Università degli Studi di Pisa
Dipartimento di Scienze Veterinarie
Scuola di Specializzazione in Patologia e
Clinica degli Animali d’Affezione
Tesi di Specializzazione
UTILIZZO DI IMIQUIMOD TOPICO AL 5% NELLA
TERAPIA DEL CARCINOMA BOWENOIDE IN
SITU DEL GATTO: CASI CLINICI
Candidato: Dott.ssa Elena Gandini
Relatore: Prof.ssa Francesca Abramo
INDICE
RIASSUNTO……….………...1
INTRODUZIONE……….…3
CAPITOLO 1 - PAPILLOMAVIRUS………..………..5
1.1 Introduzione……….5
1.2 Lesioni cutanee di origine papillomatosa nel gatto…………..8
1.2.1 Fibropapilloma o sarcoide felino………....………8
1.2.2 Placche virali………..10
CAPITOLO 2 - CARCINOMA IN SITU BOWENOIDE NEL GATTO………15
2.1 Introduzione………...15
2.2 Cause e patogenesi……….15
2.4 Diagnosi………..17
2.5 Terapia……….17
CAPITOLO 3 - CARCINOMA SQUAMOCELLULARE NEL GATTO………19 3.1 Introduzione………...……19 3.2 Cause e patogenesi……….19 3.3 Segni clinici………21 3.4 Diagnosi………..22 3.5 Comportamento biologico……….24 3.6 Terapia……….24 3.6.1 Terapia chirurgica……….25 3.6.2 Terapia medica………..26 3.7 Prevenzione………28
CAPITOLO 4 - CARCINOMA BOWENOIDE IN SITU NELL’UOMO 4.1 John Templeton Bowen………..29
4.3 Segni clinici………31 4.4 Cause e patogenesi………...32 4.5 Diagnosi differenziali………...34 4.6 Istopatologia...34 4.7 Terapia...35 4.7.1 Terapia medica...36 4.7.2 Terapia chirurgica...38 4.8 Follow up...40 4.9 Prognosi...40 4.10 Prevenzione...41
CAPITOLO 5 - USO DI IMIQUIMOD CREMA 5% NELLA TERAPIA DEL CARCINOMA BOWENOIDE IN SITU...43
5.1 Introduzione...43
5.2 Uso di imiquimod crema 5% in medicina umana...43
5.3 Uso di imiquimod crema 5% nel gatto...46
CAPITOLO 6 - CASI CLINICI...49
6.1 Tenerina...49
6.3 Luigi...56 6.4 Penelope...57 6.5 Minnie...59 CAPITOLO 7 - RISULTATI...63 CAPITOLO 8 - DISCUSSIONE...65 BIBLIOGRAFIA...67 SITOGRAFIA...89
RIASSUNTO
Questa tesi ha lo scopo di valutare l’efficacia di un recente farmaco ad uso topico, imiquimod crema al 5% (Aldara®), per la terapia del carcinoma Bowenoide in situ (BISC) nel gatto. A tale scopo sono stati raccolti 4 casi clinici di gatti con BISC ed un caso clinico di un gatto con carcinoma squamocellulare (SCC), e sono state quindi valutate l’efficacia e la possibilità d’impiego di Aldara. Da questa tesi, si evidenziano una scarsa efficacia ed una scarsa possibilità d’impiego del prodotto: in 2 casi di BISC e nel caso di SCC si è verificato un peggioramento delle lesioni e del quadro eritematoso in seguito all’applicazione del farmaco; in un caso di BISC l’animale è stato sottoposto ad eutanasia per grave tossicità epatica in seguito al leccamento del prodotto da parte del gatto dopo l’applicazione; infine, in un caso di BISC vi è stata una mancata compliance da parte del proprietario per motivi economici.
ABSTRACT
The aim of this study is to evaluate the efficacy of a recent topical
drug, imiquimod cream 5% (Aldara®) for the feline Bowenoid in situ
carcinoma (BISC) therapy. For this aim, 4 clinical cases of cats with BISC and one clinical case of a cat with squamous cell carcinoma (SCC) have been collected and the efficacy and possibility of use of Aldara have been evaluated. This study highlights a low efficacy and possibility of use of the drug: in 2 BISC cases and in the SCC case
worsening of the lesions and of the erythema have been seen after Aldara use; in one BISC case the cat was euthanized because of a serious hepatic toxicity caused by the cat licking the drug after the application; finally, in one BISC case the therapy failed because of lack of owner’s compliance for economical reasons.
