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Uso di caffeina in una popolazione di pazienti psichiatrici.

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Academic year: 2021

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Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale Direttore Prof. Mario Petrini

Dipartimento di Patologia Chirurgica, Medica, Molecolare e dell’Area Critica Direttore Prof. Riccardo Zucchi

Dipartimento di Ricerca Traslazionale e delle Nuove Tecnologie in Medicina e Chirurgia Direttore Prof. Giulio Guido

_______________________________________________________________________________

CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN

PSICOLOGIA CLINICA E DELLA SALUTE

“Uso di caffeina in una popolazione di pazienti

Psichiatrici”

RELATORE

Prof. Antonio Ciapparelli

________________

CANDIDATO

Elisa Giuntoli

_____________

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Indice

RIASSUNTO 03

INTRODUZIONE 1. Il caffè

1.1 Il caffè: le leggende sulle sue origini 1.2 Il caffè: la storia 05 05 05 07 2. La caffeina

2.1 Chimica della caffeina 2.2 Uso della caffeina

2.3 Azione della caffeina sul Sistema Nervoso Centrale

09 09 11 14 3. Sostanza di abuso?

3.1 Caratteristiche delle sostanze psicostimolanti 3.2 La caffeina è una sostanza d'abuso

3.3 Disturbi correlati alla caffeina: il DSM V 3.4 Abuso di caffeina e disturbi psichiatrici

21 21 22 23 24 SCOPO DELLA TESI

1. Materiale e metodo

1.1 Disegno dello studio 1.2 Campione di ricerca 30 31 31 31 2. Strumenti d’indagine 2.1 Dati anagrafici

2.2 Diagnosi Psichiatrica: la SCID-I

2.3 Uso, Intossicazione, Astinenza da Caffeina

2.4 Gravità della Malattia, Giudizio Clinico e Gravità Autopercepita

32 32 32 33 36 ANALISI STATISTICHE 37 RISULTATI 38

DISCUSSIONE DEI RISULTATI 49

CONCLUSIONI, LIMITI E PROSPETTIVE FUTURE 53

BIBLIOGRAFIA 57

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RIASSUNTO

Background: La caffeina è la sostanza psicoattiva più diffusa e più consumata nel mondo, venendo utilizzata sia a scopo ricreativo, sia medicalmente. La sua azione stimolante, dovuta principalmente alla sua funzione antagonista sui recettori adenosinici con una conseguente modulazione dell’attività dopaminergica, consiste in un lieve aumento delle energie mentali, della resistenza alla fatica, dell'umore e della vigilanza, che viene riconosciuto come piacevole o comunque funzionale all'esecuzione di quei compiti che richiedono attenzione e partecipazione cognitiva. Nella comunità scientifica, ad oggi, non vi è accordo sul fatto che la caffeina possa generare addiction, come le altre sostanze di abuso. Ciò che sappiamo è che a dosi elevate (>250 mg/die) è in grado di indurre Intossicazione e la sua brusca interruzione può provocare Astinenza in consumatori abituali di caffeina.

Metodi: Questo studio si propone di quantificare l’uso di caffeina in due gruppi di pazienti psichiatrici consecutivamente arruolati presso gli ambulatori e il reparto della Clinica Psichiatrica di Pisa e due gruppi di controllo, reclutati rispettivamente fra gli specializzandi della Clinica Psichiatrica di Pisa e fra gli abitanti della provincia di Pisa e Lucca per valutare se esistono differenze nell'uso di caffeina; e di quantificare l’uso di caffeina prima dell’insorgenza dei disturbi, nei pazienti psichiatrici, al momento dell’indagine e nel periodo di massima assunzione.

Il campione esaminato è costituito da 370 soggetti, di sesso maschile (128) e femminile (104), tutti di età superiore a 18 anni. Il campione era costituito da 129 pazienti ambulatoriali della Clinica Psichiatrica (34,9%), 106 pazienti ricoverati nel reparto di Psichiatria (28,6%) e 135 soggetti sani a costituire il gruppo di controllo (36,5%). Tra i controlli abbiamo fatto un'ulteriore distinzione tra soggetti reclutati tra gli specializzandi (50 soggetti, 13,5% dell’intero campione) della Clinica psichiatrica di Pisa e un campione (85 soggetti, 22,9% dell’intero campione) della popolazione

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generale.

I dati anagrafici sono stati raccolti con un apposto modulo; la diagnosi clinica di Asse I è stata confermata somministrando ai soggetti l’Intervista Clinica Strutturata per i Disturbi sull’Asse I del DSM-IV (SCID-I), l’uso della caffeina è stato rilevato con una intervista strutturata che indaga la presenza di sintomatologia di tipo astinenziale, la comparsa di tolleranza ed eventuali quadri di intossicazione da caffeina secondo i criteri del DSM-IV. Sono stati inoltre indagati la Gravità della Malattia, il Giudizio Clinico e la gravità autopercepita.

Risultati: Ciò che è emerso è una differenza significativa (p<.001) nell’uso massimo di questa sostanza; in particolare è stato messo in luce come i pazienti ambulatoriali ne facciano un uso maggiore, probabilmente come tentativo di automedicazione. Sintomi da Intossicazione e da Astinenza sono maggiormente riportati dai pazienti psichiatrici rispetto ai controlli, coerentemente con il loro maggior uso di caffeina, che sembra esacerbare i sintomi dovuti alla patologia primaria.

Parole chiave: Caffè, Caffeina, Sostanze psicostimolanti, DSM-V, Intossicazione, Astinenza, Tolleranza, Disturbi Psichiatrici, Addiction, Disturbi correlati alla Caffeina, Disturbi correlati a sostanze e Disturbi da Addiction

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INTRODUZIONE

1. Il caffè

1.1 Il caffè: le leggende sulle sue origini

“Vediamoci per un caffè” è una delle espressioni più utilizzate al giorno d'oggi per darsi un appuntamento: il caffè è diventato un momento di incontro, di condivisione, di pausa. Ma quali sono le sue origini? I primissimi riferimenti al caffè si ritrovano nell’Odissea, dove Omero descrive una pianta dalle origini nordafricane i cui frutti sembravano avere proprietà curative; la storia del caffè secondo diversi studiosi, sembra tuttavia avere origine in Medio Oriente dove si sovrappongono, e talvolta si contraddicono tra loro, numerose leggende: una delle più famose riguarda un monaco del Monastero Chehodet nello Yemen. Questi seppe da un pastore di nome Kaldi che le capre del suo gregge, dopo aver brucato alcune bacche rossastre da una pianta, erano diventate irrequiete ed eccitate e si erano mantenute sveglie e vivaci anche di notte. Decise così di bollire queste bacche, ottenendo una bevanda amara ma in grado di farlo rimanere sveglio per poter pregare più a lungo.

Una leggenda meno nota è quella su Maometto: un giorno in cui il Profeta si sentiva molto male e senza forze l'Arcangelo Gabriele gli venne in soccorso, portandogli una pozione ricevuta direttamente da Allah. Questa bevanda, scura come la Sacra Pietra Nera della Mecca, era chiamata "qawa", che in arabo significa vino o bevanda eccitante. Maometto, dopo averla bevuta, si rianimò di colpo e partì per grandi imprese.

Uno dei primi trattati dedicati al caffè, “De saluberrima potione cahue, seu cafe noncupata discursura (1671)”, scritto da Antonio Fausto Neuroni, frate marocchino e insegnante di lingue orientali a Roma nel XVII secolo, descrive come il comportamento eccitato ed insolito nel gregge, dopo aver brucato le bacche rosse

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e brillanti di un lucente arbusto verde, spinse il pastore Kaddi ad assaggiarne il frutto. Lo stato di eccitazione unito ad un incremento delle energie, e soprattutto alla maggior sopportazione della fatica che seguì l’assunzione delle bacche, convinse il giovane dell’importanza della propria scoperta, che decise di portare le bacche ai religiosi di un monastero: costoro ne condannarono immediatamente l’uso, ritenendolo pericoloso ed immorale. Essi gettarono i frutti nel fuoco, che bruciandosi sprigionarono un aroma decisamente allettante; i chicchi abbrustoliti quindi furono subito strappati alle braci, sbriciolati e dissolti in acqua, per ricavarne la prima tazza di caffè al mondo.

Testimonianze di molti viaggiatori indicano che l'uso del caffè fosse diffusissimo in tutto l'Oriente Islamico alla fine del XVI secolo.

In Occidente il caffè si diffuse a partire da Venezia, dove, si pensa, sia stata aperta la prima "Bottega del Caffè" nel 1640, anche se alcuni ritengono che ne sia stata aperta una precedentemente a Livorno. La presenza delle botteghe del caffè a Livorno nelle stesse date di Venezia risulta da un libercolo custodito in una bacheca presso la Camera di Commercio di Livorno dove si descrivono le abitudini debosciate dei giovani livornesi avvezzi a passare oziosamente le giornate presso le rivendite di caffè.

Il successo fu immediato ed il caffè, sia come bevanda che come locale, si diffuse in ogni città italiana.

