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Correzione delle alterazioni cliniche e metaboliche della Sindrome dell'ovaio policistico con insulino-sensibilizzanti: dai trattamenti classici alle nuove frontiere.

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Indice

Riassunto analitico ... 3 Introduzione ... 5 Diagnosi ... 5 Eziologia ... 7 Patogenesi ... 9

Alterazione della secrezione gonadotropinica ... 9

Iperandrogenismo primitivamente ovarico e surrenalico ... 10

Ruolo patogenetico dell’insulino-resistenza ... 11

Ruolo del TGFβ ... 12

Ruolo della leptina ... 13

Quadro clinico ... 14

Irregolarità mestruali ed anovulazione ... 14

Infertilità ... 15

Iperandrogenismo ... 17

Alterazioni metaboliche ... 20

Aspetto ecografico di ovaie policistiche ... 26

Altro ... 27

Fenotipi ... 28

Quadro ormonale ... 29

Complicanze metaboliche... 32

Diabete mellito di tipo 2 ... 32

Sindrome metabolica ... 32

Malattie cardiovascolari ... 35

NAFLD (Non-alchoholic fatty liver disease) ... 39

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Terapie endocrine ... 41

Terapie metaboliche ... 41

Obiettivo dello studio ... 49

Materiali e metodi ... 49

Soggetti ... 49

Protocollo di studio ... 51

Analisi statistica ... 52

Risultati ... 53

Confronto tra i due gruppi di trattamento in condizioni basali... 53

Confronto tra i due gruppi di trattamento dopo 6 mesi di terapia ... 53

Discussione ... 58

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Riassunto analitico

La PCOS è la più comune endocrinopatia femminile nel mondo sviluppato. Si manifesta clinicamente con irregolarità del ciclo (tipicamente oligoamenorrea), infertilità, manifestazioni di iperandrogenismo quali acne ed irsutismo ed alterazioni del metabolismo quali insulino-resistenza con iperinsulinemia compensatoria. La sindrome si manifesta dopo la pubertà e può tendere a migliorare con l’avvicinarsi della menopausa. Le manifestazioni cliniche sono variabili, comportando la determinazione di numerosi fenotipi che possono complicare la diagnosi. L’insulino-resistenza ha anche un importante ruolo nella patogenesi della sindrome e predispone allo sviluppo di intolleranza glucidica e diabete mellito di tipo 2 in età adulta. La PCOS si associa anche ad un’aumentata prevalenza di obesità (soprattutto viscerale) e sovrappeso, che possono contribuire ed essere aggravati, a loro volta, dall’insulino-resistenza. L’insulino-resistenza e l’alterazione del metabolismo si associano anche ad un alterato profilo lipidico, ipertensione arteriosa, variazione dell’assetto coagulativo con maggior predisposizione alla trombosi e ad uno stato di flogosi generalizzato con danneggiamento dell’endotelio ed eventuale sviluppo di aterosclerosi. Tutto ciò contribuisce a rendere le donne con PCOS soggetti a maggior rischio cardiovascolare che, quindi, necessitano non solo di un monitoraggio nell’ambito ginecologico (fondamentale anche per il maggior rischio di sviluppare carcinoma dell’endometrio), ma multidisciplinare.

Considerando l’importanza dell’aspetto metabolico della PCOS, sono stati introdotti nuovi trattamenti volti a correggere queste alterazioni, in particolare il trattamento con insulino-sensibilizzanti. La metformina, seppur off label, viene già utilizzata da molti anni ed ha dato risultati positivi sia nel miglioramento della ciclicità mestruale, dell’ovulazione e delle complicanze della gravidanza che dell’iperandrogenismo e dell’insulino-resistenza. Più recentemente è stato messo in commercio l’inositolo, integratore alimentare implicato nella via di segnalazione insulinica, con azione insulino-sensibilizzante. L’esperienza clinica del trattamento con inositolo è ancora limitata data la sua recente introduzione.

L’obiettivo di questo studio è stato proprio il confronto dell’efficacia di metformina ed

inositolo nella correzione delle alterazioni cliniche e metaboliche in giovani donne

affette da PCOS.

Dai risultati ottenuti su un campione di 50 donne selezionate nell’Ambulatorio di Endocrinologia Ginecologica appartenente alla Divisione di Ginecologia ed Ostetricia ad

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4 indirizzo Oncologico dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana, entrambi i presidi si sono dimostrati efficaci nel miglioramento della ciclicità mestruale, dell’insulino-resistenza misurata con HOMA index ed AUC insulina e nella riduzione del BMI. Non si sono, invece, ottenuti risultati notevoli nella riduzione delle manifestazioni cliniche dell’iperandrogenismo (acne ed irsutismo), valutate in base alla percezione delle pazienti stesse; tale risultato è comunque in linea con quanto ci aspettavamo, dal momento che sono di solito necessari lunghi trattamenti con altri tipi di presidi per ottenere miglioramenti tangibili.

Si è dimostrata, inoltre, la non inferiorità del nuovo trattamento a base di inositolo rispetto a quello classico e consolidato a base di metformina.

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Introduzione

La Sindrome dell’ovaio policistico (Polycystic ovary syndrome, PCOS) è la più comune endocrinopatia femminile nel mondo sviluppato. È una patologia che determina un fenotipo eterogeneo tale da comportare negli anni un certo disaccordo sui criteri diagnostici. La prevalenza varia tra il 6 e il 15%, a seconda dei criteri utilizzati per la diagnosi.1 È caratterizzata da oligo/anovulazione (a cui può seguire oligoamenorrea e conseguente infertilità), acne ed irsutismo (espressione clinica dell’iperandrogenismo). Può essere associata ad anomalie metaboliche quali insulino-resistenza (con possibile sviluppo di diabete di tipo 2), obesità e problemi cardiovascolari.

Diagnosi

Come già accennato, non esiste una definizione universalmente accettata di PCOS e negli anni i criteri diagnostici sono cambiati più volte.

La prima descrizione della sindrome fu fatta da Stein e Leventhal nel 1935, che descrissero donne obese con oligoamenorrea, irsutismo ed infertilità, con ovaie cistiche e di dimensioni aumentate e che dettero per alcuni anni il loro nome alla sindrome. Il nome “Sindrome dell’ovaio policistico” iniziò a comparire negli anni ’60 e pian piano rimpiazzò il termine “Sindrome di Stein-Leventhal”.2

Nel 1990 l’NIH (National Institutes of Health) propose i seguenti criteri diagnostici: Anovulatorietà cronica

Segni clinici e/o biochimici di iperandrogenismo

Esclusione di altre cause di iperandrogenismo, come iperplasia surrenalica congenita, tumori androgeno-secernenti ed iperprolattinemia

Furono utilizzati finché, nel 2003, la European Society of Human Reproduction and Embryology/American Society of Reproductive Medicine tenne una Consensus Conference a Rotterdam in cui i criteri diagnostici vennero rivisti, consentendo di includere nella diagnosi uno spettro più ampio di fenotipi di PCOS.3 Per la diagnosi erano necessari, dopo aver escluso altre cause di iperandrogenismo, 2 criteri su 3 dei seguenti4:

Oligo/anovulatorietà

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6 Aspetto ecografico di ovaie policistiche (almeno un ovaio con 12 o più follicoli di diametro compreso tra 2 e 9 mm, a prescindere dalla loro disposizione e/o volume ovarico >10 cm³)

Secondo la Androgen Excess Society, la diagnosi dovrebbe essere fatta sulla base della presenza di 3 caratteristiche:

Segni clinici e/o biochimici di iperandrogenismo

Disfunzione ovarica (oligo/anovulatorietà e/o morfologia policistica delle ovaie) Esclusione di altre cause di iperandrogenismo

Questi diversi criteri identificano fenotipi diversi di donne con PCOS: in particolare l’NIH individua donne con un maggior rischio metabolico, la Consensus Conference anche donne con disfunzione ovulatoria ed ovaie ecograficamente di aspetto policistico. Tuttavia, nel dicembre 2012, l’NIH ha finanziato un gruppo di esperti che ha avallato l’accettazione dei criteri di Rotterdam perché consentono di includere un ampio spettro di fenotipi di PCOS.1 Quindi, attualmente, i criteri della Consensus Conference di Rotterdam sono quelli più accettati per la diagnosi di PCOS.

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Eziologia

L’eziologia della PCOS rimane sconosciuta, nonostante nell’ultima decade sia stata al centro di numerosi dibattiti. Si pensa che sia attribuibile sia a fattori genetici che a fattori ambientali. Molti studi indicano che un difetto nell’azione dell’insulina potrebbe essere la causa principale della PCOS.