INTRODUZIONE
Il carcinoma squamoso multicentrico in situ (MISSCC, multicentric in situ squamous cell carcinoma), chiamato anche carcinoma Bowenoide in situ (BISC, Bowenoid in situ carcinoma) o malattia di Bowen, è un carcinoma squamocellulare in situ che deriva dai cheratinociti dell'epidermide, descritto in medicina umana per la prima volta da Bowen nel 1912 come una lesione precarcinomatosa. La malattia di Bowen ha probabilmente un'eziologia multifattoriale, ma un ruolo chiave sembra essere svolto dal papillomavirus (tabella 1). In medicina veterinaria il BISC è una neoplasia cutanea poco comune, più frequente nel gatto rispetto al cane. Lo scopo di questa tesi è valutare l’efficacia e la possibilità d’impiego di una terapia specifica, imiquimod topico al 5% (Aldara® crema al 5%) in 4 gatti affetti da carcinoma Bowenoide in situ e in un gatto con carcinoma squamoso. Si ritiene opportuno, prima di addentrarsi nella trattazione del BISC nel gatto e della sua terapia con imiquimod, fare una panoramica sul ruolo carcinogenetico del papillomavirus e sulle lesioni non neoplastiche e neoplastiche cutanee da esso sostenute, con particolare attenzione a quelle correlate con la malattia di Bowen. Saranno trattati alcuni aspetti clinico-patologici e la patogenesi delle tre malattie attualmente riconosciute nel gatto come di origine papillomatosa: il fibropapilloma, la placca virale (in precedenza definita papilloma cutaneo) e il BISC; la placca virale e il BISC possono evolvere in carcinoma squamocellulare (SCC),
pertanto anche questa forma sarà inclusa nella trattazione. Un capitolo sarà dedicato alla malattia di Bowen nell'uomo.
Tabella 1: Summary of pre-neoplastic and neoplastic skin lesions associated with fully-sequenced papillomaviruses in non-human animals*.
Species Cutaneous Lesion Associa
ted PVs
Detection Method
PV Genus Cat Feline viral plaque progressing to
Bowenoid in situ carcinoma SCC FdPV-1, FdPV-2 FdPV-2 IHC, PCR PCR Lambda Novel Novel
Dog Canine pigmented viral plaque progressing to in situ carcinoma and SCC
Endophytic papilloma and SCC in immunosuppressed dogs Vaccine-induced cutaneous SCC CfPV-3 CfPV-4 CfPV-2 COPV EM, IHC, PCR IHC, PCR IHC Novel Novel Novel Lambda
Horse Equine sarcoid BPV-1
BPV-2
PCR, ISH Delta Delta
Rabbit Cutaneous SCC CRPV PCR, ISH Kappa
Western barred Bandicoot
Cutaneous SCC BPCV1 PCR, ISH Novel
Egyptian fruit bat
Basosquamous carcinoma RaPV-1 IHC, PCR Novel
Natal
multimammate mouse
Keratoacanthoma and SCC MnPV EM, PCR Iota
European harvest mouse
Sebaceous carcinoma MmPV SB, PCR Pi
* PV, papillomavirus; FdPV, Felis domesticus papillomavirus; IHC, immunohistochemistry; PCR, polymerase chain reaction; SCC, squamous cell carcinoma; cFpv, Canis familiaris papillomavirus; EM, electron microscopy; COPV, canine oral papillomavirus; BPV, bovine papillomavirus; ISH, in situ hybridization; CRPV, cotton tail rabbit papillomavirus; BPCV, rousettus aegyptiacus papillomavirus type 1; RaPV, rabbit papiullomavirus; MnPV, Mastomys natalensis
CAPITOLO 1 APPAPILLOMAVIRUS
1.1 - INTRODUZIONEI Papillomavirus (PV) sono virus piccoli, senza envelope, a DNA a doppia catena, con un genoma circolare di circa 8 kbp. Tali virus infettano l’epitelio stratificato delle superfici cutanee (in seguito ad abrasioni ed erosioni) e mucosali. Molte infezioni sono asintomatiche (warts o verruche o placche) mentre altre sono eziologicamente correlate a diversi tipi di cancro nell’uomo così come in altre specie. Negli ultimi 20 anni sono stati identificati e classificati almeno 120 sottotipi di PV nell’uomo (Bernard et al., 2010), 7 nel cane e 4 nel gatto.