Nel 1690 un comando di marinai olandesi sbarcò sulle coste di Moka, nello Yemen, e riuscì ad impadronirsi di alcune piantine: dopo pochi anni, fiorirono le prime piantagioni a Giava e Sumatra. In seguito, il caffè si diffuse impetuosamente in tutta l'America Centrale e Meridionale dove, specialmente in Brasile, esistono tutt'oggi le maggiori piantagioni del mondo.

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1.2 Il caffè: la storia

La parola caffè deriva dal turco “Kahve”, che a sua volta deriva dal termine arabo “Qahwa” che significa vino o bevanda eccitante. Nel XVI sec. Questo termine fu esteso alla bevanda preparata con i chicchi di Coffea Arabica.

Il caffè è probabilmente originario del Caffa, regione dell’Etiopia Occidentale.

I sufi (mistici yemeniti) furono i primi a diffondere la coltivazione della pianta del caffè, gli Arabi, intorno all’anno 1000 d. C., furono i primi ad impiegarne le bacche sotto forma di bevanda: i semi venivano fatti bollire in acqua per ricavarne una bevanda aromatica.

Nel 1400, alla Mecca, comparvero i primi caffè pubblici. Nel XV secolo i grani di caffè vennero utilizzati a scopo terapeutico, come testimoniano alcuni documenti medici arabi dell’epoca.

Nella seconda metà del 1500, a Costantinopoli, vennero aperti i primi “caffè” in Europa, riservati a personaggi distinti, che diventarono presto un luogo d’incontro per diplomatici, artisti, scrittori ed intellettuali.

I primi europei a parlare del caffè furono il medico tedesco Leonhard Rauwolf, che viaggiava in Oriente negli anni 1573-8 e Prospero Alpino in De Plantis Aegypti (1592).

I primi locali in Europa: • 1654 Marsiglia • 1660 Parigi • 1662 Londra • 1689 Francoforte

Il primo caffè di Parigi si chiamava Procope, davanti alla Comedie Francaise, e ben presto diventò luogo di fama internazionale.

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Intorno al 1640 a Venezia e Livorno comparvero le prime “Botteghe del Caffé”. Negli USA il caffè arrivò alla fine del 1600 con l’importazione di usi e costumi europei da parte dei colonizzatori.

Nel 1715, a Londra, erano già presenti più di 2000 “Case del caffè”.

Nel 1732 J. S. Bach scrisse la famosa "Cantata del Caffé", ispirata alle proteste popolari per gli alti prezzi e le restrizioni.

Alla fine del XVIII secolo i caffè erano ormai divenuti il nuovo centro della vita sociale, luoghi di ritrovo e discussione, di cultura e di gioco, di affari e di intrattenimento. In particolare a Venezia il Caffé Florian aveva tra i suoi frequentatori abituali personaggi come Russeaux, Byron, Algarotti, i Gozzi, il Canova, il Pellico.

Altri famosi caffè dell’epoca:

• Caffè Pedrocchi (Padova) • Caffè Greco (Roma)

• Caffè ai Volti di Chiozza (Trieste) • Caffè Michelangelo (Firenze)

Nel XVIII secolo il termine caffè diventò sinonimo di cultura: “Il Caffè” era il titolo del periodico lombardo diretto da Pietro Verri, primo giornale d’avanguardia agitatore di idee.

Agli inizi del XX secolo, con l’ulteriore diffusione dell’uso del caffè in seguito all’aumento dell’attività della vita quotidiana, i caffè furono sostituiti da una moltitudine di locali chiamati “Bar”.

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2. La caffeina

2.1 Chimica della caffeina

La caffeina, alcaloide naturale, è un composto chimico formato da quattro degli elementi più comuni sulla terra: carbonio, idrogeno, azoto e ossigeno.

A temperatura ambiente la caffeina, inodore e leggermente amara, si presenta sotto forma di una polvere bianca e soffice simile a maizena, oppure sotto forma di cristalli prismatici lunghi e flessibili; moderatamente solubile in acqua a temperatura ambiente risulta ampiamente solubile in acqua calda.

La caffeina è una xantina metilata, ovvero una metilxantina, strutturalmente correlata all’acido urico; la sua formula chimica è C(8) H(10) N(4) O(2), e pur assumendo

diversi nomi chimici e alternative nella presentazione della propria struttura, comunemente è conosciuta come 1,3,7-trimetilxantina. La caffeina è presente nelle piante di caffè, cacao, tè, cola, guaranà e mate e nelle bevande da esse ricavate. Viene a volte citata con i suoi sinonimi guaranina, teina e mateina, chimicamente identificabili nella stessa molecola.

La caffeina è una sostanza lipofila ad azione stimolante, che viene assunta, oltre che sotto forma di caffè, tè, cioccolata, cola, anche sotto forma di analgesici, antistaminici, stimolanti, anoressizzanti (Barone & Roberts 1996).

La caffeina è presente in foglie, semi e frutti di queste e diverse piante, dove, grazie alla sua azione antagonista del recettore dell'adenosina, agisce come insetticida naturale, paralizzante (tetanizzante) o con effetto comunque tossico per insetti e altri artropodi che le mangiano (Benowitz,1990; Gleiter e Deckert, 1992; Donovan e De Vane, 2001).

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di caffè e tè o sotto forma di alimenti e bevande contenenti prodotti a base di noce di cola (Fredholm, 2011).

La caffeina è, inoltre, una componente di complessi chimici poco solubili, che si trovano nel seme di guaranà e nelle foglie di yerba, mate e tè.

La grande popolarità delle bevande contenenti caffeina, principalmente di caffè e tè, rende questa sostanza stimolante, la sostanza psicoattiva più diffusa e la più consumata nel mondo, venendo utilizzata sia a scopo ricreativo sia medicalmente. A differenza di altre sostanze psicoattive, la caffeina è legale in tutti i paesi, ed è accettata, o quantomeno tollerata da quasi tutte le principali religioni (Gurley et al., 2015).

Nel Nord America, il 90% degli adulti consuma caffeina giornalmente e il consumo è in aumento. Secondo la “Food and Drug Administration” (FDA), la caffeina ricade nell'acronimo GRAF (Generally Recognized As Safe), quando la sua concentrazione nei cibi e nelle bevande non supera lo 0,02% (FDA, 1980).

Nella comunità scientifica, ad oggi, non vi è accordo sul fatto che la caffeina possa generare addiction, come le altre sostanze di abuso. Alcuni autori sottolineano l'importanza clinica del sempre più crescente abuso di caffeina nelle popolazioni giovanili, auspicando ad interventi terapeutici mirati (Budney e Emond, 2014). Altri autori invece suggeriscono che l'addiction da caffeina non esista. La maggior parte degli specialisti delle tossicodipendenze, in seguito a studi investigativi, dichiara che la dipendenza da caffeina sia un problema clinico di qualche rilevanza (Budney et al., 2013), tuttavia nella pratica clinica non vengono richiesti interventi terapeutici di conseguenza, l'offerta di strategie di supporto è carente.

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2.2 Uso della caffeina

Come già sottolineato, senza alcun dubbio, la caffeina è la sostanza psicoattiva maggiormente utilizzata nella popolazione ed è comunemente assunta sotto forma della bevanda del caffè. La sua azione psicoattiva consiste in un lieve aumento delle energie mentali, della resistenza alla fatica, dell'umore e della vigilanza, che viene riconosciuto come piacevole o comunque funzionale all'esecuzione di quei compiti che richiedono attenzione e partecipazione cognitiva. In alcuni soggetti più sensibili alla caffeina sono state riscontrate tachicardia, palpitazioni, sudorazione e un incremento della quota ansiosa (Iancu e Stronus, 2006, Maridakis et al., 2009). Inoltre l'azione della caffeina si ripercuote sull'effetto dei sedativi ad azione sul Sistema Nervoso Centrale, potenziando alcune funzioni corticali e deprimendone altre.

Esistono, tuttavia, delle differenze significative nel consumo di caffeina in relazione alla cultura, all'identità di genere e all'età.

Per quanto riguarda la cultura, la lista dei Paesi del mondo che consumano più caffè, basata sui dati di Euromonitor del 2013 e pubblicata dal magazine online Quartz, pone l’Italia è al 42esimo posto, dietro Macedonia, Israele e la Repubblica Domenicana, con una media di 0,33 tazze bevute ogni giorno.

Ai vertici della classifica ci sono paesi nordeuropei come Olanda, Finlandia, Svezia e Danimarca, seguiti da Germania, Slovacchia, Serbia e Repubblica Ceca.

Secondo i dati diffusi dall’ADUC (Associazione per i Diritti degli Utenti e dei Consumatori) ad aprile 2013 ogni giorno nel in Italia si consumano 70 milioni di tazzine di Espresso che, a una media di 0,93 euro a tazzina, fanno un giro di affari di 65 milioni di euro.

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caffeina sembra essere rappresentato dall’identità sessuale del consumatore: i maschi rispetto alle femmine tendono ad assumerne quantità maggiori, come spesso accade per le sostanze d’abuso in generale (DSM-IV-TR, 2000).

