• Non ci sono risultati.

L’opposizione a forme di potere autoritarie nelle pièce 'La storia del comunismo raccontata ai malati di mente' di Matei Vişniec e 'La Prigione' di Kenneth Brown

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "L’opposizione a forme di potere autoritarie nelle pièce 'La storia del comunismo raccontata ai malati di mente' di Matei Vişniec e 'La Prigione' di Kenneth Brown"

Copied!
125
0
0

Testo completo

(1)

1

DIPARTIMENTO DI

FILOLOGIA, LETTERATURA E LINGUISTICA

CORSO DI LAUREA IN ITALIANISTICA

TESI DI LAUREA

L’OPPOSIZIONE A FORME DI POTERE AUTORITARIE NELLE

PIÈCES LA STORIA DEL COMUNISMO RACCONTATA AI MALATI DI

MENTE DI MATEI VIȘNIEC E LA PRIGIONE DI KENNETH BROWN

CANDIDATO

RELATORE

Benedetta MATTEUZZI

Chiar.ma Prof.ssa Emilia DAVID

CONTRORELATORE

Chiar.ma Prof.ssa Eva MARINAI

(2)

2

INDICE

CAPITOLO I: IL CONTESTO STORICO ...5

I.1 LA ‘GUERRA FREDDA’ ...5

I.2 LA SITUAZIONE POLITICA NELL’EUROPA DELL’EST: L’URSS E GLI STATI SATELLITI ...7

I.2.1 FOCUS: LA ROMANIA ...8

I.3 GLI STATI UNITI ... 14

CONCLUSIONI ... 20

CAPITOLO II: GLI INTELLETTUALI E LA ‘GUERRA FREDDA’ ... 21

II.1 LA VITA DEGLI INTELLETTUALI SOTTO IL REGIME SOVIETICO ... 21

II.1.1 LA VITA DEGLI INTELLETTUALI ALL’INTERNO DEGLI STATI SATELLITI ... 22

II.1.2 IL CONTESTO CULTURALE IN ROMANIA ... 24

II.2 MATEI VIȘNIEC E IL PROPRIO IMPEGNO INTELLETTUALE TRA LA ROMANIA E LA FRANCIA... 30

II.2.1 LA STORIA DEL COMUNISMO RACCONTATA AI MALATI DI MENTE: la trama e le considerazioni preliminari ... 34

II. 3 LA VITA DEGLI INTELLETTUALI NEGLI STATI UNITI ... 35

II.3.1 IL FENOMENO DEL MACCARTISMO ... 37

II.4 LA COMPAGNIA DEL LIVING THEATRE E LA PROPRIA ‘RIVOLUZIONE’ ARTISTICA ... 42

II.4.1 THE BRIG – LA PRIGIONE: Introduzione ... 46

CONCLUSIONI ... 48

CAPITOLO III: ANALISI TESTUALE E COMMENTO DELLA PIÈCE LA STORIA DEL COMUNISMO RACCONTATA AI MALATI DI MENTE ... 49

III.1 INTRODUZIONE AL ‘TEATRO POSTDRAMMATICO’... 49

III.2 LA SEMIOTICA TEATRALE ... 54

III.3 LA STORIA DEL COMUNISMO RACCONTATA AI MALATI DI MENTE: L’ANALISI DRAMMATURGICA E LE INTERPRETAZIONI TESTUALI ... 57

III.3.1 LE RAPPRESENTAZIONI SCENICHE DELLA PIÈCE ... 57

III.3.2 LA PERFORMANCE E IL METATEATRO: IL SIGNIFICATO DELL’OPERA NELL’ACCEZIONE DELL’AUTORE ... 58

III.3.3 UNO SGUARDO SULLE COMPONENTI TECNICHE DELLA PIÈCE ... 60

III.3.4 INTERPRETAZIONE E ANALISI TESTUALI E SCENICHE ... 63

CONCLUSIONI ... 94

CAPITOLO IV: LA PRIGIONE: L’ANALISI DRAMMATURGICA E LE INTERPRETAZIONI TESTUALI ... 95

IV.1 LE PECULIARITÀ DELLA PIÈCE DAL PUNTO DI VISTA REGISTICO ... 95

IV.2 UNO SGUARDO SULLE COMPONENTI TECNICHE DELLA PIÈCE ... 98

IV.3 INTERPRETAZIONE E ANALISI TESTUALI E SCENICHE ... 102

CONCLUSIONI ... 117

CONCLUSIONI ... 118

(3)

3

INTRODUZIONE

Nel seguente lavoro di tesi saranno svolte l’analisi e l’interpretazione di due pièces, scritte e rappresentate nella seconda metà del XX secolo, che illustrano i modelli teatro ‘postdrammatico’: La

storia del comunismo raccontata ai malati di mente, a opera del noto drammaturgo e giornalista

romeno-francese Matei Vişniec, e La Prigione, redatta come testimonianza personale da un ex membro del Corpo dei Marines, lo scrittore americano Kenneth Brown, e messa in scena dalla Compagnia del Living Theatre.

Seppur appartenenti a due sfere culturali e politiche differenti, come l’influenza dell’URSS della dittatura stalinista e rispettivamente gli Stati Uniti, entrambi i contesti rappresentati esprimono, allo stesso modo, il disagio provato da chi vive in un clima di costante oppressione e privazione di libertà. Le realtà che figurano nelle due pièces, una clinica psichiatrica nel primo caso e una prigione militare nella seconda, infatti, sebbene siano apparentemente dissimili, possiedono un importante elemento comune: l’alienazione che affligge chi vi è prigioniero. In entrambi i casi tuttavia, sono presenti alcune figure importanti che agiscono al fine di ribellarsi al sistema oppressivo a cui sono sottoposte e, soprattutto, di modificarlo.

Le due opere costituiscono, dunque, una risposta, o meglio una reazione, da parte degli intellettuali agli orientamenti delle rispettive istituzioni, nel complesso periodo della ‘Guerra fredda’. In questo, all’impianto dittatoriale della realtà sovietica si oppone la democrazia statunitense, con i propri punti di forza, ma anche di debolezza i quali vengono rappresentati, in toto, da un’assidua lotta contro il comunismo, che caratterizzerà tali anni e che vedrà la propria concretizzazione nel triste fenomeno del maccartismo.

Pertanto, ai fini dell’analisi drammaturgica, sarà necessario principiare tale lavoro con una breve descrizione del periodo storico della ‘Guerra fredda’, affinché sia possibile comprenderne i meccanismi e gli eventi principali. Sarà importante, successivamente, focalizzarsi sulla realtà culturale e sulle reazioni degli intellettuali alle imposizioni del regime sovietico, in particolare nel contesto romeno, in cui lo stesso Vişniec ha rivestito un ruolo attivo; e, in secondo luogo, alle dure prese di posizione del governo americano contro il comunismo.

L’interpretazione delle pièces, infine, sarà preceduta da una breve introduzione al teatro ‘postdrammatico’, nelle cui formule entrambe affondano le radici e, soprattutto, dalla descrizione della semiotica teatrale. Quest’ultima richiede una certa attenzione, in quanto si tratta di una scienza che, di per sé, è volta a studiare la produzione di significato nella società e che, nell’ambito

(4)

4

drammaturgico, tende a focalizzarsi sul messaggio dell’opera, ovvero su ciò che essa intende comunicare al pubblico.

(5)

5

CAPITOLO I

IL CONTESTO STORICO

Nel seguente capitolo sarà condotta una breve analisi del background storico in cui le due pièces sono state ambientate: quello della ‘Guerra fredda’, che vede contrapposte le due potenze mondiali e le rispettive ideologie politiche. Si ha, dunque, da un lato il sistema dittatoriale dell’Unione Sovietica, che affonda le proprie radici nel pensiero comunista; dall’altro, invece, si colloca l’apparato democratico degli Stati Uniti, che basano le proprie modalità governative sul liberismo.

I.1 LA ‘GUERRA FREDDA’

Le due pièces che saranno analizzate in questa tesi, sebbene scritte in due periodi storici differenti, sono ambientate nel medesimo arco di tempo: quello della ‘Guerra Fredda’. Ci troviamo nel secondo dopoguerra in cui la realtà geo-politica è divisa in due grandi blocchi: quello dell’Europa dell’Est che trova rappresentanza nell’Unione Sovietica (URSS) e che ha per centro la Russia stalinista e i suoi vari Stati satelliti; e quello dell’Ovest, che ha per centro gli Stati Uniti d’America che si affermano come maggiore potenza nell’Occidente democratico. Dunque, a contrapporsi sono fondamentalmente due modelli di governo: la dittatura e la democrazia. Rappresentante per eccellenza di tale bipolarismo è la Germania che, sin dalla fine del conflitto mondiale, si trova fratturata in due realtà politiche, giungendo a costituire due nazioni distinte: a Ovest, una Repubblica Federale facente capo agli Usa; a Est, una Repubblica Democratica facente capo all’Urss. Proprio il governo di quest’ultima decide, il 13 agosto del 1961, in seguito a una crisi politica con il blocco opposto, di far erigere il noto Muro che per ben ventotto anni costituirà il simbolo del conflitto.

