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Davanti all'arte moderna. Freud e Dali, Jung e Picasso: la psicoanalisi e l'arte del presente

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Academic year: 2021

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INDICE

Introduzione ... 4

1 La psicoanalisi e l’arte 1.1 Freud e le immagini: la pittura e la collezione ... 8

1.2 Arte come espressione dei conflitti ... 11

1.3 Gli artisti scopritori dell’inconscio ... 12

1.4 Delirio e sogni nella Gradiva di W. Jensen ... 14

1.5 “Un ricordo d’infanzia di Leonardo da Vinci” ... 20

1.6 “Il Mosè di Michelangelo” ... 23

1.7 Il piacere estetico ... 25

1.8 I contrasti tra Freud e Jung: verso la rottura definitiva ... 30

1.9 Destini diversi davanti al nazismo ... 34

2.Arte del presente e surrealtà 2.1 Un nuovo modo di vedere la realtà. Dada e surrealismo ... 41

2.2 Il dissidio tra Freud e Breton ... 50

2.3 Breton e Dalì: dall’adesione al surrealismo alla rottura ... 53

2.4 Dalì e Picasso ... 59

2.5 Picasso e la politica: Guernica ... 68

3.Freud e Dalì, Jung e Picasso 3.1 Dalì nello studio di Freud: la metamorfosi di Narciso ... 78

3.2 La malattia creativa di Jung e il suo viaggio nell’inconscio ... 88

3.3 Arte e propaganda ... 93

3.4 ‘Entartete Kunst’ ... 96

3.5 La psicoanalisi davanti all’arte moderna. La forza dissolutiva dell’opera ... 99

Conclusioni ... 107

Appendice ... 112

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Dichiarazione giurata di Salvador Dalì (1934) ... 115 Pagine del manoscritto della Metamorfosi di Narciso ... 116 Bibliografia ... 126

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Introduzione

Ci sforziamo di raggiungere il buono e il bello, ma al tempo stesso afferriamo anche il malvagio e il brutto, poiché nel pleroma essi formano un tutt’uno col buono e col bello. Se invece restiamo fedeli alla nostra essenza, cioè alla differenziazione, allora ci differenziamo dal buono e dal bello, e perciò anche dal malvagio e dal brutto, e non cadiamo nel pleroma, ossia nel nulla e nel dissolvimento.

C.G. Jung, Il libro rosso: Liber novus

Il presente elaborato è incentrato sul rapporto tra Freud e Jung in relazione all’estetica e sull’emergere di posizioni contrastanti riguardo all’arte contemporanea che sono state, fra le altre, all’origine dell’allontanamento tra i due. Entrambi si sono interessati all’arte in generale pur non essendone cultori in senso stretto.

Freud e Jung, però, condividevano la stessa avversione sia verso le avanguardie storiche che verso i loro esponenti: Freud catalogava espressionisti e surrealisti addirittura come “matti”, mentre Jung definiva Picasso schizofrenico. Cosa “vedevano” entrambi nell’arte moderna?

Nel primo capitolo ho realizzato un’analisi dei riferimenti artistici contenuti nell’opera di Freud, con l’obiettivo di riflettere su quali siano i concetti della tradizione artistica ed estetica intorno a cui egli basava i suoi scritti. Molti dei principi dell’avanguardia si scontravano con la visione classica dell’arte da cui partiva Freud.

Nel secondo capitolo verrà analizzata la corrispondenza tra Freud e Breton che di lì a poco avrebbe fondato il surrealismo. Breton capovolgerà la volontà e l’assunto dichiaratamente distruttivo di Dada e, su quelle basi ironiche e radicalmente antiartistiche, costruirà, coniugando sapientemente Marx, Freud e filosofia romantica,

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un progetto estetico concreto che sarà proclamato ufficialmente dal Manifesto surrealista scritto dal poeta nel 1924. L’irruzione di Salvador Dalì fu fondamentale per assicurare la continuità del movimento.

Dalì condivideva la tesi dei surrealisti riguardo la possibilità di utilizzare il processo automatico nel campo dell’arte figurativa e la facoltà quindi di poter dipingere involontariamente quadri ispirati dal sogno. Egli era però dell’idea che le visioni potessero manifestarsi in tutta la loro potenza solo nel caso che queste fossero state sviluppate ulteriormente in una situazione di piena coscienza. Ciò non voleva dire che egli fosse intenzionato a interrompere il processo di libera associazione per cui un’immagine richiama l’altra, anzi il suo tentativo era, al contrario, votato all’elaborazione delle sue manifestazioni psichiche in modo conscio e voluto, con la massima precisione e abilità artistica.

Nel terzo capitolo si parlerà dell’incontro tra Freud e Dalì. La visita ebbe grande importanza per Dalì, che considerava Freud come una delle sue figure paterne (l’altra era Picasso).

Di quell’incontro ci resta una lettera di Freud a Stefan Zweig del 20 luglio 1938:

Devo realmente ringraziarla per quello che visitatore di ieri mi ha rivelato. Fino a ora ero incline a considerare i surrealisti, che sembra mi abbiano prescelto come loro santo patrono, dei puri folli, o diciamo puri al 95 per cento, come l’alcool...Il giovane spagnolo coi suoi occhi evidentemente sinceri e fanatici e la sua innegabile maestria tecnica pittorica mi ha suggerito una diversa valutazione. Sarebbe davvero assai interessante esplorare analiticamente le origini di una pittura del genere. Eppure come critico uno potrebbe avere il diritto di dire che il concetto di arte resiste al fatto di essere esteso oltre il punto in cui il rapporto quantitativo tra il materiale inconscio e l’elaborazione preconscia non è mantenuto entro certi limiti. Tuttavia, questi sono problemi psicologici seri.1

Proseguirò il mio elaborato esaminando il contesto politico e culturale che fa da sfondo all’ascesa del regime nazista; descriverò il carattere totalitario della dittatura hitleriana

1 Ernst H. Gombrich, Freud e la psicoanalisi dell’arte. Stile, forma e struttura alla luce della psicoanalisi, Einaudi, Torino 2001, p.25

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che cercò di coordinare ogni aspetto della società e della vita culturale tedesca attraverso l’azione della Reichskulturkammer (camera della cultura del Reich) guidata da Paul Joseph Göbbels.

Hitler si scagliò contro tutte le avanguardie, che definì «arte degenerata», per dimostrare che i pittori astratti contemporanei e gli espressionisti inquinavano con le loro rivoluzionarie soluzioni e tecniche la presunta bellezza fisica e spirituale del popolo tedesco. Un volantino invitava a visitare con queste parole la mostra di arte degenerata allestita a Monaco nel 1937:

Tele martoriate, putrefazioni mentali, fantasie malate, pazzi incapaci premiati dalle cricche giudaiche, esaltati dagli intellettuali, sono stati prodotti e produttori di un’ “arte” per la quale istituzioni statali e municipali irresponsabili hanno dilapidato milioni e milioni appartenenti al patrimonio nazionale, mentre negli stessi anni gli artisti tedeschi morivano di fame. Com’era quello “stato”, tale era la sua “arte”. Guardate con i vostri occhi! Giudicate voi stessi! Visitate la mostra “Arte Degenerata”, Hofgarten-Arkaden, Galeriestrasse 4. Entrata libera. Vietato ai minori.2

In un discorso al congresso di Norimberga del 1935 Hitler dichiarò:

L’arte, è vero, ha sempre colto anche i problemi tragici dell’esistenza, ha sempre avvertito e segnalato la tensione tra il bene e il male, tra il benefico e il malefico, traducendola nelle proprie creazioni. Ma ciò col proposito non di sostenere la vittoria del malefico, se mai di dimostrare la necessità del benefico[…] Se però un sedicente ‘artista’ di questo tipo propende a interpretare l’esistenza umana, in tutte le sue manifestazioni, dalla visuale di ciò che è decadente e patologico, egli può pure ottenere questo risultato qualora la sensibilità collettiva di una data epoca si disponga su tale piano di riferimento. Ma un’epoca del genere è attualmente esaurita, per cui esaurita è pure l’epoca di questa genìa di ‘creatori di (pseudo) arte.3

L’opera d’arte mantiene viva e desta la capacità di provocare, meravigliare e offrire la possibilità di spingersi esistenzialmente un po’più in là di quel che si è stati e si è. È opinione diffusa che intorno al 1860 alcuni artisti, che si rivelarono i precursori dell’arte

2 Antonello Negri, L’arte in mostra. Una storia delle esposizioni, Mondadori, Milano 2011, p.174

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moderna, rifiutarono tutte le norme della tradizione liberandosi da quei vincoli che formavano il linguaggio artistico comunemente accettato e capito.