Tutti i diversi sottotipi di PV mostrano un’elevata specificità per il tessuto ospitante e sono abbastanza stabili nell’ambiente, potendo resistere 63 giorni tra i 4 e gli 8°C e 6 ore a 37°C (Nicholis e Stanley, 1999) e la trasmissione avviene tramite contatto diretto e indiretto (attraverso materiale contaminato).
L’immunità umorale protegge dagli insulti virali ma non gioca alcun ruolo nella clearance delle lesioni già formatesi; l’immunità cellulare ha invece un ruolo chiave nella regressione del papillomavirus. Nelle lesioni non recenti e in stadio di remissione spontanea sono infatti rilevabili infiltrazioni tissutali di linfociti T CD4+ e CD8+ (Nicholis e Stanley, 1999; Nicholis et al., 2001).
Non sono disponibili sistemi in vitro per la propagazione dei PV e la sensibilità delle tecnologie molecolari di individuazione è molto
variabile (Majewski e Jablonska, 1997). Poiché con la PCR è possibile rilevare la presenza di un’unica copia di DNA virale tra un centinaio di cheratinociti, il risultato positivo deve essere correttamente interpretato.
Non è ancora stabilito se un numero così esiguo di copie virali sia in grado di influenzare lo sviluppo di una lesione neoplastica epidermica. Per questo motivo un’indagine di immunoistochimica potrebbe risultare più significativa di una PCR nell’identificazione di un segnale in quanto l’anticorpo identificherebbe il capside e pertanto la forma replicativa del virus. Non sono attualmente stati sviluppati sistemi di ibridazione in situ in medicina veterinaria, quest’ultimo metodo permetterebbe l’identificazione del DNA virale nella sua sede di integrazione e moltiplicazione (Hubbard 2003; Molijn et al., 2005; Favrot, 2009;).
Negli ultimi anni si è generato un grande interesse e di conseguenza molta attività di ricerca sul ruolo del papillomavirus nell’oncogenesi. L’organizzazione dei genomi dei PV è molto conservata ed include regioni che codificano per geni precoci (E, early genes), tardivi (L, late genes) e una regione non codificante che contiene elementi regolatori. Tutti i PV conosciuti codificano fino a 8 geni che vengono espressi in un modo regolato nel tempo e includono fino a 6 geni E (E1-2 e E4-7) e due geni L strutturali. La parte centrale del genoma, presente in tutti i PV, include E1/E2, necessari per la replicazione del DNA virale (gene E1) e per l’attivazione della trascrizione (gene E2)
e L1/L2, che codificano per le componenti strutturali del capside. Il ruolo del gene E4 non è ancora conosciuto, mentre i restanti geni E5-E7 codificano per proteine che interferiscono con la progressione del ciclo cellulare. In particolare questi geni intervengono nella modulazione della risposta immunitaria delle cellule infette (gene E3), nella distruzione delle citocheratine in modo da facilitare il rilascio virale (gene E4), nell’interazione con i fattori di crescita (gene E5), o nella proliferazione e immortalizzazione cellulare (geni E6 ed E7). I segmenti di DNA virale E6 ed E7 sono veri oncogeni capaci di rendere le cellule immortali, inducendo crescita cellulare e promuovendo instabilità cromosomiche nella cellula ospite. L’oncoproteina E6 ha come obiettivo la degradazione della proteina p53 (proteina oncosoppressore) attraverso la via dell’ubiquitina. Lo sblocco della divisione cellulare e la nuova sintesi di DNA ospite predispongono a instabilità cromosomica e all’accumulo di varie mutazioni nelle cellule affette. Infine, un’altra importante proteina oncosoppressore, RB (retinoblastoma), viene inibita dal legame con la proteina E7. Tutti i PV codificano per almeno una di queste proteine oncogeniche (Ostrow e Faras, 1987; Smith e Campo, 1985). I papillomavirus umani (HPV) sono la causa principale delle verruche genitali, così come di displasia e carcinoma della cervice uterina, mentre i papillomavirus nel cane e nel gatto sono coinvolti nell’eziologia di alcune forme di carcinoma squamocellulare e nella genesi delle placche virali e del BISC. Nel 2006 è stato approvato
dall’FDA (Food and Drug Administration) un vaccino quadrivalente ricombinante che protegge dall’infezione dei papillomavirus tipo 6, 11, 16 e 18; questo vaccino sembra molto efficace nel prevenire le patologie indotte dall’HPV, comprese le neoplasie intraepiteliali della cervice e della vagina (Villa, 2006; Villa et al., 2006).