Per quanto riguarda il ruolo dei fattori ambientali, molti studi hanno osservato l’importanza dello stato socio-economico e di comportamenti poco sani come fumo di sigaretta, cattiva alimentazione e scarsa attività fisica. Di tutti questi fattori, la condizione indubbiamente più comune, che si trova frequentemente in comorbidità con la PCOS, è l’obesità. Uno studio del 2011 ha trovato una correlazione tra un basso stato

socio-economico durante l’adolescenza e la PCOS. Questo rischio di PCOS era anche più alto

nelle donne obese.5 Sembra anche che l’esposizione durante la vita intrauterina ad un eccesso di androgeni potrebbe essere responsabile dell’iperandrogenismo e della disfunzione ovarica nella vita futura, nonostante la normalizzazione dei livelli di androgeni dopo la nascita.6 Il basso peso alla nascita e l’esposizione fetale agli androgeni possono contribuire allo sviluppo del fenotipo PCOS. Inoltre, il basso peso alla nascita è associato anche allo sviluppo di insulino-resistenza ed obesità in età adulta. Nella placenta delle donne con PCOS sono stati trovati livelli di attività più bassi dell’aromatasi e della 3β-idrossisteroidodeidrogenasi-1. L’iperandrogenismo nella vita fetale agisce sulla programmazione dell’asse ipotalamo-ipofisario stimolando la secrezione di LH e determinando lo sviluppo di obesità addominale con conseguente insulino-resistenza.7 Anche la genetica ha un ruolo molto importante nella genesi della malattia: c’è un’alta percentuale di presenza di iperandrogenismo e diabete di tipo 2 nei parenti di primo grado di donne con la PCOS. Fenotipi di iperandrogenismo ed anomalie metaboliche si aggregano nelle famiglie con PCOS. Alcune sorelle hanno iperandrogenemia con cicli regolari ed insulino-resistenza, mentre altre hanno cicli irregolari. Madri di donne con PCOS che avevano irregolarità mestruali, avevano anche livelli più alti di testosterone, dislipidemia e marcatori di insulino-resistenza.8 Fratelli di donne con PCOS hanno livelli aumentati di DHEA-S (deidroepiandrosterone solfato), facendo immaginare difetti nella steroidogenesi androgenica simili a quelli delle sorelle con la PCOS.9 In un altro studio, fratelli di donne con la PCOS hanno mostrato difetti nella funzione delle β cellule pancreatiche, con un aumentato rischio di diabete di tipo 2. 10

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8 Degli studi hanno scoperto che il polimorfismo a singolo nucleotide (SNP) rs13429458 è fortemente associato con il rischio familiare di PCOS.11,12 Geni di suscettibilità per questa patologia si trovano nelle regioni del gene del recettore insulinico, dell’insulina, della follistatina, della fibrillina-3 e di altri membri della via di segnalazione del TGFβ.13

Anche l’etnia sembra essere associata allo sviluppo di PCOS: i Messicani-Americani hanno una delle prevalenze più alte tra le varie etnie (13%)14 e questo potrebbe essere dovuto al maggior grado di insulino-resistenza e diabete di tipo 2 in questa popolazione.15

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Patogenesi

Ci sono tre teorie patogenetiche principali16: la prima la attribuisce ad una disfunzione ipotalamo-ipofisaria, la seconda ad un iperandrogenismo primitivamente ovarico e surrenalico, la terza ad un’insulino-resistenza periferica.

Alterazione della secrezione gonadotropinica

Una delle teorie si basa sul fatto che la prima alterazione biochimica che si rilevò nelle donne con PCOS fu un’alterazione del rapporto LH/FSH, con un aumento dell’LH

rispetto all’FSH. Si pensò che questa preponderanza dell’LH rispetto all’FSH fosse la

causa della sindrome: infatti, l’eccesso di LH comporta un eccessivo sviluppo delle cellule della teca e conseguente produzione di androgeni (le cellule della teca producono androgeni sotto stimolo dell’LH), ma questi androgeni non possono essere trasformati in estrogeni dall’aromatasi delle cellule della granulosa a causa dello scarso stimolo al loro sviluppo ed alla produzione di aromatasi da parte dell’FSH. Questa teoria spiegherebbe la morfologia delle ovaie, l’irsutismo e l’anovulazione:

L’eccesso di androgeni causa l’arresto dello sviluppo del follicolo nello stadio preantrale (gli estrogeni sono, infatti, fondamentali per lo sviluppo e la selezione del follicolo dominante), per cui l’ovaio si riempie di multipli piccoli follicoli preantrali ed aumenta di dimensioni, anche a causa dell’iperplasia stromale e tecale secondari alla sregolata esposizione alle gonadotropine.

Questo esita in un aumentato rilascio in circolo di androgeni che alterano il feedback ipotalamo-ipofisario innescando un circolo vizioso in cui l’eccesso di LH determina un’aumentata produzione ovarica di androgeni, che, a loro volta, stimolano una ulteriore secrezione di LH. L’eccesso di androgeni agisce, poi, sull’unità pilo-sebacea aumentando la produzione di sebo e stimolando la crescita del follicolo pilifero; talvolta, invece, a livello del cuoio capelluto si ha l’atresia dell’unità stessa, provocando alopecia androgenetica.

Studi sulla secrezione delle gonadotropine in donne con PCOS hanno dimostrato un aumentato rilascio di LH con una normale secrezione di FSH in risposta alla somministrazione di GnRH17, per questo alcuni gruppi utilizzano il test al GnRH per diagnosticare la PCOS.18 Dosaggi random di LH, invece, hanno dimostrato scarsa sensibilità e specificità per la diagnosi di PCOS19, in quanto il livello sierico di LH tende a

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10 variare a causa della secrezione pulsatile e di altre condizioni, tra cui l’obesità. L’obesità tende a ridurre i livelli di LH basali e dopo stimolo con GnRH nelle donne con PCOS20, nonostante questi rimangano più elevati rispetto ai controlli di pari peso ed età.

Iperandrogenismo primitivamente ovarico e surrenalico

Un difetto primitivo della steroidogenesi ovarica può condurre allo stesso meccanismo spiegato prima, con una secrezione alterata di gonadotropine e sintomi di iperandrogenismo periferico come acne, irsutismo ed alopecia. I livelli di androgeni tendono ad essere elevati all’interno dei follicoli antrali, a sostegno di una potenziale carenza nell’attività aromatasica della granulosa.21

Cellule tecali di donne con PCOS messe in coltura mostrano difetti della steroidogenesi, inclusa un’iperproduzione di androgeni, facendo supporre che ci sia un’anomalia permanente in queste cellule che potrebbe essere di origine genetica.22 Studi in vivo ed in vitro dimostrano che le ovaie PCOS hanno un’aumentata attività degli enzimi del citocromo P-450c1723

(quelli che si occupano della sintesi dell’androstenedione nelle cellule tecali, che può essere poi convertito in testosterone dalla 17-β-idrossisteroidodeidrogenasi oppure aromatizzato in estrone).A supporto di questa teoria, come già detto, c’è un’alta prevalenza di iperandrogenemia ed iperandrogenismo nei parenti di primo grado di queste donne.

Un 20-30% di donne con PCOS presenta iperandrogenismo di origine surrenalica (livelli elevati di DHEA-S, un marker dell’attività androgenica surrenalica)24, suggerendo che il difetto nella steroidogenesi è primitivo e coinvolge sia l’ovaio che il surrene. Anche per i livelli aumentati di DHEA-S si è notata una certa familiarità (in parenti maschi e femmine delle donne con PCOS), a sostegno della possibile componente genetica. Tuttavia, non è stato trovato nessun difetto genetico negli enzimi della steroidogenesi25, quindi non sarebbe molto corretto affermare che il difetto sia permanente, in quanto il fenotipo clinico e l’aumento degli androgeni non si manifestano prima del menarca e scompaiono con la menopausa e l’iperandrogenismo può migliorare con terapie ormonali soppressive o con induttori dell’ovulazione.