Ho cercato di evidenziare come le difficoltà di comprensione verso l’arte moderna siano nate dal fatto che gli artisti decisero di cogliere le possibilità che si nascondevano nell’arte tradizionale per creare un gioco nuovo con un rivoluzionario sistema di regole.

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Capitolo 1

La psicoanalisi e l’arte

1.1 Le immagini e Freud: la pittura e la collezione

Amore mio caro, nella quiete di questa giornata, posso finalmente iscriverti altre cose su Dresda, proprio le cose più piacevoli tra quelle che ho vissuto laggiù non le ho ancora scritte. […] Trovammo infine la galleria dei quadri e vi passammo un’ora, i vecchi più per riposarsi, io per riportarmi a casa qualche fugace impressione delle famose opere d’arte. Credo di avere acquistato qualcosa di permanente; finora avevo sempre ritenuto che tra la gente che non ha molto da fare vi fosse una specie di accordo per entusiasmarsi dei quadri dipinti da famosi maestri. Qui mi spogliai delle mie barbarie e cominciai io stesso ad ammirare. Vi sono cose magnifiche; in parte le conoscevo da fotografie e riproduzioni, e per esempio potei mostrare ai due inglesi il ritratto di Van Dyck nel quale egli ha dipinto in modo affascinante i figli dell’infelice Carlo I, coloro che più tardi sarebbero stati Carlo II e Giacomo II e una giovane e grassottella principessina. Poi vidi Veronese con i suoi bellissimi corpi e teste di madonne, martiri, eccetera. Riuscivo appena a dare un’occhiata a tutto. In un piccolo vano laterale, scoprii quel che doveva essere, per il modo in cui era esposto, una perla. Guardai, era la madonna di Holbein. Conosci quel quadro? Davanti alla Madonna stanno inginocchiate alcune donne e una ragazza piccola e senza grazia, a sinistra un uomo con vestito da monaco che tiene un bambino. La Madonna ha un bambino in braccio e, dalla sua santità, guarda giù verso gli oranti. Mi infastidiscono i visi volgari e brutti delle persone ma seppi poi che erano i ritratti della famiglia del borgomastro di X che aveva ordinato il quadro.

Anche il fanciullo malato e deforme, che la Madonna tiene in braccio, non è affatto Gesù bambino, bensì il povero figliolo del borgomastro, al quale questo quadro avrebbe dovuto arrecare la guarigione. La Madonna, poi, non è molto bella, gli occhi sono in fuori, il naso lungo e sottile, ma è la vera regina del cielo, come l’ha fantasticata lo spirito dei pii tedeschi. Cominciai a capire qualcosa di questa Madonna. Ora sapevo che vi era anche una Madonna di Raffaello, e finalmente la trovai, in uno spazio analogo a forma di cappella, e con molta gente in silenziosa meditazione davanti a essa. La conosci certamente, la Sistina.

Quando mi fui seduto il mio pensiero fu “se tu fossi con me”. Circondata da nubi, formate tutte da teste di angioletti, la Madonna sta in piedi con un bambino dagli occhi scintillanti sul braccio, da una parte San Sisto (oppure papa Sisto) guarda verso l’alto, dall’altra Santa Barbara guarda giù verso i due magnifici angioletti che si trovano in basso alla fine del quadro. Da quel quadro emana un incanto a cui non ci si può sottrarre, ma anche contro quella Madonna avevo un importante obiezione. Quella di Holbein non è né Madonna né fanciulla, la sublimità e la pia umiltà non permette alcun dubbio sulla sua destinazione, quella di Raffaello invece è una fanciulla, cui si potrebbero dare sedici anni, e guarda con tanta freschezza e innocenza verso il mondo;

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è, un po’ contro la mia volontà, mi venne in mente che doveva essere stata un’affascinante creatura umana che risvegliava la simpatia, e non del cielo ma della nostra terra. A Vienna questa opinione è stata respinta come un’eresia; dato il breve tempo mi sarebbe sfuggita un’ampia pennellata attorno agli occhi, che dicono sia magnifica e ne faccia appunto una Madonna.

Un altro quadro mi ha incantato, il “Cristo del tributo” di Tiziano, che conoscevo già senza averlo notato particolarmente. Questa testa di Cristo, mia cara, è la sola verosimile che possiamo pensare avesse un tal uomo. Mi è sembrato, anzi, di dover credere che egli fosse stato davvero così importante, perché la sua rappresentazione è così riuscita. E in tutto ciò niente di divino, un nobile volto umano assai lontano dalla bellezza, e severità, interiorità, profondità, una mitezza superiore, una passione profonda; se tutto ciò non si trova in quel quadro, allora non esiste la fisionomica. L’avrei portato volentieri via, ma c’era troppa gente: inglesine che copiavano, inglesine che stavano a sedere e parlavano sottovoce, inglesine che camminavano e guardavano. Dunque, me ne sono andato commosso.4

La lunga lettera alla fidanzata del 1883 mostra un Freud apparentemente “inesperto” di pittura ma, attratto dalla stessa che “si scrolla di dosso” la sua “barbarie”, il suo preconcetto verso i frequentatori di musei. Nel corso dell’ottocento il “contenuto spirituale” di un quadro era profondamente basato su schemi conservatori radicati nella tradizione classica tedesca. Risulta atipico che proprio la nascita della psicoanalisi cooperasse a «minare e distruggere quella tradizione».5 Egli guardava all’arte e alla letteratura con gli occhi di Goethe, Schopenhauer, Winckelmann. «Né tantomeno deve sorprenderci la sensibilità alle scene cristiane che si manifesta nella lettera di un giovane ebreo che rimase sempre cosciente delle sue origini ebraiche. Difatti, l’interesse per il contenuto spirituale faceva sì che l’elemento religioso insito nel patrimonio artistico del passato non poteva essere respinto da coloro che volevano sentirsi parte della cultura del tempo».6 Freud trovava rifugio e protezione nella classicità, quella classicità che egli inseguirà nei suoi viaggi, in particolare quelli fatti a Roma, la città che più amava.

4 Sigmund Freud, Lettere alla fidanzata e ad altri corrispondenti. 1875-1939, Bollati Boringhieri, Torino 1990, pp. 70-71 5 Ernst H. Gombrich, Freud e la psicoanalisi dell’arte. Stile, forma e struttura alla luce della psicoanalisi, cit. p.13 6 Ibidem, p. 16

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La morte del padre, avvenuta nel 1896 spinge Freud alla ricerca del suo passato che lo porterà a scoprire l’inconscio e a comporre l’interpretazione dei sogni7. Nello stesso anno inizierà la sua collezione di antichità archeologiche:

Ho adornato la mia stanza con esemplari in gesso delle statue fiorentine. È stata per me una fonte di straordinario ristoro.”8

La collezione ha inizio per emulare Charcot. In una lettera a Marta del 20 gennaio 1886 Freud parla dell’incontro con Charcot nell’abitazione-museo del grande maestro.

Voglio solo aggiungere come è il suo studio. È grande come tutta la nostra futura abitazione, un pezzo degno del grande castello incantato dove abita. Quando si entra dalla porta si vede per prima cosa il giardino attraverso una grande finestra a tre luci, i cui vetri sono intercalati con pitture su vetro. Lungo le sue pareti laterali della parte più vasta, si trova una gigantesca biblioteca. Nella sezione posteriore un camino, un tavolo e dei cassettoni con antichità indiane e cinesi, le pareti sono ricoperte di arazzi e quadri. Ciò che domenica ho visto casualmente nelle altre stanze conteneva la stessa abbondanza di quadri, arazzi, tappeti e curiosità, insomma un museo.9

L’interesse di Freud per l’arte è evidente già negli anni giovanili e continuerà ad essere coltivato negli anni successivi. Per introdurre il tema della psicoanalisi dell’arte è necessario tenere conto del clima culturale che si respirava a Vienna tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, periodo noto come fin de siècle. In quegli anni si assiste all’emergere di numerosi movimenti artistici, letterari, filosofici, scientifici e anche alla nascita della psicoanalisi; proprio quest’ultima fa la sua comparsa in un clima ricco di fermenti culturali molto eclettici. Le prime scoperte ed elaborazioni della teoria psicoanalitica, sull’inconscio e sulla sessualità iniziano con la prima paziente, Anna O., affetta da nevrosi isterica. Il trattamento di Anna viene affrontato con la tecnica dell’ipnosi. In seguito Freud abbandonerà l’ipnosi per l’utilizzo delle libere associazioni

7 Sigmund Freud, L’interpretazione dei sogni, in Opere, vol. III, Bollati Boringhieri, Torino 1889 8 Sigmund Freud, Lettere a W. Fliess (1887-1904), Bollati Boringhieri, Torino 1986

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e l’interpretazione dei sogni. Freud era quindi totalmente assorbito dalla sua attività clinica e dall’elaborazione di una metapsicologia, nonché di una teoria della personalità. Freud ha il grande merito di avere individuato per primo le sorprendenti analogie tra il contenuto della creazione artistica e quello della psicoanalisi, ritenendo i due ambiti complementari tra loro. Non dobbiamo sorprenderci dunque che egli abbia utilizzato accanto ai casi clinici che a lui si presentavano, riferimenti all’arte e alla letteratura. Secondo Freud infatti l'arte e la letteratura occupano una posizione privilegiata, a mezza strada tra coscienza e inconscio, tra realtà e fantasia.