Il terzo fattore da considerare è l’età del consumatore: l’esposizione alla caffeina, per la maggior parte della popolazione, è sempre più precoce; i bambini che in teoria, non fanno uso di caffè o tè, assumono spesso caffeina dai prodotti a base di cioccolato e, sempre più frequentemente, dalle bevande contenenti caffeina. L'European Food Information Council (EUFIC) stima che in un bambino di 10 anni le bevande gassate possano apportare fino a 160 mg di caffeina al giorno. Nei bambini più grandi, le quantità possono essere di gran lunga superiori, in particolare negli adolescenti, se consumano spesso bevande energetiche, come Red Bull®, Monster®, Burn® ecc, come riportato da Mythes et réalités sur la caféine (2002) e Caféine et santé (2007), pubblicato sul sito del Consiglio europeo di informazione sull'alimentazione (EUFIC).

Una ricerca pubblicata dalla rivista Pediatrics e guidata da Amy Branum, dei Centers for Disease Control and Prevention, mostra che, tra il 1999 e il 2010, il consumo di caffeina tra i bambini e gli adolescenti americani è rimasto pressoché invariato. Da questa ricerca, che ha coinvolto ventiduemila persone tra i due e i ventidue anni, è emerso che mentre è cresciuta la percentuale proveniente dal caffè e dagli energy drink, è calata quella proveniente dalle bibite frizzanti, il cui contributo è sceso dal 62% al 38%. La percentuale di caffeina proveniente dal caffè è salita dal 10% a quasi il 24%, mentre quella proveniente dagli energy drink, che non esistevano come categoria all’inizio della ricerca, si assesta al 6%, raggiungendo il 10% nella fascia 19-22 anni (A. Branum et al, 2014).

I ricercatori hanno evidenziato che anche se la percentuale di caffeina proveniente dagli energy drink risulta relativamente bassa, tuttavia è cresciuta rapidamente negli ultimi anni della ricerca ed è destinata a incrementarsi (A. Branum et al, 2014).

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Nella maggior parte delle bevande energetiche sono contenuti gli stessi ingredienti: taurina, guaranà, ginseng, zuccheri, riboflavina e piridossina. La caffeina, benché presente in tutte le bevande energetiche, raramente compare tra gli ingredienti, “nascondendosi” nell’etichetta “formula brevettata”. In ogni lattina delle principali marche di bevande energetiche sono contenuti mediamente da 150 a 280 mg di caffeina, pari a 2-3 tazze di caffè, ma ciò che occorre sottolineare è che la maggior parte di queste bevande contiene anche altri stimolanti, come il guaranà, che sono in grado di aumentare gli effetti della caffeina (Blankson et al, 2013).

Alcuni studi mostrano come i bambini reagiscano alla caffeina presente nei soft drinks nel modo in cui ci si attenderebbe reagissero a un additivo psicoattivo; gli stessi autori hanno infatti sottolineato la sensibilità dei bambini agli effetti rinforzanti della caffeina presente nei soft drinks, tali da indurre assuefazione sino a richiedere dosaggi sempre più alti, riscontrando sintomi di astinenza da caffeina in bambini di dieci anni dopo averne cessato l’assunzione (Hale K.L., 1995).

Uno studio del 2002 sull'uso della caffeina negli adolescenti ha rivelato che su 36 soggetti, il 41,7% (n = 15) ha sviluppato tolleranza alla caffeina, il 77,8% (n = 28) ha descritto sintomi di ritiro dopo la cessazione o la riduzione dell'assunzione di caffeina, il 38,9% (n = 14) ha segnalato il desiderio o tentativi falliti di limitarne l'uso e il 16,7% (n = 6) ha dichiarato di continuare ad assumere caffeina nonostante fosse a conoscenza dei problemi fisici e psicologici associati a questa sostanza. Questo studio non è ha rivelato alcuna differenza significativa nella quantità di caffeina consumata giornalmente dai soggetti dipendenti dalla caffeina dai non dipendenti (Bernstein et al., 2002).

Generalmente il consumo di caffeina avviene al mattino e la percentuale di bevitori di caffè tende ad aumentare con l’età per diminuire, come uso giornaliero, in età senile. In media l'assunzione di caffeina, inizia intorno ai 16 anni con livelli di consumo che tendono ad aumentare tra i 20 e i 30 anni per poi stabilizzarsi e spesso

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diminuire dopo i 65 anni (DSM-IV-TR, 2000). Tra il 40% circa dei soggetti che ha smesso di assumere bevande contenenti caffeina, la maggior parte riferisce di aver modificato la modalità di assunzione in risposta all'insorgenza di effetti collaterali o per preoccupazione circa il proprio stato di salute, per la comparsa di aritmie cardiache, ipertensione arteriosa, malattia fibrosi cistica del seno, insonnia o ansia (DSM-IV-TR, 2000). Con il progredire dell'età i soggetti evidenziano reazioni verosimilmente sempre più intense alla caffeina, lamentando soprattutto interferenza con il sonno o sensazioni di eccitamento (DSM-IV-TR, 2000).

2.3 Azione della caffeina sul Sistema Nervoso Centrale

Le metilxantine sono prontamente assorbite dopo somministrazione orale, rettale o parenterale; la caffeina, grazie al suo essere una sostanza lipofila, presenta un rapido picco di assorbimento con concentrazione massima plasmatica entro 1 ora dall’assunzione orale. La sua distribuzione all’interno dell’organismo è ubiquitaria, data la capacità di attraversare la barriera placentare ed ematoencefalica, così da poterne rilevare la presenza sia nel sangue che nella maggior parte dei liquidi organici come: saliva, urina, liquido seminale, liquido cerebrospinale, liquido amniotico e latte materno (Hendeles e Weinberger, 1982). La capacità di attraversare la barriera ematoencefalica sia mediante diffusione passiva, che mediante un sistema di trasporto attivo saturabile, rende ragione degli effetti psicotropi di tale composto.

Viene metabolizzata essenzialmente a livello epatico, solo una piccola percentuale (non superiore al 5%) viene eliminata immodificata con le urine.

L’emivita media della caffeina in adulti sani è compresa tra le due e le quattro ore, il che significa che più del 90% viene espulso dal corpo in circa 12 ore.

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Tuttavia l’emivita osservata può essere influenzata da fattori che incidono sul tasso di metabolismo della caffeina accelerandolo o rallentandolo rivelando così notevoli variazioni tra gli individui e tra i gruppi. Le donne metabolizzano la caffeina ad una velocità superiore del 25% rispetto agli uomini, ma se usano contraccettivi orali la loro capacità metabolica si riduce drasticamente; inoltre uno stato di gravidanza determina un notevole allungamento dell’emivita della caffeina ed una conseguente accresciuta esposizione del feto (Fantoli U., 1981). I neonati a loro volta sembrano essere drammaticamente meno capaci rispetto agli adulti di metabolizzare la caffeina, in relazione al sistema epato-biliare immaturo e perciò non ancora in grado di produrre gli enzimi necessari, incapacità che prolunga l’emivita di tale sostanza fino a 85 ore (Garattini S., 1993). L’esposizione del feto durante la gravidanza per un consumo eccessivo da parte della madre di bevande a base di caffeina sembra inoltre responsabile di un ritardo nella crescita, con effetti ancora maggioro per feti di sesso maschile (Vik T., etr al, 2003).

Tra le sostanze d’abuso spesso associate all’uso del caffè è fondamentale citare il fumo di sigaretta, in grado di raddoppiare il tasso di eliminazione della caffeina: questa osservazione ci porta alla considerazione secondo cui i fumatori incalliti devono assumere quantità maggiori di caffè rispetto ai non fumatori, per trarne lo stesso effetto (Zevin S. and Benowitz N.L., 1999; Tanda G. and Goldberg S.R., 2000).

Al contrario l’uso di alcool sembra rallentare il tasso di eliminazione, spiegando perché soggetti con potus avvertono gli effetti della caffeina maggiormente rispetto ai non bevitori (George A.J., 1986).

Il profilo metabolico della caffeina può anche essere utile per spiegare il ricorso comune alla stessa per contrastare gli effetti dell’alcool: la caffeina è avvertita per un periodo più prolungato da coloro che assumono regolarmente alcool e dunque può essere d’aiuto nel ridurre l’ebbrezza dell’intossicazione alcolica (George A.J.,

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1986).

Diversi autori hanno individuato un altro fattore che rende la caffeina una sostanza d’abuso paragonabile a tutte le altre: il ruolo fondamentale che l’impulsività svolge nel determinare una maggior predisposizione all’abuso di bevande contenenti caffeina e quindi la maggior frequenza tra soggetti di sesso maschile (Waldeck T.L., Miller L.S., 1997). Naturalmente il ruolo della predisposizione genetica all’abuso di sostanze viene sottolineato anche per la caffeina: un importante studio su larga scala condotto su una popolazione di coppie di gemelli di sesso femminile, sia monozigoti che dizigoti, prendendo in considerazione sia l’uso che abuso, la presenza di tolleranza, astinenza e dipendenza da bevande contenenti caffeina, evidenziava l’importanza di fattori genetici su tali condotte esattamente come per le altre sostanze d’abuso (Kendler K.S., Prescott C.A., 1999).