Altri fattori ovarici potrebbero contribuire alla patogenesi della PCOS: le ovaie policistiche sembrano contenere un aumentato numero di follicoli preantrali26, che potrebbe derivare sia da un aumentato numero di cellule germinali nell’ovaio fetale, sia dalla ridotta perdita degli ovociti con l’età, sia dalla ridotta velocità di perdita degli ovociti durante la tarda

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11 gestazione, l’infanzia e la pubertà. Tra l’altro, è stata dimostrata in vitro l’aumentata

sopravvivenza e la ridotta atresia dei follicoli PCOS.26

Ruolo patogenetico dell’insulino-resistenza

Le donne con PCOS, sia magre che obese, presentano una maggior incidenza di

insulino-resistenza rispetto ai controlli sani27, la quale conduce ad un’iperinsulinemia

compensatoria. Per dimostrare che l’iperinsulinemia è causata da un’aumentata resistenza insulinica in passato è stata usata la tecnica del clampaggio euglicemico del glucosio, la quale ha evidenziato che il consumo di glucosio indotto dall’insulina era significativamente inferiore alla norma.

Le donne obese con PCOS hanno un maggior grado di resistenza delle donne obese non PCOS, mentre, riguardo alle donne magre, non ci sono risultati omogenei nei vari studi: studi europei28 sostengono che le donne magre con PCOS non siano insulino-resistenti, studi nord-americani hanno riscontrato sia la presenza che l’assenza di insulino-resistenza. Queste differenze potrebbero anche essere legate al diverso stile di vita ed alle caratteristiche etniche e genetiche. Quello che è certo è che il sovrappeso e l’obesità aumentano l’insulino-resistenza e peggiorano il lavoro insulinico; ciò ha una notevole importanza considerando che il 60-70% delle donne con PCOS è obeso. Tuttavia la resistenza insulinica (attualmente valutata con la curva da carico di glucosio e dosaggio dell’insulina in tempi successivi) può essere presente anche nelle donne PCOS normopeso.29

Un potenziale meccanismo di insulino-resistenza potrebbe essere l’eccessiva fosforilazione del recettore insulinico ad opera di una serina/treonina chinasi che conduce ad un’inibizione della trasduzione del segnale.30

Questo meccanismo sarebbe responsabile anche dell’aumento della sintesi degli androgeni ad opera dell’enzima P-450c17, sia nell’ovaio che nel surrene.31

Diversi studi32,33 hanno correlato l’insulino-resistenza all’iperandrogenemia: in particolare il grado di iperinsulinemia correla con la gravità dell’espressione clinica della sindrome. Diverse evidenze supportano che sia l’iperinsulinemia a causare l’iperandrogenemia e non viceversa in quanto la riduzione dei livelli di androgeni con ovariectomia bilaterale34 o tramite somministrazione di GnRH agonisti35 non modifica l’iperinsulinemia e la terapia antiandrogenica non altera la resistenza insulinica (se non, sporadicamente, solo in parte). L’iperinsulinemia aumenta la produzione di androgeni23

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la risposta delle cellule tecali all’LH (cioè la sintesi di androgeni) attraverso la

stimolazione di recettori ovarici dell’insulina e delle IGFs (insulin like growth factors), sia indirettamente, aumentando l’ampiezza dei picchi di LH. Studi36 in vitro con anticorpi anti-recettore insulinico ed anti-anti-recettore dell’IGF1 dimostrano che l’insulina compie tutto ciò legandosi al suo normale recettore. L’insulina aumenta l’ampiezza dei picchi di LH, ma

non la loro frequenza in donne obese affette da PCOS37; nell’uomo sono stati trovati

recettori insulinici a livello ipofisario ed in vitro si è visto che, nei ratti, l’insulina stimola il rilascio di gonadotropine. Inoltre l’insulina potrebbe agire aumentando l’azione

steroidosintetica dell’enzima P-450c17.

Altri due importanti meccanismi di azione dell’insulina sono responsabili dell’iperandrogenemia:

L’inibizione della sintesi epatica di SHBG38 (sex hormone-binding globulin), che determina una maggiore biodisponibilità di estrogeni ed androgeni liberi. Infatti, i livelli di SBHG sono ottimi indicatori del grado di insulino-resistenza e dell’iperinsulinemia e la sua riduzione è predittiva per lo sviluppo di diabete mellito di tipo 2.

L’inibizione della produzione epatica di IGFBP-139,40

(IGF binding protein),che

fa aumentare i livelli circolanti di IGF-1 e la sua attività. L’IGF-1, tra le varie azioni, sembra stimolare anche l’attività dell’enzima 5α-reduttasi, responsabile della conversione del testosterone in diidrotestosterone, ovvero il suo metabolita attivo. La concentrazione di IGFBP-1 è direttamente correlata al grado di obesità, infatti il sovrappeso ne riduce le concentrazioni anche in donne non PCOS. Ne risulta che anche l’obesità ha un ruolo essenziale nella patogenesi dell’iperandrogenismo nella PCOS, in quanto il BMI è il principale determinante dei livelli di IGFBP-1.40

Da quanto detto, è evidente che la riduzione dell’insulino-resistenza e dei livelli di insulina possono essere utilizzati allo scopo terapeutico di ridurre l’iperandrogenismo nella PCOS.

Ruolo del TGFβ

Recentemente è stato ipotizzato che la via di segnalazione del TGFβ abbia un ruolo nella patogenesi della PCOS: l’idea è nata dall’aumentata presenza di stroma nelle ovaie PCOS, che potrebbe essere dovuta ad una disregolazione della via del TGFβ che porta ad una

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13 aumentata produzione e deposizione di collagene. La disregolazione di questa via, indubbiamente, è implicata nella fibrosi di molti organi e tessuti. Studi genetici hanno associato la PCOS ad un marker dinucleotide nel gene della fibrillina, che regola l’attività del TGFβ. Si è scoperto anche che la fibrillina 3 è espressa nello stroma durante lo sviluppo fetale delle ovaie umane e bovine. La disregolazione della via del TGFβ potrebbe contribuire anche alle alterazioni metaboliche e cardiovascolari della PCOS. Nonostante tutto ciò, ancora non c’è una chiara evidenza di reali alterazioni di questa via di segnalazione nelle ovaie di donne con PCOS.41

Ruolo della leptina

Si è visto che la leptina, piccolo ormone proteico prodotto soprattutto dal tessuto adiposo bianco, non agisce solo a livello centrale sull’asse del GnRH/gonadotropine, permettendo la stimolazione dell’asse ipotalamo-ipofisi, ma anche a livello ovarico e ne è stata dimostrata l’espressione nelle ovaie delle pazienti con PCOS.42

Si pensa, inoltre, che la leptina contribuisca a determinare l’insulino-resistenza e l’iperandrogenismo che troviamo nella maggioranza delle pazienti con PCOS.43 Il meccanismo regolatorio della leptina sembra essere basato sul sistema dei neuroni ipotalamici Kiss1, cioè quelli che possiedono il gene per la sintesi della kisspeptina, un peptide che si pensa essere coinvolto nei meccanismi della pubertà. L’azione della leptina su questi neuroni potrebbe essere bimodale e variare in base ai livelli di leptina e alla loro durata: il sovrappeso di recente insorgenza, che comporta un aumento dei livelli di leptina circolanti, è associato ad una attivazione dell’asse ipotalamo-ipofisi-gonadi, mentre una iperleptinemia di lunga

durata causerebbe una soppressione dei neuroni ipotalamici Kiss1, contribuendo a

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Quadro clinico

Il quadro clinico è caratterizzato principalmente da: Irregolarità mestruali con anovulazione Infertilità

Iperandrogenismo Alterazioni metaboliche

Irregolarità mestruali ed anovulazione

L’irregolarità dei cicli è uno dei criteri diagnostici della PCOS. Tipicamente si manifesta con oligoamenorrea, ovvero la presenza di cicli con durata maggiore di 35 giorni, ma inferiore ai 6 mesi, oppure amenorrea secondaria, cioè la mancanza di mestruazioni per periodi maggiori di 6 mesi in donne che hanno già avuto il menarca. Fino al 95% delle donne affette da PCOS hanno oligomenorrea od amenorrea.45 Più raramente possono verificarsi sanguinamenti uterini disfunzionali a causa di una stimolazione estrogenica dell’endometrio non supportata da un’adeguata secrezione di progesterone: questa evenienza può verificarsi in caso di cicli anovulatori, altra importante caratteristica della PCOS. Da uno studio emerge che cicli ovulatori si riscontrano nel 32% delle donne affette da PCOS.46 Fino al 90% delle donne affette da amenorrea od oligomenorrea possono presentare la PCOS.