L’espressione ‘Guerra fredda’, coniata a partire dal 1947 dal giornalista americano Walter Lippmann, per definire lo stato delle relazioni internazionali che si va delineando dopo il secondo conflitto mondiale, a causa della spaccatura sopracitata tra Stati Uniti e Unione Sovietica, non delinea un vero e proprio conflitto, bensì un «Confronto mondiale»1, una lotta ideologica per il controllo del mondo che conobbe, tra le varie fasi, anche guerre ‘calde’, come quelle in Corea e in Vietnam. Si tratta dunque di un’ostilità talmente ingente, vista l’implicazione di tali superpotenze, che non sembra risolvibile attraverso una guerra frontale, dato il pericolo per l’incolumità mondiale rappresentato da un eventuale ricorso alle armi nucleari.

1 La voce ‘Guerra fredda’ è reperibile al link: http://www.treccani.it/enciclopedia/guerra-fredda/ [consultato il

(6)

6

Nella sua prima fase il «confronto bipolare»2 è stato soprattutto una guerra di posizione atta

a ricreare un equilibrio internazionale. Nel maggio del 1947, infatti, ha luogo la cacciata dei comunisti dai governi di Francia e Italia; nel febbraio del 1948 i cecoslovacchi prendono il potere attraverso un’azione di forza e infine si verifica ‘Il blocco di Berlino’ perché, in effetti, i Sovietici bloccheranno l’accesso via terra al settore ovest della città nel giugno del 1948, ponendone, tuttavia, fine l’anno seguente di fronte all’imponente ponte aereo grazie al quale i residenti continueranno a ricevere dall’Occidente tutti i beni necessari. La situazione europea riuscirà, infine, a stabilizzarsi grazie al Piano Marshall del 1947 (di aiuti economici americani per la ricostruzione europea) e al Patto Atlantico del 1949 (di cooperazione tra le potenze occidentali).

La fase ‘calda’ precedentemente citata, sopraggiunge a causa della Rivoluzione cinese, scoppiata in Asia nell’ottobre del 1949; e a causa di un conflitto esploso tra la Corea del Nord (comunista) e quella del Sud (filoamericana). L’esercito statunitense respinge le truppe nordcoreane, provocando in tal modo, però, l’intervento cinese. Il conflitto si concluderà nel 1953, con la divisione della penisola in due Stati. Nello stesso anno segnano una svolta, inoltre, la morte di Stalin e la fine del mandato presidenziale di Harry Spencer Truman. Successivamente le relazioni tra gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica si indirizzano verso una distensione, un disgelo, nonostante alcune crisi come quella precedentemente citata, verificatasi a Berlino tra il 1959 e il 1961, che ha condotto alla costruzione del noto Muro; e la crisi missilistica di Cuba del 1962, la quale, dal 1959 sotto il regime di Fidel Castro, ospiterà rampe missilistiche sovietiche, che saranno smantellate dopo forti tensioni tra le due superpotenze: forse è stato il momento in cui maggiormente il mondo intero si è sentito sull’orlo di un conflitto nucleare.

Nel 1965 infine, con le proposte sulla non diffusione delle armi atomiche, ha inizio una fase di coesistenza pacifica, accompagnata in realtà da nuove tensioni internazionali. La più grave emerge con la guerra del Vietnam (1965-1975): scoppiata a causa dell’intervento militare americano nel Vietnam del Sud, dopo il crollo del regime anticomunista, che si concluderà con la sconfitta statunitense. Con gli accordi di Helsinki del 1975 la ‘Guerra fredda’ ha per molti versi ha una fine: viene riconosciuto un equilibrio mondiale stabile, che si era realizzato prima di quel momento3. Si giunge a una relativa stabilità internazionale, salvo alcuni episodi come l’invasione sovietica dell’Afghanistan del 1979 ma, al contempo, si fa sempre più evidente una crisi interna dell’URSS. Il suo collasso, nonostante i tentativi attuati da Michail S. Gorbačëv, segue il crollo dei regimi comunisti dell’Europa Orientale, iniziato con la caduta del Muro di Berlino il 9 novembre 1989.

2 Ibidem. 3Ibidem.

(7)

7

I.2 LA SITUAZIONE POLITICA NELL’EUROPA DELL’EST: L’URSS E GLI STATI SATELLITI

L’Unione delle Repubbliche Sovietiche (URSS) è una federazione, composta da quindici repubbliche federate, dotate di propri organi legislativi ed esecutivi. La loro superficie è suddivisa in territori (krai) e in province (oblast), a loro volta frazionate in distretti, città e minori centri rurali. Essa nasce nel 1922 nei territori appartenenti alla Russia zarista, in seguito alla guerra civile scoppiata dopo la nota Rivoluzione avvenuta nel 1917, sotto la guida di Vladimir Il'ič Ul'janov, meglio conosciuto come Lenin, che instaura un regime comunista. Alla sua morte, avvenuta nel 1924, segue un periodo di forte crisi non solo di carattere socioeconomico, ma anche di successione, risolta poi dall’ascesa al potere di Iosif Vissarionovič Džugašvili, conosciuto con lo pseudonimo Stalin, ovvero ‘L’uomo d’acciaio’4. Sotto la sua guida, l’URSS si trasforma in un regime dittatoriale di tipo

totalitario, finalizzato alla modernizzazione accelerata del Paese. Contro i propri oppositori, Stalin ritiene possibile instaurare il «Socialismo in un solo Paese»5. A tal fine, egli realizza una collettivizzazione forzata delle campagne, eliminando la classe dei contadini più agiati, i kulaki. Allo stesso tempo, avvia un processo di industrializzazione, fondato sulla statalizzazione dei mezzi di produzione e sull’introduzione di un’’economia pianificata’, diretta dallo stato e sottratta alla gestione del mercato. Grazie a tali trasformazioni si ha una rapida crescita dell’industria e, al contempo, lo sviluppo di un regime oppressivo volto a sopprimere qualsiasi forma di dissenso attraverso epurazioni e campi di concentramento (i cosiddetti Gulag).

Con la morte di Stalin, avvenuta nel 1953, ha inizio un processo di smantellamento degli aspetti più apertamente oppressivi della dittatura staliniana: la nota ‘destalinizzazione’ il cui maggiore artefice sarà il suo successore Nikita S. Kruscev, al potere dal 1953 al 19646. Tuttavia, tale processo non trasforma la natura del sistema sovietico, ma suscita aspettative destinate a essere deluse nei paesi del blocco socialista, in particolare in Ungheria nel 1956, dove i Sovietici, dopo una rivolta avvenutavi, metteranno in atto una dura repressione.

Nei decenni successivi, l’URSS entra in un periodo di stagnazione, resa drammatica dall’invasione della Cecoslovacchia nel 1968, dall’inizio della guerra sovietico-afghana nel 1979 e dalla grave crisi che investe la Polonia nei primi anni Ottanta. Questa fase viene superata dal nuovo

leader sovietico, Mikhail S. Gorbačëv che, in carica dal 1985 al 1991, avvia una serie di riforme atte

4 La voce ‘Guerra Fredda’, in Enciclopedia Utet Nova, Unione Tipografico-Editrice Torinese (UTET), Torino, 2002, p.

531.

5 La voce ‘Unione Sovietica’ è reperibile al link: http://www.treccani.it/enciclopedia/unione-sovietica-storia-dell/

[consultato Il 13/02/2018].

(8)

8 a liberalizzare e democratizzare il regime sovietico. Tali riforme permettono una maggiore distensione nelle relazioni con gli Stati Uniti, ma portano inevitabilmente al crollo del sistema: dapprima con la caduta dei regimi comunisti nell’Europa centro-orientale (1989-1991) e, in seguito, alla fine del 1991, con il crollo della stessa Unione Sovietica.

I.2.1 FOCUS: LA ROMANIA

La Romania rappresentata nella piéce di Vişniec è un Paese profondamente ‘sovietizzato’.

Questo processo ha origine al termine del secondo conflitto mondiale e, più precisamente, con il colpo di stato del 23 agosto 1944, che viene seguito dall’istituzione di un nuovo governo guidato dal generale Sӑnӑtescu, il quale dichiara guerra alla Germania e chiede aiuto agli Alleati che bombarderanno le truppe tedesche concentrate a nord di Bucarest7. Ciò comporta, dunque, la conseguente occupazione da parte dell’esercito russo della capitale romena appena liberata. Cedendo alle pressioni sovietiche, gli angloamericani accettano che l’armistizio con la Romania sia firmato a Mosca, e non con tutti gli Alleati ma solo con i russi, a nome delle Nazioni Unite. È più che evidente, citando le parole dello storico Ion Bulei, che in tal modo “[…] gli occidentali stavano abbandonando la Romania nelle mani di Stalin”8.

