione artroscopica della cuffia dei rotatori;

- articoli che presentano fattori prognostici riguardanti il trattamento chirurgico;

- articoli che presentano esclusivamente fattori prognostici rilevabili con strumenti non accessibili al fisioterapista, o valutabili attraverso competenze diverse da quelle fisioterapiche.

Articoli rimanenti dopo la 2° selezione:

9 studi (PubMed); 0 studi (Pedro); 0 studi (Cochrane Library)

Motivazione per la 2° selezione.

Criteri della prima selezione, ma con l’inclusione di soli:

- studi osservazionali di coorte e studi caso-controllo.

- sistematic review di questo tipo di studi.

studi di coorte prospettici: 4 studi di coorte retrospettivi e studi caso controllo: 5 1° selezione:

avvenuta mediante lettura dei titoli e di alcuni abstract

2° selezione:

avvenuta mediante lettura degli abstract e lettura approfondita di 14 articoli

(19)

18

6. Risultati

6.1. Caratteristiche degli articoli scientifici selezionati

Per questa revisione della letteratura sono stati analizzati in totale nove articoli scientifici. Tutti gli studi sono degli studi primari: quattro sono studi di coorte prospettici, due sono studi di coorte retrospettivi e tre sono studi caso controllo. Gli anni di pubblicazione degli articoli vanno dal 2010 al 2012 per il gruppo degli studi di coorte prospettici e dal 2010 al 2013 per il gruppo degli studi di coorte retrospettivi e studi caso controllo.

Per ciò che riguarda il contesto clinico dello studio, sette studi sono stati svolti in ospedale e due nel contesto extra ospedaliero, questi ultimi appartenenti al gruppo degli studi di coorte prospettici. Per ciò che concerne il luogo geografico, cinque studi sono stati fatti in America, uno in Australia, due in Europa (in Finlandia e in Inghilterra) e uno in Corea.

Quasi tutti gli studi selezionati hanno esaminato un consistente numero di soggetti: per il gruppo di studi di coorte prospettici il numero del campione minimo è stato di 92 pazienti e quello massimo di 607, mentre, per l’altro gruppo di studi, il campione minimo è stato di 64 e quello massimo di 272. L’età dei soggetti analizzati nel gruppo di studi di coorte prospettici è specificata in solo due articoli ed è compresa tra 17 e 83 anni. Nell’altro gruppo, invece, l’età è specificata in tutti gli studi e varia da 18 a 84 anni. Nel gruppo di studi di coorte prospettici, due hanno analizzato solamente soggetti con lesioni complete della cuffia dei rotatori, uno non ha specificato se la lesione è totale o parziale e il restante studio ha analizzato pazienti con entrambi i tipi di lesione. Tutti gli studi hanno comunque analizzato e specificato l’ampiezza della lesione della cuffia dei rotatori nei soggetti analizzati.

Nel gruppo di studi di coorte retrospettivi e caso controllo, quattro studi hanno analizzato solamente pazienti con lesioni complete della cuffia dei rotatori, di cui uno non ne precisa l’ampiezza, il restante studio, invece, ha studiato pazienti con entrambi i tipi di lesione.

Per valutare l’outcome dei soggetti analizzati, gli studi hanno utilizzato diversi strumenti. Nel gruppo di studi di coorte prospettici abbiamo:

- indicatori di outcome soggettivi: Visual Analog Scale per il dolore;

- indicatori di outcome funzionale della spalla: questionari “Constant Score”, “ASES (American Shoulder and Elbow Surgeon) score”, “SST (Simple Shoulder test)” e “UCLA (University of California Los Angeles) score”. Sono inoltre state misurate la forza muscolare e la quantità di movimento attivo (ROM) e passivo (PROM);

- indicatori di guarigione del tendine: esami mediante risonanza magnetica e ultra sonografia.

