• Non ci sono risultati.

La Grande Guerra è stata il primo conflitto di massa da cui derivarono regimi autoritari con un dato comune: la sottomissione dell’individuo alla collettività, che tendeva a identificarsi in capi carismatici. Molte opere di questo periodo testimoniarono gli orrori del conflitto bellico, ma Guernica di Picasso fu tra le più note e significative. L’opera venne esposta per la prima volta all’Expo di Parigi nel 1937, ma non ottenne il successo sperato. Proprio in quell’occasione erano state avanzate critiche ostili su Guernica considerata come modello della presunta degenerazione dell’arte moderna. La guida tedesca della manifestazione descriveva il dipinto come un guazzabuglio di parti del corpo che anche un bambino di quattro anni avrebbe saputo dipingere, diatriba già avanzata alla fine degli anni trenta. Tale questione poteva suscitare remore sia negli

156 Ivi, p.235

94

organizzatori del Padiglione Spagnolo che nei simpatizzanti della causa repubblicana in Spagna, poiché metteva in luce un quesito di fondamentale importanza: un’opera dipinta con un linguaggio da “principiante” avrebbe potuto costituire un mezzo di propaganda politica? Guernica è stato ampiamente considerato come il più ragguardevole esito della pittura politica moderna. Oggi come oggi risulta difficile dare un giudizio su quest’opera senza avere la sensazione che il suo prestigio è di fatto inseparabile dallo status senza confronto del suo creatore; quando lo dipinse infatti, Picasso era l’artista vivente più ricco e famoso. Coloro che criticarono la sua pittura lo fecero con un atteggiamento antimoderno e di sinistra, avrebbero preferito osservare in Guernica un’immagine più letterale e realista che avesse potuto comunicare il suo significato e la posizione politica con più chiarezza. Certamente il contenuto che si attribuiva al Guernica risaliva al titolo e al contesto, ma la dipendenza da un testo o un luogo è frequente nella propaganda. Per esempio un buon numero di cartelli propagandistici mancavano di significato senza testo scritto, e molti sarebbero risultati incomprensibili se estratti dal loro contesto. Raramente le immagini pubblicitarie sono pensate per comunicare qualcosa in modo indipendente; per tale motivo il Guernica fu realizzato per essere compreso insieme ad un vasto complesso di immagini della guerra civile spagnola, soprattutto le diffuse fotografie di giornali e i notiziari.

Picasso infatti non è mai vissuto ai margini degli avvenimenti. È stato sempre un uomo profondamente immerso nel suo tempo e di questo ha registrato non passivamente tutte le contraddizioni. Picasso anzi ha rivelato tali contraddizioni anche quando erano soltanto latenti: le ha portate violentemente alla superficie e rese esplicite. Nell’ammirare le sue opere non si deve dimenticare questa verità. In maniera lacerata, esplosiva, sconvolgente, egli rivela chiaramente i conflitti che vivono nella storia e dentro l’uomo. L’ironia, lo scetticismo, la brutalità, fanno senz’altro parte della sua opera. In questo senso è senz’altro un testimone d’accusa; ma al contempo ha saputo dipingere pure l’onore dell’uomo, cioè non soltanto il furore delle guerre, ma anche i sentimenti più umani, l’aspirazione alla giustizia, alla pace, alla gioia. […] Picasso è proprio questa complessità, questa dialettica, questa unità nella contraddizione. Ciò che però decide in questa dialettica è l’appassionato amore di Picasso per la sincerità e la verità. «L’arte» ha detto, «non è l’applicazione di un canone di bellezza, ma quel che

95

l’istinto e il cervello concepiscono al di là di ogni canone». Per questa ragione Picasso partito dal cubismo, è arrivato a Guernica.158