1.2 Arte come espressione dei conflitti

Nell’arte e nella letteratura trovano espressione i grandi conflitti psichici dell’uomo, a cominciare dal famoso complesso edipico. Freud ne parla già in una lettera a Fliess del 1897. Il motivo sarà poi preso e sviluppato in un passo dell’”Interpretazione dei sogni” (1899). È questo il primo esempio di psicoanalisi applicata alla letteratura:

[Nel corso della mia autoanalisi] […] una sola idea di valore generale mi è sorta: ho trovato amore per la madre e la gelosia verso il padre anche nel mio caso e adesso ritengo che questo sia un fenomeno generale della prima infanzia, sebbene non si manifesti sempre tanto presto come nei bambini divenuti isterici. (Somiglianza col “romanzo delle origini” della paranoia: eroi, fondatori di religioni). Se è così, si comprende l’interesse palpitante che suscita l’Edipo re, nonostante le obiezioni che la ragione oppone alla premessa del Fato […] il mito greco si rifà a una coazione che ognuno riconosce per averne sentita personalmente la presenza. Ogni membro dell’uditorio è stato una volta un tale Edipo in germe e in fantasia e, da questa realizzazione di un sogno trasferita nella realtà, ognuno si ritrae con orrore e con tutto il peso della rimozione, la quale separa il suo stato infantile da quello attuale. Mi è passata per la mente l’idea che la stessa cosa possa essere alle radici dell’Amleto. Non alludo a un intenzione deliberata di Shakespeare, ma credo piuttosto che un reale avvenimento abbia spinto il poeta a scrivere mentre l’inconscio che era in lui capiva l’inconscio dell’eroe. Come giustifica l’isterico Amleto la sua frase: “Così la coscienza ci fa tutti vili”? Come spiega la sua esitazione a vendicare il padre uccidendo lo zio, quando egli stesso non ha alcuno scrupolo a mandare a morte i suoi cortigiani e non esita un secondo a uccidere Laerte? Come, se non per il tormento suscitato in lui dall’oscuro ricordo di

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aver meditato egli stesso il medesimo gesto contro il padre per passione verso sua madre?10

La collocazione di queste pagine all’interno del volume è di fondamentale importanza in quanto il riferimento al mondo dell’arte non può passare inosservato: l’arte anticipa una scoperta di Freud e diviene al tempo stesso il luogo di verifica di quella scoperta.

1.3 Gli artisti scopritori dell’inconscio

Secondo Freud sono gli artisti i veri scopritori dell’inconscio poiché possiedono una sorta di naturale vocazione alla psicologia del profondo, che sembra poter contare su una forte capacità di sublimazione e su una certa labilità di rimozioni; tuttavia questa particolare disposizione psichica riconduce a un determinato vissuto biografico, precisamente a un conflitto che ne avrebbe condizionato l’evoluzione reiterando la stretta correlazione tra arte e nevrosi:

I poeti sono però alleati preziosi, e la loro testimonianza deve essere presa in attenta considerazione, giacché essi sono soliti sapere una quantità di cose fra cielo e terra che la nostra filosofia neppure sospetta. Particolarmente nelle conoscenze dello spirito essi sorpassano di gran lunga noi comuni mortali, poiché attingono a fonti che non sono ancora state aperte alla scienza.11

Questa familiarità con la psicologia del profondo è stata sempre una peculiarità di artisti e scrittori. Ecco ciò che scrive Freud a tal proposito:

Probabilmente, noi e lui, attingiamo alle stesse fonti, lavoriamo sopra lo stesso oggetto, ciascuno di noi con un modo diverso, e la coincidenza dei risultati sembra costituire una garanzia che abbiamo entrambi lavorato in modo corretto […].

Il poeta certo procede in modo diverso: rivolge la propria attenzione all’inconscio nella propria psiche, spia le sue possibilità di sviluppo e ne dà un’espressione artistica, in luogo di reprimerle con la critica cosciente.

10 Sigmund Freud, “Edipo re” e “Amleto” in Saggi sull’arte, la letteratura e il linguaggio, Bollati Boringhieri, Torino 199, pp. 17-18

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Così egli esperimenta in sé quanto noi apprendiamo da altri, e cioè le leggi a cui deve sottostare l’attività di questo inconscio; ma non ha bisogno di enunciare queste leggi, e neppure di riconoscerle chiaramente: poiché la sua intelligenza critica non vi si ribella, esse si ritrovano contenute e incorporate nelle sue creazioni.12

Dopo l’interpretazione dei sogni e la Psicopatologia della vita quotidiana13, nel 1905 esce Il motto di spirito e la sua relazione con l’inconscio14. Freud confida a Fliess di aver raccolto al suo interno moltissime storielle della tradizione umoristica ebraica, accanto alla lettura di grandi nomi come Rabelais, Molière, Bergson, Cervantes, Kant: il motto di spirito come strumento per misurare ciò che, inconsciamente nascosto, viene liberato dalla risata. Anche il motto risponde alla stessa logica del sogno e dell’arte e cioè all’esigenza di appagare i desideri inconsci che trovano comunque l’opposizione di una censura. Ricordiamo la formula usata da Freud sul motto di spirito:

«Un’idea preconscia è esposta per un momento all’influenza dell’inconscio». Ciò che il motto di spirito deve all’inconscio secondo questa formula non è tanto il contenuto quanto la forma, la condensazione quasi onirica di significato caratteristica di quello che Freud chiama il processo primario.

È questo il processo in cui le impressioni e le esperienze della nostra vita da svegli sono mescolate e come frullate in permutazioni e combinazioni imprevedibili.

Nel sogno, non meno che nella follia, il dinamismo di questo vortice sopraffà il nostro pensiero cosciente, il principio di realtà dell’Ego.

Nel motto di spirito l’Ego non fa che usare questo meccanismo per investire un’idea di un fascino particolare. Un pensiero che sarebbe forse brutale e indecoroso esprimere in chiaro è immerso, per così dire, nella magica fonte del processo primario, come si può immergere un fiore o un ramoscello nelle acque calcaree di Karlsbad da dove essi emergono trasformati in qualcosa di ricco e di strano.15

“Il motto di spirito e le sue relazioni con l’inconscio” è considerata un punto di riferimento imprescindibile per il rinnovamento degli studi psicoanalitici sulla letteratura. Il motto di spirito aveva rotto i legami con la tradizionale area psichiatrica, aperto una prospettiva sui nessi fra inconscio e intuizione, e ripristinato l’equilibrio di

12 Sigmund Freud, Lettere a Wilhelm Fliess, cit. p.333

13Sigmund Freud, Psicopatologia della vita quotidiana, in Opere, vol. IV, Bollati Boringhieri, Torino 1989 14 Sigmund Freud, Il motto di spirito e altri scritti, in Opere, vol. V, Bollati Boringhieri, Torino 1989

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normalità e patologia. Questo lavoro di Freud sarebbe proseguito con Il delirio e i sogni della Gradiva di Jensen16, Un ricordo d’infanzia di Leonardo da Vinci17, Il Mosè di Michelangelo18. La psicoanalisi quindi non si limiterà a cercare nelle creazioni letterarie la conferma delle proprie scoperte, ma si chiederà su quale materiale d’impressione e su quali ricordi si fosse basato il poeta per creare l’opera d’arte.