Secondo tale armistizio, che viene firmato nella notte tra il 12 e il 13 settembre 1944, infatti, la Romania è praticamente costretta a mettere al servizio dei sovietici tutta l’economia del paese, le proprie installazioni militari, aeree e navali, i porti, i moli, le caserme, i magazzini e le stazioni meteorologiche con tutto il personale necessario al loro funzionamento. Con l’Unione Sovietica sarà

inoltre siglato un accordo commerciale (6 marzo 1945) che fornisce alla Romania lo status di satellite economico. Grazie alla presenza delle truppe dell’Armata Rossa, che controllano militarmente il territorio, il processo di statalizzazione si estende rapidamente e a tutti i settori economici, in primis, a quello industriale.

Il desiderio dei sovietici è, dunque, quello di una vera e propria sovietizzazione dell’intera

area e la sua ‘satellizzazione’ tramite l’instaurazione di regimi comunisti. “Ovunque”, scrive lo storico Vlad Georgescu “dall’Elba alla Vistola al Danubio, la presa di potere e l’abbattimento del vecchio mondo avvengono tramite il terrore e la violenza, sotto la protezione diretta delle truppe d’occupazione e sotto gli occhi impotenti degli osservatori occidentali”9.

7 Ion Bulei, Breve storia dei romeni, Edizioni dell’Orso, Alessandria, 2006, p. 160. 8 Ibidem.

(9)

9

Nel governo insediatosi il 6 marzo 1945, pertanto, i comunisti e i loro temporanei ‘compagni di viaggio’ detengono la maggioranza: si tratta, tuttavia, di una realtà apparente. Secondo il rappresentante statunitense nella Commissione di Controllo alleata, C.V.R. Schuyler, infatti, il governo romeno è dominato da un Partito comunista che rappresenta meno del 10% della popolazione, poiché questa, per la maggior parte, è mossa da forti sentimenti nazionalisti, che si oppongono al sistema comunista in ogni sua forma10.

Con la fine del conflitto mondiale, nonostante tali premesse, in Romania il Partito comunista si avvia a conquistare un potere sempre maggiore. Le elezioni del novembre del 1946, infatti, sebbene siano state truccate senza ritegno, permettono al governo di ottenere con il 79,86% dei voti il controllo del parlamento11. Con tali risultati elettorali, dal febbraio del 1947, il governo e il Partito comunista

possono controllare l’intero Paese, contrastare le forze politiche democratiche avverse e ‘organizzare’ il referendum per allontanare definitivamente la Monarchia e il giovane re Michele dal trono, come avviene nel dicembre del 1947.

I cambiamenti più significativi di questi anni sono, però, quelli politici, volti a rafforzare sempre più il potere del partito unico. Ha luogo una vera e propria epurazione ideologicamente programmata, che coinvolge tutta la vecchia classe dirigente romena, mentre le ondate di arresti e gli internamenti nelle prigioni e nei lager, formalmente a scopi ‘rieducativi’, forniscono materiale umano per quella forza lavoro coatto la quale, secondo l’esempio sovietico, viene impegnata in opere gigantesche da realizzare tuttavia a basso costo; nel caso romeno, è da riferirsi ai lavori per la costruzione del canale Danubio-Mar Nero voluto da Stalin per togliere il delta del Danubio alla Romania12. Il 30 dicembre 1947 viene proclamata la costituzione della Repubblica Popolare Romena e da questo momento la progressione verso l’instaurazione del regime socialista avviene in maniera irreversibile e sistematica.

Il partito unico nasce nel febbraio 1948 dalla fusione del Partito socialista democratico con il Partito comunista (Partito romeno dei lavoratori). Sotto la stretta sorveglianza di Mosca, il 13 aprile viene votata la nuova Costituzione, che formalizza a tutti gli effetti il regime socialista secondo il modello sovietico: ha luogo la nazionalizzazione di tutte le imprese industriali, delle miniere, delle banche, delle assicurazioni e del trasporto. Nel luglio del 1948 è costituita la Commissione statale per la pianificazione economica e in agosto viene riorganizzato il sistema della formazione dei giovani e dell’insegnamento, secondo i nuovi precetti ideologici. Il Partito romeno dei lavoratori, che solo nel 1965 riprenderà la vecchia denominazione di Partito comunista, tenta adesso di ottenere il consenso

10 Ibidem. 11 Ibidem.

(10)

10

interno per cui non è sufficiente una politica del terrore e delle persecuzioni, in quanto le sue origini non sono particolarmente radicate nella realtà nazionale.

Il nuovo regime è stato perciò imposto da un Paese nei cui confronti, da quasi due secoli, la società romena nutriva timore. Il rifiuto da parte del sistema comunista nei confronti dell’ex regime è ideologico, nazional-popolare e storico e, per promuovere il nuovo ordine, la neofita dominazione reagisce annientando tutto ciò che possa rappresentare l’intelligencija della vecchia società13.

Inizialmente in Romania la reazione al comunismo assume anche le sembianze di una lotta partigiana, condotta da gruppi organizzati che si nascondono sulle montagne e ricevono l’appoggio della parte di popolazione dissidente nei confronti del nuovo ordine comunista che si sta instaurando. L’antica classe dirigente romena, invece, oppone una resistenza piuttosto debole: è intimorita dall’occupante sovietico, è incapace di serrare i ranghi e vive con la speranza di un possibile intervento angloamericano risolutore.

La situazione muta con l’arrivo dell’Armata Rossa, con una nuova azione di propaganda attuata dal Partito stesso e, soprattutto, con la morte di Stalin nel 1953: tutto ciò favorisce un incremento del carattere ‘nazionale’ al partito e alla sua politica.

Ha luogo una prima fase di destalinizzazione che dà speranze e alimenta illusioni circa una possibile riforma all’interno del sistema sovietico, e perciò, maggiore autonomia per i Paesi satelliti anche se in realtà, sul piano internazionale, tutto è destinato a rimanere utopico e irrealizzabile. Infatti, l’Unione Sovietica, che dopo la firma del trattato con l’Austria nel maggio del 1955 perde ogni motivazione giuridica di permanenza sul suolo romeno, ritirerà le truppe tre anni dopo, ma manterrà il controllo dei settori siderurgici e, soprattutto, con la costituzione del Patto di Varsavia sempre nel maggio del 1955, continuerà a mantenere il regime di egemonia sui Paesi satelliti, anche in termini militari. Nonostante questo, è proprio in tali anni che la dirigenza comunista, dopo il periodo di totale asservimento alle direttive di Mosca, sviluppa linee politiche autonome tali da assumere, perlomeno in Occidente, la fisionomia di un «comunismo nazionale». Dunque, come scrive lo storico Antonello Biagini,

[…] il terremoto conseguente al XX congresso del Partito comunista dell’Unione Sovietica non intacca gli equilibri di potere e dimostra come in Romania esista un gruppo dirigente omogeneo e compatto che può permettersi anche comportamenti eterogenei come il rifiuto della divisione internazionale delle attività produttive14.

13 Ion Bulei, Breve storia dei romeni …, cit., p. 170.

(11)

11

Nell’aprile del 1964, pertanto, i comunisti romeni affermano la propria libertà di movimento con una Dichiarazione, nella quale sostengono il diritto all’indipendenza di ogni Partito comunista, alla parità di diritti e alla non interferenza nelle questioni interne, contestando l’egemonia del PCUS, che viene accolta con soddisfazione e speranza dall’opinione pubblica. In tal modo, i comunisti romeni tentano perciò di legittimare il proprio potere politico basandosi sul sentimento nazionale, ben radicato nel loro Paese.

In parallelo, iniziano ad avere luogo, sul piano interno, importanti mutamenti. Il regime di polizia in vigore in quel momento viene leggermente allentato e, alla fine del 1964, i detenuti politici sono liberati dalle prigioni. I concetti di ‘patria’ e ‘nazione’ cominciano a essere svincolati dall’ombra sovietica. Si instaura un clima di relativa tolleranza sociale, di consenso nazionale e di lieve liberalizzazione.

Nel marzo del 1965 Nicolae Ceauşescu assume la carica di segretario generale del partito, sostituendo Gheorghiu-Dej, deceduto improvvisamente, e fornendo alla politica romena un carattere ancora più indipendente. Si intensificano, infatti, le visite dei rappresentanti politici romeni nei maggiori Paesi dell’Europa Occidentale, ricambiate dai capi di Stato ed esponenti di questi. Con la nuova Costituzione dell’agosto del 1965, inoltre, la Romania si definisce una repubblica socialista, perdendo l’appellativo di popolare. In politica estera il Paese mantiene l’indipendenza già sperimentata e condanna pubblicamente l’invasione della Cecoslovacchia da parte delle truppe del Patto di Varsavia, attuata per reprimere il tentativo riformistico della cosiddetta ‘primavera di Praga’ (1968). Ceauşescu coglie l’occasione per risvegliare e rafforzare la componente patriottica del suo regime, definendo la Romania assolutamente capace di difesa da un’eventuale invasione esterna.