Nel gruppo di studi caso controllo e retrospettivi troviamo:

- indicatori di outcome soggettivi, ovvero Visual Analog Scale per il dolore, la funzionalità della spalla e la qualità di vita;

- indicatori di outcome sulla qualità di vita dei pazienti: questionario “Short-Form-12 (SF-“Short-Form-12)”;

- indicatori di outcome funzionale della spalla: questionari “Constant Score”, “ASES (American Shoulder and Elbow Surgeon) score”, “SST (Simple Shoulder test)”, “PENN shoulder score” e “DASH (Disabilities of the Arm, Shoulder and Hand”. Sono inoltre state misurate la forza muscolare e la quantità di movimento attivo (ROM);

(20)

19 - indicatori di guarigione del tendine: esami mediante tomografia computerizzata e

ultra sonografia.

Oltre ai differenti strumenti utilizzati per valutare l’outcome, anche le tempistiche delle stesse valutazioni sono avvenute diversamente a seconda degli studi: nel gruppo di studi di coorte, tali valutazioni sono state effettuate da 1 a 5 anni post operatori, mentre negli studi di coorte retrospettivi e caso controllo, sono state effettuate da 1 settimana a 2 anni post operatori.

6.2. Risultati degli articoli scientifici

In totale sono stati individuati nove fattori prognostici negativi nel gruppo di “studi di coorte prospettici” e tredici fattori prognostici negativi nel gruppo di “studi di coorte retrospettivi e caso controllo”. Questi sono stati raggruppati in diverse categorie, create prendendo come riferimento le fasi della valutazione fisioterapica, strumento con il quale il fisioterapista può raccogliere i dati e individuare tali fattori durante la prima seduta di fisioterapia. Inoltre è stato creato un ulteriore raggruppamento (fattori non accessibili in maniera diretta) per soli i fattori prognostici non accessibili direttamente al fisioterapista o mediante competenze fisioterapiche, dunque dei fattori che, per essere individuati, richiedono la collaborazione di uno specialista. Nonostante in questa revisione della letteratura siano stati esclusi gli studi che trattassero esclusivamente la categoria di fattori prognostici non direttamente accessibili ai fisioterapisti, sono comunque stati inclusi nella selezione finale gli studi che hanno analizzato insieme fattori accessibili e non accessibili. I risultati riguardanti i fattori prognostici “non accessibili in maniera diretta” dovranno comunque essere considerati parziali.

Nel gruppo di studi di coorte prospettici sono stati individuati: - fattori anagrafici: maggiore età;

- fattori di rischio cardiovascolare: fumo;

- fattori personali: insoddisfazione del paziente;

- Yellow Flags: richieste di risarcimento per infortuni sul lavoro;

- fattori clinici funzionali: assenza di forza completa nella flessione della spalla; - fattori non accessibili in maniera diretta: ampiezza della lesione maggiore,

concomitante procedura all’articolazione acromioclaveare, concomitante tenodesi o tenotomia al CLB, coinvolgimento di più tendini.

Nel gruppo di studi di coorte retrospettivi e caso controllo sono stati individuati: - fattori anagrafici: maggiore età, sesso femminile;

- fattori di rischio cardiovascolare: obesità e diabete;

- Yellow Flags: richieste di risarcimento per infortuni sul lavoro;

- fattori di comorbilità: osteopenia, osteoporosi (minore densità minerale ossea, BMD) e altre comorbilità;

- fattori non accessibili in maniera diretta: ampiezza della lesione maggiore, maggiore quantità di retrazione tendinea, maggior grado di degenerazione grassa dei muscoli, concomitanti procedure al tendine CLB, minore distanza acromion - testa omerale.

6.2.1. Studi di coorte prospettici.

Fattori anagrafici. Secondo uno studio (Gulotta et al. 2011), si afferma che avere una maggiore età influisce negativamente sull’integrità post operatoria della cuffia dei rotatori: per ogni anno in più di età, l’ODD ratio di un difetto di guarigione tendineo a cinque anni dopo l’operazione aumenta di 1.15 volte (95% CI, 1.04-1.28; p = .007), dunque aumentando l’età, aumenta il rischio di avere un difetto di guarigione visibile dai referti sonografici o mediante RM. Lo stesso studio afferma però che non vi è

(21)

20 corrispondenza tra la guarigione completa del tendine riparato a cinque anni postoperatori ed un punteggio eccellente nell’ASES score, anche se tale dato non è statisticamente significativo (OR 0.84, 95% CI, 0.18-3.97; p = .8). Inoltre l’età non è stata correlata a un ottimo outcome clinico e funzionale a cinque anni dall’operazione. Un altro studio (Haviv et al. 2010) afferma, che dopo l’operazione, l’outcome clinico e funzionale dei soggetti, valutato attraverso l’UCLA, migliora nei diversi gruppi indipendentemente dall’età (p < 0.001).