1.4 Delirio e sogni nella Gradiva di W. Jensen

Nell’aprile del 1906 Carl Gustav Jung, che in seguito alle sue ricerche sull’esplorazione dell’inconscio si era avvicinato alle posizioni assunte da Freud negli anni precedenti, aderì al movimento psicoanalitico iniziando quella collaborazione con Freud che durò fino al 1912, quando i dissensi sopravvenuti portarono entrambi su vie differenti. Nel giugno del 1906 Jung segnalò a Freud una novella di Jensen, “Gradiva – una fantasia pompeiana”, che gli sembrava presentare un particolare interesse da un punto di vista analitico. Nell’agosto dello stesso anno, Freud compose “Il delirio e i sogni nella Gradiva di W. Jensen” la cui lettura entusiasmò Jung:

Stimatissimo professore,

la sua Gradiva è stupenda; l’ho appena letta fino in fondo tutta d’un fiato.19

Per analizzare la storia della Gradiva creata dalla fantasia del suo autore, era necessario metterla in relazione con la personalità dell’autore medesimo e con tutti i particolari

16 Sigmund Freud, Delirio e sogni nella “Gradiva” di W. Jensen (1906) in Saggi sull’arte, la letteratura e il linguaggio, Bollati Boringhieri, Torino 1991, pp.457-539

17 Sigmund Freud, Un ricordo d’infanzia di Leonardo da Vinci in Saggi sull’arte, la letteratura e il linguaggio, Bollati Boringhieri, Torino 1991, pp.73-158

18 Sigmund Freud, Il Mosè di Michelangelo, in Saggi sull’arte, la letteratura e il linguaggio, Bollati Boringhieri, Torino 1991, pp.183-215

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della sua vita. È lo stesso Freud che accenna al problema quando nel corso del suo lavoro afferma che:

[…] anche se la ricerca non dovesse insegnarci nulla di nuovo sull’essenza del sogno, essa può forse consentirci d’intravedere, da questo particolare angolo visuale, qualche cosa sulla natura della produzione poetica.20

Tuttavia la questione sollevata da Freud non viene esplicitamente presa in considerazione in quest’opera poiché lo psicoanalista non possiede elementi sufficienti sulla vita di Jensen. Nella postilla alla seconda edizione della Gradiva, Freud avrebbe chiarito il motivo del lungo viaggio attraverso la letteratura e le arti figurative.

Nei cinque anni trascorsi dalla compilazione del presente scritto, l’indagine psicoanalitica si è azzardata ad affrontare le creazioni letterarie anche da un altro punto di vista. Non cerca più in esse soltanto conferme alle proprie scoperte effettuate su individui prosaici, nevrotici, ma si sforza anche di conoscere con quale materiale d’impressioni e ricordi il poeta costruisca la propria opera, e attraverso quali vie e quali processi questo materiale s’inserisca nella stessa opera poetica. È risultato che queste domande possono trovare più facilmente risposta presso scrittori che, come il nostro Jensen (morto nel 1911), preferiscono abbandonarsi all’impulso della loro fantasia nella semplice gioia della creazione. Subito dopo la pubblicazione del mio studio analitico sulla Gradiva, ho fatto un tentativo per interessare il vecchio scrittore a questi nuovi compiti dell’indagine psicoanalitica; ma egli rifiutò la propria collaborazione. Più tardi un amico ha richiamato la mia attenzione su due altre novelle del poeta, che con la Gradiva sembrano presentare una certa connessione genetica, come studi preliminari, o come primi tentativi di risolvere in modo poeticamente soddisfacente gli stessi problemi di vita amorosa. La prima di queste novelle, Der rote Schirm [L’ombrellino rosso], ricorda la Gradiva per la presenza di vari piccoli elementi; il bianco fiore dei morti, l’oggetto dimenticato (il libro di schizzi della Gradiva), l’animaletto particolarmente significativo (la farfalla e la lucertola della Gradiva); ma soprattutto per la ripetizione della situazione fondamentale; la riapparizione della fanciulla morta, o creduta tale, durante l’ardente meriggio estivo. Il luogo dell’apparizione nel racconto l’ombrellino rosso è un castello diroccato: che corrisponde alle rovine della dissepolta Pompei, nella Gradiva. L’altra novella, Im gotischen Hause [Nella casa gotica], non presenta nel suo contenuto manifesto corrispondenze di questa specie né con la Gradiva né con l’ombrellino rosso; ma il suo contenuto latente ha inequivocabilmente una stretta parentela col secondo, come dimostra il fatto che essa vi è collegata in una unità formale, dal titolo comune […] come tardo effetto di un’intima e presso che fraterna comunità di vita infantile. Da una recensione della contessa Eva Baudissin apprendo inoltre l’ultimo “elementi autobiografici dell’autore, riguardanti la sua giovinezza,

20 Sigmund Freud, Delirio e sogni nellaGradiva di W. Jensen in Saggi sull’arte, la letteratura e il linguaggio, Bollati Boringhieri,

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descrive le vicende di un uomo che “riconosce nella donna amata la propria sorella.” Di quello che è il motivo principale della Gradiva, e cioè il particolare modo di camminare della protagonista con la posizione quasi perpendicolare del piede, non si trova traccia nelle due precedenti novelle. Il bassorilievo della fanciulla che cammina a quel modo, e che egli chiama Gradiva, dato che Jensen come romano, appartiene in realtà al fiore dell’arte greca. Esso si trova nel museo Chiaramonti in Vaticano, al numero 644, ed è stato illustrato e interpretato da Hauser. Ponendo insieme la Gradiva con altri frammenti esistenti a Firenze e a Monaco, risultano due bassorilievi, ciascuno con tre figure, nelle quali potrebbero ravvisarsi le Ore, dee della vegetazione, e quelle loro affini della fecondazione.21

Freud accenna ad alcuni elementi della vita personale dell’autore che possono aver concorso alla creazione fantastica della Gradiva, ma per queste sue osservazioni si serve di poche notizie che potevano essere di pubblico dominio. Soltanto l’anno successivo a quello della pubblicazione del saggio, Freud, in un breve scritto dal titolo Il poeta e la fantasia22, esamina da un punto di vista generale il problema delle fonti d’ispirazione del poeta. Forte di una solida fede positivistica nel potere del determinismo psichico, Freud sembra credere che si possa arrivare a capire il meccanismo essenziale anche delle opere artisticamente più elaborate:

Con ciò non s’intende disconoscere che molte creazioni poetiche si mantengono ben lontane dal modello di un ingenuo sogno a occhi aperti; ma non posso fare a meno di sospettare che anche i casi che maggiormente se ne allontanano possano esser congiunti a questo modello attraverso una catena ininterrotta di passaggi intermedi.23

All’inizio dello scritto Freud affronta il problema delle fonti da cui il poeta attinge per la creazione delle opere e rimanda a tal proposito al quesito che secondo la tradizione il Cardinale Ippolito d’Este ha rivolto all’Ariosto:

Messer Lodovico, dove mai avete trovato tante corbellerie?

21 Sigmund Freud, Delirio e sogni nellaGradiva di W. Jensen in Saggi sull’arte, la letteratura e il linguaggio, Bollati Boringhieri,

cit., pp. 538-539

22 Sigmund Freud, Il poeta e la fantasia(1907) in Saggi sull’arte, la letteratura e il linguaggio, Bollati Boringhieri, pp.47-59 23 Ivi, p.56

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Da quali fonti gli scrittori attingono il loro materiale? Freud affronta la questione riferendosi al gioco infantile che è imitazione di un’attività adulta, effettuata mediante una trasfigurazione della realtà. Il bambino distingue il gioco dalla realtà, ma nel gioco arricchisce la realtà stessa di elementi fantastici. Allo stesso tempo il bambino soddisfa un desiderio che è quello di diventare grande. A differenza del bambino l’adulto non gioca più, poiché quest’ultimo è ormai in grado di distinguere la realtà dalla finzione; tuttavia col progredire dell’età il gioco infantile viene man mano sostituito dalle fantasticherie che, a differenza dei giochi infantili, non si estrinsecano fuori di noi. Gli adulti si vergognano di fantasticare poiché vedono in esso un’attività ancora fanciullesca e quindi non adeguata ad una mente razionale; eppure gli uomini si abbandonano continuamente alle fantasticherie. Freud osserva che in generale una fantasticheria si produce in base a una certa situazione del presente, insoddisfacente per l’individuo, che richiama a una soddisfazione passata, solitamente la prima infanzia, durante la quale i desideri più profondi avevano trovato soddisfazione grazie al sogno per poi ripresentarsi in età adulta come un mezzo per placare un desiderio che nel presente risulta essere inappagato. In tutto ciò la fantasticheria è molto simile al sogno. In alcuni nevrotici le fantasticherie al pari dei sogni sono soggette a mascheramenti dovuti a una censura analoga a quella onirica. Per comprendere il significato preciso e nascosto della fantasticheria, è necessario effettuare su di essa un lavoro d’interpretazione analogo al lavoro d’interpretazione dei sogni. Se le fantasticherie degli adulti si collegano al gioco infantile, ad esse a sua volta si collega la produzione poetica; infatti la fantasticheria tende a sovrapporsi e a confondersi con la realtà stessa, preludendo in alcuni casi a uno stato di nevrosi. Il bambino che prende sul serio i suoi giochi, al pari del poeta e a differenza del nevrotico, riesce a distinguere sempre molto bene i due piani. Ciò consente di cogliere un elemento essenziale dello statuto dell’arte, del gioco e del sogno stesso, ovvero il ruolo che ha la coscienza nei confronti

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dell’illusorietà della rappresentazione, la quale costituisce una sorta di negazione preventiva che consente di esprimere anche ciò che altrimenti sarebbe soggetto a rimozione. Proprio perché è solo una finzione il bambino può concedersi di essere aggressivo o violento nei suoi giochi; proprio perché è solo arte, letteratura e finzione l’artista a sua volta può esprimere nelle sue opere anche ciò che altrimenti non gli sarebbe consentito. Quindi l’arte è sostanzialmente appagamento del desiderio, un modo per correggere la realtà ritenuta insoddisfacente e frustrante.

