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L'eredità giacente e il curatore ereditario.

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Academic year: 2021

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(1)

UNIVERSITA’ DI PISA

Dipartimento di Giurisprudenza

Corso di Laurea Magistrale in Giurisprudenza

L’eredità giacente e il curatore ereditario.

Il Candidato

Il Relatore

Camilla Amina Angeli

Prof. Stefano Pardini

(2)
(3)

1

Indice

Introduzione

... 4

CAPITOLO I: L’EREDITÀ GIACENTE ... 6

1. Presupposti della eredità giacente ... 7

1.1. Questioni preliminari ... 7

1.2 Una valida e attuale delazione ... 8

1.3 Il chiamato ignoto ... 11

1.4 La mancanza di accettazione ... 16

1.5 Il mancato possesso dei beni ereditari ... 20

1.6 Impossibilità di amministrare e inerzia del chiamato ... 26

1.7 Mancanza di disposizioni incompatibili con la situazione di giacenza ... 28

2. La giacenza pro quota ... 30

3. La natura giuridica della eredità giacente ... 36

4. Differenza tra eredità giacente e vacante ... 41

CAPITOLO II: IL CURATORE DELL’EREDITÀ ... 45

1. La nomina del curatore ... 46

1.1 Nomina come elemento costitutivo della giacenza ... 46

1.2 Iniziativa per la nomina del curatore ... 48

1.3. Nomina tra obbligatorietà e discrezionalità ... 52

1.4. Scelta del curatore ereditario ... 54

(4)

2

1.6. Nomina in assenza dei presupposti previsti: provvedimento illegittimo. ... 60

1.7. Reclamo ... 63

2. Natura giuridica del curatore dell’eredità giacente ... 68

2.1. Esclusione della rappresentanza ... 68

2.2. Curatore come titolare di un ufficio di diritto privato ... 74

3. I poteri del curatore ereditario ... 77

3.1. Funzione del curatore ... 77

3.2. Inventario dell’eredità ... 78

3.3. Presa di possesso dei beni ereditari ... 82

3.4. Deposito delle somme di denaro ... 83

4. Atti di amministrazione ordinaria e straordinaria ... 85

4.1 Vendita dei beni ... 85

4.2. Accettazione o rinunzia dell’eredità devoluta al de cuius ... 91

4.3. Esercizio d’impresa ... 95

4.4. Divisione ... 97

5. Poteri processuali ... 99

5.1. Obbligo di esercitare e promuovere le ragioni dell’eredità ... 99

5.2. Legittimazione processuale ... 103

6. Adempimenti fiscali ... 105

6.1. Dichiarazione di successione ... 106

6.2. Dichiarazioni fiscali ... 108

7. Pagamento dei debiti ereditari ... 109

7.1. Liquidazione individuale ... 112

(5)

3

8. Responsabilità del curatore ereditario ... 122

CAPITOLO III:CESSAZIONE DELLO STATO DI GIACENZA ... 124

1. La problematicità della formulazione dell’art. 532 c.c. ... 125

2. Cause di cessazione della curatela ... 131

3. Cause di estinzione della giacenza ... 136

4. Adempimenti conclusivi ... 141

4.1. Rendiconto ... 141

4.2. Obbligo di consegna ... 143

5. Il compenso del curatore ... 144

CAPITOLO IV:CURATORE EREDITARIO E ALTRE FIGURE DI AMMINISTRAZIONE ... 151

1. L’amministrazione del chiamato ... 152

2. L’esecutore testamentario ... 160

(6)

4

Introduzione

Nel periodo che intercorre tra l’apertura della successione e l’accettazione dell’eredità da parte dei chiamati, il patrimonio ereditario si trova in una situazione del tutto peculiare: l’assenza di un titolare. La mancanza di una titolarità comporterebbe, nel caso in cui non si offrisse una risposta legislativa, una situazione di stasi forzata di tutte le relazioni costituite col de cuius che non si esauriscono con la morte.

A tal fine la Relazione del codice civile1 affermava che l’istituto della eredità giacente assolve la finalità di assicurare “la conservazione del patrimonio

ereditario in tutti i casi in cui il chiamato non vi provveda”.

Gli interpreti2 hanno sottolineato la complessità dei problemi ricostruttivi proposti da questa figura giuridica3: complessità che derivano, innanzitutto, dalla

mancanza, all’interno del nostro ordinamento, di una definizione legislativa di eredità giacente.

1 Relazione al codice civile, n. 225.

2M. LIPARI, L’eredità giacente, in Trattato delle successioni e donazioni I, Milano, 2010; M.

TRIMARCHI, L’eredità Giacente, Milano, 1954; U. NATOLI, L’amministrazione dei beni ereditari, II

edizione, Milano, 1968; L. BALESTRA – M. DI MARZIO, Successioni e donazioni, II ed, Milano, 2014;

G. GROSSO- A. BURDESE, Le Successioni. Parte Generale, in Trattato di dir. civ., Torino, 1977; F.

MESSINEO, Manuale di diritto civile e commerciale, 8 ed, Milano, 1962; C. CECERE Delle

Successioni in Commentario del Cod. Civ., Vol. I: artt. 456-564, a cura V. Cuffaro e F. Delfini, Torino,

2009; C. GIANNATTASIO, Delle successioni, in Comm. Cod. Civ., Torino, 1971; G. BONILINI, La successione ereditaria, in Tratt. di diritto delle successioni e donazioni, Milano, 2009; F. DE STEFANI,

L’eredità giacente, Varese, 2012; G. BONILINI - M. CONFORTINI, Codice delle successioni e donazioni, Torino, 2014; A. ZANNI, L’Eredità giacente: classicità dell’istituto ed attualità delle

problematicità, in Riv. not., 2003; L. FERRI, Successioni in generale, in Commentario cod. civ., Bologna-Roma, 1968; S. PASSARELLI, Istituzioni di diritto civile, II edizione, I, Napoli, 1946; R.

CAMPAGNOLO, Le successioni mortis causa, Milano, 2011; NICOLO’, Eredità Giacente, in Riv. Dir.

Civile, 1941; L. BARASSI, Le Successioni per causa di morte, 3 ed., Milano; A. CICU, Sull’istituzione

di erede condizionale, in Scritti giurid. I, Padova, 1939; G. PERLINGERI, Delle successioni, in Codice

Civile Annotato, Napoli, 2010; B. DUSI, L’eredità giacente, Torino, 1891; R. MASONI, Guida alla

volontaria giurisdizione, Milano, 2011; G. AZZARITI, Le successioni e le donazioni, Jovene, 1990.

(7)

5 L’unico riferimento che il codice civile ci offre è l’art. 528 c.c. che determina i presupposti per la nomina del curatore, ma non pare idoneo ad inquadrare compiutamente il fenomeno dell’eredità giacente. Anche se parte della dottrina4 vi ha fatto discendere una sorta di definizione; tale norma identifica solamente i presupposti in presenza dei quali è possibile applicare la disciplina del curatore ereditario.

Questo studio è diretto a ricercare a mezzo degli appunti della dottrina e della giurisprudenza, gli elementi più salienti dell’istituto; partendo dalla enunciazione dei suoi presupposti fondamentali, cercando di inquadrarne la natura giuridica e sottolineando le caratteristiche che la distinguono da altre forme di vacanza della titolarità. Successivo sviluppo di questioni aspramente dibattute quali la possibilità di qualificare una giacenza pro quota, l’evoluzione della posizione del chiamato ignoto, la rilevanza dell’inerzia del chiamato, ecc...

Da ultimo affronteremo una analisi dettagliata della figura del curatore dell’eredità giacente, partendo dal momento della sua nomina fino alla cessazione delle sue funzioni. In questa analisi oltre allo studio delle svariate funzioni ed obblighi del curatore ereditario, sarà interessante osservare le caratteristiche che lo differenziano dalle altre figure gestionali che curano il patrimonio ereditario nel periodo transitorio antecedente alla accettazione. Ci proponiamo anche di esaminare gli aspetti più dibattuti in dottrina e giurisprudenza riguardo alla figura del curatore, inerenti alla sua natura giuridica, l’ampiezza delle sue funzioni e dei suoi poteri, alla cessazione del suo incarico e del suo compenso.