Nell’uomo la caffeina, sia centralmente che perifericamente, produce effetti opposti a quelli dell’adenosina (Fumagalli G., 1999).

L’adenosina e i nucleotidi adenosinici sono stati riconosciuti come sostanze neuroattive del SNC solo in tempi relativamente recenti (Cooper J.R. et al, 2001). Pur non soddisfacendo molti dei criteri necessari alla definizione di neurotrasmettitore, l’adenosina è in grado di attivare molte funzioni cellulari che possono indurre modificazioni delle condizioni neuronali e comportamentali (Schatzberg A.F.,et al, 2004). Alcune pubblicazioni descrivono la presenza di quattro recettori per l’adenosina (A1, A2a, A2b, A3), ciascuno con una definita distribuzione tissutale, affinità di legame del ligando e meccanismi di traduzione del segnale (Cooper J.R. et al, 2001). In condizioni fisiologiche viene garantito il funzionamento dei recettori adenosinici ad elevata affinità (A1 a A2a) mentre in condizioni patologiche si evidenzia l’attivazione di quelli a bassa affinità (A2b e A3) (Nestler et al., 2001).

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dell’adenosina (in particolare il sottotipo A2A) localizzati sulla membrana plasmatica di diverse cellule del sistema nervoso centrale e di cellule periferiche incluse le piastrine e i leucociti (Fredholm B.B., 1995).

Recentemente grazie alla disponibilità di ligandi marcati, selettivi per i recettori A2A, è stato dimostrato come la somministrazione ripetuta di caffeina determini una alterazione nei livelli di espressione e nella funzionalità dei recettori A2A.

In particolare, in piastrine di soggetti sani, è stato dimostrato che l’assunzione cronica di caffeina (750 mg/die per una settimana) induce una up-regulation, associata ad una aumentata risposta agli agonisti (Varani K., 1999).

Per meglio comprendere l’attività della caffeina vale la pena ricordare come l’adenosina e i suoi derivati svolgano un’azione sia di tipo centrale che periferico: a livello cardiaco l’adenosina rappresenta un potente agente inotropo e cronotropo negativo; il recettore coinvolto è il sottotipo recettoriale A1 che agisce attraverso un antagonismo funzionale degli effetti isotropi e cronotropi delle catecolamine (Fumagalli G., 1999).

A livello vascolare svolge una potente azione di tipo vasodilatatoria; l’effetto è diretto, in quanto mediato dall’attivazione di recettori vascolari del sottotipo A2 (sia A2A che A2B) stimolatori sulla produzione intracellulare di cAMP (Fumagalli G., 1999). Sul sistema respiratorio l’adenosina induce potente broncocostrizione mediata dai recettori A1A, A2B, A3, antagonizzata dai derivati metilxantinici quali la teofillina: tuttavia non è ancora chiaro se l’effetto antiasmatico delle metilxantine sia del tutto ascrivibile a competizione recettoriale con l’adenosina o piuttosto ad inibizione delle fosfodiesterasi bronchiali con conseguente aumento dei livelli intracellulari di cAMP (Fumagalli G., 1999).

Sul sistema gastroenterico inibisce la secrezione di acido cloridrico dalle cellule epiteliali gastriche, esercita attività glicogenolitiche a livello epatico, stimola la secrezione pancreatica di glucagone e di insulina agendo rispettivamente sui

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recettori A1, A2, A1 (Fumagalli G., 1999).

Sul sistema renale riduce la filtrazione glomerulare, inibisce la diuresi e il rilascio di renina, effetti mediati dal recettore A1 (Fumagalli G., 1999).

A livello del sistema nervoso centrale l’adenosina ha potenti attività sedativo-ipnotiche, anticonvulsivanti ed antiansia: questi effetti sono per lo più dovuti all’attivazione di recettori A1 sia a livello pre- che post-sinaptico presenti in tutte le aree cerebrali e soprattutto a livello di ippocampo e corteccia cerebrale (Fumagalli G., 1999). L’adenosina è inoltre uno dei più potenti inibitori conosciuti dell’esocitosi presinaptica (in particolare, di catecolamine, acetilcolina e aminoacidi eccitatori). Di particolare interesse è l’osservazione secondo cui durante l’attacco epilettico, a causa delle ripetute scariche epilettiche depolarizzanti, vengono liberate ingenti quantità di purine, favorendo in questo modo la formazione di adenosina che, riducendo il rilascio dei neurotrasmettitori, riduce la diffusione della scarica epilettica (Fumagalli G., 1999).

I recettori A2A, che hanno una localizzazione prevalente a livello delle aree cerebrali dopaminergiche, risultano coinvolti nell’eziopatogenesi di diverse patologie neurologiche e psichiatriche quali il morbo di Parkinson, la schizofrenia e le psicosi (Andersen M.B., 2002).

È importante ricordare che in queste aree, recettore A2A e recettore D2 sono presenti sugli stessi intereneuroni striatali contenenti GABA e encefaline dove peraltro mediano effetti opposti (Fumagalli G., 1999).

Questi neuroni rappresentano una importante stazione del sistema extrapiramidale; una notevole componente della sintomatologia del morbo di Parkinson è dovuta a riduzione dell’attività dopaminergica in questa stazione.

L’attivazione del recettore A2A aggrava il deficit funzionale del sistema dopaminergico in questa malattia, suggerendo il potenziale impiego di antagonisti A2A selettivi nel trattamento di questa patologia.

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L’interazione recettore A2A/recettoreD2 nel corpo striato rappresenta inoltre la base molecolare degli effetti stimolatori dell’attività motoria propria delle metilxantine, caffeina e teofillina (Fumagalli G., 1999).

Il ruolo importante per il recettore A2A è stato di recente confermato da studi condotti su topi “knock-out” per questo recettore. I più importanti effetti comportamentali del recettore per l’adenosina (A2A) nel topo include ansia, aggressività e risposta paradossa alla somministrazione di caffeina.

Queste caratteristiche comportamentali causate dalla mancata azione dei recettori A2A nei topi corrisponde agli effetti degli antagonisti dei recettori A2A negli umani e nei roditori. L’aumento di ansia nei pazienti con Disturbo di Panico e l’aumento della sintomatologia psicotica in pazienti con schizofrenia è stata osservata dopo somministrazione di caffeina. Diverse ipotesi sono state sviluppate suggerendo una riduzione nella trasmissione mediata dai recettori adenosinici (A2A) come fattore contribuente alla patogenesi di questi disturbi (Deckert J., 1998).

Recenti studi genetici, in particolare nel Disturbo di Panico, suggeriscono come una variante allelica (A2AAR 1976T>C) del gene per il recettore A2A localizzato sul cromosoma 22q 11.2, conferisca suscettibilità ai soggetti affetti da Disturbo di Panico (Finn C.T. And Smoller S.L., 2001; Hamilton S.P. et al., 2004; Lam P. et al., 2005).

Nella schizofrenia e nei pazienti psicotici in terapia con neurolettici, è stato dimostrato un aumento significativo nei livelli di espressione dei recettori A2A dell’adenosina, suggerendo l’impiego di agonisti per i recettori A2A in associazione con farmaci antagonisti dei recettori dopaminergici D2, come approccio terapeutico innovativo nel trattamento sintomatico della schizofrenia (Deckert J. et al., 2003; Parsone B. et al., 1995).

Inoltre, dati recenti suggeriscono come la caffeina abbia anche un’azione di tipo agonista sui recettori D1 e D2 (Cauli O. and Morelli M., 2002).

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A tal proposito in uno studio condotto su 13 soggetti affetti da schizofrenia, la somministrazione di 10 mg/kg di caffeina ha determinato un peggioramento clinico evidente della sintomatologia psicotica (Lucas P.B. et al., 1990).

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3. Sostanza di abuso?

3.1 Caratteristiche delle sostanze psicostimolanti

Le sostanze psicostimolanti sono rappresentate da un gruppo eterogeneo di principi attivi che vanno ad agire a livello del SNC e che per questo motivo vengono utilizzati sia a scopo terapeutico che voluttuario.

La prima caratteristica patognomonica di queste sostanze è rappresentata dalla capacità che hanno di indurre effetti, sia di tipo soggettivo che oggettivo, in tutti coloro che ne fanno uso indipendentemente dalla condizione psico-fisica in cui versano (Cassano G.B et al., 1999); la latenza tra l’assunzione e la comparsa dell’effetto desiderato deve necessariamente essere ridotta. Altro elemento fondamentale nello sviluppo dei fenomeni di abuso e dipendenza è l’emivita della sostanza, ovvero il tempo che impiega la sostanza di dimezzare le sue concentrazioni nel sangue, che solitamente nelle sostanze psicostimolanti è molto bassa. Infine per poter definire una sostanza “psicoattiva” è necessario che questa abbia una breve durata d’azione, caratteristica comune a tutte le sostanze d’abuso, insieme all’intensità dello stimolo, che invece è specifico per ogni sostanza ed una rapida scomparsa dello stimolo così da indurre facilmente condotte d’abuso e dipendenza.