Anche il saggio di Freud su Leonardo del 1910 nasce sotto l’insegna del legame con Jung. Dopo il viaggio negli Stati Uniti scrive a Jung: “Il mistero del carattere di Leonardo da Vinci mi è divenuto improvvisamente trasparente.”24 E svela a Jung il “segreto”:

Nel frattempo voglio svelarle il segreto. Si ricorda della mia osservazione nelle teorie sessuali dei bambini […]sull’inevitabile fallimento di questa prima indagine dei bambini e sull’effetto paralizzante che deriva da questo primo insuccesso? Rilegga quelle parole; a quell’epoca non le avevo prese così sul serio come adesso: Ecco: anche il grande Leonardo, che era sessualmente inattivo o omosessuale, nei suoi anni infantili ha trasferito la sua sessualità nella pulsione di sapere ed è rimasto fermo alla esemplarità del fallimento. Poco tempo fa ho incontrato il suo perfetto ritratto (senza il suo genio) in un nevrotico.25

Il contatto con Jung lo stimola a interrogarsi sull’immaginazione creativa, inoltre Freud vuole Jung alleato nella conquista sia della mitologia che della biografia:

Mi fa piacere che anche lei condivida la mia convinzione, secondo cui la mitologia dovrebbe essere completamente conquistata da noi.[…] Anche la biografia deve diventare nostra.26

Quando Freud si occupa di arte, lo fa per sostenere la sua teoria della personalità. Egli si interessa di arte adoperando gli stessi strumenti della pratica clinica (libere associazioni,

24 Letteretra Freud e Jung, Bollati Boringhieri, cit. pp.273-274

25 Ibidem 26 Ibidem

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sogni, lapsus) utilizzati con i suoi pazienti, allo scopo di esplorare e analizzare la personalità dell’artista. La teoria freudiana dell’arte non dimostra uno specifico interesse per l’opera d’arte come oggetto autonomo in quanto struttura formale, ma si occupa soprattutto dei conflitti profondi, delle nevrosi, delle motivazioni inconsce, degli impulsi libidici interni alla personalità dell’artista, intesi come forze e pulsioni che caratterizzano il contenuto dell’opera. Freud ammette questo suo limite:

Ho notato spesso che il contenuto di un’opera d’arte esercita su di me un’attrazione più forte che non le sue qualità formali e tecniche, alle quali invece l’artista attribuisce un valore primario. Per molte manifestazioni e per più d’un effetto dell’arte mi manca propriamente l’esatta comprensione. […]. Le opere d’arte esercitano tuttavia una forte influenza su di me, specialmente la letteratura e le arti plastiche, più raramente la pittura27

Occorre considerare che né Freud né Jung formularono una teoria estetica. Rivelatrici a tal proposito le parole pronunciate da Freud:

È raro che lo psicoanalista si senta spinto verso ricerche estetiche, anche quando non si riduca l’estetica alla teoria del bello, invece come la teoria delle qualità del nostro sentire. Egli lavora su altri strati della vita psichica e ha ben poco a che fare con quei moti dell’animo - inibiti nella loro meta, sfumati, dipendenti da tante costellazioni concomitanti – che costituiscono perlopiù la materia d’indagine propria dell’estetica. A volte succede tuttavia ch’egli debba interessarsi di una sfera determinata dell’estetica, e si tratta allora quasi sempre di qualcosa di periferico, negletto dagli studi estetici specializzati.28

Ogni fenomeno culturale può essere oggetto di studio da parte dello psicologo proprio in quanto espressione della psiche. Lo stesso Jung scrive:

L’estetica e la psicologia dovranno sostenersi l’una con l’altra, e il principio dell’una non annullerà il principio dell’altra. Quello della psicologia è di far apparire un dato materiale psichico come deducibile da premesse causali; quello dell’estetica è di considerare il fatto psichico semplicemente come qualcosa che esiste di per sé, si tratti dell’opera d’arte o dell’artista. Entrambi i principi sono validi, nonostante la loro relatività.29

27 Sigmund Freud, Il Mosè di Michelangelo, in Saggi sull’arte, la letteratura e il linguaggio, cit., p. 185 28 Sigmund Freud, Il perturbante, in Saggi sull’arte, la letteratura e il linguaggio cit. p. 269

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L’arte è un’espressione della psiche, fatta chiarezza su questo concetto, ogni psicologo può interessarsi all’attività psichica che consente la produzione artistica, mentre rimane disarmato di fronte all’arte in se stessa:

Tutti i processi psichici che si svolgono all’interno della coscienza possono essere spiegati causalmente; ma la creatività, che ha le sue radici nell’indeterminatezza dell’inconscio, è chiusa in eterno alla conoscenza umana. Sarà sempre soltanto possibile descriverla nelle sue manifestazioni, intuirla, ma mai coglierla interamente.30

1.5 “Un ricordo d’infanzia di Leonardo da Vinci”

A volte Freud sembra credere che si possa arrivare, seppure attraverso una serie di passaggi intermedi, a capire il meccanismo essenziale anche delle opere artisticamente più elaborate: è il caso del Poeta e la fantasia dove scrive:

Con ciò non s’intende disconoscere che molte creazioni poetiche si mantengono ben lontane dal modello di un ingenuo sogno a occhi aperti; ma non posso fare a meno di sospettare che anche i casi che maggiormente se ne allontanano possano esser congiunti a questo modello attraverso una catena ininterrotta di passaggi intermedi.31

Altre volte invece Freud fa notare che il segreto del talento dell’artista ha i suoi fondamenti nella natura e che dunque di fronte al suo mistero la psicoanalisi resta sostanzialmente impotente.

Nel saggio Un ricordo d’infanzia di Leonardo da Vinci Freud scrive:

Se potessimo indicheremmo volentieri in che modo l’attività artistica si rifà alle primitive pulsioni psichiche, ma qui i nostri mezzi ci vengono meno.32

E prosegue:

30 Carl Gustav Jung, Il periodo fra le due guerre, cit. p.360

31 Sigmund Freud, Il poeta e la fantasia in Saggi sull’arte, la letteratura e il linguaggio, Bollati Boringhieri, cit. p.56

32 Sigmund Freud, Un ricordo d’infanzia di Leonardo da Vinci in Saggi sull’arte, la letteratura e il linguaggio,Bollati Boringhieri,

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Queste due particolarità di Leonardo rimangono dunque inspiegabili all’esame psicoanalitico: la sua tendenza assolutamente straordinaria alle rimozioni pulsionali e la sua eccezionale capacità di sublimare le pulsioni primitive. Le pulsioni e le loro trasformazioni sono il dato ultimo che la psicoanalisi possa riconoscere. Da qui in avanti essa cede il posto alla ricerca biologica. Siamo obbligati a ricondurre sia la tendenza alla rimozione che la capacità di sublimare alle basi organiche del carattere, sulle quali anzitutto si eleva l’edificio psichico. Dato che il talento e la capacità artistica sono intimamente connesse con la sublimazione, dobbiamo ammettere che anche l’essenza della creazione artistica ci è inaccessibile dal punto di vista della psicoanalisi.33

Freud si è identificato con Leonardo indagatore e inventore, ma gli è difficile identificarsi con il Leonardo pittore.

Nel presente saggio, Freud rielabora un sogno di Leonardo appuntato fra i taccuini dell’artista, ricavandovi una chiave di lettura per la sua futura produzione artistica. Freud ne esamina la vicenda personale: la nascita illegittima, i primi anni trascorsi con la madre e la successiva adozione da parte del padre; il periodo con quest’ultimo e la seconda moglie avrebbero influito in modo determinante sullo sviluppo della personalità di Leonardo. L’instabilità artistica, la tendenza a non concludere i propri lavori, la sublimazione delle proprie pulsioni sessuali nella passione per la ricerca scientifica e nelle premure quasi materne per i propri assistenti, così come la chiave interpretativa di alcune delle sue opere più enigmatiche: Sant’Anna, la vergine e il bambino troverebbero in questo modo una spiegazione.