(8)

6

CAPITOLO I

L’EREDITÀ GIACENTE:

(9)

7

1. Presupposti della eredità giacente

1.1. Questioni preliminari

Per affrontare le problematiche inerenti all’istituto della eredità giacente è necessario analizzare i confini spazio temporali dello stesso, perché dalla definizione di tali confini deriva la risoluzione di numerose questioni inerenti al fenomeno successorio.

L’apertura della successione configura un momento importante per la determinazione delle problematiche inerenti alla trasmissione iure hereditatis del patrimonio del de cuius5.

L’apertura della successione indica che un patrimonio, a causa della morte di un soggetto, è rimasto privo di titolare, determinando la necessità che altri soggetti subentrino nei rapporti, attivi e passivi, che sopravvivono al de cuius.

La successione ex articolo 456 c.c. si apre “al momento della morte6, nel luogo di ultimo domicilio del defunto”, a cui è equiparata, ai nostri fini, anche l’ipotesi di

morte presunta. Absentia longa morti aequiparatum.

La morte presunta è una particolare previsione ex lege di morte, che necessita di un accertamento giudiziale con sentenza7.

5F. DE STEFANI, op. cit., p. 5.

6

Secondo l’art. 1 L. 29 dicembre 1993, n. 578, la morte è definita come la “cessazione

irreversibile di tutte le funzioni celebrali”. In tal senso anche la Cass. 2 gennaio 1981 n. 536, per cui la dichiarazione di morte presunta determina una vera apertura della successione mortis

causa.

7 La sentenza deve esplicitamente dichiarare la morte dell'assente nel giorno a cui risale l'ultima

notizia dell’assente. Perché possa essere pronunciata tale sentenza, è necessario che siano trascorsi almeno dieci anni dal giorno a cui risale l’ultima notizia del soggetto, e nove anni dal momento in cui questi sia diventato maggiorenne. Una volta esperito l’accertamento giudiziale, tale situazione è

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8 All’interno del nostro ordinamento possiamo però trovare delle situazioni di vacanza della titolarità, assimilabili alla morte, ma a cui non è possibile applicare l’istituto della giacenza: la scomparsa e l’assenza. Per queste situazioni peculiari, in cui abbiamo un patrimonio momentaneamente “acefalo”, il legislatore ha previsto delle curatele particolari8, capaci di rispondere all’esigenza di amministrare il

patrimonio di un soggetto che sia temporaneamente irreperibile ma di cui non si possa accertare la morte. Tali figure amministrative devono essere tenute distinte dal curatore ereditario, nominato nei casi di giacenza dell’eredità.

1.2 Una valida e attuale delazione

I presupposti fondamentali per l’applicazione dell’istituto della eredità giacente li troviamo nell’art. 528 c.c.. Questo articolo si apre affermando “quando il chiamato

non ha accettato l’eredità […]”.

Un autorevole indirizzo dottrinale9, ritiene che sia indispensabile per il verificarsi del primo presupposto, la presenza di una valida ed attuale delazione.

Analizziamo preliminarmente il significato dei termini “vocazione” e “delazione” per determinare in cosa consti la loro diversità. Al momento della morte, e della conseguente apertura della successione, noi abbiamo il verificarsi di due eventi fondamentali: la vocazione e la delazione. Sebbene parte della dottrina10 ritenga che si possa parlare indifferentemente dell’una o dell’altra, ci sono ipotesi particolari che

perfettamente assimilabile alla morte fisica in merito alla possibilità di dichiarare la giacenza dell’eredità.

8 Vedi infra: Cap. IV, p. 148.

9M. LIPARI, op. cit., p.439; M. TRIMARCHI op. cit., p. 19; 10 F. MESSINEO, op. cit., p. 472

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9 ci mostrano quanto ciò non sia possibile e che dimostrano, le profonde differenze tra i due termini11.

Per vocazione dobbiamo intendere l’aspetto soggettivo con cui si individuano i soggetti definiti “chiamati”, una indicazione originaria del successore,12 preesistente rispetto alla morte del de cuius, ma che diventa attuale solo con essa.

Per delazione dobbiamo intendere l’aspetto oggettivo cioè l’attribuzione al chiamato di determinati poteri: il diritto di accettare o rifiutare l’eredità; l’attribuzione ad una persona del diritto di succedere mortis causa13.

La distinzione tra questi aspetti della successione è chiara e rilevante in determinate ipotesi. La vocazione, ad esempio, rileva per gli effetti giuridici che si realizzano dopo la morte di un soggetto: il diritto alla apposizione o rimozione di sigilli è riconosciuto a determinati soggetti ma per tali attività non è richiesta la presenza della delazione. La vocazione dimostra però, tutta la sua autonomia in alcuni casi in cui è predisposta dalla legge una amministrazione e gestione dei beni ereditari, prima che sia possibile la delazione.

Casi esemplificativi di questa autonomia sono costituiti dalla istituzione di erede in favore di nascituro14 o di un ente non riconosciuto, e dalla istituzione di erede sotto condizione sospensiva.

Il nascituro concepito e l’ente non riconosciuto, sono ritenuti soggetti capaci di succedere15; ma l’ordinamento non attribuisce ad essi la capacità giuridica, prima che vengano ad esistenza o siano riconosciuti. Questo significa che, ad esempio, il

11 Per una trattazione più completa dei rapporti tra delazione e vocazione, vedi Gorgoni. 12M. TRIMARCHI, op. cit., p. 19.

13M. TRIMARCHI, op. cit., p. 19.

14 “un non concepito, figlio di una determinata persona vivente.” 15 Relazione al Codice civile, n. 292.

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10 concepito “può ricevere per testamento purché figlio di persona determinata vivente

al momento della morte”, ma non può esercitare il suo diritto di accettazione

dell’eredità in quello stato. Nei confronti di tali soggetti si ha una valida e attuale vocazione, ma non una valida ed attuale delazione. La nascita e il riconoscimento sono elementi essenziali perché sussista capacità giuridica e si possa validamente avere delazione.

Altro caso in cui sussiste la sola vocazione lo troviamo nell’istaurazione di erede sotto condizione sospensiva. Fino al momento in cui tale condizione non si verifichi o la sua attuazione divenga impossibile, non abbiamo una delazione attuale. Tuttavia, alcuni16 ritengono che si possa parlare di una delazione che si attua nonostante la pendenza della condizione, o che, a causa della condizione, vada riconosciuta al designato una situazione di aspettativa17 in rapporto all’ingresso nella sfera ereditaria. Questa soluzione tradizionale che fa sorgere di una aspettativa in capo ai designati condizionati, non soddisfa parte della dottrina18 che non ritiene adeguato applicare a questa ipotesi gli istituti del negozio condizionato, in quanto una posizione centrale è assunta dalla volontà testamentaria. Fino a che non si verifica la condizione richiesta, il soggetto indicato non è determinato compiutamente. Non essendo determinato, nemmeno in questa ipotesi potrà sorgere una delazione.

In tutti questi casi abbiamo una vocazione ma non una delazione e perciò non potrà aversi giacenza, ma si avrà una situazione interinale di vacanza19, disciplinata dal legislatore che ha approntato degli strumenti di amministrazione per tutelare

16A. CICU, op. cit., p. 95.

17G. GROSSO- A. BURDESE, op. cit., p 195. 18M. TRIMARCHI, op. cit., p. 27.

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11 questi patrimoni rimasti momentaneamente acefali. Nonostante la funzione dei soggetti indicati come amministratori, in queste ipotesi speciali, abbia lo stesso contenuto di quella curatore ereditario ex art. 528 c.c., tali istituti devono essere tenuti distinti.

Una volta compresa la fondamentale differenza tra la vocazione e delazione, attestiamo come per l’istituto della eredità giacente, sia indispensabile la presenza della seconda. Quando ci riferiamo ad una valida ed attuale delazione ci riferiamo alla esistenza di una devoluzione contingente dei beni del de cuius, nei confronti di uno o più chiamati. Affinché “il chiamato non abbia accettato l’eredità” è necessario che il chiamato si trovi nel diritto di accettare l’eredità20, di compiere la additio, senza però averlo esercitato.