Vaccini vivi o inattivati tramite formalina contro il papillomavirus canino costituiscono una efficace misura di profilassi, ma non possiedono attività terapeutica per il trattamento di infezioni già esistenti (Nicholis e Stanley, 1999).
1.2 - LESIONI CUTANEE DI ORIGINE PAPILLOMATOSA NEL GATTO
1.2.1 - Fibropapilloma o sarcoide felino
Le proliferazioni fibroblastiche indotte dal papillomavirus, i sarcoidi, sono ben documentate nel cavallo (Lory et al.,1993); in questa specie le lesioni sono causate da BPV-1 e BPV-2 che si localizzano nei fibroblasti, al contrario di quanto invece si osserva nelle lesioni papillomatose specie-specifiche, nelle quali il virus ha una localizzazione epiteliale. Per analogia con le lesioni del cavallo, anche nel gatto viene utilizzato il termine sarcoide. Le prime segnalazioni di fibropapillomi nel gatto risalgono al 1998 (Gumbrell et
al., 1998;), ma l’eziologia virale papillomatosa e l’identificazione di
DNA virale nelle cellule mesenchimali proliferate in queste lesioni fibropapillomatose vengono suggerite solo in seguito da Schulman
nel 2001 (Schulman et al., 2001) e Teifke nel 2003 (Teifke et al., 2003). In vari studi sui sarcoidi felini è stata riscontrata una breve sequenza di DNA di papillomavirus all’interno di queste neoplasie; tale sequenza virale è stata chiamata FeSarPV (feline sarcoid-associated papillomavirus) (Munday et al., 2010; Orbell et al., 2011; Teifke et al., 2003). In uno studio di Munday effettuato nel 2014, è stato sequenziato il genoma del PV che contiene la sequenza FeSarPV (Munday et al., 2015); grazie a questo studio è risultato evidente come il genoma di questo PV sia strettamente correlato a quello del PV bovino 4 delta tipo 1, 2 e 13 (4 delta BPVs-1, 2, 13), mentre è solo lontanamente correlato al genoma dei PV dei carnivori. Tale PV è stato quindi chiamato BPV-14 e, come altri delta BPV, la proteina E5 potrebbe causare proliferazione mesenchimale. È interessante notare che BPV 14 non è mai stato rilevato nei sarcoidi equini (Munday et al., 2015).
L’incidenza dei sarcoidi felini non è nota, ma viene riscontrata nella maggior parte dei casi in soggetti che vivono in aree rurali e i gatti che vivono in prossimità di fienili (i cosiddetti “barn cats”) sembrano essere predisposti.
Il sarcoide felino si presenta come lesione singola o multipla che misura fino ai 2 cm, i noduli sono piuttosto duri e solitamente appaiono ulcerati. Le sedi di insorgenza sono il filtro nasale, le narici, il labbro superiore, le dita, la punta della coda e le orecchie, ma anche la cavità orale può venire colpita. I soggetti maschi e giovani
sono predisposti. Queste lesioni crescono lentamente ma in modo infiltrante ed è comune la recidiva dopo l’asportazione, mentre non sono invece segnalate metastasi (Gross et al., 2005).
1.2.2 - Placche virali
Il primo caso di papillomavirus felino è stato descritto nel 1990 da Carney negli USA in due gatti persiani in terapia con farmaci immunosoppressivi (Carney et al., 1990), mentre il primo caso europeo è stato descritto da Egberink nel 1992 (Egberink et al., 1992); in questo secondo caso, il virus è stato rilevato nei nuclei di cellule presenti in placche pigmentate lievemente rilevate di 2-7 mm di diametro presenti sulla cute di un gatto FIV positivo. Da allora sono seguite altre segnalazioni, ma solo nell’ultimo decennio l’introduzione di tecniche molecolari ha consentito di identificare i diversi genomi virali e di proporre una loro associazione con diverse forme cliniche. Raramente le lesioni cutanee papillomatose del gatto hanno una crescita esofitica paragonabile ai papillomi cutanei dell’uomo e del cane, molto più frequentemente le lesioni sono appiattite o a placca.