Con questo saggio si assiste ad un passaggio da una psicologia interessata all’isteria e alla patologia ad una interessata alla creatività, alla sublimazione, alla simbolizzazione e ai meccanismi di difesa che costituiscono gli elementi per la costruzione di fatti e opere di rilevanza culturale e sociale. Nell’incipit Freud scrive:

Quando l’indagine psichiatrica, che di solito si accontenta di un materiale umano piuttosto gracile, si accosta a uno dei sommi rappresentanti del genere umano, non obbedisce ai motivi che così spesso le vengono attribuiti dai profani. Non aspira a “offuscare il risplendente e trascinare nella polvere il sublime”; […] nella convinzione

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che nessuno sia così grande da doversi vergognare di sottostare alle leggi che regolano con uguale rigore il fare normale e quello patologico.34

In questa dichiarazione di intenti Freud è consapevole del rischio che corre andando ad occuparsi di un personaggio del calibro di Leonardo per tentare, con gli strumenti della psicoanalisi, di fare luce sugli aspetti profondi della personalità di quest’ultimo. Un aspetto importante, riportato in questo scritto, fa riferimento all’abbattimento delle barriere tra ciò che è considerato patologico e ciò che invece è considerato normale. Nessun individuo, e quindi neanche Leonardo, può essere considerato così grande “da essere disonorato dall’assoggettamento alle leggi che con pari forza regolano sia l’attività normale che quella patologica.” Freud ci sta dicendo che non ci sono confini netti tra normalità e patologia, ma che la nevrosi appartiene anche a chi è considerato normale; a tale legge neppure Leonardo può sottrarsi. Freud si chiede: perché solo una persona come Leonardo con la sua personale esperienza biografica e familiare, due madri e una nonna, avrebbe potuto concepire il dipinto Sant’Anna, la Vergine e il bambino in una nuova organizzazione compositiva, con le due immagini Sant’Anna e la Vergine che sembrano fondersi e confondersi in un’unica figura? Pur essendo, Sant’Anna e la Vergine, madre e figlia, fra loro non sembrano esserci differenze d’età. L’originalità della composizione avrebbe a che fare con la storia dell’infanzia di Leonardo.

Il notaio Ser Piero da Vinci ebbe un figlio illegittimo, Leonardo, da una contadina di nome Caterina, che si occupò di lui nei primi anni della sua infanzia. In seguito Ser Piero sposò Donna Albiera, ma a causa della sterilità della donna dal loro matrimonio non nacquero figli: è possibile pensare che Leonardo sia stato allevato in seguito dal padre insieme alla madre adottiva.

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Secondo Freud, la Sant’Anna e la Maria del dipinto rappresenterebbero proprio le due madri di Leonardo: la madre naturale Caterina e la madre adottiva Donna Albiera. Sarebbe proprio questa la motivazione che condusse Leonardo alla rappresentazione delle due donne come coetanee; attraverso un processo di condensazione, mediante cui si fondono elementi diversi appartenenti a situazioni differenti, Leonardo avrebbe appunto rappresentato nelle figure di Sant’Anna e la Vergine le persone importanti della sua infanzia: la madre naturale e la matrigna.

1.6 “Il Mosè di Michelangelo”

Un altro lavoro intreccia l’analisi psicoanalitica dell’esperienza artistica e le vicende personali di Freud: “Il Mosè di Michelangelo”35. La colossale statua conservata nella Chiesa romana di San Pietro in Vincoli non smette di affascinarlo. Dopo il soggiorno del 1912, decise di dedicarle un breve testo. Nell’ammirare questa scultura, Freud si pose il problema del perché Michelangelo avesse voluto ritrarre Mosè seduto con un piede appoggiato sul terreno e l’altro in posizione sollevata. È il Mosè che dopo la discesa dal Monte Sinai e dopo aver ricevuto le tavole della legge, scopre che il suo popolo l’aveva tradito nell’adorazione di un vitello d’oro. Il patriarca biblico sta per alzarsi e punire l’infedeltà del popolo d’Israele o si è appena seduto, mentre trattiene a stento l’ira e osserva la “marmaglia” che lo circonda?

L’interpretazione più diffusa della scultura è che Michelangelo abbia voluto ritrarre Mosè nel momento immediatamente precedente il suo balzare in piedi, irato, pronto a scagliare le tavole della legge che si infrangeranno per terra.

Mentre Freud afferma che:

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Ciò che fa così fortemente presa su di noi può essere solo l’intenzione dell’artista, nella misura in cui egli è riuscito ad esprimerla nel suo lavoro e a farcela comprendere. Mi rendo conto che questa non può essere semplicemente una faccenda di comprensione intellettuale; egli mira piuttosto a destare in noi lo stesso atteggiamento emotivo, la stessa costellazione mentale che ha prodotto in lui l’impeto creativo.36

La lettura che Freud predilige è quella dell’impulso violento represso. Personalità notoriamente irascibile, Michelangelo avrebbe scolpito Mosè cogliendolo nell’atto di frenare a fatica la violenza, come sublimazione della propria collera e del proprio rapporto travagliato con papa Giulio II, suo committente e a sua volta personalità facile all’ira.

In tal modo egli ha aggiunto qualcosa di nuovo e di più che umano alla figura di Mosè, cosicché il corpo gigantesco con la sua tremenda forza fisica diventa solo una concreta espressione del più alto conseguimento psichico possibile per un uomo, ovvero quello di combattere con successo contro una passione interiore per una causa alla quale si è votato.37

Nell’analisi dell’opera michelangiolesca, un dettaglio getta luce ulteriore sulla complessa personalità di Freud e sulla sua esperienza personale: dietro al patriarca che combatte con le proprie passioni non vi sarebbe soltanto lo scultore fiorentino, ma lo stesso Freud che vi ritrova se stesso, colto sul punto dell’ormai inevitabile rottura con Jung. La stesura del saggio coincide con l’acuirsi della polemica con i discepoli ribelli: mentre Mosè lotta per mettere a tacere la collera contro i propri “figli”, Freud sublima in queste pagine la delusione verso Adler e Jung.

36 Ivi, pp. 111-112 37 Ivi, p.131

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1.7 Il piacere estetico

Nel 1913 Eugenio Rignano, direttore della rivista “Scientia”, chiese a Freud di scrivere un articolo sulla psicoanalisi per spiegare quale interesse le teorie psicoanalitiche potevano suscitare nei cultori di altri rami del sapere. Freud scrisse in risposta il saggio “L’interesse estetico della psicoanalisi”38, dove si trova un intero capitolo dedicato all’estetica. Vi si legge:

Alcuni problemi che si riferiscono all’arte e all’artista trovano nell’osservazione psicoanalitica un chiarimento soddisfacente; altri le sfuggono interamente. Essa riconosce anche nell’esercizio dell’arte un’attività che si propone di temperare desideri irrisolti, e precisamente in primo luogo nello stesso artista creatore e in seguito nell’ascoltatore o nello spettatore. Le forze motrici dell’arte sono gli stessi conflitti che spingono altri individui alla nevrosi, e che hanno indotto la società a fondare le sue istituzioni. Donde venga all’artista, la capacità creativa non è un problema della psicologia. L’artista cerca innanzitutto un’autoliberazione e, comunicando la sua opera, la trasmette ad altri che soffrono degli stessi desideri trattenuti. È vero ch’egli rappresenta come appagate le sue fantasie di desiderio più personali, ma queste divengono opera d’arte soltanto attraverso una trasformazione che mitiga l’aspetto urtante di questi desideri, ne cela l’origine personale, e offre agli altri, rispettando le regole estetiche, seducenti premi di piacere.39

In questa prima parte troviamo già delle indicazioni molto precise che riassumeremo così:

- l’arte è un’attività che si propone di temperare desideri irrisolti, in primo luogo nell’artista creatore, e in seguito nell’ascoltatore e nello spettatore;

- l’inconscio arriva ad essere presentato come opera d’arte solo attraverso una trasformazione che ne mitiga l’aspetto urtante, ne cela l’origine personale e offre agli altri, rispettando le regole estetiche, seducenti premi di piacere.

In questi punti Freud indica chiaramente il nesso esistente tra la creazione artistica e la nevrosi. Uno dei pregiudizi più diffusi riguardante la dimensione psichica della

38 Sigmund Freud, “L’interesse estetico della psicoanalisi”, in Saggi sull’arte, la letteratura e il linguaggio, Bollati Boringhieri, Torino 1999 pp.180-181

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creatività è l’idea che genio e malattia mentale siano non solo in qualche modo connessi, ma addirittura che la vena artistica sia il risultato di una sorta di follia. Occorre prendere le distanze da questo filone patografico di lettura dell’arte.