1.3 Il chiamato ignoto

Un caso particolarmente discusso dalla dottrina, in ordine alla possibile applicazione o meno dell’istituto della giacenza, è quello del chiamato ignoto. La questione riguarda il seguente quesito: se la dichiarazione di giacenza debba necessariamente derivare dalla prova di una mancata accettazione, o se possa aversi anche in caso di incertezza sulla esistenza attuale di un chiamato all’eredità.

Il codice civile del 1865 stabiliva espressamente che “Quando l’erede non sia

noto, o gli eredi testamentari o legittimari abbiano rinunziato, l’eredità si reputa giacente e si provvede alla amministrazione o conservazione dei beni ereditari per mezzo di curatore”21. Per il codice del 1865 la nomina del curatore, era coerente con

20M. TRIMARCHI, op. cit., p. 27. 21 Art. 980 c.c. 1865.

(14)

12 la regola della investitura automatica dell’erede al momento della morte del de

cuius22. Era sufficiente una situazione di semplice incertezza sulla identità del chiamato per giustificare l’istituzione di una curatela.

Il codice del 1942 non ha menzionato espressamente tale ipotesi in caso di chiamato ignoto ed ha rivoluzionato il sistema della accettazione di eredità, scardinando l’idea di una investitura automatica nel patrimonio della eredità.

Parte della dottrina23 ritiene che la menzione del chiamato ignoto all’interno delle ipotesi di eredità giacente sia implicita “è evidente che essa sia già compresa

nella ipotesi del chiamato che non accetti e non si trovi nel possesso dei beni24”. Alcuni25 hanno però obbiettato tale soluzione, affermando che, nell’ipotesi del chiamato ignoto non si possa applicare il regime della eredità giacente, bensì vada applicata la regola contenuta nell’art. 70 c.c. “Quando s'apre una successione alla

quale sarebbe chiamata in tutto o in parte, una persona di cui s'ignora l'esistenza, la successione è devoluta a coloro ai quali sarebbe spettata in mancanza della detta persona, salvo il diritto di rappresentazione.” In base a tale indirizzo l’incertezza

22 Nel codice del 1865 l’investitura dell’erede era automatica e seguiva il principio della saisine

francese, che affermava il passaggio di diritto nel possesso dei beni ereditari senza bisogno di materiale apprensione. L’art. 775 codice Napoleonico affermava che “nessuno è tenuto ad accettare

una eredità che gli è devoluta”, quindi l’accettazione era elemento necessario anche nella previgente

disciplina ma serviva solo come conferma. L’erede anche prima della accettazione aveva tale possesso e nell’intervallo tra apertura della successione e accettazione ne aveva la amministrazione. Solo la rinuncia aveva funzione di clausola risolutiva.

23G. BONILINI, op. cit., p. 1180; C. GIANNATTASIO, op. cit., p. 228.

24 Relazione al Codice civile n. 225 “[…] È stato peraltro suggerito di prevedere

espressamente anche l'ipotesi in cui il chiamato sia ignoto. Com'è già stato rilevato in sede di redazione del progetto definitivo, tale previsione sarebbe superflua, poiché è evidente che essa è già compresa in quella del chiamato che non accetti e non si trovi nel possesso dei beni.”

25G. GROSSO- A. BURDESE, op. cit., p 197: si afferma che in al momento della morte se si

ignora l’esistenza del chiamato, l’eredità è devoluta a coloro a cui sarebbe spettata in mancanza di tale persona; ma se si ignorasse l’esistenza di chiamati successivi, l’eredità sarebbe automaticamente devoluta e acquisita dallo Stato; ROMAGNOLI, Dell’assenza, Bologna-Roma, 1970, in C. CECERE op.

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13 sull’esistenza del successibile è equiparabile alla non esistenza e in questo caso sarebbe impossibile prospettare una delazione attuale.

La Corte Suprema26 ha cercato di mettere un punto a tale dibattito. Ha affermato

che perché si possa avere delazione è certamente necessario che vi sia un “designato

esistente” all’apertura della successione. In difetto di tale requisito, avviene talvolta

che l’eredità sia devoluta agli ulteriori successibili a cui sarebbe spettata. Talvolta può accadere che si ignori se il successibile sia ancora in vita o se egli sia mai nato. Su tale punto abbiamo visto come, parte della dottrina ha ritenuto di dover devolvere l’eredità agli ulteriori chiamati o, in mancanza ai successibili, come disciplinato dall’art. 70 c.c.; altra parte27 della dottrina ha ritenuto possa trovarvisi fondamento della eredità giacente.

La Corte Suprema28 ha affermato che alcuni hanno ravvisato nell’art. 70 c.c. “la prova della tesi secondo cui la semplice incertezza dell’esistenza in vita del

chiamato escluderebbe la delazione; con una duplice conseguenza: non potrebbe parlarsi di eredità giacente, la quale presuppone una già avvenuta delazione, collocandosi nell’intervallo tra delazione e accettazione, ed inoltre dove i chiamati ulteriori manchino, si imporrebbe la successione dello Stato.”

La Corte ha poi precisato che l’art. 70 c.c. “non esaurisce tutte le possibili

ipotesi di incertezza sulla vita di una persona”, ma si riferisce al caso in cui il

designato alla successione sia un soggetto scomparso che era certamente esistente in un momento antecedente. Non rientra in tale previsione normativa il caso in cui vi sia

26 Cass. Sezione III, 16 luglio 1973, n. 2069, in Foro it., 1974, I, 1501.

27L. BALESTRA – M. DI MARZIO, op. cit., p. 234; M. LIPARI, op. cit., p. 443. 28 Cass. 16 luglio 1973, n. 2069, in Foro it., 1974, I, 1501

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14 incertezza in ordine alla stessa identificazione dei chiamati29: non si sa chi siano e se siano mai esistiti; quindi non vi rientra il caso del chiamato ignoto. Ciò, per la Suprema Corte, sarebbe inoltre attestato dal fatto che anche nel codice civile del 1865 si disciplinava il caso dello scomparso tramite la devoluzione agli ulteriori successibili, e quello del chiamato ignoto attraverso l’eredità giacente; “d’altro canto

i lavori preparatori del codice civile testimoniano senza possibilità di dubbi che, mentre il caso del chiamato noto, ma scomparso, è stato regolato con l’art. 70 c.c., quello del chiamato ignoto fu ritenuto ancora inquadrabile nell’ambito dell’eredità giacente, pur se si considerò superflua una previsione specifica”30.

La dottrina maggioritaria31, in linea con la giurisprudenza della Corte Suprema, ritiene quindi, che per aversi giacenza sia sufficiente il fondato dubbio circa l’esistenza dei chiamati all’eredità, mentre la successione dello stato opera solamente quando può escludersi con certezza l’esistenza di ulteriori chiamati. La questione del chiamato ignoto è una situazione di mero fatto caratterizzata dall’incertezza sul punto se una determinata persona sia mai esistita32.

Il rilievo decisivo è che in nessun modo una incertezza sull’esistenza di un chiamato, possa essere equiparata alla certezza della non esistenza tanto da escludere una possibile delazione.

29 M. LIPARI, op. cit., p. 443. l’art. 70 riguarda esclusivamente l’ipotesi in cui sia nota l’identità

del chiamato ignorandosene solo l’esistenza, mentre gli artt. 528 ss concernono il diverso caso in cui sussista incertezza in ordine alla stessa identificazione dei chiamati”.

30 Cass. 16 luglio 1973, n. 2069, in Foro it., 1974, I, 1501.

31 G. BONILINI - M. CONFORTINI, op. cit., p. 432; M. LIPARI, op. cit., p. 442., G. AZZARITI,

op. cit., p. 184; C. GIANNATTASIO, op. cit., p. 228: secondo cui sebbene il chiamato possa essere

ignoto, ciò non è di ostacolo alla dichiarazione di giacenza dell’eredità. M. TRIMARCHI, op. cit., p.31; M. LIPARI, op. cit., p. 443.