Le irregolarità mestruali iniziano a presentarsi dopo il menarca e tendono a ridursi soltanto con l’avvicinarsi della menopausa. Spesso si notano in seguito ad aumento di peso. Va ricordato, comunque, che le irregolarità mestruali e i cicli anovulatori sono molto frequenti nelle adolescenti e tendono a ridursi allontanandosi dal menarca, anche se il 50% delle ragazze con cicli anovulatori presenta un disturbo cronico dell’ovulazione. Questo può crearci qualche problema per la diagnosi di PCOS in adolescenza; fattori predittivi della permanenza dell’anovulazione sono l’aumento del BMI, l’aumento degli androgeni o il riscontro ecografico di ovaie policistiche.3

Il clima endocrino tipico della PCOS, ovvero l’iperestrogenismo continuo, non controbilanciato da un’adeguata secrezione di progesterone, espone queste donne ad un aumentato rischio di adenocarcinoma dell’endometrio47, in particolare il tipo 1 estrogeno-dipendente. Questo si sviluppa a partire da un’iperplasia atipica dell’endometrio, causata dall’eccessivo stimolo proliferativo sulle cellule endometriali indotto dagli

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estrogeni, non supportato da una contemporanea azione inibitrice da parte del

progesterone; il progesterone inibisce la proliferazione incontrollata dell’endometrio in due modi: attraverso la down regolazione dei recettori endometriali per gli estrogeni e stimolando l’attività dell’enzima 17-idrossisteroidodeidrogenasi, responsabile della conversione dell’Estradiolo, un estrogeno forte e quindi dotato di maggior attività, inclusa quella proliferativa sull’endometrio, in Estrone, cioè un estrogeno debole. A generare questo clima di iperestrogenismo non partecipa solo la mancanza di ovulazione frequentemente presente in queste donne (responsabile dei costantemente bassi livelli di progesterone), ma anche il tessuto adiposo, il quale contiene degli enzimi (aromatasi) che sintetizzano Estrone a partire dall’Androstenedione circolante, per cui il rischio di carcinoma dell’endometrio è ancora maggiore nelle donne con PCOS obese.

Inoltre, è stato visto che l’insulina e le IGF accelerano la crescita delle cellule endometriali in vitro, presumibilmente attraverso l’attivazione della via delle protein-chinasi stimolate da mitogeni, l’aumento dell’espressione del VEGF o attraverso l’inibizione dell’apoptosi. La via di segnalazione della PI3K-PTEN-AKT è stata, infatti, collegata alla promozione della crescita cellulare nel carcinoma endometriale di tipo 1 e rappresenta circa l’80% delle alterazioni somatiche presenti; questa via di segnalazione è attivata proprio dall’IGF-1 e dall’iperinsulinemia.48

Non è stata, invece, trovata nessuna associazione tra PCOS e sviluppo di cancro ovarico o

mammario.47

Infertilità

La PCOS è frequentemente causa di infertilità; questa è solo in parte dovuta alla presenza di cicli anovulatori.

L’ambiente ormonale non è favorevole allo sviluppo del follicolo, infatti i bassi livelli di

FSH durante tutto il ciclo impediscono la progressione oltre lo stato antrale dei follicoli

reclutati, facendo in modo che l’ovaio si riempia di piccoli follicoli che si distribuiscono perifericamente, conferendo l’aspetto ecografico caratteristico. Inoltre, l’eccesso di LH e

di insulina stimolano la produzione tecale di androgeni, i quali, di per sé, provocano

l’apoptosi delle cellule della granulosa del follicolo preantrale, che è causa dell’arresto della maturazione del follicolo e conseguente atresia. A dimostrazione di ciò, da uno studio emerge che somministrando un antiandrogeno (Flutamide) ad un gruppo di pazienti PCOS

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16 con anovulazione cronica, si riesce ad ottenere l’ovulazione, grazie al ripristino del feedback negativo di estrogeni e progesterone sulla secrezione delle gonadotropine.49 In realtà, da studi più recenti, emerge che nella PCOS il passaggio da follicolo primordiale a follicolo primario durante la follicologenesi è indipendente dalle gonadotropine.50 L’interruzione della via di segnalazione della PI3K e del FOXO3 nei ratti provoca l’attivazione di tutti i follicoli primordiali, provocandone la deplezione ed il fallimento ovarico prematuro.15

Il tessuto adiposo secerne diversi fattori (adiponectina, IL6, leptina ecc) che agiscono sulle cellule della granulosa, sul cumulo ooforo e sugli ovociti; ad esempio, l’adiponectina stimola la maturazione degli ovociti e la sua concentrazione è ridotta nelle donne con PCOS. La leptina riduce la risposta ovarica all’FSH, riducendo la steroidogenesi delle cellule della granulosa.51 È evidente, quindi, come il sovrappeso e l’obesità spesso presenti nella PCOS agiscano danneggiando gli ovociti.

Se fatti maturare in coltura, gli ovociti di donne con PCOS hanno un outcome di fecondazione pari a quello dei controlli e questo ci fa capire che l’ambiente endocrino in cui maturano in vivo è sfavorevole al loro sviluppo.52

All’infertilità contribuisce anche l’inadeguato sviluppo dell’endometrio, che risulta ipertrofico e non adeguato a una corretta interazione con l’embrione.

Nonostante la maggior parte delle donne abbia anche irregolarità mestruali,alcune hanno cicli regolari e si rivolgono al medico solo dopo il fallimento di numerosi tentativi di ottenere una gravidanza spontaneamente (il 21% delle donne iperandrogeniche con PCOS hanno cicli regolari, seppur anovulatori).52

Oltre alla maggiore difficoltà nel concepimento, le donne con PCOS presentano una serie di problemi che affliggono la gravidanza:53

Maggior rischio di aborto spontaneo nel primo trimestre di gravidanza (fino al 30-50%, cioè 3-5 volte maggiore rispetto al rischio della donna sana): questo è dovuto essenzialmente all’iperandrogenemia, a sua volta causata dall’iperinsulinemia caratteristica della PCOS, che diminuisce l’adeguatezza dell’utero all’impianto. Inoltre, è stata dimostrata l’associazione con gli aumentati livelli di inibitore dell’attivatore del plasminogeno 1 (PAI-I 1), un potente inibitore della fibrinolisi.

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17 Maggior rischio di sviluppare preeclampsia e di ipertensione associata alla

gravidanza, a cui può contribuire anche l’iperinsulinemia.

Maggior prevalenza di diabete gestazionale (5-40% delle gravidanze di donne con PCOS), considerando comunque che il sovrappeso e l’obesità possono avere un ruolo importante nella patogenesi.

Maggior incidenza di parto pretermine, soprattutto associato all’uso di trattamenti induttori dell’ovulazione (cui si ricorre frequentemente in queste donne), perché questi aumentano la possibilità di sviluppare gravidanze multiple.

Iperandrogenismo

L’iperandrogenismo si manifesta clinicamente con irsutismo, acne ed alopecia androgenetica. Segni veri e propri di virilizzazione come l’abbassamento della voce, l’aumento della massa muscolare, la comparsa di clitoridomegalia o la riduzione della dimensione del seno sono, invece, più tipici di forme più gravi di iperandrogenemia, come tumori del surrene o dell’ovaio androgeno-secernenti (sia perché producono più androgeni, sia perché la loro comparsa è più improvvisa).

Per irsutismo si intende la crescita eccessiva di peli di tipo terminale (robusti e pigmentati) con distribuzione maschile, ovvero in aree androgeno-dipendenti (labbro superiore, mento, branca montante della mandibola, areole e solco intermammario, dorso, linea alba e regione sacrale). È presente nel 62% circa delle pazienti e deve essere distinto dall’ipertricosi, cioè la crescita eccessiva di peli di tipo non terminale in aree non androgeno-dipendenti; quest’ultima condizione, infatti, non può essere, a differenza dell’irsutismo, trattata farmacologicamente. Per esempio, la presenza di un eccesso di peli sulle gambe o sulle braccia, che le donne dell’area mediterranea lamentano non infrequentemente, non esprime una condizione patologica e può essere trattata solo con approcci cosmetici.

La valutazione dell’irsutismo viene fatta utilizzando lo score di Ferriman-Gallwey54

, un metodo semiquantitativo che rileva la distribuzione e la gravità dell’eccesso di peli in 9 aree corporee, assegnando a ciascuna un valore compreso tra 0 (assenza di peli terminali) e 4 (copertura completa); un punteggio dello score superiore o uguale a 8 è diagnostico per irsutismo.