Lo stesso Gombrich nei suoi fondamentali studi su Freud e l’arte afferma:

Se ho ragione io quello che conta in una pittura come questa non è che il suo creatore, del resto come tutti noi, abbia un inconscio in cui continua a vivere una simbolizzazione arcaica; e nemmeno che (sempre come tutti noi) la mente del creatore partecipi delle qualità di Edipo, di Pigmalione, e magari, di Barbablù. Quello che conta è che egli si sia trovato in una situazione in cui i suoi conflitti privati hanno acquistato importanza artistica. Senza fattori sociali (cioè senza gli atteggiamenti, lo stile, le tendenze del gusto della sua epoca), le necessità private del creatore non potrebbero tramutarsi in arte. In questa trasformazione il significato privato sparisce quasi completamente.40

Ciò che interessa a Freud è il problema del godimento estetico inserito nel più complesso problema delle compensazioni di desiderio. Continua il saggio:

Per il resto la maggior parte dei problemi della creazione e del godimento artistico attende ancora un’elaborazione che faccia cadere su di essi la luce della conoscenza analitica e ne indichi il posto nel complicato assetto delle compensazioni di desiderio.41

In questo passo Freud chiarisce come, pur ammettendo che al momento non si possa andare oltre nella ricerca su questo punto (siamo nel 1913), egli non ritenga impossibile un avanzamento sulla questione del godimento estetico.

Adesso sappiamo che l’avanzamento effettivamente è possibile, e lo è nella misura in cui si prendono le distanze dalla ricerca del fantasma inconscio dell’artista avvicinandoci all’opera d’arte attraverso la sublimazione.

Freud parla di sublimazione quando una pulsione sessuale subisce una deviazione verso nuove mete non sessuali. In qualche modo Freud ci indica che la pulsione può de-sessualizzarsi. Nei suoi tre saggi sulla teoria sessuale dice chiaramente:

40 Ernst H. Gombrich, Freud e la psicoanalisi dell’arte in Stile, forma e struttura alla luce della psicoanalisi, Einaudi, cit. p. 67 41 Sigmund Freud, “L’interesse estetico della psicoanalisi”, in Saggi sull’arte, la letteratura e il linguaggio, Bollati Boringhieri, cit. pp. 180-181

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Gli storici della civiltà sembrano essere concordi nel supporre che, mediante questa deviazione di forze pulsionali sessuali dalle mete sessuali e il loro riversarsi su nuove mete - processo che merita il nome di sublimazione, - si ottengono importanti componenti per tutte le operazioni della civiltà. Per parte nostra aggiungeremo che lo stesso processo si verifica nello sviluppo dell’individuo singolo e ne collocheremo l’inizio nel periodo di latenza sessuale dell’infanzia. Si può osare un’ipotesi anche sul meccanismo di tale sublimazione. I moti sessuali di questi anni d’infanzia sarebbero, da un lato, inutilizzabili in quanto le funzioni procreative sono rimandate, e questo è il carattere principale del periodo di latenza, dall’altro lato sarebbero in sé perversi, cioè deriverebbero da zone erogene e sarebbero sorretti da pulsioni che, vista la direzione dello sviluppo individuale, potrebbero soltanto provocare sensazioni di dispiacere. Perciò essi risvegliano forze psichiche contrarie (moti di reazione), che costruiscono per un attiva repressione di tale dispiacere i detti argini psichici: il disgusto, il pudore e la morale.42

Il passo si completa, come indica la nota aggiuntiva del 1914, con un altro brano estratto dall’ Introduzione al narcisismo, dove Freud sottolinea la differenza esistente tra il processo di sublimazione e quello di idealizzazione:

La sublimazione è un processo che interessa la libido oggettuale e consiste nel volgersi della pulsione a una meta diversa e lontana dal soddisfacimento sessuale. In questo processo l’accento cade sulla deviazione rispetto alla sessualità. L’idealizzazione è un processo che a che fare con l’oggetto; in virtù di essa l’oggetto, pur non mutando la sua natura, viene amplificato e psichicamente elevato. L’idealizzazione può avvenire sia nell’ambito della libido dell’Io sia nell’ambito della libido oggettuale. Così per esempio la sopravvalutazione sessuale di un oggetto è un idealizzazione dello stesso. Pertanto, dal momento che la sublimazione descrive qualcosa che ha a che fare con la pulsione, mentre l’idealizzazione ciò che accade all’oggetto, queste due nozioni vanno concettualmente distinte l’una dall’altra. La formazione di un ideale dell’io viene frequentemente confusa con la sublimazione delle pulsioni, a danno della nostra intelligenza dei fatti. Non necessariamente chi ha rinunciato al proprio narcisismo per dedicarsi ad un alto ideale dell’Io è per ciò stesso riuscito a sublimare le sue pulsioni libidiche. Vero è che l’ideale dell’Io esige tale sublimazione, ma non può imporla; la sublimazione resta un processo particolare il cui avvio può esser sollecitato dall’ideale, ma la cui esecuzione rimane assolutamente indipendente da tale sollecitazione.43

E poco oltre:

42 Sigmund Freud, Tre saggi sulla teoria sessuale. La sessualità infantile in Opere, vol. IV, Bollati Boringhieri, Torino 1970, pp. 488-489

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Come sappiamo, la formazione di un’ideale accresce le esigenze dell’Io e favorisce al massimo la rimozione; la sublimazione offre invece una via d’uscita in virtù della quale le esigenze dell’Io possono esser soddisfatte senza dar luogo a rimozione.44

Tuttavia la sublimazione rimane una questione irrisolta. È del resto lo stesso Freud ad ammetterlo. Scrive in “Teoria della libido”, uno dei due testi noti come “Due voci di enciclopedia”:

Il più significativo destino cui può andare incontro una pulsione parve essere la sublimazione, in cui vengono cambiati sia l’oggetto sia la meta, tanto che la pulsione originariamente sessuale trova ora il proprio soddisfacimento in una prestazione non più sessuale, socialmente o eticamente di maggior valore. Tutti questi tratti non si sono ancora composti in un quadro unitario.45

Come e perché agisca questo mutamento di meta non viene di fatto individuato. Il dubbio rimane, come affermerà Ricoeur:

La sublimazione è sia l’indicazione di un problema che il nome di una soluzione. Si può tuttavia dire che la ragione d’essere della psicoanalisi sta proprio nel non darsi la differenza tra la sterilità del sogno e la creatività dell’arte, ma di considerarla come una differenza che costituisce problema all’interno di un’unica semantica del desiderio. Con ciò essa si ricollega alle vedute di Platone sull’unità profonda di poesia ed erotismo, a quelle di Aristotele sulla continuità tra catarsi e purificazione, a quelle di Goethe sul demonismo.46

Nella XXIII lezione introduttiva alla psicoanalisi Freud mette in risalto alcune operazioni necessarie all’artista per la creazione di un’opera:

Vi è un modo per tornare dalla fantasia alla realtà, e questo modo è l’arte. Anche l’artista è in germe un introverso, non molto distante dalla nevrosi. Incalzato da fortissimi bisogni pulsionali, vorrebbe conquistare onore, potenza, ricchezza, gloria e amore da parte delle donne; gli mancano però i mezzi per raggiungere queste soddisfazioni. Perciò, come qualsiasi altro insoddisfatto, egli si distacca dalla realtà e trasferisce tutto il suo interesse, nonché la sua libido, sulle formazioni di desiderio della vita fantastica, dalle quali potrebbe esser condotto alla nevrosi. Anzi, è necessario il concorso di parecchi fattori affinché questo non diventi l’esito del suo sviluppo; tutti sappiamo quanto spesso proprio gli artisti soffrano, per nevrosi, di una parziale

44 Ivi

45 Sigmund Freud, “Due voci di enciclopedia. Teoria della libido”, in Opere, vol. IX, Bollati Boringhieri, Torino 1977, p. 459

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inibizione delle loro capacità di produrre. Probabilmente la loro costituzione possiede una forte capacità di sublimazione e una certa labilità quanto a rimozioni che determinano il conflitto. L’artista, tuttavia, trova la via di ritorno alla realtà nel modo seguente. Egli non è certo l’unico a condurre una vita di fantasia. Il regno intermedio della fantasia è accessibile a tutti per generale consenso, e chiunque soffra di privazioni se ne aspetta sollievo e conforto. Ma per coloro che non sono artisti la messe di piacere che possono ricavare dalle fonti della fantasia è molto limitata. L’inesorabilità delle loro rimozioni li costringe ad accontentarsi di quei magri sogni a occhi aperti che ancora riescono a diventare coscienti. Se uno è un vero artista dispone di qualcosa in più. In primo luogo, sa elaborare i propri sogni ad occhi aperti in modo che essi perdano gli elementi troppo personali e diventino godibili anche dagli altri. Sa inoltre mitigarli al punto che essi non tradiscano facilmente la loro origine dalle fonti proibite. Possiede altresì il misterioso potere di modellare un certo materiale fino a renderlo la fedele immagine della sua rappresentazione fantastica, e sa poi congiungere a questa descrizione della sua fantasia inconscia un tal conseguimento di piacere che le rimozioni, almeno temporaneamente, sopraffatte e abolite. Se è in grado di fare tutto ciò, egli offre agli altri la possibilità di attingere nuovamente conforto e sollievo dalle fonti di piacere ormai inaccessibili del loro inconscio; si guadagna la loro riconoscenza e ammirazione, e ottiene ora, per mezzo della sua fantasia, ciò che prima aveva ottenuto solo nella sua fantasia: onore, potenza e amore.47