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15 Una momentanea incertezza non esclude una successiva scoperta della esistenza del soggetto o della sua inesistenza con devoluzione successibili ulteriori. Proprio in prospettiva di tale possibilità, è necessario istaurare una curatela per amministrare i beni ereditari e evitare una loro dispersione. Tali considerazioni spiegano come mai nel periodo iniziale di applicazione del codice vigente non vi fossero dubbi sulla applicazione della giacenza a dette situazioni.

Inoltre, la tesi opposta secondo cui ogni volta che si dubiti se i chiamati, per legge o per testamento, siano esistiti, l’eredità dovrebbe considerarsi devoluta allo Stato, finisce per ampliare esageratamente l’operabilità dell’art. 586 c.c. che condiziona la successione dello stato alla “mancanza di altri successibili e non al

semplice dubbio sulla loro esistenza”33.

L’istituto della eredità giacente sembra inoltre assicurare al patrimonio ereditario e alle ragioni dei creditori una tutela più adeguata rispetto a quella dello Stato. Quest’ultima è definitiva e risponde esclusivamente ad esigenze proprie, mentre la curatela ereditaria è temporanea e preordinata alla cura di interessi altrui. “Concludendo deve ritenersi che la nomina di un curatore dell’eredità giacente può

essere chiesta anche nel caso in cui designata per legge o per testamento sia una persona di cui non si sappia se sia mai esistita o se sia in vita al momento della apertura della successione34”.

33 Cass. 16 luglio 1973, n. 2069, in Foro it., 1974, I, 1501.

34 Cass. Sezione III, Sentenza 16 luglio 1973, n. 2069, in Foro it. 1974, I,1501; Cass. Sezione

II, 31 marzo 1987, n. 3087 in Foro it, 1988. Per la connessa possibilità di nomina di un curatore non è necessario che sia certa l'esistenza di un chiamato all'eredità il quale non l'abbia accettata e non sia nel possesso di beni ereditari, ma è sufficiente che si ignori se il "de cuius" abbia eredi e se questi siano ancora in vita.

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16 1.4 La mancanza di accettazione

Come abbiamo già avuto modo di notare, la nomina del curatore ereditario postula come principale requisito la mancata accettazione della eredità: se il chiamato accettasse l’eredità e la acquisisse, non ci sarebbe alcuna ragione di affidare tali beni ad un soggetto terzo; il chiamato diverrebbe titolare di tali beni e li gestirebbe nel modo ritenuto opportuno. La norma però è formulata in modo da richiedere un requisito negativo: l’omessa accettazione della eredità come presupposto principale della curatela ereditaria.

Per alcuni35 tale presupposto sarebbe una “inutile specificazione del momento

al quale la curatela si riferisce e, contemporaneamente dei limiti della sua durata specificati all’art. 532 c.c.”. Per tale indirizzo il requisito del possesso dei beni,

richiesto dall’ art. 528 c.c., eliminerebbe l’utilità dell’accertamento di una eventuale avvenuta accettazione; poiché pur non essendovi accettazione, non si potrà dichiarare la giacenza se il soggetto è nel possesso dei beni.

Tale conclusione non è ritenuta condivisibile da alcuni autori36, poiché di contro si afferma che la semplice mancanza del possesso non è sufficiente ma deve essere collegata ad un soggetto nei cui confronti vi sia una delazione attuale e che non abbia accettato. Inoltre, solo la mancanza di accettazione dimostra l’attualità della delazione che è l’unica cosa che abilita il chiamato a compiere l’additio, anche se rinunciante, salvo prescrizione del diritto o accettazione da parte di altri chiamati37.

35U. NATOLI, op. cit., p. 243; CONTURSI-LISI, op. cit., p. 323.

36M. TRIMARCHI, op. cit., p.43; G. GROSSO- A. BURDESE, op. cit., p. 197: per cui tale requisito

sottolinea la necessità dell’esistenza attuale del chiamato, che abbia diritto di accettare l’eredità ma non l’abbia esercitato.

37M. TRIMARCHI, op. cit., p. 43, L’autore collega il requisito della attualità della delazione alla

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17 Il presupposto della mancata accettazione si trova ribadito nell’art. 532 c.c., in cui viene stabilito che il curatore cessa dalle sue funzioni per l’avvenuta accettazione da parte di un chiamato. Questa affermazione dimostra come tale requisito non debba solo esistere inizialmente, per poter dichiarare la giacenza, ma debba perdurare affinché il curatore possa agire legittimamente38.

Dobbiamo capire come sia possibile determinare la presenza di tale requisito, quindi la mancanza di accettazione. Si riscontra infatti una certa difficoltà nel far discendere la giacenza dalla mancanza di accettazione, poiché come sappiamo, questa può avvenire sia in modo espresso, che in modo tacito39. Inoltre, l’accettazione non richiede un regime pubblicitario definito se non contiene beni immobili o non è fatta con inventario40. Come può quindi, il giudice che deve dichiarare lo stato di giacenza,

provare la mancanza di accettazione? Posto che si tratta di una dimostrazione in negativo, si è cercato di svincolarla da “prove che siano di difficile esibizione o

accurate indagini processuali”41.

La soluzione prospettata dalla Corte di Cassazione42 è che, data la difficoltà di provare un fatto oggettivo, il giudice deve accontentarsi della prova di un dato soggettivo: l’ignoranza di una cerchia di persone, che normalmente dovrebbero essere informate, dell’avvenuta accettazione da parte del chiamato: “Ci si dovrà

nuovo chiamato non lo eserciti. L’accettazione del chiamato successivo determina il venir meno del requisito primario della mancata accettazione, anche se il primo chiamato non ha acquistato l’eredità.

38L. FERRI, op. cit., p. 149.

39 L. FERRI, op. cit., p. 149, in cui si afferma che per rendere più facile l’individuazione

dell’avvenuta accettazione sarebbe stato possibile specificare che per far cessare la giacenza era necessaria la “dichiarazione di accettazione”, come proposto ex art. 73 progetto preliminare c.c. Tale proposta non fu accolta affermando che l’accettazione, in qualunque forma fosse fatta, doveva escludere la giacenza.

40L. BALESTRA – M. DI MARZIO, op. cit., p. 533.

41ZANNI, op. cit., p. 943.

(20)

18 accontentare della prova che, in un certo ambiente, non consta esservi stata accettazione”43. Questa è l’unica soluzione prospettabile per poter dichiarare la giacenza che si risolve nella “prova di un fatto soggettivo (l’ignoranza

dell’accettazione)”44

Così interpretato il requisito della mancata accettazione, lungi dall’essere privo di autonomo contenuto, sottolinea la necessità dell’esistenza attuale di un chiamato che abbia il diritto di accettare l’eredità e non lo abbia esercitato45.

È necessario chiarire per garantire una esposizione maggiormente esaustiva, una questione che era dibattuta durante la vigenza del codice abrogato: se per ritenersi giacente, l’eredità occorresse una mancata accettazione da parte di tutti i successibili o solamente dei primi. Preferiamo la tesi che richiede che la mancata accettazione sia esercitata solamente da parte dei primi chiamati, non potendosi pretendere che i creditori e le persone interessate in genere, debbano percorrere tutti i gradini della scala ereditaria, ed attendere un tempo indefinito per ottenere una risposta; soprattutto poiché a ciascun chiamato dovrebbe essere riconosciuto il diritto ad uno spatium

deliberandi46.

Un problema peculiare si pone in relazione alla rinuncia all’eredità da parte del chiamato. La rinuncia costituisce un comportamento positivo che normalmente ha l’effetto di determinare l’estinzione del rapporto47; ma in relazione al diritto

43L. FERRI, op. cit., pp. 149-150.

44 Cass., 16 luglio 1973, n. 2069, in Foro it. 1974, I,1501

45M. TRIMARCHI, op. cit., p.43; L. FERRI, op. cit., p. 149; in G. GROSSO- A. BURDESE, op.

cit., p. 197

46 C. GIANNATTASIO, op. cit., p. 228. 47S. PASSARELLI, op. cit., p. 149.

(21)

19 successorio tale effetto non si produce direttamente e immediatamente. Il chiamato quindi, pur avendo rinunciato alla eredità, conserva il diritto di accettarla.