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18 Gli androgeni svolgono un ruolo fondamentale nel determinare la distribuzione ed il tipo di peli: la cute e i follicoli piliferi presentano recettori per gli androgeni e, una volta penetrato nella cellula, il testosterone viene convertito dall’enzima 5α-reduttasi in diidrotestosterone (DHT), ovvero il suo metabolita più attivo, ed è questo che agisce sul pelo, stimolandone la differenziazione in tipo terminale; risulta evidente come un’eccessiva concentrazione plasmatica di androgeni od un aumento di attività dell’enzima 5α-reduttasi possano stimolare la crescita di peli di tipo terminale nelle aree sensibili agli androgeni. Il DHT viene poi metabolizzato a 3α e 3β-androstenediolo, cataboliti che si ritrovano nel plasma (l’aumento della concentrazione plasmatica di questi due metaboliti è caratteristico delle donne con irsutismo e riflette l’iperstimolazione cutanea androgenica). Lo sviluppo dell’irsutismo dipende anche da una aumentata sensibilità dei follicoli piliferi agli androgeni geneticamente determinata.52

Inoltre, mentre in vitro l’insulina è fondamentale per la crescita del follicolo pilifero, non è chiaro se, in vivo, l’iperinsulinemia presente nella PCOS agisca stimolando la differenziazione dei peli in tipo terminale ed il conseguente irsutismo.

Circa il 10-30% delle donne con PCOS è affetta da acne, soprattutto su viso, collo, torace e parte alta della schiena. Gli androgeni che agiscono sulla ghiandola sebacea sono principalmente il testosterone, il DHT (l’attività dell’enzima 5α-reduttasi è maggiore nelle ghiandole delle aree più soggette ad acne come il viso), il DHEA ed il DHEA-S (trovato

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19 molto alto soprattutto nelle donne con acne cistico)52; questi ormoni agiscono aumentando le dimensioni e la secrezione delle ghiandole sebacee e stimolando la cheratinizzazione, con successiva maggiore desquamazione dell’epidermide: il risultato è la formazione del comedone. I follicoli che contengono un comedone offrono un terreno anaerobico e ricco di lipidi ottimale per la sovrainfezione da parte del Propionibacterium Acnes, che porta poi allo sviluppo delle pustole. In questo processo infiammatorio, con proliferazione cellulare e degradazione della matrice dermica, possono avere un ruolo fondamentale anche le metalloproteinasi della matrice.55 Nonostante si stimi che abbiano iperandrogenemia l’80% delle donne con acne grave, il 50% di quelle con acne moderata ed il 30% delle forme lievi, non esiste, in realtà, una relazione tra i livelli plasmatici di androgeni e la gravità dell’acne.

L’acne tende ad aggravarsi in concomitanza dei periodi di maggiore irregolarità mestruale e dei trattamenti di induzione dell’ovulazione.52

Gli stessi fattori che stimolano la crescita di peli di tipo terminale nelle aree androgeno-dipendenti causano l’atresia follicolare sul cuoio capelluto, portando all’alopecia

androgenetica; infatti i trattamenti per l’irsutismo di solito sono efficaci anche

sull’alopecia. Viceversa, l’uso locale di vasodilatatori, come il Minoxidil, somministrati per la terapia dell’alopecia non ha nessun beneficio sull’irsutismo.

Generalmente, nell’ontogenesi delle alterazioni sull’unità pilo-sebacea, si parte con l’acne in età peripuberale, l’irsutismo insorge nelle giovani adulte e l’alopecia androgenetica, che comunque è rara nelle donne con PCOS, compare in età più matura.16

Tutte le manifestazioni cliniche dell’iperandrogenismo sono sostenute principalmente dall’iperandrogenemia (che si rileva in un’alta percentuale di donne con PCOS), di cui abbiamo spiegato l’origine precedentemente. Nel sangue troviamo alti livelli di

testosterone, androstenedione, DHEA (deidroepiandrosterone), DHEA-S (DHEA

solfato), 17-OH-P (17-idrossiprogesterone). Testosterone, androstenedione e DHEA sono sicuramente di origine ovarica, mentre il DHEA-S è quasi esclusivamente di origine surrenalica ed è aumentato in circa il 20-30% delle pazienti. L’iperandrogenemia, quindi, è prevalentemente di origine ovarica e sostenuta dall’aumentata attività del complesso enzimatico P450c17 nelle cellule tecali, come spiegato nel capitolo sulla patogenesi, il quale possiede due attività: la 17α-idrossilasi, che converte il progesterone in 17-OH-P e la 17-20 liasi, che trasforma quest’ultimo in androstenedione. L’androstenedione verrà, poi,

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20 convertito in testosterone dalla 17β-idrossisteroide deidrogenasi. In particolare è aumentata l’attività di 17α-idrossilasi, infatti tipicamente troviamo un’aumentata sintesi di 17-OH-P in risposta ai test di stimolo. Inoltre, come spiegato, sembra esserci un contributo surrenalico all’iperandrogenemia, sempre dovuto all’eccessiva attivazione dello stesso enzima microsomale P450c17, prevalentemente nell’attività di 17-20 liasi, anche se un’iperresponsività all’ACTH non è da escludere. L’insulina è in grado di stimolare direttamente l’attività enzimatica del P450c17, sia a livello surrenalico, che a livello ovarico.56

Nel ristretto numero di casi in cui le concentrazioni plasmatiche degli androgeni sono normali, le frazioni libere biologicamente attive (testosterone, DHT, Δ-4-androstenedione) sono sempre molto elevate a causa della riduzione dei livelli circolanti di SHBG (causata, come già spiegato, dall’iperinsulinemia). Il testosterone totale è la miglior stima dello stato androgenico perché il metodo di dosaggio del testosterone libero può non essere molto accurato. Il testosterone totale può essere dosato in qualsiasi giorno del ciclo mestruale.1 Altri dosaggi che possono essere fatti sono:

FAI (free androgen index): è il rapporto tra testosterone totale e SHBG

Androstenedione: è il precursore diretto del testosterone, prodotto dalle ovaie, dai surreni e dai tessuti periferici. Uno studio recente ha dimostrato che dosare androstenedione e testosterone totale consente di valutare meglio il rischio di sviluppare sindrome metabolica nelle donne con PCOS.57 Questo studio ha dimostrato anche che nelle donne con PCOS i livelli di androstenedione possono essere aumentati anche quando il testosterone totale è normale. L’utilità del dosaggio dell’androstenedione deve essere ulteriormente indagata in studi longitudinali.

DHEA-S: la sua sintesi è prevalentemente surrenalica; non viene dosato di routine nelle donne con PCOS.

Alterazioni metaboliche

Obesità: circa il 50% delle donne con PCOS è obeso, l’atra metà è rappresentata da donne sovrappeso o normopeso. L’obesità, quindi, non è una condizione necessaria per lo sviluppo della malattia, ma è un fattore aggravante: dal punto di vista ormonale, infatti, contribuisce alla produzione di androgeni ed aggrava l’iperandrogenismo, è responsabile dell’aromatizzazione degli androgeni in

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21 estrogeni deboli (contribuendo all’iperestrogenismo relativo) e favorisce la

riduzione dell’SHBG, aumentando i livelli liberi sia di testosterone, che di

estradiolo. Dal punto di vista metabolico, l’obesità altera soprattutto il profilo

lipidico, infatti le donne con PCOS obese, soprattutto quelle con grasso a

distribuzione addominale, hanno valori aumentati di LDL e trigliceridi e ridotti livelli di HDL.

Una delle cause dell’obesità potrebbe essere la riduzione cronica dei livelli di progesterone nelle PCOS anovulatorie. Secondo studi recenti, invece, potrebbe essere causata da alterazioni della lipolisi, dovute alla riduzione dei recettori adrenergici β2 sugli adipociti. Nei casi di PCOS associati ad iperinsulinemia, potrebbe essere quest’ultima ad indurre l’aumentata deposizione di grasso; in realtà, numerose evidenze sostengono il contrario, cioè che sia proprio il grasso toraco-addominale, nelle donne con obesità androide, a causare l’insulino-resistenza.58

L’obesità si valuta con il body mass index (BMI), cioè il rapporto tra peso corporeo (espresso in Kg) ed altezza elevata al quadrato (espressa in metri). Si parla di obesità quando il BMI supera 30 Kg/m², sovrappeso quando è compreso tra 25 e 29,9. Oltre a dire che la donna è obesa, è necessario analizzare il tipo di distribuzione del grasso: la distribuzione androide, o “a mela”, è caratterizzata da un deposito di grasso in sede addominale ed è quella che causa

un’insulino-resistenza con conseguente iperinsulinemia. Le donne con PCOS ed obesità

ginoide, o “a pera”, cioè con grasso distribuito soprattutto sui fianchi, tipicamente non presentano alterazioni della sensibilità e dei livelli insulinici. La distribuzione del grasso è facilmente individuabile utilizzando il WHR (waist hip ratio), cioè il rapporto tra circonferenza vita e circonferenza fianchi: se superiore a 0,85, si parla di obesità androide.