Ricapitolando, Freud dice che la creatività è una risposta positiva a un desiderio inconscio infantile, di natura prevalentemente sessuale, che sia stato frustrato e poi rimosso. Ma rimuovere gli eventi dolorosi o traumatici semplicemente dimenticandoli causa nevrosi, il malessere della psiche che nasce quando si seppelliscono nell’inconscio fatti dolorosi che, in un modo o nell’altro, provano comunque a riaffiorare in altra forma: gesti illogici, tic, manie…che solo in apparenza sono senza motivo. Ma c’è un’altra possibilità: trovare uno sfogo creativo per la nevrosi. Questo si verifica quando la libido, cioè la tensione emozionale connessa con il desiderio che è stato frustrato nel passato, invece di sfogarsi producendo comportamenti nevrotici si sposta cambiando oggetto. Questo spostamento ri-orienta le energie attivate che si traducono in attività creativa, socialmente accettabile e fonte di gratificazioni alternative a quelle in precedenza desiderate e non ottenute. Quindi per Freud la creatività è frutto della sublimazione di energie scaturite da una situazione frustrante e del loro ri-orientamento in una direzione produttiva. Questo avviene quando il principio di realtà

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(la consapevolezza che bisogna venire a patti con le situazioni e inventarsi delle vie d’uscita) si sostituisce al principio di piacere (il bisogno di appagare qualsiasi desiderio in modo incondizionato).

1.8 I contrasti tra Freud e Jung: verso la rottura definitiva

Diverso è il punto di vista di Jung che, partendo dal presupposto dell’esistenza di un inconscio collettivo e dei suoi simboli, considera la creatività una della massime funzioni sintetiche della psiche, mediante la quale è possibile sfruttare tutte le facoltà della mente (intuizione, intelletto, sentimento e percezione) e integrare le energie e le forze opposte che la animano per condurla verso l’individuazione e la realizzazione del sé.

Jung evidenzia i rischi della metodologia freudiana che, rivolgendosi agli stati antecedenti psicologici rintracciabili all’origine dell’opera, si allontana dal soggetto facendo di ogni artista un caso clinico e di ogni opera d’arte una malattia. Per Jung l’opera d’arte è una produzione che va oltre l’individuo poiché il suo significato non è rinvenibile nella condizione umana che lo ha prodotto.

Per rendere giustizia all’opera d’arte, è necessario che la psicologia analitica escluda completamente ogni pregiudizio di carattere medico, poiché l’opera d’arte non è una malattia e quindi richiede un orientamento del tutto diverso da quello medico. Se è naturale che il medico debba ricercare le cause di una malattia per estirparla alla radice, è altrettanto naturale, invece, che lo psicologo debba prendere, dinanzi all’opera d’arte, un atteggiamento del tutto opposto. Egli non cercherà minimamente di sapere quali sono le condizioni umane che senza dubbio l’hanno preceduta, perché tale interrogativo è superfluo per l’opera d’arte, ma cercherà invece il senso dell’opera stessa, e s’interesserà alle sue premesse solo nella misura in cui possono essergli utili per comprendere il significato dell’opera stessa. La causalità personale presenta con l’opera d’arte la medesima relazione che ha il terreno con la pianta che gli cresce sopra. È ovvio che potremo comprendere determinate particolarità della pianta solo conoscendo le caratteristiche del suolo su cui essa cresce. Senza dubbio questo è un fattore importante per uno studioso di botanica. Ma nessuno vorrà sostenere che in tal modo si giungerà a conoscere quanto di essenziale v’è nella piante. L’orientamento esclusivo verso i fattori personali, che è richiesto dalla ricerca della causalità personale, è assolutamente

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inadeguato per l’opera d’arte, poiché qui non si tratta di un essere umano, ma di una produzione che va oltre l’individuo.48[…]La vera opera d’arte trae il suo significato particolare dal fatto che è riuscita a liberarsi dalle limitazioni e dall’empasse del fattore personale, lasciando lungi da sé ogni elemento caduco e contingente della pura personalità.

E prosegue:

Il suo senso e il suo carattere specifico (ovviamente dell’opera d’arte in ogni sua forma) sono presenti in essa stessa e non nelle sue premesse esterne; quasi si potrebbe dire che essa utilizza l’uomo e le sue disposizioni personali semplicemente come terreno nutritivo, impiegandone le energie secondo leggi proprie e modellando sé stessa secondo ciò che vuole divenire.49

Se il rischio dell’ermeneutica freudiana è rappresentato dalla tentazione psicobiografica, dalla riduzione dell’opera alla vita del suo autore, il pericolo in cui può incorrere l’approccio junghiano consiste nella tendenza a considerare l’opera, specie quella forma di “creazione visionaria” di cui parla lo stesso Jung, come un terreno nel quale va unicamente rintracciata l’azione dei vari archetipi.

Scindere elementi personali, archetipici e culturali, privilegiando uno solo di questi fattori, non consente una piena comprensione del prodotto artistico. Soffermandosi sull’esame del processo creativo Jung giunge a istituire una polarità che designa come contrasto tra “simbolico” e “non simbolico.”

Esistono due tipi di creazione letteraria: da una parte ci sono opere che sono nate come risultato dell’intenzione deliberata dello scrittore; dall’altra alcune creazioni letterarie si impongono e si fanno strada nella mente dello scrittore con prepotente violenza apparendo quasi indipendenti dalla mente di chi le ha prodotte. Nel primo caso l’artista ha un obiettivo che persegue, nel secondo si ha l’espressione della natura più profonda dell’autore. Infatti per Jung anche nella seconda tipologia di creazione artistica è il sé

48 C. G. Jung, “Psicologia analitica e arte poetica”, in Opere, vol. X, Il periodo tra le due guerre, Bollati Boringhieri, Torino 1998, pp. 341-342

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che si esprime e lo fa comunicando ciò che non si sarebbe mai permesso di confidare. Queste creazioni artistiche corrispondono a quello che Jung aveva descritto un anno prima in Tipi psicologici50 con i termini di introversione ed estroversione. La creazione tipica dell’artista introverso afferma il soggetto a discapito delle esigenze dell’oggetto. Nell’estroverso capita l’esatto opposto e viene definito “complesso autonomo”. Ma per Jung uno stesso poeta può essere sia estroverso che introverso a seconda del tipo d’opera che creerà.

Tuttavia, dovremmo guardarci dal collocare con troppa facilità nell’uno o nell’altro gruppo l’opera di un poeta sconosciuto, senza avere prima studiato a fondo i rapporti personali del poeta con la sua opera. Non basta neppure sapere che un poeta appartiene al tipo introverso o a quello estroverso, giacché entrambi i tipi hanno la possibilità di assumere ora l’atteggiamento estroverso, ora quello introverso.51

Di fronte all’intenzione creativa, che sorge e si sviluppa come una forza autonoma nell’artista, questi può reagire in due modi: o cercando di identificarsi con essa e di porsene a capo plasmandola il più possibile secondo la propria intenzione o accogliendo la sostanziale estraneità dell’opera come un processo che non può essere del tutto guidato e assimilato. In questo caso, l’opera si sviluppa nell’artista come un “complesso autonomo” e quindi più facilmente si farà portatrice di un contenuto simbolico. Egli parla infatti di:

un linguaggio gravido di significati, le cui espressioni avrebbero valore di veri simboli, poiché esse esprimono nel modo migliore cose ancora sconosciute, e sono come ponti gettati verso una riva invisibile.52

La psicologia analitica considera l’impulso creativo un “complesso autonomo” che ha una vita psichica indipendente dalla coscienza. Le sue origini non sono da ricercarsi nell’inconscio personale dell’autore, perché in questo caso si tratterebbe di arte

50 C.G.Jung, Tipi psicologici in Opere, vol. VI, Bollati Boringhieri, Torino 1996

51 C. G. Jung, “Psicologia analitica e arte poetica”, in Opere, vol. X, Il periodo tra le due guerre, cit. p.346 52 Ibidem

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