Ex art. 525 c.c.; il diritto di accettare l’eredità, nonostante la rinuncia, permane per il chiamato fino al momento della sua prescrizione. La Corte di Cassazione48 ha inoltre affermato che “La rinunzia all'eredità non fa venir meno la delazione del

chiamato, stante il disposto dell'art. 525 c.c. e non è, pertanto, ostativa alla successiva accettazione”.

Chiaramente la posizione del chiamato che non ha ancora accettato,

mantenendo un comportamento negativo, e quella del rinunciante che ha posto in essere un comportamento positivo, non sono del tutto sovrapponibili49. Il rinunciante infatti, ha limitate possibilità di accettare: può esercitare tale diritto fino a quando non risulti, per lui, prescritto o fino a quando l’eredità non sia accettata da un altro dei chiamati. Quindi anche nel caso di rinuncia da parte di un chiamato all’eredità, fino a quando il diritto di accettare non si è del tutto prescritto o un chiamato successivo non abbia accettato l’eredità, questa non costituirà un elemento ostativo della giacenza.

Dobbiamo precisare che non è più configurabile il presupposto della giacenza quando la rinuncia proviene da tutti i chiamati e non vi sono altri successibili; posto che in tale situazione l’eredità è devoluta senza bisogno di accettazione allo Stato50.

48 Cass., 18 aprile 2012, n. 6070, in Foro it. 49M. TRIMARCHI, op. cit., p. 42.

50 Cass., 8 giugno 1968, n. 1754, in Foro it, 1968, I, 1834. “Non può certo dirsi che una persona

sia morta senza eredi solo perché i chiamati non abbiano accettato l’eredità. Tale situazione dà luogo soltanto alla giacenza dell’eredità e il curatore dell’eredità giacente […]. Se poi tutti i chiamati rinunzino all’eredità, o non vi siano altri successibili, l’eredità è devoluta di diritto, senza bisogno di accettazione allo Stato, il quale non può rinunziarvi»”

(22)

20 1.5 Il mancato possesso dei beni ereditari

Il secondo presupposto ex art. 528 della giacenza è il mancato possesso dei beni ereditari da parte del chiamato. Questa esigenza è coerente con l’idea che, se il chiamato si trovasse nel possesso dei beni, non sarebbe necessaria una curatela di un altro soggetto, poiché i beni nel suo possesso non potrebbero divenire oggetto di possibile dispersione. Inoltre nel caso in cui un chiamato sia in possesso dei beni la situazione di incertezza è destinata a risolversi in un breve lasso di tempo, in virtù dell’art. 485 c.c..

Preliminarmente dobbiamo risolvere la questione di che cosa si intenda in questo ambito per possesso. La nozione di possesso assume, nel diritto delle successioni, un significato peculiare rispetto a quello “tradizionalmente inteso”51.

L’art. 528 c.c. si riferisce non al possesso in senso tecnico, ma al semplice “possesso materiale”52, inteso come pura relazione materiale tra il soggetto ed il bene53. Per l’applicazione della giacenza occorre che il chiamato non abbia, a qualsiasi titolo in suo possesso i beni appartenenti all’eredità. L’effettiva e materiale apprensione della cosa, basta per integrare il “possesso” ex art. 528 c.c., la cui mancanza determina la possibile applicazione della giacenza dell’eredità54.

51F. DE STEFANI, op. cit., p. 17, per cui tale nozione di possesso è utilizzata in senso atecnico,

non corrispondendo a quella offerta dall’art. 1140 c.c. “potere sulla cosa che si manifesta in un'attività

corrispondente all'esercizio della proprietà o di altro diritto reale.” Non sarebbe necessaria, in tale

frangente, la presenza di un animus possidendi.

52R. CAMPAGNOLO, op. cit., p. 290. Parte della dottrina (G. BONILINI - M. CONFORTINI, op.

cit., p.432; M. TRIMARCHI, op. cit., p. 47) sostiene come tale possesso richiesto, possa riferirsi anche

alla semplice detenzione, essendo ostativa alla nomina del curatore la semplice presenza di una qualsiasi relazione materiale tra chiamato e bene, indipendentemente dalla sussistenza di un particolare elemento soggettivo. In tal senso anche U. NATOLI, op. cit., p. 250: afferma che “occorre

che il chiamato non abbia a nessun titolo la detenzione dei beni appartenenti all’eredità”.

53M. TRIMARCHI, op. cit., p. 47; L. FERRI, op. cit., p. 150.

54M. LIPARI, op. cit., p. 444: per cui non è necessario che il chiamato esprima un particolare

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21 È richiesto che il “possesso” esista, quanto meno, nel suo elemento materiale, nel corpus, senza distinguere quale sia il titolo che ad esso ha dato origine55.

Dobbiamo capire se il semplice possesso a qualsiasi titolo dei beni ereditari dopo l’apertura della successione, sia in grado di integrare i presupposti per l’applicazione dell’art. 485 c.c..

Tale articolo costituisce, come abbiamo accennato, il presupposto ideologico per affermare come, la curatela non risulti necessaria nel caso in cui, un chiamato sia nel possesso dei beni ereditari: “Il chiamato all'eredità, quando a qualsiasi titolo è

nel possesso di beni ereditari, deve fare l'inventario entro tre mesi dal giorno dell'apertura della successione o della notizia della devoluta eredità. […] Trascorso tale termine senza che l'inventario sia stato compiuto, il chiamato all'eredità è considerato erede puro e semplice”. Si può dedurre che, il lasso temporale di vacanza

di titolarità, nel caso di chiamato nel possesso, sia estremamente breve e non giustifichi il dispendio di risorse necessario per la nomina di un curatore.

Parte della dottrina56 sostiene che per integrare questo articolo non sia sufficiente la semplice apprensione materiale, ma che sia necessaria una specifica

consapevolezza. Si ritiene che la norma richieda la consapevolezza della avvenuta

delazione e la consapevolezza che il bene in oggetto appartenga all’eredità (Ignoranti

possessio non acquiritur).

fatto esercitato sui beni; F. DE STEFANI, op. cit., p. 17; G. BONILINI - M. CONFORTINI, op. cit., p.432; M. TRIMARCHI, op. cit., p. 47.

55U. NATOLI, op. cit., p. 220

(24)

22 Secondo parte della dottrina57 “per possesso ai fini suddetti è da intendersi una

qualsiasi situazione di disposizione di fatto, non importa se qualificabile come possesso in senso proprio o detenzione, ma richiedendo solamente la conoscenza dell’appartenenza del bene all’eredità a sé devoluta”.

Anche la Relazione al Codice58 concorda sul punto, affermando che non si può

applicare tale disciplina nel caso che il chiamato sia in possesso di un bene del defunto in “buona fede”, cioè lo abbia acquistato a non domino e ritenga che sia di sua proprietà. Inoltre, nella Relazione possiamo leggere “non può sorgere dubbio che la

disposizione in esame (art. 485 c.c.) si applica solo a chi possiede consapevolmente i beni che fanno parte dell’eredità”. Tale definizione, tuttavia, secondo una dottrina59

non sarebbe sufficiente a fugare tutti gli eventuali dubbi e tutte le questioni inerenti l’applicazione dell’art. 485 c.c. e il suo collegamento con i limiti di applicazione dell’art. 528 c.c. Risulta evidente un bisogno di determinare cosa si intenda per “beni

che fanno parte dell’eredità” in relazione all’art. 485 c.c. che, se applicato,

escluderebbe il costituirsi di una curatela giudiziale. Il chiarimento della Relazione può essere interpretato in due differenti modi60:

a. come l’indicazione di una necessaria distinzione tra il possesso dei beni ereditari in buona fede ed in mala fede. In questo senso per determinare l’applicazione dell’istituto del possesso dei beni ereditari, si renderebbe opportuna una indagine psichica del possessore.