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22 Ci si potrebbe chiedere cosa determina questa maggiore predisposizione delle donne con PCOS a sviluppare obesità di tipo androide. Si è visto che la distribuzione del grasso nelle donne con PCOS ovulatoria è normale ed è simile a quella delle donne sane di pari BMI e quantità totale di grasso, mentre nelle PCOS

anovulatorie c’è una maggior percentuale di deposizione addominale del grasso rispetto alle donne sane. Nelle PCOS anovulatorie c’è anche una riduzione

significativa dell’adiponectina (caratteristica che non troviamo nelle PCOS ovulatorie): ciò conferma che il grasso addominale è il principale fattore che determina la secrezione di adiponectina.59

Gli steroidi sessuali sono fondamentali nella determinazione della composizione corporea: l’iperandrogenismo è responsabile dell’accumulo preferenziale del

grasso nella parte alta del corpo. Il tessuto adiposo possiede recettori per

androgeni, estrogeni e progesterone e l’espressione di questi recettori varia a seconda della zona: i recettori per gli androgeni hanno una densità maggiore nel tessuto adiposo viscerale rispetto a quello sottocutaneo in entrambi i sessi, solo nella donna, invece, i recettori per gli estrogeni sono più numerosi nel tessuto sottocutaneo rispetto a quello viscerale; i recettori per il progesterone sembrerebbero maggiori nel tessuto sottocutaneo rispetto al grasso viscerale (almeno è quanto emerge da studi condotti sulle pecore). Questo spiega come mai l’iperandrogenismo è responsabile di una distribuzione del grasso prevalentemente viscerale e lo stesso discorso vale per la menopausa.60 In realtà, poi, l’obesità

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androide potrebbe essere anche causa dell’iperandrogenemia perché riduce la

sensibilità insulinica, provocando iperinsulinemia che, con i vari meccanismi spiegati nel capitolo sulla patogenesi della PCOS, aggrava l’iperandrogenismo. L’iperinsulinemia è un altro possibile determinante della distribuzione androgenica del grasso, svolgendo un effetto diretto sugli adipociti61: insieme al cortisolo, l’insulina promuove l’accumulo dei lipidi aumentando l’espressione della lipoproteinlipasi e questa azione viene esercitata maggiormente a livello del tessuto adiposo viscerale rispetto a quello sottocutaneo perché ha una maggior cellularità, maggior flusso sanguigno e maggior innervazione; inoltre, anche la densità dei recettori per il cortisolo sembra maggiore nel grasso viscerale.62

Insulino-resistenza: già abbiamo detto che le donne con PCOS sia normopeso, che sovrappeso od obese, presentano un’alta prevalenza di insulino-resistenza, cui consegue iperinsulinemia compensatoria. In realtà, però, l’obesità centrale di per sé causa insulino-resistenza (anche nei soggetti sani di entrambi i sessi), per cui sicuramente può concorrere ad aggravare la situazione. Il grasso viscerale, infatti, è più sensibile alle catecolamine e meno all’insulina, per cui è metabolicamente più attivo e rilascia più facilmente acidi grassi liberi che favorirebbero l’iperglicemia; altre teorie per spiegare il legame tra obesità viscerale ed insulino-resistenza sono l’inibizione diretta dell’azione epatica e periferica dell’insulina da parte degli androgeni e l’inibizione dell’estrazione epatica dell’insulina ad opera di androgeni e acidi grassi liberi. Il risultato è iperinsulinemia, eventuale riduzione della tolleranza glucidica e successivo diabete mellito di tipo 2.52

Dal momento che nelle donne PCOS obese c’è una maggior prevalenza e gravità di insulino-resistenza rispetto alle normopeso, i livelli di SHBG sono ridotti e quelli di androgeni liberi sono aumentati, è evidente come a scopo terapeutico la riduzione di peso è fondamentale nelle donne con PCOS obese o sovrappeso, mentre nelle normopeso è sufficiente che il peso non aumenti.63

Oltre all’aumentata fosforilazione del recettore insulinico ad opera di una Ser/Thr chinasi che inibisce la trasduzione del segnale ed al ruolo incerto degli androgeni, di cui abbiamo già parlato nel capitolo sulla patogenesi, una recente ricerca64 aggiunge, alle cause di insulino-resistenza, l’attivazione degli endocannabinoidi e la sovraespressione dei loro recettori, specialmente il CB1, che potrebbero partecipare alla sua patogenesi. Gli endocannabinoidi promuovono l’aumento di peso e l’obesità agendo sui propri recettori a livello centrale65

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24 knockout per il recettore CB1 sono magri e resistenti all’obesità indotta dalla dieta.66 Il sistema degli endocannabinoidi può aumentare l’ingestione di cibi appetibili proprio attraverso questo recettore CB1, posizionato nel nucleo pontino parabrachiale. Nelle donne con PCOS non obese, il sistema degli endocannabinoidi è più attivo che nelle donne sane e ricerche precedenti67 avevano dimostrato che i livelli circolanti di endocannabinoidi sono maggiori nei soggetti obesi, in particolare con obesità viscerale ed insulino-resistenza. Da questo studio emerge, quindi, che l’aumentata stimolazione del recettore CB1 può essere un fattore di rischio per lo sviluppo di insulino-resistenza nelle donne con PCOS: i livelli di CB1 nelle cellule del sangue periferico e negli adipociti correlano positivamente con la glicemia e l’insulinemia due ore dopo carico orale di glucosio.

Riguardo il ruolo degli androgeni, ci sono pareri contrastanti sul fatto che l’iperandrogenemia contribuisca allo sviluppo dell’insulino-resistenza o sia quest’ultima ad indurre l’aumentata produzione di androgeni attraverso i meccanismi elencati in precedenza. Uno studio del 201568 sostiene che l’iperandrogenismo sia fondamentale per la genesi della resistenza insulinica e per l’aggravamento del profilo metabolico, in particolare il FAI (free androgen index), ovvero il rapporto tra testosterone totale e la SHBG. L’esposizione al testosterone può indurre insulino-resistenza alterando gli effetti dell’insulina sul muscolo scheletrico e sul tessuto adiposo. Infatti la somministrazione di antiandrogeni ai transessuali provoca aumento della sensibilità insulinica ed effetti benefici sul profilo cardiovascolare.69

Anche l’invecchiamento ha un suo ruolo: è stato visto che con l’età aumenta il grado di insulino-resistenza nelle donne PCOS obese, ma non nelle magre e nelle sovrappeso.70

Ci sono delle evidenze che un deficit di vitamina D potrebbe essere coinvolto nella genesi dell’insulino-resistenza e della sindrome metabolica nella PCOS e svolgerebbe un ruolo anche nel determinare lo stato ormonale di queste pazienti. Degli studi hanno effettivamente dimostrato che ci sarebbe un deficit di vitamina D nella PCOS.71

L’insulino-resistenza può essere valutata tramite:

1. la tecnica del clamp euglicemico iperinsulinemico, che consiste nella somministrazione endovena di dosi note di insulina e nel mantenimento di livelli costanti di glicemia, monitorata tramite prelievi arteriosi seriati,

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25 attraverso infusione di glucosio. Si raggiunge l’equilibrio quando la dose di glucosio infusa è uguale alla quantità di glucosio utilizzata dai tessuti periferici; tale quantità è chiamata “utilizzazione di glucosio insulino-dipendente” o “indice M” e in questa tecnica viene valutata come stima dell’insulino-resistenza.72

Questa tecnica in ambito clinico viene poco utilizzata, se non nell’ambito della ricerca, perché troppo complessa (anche se rimane il gold standard data la sua alta sensibilità) e ad essa viene preferito l’indice HOMA.

2. Indice HOMA (homeostasis model assessment): si ottiene dalla formula (se la glicemia è espressa in mmol/L e l’insulinemia in mU/L) o (se la glicemia è espressa in mg/dL).

3. Curva dell’insulina dopo OGTT: in risposta al carico orale di glucosio (75g di glucosio sciolti in acqua, somministrati a digiuno), si valuta l’insulinemia con prelievi venosi seriati; una risposta insulinemica che superi 50 mg/ml nei primi 2-3 prelievi, indica la presenza di un problema metabolico. Nella PCOS, si riscontra frequentemente una aumentata risposta dell’insulina nei primi 60 minuti.52

Un marker cutaneo dell’insulino-resistenza può essere l’acanthosis nigricans, che interessa il 5-6% delle donne con PCOS. È rappresentata da un ispessimento ed iperpigmentazione di alcune parti cutanee, che si presentano grigie scure e di aspetto vellutato, talvolta simil-verrucoide, che compare preferibilmente nelle pieghe cutanee, soprattutto a livello ascellare, inguinale, dietro il collo, sotto le mammelle e sulla superficie estensoria delle braccia. La sua comparsa è causata dall’esposizione del derma ad eccessivi livelli di insulina e tanto maggiore è la gravità dell’insulino-resistenza, tanto più frequente ed evidente sarà l’acanthosis nigricans.