Si può spiegare la significativa diffusione dell’uso di queste sostanze andando ad analizzare i numerosi effetti che le stesse sono in grado di produrre consumatori: migliorare la performance psicomotoria, attivare lo stato di vigilanza, agire sul tono dell’umore, incrementare le energie ma anche accentuare la quota di irritabilità ed aggressività.

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meccanismo d’azione e la parziale azione sul tono dell’umore che la differenzia dalla altre: pertanto alla luce di tali considerazioni diversi autori si sono trovati concordi nel definirla con maggior correttezza “sostanza attivante” (Cassano G.B et al., 1999). Le sostanze psicoattive possono essere classificate in base al loro meccanismo d’azione: si distinguono così quelle che potenziano l’attività catecolaminergica centrale, quelle che bloccano l’attività MAO e quelle, che, come la caffeina, svolgono una attività antagonista sul recettore adenosinico.

La caratteristica essenziale di un disturbo da uso di sostanze è una modalità patologica d’uso di una sostanza, dimostrata da ricorrenti e significative conseguenze avverse correlate all’uso ripetuto della stessa (DSM-V).

3.2 La caffeina è una sostanza d'abuso?

Fino agli anni 70 non è mai stata considerata una sostanza d’abuso; pochi soggetti mostrano perdita di controllo nell’uso di caffeina e l'uso può essere sospeso facilmente, per questo non è inserita nelle categorie delle sostanze che inducono tossicodipendenza (APA, 1994). Negli anni ’70 fu introdotto il “caffeinismo”, una sindrome caratterizzata da: ansia, disturbi del sonno, alterazione del tono dell’umore e lamentele psicofisiche (Greden 1974, Molde 1975).

La caffeina è in grado di indurre effetti dose-correlati: con 2 o 3 tazze (100-200 mg) si ha un aumento di attenzione e vigilanza; con 12-15 tazze (1,5 g) si manifestano ansia, tremori, cefalea, agitazione, irrequietezza, sudorazione, tachicardia, vampate al volto e aumento della motilità intestinale, la dose letale è pari a 10g, questa provoca inizialmente l’insorgenza di convulsioni, emesi, aritmie cardiache ed insufficienza respiratoria.

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irrequietezza, nervosismo, eccitamento, insonnia, vampate al volto,poliuria, turbe gastrointestinali, contratture muscolari, flusso incoerente del pensiero e dell’eloquio, tachicardia o aritmia cardiaca, periodi di insensibilità alla fatica e agitazione psicomotoria (DSM-III, 1980).

Più tardi, nel 1990, nel DSM-IV vengono inseriti i Disturbi indotti da caffeina: • Intossicazione da caffeina

• Disturbo d’ansia indotto da caffeina • Disturbo del sonno indotto da caffeina

• Disturbo indotto da caffeina non altrimenti specificato

3.3 Disturbi correlati alla caffeina: il DSM V

L’American Psychiatric Association (APA) nel maggio 2013, ha pubblicato la nuova edizione del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, DSM), una delle principali classificazioni diagnostiche in psichiatria.

Il DSM ha l’obiettivo di costruire, con un’impostazione ateoretica descrittiva, una classificazione dei disturbi mentali più frequenti che permetta di trovare un orientamento diagnostico condivisibile fra gli operatori della salute.

Nella nuova edizione, i disturbi di abuso e dipendenza da sostanze del vecchio DSM-IV-TR sono state riunite in un'unica categoria, denominata “Disturbi correlati a sostanze e disturbi da addiction”, misurata su un continuum da lieve a grave, i cui criteri per la diagnosi, quasi identici ai precedenti, sono stati uniti in un unico elenco di 11 disturbi. Le 11 classi di disturbi correlati a sostanze sono: alcool, caffeina, cannabis, allucinogeni, inalanti, oppiacei, sedativi/ipnotici/ansiolitici, stimolanti, tabacco, altre sostanze, non correlati a sostanze (gambling). Alla lista dei sintomi è

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stato aggiunto il craving, termine che letteralmente significa “fame” e che viene associato a varie condizioni psicopatologiche, quali la bulimia, la depressione ad andamento stagionale (SAD) e la sindrome Premestruale (PMS), ma il campo nel quale viene studiato e citato più estensivamente è quello delle tossicodipendenze. Si definisce come un desiderio irresistibile, intrusivo, che comporta la perdita di controllo e una serie di azioni tese alla sua soddisfazione. Prendendo in prestito una condizione psicopatologica nota, l’ansia, possiamo dire che il craving rappresenta la punta massima del desiderio così come il panico è la manifestazione estrema dell’ansia.

Nel manuale sono stati aggiunti il disturbo da uso di tabacco ed i criteri per l’astinenza da cannabis e da caffeina. Inoltre, nella stessa categoria dei disturbi da uso di sostanze, compare per la prima volta, il disturbo da gioco d'azzardo (Gambling), indicato come unica condizione di una nuova categoria di dipendenze comportamentali, classificato nelle precedenti edizioni del DSM, come disturbo del controllo degli impulsi. Questo cambiamento riflette la crescente e consistente evidenza che alcuni comportamenti, come il Gambling, attivano il sistema di ricompensa del cervello, con effetti simili a quelli delle sostanze psicoattive, e che i sintomi del disturbo da gioco d'azzardo assomigliano in una certa misura a quelli dei disturbi da uso di sostanze (DSM-V, 2013).

Tra le 11 classi di disturbi correlati a sostanze, i disturbi correlati alla caffeina sono: • Intossicazione da caffeina

• Astinenza da caffeina

• Altri disturbi indotti da caffeina

• Disturbo correlato alla caffeina senza specificazione

I criteri per la diagnosi di Intossicazione da caffeina sono: recente consumo di caffeina, usualmente in dosi superiori a 250 mg, Criterio A; cinque (o più) dei

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seguenti segni, che si sviluppano durante, o poco dopo, l’uso di caffeina: irrequietezza, nervosismo, eccitamento, insonnia, vampate al volto, poliuria, turbe gastrointestinali, contratture muscolari, flusso incoerente del pensiero e dell’eloquio, tachicardia o aritmia cardiaca, periodi di insensibilità alla fatica, agitazione psicomotoria, Criterio B; i sintomi del Criterio B causano disagio clinicamente significativo o menomazione del funzionamento sociale, lavorativo o di altre aree importanti, Criterio C e i sintomi non sono dovuti a una condizione medica generale e non sono meglio spiegati con un altro disturbo mentale (per es., un Disturbo d’Ansia) Criterio D. (DSM-V, 2013)

Coerentemente con l'emivita della caffeina, pari a 4-6 ore, i sintomi di intossicazione da caffeina solitamente si risolvono entro le 24 ore. Con l'avanzare dell'età, alcuni individui mostrano reazioni più intense e spesso lamentano insonnia o sensazioni di iperarousal. Dopo l'assunzione di prodotti ad alto contenuto di caffeina, comprese le bevande energentiche, sintomi di intossicazione si sono osservati anche in soggetti giovani (DSM-V, 2013).

Il disturbo da astinenza da caffeina è quella condizione clinica definita da un uso quotidiano prolungato di caffeina (Criterio A), la cui brusca cessazione o riduzione è seguita, entro 24 ore, da tre (o più) dei seguenti segni o sintomi: cefalea, affaticamento marcato o fiacchezza, umore disforico, umore depresso o irritabilità, difficoltà di concentrazione, sintomi tipo influenza (nausea, vomito o dolori muscolari/rigidità) (Criterio B). I segni o sintomi del Criterio B causano disagio clinicamente significativo o compromissione del funzionamento in ambito sociale, lavorativo o altre aree importanti (Criterio C). I segni o sintomi non sono associati agli effetti fisiologici di un’altra condizione medica (per es., emicrania, patologia virale) e non sono meglio spiegati da un altro disturbo mentale, compresa intossicazione o astinenza da altra sostanza (Criterio D) (DSM-V, 2013).

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assunta; il picco massimo si manifestata dopo 24-48 ore di astinenza. In generale, questi sintomi da astinenza si risolvono rapidamente (entro 30-60 minuti) dopo la nuova ingestione di caffeina (DSM-V, 2013). Studi condotti su soggetti in buona condizione di salute sia fisica che psichica in condizioni di astinenza da caffeina, confermano una riduzione delle capacità attentive, di concentrazione e di allerta, con aumento della frequenza di cefalea e tendenza all’aumento delle ore di sonno (James JE., 1998). Inoltre si è osservato come la deprivazione di caffè, a breve temine, sia responsabile di disforia, spesso di durata prolungata, ma anche come una successiva somministrazione acuta comporti tremori diffusi con riduzione dell’astenia e della cefalea; l’intensità di tali sintomi risultava strettamente correlata alla dose di caffeina somministrata, suggerendo una importante considerazione circa la consapevolezza rilevante che i soggetti consumers hanno circa la dose necessaria a prevenire e contrastare i sintomi della disforia (Richardson NJ. et al., 1995).