Il clima di tensione creato dagli avvenimenti del 1968 si affievolisce a poco a poco, grazie anche alla firma di un trattato di mutua assistenza che la Romania stipula con l’Unione Sovietica nel luglio del 1970. Soltanto un anno dopo, la situazione muterà a causa delle nuove posizioni assunte da Ceauşescu. Egli dà vita, infatti, a una sorta di rivoluzione culturale romena, che avrebbe dovuto modificare la burocratizzazione e l’immobilità del sistema: in realtà, è un abile escamotage per impedire le richieste di liberalizzazione provenienti da ampi settori del partito, similmente a quanto accade in altri paesi dell’Est Europa. Inoltre, per allontanarsi maggiormente da Mosca, Ceauşescu chiede e ottiene la visita di Stato del presidente americano Richard Nixon, in assoluto la prima che avrà luogo in un paese socialista. Il ruolo personale del leader romeno si accresce sempre di più, fino a porre il Partito comunista, in teoria supremo regolatore di ogni aspetto della vita dello Stato, in secondo piano.

L’‘indipendenza’ di Nicolae Ceauşescu nelle relazioni estere e la tutela degli affari interni al proprio Paese nascono, infatti, dalla volontà del dittatore di avere maggiore libertà ‘in casa propria’,

(12)

12

come diverrà evidente dal 1971 in seguito all’enunciazione delle ‘Tesi di luglio’ dello stesso anno (termine coniato sul modello delle ‘Tesi di aprile’ di Lenin), con le quali il leader romeno intende colpire il primo ministro. Da questo momento, ha dunque inizio un regime personale di stampo dittatoriale che coinvolge alcuni membri della famiglia di Ceauşescu (e soprattutto la moglie Elena), teso a esaltare la figura di un nuovo ‘figlio’ del totalitarismo, il «mostro di turno»15 come scrive lo

storico Biagini. Si tratta infatti di un uomo mediocre, privo di carisma, che possiede la capacità di sfruttare uomini e situazioni con spregiudicatezza e quella di impadronirsi di tutti i meccanismi del potere, soprattutto della polizia segreta (la tristemente nota Securitate), per creare un regime personale atto a distruggere completamente la società civile. Il Partito con tutte le sue strutture, l’apparato statale centrale e locale, tutte le organizzazioni sociali e professionali e le istituzioni culturali finiranno per dipendere dai capricci di una sola famiglia: in tal modo, «il capriccio prende il posto della legge»16.

I cittadini romeni adesso devono scegliere se comportarsi da vittime o carnefici, e poche sono le voci del dissenso, le quali trovano scarso appoggio sul piano internazionale. La società è stata, dunque, disarticolata: con il programma di industrializzazione masse consistenti di popolazione sono state spostate nelle città e, una parte di esse, inserita nei meccanismi decisionali attraverso il partito, costituendo la migliore garanzia di stabilità del regime. Gli intellettuali quando non vengono asserviti, sono estromessi e ridotti al silenzio e la polizia segreta, ormai onnipresente, determina un crescente clima di terrore, la cui costanza evita quasi ogni tentativo di opposizione.

Paradossalmente, il sostegno a un regime siffatto proviene in parte dall’Occidente ‘libero’ in quel lasso di tempo: saranno proprio gli Stati Uniti a definire la Romania socialista ‘nazione più favorita’, un riconoscimento atto a smorzare qualsiasi tentativo di dissenso interno. Anche nel panorama internazionale la figura di Ceauşescu e l’esperienza romena godono di ampio riconoscimento, per tutto il corso degli anni Settanta. La politica estera è tuttavia un’arma a doppio taglio. Nel 1975, infatti, si riunisce a Helsinki la Conferenza per la sicurezza e la cooperazione europea, i cui risultati (o ‘panieri’) costituiranno una svolta decisiva in tutta l’aerea comunista, soprattutto per “[…] l’effetto destabilizzante che uno di quei ‘panieri’ provoca e cioè quello sui diritti umani”.17

Ciò è molto importante, perché la non osservanza di tali diritti può inficiare l’applicazione degli altri accordi inerenti all’ambito politico-economico. Il ‘paniere’ dei diritti umani, infatti, diviene strumento di forte pressione politica sull’Unione Sovietica: adesso tutti i dissidenti perseguitati possiedono un documento scritto che li tutela, un sicuro punto di riferimento. La situazione creatasi è ambigua: l’Urss non ha intenzione di modificare la propria condizione politico-sociale, eppure si

15 Ivi, p. 122.

16 Ion Bulei, Breve storia dei romeni …, cit., p. 178.

(13)

13

mostra disponibile a rispettare tale clausola. Per quale motivo? La ragione di tale gesto non può che essere economica: l’Unione Sovietica è infatti un colosso e il proprio sostentamento richiede ingenti risorse e una stabilità al momento non sufficienti.

Al contrario, nel mondo capitalista, sta avendo luogo una vera e propria ‘rivoluzione’ dei sistemi produttivi, grazie all’applicazione di strumenti e macchinari sempre più sofisticati, che modificano il sistema di produzione, i margini di profitto e la concezione di lavoro sempre più specializzato. La difficoltà dell’economia e, dunque, la necessità di accedere, con costi permissivi, alla tecnologia occidentale spiegano questo passaggio della politica estera sovietica.

In Romania la situazione si fa più complessa in quanto Ceauşescu non può più scongiurare una possibile eventualità di richieste di liberalizzazione interna, non più eludibili per le immediate conseguenze internazionali. Tuttavia, il terremoto che affligge il Paese, nel 1977, con un alto numero di vittime, crea una sorta di rinnovata ‘unità nazionale’ che pone in secondo piano gli elementi di dissenso, e consente a Ceauşescu di rafforzare la propria posizione. È tuttavia nel campo economico che la dittatura personale del leader conosce i maggiori insuccessi, nonostante gli ingenti aiuti sopracitati. Scelte sbagliate e il mutato clima internazionale creatosi con l’amministrazione Carter negli Stati Uniti, diminuiscono il peso internazionale del dittatore romeno al quale non rimane altra strada che quella di cercare il recupero del consenso attraverso miti e spettri di un nazionalismo esasperato, con una sapiente campagna di propaganda e repressione, per fuggire alla responsabilità e distrarre l’opinione pubblica.

In questo quadro deve essere inserita l’insensata campagna finalizzata a risarcire interamente il debito pubblico: essa non fa che peggiorare la situazione economica del Paese, già precaria, creando condizioni di vita disumane. Altra operazione indice dell’assolutezza del potere di Ceauşescu è quella che prevede lo spostamento della popolazione dai villaggi ai centri urbani, col pretesto propagandistico di fornirle una vita migliore all’interno di nuove abitazioni maggiormente conformi all’estetica del regime. L’obiettivo di un progetto così costoso non consiste solo nell’ ‘inculcare’ gli ideali comunisti in quelle masse rurali finora rimastevi lontane, ma anche in un progetto di controllo capillare sulla popolazione, in particolare su quelle minoranze etniche costrette “[…] ad annacquare la loro identità culturale attraverso l’inserimento in contesti a maggioranza romena”18. Dunque, un

regime siffatto non può essere abbattuto con forme di opposizione interna. Il tessuto sociale dei rapporti umani è stato smembrato dagli spostamenti fisici, dal controllo poliziesco, dalla repressione, mentre la diffusa povertà della popolazione la spinge a impiegare tutte le proprie energie verso la sopravvivenza fisica, mettendo a tacere qualsiasi capacità di opposizione al regime, sia collettiva che individuale.

(14)

14

Sono gli avvenimenti sovietici a decretare la fine di questo come degli altri regimi simili nell’Europa Orientale. Nel 1985 in Russia sale al potere Gorbacëv, che eredita dai suoi predecessori una situazione devastata da anni di scelte economiche e politiche fallimentari. Il sistema politico è cristallizzato, immobile da anni; la gestione del potere è affidata a un’élite ristretta e privilegiata; il sistema produttivo è finalizzato per lo più alla produzione militare; e la società civile è quasi inesistente, priva di qualsiasi tipo di libertà, atta a concentrare le proprie energie in attività volte alla sopravvivenza.

Il tentativo del leader sovietico è quello di varare un progetto di riforme istituzionali per mutare tale sistema economico vicino al fallimento. Viene perciò allentata, in primis, la pressione sui Paesi satelliti: scelta che condurrà alla fine di tutti i regimi socialisti nel 1989, compreso quello sovietico nella primavera del 1990, quando la riforma della Costituzione decreterà la fine del monopolio politico del Partito comunista.

Ceauşescu sembra tuttavia sottovalutare i fatti. Egli è disinformato sul malcontento interno al Paese, la propria presunzione lo porta ad avere un’immagine distorta della realtà e, di conseguenza, a minimizzarla. Nel dicembre 1989, dopo un processo sommario, viene condannato a morte e subito giustiziato insieme alla moglie. Si sarebbe trattato, secondo Biagini, di una fine «rapida e pilotata»19 che ha evitato alla Romania una devastante guerra civile, anche perché, in effetti, le rivolte di quei giorni si sono concluse con più di 3000 morti.