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Aspetto ecografico di ovaie policistiche

Abbiamo già detto, parlando della diagnosi, che il rilevamento di un aspetto ecografico di ovaie policistiche non è essenziale per la diagnosi, tant’è che, tra i vari fenotipi che descriveremo, ne esiste uno di cui fanno parte donne con oligoamenorrea ed iperandrogenismo, ma che hanno ovaie perfettamente normali all’US. Inoltre, repertare ecograficamente ovaie policistiche non si traduce automaticamente nel fare diagnosi di PCOS, in quanto in molte diverse patologie troviamo ovaie con questo aspetto.73

I criteri US di ovaie policistiche sono:

Presenza di almeno 12 follicoli in un ovaio: si devono contare tutti i follicoli presenti nell’ovaio, indipendentemente dalla loro disposizione, e dovrebbero essere valutate sezioni ottenute su piani diversi per essere più precisi.

Diametro follicolare compreso tra 2 e 9 mm: corrisponde alla media dei diametri misurati nelle 3 diverse sezioni.

Volume ovarico >10 mm³: il volume viene calcolato utilizzando la formula dell’ellissoide , dove , e rappresentano i diametri dell’ovaio nelle 3 dimensioni. I moderni apparecchi US hanno dei software che consentono di fare in automatico questo calcolo dopo aver misurato le 3 dimensioni dell’ovaio. Il calcolo del volume non può essere considerato attendibile in caso di presenza di immagini funzionali (es. corpo luteo) e/o patologiche all’interno dell’ovaio.

Per parlare di aspetto ecografico di ovaie policistiche, è sufficiente che una sola delle due ovaie abbia le 3 caratteristiche sopra descritte.

Esempio di acanthosis nigricans nella piega ascellare

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Altro

Altre due importanti caratteristiche cliniche delle donne con PCOS sono l’aumentata prevalenza di apnee del sonno (od altri disturbi del sonno), che di solito sono rare nelle donne, soprattutto in premenopausa. Più che l’obesità, sembra che sia l’insulino-resistenza il più importante fattore predittivo della gravità delle apnee ostruttive.74,75

L’altra importante caratteristica clinica è il maggior rischio di sviluppare disturbi

dell’umore, soprattutto ansia e depressione.76

Da uno studio emerge che i problemi più grandi per queste donne, che poi esitavano in sviluppo di depressione ed ansia, erano i disturbi mestruali e l’irsutismo, anche se dalla maggior parte degli studi in cui si è valutata la qualità di vita correlata alla salute, risulta che l’aspetto più importante è il peso corporeo. Le manifestazioni cutanee dell’iperandrogenismo, in particolare irsutismo ed acne, si associano fortemente ad un’insoddisfazione per la propria immagine corporea, provocando perdita dell’autostima. Nella popolazione generale, i sintomi depressivi sono più comuni tra le persone obese, ma tra gli obesi, le pazienti con PCOS hanno tassi di depressione maggiore rispetto agli altri; di contro, le donne con PCOS depresse avevano BMI e WHR maggiori rispetto alle PCOS non depresse. Questo fa ipotizzare che la PCOS sia un fattore di rischio indipendente dall’obesità per lo sviluppo di depressione.77

Dallo stesso studio sembrerebbe che il rischio di depressione sia maggiore nelle donne con PCOS che presentano sindrome metabolica, probabilmente sempre per la componente legata all’obesità.

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Fenotipi

Abbiamo già accennato al fatto che la PCOS non ha un’unica manifestazione fenotipica e che i quadri clinici delle pazienti possono essere anche molto diversi tra loro. È proprio questa caratteristica della malattia che ha reso così difficile l’individuazione di criteri diagnostici univoci, che sono, perciò, cambiati numerose volte negli anni.

Si individuano 4 diversi fenotipi di PCOS:78

Fenotipo 1: si tratta di donne con oligo/anovulazione, iperandrogenismo biochimico e/o clinico ed aspetto ecografico di ovaie policistiche. Questa è la forma più grave di PCOS.

Fenotipo 2: donne con oligo/anovulazione, iperandrogenismo biochimico e/o clinico, ma ovaie ecograficamente normali.

Fenotipo 3: donne con iperandrogenismo biochimico e/o clinico ed ovaie di aspetto policistico all’ecografia, ma con cicli ovulatori. Questa forma è detta PCOS

ovulatoria.

Fenotipo 4: donne con oligo/anovulazione ed aspetto ecografico di ovaie policistiche, ma senza iperandrogenismo né biochimico né clinico. Questa forma è detta PCOS lieve.

Da uno studio emerge che la prevalenza dei vari fenotipi è circa del 48% per l’1, 31% per il 2, 10% per il 3 e 11% per il 4. Donne sovrappeso od obese con il fenotipo 4 risultavano più insulino-resistenti dei controlli con BMI analogo, anche se questo non si verificava nelle donne normopeso. Nelle donne con fenotipo 3 non c’era, invece, differenza nell’insulino-resistenza rispetto ai controlli. Tra le donne normopeso, quelle con fenotipo 1 e 2 risultavano più insulino-resistenti delle donne con fenotipo 4; tra le sovrappeso/obese, le donne con fenotipo 1 avevano un’insulino-resistenza maggiore rispetto a quelle con fenotipo 2 e 3 e quelle con fenotipo 4 avevano maggiore insulino-resistenza delle fenotipo 3. La concentrazione plasmatica di androgeni era maggiore in tutte le donne con fenotipo 1, 2 e 3 rispetto a quelle con fenotipo 4 e nelle normopeso con fenotipo 1 rispetto al 2. Il fenotipo 1 risulta, quindi, associato ad un’insulino-resistenza e ad un’iperandrogenemia maggiori rispetto al 2. In presenza di obesità, i fenotipi 2 e 4 sono caratterizzati da resistenza, mentre il fenotipo 3 non sembra essere caratterizzato da insulino-resistenza.

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Quadro ormonale

Aumento della concentrazione plasmatica di LH: basalmente aumenta sia l’ampiezza, sia la frequenza dei picchi di LH e, stimolandone la secrezione con il test al GnRH, aumenta anche il rilascio sotto stimolo. Questo è dovuto, probabilmente, ad una aumentata sensibilità ipofisaria al GnRH o ad una maggior ampiezza delle sue pulsazioni79, forse causata da una dissociazione dei meccanismi inibitori dopaminergici ed oppioergici che regolano la secrezione ipotalamica del GnRH. È stato visto anche, come già spiegato precedentemente, che l’insulina aumenta l’ampiezza dei picchi di LH, contribuendo all’aumento della sua concentrazione plasmatica.

Studi successivi hanno dimostrato che i livelli di LH tendono ad essere più simili alla norma nelle donne con PCOS obese; tra le donne con PCOS, le magre hanno, infatti, ampiezza dei picchi di LH maggiore rispetto alle obese. Si è visto, infatti, che la perdita di peso favoriva l’aumento dei livelli di LH. In realtà, la frequenza dei picchi di LH non correla con il BMI, per cui si pensa che i fattori metabolici agiscano a livello ipotalamico od ipofisario modificando l’ampiezza dei picchi. Uno studio dimostra che il BMI agisce a livello ipofisario aumentando l’ampiezza dei picchi di LH, mentre l’aumentata frequenza dei picchi è una caratteristica disfunzione ipotalamica delle donne con PCOS, indipendente dal BMI.80 È stato visto, anche, che quando queste donne ovulano spontaneamente, i valori di LH si normalizzano e questo avvalora la teoria che le donne con PCOS sono meno sensibili a bassi valori di progesterone, ma rispondono normalmente al feedback negativo sulla secrezione di LH quando i valori di progesterone sono alti (come avviene dopo un’ovulazione spontanea).81

Livelli normali o bassi di FSH: questa concentrazione è costante, a testimoniare una ridotta funzione dell’asse FSH-granulosa ovarica. Il deficit relativo dell’FSH è la causa del difetto di maturazione dei follicoli, che si arrestano nello stadio antrale. Questo deficit sembra dovuto, in parte, agli alti livelli di inibina B ed ai bassi livelli di attivina A nella PCOS.82