Gli “Altri disturbi indotti da caffeina” sono descritti nei capitoli del manuale insieme a quei disturbi con cui condividono la sintomatologia, e sono: disturbo d'ansia indotto da caffeina e disturbo del sonno indotto da caffeina. La diagnosi viene posta solo quando i sintomi sono sufficientemente gravi da giustificare un'attenzione clinica indipendente. Il Disturbo del sonno indotto da caffeina prevede una alterazione rilevante del sonno sufficientemente grave da richiedere un’attenzione clinica indipendente, e che si ritiene sia dovuta agli effetti diretti di una sostanza, non spiegabile con altri disturbi mentali, e soprattutto in grado di causare disagio clinicamente significativo o menomazione del funzionamento sociale e lavorativo (DSMIV TR, 2013). Tale disturbo del sonno ricorre più comunemente durante l’intossicazione, e si caratterizza comunemente con una condizione di insonnia, nonostante alcuni soggetti possano presentare un problema di ipersonnia e di sonnolenza diurna (DSM-V, 2013).

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La caffeina risulta la sostanza più comunemente usata con finalità attivanti, per promuovere il risveglio e combattere il sonno e la fatica fisica (Karacan L. et al., 1976; Stavric B., 1992; Nehlig A., 1999). Nonostante ciò gli effetti che la caffeina produce sul pattern ipnico dipendono da diversi fattori, come la quantità assunta, la tolleranza sviluppata alla caffeina, la sensibilità individuale, il tempo intercorso tra l’ingestione di caffeina e il tentativo di iniziare il sonno e l’assunzione di altre sostanze psicoattive (DSM-V, 2013).

Il disturbo correlato alla caffeina senza specificazione si applica alle manifestazioni in cui i sintomi caratteristici di un disturbo correlato alla caffeina, che causano un disagio clinicamente significativo o compromissione del funzionamento in ambito sociale, lavorativo o in altre aree importanti, predominano ma non soddisfano pienamente i criteri per nessuno specifico disturbo correlato alla caffeina o per uno qualsiasi dei disturbi della classe diagnostica dei disturbi correlati a sostanze e disturbi da addiction. (DSM-V, 2013).

3.4 Abuso di caffeina e disturbi psichiatrici

Nei pazienti psichiatrici è stato evidenziato un alto consumo di caffeina da diversi autori. In uno studio sull'uso di sostanze voluttuarie su 192 pazienti psichiatrici e 26 controlli (Leibenluft et al., 1993) è stato messo in evidenza che i pazienti psichiatrici, indipendentemente dalla diagnosi di appartenenza, sono più propensi ad aumentare l'uso di caffeina in risposta alla sintomatologia depressiva.

Dosi di caffeina pari o superiori a 500mg possono scatenare attacchi di panico (Rowlands 1987). Bruce e coll, nel 1992 hanno evidenziato che nei soggetti con Disturbo D’ansia Generalizzato si ha una ipersensibilità agli effetti della caffeina con sintomatologia sovrapponibile a quella di pazienti con Disturbo di Panico (Bruce e

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coll. 1992). In uno studio condotto da Nardi et al., è stato messo in luce come somministrando dosi di 480mg di caffeina a pazienti con Disturbo di Panico, con Depressione Maggiore e Panico, pazienti con Depressione Maggiore e soggetti di controllo, gli attacchi di panico si verificavano più frequentemente nei soggetti con Disturbo di Panico, evidenziando un maggiore sensibilità di questi soggetti alla caffeina (Nardi et al, 2007).

Da un confronto sull'uso di caffeina in 98 pazienti psichiatrici prima e durante l'ospedalizzazione, è emerso un elevato consumo di caffeina nel 13% dei pazienti ed una successiva riduzione che sembra essere dovuta, più che alla terapia farmacologia, alla ridotta disponibilità in reparto della stessa. Sia l'assunzione di neurolettici che la diagnosi di Disturbo Psicotico, sembrano condizionare un maggior introito di caffeina, al contrario, i disturbi d'Ansia sembrano essere caratterizzati da una minore assunzione della stessa (Rihs et al., 1996).

I pazienti con Schizofrenia mostrano una maggiore tendenza all’uso di caffeina. Alte dosi di caffeina peggiorano i sintomi positivi, mentre interferiscono debolmente sui sintomi negativi. Ciò potrebbe essere in relazione con l’effetto antagonizzante nei riguardi dell’adenosina, neuromodulatore che influenza il rilascio di dopamina (Greeden J.F. & Pomerleau O. 1995).

In uno studio del 2004 è stato messo in luce che, probabilmente, i pazienti con sintomi depressivi fanno uso di caffeina nel tentativo di migliorare l’umore e la prestazione (Broderik P & Benjamin AB, 2004). Questo dato è stato confermato anche da uno studio del 2007, nel quale è emerso che i pazienti psichiatrici possano assumere sostanza al di fuori della prescrizione medica per alleviare le sofferenze soggettive e migliorare il funzionamento che il suo disturbo comporta (Crocq, 2007). Per quanto riguarda i pazienti depressi che assumono sostanze fuori dalla prescrizione medica come autoterapia, sembrano scegliere la sostanza in base al tipo di depressione: i depressi agitati preferiscono sostanze sedative, mentre vi

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depressi rallentati scelgono sostanze stimolanti.

Lo spettro Bipolare sembra essere implicato anche nell'utilizzo di sostanze voluttuarie, in particolare queste sostanze sembrano essere maggiormente assunte durante la depressione bipolare rispetto alla depressione unipolare (Maremmani et al., 2011).

In uno studio sul consumo di caffè e sui sintomi d'intossicazione e astinenza, condotto su 3600 gemelli adulti, è stato messo in luce come il consumo e la dipendenza da caffè non solo siano più frequenti nei pazienti psichiatrici, ma anche nei pazienti con diagnosi di Disturbi da uso di sostanze. Questo fenomeno sembra non essere influenzato dalla sostanza primaria d'uso e necessita di ulteriori indagini (Kendler et al., 2006).

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SCOPO DELLA TESI

Lo scopo di questa tesi è quello di analizzare, tramite un’intervista strutturata, l’uso della caffeina, i motivi che spingono al suo uso, gli effetti che essa produce sia in soggetti in condizioni di buona salute sia fisica che psichica che in pazienti psichiatrici. Ci siamo, dunque, proposti di:

1. quantificare l’uso di caffeina in due gruppi di pazienti psichiatrici consecutivamente arruolati presso gli ambulatori e il reparto della Clinica Psichiatrica di Pisa e due gruppi di controllo, reclutati rispettivamente fra gli specializzandi della Clinica Psichiatrica di Pisa e fra gli abitanti della provincia di Pisa e Lucca per valutare se esistono differenze nell'uso di caffeina; 2. quantificare l’uso di caffeina prima dell’insorgenza dei disturbi nei pazienti

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1. Materiale e metodo

1.1 Disegno dello studio

Il protocollo di studio è stato condotto in accordo con le linee guida del Servizio Nazionale Italiano per una buona pratica clinica e con la Dichiarazione di Helsinki. La ricerca è stata condotta in aperto e ad ogni soggetto sono state spiegate le finalità dello studio.

Le interviste e i questionari sono stati somministrati dopo aver ottenuto il consenso informato scritto dai pazienti, rispettando i criteri di riservatezza comunemente adottati nella pratica clinica. Le interviste sono state condotte da una equipe di valutatori che hanno seguito un “training” di preparazione per assicurare l’attendibilità e l’omogeneità delle valutazioni.

I dati raccolti sono stati registrati in un database costruito appositamente, per poter poi essere organizzati ed elaborati con il programma SPSS+ (Statistical Package for Social Science, versione 21).

1.2 Campione di ricerca

Il campione di studio era composto da pazienti psichiatrici reclutati presso gli ambulatori e il reparto della Clinica psichiatrica dell’Università di Pisa. Per il gruppo di controllo sono stati selezionati due campioni: uno costituito da soggetti della popolazione generale reclutati nelle provincie di Pisa e Lucca e uno costituito da alcuni specializzandi in Psichiatria della Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università di Pisa.

Il campione esaminato è costituito da 370 soggetti, di sesso maschile (128) e femminile (104), tutti di età superiore a 18 anni. Il campione era costituito da 129 pazienti ambulatoriali della Clinica Psichiatrica (34,9%), 106 pazienti ricoverati nel reparto di Psichiatria (28,6%) e 135 soggetti sani a costituire il gruppo di controllo

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(36,5%). Tra i controlli abbiamo fatto un'ulteriore distinzione tra soggetti reclutati tra gli specializzandi (50 soggetti, 13,5% dell’intero campione) della Clinica psichiatrica di Pisa e un campione (85 soggetti, 22,9% dell’intero campione) della popolazione generale.