I.3 GLI STATI UNITI

Nel periodo successivo al secondo conflitto mondiale, ovvero negli anni dal 1945 al 1964, la storia statunitense è caratterizzata da una politica estera molto attiva, guidata dal proposito di contenere l’affermazione del comunismo nel mondo. L’economia interna, dopo un breve periodo di transizione, inizia a svilupparsi rapidamente e, dal punto di vista socioculturale, prevale un’ideologia piuttosto conservatrice. Come già affermato in precedenza, la ‘Guerra Fredda’ tra Stati Uniti e Unione Sovietica sarà il denominatore comune degli anni Cinquanta. All’inizio del decennio, infatti, entrambi i Paesi dispongono di bombe atomiche, perciò inizia a pesare sul mondo la minaccia di una possibile guerra atomica, fortunatamente in seguito scongiurata.

La politica di contenimento dell’Unione Sovietica, acquisisce carattere internazionale, in quanto applicata anche in politica estera, seguendo suggerimenti di funzionari come George Kennan che sostiene la necessità di utilizzare una certa forza di opposizione. Questa politica viene ulteriormente articolata nella Dottrina Truman, enunciata durante il discorso al Congresso del marzo

(15)

15 1947: essa sostiene l’intenzione degli USA di contribuire con 4 miliardi di dollari a tali sforzi di ‘contenimento’. Ciò ha luogo nel mezzo della crisi della guerra civile greca (1946-1949) con minacce comuniste percepite in quella nazione, come in Turchia e in Iran. Truman insiste su quest’ultimo rischio: se Grecia e Turchia non riuscissero a ricevere gli aiuti necessari, cadrebbero inevitabilmente sotto il comunismo20.

Perciò, nel maggio 1947, la Dottrina viene trasformata in legge, garantendo 400 milioni di dollari da impiegare in aiuti militari ed economici a entrambi i Paesi. Gli Stati Uniti capitalizzano sulle paure della ‘Guerra Fredda’ per lanciare un ingente sforzo economico di ricostruzione, prima in Europa Occidentale, in Giappone, Corea e Taiwan. Il Piano Marshall inizia a versare 12 milioni di dollari in Europa Occidentale21: questo provoca una dura risposta da parte di Stalin che blocca

l’accesso alla Berlino Est, ma viene umiliato dal piano vincente di Truman che ordina il trasporto aereo e i rifornimenti per la città, sorvolando la Zona Sovietica, tra il 1948 e il 1949.

Nello stesso anno Truman riunisce gli USA e altre undici nazioni con il Patto NATO, la prima alleanza vincolante tra Stati Uniti ed Europa. Allo stesso tempo, Stalin integra le economie dell’Europa Orientale nella sua versione del Piano Marshall, fa esplodere la prima atomica sovietica nel 1949, firma un’alleanza (il trattato sino-sovietico) con la neonata Repubblica Popolare Cinese, proclamata dal leader comunista Mao Tse-tung, e stipula il Patto di Varsavia: corrispettivo orientale della Nato.

Nei primi anni Cinquanta assistiamo ai piani degli USA per formare un esercito della Germania Ovest e si presentano le proposte per un trattato di pace con il Giappone, affinché vi siano garantite basi militari statunitensi a lungo termine, per far avanzare lo sviluppo delle forze armate di questo Paese nell’Asia Orientale. La Dottrina Truman contribuisce anche al primo coinvolgimento americano in Vietnam.

Truman tenta di aiutare la Francia al fine di non perdere le proprie colonie in Indocina: perciò le truppe francesi vengono rifornite militarmente, con lo scopo di combattere il giovane Ho Chi Minh e i rivoluzionari comunisti nella Prima Guerra d’Indocina. Intanto, secondo alcuni consiglieri di Stato, Stalin avrebbe approvato, nel giungo 1950, un piano nordcoreano per invadere la Corea del Sud alleata USA, a causa del trattato di Pace con il Giappone e del collocamento delle basi statunitensi nel paese del Sol Levante.

Perciò, temendo che una Corea comunista avrebbe neutralizzato il potere statunitense in Giappone e rafforzato quello sovietico in Estremo Oriente, Truman impegna le truppe americane in Corea per respingere i nordcoreani. Questa nuova guerra è costellata da una serie di insuccessi

20 Bruno Cartosio, Gli Stati Uniti Contemporanei: le strade verso la superpotenza (1865-1990), Giunti Editori, Firenze,

1992, p.125.

(16)

16 americani, grazie anche all’intervento della Repubblica Popolare Cinese le cui truppe, nel novembre 1950, attraverso un’azione di accerchiamento, massacrano quelle avversarie. Il conflitto si conclude con un bilancio di oltre 50.000 vittime statunitensi e quasi un milione da entrambe le parti22.

Nel 1953 Stalin muore e il nuovo presidente degli Stati Uniti, Dwight D. Eisenhower, sfrutta l’opportunità per concludere definitivamente la guerra di Corea. Figura chiave nella politica estera, condotta dal nuovo presidente, sarà il suo segretario di Stato John Foster Dulles. Egli denuncia il ‘contenimento’ dell’amministrazione Truman e inaugura un programma attivo di ‘liberazione’ che avrebbe portato a una ritirata del comunismo. La principale iniziativa contenutavi consiste in una politica di ‘rappresaglia massiccia’, che Dulles annuncia all’inizio del 1954, al fine di esercitare l’indiscussa superiorità dell’arsenale atomico e dello spionaggio statunitense (brinksmanship)23.

Entrambe le nazioni continuano a cercare di espandere le loro sfere di influenza, utilizzando ogni tipo di mezzo. Il nuovo leader russo, Nikita Krusciov, non solo espande la politica moscovita attraverso nuove relazioni con l’India e altri paesi non comunisti del Terzo Mondo per portarli dalla propria parte, ma aumenta il potere sovietico sviluppando la bomba a idrogeno e lanciando in orbita il primo satellite artificiale nel 1957. Nel tentativo di influenzare le altre nazioni, i sovietici ottengono una grande vittoria quando Krusciov forma un’alleanza con Cuba, dopo la riuscita rivoluzione a opera del leader comunista Fidel Castro nel 1959.

Gli Stati Uniti intanto, ostacolano l’intervento sovietico anche attraverso la Centrale Intelligence Agency (CIA) al fine di rovesciare governi non amichevoli. Un esempio lampante è costituito dalla questione iraniana. Il governo americano reagisce infatti con le armi rispetto alle azioni di Mohammad Mossadeq, il primo ministro nazionalista iraniano, che nel 1951 nazionalizza i pozzi di petrolio del Paese, fino ad allora gestiti da una compagnia britannica. Perciò, convinto che l’Iran stia passando da una posizione filoccidentale a una filosovietica, Eisenhower utilizza la CIA per rovesciare il governo in carica e porre sul trono il giovane Scià, Mohammed Reza Pahlevi, che da monarca costituzionale diviene sovrano assoluto. Il nuovo regnante, in cambio, permette alle compagnie statunitensi di avere una parte nello sfruttamento delle riserve petrolifere nazionali.

Per molte famiglie americane, le tensioni internazionali vengono bilanciate dalle comodità di casa. In particolare, dopo il 1955, quando i cittadini statunitensi iniziano a godere di salari alti, grandi automobili, comodità casalinghe, come gli elettrodomestici, pensati per risparmiare tempo e fatica nei lavori domestici. L’arredamento di nuovo stile è scintillante, economico, pratico: si inizia a adottare uno stile di vita che sembra vertere sul concetto di ‘efficienza’.

22 Ivi, p. 243. 23 Ivi, p. 245.

(17)

17 Gli anni del secondo dopoguerra, infatti, sono caratterizzati da una certa prosperità per la classe media bianca americana. Gli USA riescono a trasformare sin da subito la loro macchina da guerra in una cultura consumistica, che tende a oscurare il fatto che tale prosperità non è estesa a tutti i livelli di popolazione. Durante gli anni di Eisenhower, infatti, molti americani vivono nell’indigenza e nell’emarginazione come ad esempio, gli afroamericani, soggetti a discriminazioni e violenze sociali, economiche e politiche.

Tra gli anni Cinquanta e Sessanta, il consumismo diviene un meccanismo centrale nella quotidianità per le famiglie benestanti: esse infatti, bombardate da continue pubblicità trasmesse dai nuovi media, sono spinte costantemente all’acquisto di beni di consumo sempre più numerosi, senza fare alcun investimento. Crescono a dismisura i sobborghi, grazie alle innovazioni apportate dal mercato immobiliare monofamiliare, perché offrono abitazioni più grandi, riservatezza e sicurezza maggiori rispetto al contesto urbano. Ovviamente, queste aree sono riservate ai bianchi: generalmente, agli afroamericani ne viene negato l’accesso, sia dal punto di vista economico, che sociale24.

In tale clima si inserisce il successore del presidente Eisenhower, definito da Giuseppe Mammarella un «idealista senza illusioni»25, John Fitzgerald Kennedy, che nel proprio discorso inaugurale, pronunciato nella tarda mattinata del 20 gennaio 1961 a Washington, ha espresso propositi fondati sugli ideali di innovazione e uguaglianza. Il proprio mandato avrà durata breve, di soli mille giorni, ma sarà carico di eventi tali da imprimerlo nella memoria comune per sempre.