57 G. GROSSO - A. BURDESE, op. cit., p. 198: per cui non è importante a quale titolo si è

possessori, ma è necessaria la consapevolezza di possedere materialmente, un bene appartenente all’eredità del de cuius.

58 Relazione al Codice civile n. 244. 59U. NATOLI, op. cit., p. 222. 60U. NATOLI, op. cit., p. 222.

(25)

23 b. come l’indicazione della possibilità di esclusione delle conseguenze “negative”

derivate dalla applicazione del possesso dei beni ereditari ex 485 c.c., in caso di detenzione senza consapevolezza della loro appartenenza61.

La prima tesi prospettata comporta inconvenienti di non facile risoluzione, poiché l’applicazione della norma dipenderebbe dalla prova che il chiamato fosse a conoscenza della vera appartenenza dei beni in suo possesso. E nel caso del possesso, la buona fede si ritiene presunta62. Capiamo come non sia facile in questo ambito la prova contraria, soprattutto in quanto “Mala fides superveniens non nocet”63. Ciò

influirebbe in modo negativo sulla applicazione del art. 528 c.c. e lederebbe gli interessi connessi.

Sembra quindi preferibile la seconda ipotesi64 secondo cui per l’applicazione

degli artt. 485 e 528 c.c. sia sufficiente la semplice detenzione del bene ereditario, indipendentemente dall’animus possidendi. Sarà sufficiente tale detenzione da parte di un chiamato per escludere la curatela giudiziale.

La questione, di non poca rilevanza, che si pone è: se nel caso in cui il soggetto in questione, ignori la reale appartenenza del bene, tale ignoranza diventa del tutto irrilevante. Si ritiene che tale consapevolezza mantenga un certo margine di rilevanza.

61 Si escluderebbe il concretizzarsi delle conseguenze del possesso da parte del chiamato:

diventare erede puro e semplice se entro tre mesi dalla apertura della successione, il soggetto non abbia ottemperato l’onere di fare l’inventario. Se l’erede in possesso dei beni non ne fosse consapevole tale conseguenza non si verificherebbe.

62 Il possesso di buona fede è un istituto giuridico che rileva se chi esercita un potere di fatto

sulla cosa non ha la consapevolezza di ledere un diritto vantato da terzi sulla cosa, sempre che tale ignoranza non sia causata da colpa grave. “È possessore di buona fede chi possiede ignorando di

ledere l'altrui diritto. La buona fede non giova se l'ignoranza dipende da colpa grave. La buona fede è presunta e basta che vi sia stata al tempo dell'acquisto.”.

63 La mala fede sopravvenuta non nuoce: cioè non rileva se ad un certo punto il soggetto abbia

appreso la vera appartenenza dei beni ereditari.

(26)

24 In tal senso un illustre autore65 afferma che l’animus del possessore rileva a posteriori, potendo impedire il concretizzarsi delle conseguenze dell’art. 485 c.c.. Il chiamato possessore può quindi provare la sua “incolpevole ignoranza” per evitare di essere dichiarato erede puro e semplice. L’essere in buona fede avrebbe rilevanza solamente a posteriori.

La seconda questione su cui risiedono opinioni divergenti tratta, quale sia l’entità dell’oggetto posseduto sufficiente, per integrare l’applicazione dell’art. 428 c.c.. Ci si chiede se sia sufficiente anche il possesso di un solo oggetto, benché di scarso valore, per integrare l’applicazione di tale articolo ed escludere la giacenza.

Il problema è che il codice non determina l’entità di tali beni o la loro specie, e ciò provoca una situazione di incertezza. Posto che è chiaro che non sia necessario il possesso dell’intero asse ereditario66, dobbiamo comprendere quale sia il “possesso minimo”. È prevalente l’idea, in dottrina, che basti il possesso di un solo bene ereditario o di singoli beni ereditari: la precisazione che deve essere fatta, però, è che il bene o i beni posseduti, siano essi mobili o immobili, devo costituire una parte non trascurabile del patrimonio ereditario67. Devono in ogni caso essere beni “che

abbiano un valore intrinseco non irrilevante”68 altrimenti rischiamo di far sì che il possesso, anche di uno solo bene di scarso valore, impedisca la gestione del curatore

65U. NATOLI, op. cit., p. 223.

66 Sebbene in tal senso si siano espressi alcuni: A. BUTTERA Libro delle successioni per causa

di morte e delle donazioni, II, Torino 1940. Tale tendenza traeva il suo fondamento dalla lettura di

alcuni articoli del vecchio codice civile del 1865 (952,959,962), anche se già al tempo si sosteneva che bastasse il possesso “di alcuni beni immobili”.

67M. LIPARI, op. cit., p. 444; G. GROSSO – A. BURDESE, op. cit., p. 198. 68U. NATOLI, op. cit., p. 226.

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25 dell’eredità giacente69; che non deve tutelare solo gli interessi dei creditori ma dell’intera eredità.

Difatti, se è logico presumere che, chi sia in possesso di tutti o la maggior parte dei beni ereditari, intenda provvedere alla conservazione e alla salvaguardia del patrimonio ereditario, non lo è altrettanto pensare che chi possiede un solo bene ereditario, di scarso valore, disinteressandosi della massa restante, abbia lo stesso interesse; anzi dobbiamo presumere il contrario70.

Ultima questione da analizzare riguarda la rilevanza temporale del possesso: ovvero a quale momento bisogna guardare per determinare se un chiamato sia in possesso dei beni ereditari.

Per l’art. 528 c.c. il momento in cui la detenzione sorge non è rilevante, ma rileva il momento in ci sia in possesso o meno dei beni. Ex art. 528 c.c. il mancato possesso rileverebbe nel momento in cui il giudice determina se nominare un curatore71: è necessario solamente che i beni non siano nella disponibilità di alcuno, alla data in cui il tribunale pronunci decreto di nomina del curatore. Tale presupposto negativo, non deve necessariamente verificarsi nel momento della apertura della successione, ma fino a che sia possibile procedere alla nomina72.

Problema non di poco conto potrebbe sorgere in relazione al collegamento con l’art. 485 c.c.; rispetto al quale il momento di nascita del possesso risulta rilevante.

69 M. TRIMARCHI, op. cit., p. 50. 70L. FERRI, op. cit., p. 151. 71C. CECERE, op. cit., p. 414.

72U. NATOLI, op. cit., p. 249; L. FERRI, op. cit., p. 150; G. GROSSO – A. BURDESE, op. cit.,

p. 198; secondo cui “non interessa in quale momento si sia determinata detta situazione possessoria,

se avvenuta dopo la presa di possesso potrò non importare accettazione tacita […], ma sarà pur sempre rilevante ex art. 528 c.c.”.

(28)

26 Appare quindi rilevante operare una scelta in merito a, se sia necessario il possesso al momento dell’apertura della successione o se considerare sufficiente il possesso sorto in un secondo momento.

Ci pare preferibile la prima ipotesi, in questo senso il possesso sorto in un momento successivo rispetto alla apertura della successione non escluderebbe, a priori, il sorgere della giacenza73. La presa di possesso dei beni ereditari in un

momento successivo all’apertura della successione non produce sempre le stesse conseguenze: essa potrebbe avvenire per l’esercizio delle facoltà e dei diritti ex art. 460 c.c. cioè in modo da escludere l’applicazione del art. 485 c.c74. Il possesso successivo, non sempre determina, se non una accettazione tacita, l’integrarsi del presupposto che esclude la giacenza.

Come per la mancata accettazione, il requisito del mancato possesso deve sussistere solamente nei primi chiamati; non è necessario indagare se i chiamati successivi abbiano il possesso dei beni poiché nei loro confronti, fino a che non opera la rinuncia dei primi, non vi è delazione attuale75.

1.6 Impossibilità di amministrare e inerzia del chiamato

In dottrina76 si è enucleato un ulteriore presupposto per la costituzione della giacenza. Si afferma che oltre alla mancanza del possesso debba sussistere anche

73M. TRIMARCHI, op. cit., p. 51; contra L. FERRI, op. cit., p. 150, in cui si dice che non ha

importanza che il chiamato fosse in possesso fin dal momento dell’apertura o se sia immesso successivamente: se consta che vi è un chiamato in possesso il pretore non può procedere alla nomina del curatore.