2. Strumenti d'indagine

2.1 Dati anagrafici

I dati anagrafici e demografici, lo stato civile, la scolarità, le condizioni di convivenza e la professione svolta sono stati raccolti in un modulo specifico.

2.2 Diagnosi Psichiatrica: la SCID-I

La diagnosi clinica di Asse I è stata confermata somministrando ai soggetti l’Intervista Clinica Strutturata per i Disturbi sull’Asse I del DSM-IV (SCID-I). La SCID è divisa in sei moduli:

• Modulo A: per gli episodi dell’umore; • Modulo B: per i sintomi psicotici; • Modulo C: per i disturbi psicotici; • Modulo D: per i disturbi dell’umore;

• Modulo E: per il disturbo da uso di sostanze psicoattive; • Modulo F: per l’ansia e altri disturbi.

Ogni modulo è formato da una serie di item, che si riferiscono direttamente ai criteri diagnostici presentati nel DSM-IV-TR. Ad ogni domanda si attribuiscono i seguenti segni: + corrisponde alla presenza del sintomo indagato; –

corrispondente all’assenza del sintomo; ? notizie non sufficienti per attribuire una risposta. Il tempo richiesto per la somministrazione è di circa 45-90 minuti, varia a seconda della gravità del soggetto e in base all’esperienza del somministratore.

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2.3. Uso, Intossicazione, Astinenza da Caffeina

I soggetti sono stati valutati utilizzando una intervista strutturata che, valutando l’uso della caffeina nei soggetti, indaga la presenza di sintomatologia di tipo astinenziale, la comparsa di tolleranza ed eventuali quadri di intossicazione da caffeina secondo i criteri del IV, sono stati utilizzati i criteri del IV, anziché quelli del DSM-V, per poter mantenere la possibilità di confronto con studi precedenti effettuati presso la Clinica Psichiatrica di Pisa.

La prima parte dell’intervista consiste in una scheda anagrafica per la raccolta delle informazioni sociodemografiche: età, sesso, stato civile, lavoro, istruzione; quindi viene valutata la condizione psico-fisica del soggetto stabilendo una diagnosi psichiatrica, l’eventuale presenza di comorbidità psichiatrica, con accertamento di concomitanti patologie fisiche. L’intervista prosegue con una analisi dettagliata circa l’uso di preparati che contengono caffeina, con analisi sulla quantità assunta, riferendosi al presente, al periodo precedente l’insorgenza del disturbo psichiatrico e al momento di massimo uso e le motivazioni che hanno portato in passato e spingono al momento attuale lo stesso soggetto alla sua assunzione. Viene valutata inoltre la presenza di condotte d’abuso di altre sostanze quali la nicotina riferendosi al presente ed alla quantità assunta.

La diffusa presenza di caffeina in diversi preparati commerciali non solo ad uso alimentare ma anche a scopo terapeutico ha reso necessario prendere in considerazione durante l’intervista diversi prodotti: i soggetti sono dunque stati indagati circa l’abitudine all’assunzione di caffè fatti con la moka, caffè espressi, caffè solubili, caffè presi ai distributori automatici, caffè freddi, granite o gelati al caffè, cappuccini o caffè-latte, tazze o bicchieri di tè o tè freddo, lattine di cola, pocket coffee, tazze di cioccolata, tavolette di cioccolata, farmaci analgesici,

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stimolanti, coadiuvanti per la perdita di peso. Per quantificare la quantità di caffeina presente nelle varie sostanze è stata utilizzata una tabella di conversione i cui valori corrispondono a quelli riportati dal DSM-IV-TR secondo il quale: il caffè espresso contiene 100 mg, il tè 40 mg, una bottiglia di cola da un litro 100-150 mg, una tazza di cioccolata e una tavoletta di cioccolato da 30g contengono 5mg, analgesici da banco e preparazioni fredde 20-25mg per compressa, stimolanti 100-200mg per compressa, coadiuvanti per la perdita di peso 75-200mg per compressa (IV-TR, 2000). Quindi sono state inserite domande tratte dai criteri diagnostici del DSM-IV-TR per la dipendenza da sostanze modificate per la caffeina; la nostra scelta verte su 5 dei sette criteri necessari per la diagnosi di dipendenza che a nostro parere risultavano più facilmente applicabili alla caffeina. Dato che il DSM-IV-TR richiede che siano soddisfatti almeno 3 dei 7 criteri presenti per fare diagnosi di dipendenza, abbiamo ritenuto necessaria la presenza di almeno 3 dei 5 criteri selezionati. I criteri scelti sono:

1) Tolleranza, come definita da ciascuno dei seguenti:

a) il bisogno di dosi notevolmente più elevate della sostanza per raggiungere l'intossicazione o l'effetto desiderato;

b) un effetto notevolmente diminuito con l'uso continuativo della stessa quantità della sostanza

2) Astinenza come manifestata da ciascuno dei seguenti:

a) la caratteristica sindrome da astinenza per la sostanza (riferirsi ai Criteri A e B dei set di criteri per Astinenza dalle sostanze specifiche).

b) la stessa sostanza (o una strettamente correlata) è assunta per attenuare o evitare i sintomi di astinenza;

3) la sostanza è spesso assunta in quantità maggiori o per periodi più prolungati rispetto a quanto previsto dal soggetto;

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sostanza;

5) uso continuativo della sostanza nonostante la consapevolezza di avere un problema persistente o ricorrente, di natura fisica o psicologica, verosimilmente causato o esacerbato dalla sostanza.

Gli altri due criteri previsti dal DSM-IV-TR per la dipendenza da sostanze (“una grande quantità di tempo viene spesa in attività necessarie a procurarsi la sostanza, ad assumerla o a riprendersi dai suoi effetti e interruzione” e “riduzione di importanti attività sociali, lavorative o ricreative a causa dell’uso della sostanza”) sono stati esclusi perché scarsamente applicabili ad una sostanza ampiamente e culturalmente diffusa e accettata come la caffeina.

Seguono gli items che esplorano i sintomi da intossicazione da caffeina secondo il DSM-IV-TR:

A) recente consumo di caffeina, usualmente in dosi superiori a 250 mg (per es. 2-3 tazzine di caffè espresso);

B) cinque o (più) dei seguenti segni, che si sviluppano durante, o poco dopo, l’uso di caffeina; irrequietezza, nervosismo, eccitamento, insonnia, vampate al volto, poliuria, turbe gastrointestinali, contratture muscolari, flusso incoerente del pensiero e dell’eloquio, tachicardia o aritmia cardiaca, periodi di insensibilità alla fatica, agitazione psicomotoria;

C) i sintomi del criterio B causano disagio clinicamente significativo o menomazione del funzionamento sociale, lavorativo o di altre aree importanti.

Seguono gli items che esplorano i sintomi da astinenza da caffeina secondo il DSM-IV-TR:

A) uso quotidiano prolungato di caffeina;

B) cessazione improvvisa dell’uso di caffeina, oppure riduzione del quantitativo di caffeina usata, seguiti a brevissima distanza di tempo da cefalea o da uno (o più) dei seguenti sintomi: a) marcata stanchezza o sonnolenza; b) marcata ansia o

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depressione; c) nausea o vomito;

C) tali sintomi causano disagio clinicamente significativo oppure menomazione nel funzionamento sociale, lavorativo o in altre aree importanti.

È stato poi inserito un item che valutava le correlazioni tra uso di sostanze a base di caffeina e psicofarmaci, indagando se i soggetti se avessero notato una modificazione (aumento o diminuzione) del loro consumo di caffeina dopo l’introduzione degli psicofarmaci.

2.4 Gravità della Malattia, Giudizio Clinico e Gravità Autopercepita

Nell’ultima parte dell’intervista sono state inserite: la sub scala “gravità della malattia” della Clinical Global Impressions (CGI), una scala inerente il Giudizio Clinico del medico che ha somministrato il questionario, il quale valuta se i sintomi lamentati dal paziente (a giudizio dell’esaminatore) sono correlabili all’uso della caffeina (0= non valutabile; 1= no; 2= lievemente; 3= moderatamente; 4= notevolmente; 5= completamente) e una scala visuo-analogica per la gravità della malattia percepita dal soggetto.

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ANALISI STATISTICHE

Per una migliore validità statistica i dati anagrafici sono stati ricodificati in variabili dicotomiche: stato civile, data di nascita, diagnosi psichiatrica, comorbidità, malattie fisiche.

I dati sono stati analizzati mediante confronti parametrici per le variabili continue, mediante test One-way ANOVA, e confronti di frequenza per le variabili categoriali, mediante analisi Chi-Quadro secondo la metodica Cross-Tabulation. Per le analisi è stato utilizzato il package statistico SPSS+ versione 21.