Il nuovo presidente giungerà alla Casa Bianca a 44 anni, circondato da collaboratori giovani, con la voglia di apportare innovazioni: essi appartengono a quella generazione che ha combattuto e perciò vissuto in prima persona il secondo conflitto mondiale, che ha visto l’America fuoriuscire dall’isolazionismo a cui la Grande Depressione del 1929 l’ha condotta, e risollevarsi più forte che mai. Perciò, al momento dell’insediamento, la speranza e le aspettative sono alte, in quanto risultato di un crescendo di successi che hanno accompagnato la campagna per la “presidenza del nuovo principe”26, iniziata ufficialmente nel gennaio 1960, quando Kennedy annuncia nel corso di

un’apparizione televisiva, la propria candidatura al Partito democratico.

Attraverso la propria efficientissima macchina elettorale, egli giungerà a costituire l’immagine di un leader che, a doti carismatiche, unisce sicure capacità decisionali, qualità intellettuali di prim’ordine e un programma di rinnovamento sociale all’interno e di rilancio dell’influenza americana nel mondo. I giovani, le classi meno favorite, i gruppi etnici e soprattutto la minoranza

24 Oliviero Bergamini, Storia degli Stati Uniti, Editori Laterza, Bari, 2002, pp. 191-195. 25 Giuseppe Mammarella, Storia degli Stati Uniti …, cit., p. 247.

(18)

18 afroamericana, percorsa da un’inquietudine sempre maggiore e da una volontà di riscattarsi che esploderanno negli anni successivi, saranno i naturali destinatari del programma kennediano.

Giunto alla Casa Bianca, il nuovo Presidente si trova ad affrontare una serie di problematiche pressanti lasciate dalla precedente amministrazione, in primis quelle in campo economico. Le misure proposte da Kennedy, che seguono molto da vicino il suo programma elettorale, sono ispirate a soluzioni di impronta keynesiana e consistono nell’aumentare la spesa pubblica e nel ridurre le tasse, al fine di stimolare l’economia e riassorbire la disoccupazione. Il progetto della riduzione delle tasse verrà affrontato successivamente, nel 1962; al momento il ‘pacchetto economico’ del presidente prevede: un lieve aumento della spesa federale, un programma di lavori pubblici, una serie di aumenti salariali, oltre a quelli dei sussidi ai disoccupati e agli agricoltori. Queste proposte verranno approvate quasi integralmente dal Congresso, favorevole soprattutto a un aumento maggiore delle spese militari, contro il volere dello stesso governo. Verranno invece bocciate quelle a carattere sociale, come gli aiuti all’istruzione pubblica e il progetto di assistenza sanitaria che tenta di introdurre un parziale programma di medicina sociale.

L’aumento delle spese militari che inizia con Kennedy e continuerà durante tutto il decennio, e la dilatazione delle spese americane all’estero creeranno le premesse per quella gravissima crisi finanziaria che dieci anni dopo porterà alla svalutazione del dollaro, minando le basi del sistema monetario occidentale. Ma per il momento questo nuovo sistema appare efficiente, segnando l’inizio di uno dei più lunghi periodi di espansione economica nella storia americana.

Il nuovo presidente, inoltre, rivolge fin da subito un’attenzione particolare nei confronti dell’America latina, poiché essa è altamente minacciata dalla scintilla rivoluzionaria cubana. Perciò, nel 1961, propone la creazione dell’Alleanza per il Progresso ai rappresentanti di tutti i governi latinoamericani: si tratta di un programma di aiuti per alimentare la loro crescita economica, da cui viene esclusa volutamente l’isola di Cuba, con il fine di isolarla. Tuttavia, Kennedy intraprenderà un’azione vera e propria nei confronti di questa poco dopo, riprendendo il progetto eisenhoweriano di una sua invasione da parte delle «forze anticastriste»27, finanziate segretamente dagli Stati Uniti. Il tentativo di sbarco ha luogo nell’aprile del 1961, fallendo in soli due giorni a causa della risposta militare cubana.

Dunque, solamente un anno e mezzo dopo, si presenterà quella grave crisi che il mondo ricorderà per decenni, in quanto rappresenterà il rischio concreto di uno scontro nucleare tra gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica. Nell’ottobre del 1962, infatti, alcuni aerei spia statunitensi rilevano la costruzione in atto di basi missilistiche sovietiche su Cuba. Perciò, qualche giorno dopo, Kennedy imporrà il blocco navale all’Isola per impedirvi lo sbarco dei missili da parte delle navi sovietiche in

(19)

19

arrivo, le quali continuano tuttavia, imperterrite, la loro rotta. Lo scontro appare inevitabile, quando invece da Mosca giunge un’offerta distensiva: le imbarcazioni sarebbero rientrate in patria, le basi missilistiche distrutte in cambio della promessa di non invadere Cuba mai più. Gli Stati Uniti accettano e la «crisi dei missili»28 viene perciò risolta, assicurando a Castro la sopravvivenza della sua rivoluzione.

Tuttavia, è nel Sudest asiatico che l’aggressivo anticomunismo della politica estera kennediana porterà l’America a incagliarsi in una lunga guerra destinata a concludersi con una sconfitta. Nel 1961, infatti, il presidente inizia a incrementare il numero e il ruolo dei propri «consiglieri militari» nel Vietnam meridionale, riversando sull’esercito del dittatore Ngô Dinh Diem ingenti quantità di armi, munizioni, elicotteri, con l’obiettivo di bloccare la guerriglia condotta dal Fronte di Liberazione Nazionale, egemonizzato dai comunisti29. Kennedy è infatti convinto che, una

caduta di tale Paese nelle mani del comunismo, comporterebbe quella a catena di tutti i paesi vicini, con conseguenze nefaste per il Sud-Est asiatico (importante fonte di materie prime), per la sicurezza del Giappone e, dunque, per l’equilibrio strategico del mondo libero. Perciò è necessario un intervento ‘salvifico’ nei confronti di tale area da parte degli Stati Uniti che, nel 1963, porterà alla sostituzione del despota vietnamita con un altro generale, che si dimostrerà avere le sue medesime inclinazioni.

La storia avrebbe dimostrato, infine, che la «domino theory»30 presidenziale fosse totalmente infondata, ma accecato dal meccanismo ideologico che la guerra fredda comportava, Kennedy ha visto il Vietnam come un “sottoinsieme dello scontro con il comunismo”31 investendo forze ingenti

di ogni tipo, per una vittoria che non sarebbe mai stata raggiunta.

Per concludere, è importante ricordare l’interesse che il giovane presidente dimostra nei confronti del movimento per i diritti civili, avviatosi in questo periodo insieme ad altri di carattere sociale, volti a un rinnovamento morale. Egli sarà, dunque, il primo a esprimere la propria solidarietà al pastore Martin Luther King e alla sua causa, sapendo di alienarsi, in tal modo, le simpatie di numerosi elettori del Sud, ma di conquistare quelle della maggior parte dei giovani che si stanno sensibilizzando al problema.

28 Ivi, p. 153. 29 Ibidem.

30 Oliviero Bergamini, Storia degli Stati Uniti …, cit., p. 212. 31 Ibidem.

(20)

20

CONCLUSIONI

Da questo capitolo si evince che, negli anni che seguono al secondo conflitto mondiale, la situazione sociopolitica internazionale è volta a subire ingenti cambiamenti che porteranno le due potenze, Stati Uniti e Unione Sovietica, a contrapporsi in un conflitto prettamente ideologico. Esso influenzerà totalmente le decisioni e le conseguenti azioni che entrambi i governi intendono intraprendere in politica estera e interna, con ripercussioni sulla quotidianità delle rispettive patrie.

(21)

21

CAPITOLO II

GLI INTELLETTUALI E LA ‘GUERRA FREDDA’

Nel seguente capitolo verrà effettuato un confronto tra la vita degli intellettuali durante l’oppressione attuata dal dominio sovietico, e quella collocata negli anni di controllo culturale americano, in cui imperversa il triste fenomeno del maccartismo, derivato da una psicosi anticomunista. A fare da sfondo a questa situazione sarà il clima di sospetto e di paura costanti nei confronti dell’avversario, che il meccanismo della ‘Guerra fredda’ comporta.

Dunque, al fine di illustrare la reazione degli intellettuali nei confronti del regime politico a cui essi si sono sottoposti, saranno descritte la vita e le opere del drammaturgo e giornalista Matei Vişniec, e della compagnia statunitense del Living Theatre, con una breve introduzione alle rispettive

pièces: La storia del comunismo raccontata ai malati di mente (1998) e The Brig [La Prigione]

(1957), il cui studio costituisce l’argomento centrale di tale tesi.

