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La malattia creativa di Jung e il suo viaggio nell’inconscio

Nell’esporre la vita di Jung, H. F. Ellenberger ha individuato gli anni tra il 1913 ed il 1919 come periodo di «malattia creativa», corrispondenti ad un mutamento molto importante della sua personalità. Secondo Ellenberger:

Una malattia creativa segue ad un periodo dominato da un’idea e dalla ricerca di una certa verità. Si tratta d una condizione polimorfa che può presentarsi in forma di depressione, di nevrosi, di sofferenze psicosomatiche o anche di psicosi […] nel corso della malattia il soggetto non perde mai il filo della sua preoccupazione dominante, che spesso è compatibile con una normale attività professionale e con la vita di famiglia […] La conclusione è spesso rapida e segnata da una fase di buon umore. Il soggetto esce dalla sua ordalia trasformato permanentemente nella propria personalità e con la convinzione di avere scoperto una grande verità o un nuovo mondo spirituale.148

Questo era quanto era accaduto a Freud, le cui sofferenze, a partire dal 1894, dallo stesso descritte nelle lettere a Fliess, fondate su idee fisse caratterizzate non semplicemente dall’ossessività, ma anche dalla creatività, si risolsero con la stesura dell’Interpretazione dei sogni. Anche Jung visse esperienze in tal senso simili quando, a cominciare dal 1913, iniziò a compiere quei viaggi nell’inconscio, immersioni nel

148 Henri F. Ellenberger, La scoperta dell’inconscio. “Storia della psichiatria dinamica”, vol. I, Bollati Boringhieri, Torino 1976, pp. 515-516

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mondo archetipico che egli definì come la propria Nekyia, riferendosi all’episodio relativo alla discesa agli inferi dell’Ulisse omerico. Jung emerse da quelle esperienze come un uomo nuovo , portatore di una nuova dottrina; si trattava del processo di individuazione, che consisteva nel fare della personale storia conoscitiva un’autorealizzazione dell’inconscio collettivo, cui solitamente tende ogni essere umano, lasciandosi trasportare dalla fantasia: ciò è l’origine della capacità creativa, spiegando sul piano filogenetico e ontogenetico l’evoluzione dell’essere umano.

Tutta la forza creativa che l’uomo moderno riversa nella scienza e nella tecnica, l’uomo dell’antichità la consacrava alla mitologia. Questo impulso creativo spiega i mutamenti sconcertanti, le caleidoscopiche metamorfosi, i raggruppamenti sincretistici, il continuo ringiovanire dei miti nella sfera della cultura greca. Ci muoviamo in un mondo di fantasie che […] scaturiscono da una sorgente interiore e generano forme cangianti ora plastiche ora fantasmagoriche.149

Nella proposta junghiana, il nucleo della creatività che attingeva agli “strati” più antichi dello spirito umano si collegava al pensare indirizzato proprio attraverso la fantasia. Jung prese le distanze ancora una volta dal pensiero di Freud quando, riferendosi a quest’ultima forma del pensare, definita in termini di stato mentale come ‘autistica’, e pertanto inserita nell’ambito della patologia, sostenne che:

non esiste però un motivo fondato per supporre che il primo (il pensare con fantasia) sia solo una deformazione dell’immagine oggettiva del mondo, giacché ci si può chiedere se il motivo interiore essenzialmente inconscio che guida i processi della fantasia non rappresenti un dato di fatto oggettivo. 150

Fu sulla base di tali riflessioni che, probabilmente, egli fondò le analisi di alcune opere d’arte. In quell’anno (1932) era stata organizzata alla Kunsthaus di Zurigo una mostra con quattrocentosessanta opere di Picasso. Jung fu sollecitato dal ‘Neue Zürcher

149 C. G. Jung, Le due forme del pensare, in Simboli della trasformazione, vol. V, Bollati Boringhieri, Torino 1970, p.34 150 Ivi, pp.41-42

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Zeitung’ a scrivere un saggio sulla produzione dell’artista spagnolo; tale scritto verrà ripreso successivamente in maniera più approfondita.

Lo psicoanalista svizzero constatò che la sua personalità:

subisce il proprio destino infero; intendo l’uomo che non si rivolge al mondo diurno, ma fatalmente si piega verso l’oscurità, seguendo non l’ideale del bello e del buono tradizionali, ma quella demoniaca forza d’attrazione dell’orrido e del male che, gonfiandosi in modo anticristiano e luciferino nell’uomo moderno, fino a raggiungere il tono di una catastrofe universale, avvolge nelle nebbie dell’Ade questo luminoso mondo diurno, lo dilania mortalmente e alla fine, come in un terremoto, lo dissolve in frammenti, linee spezzate, avanzi, rottami, brandelli, elementi disorganici.151

Picasso rappresentava così la rivelazione di quel grande mistero che affondava le sue radici nel passato e che era la “materia onnipotente”, il Dio creatore inteso come concetto universale. E rispetto a ciò:

l’indagine psicologica non ha saputo togliere i molteplici veli che ricoprono il volto dell’anima, giacché esso è inaccessibile e oscuro come tutti i profondi segreti della vita.152

Anche Jung si poneva di fronte al problema della conoscibilità del fenomeno creativo, e più in generale della vita; da questa prospettiva, la psicologia junghiana aiutava l’uomo a penetrare gli innumerevoli strati di apparenze che nascondevano il mistero dell’animo umano con l’intento di facilitare il raggiungimento del fine ultimo dell’uomo: l’individuazione.