Fattori di rischio cardiovascolare. Kukkonen et al. (2014) affermano che il fumo ha un impatto negativo sull’outcome clinico e funzionale ad un anno post operatorio: infatti nel Constant score effettuato da un gruppo di soggetti fumatori e non fumatori c’è stata una differenza statisticamente significativa (71 vs 75, p = 0.017).

Fattori personali. In uno studio (Gulotta et al. 2011), nelle analisi multivariate, la soddisfazione del paziente due anni dopo l’operazione è stata associata ad una probabilità 18.38 volte più alta di avere un ASES score maggiore di 90 a cinque anni dall’operazione (95% CI, 1.69-39.83; p = .02).

Yellow flags. In uno studio (Cuff e Pupello 2012) che valuta due gruppi di pazienti con e senza richieste di risarcimento per infortuni sul lavoro, a un anno di follow up, il gruppo di pazienti senza richieste di risarcimento ha raggiunto migliori risultati nell’ASES score e nell’SST score, ed ha riferito minor dolore (VAS) rispetto al gruppo di pazienti con richieste di risarcimento (p < 0.0001); la flessione della spalla era 163° nei pazienti con richieste di risarcimento e 172° nei soggetti senza richieste di risarcimento (p < 0.0001). Lo studio dichiara che tali risultati, nonostante siano statisticamente significativi, probabilmente non lo sono dal punto di vista clinico.

A un anno post operatorio, gli esami mediante sonografia hanno mostrato che i pazienti con una guarigione completa della riparazione sono stati 66% nel gruppo con richieste di risarcimento e 84% nel gruppo senza richieste di risarcimento (p= 0.07). Inoltre, tra i pazienti con richieste di risarcimento, più della metà (52%) non aveva compliance, rispetto invece a una piccola percentuale (4%) presente nel gruppo senza richieste di risarcimento. Il gruppo di pazienti con richieste di risarcimento e con compliance ha avuto migliori risultati negli outcome finali (ASES, 73.1; SST, 7.9; VAS, 1.5) rispetto al gruppo di pazienti con richieste di risarcimento e senza compliance (ASES, 48.4; SST, 4.3; VAS, 5.3) (p < .0001).

In un altro studio (Haviv et al. 2010), l’outcome clinico e funzionale post operatorio, valutato attraverso l’ULCA, in soggetti con richieste di risarcimento per infortuni sul lavoro, è migliorato raggiungendo risultati post operatori eccellenti (valore mediano: 34, p < 0.001).

Fattori clinici funzionali. In uno studio (Gulotta et al. 2011) si afferma che nei pazienti con forza dei flessori della spalla completa a cinque anni, c’è una probabilità 2.48 volte maggiore che eseguano un ASES score superiore a 90, rispetto invece a pazienti con una debolezza residua (95% CI, 1.21-7.12; p = .04).

Fattori non accessibili in maniera diretta. Gli autori dello stesso studio (Gulotta et al. 2011) concludono che l’ ampiezza della lesione maggiore è un fattore prognostico di difetto di guarigione tendineo a 5 anni dall’operazione: infatti, si è dimostrato che per ogni centimetro in più di ampiezza di lesione, l’ODD ratio aumentava di 1.72 (95% CI, 1.04-2.85; p = .03); lo stesso studio inoltre conclude che il coinvolgimento di più tendini, una concomitante tenodesi o tenotomia al tendine capo lungo del bicipite e una concomitante procedura all’articolazione acromioclaveare sono anch’essi fattori prognostici di difetto tendineo a 5 anni dall’operazione, dunque hanno anche loro un impatto negativo sulla guarigione del tendine riparato. Infatti, i soggetti dello studio con procedure concomitanti al bicipite, avevano 16.16 volte in più la probabilità di avere un