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RISULTATI

Nel presente studio, il campione valutato (Tabella 1) è costituito complessivamente da 370 soggetti, divisi in tre gruppi: 129 pazienti ambulatoriali della Clinica Psichiatrica (34,9%), 106 pazienti ricoverati nel reparto di Psichiatria (28,6%) e 135 soggetti della popolazione generale a costituire il gruppo di controllo (36,5%). Tra i controlli abbiamo fatto un'ulteriore distinzione tra soggetti reclutati tra gli specializzandi (50 soggetti, 13,5% dell’intero campione) della Clinica psichiatrica di Pisa e un campione (85 soggetti, 22,9% dell’intero campione) della popolazione generale.

Del totale del campione, 183 soggetti sono di sesso maschile (49,5%) e 187 di sesso femminile (50,5); nei diversi gruppi la distribuzione maschi/femmine risulta: nel gruppo dei pazienti ambulatoriali 61 maschi (47,3%) e 68 femmine (52,7%), nel gruppo del reparto di Psichiatria 67 maschi (63,2%) e 39 femmine (36,8%), nel gruppo degli specializzandi 17 maschi (34,0%) e 33 femmine (66,0%), mentre nel gruppo della popolazione generale 38 maschi (44,7%) e 47 femmine (55,3%). Risulta significativa la differenza tra maschi e femmine tra i gruppi: X²=13,807; p<.01), in particolare si osserva una prevalenza di maschi nel gruppo del reparto e una prevalenza di femmine nel gruppo degli specializzandi.

L'età media del campione di studio è di 39+14 anni: nel gruppo dei pazienti ambulatoriali l’età media è di 38+12 anni; nel gruppo del reparto di Psichiatria di 41+15 anni; nel gruppo degli specializzandi è di 29+3 anni; infine nel gruppo della popolazione generale è di 45+16 anni. La differenza di età nei gruppi risulta significativa: F 17,666, p< 0,001, in particolare risultano significative le differenze di età tra: il gruppo dei pazienti ambulatoriali e quello degli specializzandi (p<.001), tra il gruppo dei pazienti ambulatoriali e quello della popolazione generale (p<.001), tra il gruppo dei pazienti del reparto e quello degli specializzandi (p<.001) e tra il gruppo

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degli specializzandi e quello della popolazione generale (p<.001).

Dalle analisi delle caratteristiche socio-demografiche del campione si osserva che il 53,8% (199 soggetti) del campione sono celibi/nubili, il 35,1% (130 soggetti) coniugati, il 2,7% (10 soggetti) conviventi, il 2,8% (10 soggetti) divorziati, il 2,7% (9 soggetti) separati, e l'1,9 % (7 soggetti) vedovi.

Per quanto riguarda la scolarità, la maggior parte del campione, il 39,6% (146 soggetti) ha una licenzia media superiore, il 25,2% (93 soggetti) una licenza di scuola media inferiore, il 24,4% (90 soggetti) ha conseguito un diploma di laurea, l'9,8% (36 soggetti) ha una licenza elementare e lo 0,8% (3 soggetti) ha conseguito una specializzazione.

La distribuzione del campione rispetto all'attività lavorativa risulta come segue: il 52,7% (195 soggetti) svolge un lavoro a tempo pieno, il 13% (48 soggetti) sono studenti, il 11,6% (43 soggetti) sono pensionati, il 7,8% (29 soggetti) è casalingo, il 7,6% (28 soggetti) è disoccupato, il 4,9% (18 soggetti) svolge un lavoro part time e il restante 1,6% (6 soggetti) svolge un'attività di volontariato.

Il campione dei pazienti è stato poi valutato in base alle diagnosi: la patologia che interessa il maggior numero di pazienti del campione (75 soggetti) è il Disturbo Bipolare I con una percentuale del 20,3%. In ordine decrescente di frequenza la Depressione Maggiore (29 soggetti, 7,8%), il Disturbo di Panico (26 soggetti, 7%), lo Stato Misto (17 soggetti, 4,6%), la Bulimia (13 soggetti, 3,5%), il Disturbo Schizoaffettivo (12 soggetti, 3,2%), il Disturbo Ossessivo Compulsivo (10 soggetti, 2,7%), il Binge Eating Disorder e la Schizofrenia (entrambe le categorie contano 8 soggetti, ognuna pari al 2,2%), il Disturbo Bipolare II (6 soggetti,1,6%), il Disturbo Schizofreniforme (5 soggetti, 1,4%), l 'Anoressia e la Fobia Sociale (entrambe le categorie contano 4 soggetti, ognuna pari al 1,1%), il Disturbo Delirante (3 soggetti, 0,8%), (4 soggetti, 0,9%), i disturbi Ossessivo Compulsivo NAS, la Dismorfofobia, l' Abuso di Sostanze (in particolare Alcol, Cannabis e il poliabuso) contato tutti 2

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soggetti (pari al 0,5 %). Infine, con un solo soggetto per ogni categoria, e quindi una percentuale del 0,3%, troviamo: il Disturbo Borderline di Personalità, la Depressione Maggiore NAS, l'abuso di cocaina, caffè e di sostanze psicotrope.

Data la poca numerosità nelle varie categorie diagnostiche non avrebbe avuto significato statistico effettuare confronti specifici sull’uso di caffeina per ogni disturbo. Ciò che si può evincere dal nostro campione rispetto alla diagnosi è che tra i pazienti ambulatoriali e quelli del reparto si hanno frequenze differenti. In particolare, nelle categorie diagnostiche più numerose (con più di 15 soggetti), sono risultati maggiormente frequenti nei pazienti ambulatoriali i disturbi Bipolare I (50,7% ambulatoriali vs a 49,3% del reparto), la Depressione Maggiore (58,6% ambulatoriali vs a 41,4% del reparto), lo Stato Misto (88,2% ambulatoriali vs a 11,8% del reparto), il disturbo di Panico (57,7% ambulatoriali vs a 42,3% del reparto), che risultano essere le categorie diagnostiche più frequenti nella popolazione.

Dopo aver esaminato le caratteristiche socio-demografiche del campione, è stata analizzata la quantità di caffeina assunta, la motivazione all’uso, la dipendenza, l’intossicazione e l’astinenza in tutti i gruppidi studio.

Per quanto riguarda l'uso di caffeina, nell’intero campione in studio, il 97.3% assume sostanze contenenti caffeina, il 90.2% ne fa un uso quotidiano. I dati hanno, però, evidenziato delle differenze statisticamente significative sia nell'uso di caffeina che nell'uso quotidiano di questa sostanza. In particolare è emerso che gli ambulatoriali che fanno uso di caffeina sono 99,2%, i pazienti del reparto sono il 92,5%, gli specializzandi sono il 98% e la popolazione generale il 100% (X²=13,738; p<.01).

Per quanto riguarda l'uso quotidiano è stato riscontato che i pazienti ambulatoriali che fanno un uso quotidiano di caffeina sono l'86%, i pazienti del reparto l'86,8%, gli specializzandi il 91,8% e la popolazione generale il 100% (X²=13,346; p<.01)

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I gruppi di studio non risultano differire in maniera significativa per quanto riguarda l'età in cui è iniziata l'assunzione di caffeina, che risulta pari a 16±7 anni, per i pazienti ambulatoriali, a 17±5 anni, per i pazienti del reparto, a 15+3 anni per gli specializzandi e a 15+3 anni per la popolazione generale.

Nel campione dei pazienti psichiatrici l’età media d’esordio del disturbo psichiatrico è di 24±10 anni per i pazienti ambulatoriali e di 28±12 anni per i pazienti del reparto, differenza che appare statisticamente significativa (F=76,914; p<.0001).

Sono state riscontrate differenze significative anche per quanto riguarda il fumo di sigaretta: tra i pazienti del reparto i fumatori risultano il 61.3%, di questi, il 28,3% fuma meno di 10 sigarette al giorno, il 16,0% ne fuma più di 10 e il 17% ne fuma più di 20; tra gli specializzandi fumatori sono il 30,2%, di questi, il 20,9% fuma meno di 10 sigarette al giorno, il 9,3% ne fuma più di 10 e nessuno ne fuma più di 20; tra il campione della popolazione generale i fumatori rappresentano il 42,4%, di questi, il 22,4% fuma meno di 10 sigarette al giorno, il 12,9% ne fuma più di 10 e il 7,9% ne fuma più di 20. I dati sul fumo di sigaretta, mostrano una differenza significativa tra i gruppi in questione, con X²= 18,808 e p<.01. (Tabella 3).

La dose media giornaliera consumata al momento dell’intervista è di 442,9±438,4 mg/die, per i pazienti ambulatoriali e di 292,5±160,4 mg/die, per i pazienti del reparto, contro i 275,2±152,9 mg/die, per gli specializzandi e i 337,8±145 mg/die, per la popolazione generale.

La dose media giornaliera antecedente il disturbo psichiatrico è di 511,9±366,6 mg/die per i pazienti ambulatoriali e di 384,6±270,1 mg/die, per i pazienti del reparto. La dose media giornaliera massima raggiunta dai pazienti ambulatoriali è 834,6±628,2 mg/die, contro i 507,3±374,1 mg/die dei pazienti del reparto, di 499,7±393,9 mg/die per il gruppo di specializzandi e i 552,5±285,3 mg/die per il della popolazione generale.

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