74U. NATOLI, op. cit., p. 225. 75L. FERRI, op. cit., p. 152. 76A. CICU, op. cit., p. 131.

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27 l’inerzia e l’impossibilità di amministrare da parte del chiamato. Sulla base di questa opinione, il tribunale, per poter nominare il curatore, deve accertare che la persona designata a succedere, non solo non abbia la materiale disponibilità, ma non intenda contribuire alla gestione della eredità. Sebbene non si possa negare che in alcune ipotesi l’attività del chiamato non nel possesso, possa essere sufficiente alla gestione del patrimonio ereditario77, e che la mancanza o inerzia di tale attività possa

giustificare la curatela; non sempre è così.

Inoltre, nell’art. 528 c.c. tale presupposto non trova riscontro. Nonostante un autorevole indirizzo78 affermi che “il codice ha prospettato la curatela giudiziale

come un mezzo di integrazione dell’attività del chiamato, per il caso che questi venga meno ai suoi doveri o intenda esonerarsi da essi, o che la sua attività non risponda alle esigenze di amministrazione dell’eredità” tale fatto non può essere considerato

come un presupposto della Curatela.

Ci sono atti che devono essere compiuti necessariamente dal curatore poiché, in nessun caso, il chiamato è in possesso della facoltà di compierli. In questo casi anche se il chiamato si fosse interessato alla gestione della eredità non avrebbe potuto porli in essere e la curatela sarebbe comunque giustificata. Soprattutto in vista del soddisfacimento dei creditori ereditari e dei legatari la costituzione della curatela prescinde totalmente dalla partecipazione del chiamato alla gestione ereditaria79. In ragione di tali considerazione, appare più opportuno ritenere che l’inerzia o la

77M. TRIMARCHI, op. cit., p.55 78U. NATOLI, op. cit., p. 252

79G. BONILINI, op. cit., p. 1182; il potere di pagare i debiti ereditari ed i legati infatti non è

riconosciuto alla persona designata a succedere se non in modo ben circoscritto. Per questo secondo la dottrina maggioritaria non si potrebbe vedere rilevanza nella eventuale inerzia o impossibilità del chiamato.

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28 impossibilità di amministrare da parte del chiamato siano considerate solo una, delle possibili motivazioni in grado di dare fondamento contingente alla curatela dell’eredità80.

1.7 Mancanza di disposizioni incompatibili con la situazione di giacenza

Un autore81 sostiene che non può aversi nomina di un curatore ereditario “se la

legge o il testamento provvedono diversamente alla amministrazione dell’eredità”.

Dobbiamo quindi chiederci se la mancanza di disposizioni, testamentarie o di legge, incompatibili con la nomina del curatore, possa considerarsi come un ulteriore presupposto in negativo. In relazione a tale quesito dobbiamo affermare come, la presenza di disposizioni incompatibili con la nomina del curatore, non rende impossibile l’applicazione della disciplina della giacenza82.

L’esempio più comune e importante è la presenza nel testamento del de cuius, della nomina di un esecutore testamentario.

Parte della dottrina sostiene che è un presupposto per l’applicazione della giacenza, la mancanza di nomina di un esecutore testamentario nel testamento del de

cuius83. Secondo questo indirizzo c’è una profonda incompatibilità tra esecuzione

testamentaria e curatela dell’eredità giacente84. La coesistenza di entrambe gli istituti causerebbe un difficile coordinamento tra le figure, inoltre l’istituzione del curatore risulterebbe inutile. Inoltre, l’art. 703 c.c. costituirebbe un appiglio per attribuire

80M. TRIMARCHI, op. cit., p.55

81NICOLO’, Eredità Giacente, in Riv. Dir. Civile, p.289; M. TRIMARCHI, op. cit., p. 52. 82M. TRIMARCHI, op. cit., p.52.

83 L. FERRI, op. cit., p. 149, p. 154; G.GROSSO – A. BURDESE, op. cit., p. 199. 84L. BALESTRA – M. DI MARZIO, op. cit., p. 539.

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29 preferenza alla gestione dell’esecutore testamentario85. Si sostiene come la curatela abbia funzione meramente sussidiaria rispetto alla gestione ereditaria da parte dei privati. Alcuni86 precisano che la curatela può svolgersi validamente, fino a quando

l’esecutore testamentario accettato l’incarico, abbia conseguito il possesso dei beni ereditari.

Secondo la tesi opposta, è necessario verificare a quale amministratore spetti la gestione del patrimonio, se l’attribuzione abbia o meno carattere esclusivo e quali parti dell’eredità abbia ad oggetto87. Se ad esempio l’esecuzione testamentaria

riguardasse solo una parte del asse ereditario, non si porrebbero problemi al coordinamento con la curatela dell’eredità giacente.

A sostegno della compatibilità dei due istituti troviamo buona parte della dottrina88. Un autore89 afferma che la nomina dell’esecutore testamentario non impedisce il sorgere della curatela ex art. 528 c.c., “Tanto nel caso in cui l’esecutore

non abbia ancora accettato l’incarico (o abbia rinunziato alla nomina) quanto in quello in cui abbia avuto inizio l’esercizio delle funzioni da parte di esso”. Differente

sarebbe l’interesse alla base dei due istituti, e le funzioni di essi non coinciderebbero. L’esecutore testamentario “deve curare che siano esattamente seguite le disposizioni

di ultima volontà del defunto”. Il curatore ereditario ha la funzione di assicurare la

conservazione, non dispersione e liquidazione della eredità. I due soggetti operano su piani diversi.

85G. BONILINI, Degli esecutori testamentari, art. 700-712, Milano, 2005 p. 392. 86 G. GROSSO – A. BURDESE, op. cit., p. 199.

87G. BONILINI, op. cit., secondo cui l’art. 707 I comma, c.c. prevede anche l’ipotesi in cui non

sia affidata all’esecutore testamentario la gestione dell’intero patrimonio, ma solo una parte di esso.

88G. BONILINI, op. cit., p.1183; RADELLI, L’eredità giacente, Milano, 1948; M. TRIMARCHI,

op. cit., p. 53;

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30 Ulteriore conferma a tale tesi potrebbe ricavarsi dal silenzio del legislatore. Non è irrilevante che il legislatore non abbia statuito sul rapporto che intercorre tra le due gestioni ereditarie. L’art. 460 III comma, c.c. infatti supporta il fatto che la legge, quando ha escluso che i beni ereditari possano essere affidati a più amministratori, l’ha espressamente previsto90.

L’esecutore testamentario, nell’esercizio delle sue funzioni, assumerebbe il compito di vigilare sull’operato del curatore91; nonostante ciò l’opera del curatore sarebbe necessaria per il soddisfacimento dei creditori e legatari, poiché la curatela ha funzione non solo conservativa ma anche di liquidazione. In questo senso possiamo affermare che non si pongono incompatibilità alla contemporanea presenza di entrambe le amministrazioni ereditarie.

2. La giacenza pro quota

Una delle problematiche che emergono con l’eredità giacente è il caso in cui, in presenza di più chiamati all’eredità, uno di essi deliberi di accettare, ovvero sia in possesso dei beni ereditari, mentre gli altri che non sono nel possesso, rimangano nella posizione di chiamati.

Ci si è chiesti in proposito se sia possibile configurare una giacenza parziale o

pro quota dell’eredità: l’art. 528 c.c. non contempla questa ipotesi.

In dottrina la questione è dibattuta e non c’è una teoria univoca. Risulta controversa la possibilità di costruire una curatela giudiziale finalizzata, in via

90G. BONILINI, op. cit., p.1183. 91U. NATOLI, op. cit., p 196.

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31 esclusiva, alla gestione della quota di patrimonio rimasta vacante92. Inoltre, da una opposta angolazione, ci si chiede se una volta costituita la curatela, questa cessi per l’intervenuta accettazione dell’eredità di un solo chiamato oppure continui come giacenza pro quota93.