(22)

21 difetto tendineo cinque anni dopo l’operazione rispetto ai soggetti senza tali procedure (95% CI, 3.01-86.65, p = .001); nei pazienti con concomitanti procedure all’articolazione acromioclaveare, la probabilità era 6.70 in più rispetto ai soggetti senza tali procedure concomitanti (95% CI, 1.46-30.73, p = .014), e nei soggetti con un coinvolgimento di più tendini la probabilità era 5.56 in più rispetto ai soggetti con un solo tendine coinvolto (95% CI, 1.23-25.22, p = .026). Nelle analisi multivariate, i fattori prognostici significativamente associati ad un difetto di guarigione tendineo 5 anni dopo l’operazione, sono stati delle concomitanti procedure al tendine capo lungo del bicipite o all’articolazione acromioclaveare. Lo stesso studio però, come affermato già precedentemente, afferma che non vi è corrispondenza tra la guarigione completa del tendine riparato a cinque anni post operatori ed un punteggio eccellente nell’ASES score, anche se tale dato non è statisticamente significativo (OR 0.84, 95% CI, 0.18-3.97; p = .8). Inoltre, l’ampiezza della lesione e le concomitanti procedure non sono state correlate a un ottimo outcome clinico e funzionale a cinque anni dall’operazione. Alcuni soggetti, analizzati in un altro studio (Haviv et al. 2010), hanno mostrato miglioramenti nell’outcome clinico e funzionale, valutati mediante l’UCLA, e tali miglioramenti non sono stati influenzati negativamente né dall’ampiezza della lesione (p < 0.001) né dalle procedure concomitanti a cui sono stati sottoposti i pazienti (tenodesi del capo lungo del bicipite, p = 0.001; release capsulare, p < 0.001; condroplastica, p = NS; riparazione di una lesione SLAP, p = 0.03).

Fattori prognostici Autore Risultati

Fattori anagrafici:

- età

Gulotta et al. 2011

Haviv et al. 2010

Una maggiore età influisce negativamente nella guarigione del tendine riparato. Per ogni anno in più di età, l’ODD ratio di un difetto di guarigione tendineo a cinque anni dopo l’operazione aumenta di 1.15 volte (95% CI, 1.04-1.28; p = .007). L’ età non è correlata ad un ottimo out come clinico e funzionale a cinque anni dall’operazione.

L’età non influisce sull’outcome clinico e funzionale post operatorio (UCLA, p < 0.001).

Fattori di rischio cardio vascolare:

- fumo

Kukkonen et al. 2014 Il fumo ha un impatto negativo sull’outcome clinico

e funzionale ad un anno post operatorio (Constant, p = 0.017).

Fattori personali:

- soddisfazione del paziente

Gulotta et al. 2011 La presenza di soddisfazione nel paziente due

anni dopo l’operazione è associata ad una probabilità 18.38 volte più alta di avere un ASES score > 90 a cinque anni dall’operazione (95% CI, 1.69-39.83; p = .02).

Yellow flags:

- richieste di risarcimento per

infortuni sul lavoro

Cuff e Pupello 2012

Haviv et al. 2010

Le richieste di risarcimento per infortuni sul lavoro influiscono negativamente nell’outcome clinico e funzionale (ASES, SST, VAS, p < 0.0001) e nella guarigione del tendine (p = 0.07)

La mancanza di compliance è maggiore nel gruppo di pazienti con richieste di risarcimento. In questo gruppo, i soggetti con compliance hanno raggiunto migliori outcome clinici e funzionali rispetto ai soggetti senza compliance (p < 0.0001). Le richieste di risarcimento per infortuni sul lavoro non influiscono sull’outcome clinico e funzionale post operatorio (UCLA, p < 0.001).