“Individuazione” potrebbe essere tradotto con “attuazione del proprio Sé” o “realizzazione del Sé”.153

151 C. G. Jung, Picasso, in Opere, vol. X, Il periodo tra le due guerre, cit. 410

152 C. G. Jung, Ilproblema fondamentale della psicologia contemporanea, in “La dinamica dell’inconscio”, in Opere, vol. VIII,

Bollati Boringhieri, Torino 1976, p. 383

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Nell’inconscio di ognuno di noi risiedono forme preesistenti ovvero concetti innati, universali, ereditati, “basi comuni” per la realizzazione di contenuti inconsci collettivi detti archetipi.

Gli archetipi che accompagnano l’individuo in questo percorso individuale di autorealizzazione sono: la persona, l’ombra, la coppia Animus/Anima e infine il Sé. Il processo di individuazione ha inizio in genere con un evento, reale o meno, come un sogno, che provochi una sorta di doloroso turbamento in seguito al quale l’ego si sente colpito nella sua volontà e nei suoi desideri. Fino a quando l’uomo non intraprende un percorso di consapevolezza, continuerà ad attribuire la causa della propria sofferenza e di tutto ciò che non va all’ambiente esterno, al destino o anche alle persone che gli sono vicino, come al coniuge, accollandogli la responsabilità di ciò che lo contrasta.154

In primo luogo avviene il contatto con la propria Ombra, il lato oscuro e rifiutato della propria personalità. Ogni essere umano esibisce al mondo la Persona, la maschera che si è creato sotto la spinta degli stimoli interiori ed esterni, l’uomo subisce l’influsso di tutto ciò che giudica inadeguato o deprecabile e che ha eliminato con una rimozione inconscia. L’Ombra è strettamente collegata alla Persona attraverso un rapporto inversamente proporzionale: quanto più ci facciamo guidare dalle regole e dai codici legati alla Persona, tanto più, per compensazione, l’Ombra si manifesterà in maniera acuta, violenta e incontenibile. L’antagonismo tra la nostra parte cosciente e l’Ombra può scatenare conflitti psichici dalle gravi conseguenze, tra cui disturbi psicosomatici, spesso induce a una proiezione su altre persone. Succede quando, senza averne coscienza, si riconosce in qualcuno la propria parte rifiutata e nascono allora sentimenti di avversione o addirittura odio. In qualità di archetipo dell’inconscio collettivo, l’Ombra racchiude non soltanto la nostra negatività, quanto il lato oscuro dell’uomo primordiale e di tutti gli uomini. Jung ammise che una serie di aspetti legati al nostro

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lato oscuro si trovava in stretta relazione con la nostra individualità: da qui la distinzione tra ombra personale e ombra collettiva. L’ombra personale è legata alle nostre esperienze dirette, alla dimensione del vissuto, dell’individualità e quindi dell’inconscio personale; l’Ombra collettiva invece emerge dal nostro inconscio attraverso significati condivisi, messaggi simbolici legati tradizionalmente a questo archetipo.

L’incontro con l’Ombra è la prima vera tappa del processo di individuazione; combatterla non significa rimuovere tutti gli aspetti negativi che caratterizzano il nostro atteggiamento. Come bene/male e maschile/femminile coesistono nello spazio mentale dell’individuo, così l’Ombra bilancia alcuni aspetti legati alla Persona, alla coppia Animus/Anima e, partecipando al processo di individuazione, contribuisce al raggiungimento del Sé che Jung considerava lo scopo della vita. Trascurare l’Ombra significa sottovalutare i contenuti sani e positivi che questo archetipo contiene: è un serbatoio non soltanto di contenuti malvagi, ma anche di qualità non accolte e di possibilità di sviluppo rifiutate. Nel saggio “Aion. Ricerche sul simbolismo del Sé”155, Jung citava esplicitamente una serie di qualità dell’Ombra: gli istinti, le reazioni appropriate e la capacità di uscire dagli schemi, che porta l’uomo ad essere più creativo, sono tutti aspetti legati a questo archetipo.

L’archetipo del Sé è l’ultimo stadio di quel percorso di completamento individuale che Jung ha definito processo di individuazione e rappresenta la complessità dello spazio mentale dell’uomo nella sua più completa unità e totalità. Il Sé racchiude, sintetizzandoli, il lato inconscio e quello conscio dell’uomo.

Il Sé potrebbe essere caratterizzato come una specie di compensazione per il conflitto tra l’interno e l’esterno; formulazione non impropria in quanto il Sé ha il carattere di un risultato, di una meta conseguita, di qualcosa prodottosi a poco a poco e divenuto sperimentabile con molte fatiche. Pertanto il Sé è anche la meta della vita, perché è la

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più perfetta espressione della combinazione fatale che si chiama individuo, e non solo del singolo uomo, ma di un intero gruppo, nel quale l’uno integra l’altro per costituire l’immagine completa.156

In Psicologia e alchimia157, una raccolta di saggi pubblicata nel 1944, Jung sottolineava l’importanza di non confondere Sé ed Io. L’Io è il centro degli aspetti coscienti dell’uomo, il Sé è il centro e la circonferenza della totalità della psiche. L’esigenza interiore è la necessità che l’artista possiede quando sente il bisogno di creare qualcosa che comunichi, tramite il suo più profondo Sé, a tutti gli uomini. Gli artisti comunicano al loro conscio attraverso suggerimenti inconsci fatti di immagini e forme archetipali. Inconsciamente o no tutti noi, secondo Jung riceviamo questi stimoli che, se capiti, fanno “progredire” il conscio verso la conquista della profondità dell’anima, verso quelle abissali verità che tutti noi cerchiamo.