Dato il conservatorismo culturale del partito nazionalsocialista, avremmo dovuto dare per scontato che i nazisti si opponessero totalmente all’arte di avanguardia e la condannassero dal principio. I recenti studi di storia dell’arte rivelano una relazione più ambigua. È assodato che nel 1937 la direzione nazista dichiarò esplicitamente il proprio rifiuto per l’arte moderna e che gli artisti avanguardisti vennero esclusi e ostinatamente perseguitati. Tale situazione, però venne preceduta alcuni anni prima dal dibattito tra gli alti ufficiali del partito. L’entusiasmo di Josef Goebbels per l’espressionismo risale agli anni giovanili. Una frase ne è il sigillo: «noi contemporanei siamo tutti degli espressionisti, degli uomini che vogliono dar forma al mondo a partire dal proprio essere». Goebbels affermò che alcuni artisti del movimento espressionista, come Emil Nolde, Erich Heckel, Ernst Ludwig Kirchner, Karl Schmidt-Rottluf ed Ernst Barlach, rappresentarono lo spirito nazionale dell’arte tedesca che il terzo Reich avrebbe potuto accettare. A prima vista la dichiarazione risultava sorprendente, poiché non si poteva ritenere che questi artisti fossero proprio sostenitori dei nazisti, malgrado Nolde ne avesse fatto parte per un breve periodo di tempo. I rimandi identificativi dell’espressionismo erano antiautoritari e individualisti. Nonostante ciò, Goebbels percepì nella sua confusa visione politica qualche affinità con la Weltanschauung nazista. Una lettura selettiva dei testi espressionisti è capace di offrire qualche dichiarazione nazionalista e un vago anticapitalismo che si contrapponeva alla manipolazione cosmopolita della società urbana, confrontandola con immagini nostalgiche di una comunità spiritualmente unificata e in armonia con la natura. Inoltre, l’arte degli espressionisti e il loro stile di vita proclamavano la priorità delle sensazioni fisiche e la passione sull’intelletto, un sentimento condiviso attraverso il culto all’azione

96

dei nazisti. Per motivi razzisti, questi ultimi commiserarono l’impiego degli stili utilizzati dagli espressionisti derivati dall’arte africana che, come ben noto, era completamente contraria alle loro idee di «bellezza ariana». Nonostante la visione romantica espressionista della cosiddetta vita «primitiva» trovasse un’ eco lontano nella celebrazione primitivista della cultura vӧlkisch (popolare), sarebbe sbagliato ritenere protonazista l’espressionismo e sottovalutare la persecuzione che successivamente subirono gli artisti. Sarebbe più esatto dire che espressionismo e nazionalsocialismo, come discorsi separati, ebbero una forte influenza reciproca dovuta alla cultura tedesca, la quale cercava un’alternativa irrazionale all’alienazione e alla frammentazione sociale del capitalismo borghese.

Malgrado l’appoggio di Goebbels, l’espressionismo fu oggetto di frequenti attacchi da parte di personaggi del calibro di Hitler e Rosenberg; tale atteggiamento causò la censura dell’arte moderna dai musei.

L’arte moderna fu considerata come un illustre mezzo utilizzato per intimorire gli intellettuali non nazisti che cercarono con tale atteggiamento di dimostrare così il proprio potere. E ancora, l’attacco all’espressionismo poteva essere assunto per articolare la teoria nazionalsocialista della «degenerazione», tema fondamentale della sua ideologia, reso pubblico in modo teatrale e tipicamente sensazionalistico nell’esposizione Entartete Kunst, che si inaugurò a Monaco nel 1937.

3.4 ‘Entartete Kunst’

L’esposizione di arte degenerata mise in mostra più di settecento opere di arte moderna con l’unico intento di disprezzarle pubblicamente. Molti pezzi esposti erano stati confiscati dalle collezioni pubbliche e rappresentavano oltre cento artisti della

97

modernità. I dipinti vennero appesi alle pareti in modo irregolare, spesso senza cornice, con etichette che ne indicavano il prezzo che i musei pubblici avevano pagato per averle, oltre a mostrare dichiarazioni di critici e di artisti moderni scritte sulle pareti; tali opere furono inoltre accompagnate da sarcastici sottotitoli redatti da Hitler e da lunghi slogan che denunciavano l’oscenità, la pazzia, la bestemmia e la «negritudine» (Verniggerung) di quest’arte (quest’ultimo chiaramente riferito alle discendenze stilistiche dell’arte africana). Tutti gli oggetti esposti furono denunciati come «bolscevismo culturale» (Kultur-Bolchevismus) e attribuiti ad una cospirazione dell’«imperialismo ebreo». La parola degenerazione derivava dalla terminologia medica del secolo XIX impiegata per descrivere deformazioni genetiche. Lo scrittore Max Nordau autore di Degenerazione (Entarung), fu il primo a utilizzare tale parola per definire il declino della civilizzazione. Il libro era un elemento distintivo di una reazione fin de siècle contro le condizioni della vita urbana moderna, i cui effetti vennero percepiti da un punto di vista patologico (altre teorie europee simili parlavano di nevrastenia o esaurimento nervoso). La degenerazione implicava oligofrenia e sregolatezza, e ben presto venne associata a metafore politiche che utilizzavano il linguaggio della malattia e l’infezione per descrivere l’impurità politica e razziale. In un discorso sull’arte pronunciato all’epoca dell’esposizione, Hitler si servì di una combinazione analoga di allusioni metaforiche alla malattia affermando che le deformazioni dell’arte moderna erano sintomatiche dell’attuale degenerazione delle facoltà mentali e percettive degli artisti, oppure del loro impegno di ingannare e fuorviare la nazione:

Non ci lasceremo mai immischiare in interminabili discussioni con individui i quali, a dedurre dalle loro opere, sono o pazzi o imbroglioni, Sì: noi abbiamo avvertito nella maggior parte delle manovre ordite dai capi di questi Erostrati della cultura la presenza di azioni semplicemente criminali.159

98

Quello stesso anno, il ministro dell’educazione pubblicò un opuscolo nel quale venne scritto che l’arte moderna era considerata la prova principale della necessità di trovare una soluzione radicale alla questione ebrea. Da quel momento in Europa e Stati Uniti gli attacchi all’arte moderna da parte della critica conservatrice iniziarono a relazionarsi con ebrei, bolscevismo, pazzia e omosessualità. Nei regimi fascisti tuttavia, tale discorso sulla degenerazione ebbe la funzione specifica di provare a creare un ordine sociale rinato e depurato. Gran parte della propaganda fascista giocò con le dicotomie di oscurità e luce, decadenza e rinnovazione, morte e rinascita.

All’inaugurazione a Monaco dell’esposizione Arte degenerata ne seguì un’altra ben più grande, intitolata Grosse Deutsche Kunstausstellung (Grande esposizione di arte tedesca), che rimase aperta al pubblico dal 1937 fino al 1944. Tale esposizione di arte nuova, favorita dal regime, diede il via all’inaugurazione della gran Casa dell’arte tedesca (Haus der Deutschen Kunst), uno dei principali progetti edili del terzo Reich.

D’ora in poi, noi muoveremo una lotta implacabile di risanamento contro i residui veicoli del disfacimento della nostra cultura. Se, tra di loro, rimaneva qualcuno persuaso di essere destinato a qualcosa di più elevato, questi disponeva di quattro anni per offrirne la dimostrazione. Ma pure a noi quattro anni risultano sufficienti per emettere un giudizio definitivo. Ora, ve lo assicuro, tutte le combriccole di vantoni, dilettanti e imbroglioni dell’arte, che traggono reciproco sostegno dal fatto di legarsi l’una all’altra, vengono da noi snidate e stroncate. Questi uomini di cultura del Paleolitico, questi artisti in età del balbettio possono, per amor nostro, tornare alle caverne dei loro antenati e fare lì i loro primitivistici scarabocchi cosmopolitici. Infatti, la Casa dell’arte Tedesca di Monaco è stata edificata dal popolo tedesco per la propria arte tedesca. […] Non posso quindi esprimere altro auspicio, adesso, se non che nei secoli futuri questa Casa sia nuovamente in grado di mostrare al popolo tedesco, nelle sue sale, numerose opere di grandi artisti: così da concorrere non solo alla gloria di questa vera città d’arte, ma anche all’onore e al rango dell’intera nazione tedesca.160

La casa dell’arte tedesca fu aperta per ospitare gli esempi più significativi dell’arte nuova. Educative nei propositi, idealizzanti nei contenuti, moralistiche nei valori e

99

reazionarie nelle forme, pittura e scultura ufficiali assunsero un ruolo sottomesso della nuova società tedesca che il nazismo andava costruendo: dai momenti arcadici della semplice vita dei campi, funzionali alla produzione agricola, al ruolo della donna, madre del soldato, l’arte toccò tutti gli argomenti utilizzando uno stile allegorico e classicista. Dopo l’esposizione di Monaco la mostra dell’arte degenerata fece il giro della Germania facendo registrare ovunque una grande affluenza di pubblico: la stampa nazista parlò addirittura di due milioni di visitatori. Le opere esposte furono più di seicento tra dipinti, sculture e disegni. Complessivamente dai musei tedeschi furono confiscate e rimosse più di ventimila opere d’arte di cui una parte fu venduta all’estero e cinquemila andarono perdute. La mostra dell’arte degenerata ci fornisce così uno scenario completo. Hitler decise di affidarsi all’arte, utilizzandola per chiarire e diffondere tra la popolazione i fondamenti, l’indole e il reale significato del movimento nazionalsocialista: un’arte che non si risolvesse più nel binomio “genio e sregolatezza”, ma che risultasse invece solida, netta ed estroversa, regola e non eccezione, canone e non controcanto, finendo così per svilire grandi personalità e singolari movimenti artistici ancora oggi studiati e ammirati. Ed è appunto interessante notare come un’etichetta, in passato utilizzata per discreditare l’arte, è oggi diventata un marchio di qualità, atto a garantire autenticità, profondità emozionale e alto standard delle opere.