Fattori clinici funzionali:

- forza muscolare

Gulotta et al. 2011 Rispetto ai soggetti con debolezza residua, i

pazienti con forza completa nella flessione della spalla a cinque anni dall’operazione hanno una probabilità 2.48 volte maggiore che eseguano un

(23)

22

ASES score > 90 (95% CI, 1.21-7.12; p = .04). Fattori non accessibili in maniera

diretta:

- ampiezza della lesione

- coinvolgimento di più

tendini

- concomitanti procedure

chirurgiche (concomitante tenodesi o tenotomia al tendine capo lungo del bicipite, concomitante procedura all’articolazione acromioclaveare).

- concomitanti procedure

chirurgiche (tenodesi del capo lungo del bicipite,

release capsulare,

condroplastica, riparazione di una lesione SLAP).

Gulotta et al. 2011

Haviv et al. 2010

Gulotta et al. 2011

Gulotta et al. 2011

Haviv et al. 2010

L’ampiezza della lesione maggiore influisce negativamente nella guarigione del tendine riparato. Per ogni centimetro in più di ampiezza di lesione, l’ODD ratio di un difetto di guarigione tendineo a cinque anni dall’operazione aumenta di 1.72 (95% CI, 1.04-2.85; p = .03).

L’ampiezza della lesione non è correlata ad un ottimo out come clinico e funzionale a cinque anni dall’operazione.

L’ampiezza della lesione non influisce

negativamente sull’outcome clinico e funzionale (UCLA, p < 0.001).

Il coinvolgimento di più tendini influisce

negativamente nella guarigione del tendine riparato. Nei soggetti con un coinvolgimento di più tendini, la probabilità di avere un difetto tendineo a cinque anni dall’operazione è 5.56 in più rispetto ai soggetti con un solo tendine coinvolto (95% CI, 1.23-25.22, p = .026).

Le concomitanti procedure chirurgiche influiscono negativamente nella guarigione del tendine

riparato. I soggetti con procedure concomitanti al

bicipite, hanno 16.16 volte in più la probabilità di avere un difetto tendineo a cinque anni dopo l’operazione rispetto ai soggetti senza tali procedure (95% CI, 3.01-86.65, p = .001); nei

pazienti con concomitanti procedure

all’articolazione acromioclaveare, la probabilità è 6.70 in più rispetto ai soggetti senza tali procedure concomitanti (95% CI, 1.46-30.73, p = .014). Le concomitanti procedure chirurgiche non sono state correlate ad un ottimo out come clinico e funzionale a cinque anni dall’operazione.

Le concomitanti procedure chirurgiche non influiscono negativamente sull’outcome clinico e funzionale (tenodesi del capo lungo del bicipite, p

= 0.001; release capsulare, p <0.001;

condroplastica, p = NS; riparazione di una lesione SLAP, p = 0.03).

Tabella nr. 2: fattori prognostici individuati negli studi di coorte prospettici

6.2.2. Studi di coorte retrospettivi e caso controllo.

Fattori anagrafici. Uno studio (Chung et al. 2011) sostiene che nei soggetti analizzati, l’età era significativamente più bassa nel gruppo di pazienti con guarigione completa della cuffia dei rotatori, rispetto al gruppo di pazienti senza guarigione (p< 0.001). Inoltre, la proporzione di donne nel gruppo di soggetti senza guarigione della cuffia (59,7%; 37 su 62) era più alta rispetto a quella nel gruppo di soggetti con guarigione completa (56,7%; 119 su 210). Dunque il tasso di fallimento di guarigione è stato più alto nei pazienti di sesso femminile (p = 0.03).

Lo stesso studio afferma però che non ci sono state differenze nell’outcome funzionale post operatorio tra il gruppo di pazienti con guarigione completa della cuffia e il gruppo di pazienti senza guarigione, anche se tali dati non sono statisticamente significativi (VAS, p = 0.06; ASES score, p = 0.87; SST score, p = 0.16; Constant score, p = 0.33). Fattori di rischio cardiovascolare. Uno studio (Warrender et al. 2011), che ha valutato pazienti obesi e non obesi, conclude che il tempo medio operatorio e la durata del ricovero ospedaliero sono stati significativamente maggiori nel gruppo di pazienti obesi

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