Risulta necessario analizzare se “i coeredi accettanti o che siano in possesso

dei beni ereditari, abbiano, in quanto tali, l’amministrazione dell’intero patrimonio del defunto, o se debba farsi luogo ad una curatela per le quote non accettate. Il dubbio sorge in relazione all’art. 528 c.c. dove si parla del <<chiamato che non ha accettato l’eredità>> e della nomina di un curatore dell’eredità: deve intendersi un solo chiamato o tutti i chiamati nell’intero patrimonio del defunto, o anche il solo chiamato a succedere in una quota?94”.

A sostegno della tesi affermativa95 si osserva che l’accettazione dell’eredità compiuta solo da taluni chiamati, lascerebbe inalterata, per le altre quote, la situazione che giustifica il provvedimento di nomina di un curatore. A supporto di tale indirizzo affermativo troviamo una remota decisione di merito96 che pone l’accento sulle finalità dell’istituto: la conservazione e amministrazione del patrimonio ereditario. In base a tele decisione, questa finalità, andrebbe perseguita “non solo nei confronti dei

creditori ma anche nei confronti degli altri chiamati”; dato il conflitto di interesse

con i chiamati nel possesso o accettanti. La tutela prevista dall’art. 528 c.c. verrebbe svuotata se si permettesse al primo arrivato che accetta o si impossessa dei beni, di divenire padrone dell’intero asse ereditario e si affidasse solo alla sua onestà, la tutela

92G. BONILINI, op. cit., p. 1186.

93L. FERRI, op. cit., p. 162; C. CECERE, op. cit., p.429.

94G. CARRARO, Eredità giacente pro quota, in Giur. It., 1947, p.527. 95A. CICU, op. cit., p. 135.

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32 di diritti di coeredi o creditori, in contrasto con i suoi. Secondo tale visione il possessore di una quota dell’eredità, non assumerebbe un obbligo o onere di gestione dell’intero asse ereditario97.

A queste opinioni si contrappone un solido orientamento giurisprudenziale che nega la possibilità di una giacenza pro quota98. La Corte di Cassazione99 svaluta la

portata risolutiva del dato letterale facendo una verifica della compatibilità funzionale e sistematica dell’istituto100. La Corte rileva che “l’eredità giacente, che nella più

lata e romanistica accezione individua la situazione in cui si trova l’eredità nel momento di vacatio tra “delatio” e “aditio”, è considerata e disciplinata dal legislatore non già in se, quale condizione giuridica del patrimonio ereditario nell’intervallo tra delazione e accettazione, bensì come situazione meritevole di tutela le volte in cui ricorrano determinati presupposti, e, per l’appunto, quando manchi il chiamato accettante l’eredità o il chiamato in possesso dei beni ereditario, che possano essi stessi avere cura del patrimonio ereditario in attesa della sua definitiva devoluzione”. La funzione che si vuole evidenziare in questa decisione

della Suprema corte, assieme ai presupposti principali della giacenza101, chiarisce la

questione della applicabilità della giacenza pro quota. Se la funzione dell’eredità giacente è conservare e amministrare il patrimonio ereditario nel suo complesso, e non in una parte, e se tale istituto non opera quando il chiamato è nel possesso dei

97CARRARO op. cit., p.527 in C. CECERE, op. cit., p. 429.

98 T. Milano, 3 novembre 1955, in monitore tribunali, 1956, 109, secondo cui “lo stato di

giacenza dell’eredità cessa qualora, nell’ipotesi in cui vi siano più chiamati, anche uno solo abbia dichiarato di accettarla”. T. Napoli, 15 gennaio 1947, in Giur. It., 1948, I, 2, 454 per il quale “quando anche uno solo degli eredi istituiti abbia accettato l’eredita, non si può procedere alla nomina di un curatore, essendo inconcepibile l’ipotesi di una giacenza parziale dell’eredità.

99 Cass. 22 febbraio 2001, n.2611, in Giur. It., 2002. 100 C. CECERE op. cit., p.430.

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33 beni ereditari o abbia accettato l’eredità, cioè quando è esso stesso legittimato alla gestione del patrimonio ereditario; ne consegue che l’istituto della giacenza pro quota è precluso dall’ordinamento102.

L’indirizzo dottrinale103 contrario alla possibile sussistenza dell’istituto sostiene che le esigenze conservative del patrimonio ereditario si annullerebbero in presenza di un erede accettante. Il maggior ostacolo alla prospettabilità della giacenza pro quota sarebbe costituito dal difficile coordinamento tra le figure del curatore e del chiamato104: “se infatti, ciascun chiamato ha diritto di prendere possesso, di

esercitare le azioni possessorie a tutela dei beni ereditario e di compiere gli atti conservativi di vigilanza e amministrazione temporanea; […] viene a mancare uno dei requisiti che devono concorrere perché si abbia eredità giacente (assoluta esclusione del chiamato dal possesso dei beni ereditari)105”. Inoltre, l’astrattezza del

concetto di quota ereditari implica che, il possesso e l’amministrazione dei beni non sono esercitabili se non relativamente a tutte le quote106. È sufficiente che anche uno solo dei chiamati abbia accettato o sia nel possesso dei beni ereditari per escludere qualsiasi giacenza, anche pro quota.

Ci sono però anche autori che sostengono delle tesi intermedie. Una soluzione intermedia107, giustifica la giacenza parziale solo nell’ipotesi in cui i chiamati non

abbiano tra loro diritto di accrescimento, in quanto negli altri casi, per effetto della chiamata solidale il diritto del coerede accettante si estende, potenzialmente,

102 Cass. 22 febbraio 2001, n.2611, in Giur. It., 2002.

103M. LIPARI, op. cit., p. 447; C. GIANNATTASIO, op. cit., p. 230. 104M. LIPARI, op. cit., p. 447.

105 C. GIANNATTASIO, op. cit., p. 230. 106G. GROSSO – A. BUDESE, op. cit., p. 206

107L. FERRI, op. cit., p. 162, estende tale ipotesi a tutti i casi in cui il coerede, pur non avendo

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34 all’intera eredità, ipso iure, senza necessità di nuova accettazione. Nel caso opposto, in cui il coerede non possa conseguire l’intera eredità in caso di rinunzia da parte degli altri, una parte dell’eredità andrebbe devoluta allo stato e non potrebbe non passare attraverso la giacenza108.

Altra tesi intermedia109 sostiene come la giacenza parziale possa ritenersi valida

solo nel caso in cui al chiamato, siano attribuiti beni ex certis rebus110, e non una

porzione astratta dell’eredità: nel caso di attribuzione di porzioni di beni, l’amministrazione o il possesso non sono esercitabili se non relativamente all’intero bene e quindi alle altre quote.

La dottrina maggioritaria111, favorevole, respinge tali tesi affermando che anche in tali ipotesi non verrebbero meno le esigenze di gestione imparziale delle quote di patrimonio non accettate112. Infatti, l’esigenza di tutela degli altri soggetti (curatori, legatari, chiamati…) non è soddisfatta semplicemente dalla titolarità in capo al chiamato dei poteri ex 460 c.c. nonostante il possesso. Laddove il curatore sia già stato nominato la giacenza potrebbe venire meno solo ove ne venga richiesta cessazione da parte degli altri chiamati, in quanto si ritengono già sufficientemente tutelati113.

108L. FERRI, op. cit., p. 163.

109U. NATOLI, op. cit., p. 248; G. GROSSO – A. BUDESE, op. cit., p. 206: secondo cui si può

ammettere la giacenza pro quota solo in caso di identificazione, ex art. 588 c.c., dei beni rientranti nelle relative quote.

110 Si ha istituzione di erede ex re certa quando il testatore attribuisce all'erede non una quota

dell'intero patrimonio ereditario, ma una o più cose determinate. In questo caso non si parla di legato, ma di una vera istituzione di erede se risulta che il testatore ha inteso assegnare tale beni come rappresentativi di una quota dell’eredità.

111M. TRIMARCHI, op. cit., p. 43. 112C. CECERE, op. cit., p.414

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