Rapporto LH/FSH aumentato: in passato veniva usato per fare diagnosi di PCOS, oggi si è visto che può avvalorare la diagnosi, ma la sua normalità non esclude la diagnosi. In uno studio83 si sono analizzati diversi valori di cut-off ed è stato concluso che la maggiore sensibilità e specificità si raggiunge per valori di

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30 LH/FSH>1(rispettivamente 69% e 80%), anche se, aumentando il cut off fino a >3, si ottiene un aumento progressivo di specificità perdendo, però, in sensibilità. Il 70% delle donne con PCOS ha valori di LH/FSH>1. Nello stesso studio è stato dimostrato anche che i valori di LH/FSH sono significativamente più bassi nelle donne PCOS obese rispetto alle normopeso; questo non avviene nelle donne sane ed è dovuto alla riduzione BMI-dipendente dell’ampiezza dei picchi di LH nella PCOS, mediata a livello ipofisario.80,84

Iperandrogenemia: come già detto, si trovano alti livelli di testosterone, androstenedione, DHEA, DHEA-S e 17-OH-P. Tradizionalmente il loro aumento è attribuito all’aumentato stimolo delle cellule tecali da parte delle maggiori concentrazioni di LH, ma alcuni studi su donne con PCOS e cicli ovulatori hanno dimostrato che, nonostante avessero valori di androgeni maggiori rispetto alle donne senza PCOS, i valori di LH erano identici in prelievi giornalieri, suggerendo che il ruolo dell’LH potrebbe non essere così fondamentale nella patogenesi dell’iperandrogenemia, quanto, invece, lo è per l’anovulazione.85

Del resto, studi in vitro su ovaie umane hanno dimostrato che le ovaie PCOS secernono una maggiore quantità di androgeni indipendentemente da uno stimolo sistemico.81

Elevati livelli di Estrone (E1) e livelli di Estradiolo (E2) analoghi a quelli di donne eumenorroiche in fase follicolare precoce. Il risultato è una positivizzazione del rapporto E1/E2. L’aumento dei livelli di E1 è dovuto soprattutto all’aromatizzazione periferica degli androgeni, prevalentemente a livello del tessuto adiposo, ed in parte all’aumentata attività aromatasica androgeno-dipendente delle cellule della granulosa. Per ovvi motivi, questo iperestrogenismo relativo è evidente soprattutto nelle pazienti obese. Questa situazione impedisce il realizzarsi del feedback positivo tra ovaio ed ipofisi e contribuisce all’anovulatorietà. All’iperestrogenismo relativo contribuiscono anche i ridotti livelli di SHBG, che aumentano la frazione libera dell’E2.

Bassi livelli di progesterone, dovuti alla mancanza di ovulazione.

Recentemente è stato proposto il dosaggio dell’AMH (ormone antimülleriano) come marcatore della PCOS. Questo ormone è prodotto dalle cellule della granulosa dei piccoli follicoli antrali. L’aumento dell’AMH è stato proposto come un buon rappresentante della morfologia policistica delle ovaie.86 In realtà ancora non c’è una standardizzazione delle tecniche di dosaggio e servono ulteriori studi

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31 per stabilire un cut-off che sia diagnostico per la PCOS prima di poter usare il dosaggio dell’AMH come criterio diagnostico al posto dell’ecografia delle ovaie.

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Complicanze metaboliche

Diabete mellito di tipo 2

Abbiamo già detto che le donne con PCOS hanno aumentata prevalenza di insulino-resistenza e questa condizione le espone, a sua volta, ad un maggior rischio di sviluppare ridotta tolleranza glucidica e diabete mellito di tipo 2 (DM 2), che aumenta ulteriormente in presenza di storia familiare di DM 2. Infatti, da studi trasversali emerge che la prevalenza di ridotta tolleranza glucidica nelle donne con PCOS risulta aumentata di 3 volte rispetto alle donne sane di pari età e quella di DM 2 non diagnosticato dalle 7,5 alle 10 volte maggiore. In totale, la prevalenza di ridotta tolleranza glucidica nelle donne affette da PCOS varia dal 23 al 35% e quella di DM 2 dal 4 al 10%.87,88 Alla luce di ciò, è consigliato fare uno screening per la presenza di ridotta tolleranza glucidica in tutte le pazienti a cui è stata diagnosticata la PCOS. Il test di screening che viene utilizzato di solito è la OGTT (oral glucose tolerance test), anche se uno studio dimostra la validità dell’uso del dosaggio dell’HbA1c allo stesso scopo; quest’ultimo risulta, infatti, molto più agevole da eseguire, richiedendo un solo prelievo di sangue e non essendo necessario il digiuno, e ci dà un’idea dell’andamento della glicemia negli ultimi 2 mesi circa. Le linee guida attuali consigliano di ripetere lo screening almeno ogni 3 anni.89

Sindrome metabolica

La sindrome metabolica è un insieme di alterazioni metaboliche che si associano ad un aumentato rischio cardiovascolare e l’obesità centrale è considerata il principale fattore di rischio per il suo sviluppo. Molti suoi componenti sono anche caratteristiche antropometriche o metaboliche della PCOS, nella quale ha una prevalenza due volte maggiore. È definita, secondo il NCEP ATP III (National Cholesterol Education Program’s Adult Treatment Panel III) , dalla presenza di almeno 3 tra i seguenti criteri:

Circonferenza vita >88 cm nella donna o >102 cm nell’uomo Ipertrigliceridemia (≥150 mg/dL)

HDL-colesterolo <50 mg/dL nelle donne, <40 mg/dL negli uomini Pressione arteriosa ≥130/85 mmHg

Iperglicemia a digiuno (≥110 mg/dL)

Già di per sé, la sindrome metabolica espone ad un aumentato rischio cardiovascolare, ma questo aumenta ulteriormente nelle donne con PCOS perché essa comporta l’esposizione

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33 ad un’età più precoce rispetto alla norma ai fattori di rischio cardiovascolare. È evidente, quindi, come l’individuazione precoce dei soggetti maggiormente a rischio di sviluppare sindrome metabolica diventi cruciale. A questo scopo si stanno compiendo vari studi ed in uno studio del 2013 si è dimostrato che il LAP (lipid accumulation product) può essere utilizzato come marker di sindrome metabolica anche nella PCOS.90 Il LAP è un parametro che indica l’accumulo di grasso in eccesso negli adulti ed è basato sulla combinazione di circonferenza vita e trigliceridemia e si determina con una formula:

negli uomini, oppure

nelle donne ( la circonferenza vita è espressa in cm, la trigliceridemia in mmol/L).91

Le donne adulte con PCOS sembrano avere una frequenza di sindrome metabolica doppia rispetto alle adolescenti, anche se, tra i criteri diagnostici, solo l’ipertensione arteriosa ha una prevalenza minore nelle adolescenti. Da uno studio emerge che il BMI è un fattore predittivo indipendente per lo sviluppo di sindrome metabolica a tutte le età, mentre i

livelli sierici di insulina lo sono solo in età adulta; quest’ultimo dato potrebbe essere

giustificato dal fatto che in età adulta i valori medi della circonferenza dell’addome riscontrati nello studio sono maggiori e l’obesità centrale è strettamente correlata allo sviluppo di malattie metaboliche. Una possibile spiegazione della maggiore prevalenza della sindrome metabolica nelle donne adulte è che queste sono state esposte alle alterazioni associate alla malattia per tempi più lunghi.92

Contribuiscono alla patogenesi della sindrome metabolica nella PCOS anche l’iperandrogenemia, in particolare il testosterone libero. L’obesità e la PCOS, nonostante si trovino spesso in comorbidità, sono due fattori di rischio indipendenti per lo sviluppo della sindrome metabolica, anche se hanno un effetto sinergico quando presenti entrambi.93 Servono, tuttavia, ulteriori studi per chiarire se nelle donne con PCOS sia il sovrappeso o la presenza stessa della PCOS ad avere il peso maggiore nella patogenesi della sindrome metabolica. Le caratteristiche della sindrome metabolica che più frequentemente troviamo nella PCOS sono l’alterata glicemia a digiuno con insulino-resistenza (61,5%), l’obesità viscerale (53, 8%) e l’ipercolesterolemia (46,2%).93

La sindrome metabolica è più frequente, a parità di età e BMI, nelle donne con PCOS rispetto a quelle sane. Addirittura, nella popolazione americana con PCOS è stata trovata una prevalenza del 47,3% contro un 4,3% dei controlli di pari età, quindi una prevalenza

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