II.1 LA VITA DEGLI INTELLETTUALI SOTTO IL REGIME SOVIETICO

Durante il primo periodo della dittatura stalinista nell’URSS, che verrà in seguito ripreso negli anni Cinquanta, in cui è stata ambientata la pièce di Vişniec, le istituzioni come il Nuovo Lef (1927-1929) intendono trasformare lo scrittore in rabkor, ovvero il corrispondente operaio nell’ambito della cultura: colui che deve preferire la letteratura dei fatti, literatura fakta, come il diario, la biografia, le memorie, a scapito di quella di invenzione, come il romanzo. Tuttavia, ciò non impedisce la soppressione, nel 1932, di tutte le organizzazioni culturali, sostituite e riunite nell’Unione degli Scrittori. Due anni dopo se ne terrà un Primo Congresso, in cui verranno esposti i principi guida del realismo socialista, a cui ogni artista dovrà attenersi, in quanto ‘ingegnere dell’animo umano’ come ama definirlo Stalin32. È necessario che il ‘nuovo prototipo di artista’ operi una rappresentazione ‘sincera’ della realtà attraverso un’esaltazione del socialismo, finalizzata alla creazione del nuovo mondo comunista. Perciò, la letteratura degli anni Trenta viene messa sotto stretto controllo, attraverso la censura e le campagne denigratorie contro i vari scrittori, l’eliminazione fisica e la deportazione in lager di tutti coloro che sono considerati ‘nemici del popolo’. Tutto questo provoca

32 La voce ‘Gli scrittori di fronte ai regimi’, a cura di Marco Camerani, in “Gli scrittori di fronte al regime” è reperibile

(22)

22

una vera e propria diaspora degli intellettuali, che si spargono per tutta l’Europa, dando vita a numerosi centri culturali russi.

Con la morte di Stalin e l’arrivo al potere di Nikita Krusciov, ha luogo la destalinizzazione menzionata nel capitolo precedente, con ovvie conseguenze anche sul mondo culturale: la censura si fa meno rigida e, altrettanto, la repressione nei confronti degli scrittori che rappresentano le contraddizioni sociali; hanno luogo la riammissione di intellettuali espulsi e la riabilitazione di quelli rimasti vittime delle purghe staliniane; vengono nuovamente pubblicati alcune opere e autori considerati proibiti, come ad esempio, Dostoievskij. Nascono così due tipi di letterature: quella cosiddetta ‘del disgelo’, diretta dall’alto, che mira a un’accelerazione della destalinizzazione, e quella ‘del dissenso’, la quale viene sviluppata clandestinamente. A queste si aggiunge una sostanziale produzione propagandistica.

Nel 1958 esplode il ‘caso Pasternak’: il suo noto romanzo, Il Dottor Zivago, viene messo all’indice e l’autore stesso, insignito del premio Nobel, è costretto a rifiutare l’onorificenza33.

Nel 1962, inoltre, la pubblicazione di Una giornata di Ivan Denisovic di Aleksandr Solženicyn apre alla conoscenza del mondo la realtà dei lager sovietici, ovvero dei gulag. Due anni dopo, saranno perciò presi duri provvedimenti: il nuovo segretario del Partito Comunista, Leonid Breznev, inaugura il periodo della ‘stagnazione’, caratterizzato da dure repressioni. Hanno dunque inizio i primi processi pubblici: Iosif Brodskij (poi illustre premio Nobel) viene accusato di ‘parassitismo’; nel 1966 Julij Daniel e Andrej Sinjavskij vengono arrestati e condannati con l’accusa di aver pubblicato all’estero alcuni scritti antisovietici34.

Gli anni Settanta si caratterizzano per una produzione ‘di regime’ (a opera dell’Unione degli Scrittori) che riproduce il modello del realismo socialista, elaborato da Andrej Ždanov affiancata da altri tipi di pubblicazioni come il samizdat (‘autoedizione’) e il tamizdat (pubblicazione illegale all’estero)35. Bisognerà attendere fino alla perestrojka di Michail Gorbaciov (1986) perché sia posta

fine alla censura e vengano ‘riabilitati’ gli scrittori banditi fino a quel momento.

II.1.1 LA VITA DEGLI INTELLETTUALI ALL’INTERNO DEGLI STATI SATELLITI

Nei paesi comunisti dell’Europa la situazione è ovviamente similare a quella dell’Unione Sovietica, in quanto essa costituisce il loro perno politico e sociale. Da una parte, si collocano gli scrittori accademici, aderenti all’ideologia marxista e stalinista, che seguono le indicazioni delle

33 Ibidem. 34 Ibidem. 35 Ibidem.

(23)

23

autorità centrali; dall’altra si collocano gli scrittori clandestini, che riescono a far giungere i propri scritti agli intellettuali e alla gente comune, nonostante la censura e la repressione, e che vivono la medesima condizione di coloro che sono stati esiliati, le cui opere vengono pubblicate da editori stranieri per pubblici stranieri. Tra queste due categorie si colloca quella degli scrittori tollerati, nelle cui opere si hanno accenni di riflessione critica sulla realtà contemporanea, e perciò vengono pubblicati in patria.

Con la fine della Seconda Guerra Mondiale, dunque, la situazione dei paesi che fanno parte dell’Europa dell’Est è soggetta a numerosi mutamenti di carattere culturale, dovuti all’interruzione di una consolidata tradizione di contatti e di scambi tra le due metà del Continente, con il risultato di una “diffusa cancellazione dalla memoria collettiva di antichi legami e complementarità”36. La

chiusura di tutto l’Est nella ‘cortina di ferro’, che ha luogo in questo periodo, e l’estendersi dei modelli staliniani, comportano un forte sradicamento delle tradizioni culturali nazionali, per adeguarle alla nuova «cultura della rivoluzione»37 di carattere sovietico. Ha pertanto luogo una vera e propria

frattura tra la vita culturale dell’Est e quella dell’Ovest, che segnerà per sempre la coscienza collettiva degli intellettuali appartenenti a entrambe le aree.

Secondo un’analisi condotta dalla docente Bianca Valota, la storiografia prodotta all’interno dei Paesi dell’Est, in particolare, viene ‘viziata’ da pesanti condizionamenti ideologici, fino a risultare polemica e ‘astratta’, proponendo ricostruzioni di fantasia in cui il peso dei fatti, la loro maggiore o minore gravità e le forze coinvoltevi non riescono ad amalgamarsi e a trovare un giusto equilibrio38. Perciò, su interi periodi e su numerosi argomenti, è a lungo gravato il silenzio. Il giornalista François Fejtő, come ricorda Valota, conscio del fatto che la posta in gioco fosse la ‘legittimità del loro regime’, evidenzia una forte volontà da parte dei marxisti di mistificare la “coscienza storica degli individui e delle nazioni”, tentando per decenni di sopprimere quella verità storica che esploderà, una volta crollato il sistema sovietico, «[…] procellosamente, tumultuosamente»39.

Un’altra conseguenza dei decenni di regime, per quanto riguarda la storiografia, è la vera e propria fuga degli studiosi più preparati dall’indagine delle epoche più vicine. La dimensione contemporanea viene infatti assoggettata a pressioni stringenti, che comportano l’inevitabile rischio della perdita di autonomia da parte dello storico e del suo conseguente assoggettamento all’ideologia imperante.

All’interno di ognuno di questi paesi, lo sviluppo libero e autonomo delle ricerche storiche ha sofferto una serie di mali comuni. Quarant’anni di assoggettamento ai regimi comunisti hanno, perciò,

36 Bianca Valota, Storia dell’Europa Orientale, Editoriale Jaca Book, Milano, 1993, p. 31. 37 Ibidem.

38 Ibidem. 39 Ivi, p. 32.

(24)

24

sortito effetti tragici e paradossali. Si ha, infatti, da un lato l’appiattimento forzato su modelli ideologici precostruiti e imposti in modo univoco e dall’altro un forte interesse verso problematiche con prospettive importanti e feconde, ma che comunque hanno conseguenze nefaste per la successiva distorsione delle prospettive e per il silenzio contemporaneo che è stato fatto calare su intere epoche.

Vissuti in tal modo, chiusi per decenni “all’interno degli steccati alzati dai vari comunismi nazionali”40, questi popoli risultano, una volta avvenuto il crollo del sistema che li assoggettava,

sconosciuti tra loro, distanti. Si è finito con l’ignorare l’importanza di molti problemi e prospettive comuni e, soprattutto, di numerosi fattori di dialogo e di unione che sono sempre stati presenti.

In una fase successiva, nei primi anni Sessanta, la situazione è lievemente mutata: iniziano a riemergere tradizioni sopite e mai dimenticate, che vengono favorite dal “parziale e cauto disgelo”41

che si genera in seguito alla morte di Stalin e alla conseguente relativa autonomia lasciata da Mosca ai paesi satelliti. È tuttavia importante sottolineare una tendenza di fondo che emerge da questo nuovo contesto, tipica delle situazioni di isolamento culturale o marginali rispetto alle correnti più moderne: quella di un assoggettamento alle mode storiografiche provenienti dai paesi più o meno ritenuti all’avanguardia degli studi, che genera curiose operazioni culturali imbevute di “impasti ideologici non sempre consapevoli […] e padroneggiabili nella loro portata e nelle loro conseguenze”42.

II.1.2 IL CONTESTO CULTURALE IN ROMANIA

In Romania, dopo la ‘liberazione’ avvenuta nell’agosto 1944, si apre un periodo di transizione che porta all’instaurazione del regime popolare nel 1948.

Dal punto di vista culturale, i valori tradizionali sono distrutti o riscritti, le relazioni con l’Occidente vengono completamente interrotte, il sistema scolastico è riorganizzato sulla base del modello sovietico e persino i libri di testo sono tradotti in russo, la lingua che diverrà obbligatoria per qualsiasi grado di istruzione. Nel 1953 viene modificata l’ortografia, con l’intento di avvicinare maggiormente il Paese all’Unione Sovietica e agli altri stati comunisti, per la maggior parte slavi ed eliminare, perciò, qualsiasi traccia di latinità dalla lingua, poiché essa costituisce un elemento in comune tra la Romania e molti paesi occidentali. Tale processo, dunque, prevede la sostituzione della lettera ‘â’ con la lettera ‘î’, per fare sì che parole come câine, pâine, lânӑ, cântӑ, una volta trasformate in cîine, pîine, lînӑ, cîntӑ, perdano in parte la propria latinità, essendo comunque di origine latina. Purtroppo, la questione della grafia, in Romania, sembra essere da sempre molto grave, soprattutto

40 Ivi, p. 34. 41 Ivi, p. 36. 42 Ivi, p. 38.

(25)

25

perché si presenterebbe, secondo gli studiosi, durante ogni mutamento politico a partire dal XVIII secolo fino ai giorni nostri. Con tale problematica si sono misurati in molti: dal leader romeno Ceauşescu, all’Accademia di Romania dopo la caduta del regime, tutti inseguendo intenti più politici che linguistici.43

Perciò, in tal modo, quel folclore romeno, che è dominato “da un innato senso del colore”, come ha scritto Mircea Eliade44, durante gli anni della dittatura verrà assoggettato forzatamente all’ideologia socialista, la quale favorisce un’unità che ‘rassicura’ ma abbrutisce.

Questo periodo è stato studiato da Ana Selejan, durante il biennio 1992-1993, la quale, sotto il

titolo La Romania al tempo della prima guerra culturale, ha suddiviso la propria analisi in due momenti: quello del Tradimento degli intellettuali e quello di Rieducazione e persecuzione45. Nel

volgere di quattro anni, infatti, le conquiste realizzate nel periodo interbellico e quelle più recenti, da parte di una luminosa generazione di poeti, verranno bandite “sotto il segno del proletcultismo”46. Per un decennio, dunque, la vera poesia, trascinata ‘nelle secche’ del realismo socialista, sarà sostituita da quella di una religione politica. Tra le ultime manifestazioni di libertà, per quanto concerne la poesia e la letteratura in senso esteso, merita di essere ricordato il numero unico della rivista Agora.

Colecţie internaţionalӑ de Artӑ şi Literaturӑ47 , pubblicato dai poeti Ion Caraion e Virgil Ierunca nel

1947, con la collaborazione di autori come Umberto Saba, Salvatore Quasimodo, Paul Celan, Tudor Arghezi, Ion Barbu e altri.

La crisi della cultura è uno dei temi che proviene dalle fila dei giovani e accende i loro dibattiti: coloro che hanno sperato che la fine della guerra avrebbe significato la fine della censura, ma che adesso vedono minacciata la propria realizzazione come scrittori. L’intervento “più coraggioso e più chiaro”48 è quello di Ion Caraion, il quale pubblica due articoli che forniscono la diagnosi esatta sulla

situazione presente: la crisi culturale corrisponde a quella della libertà individuale. Nell’articolo intitolato La crisi dell’uomo, il poeta ribadisce che “La cultura non vive là dove la libertà è morta”, lanciando un grido di allarme quando ormai gli spazi sono volti a restringersi sempre di più. Tutto ciò dimostra che i quarant’anni di dittatura hanno profondamente segnato e attraversato quel patrimonio letterario, in particolare, quella poesia e prosa di cui oggi possiamo fruire.

Tuttavia, nonostante le privazioni attuate dal regime, negli anni Sessanta si sviluppa una generazione di poeti definita dal critico letterario Edgar Papu “Senza maestri e senza libri”, la cui

43 Ion Bulei, Breve storia dei romeni, Edizioni dell’Orso, Alessandria, 2006, p. 168.

44 Mircea Eliade, Breve storia della Romania e dei rumeni, Edizione Settimo sigillo, Roma, 1997, p. 63. 45 Marco Cugno, La poesia romena del Novecento, Edizioni dell’Orso, Alessandria, 1996, p. 48. 46 Ibidem.

47 Ibidem. 48 Ivi, p. 49.

(26)

26

poesia si pone sotto il segno della «Lotta contro l’inerzia»49: questa formula è stata ricavata dal titolo

dell’opera che Nicolae Labiş, un poeta loro coetaneo, stava scrivendo e non riuscirà a ultimare a causa della propria morte avvenuta nel 1956. Nonostante la sua precoce scomparsa, questo autore dà inizio a un processo di lunga durata, che intende togliere il lirismo dei propri coetanei da qualsiasi manipolazione ideologica. Nel riprendere i versi della poesia Au Lecteur di Charles Baudelaire, infatti, egli scrive:

Non potrò disabituarmi

A denunciare “la sottise l’erreur, le péche, la lésine” Ma la vita mi ha insegnato a temere

Le dolorose stragi illogiche.

Il suo marxismo lucido, come egli lo definisce nel medesimo testo (“Marx era un marxista lucido”), si sta probabilmente trasformando, proprio a causa delle «dolorose stragi illogiche» dell’epoca stalinista, in vera dissidenza.50

In tale ambito, un riconoscimento spetta a due altri autori importanti: Nichita Stӑnescu, la cui poesia è intrisa di corporeità e astrazione, quindi pura evasione; e Marin Sorescu, per cui la poesia costituisce, invece, una presa di coscienza della realtà.

All’interno di questa generazione tenta inoltre di costituirsi un ‘gruppo’ letterario, quello degli ‘Onirici’: fondato dal prosatore Dumitru Țepeneag e dal poeta Leonid Dimov. Secondo Mircea Iorgulescu, tale ‘gruppo’ avrebbe costituito “il primo tentativo serio di affrancare la letteratura dalla tutela dell’ideologia”51. L’obiettivo principale di questa nuova corrente è quello di creare una poetica

comune, attraverso cui passare dalla parte dell’opposizione politica: motivo per cui il movimento verrà vietato dalla censura fino al 1989, anno del crollo del regime. ‘L’onirismo’ o ‘Onirismo strutturale’ o ‘estetico’ consiste essenzialmente nel fare e nel costruire, attività tipiche dell’artista, che a causa delle pretese del regime, sembrano essersi offuscate. I membri di tale gruppo appaiono, agli occhi del lettore, intrisi di surrealismo, dato che ambiscono a un’organizzazione simultanea di immagini letterarie.

Negli anni Settanta il clima culturale muta: vengono infatti pubblicate le ‘Tesi di Luglio’ (1971), in applicazione delle quali sono chiamati in causa autori e opere considerati ‘irresponsabili’, come, ad esempio, il poeta Marin Sorescu e le due sue pièces teatrali (I nervi esistono e Il mattino nel

bosco, frammento della pièce Il terzo palo)52, tacciati dalla rivista Teatrul per i probabili effetti che la sua componente drammatica avrebbe avuto sul pubblico. Ciò dimostra che la letteratura tenta di

49 Ivi, p. 55. 50 Ivi, p. 56. 51 Ivi, p. 62. 52 Ivi, p. 60.

Riferimenti

Documenti correlati

Infatti in ogni numero della rivista è indagato un tema attraverso tipologie di materiali di differente natura e provenienza: le foto delle collezioni dell’Archivio di Stato

Al solito, l’indice complessivo è dato dalla somma vettoriale degli indici delle tre componenti (eq.1). nota 4 della tabella 4) si cita la possibilità di calcolare la

È come se la gestazione dovesse iniziare molto prima dei nove mesi, nella mente della donna e nella coppia, svin- colarsi dalla concretezza biologica oggi così accentuata da

Per più di duemila anni, lo studio dei processi mentali si è limitato a questo, a individuare at- traverso i meccanismi di memoria delle regole generali di funzionamento

all’ora, né un milione di miglia, e neanche vuol dire volare alla velocità della luce. Perché qualsiasi numero, vedi, è un limite, mentre la perfezione non

dell'importo dei lavori. Essa può essere costituita con idonea fideiussione bancaria o con polizza fideiussoria assicurativa rilasciata da.. società in possesso dei requisiti

: Fornitura di parte del vestiario e di materiale di equipaggiamento occorrente sia ai nuovi assunti che ad altre unità del Corpo della Polizia locale di Civitavecchia per

Gli anni Settanta del XIX secolo rappresentarono un punto di svolta nella questione dell'educazione femminile, divenuta oggetto di un vasto dibattito che