E’ piuttosto difficile stimare la reale incidenza delle placche virali, anche perché le lesioni iniziali sono piccole e potrebbero essere poco apprezzabili per i proprietari e quindi essere raramente campionate a scopo diagnostico. Le lesioni, anche multiple, ovoidali o allungate, sono leggermente rilevate sulla superficie e raggiungono
al massimo gli 8 mm di lunghezza, possono essere pigmentate o non pigmentate. La superficie è piuttosto irregolare, desquamata e, come accennato precedentemente, non si apprezza un aspetto marcatamente papillomatoso. Non viene segnalata una distribuzione anatomica preferenziale, le placche originano ovunque. Anche se in alcune delle prime segnalazioni i soggetti erano gatti persiani, la maggior parte dei casi insorgono nel gatto domestico. L’età di insorgenza è compresa tra i 7 mesi e i 15 anni ed è pertanto piuttosto variabile, con molte delle segnalazioni in soggetti adulti e anziani. Diversi casi sono stati descritti in soggetti trattati con corticosteroidi per lungo tempo o con malattie virali sottostanti (FIV, FIP), è stato quindi suggerito che una condizione di immunocompromissione possa favorire l’insorgenza della lesione.
Fino ad oggi sono stati descritti 4 PV nel gatto domestico, questi sono completamente sequenziati ed includono:
a) FdPV-1
Felis domesticus PV-1 (FdPV-1): FdPV-1 è un lambda-PV strettamente correlato al lambda-PV canino Clambda-PV-1 (Tachezy et al., 2002). Questo papillomavirus è stato il primo ad essere sequenziato nel gatto domestico ed è stato rilevato in una placca cutanea virale. Nonostante ciò, successivamente, è stato rilevato solo raramente e sembra essere una causa poco comune di neoplasia cutanea nel gatto (Munday et al., 2013)
b) FdPV-2
Felis domesticus PV-2 (FdPV-2): l’intera sequenza di FdPV-2 è stata pubblicata nel 2009 (Bernard et al., 2010,Lange et al., 2009); questo PV viene evidenziato nella maggior parte delle placche virali cutanee e dei carcinoma Bowenoidi in situ e si pensa sia la causa di queste lesioni preneoplastiche (Lange et al., 2009b; Munday et al., 2007; Munday e Peters-Kennedy, 2010). Il DNA di questo PV è stato rilevato più frequentemente nei carcinomi squamocellulari felini ma non in campioni di cute non neoplastica, suggerendo un ruolo di questo virus nello sviluppo di tali neoplasie cutanee (Munday
et al., 2011; Munday et al., 2008).
c) FdPV-3
Felis catus PV-3 (FcaPV-3): da carcinomi squamocellulari felini e da carcinomi Bowenoidi in situ felini sono state rilevate e amplificate anche altre brevi sequenze di DNA di PV diverse da quelle sopra elencate (Munday et al., 2011; O’Neill et al., 2011); l’intera sequenza genomica di un terzo papillomavirus felino è stata descritta da Munday nel 2013 (Munday et
al., 2013); tale sequenza è stata amplificata da un gatto
con lesioni multiple di carcinoma Bowenoide in situ e questo PV è stato chiamato FcaPV-3, poiché il corretto
nome tassonomico del gatto domestico è Felis catus e non Felis domesticus. Poiché in questo caso dalle lesioni sono stati amplificati sia FdPV-2 che FcaPV-3, risulta difficile confermare un ruolo del FcaPV-3 nell’insorgenza del BISC (Munday et al., 2013). In 3 casi di SCC felino è stato identificato solo FcaPV-3, suggerendo un suo possibile ruolo nello sviluppo di neoplasie cutanee (Munday et al., 2011).
d) FdPV4
Felis domesticus PV-4 (FdPV-4): Dunowska (Dunowska et al.,2014) riporta l’intera sequenza genomica di un quarto papillomavirus felino, amplificato dalla cavità orale di un atto con grave gengivite. Nonostante ciò, il coinvolgimento eziologico di PV-4 nello sviluppo delle lesioni resta ancora incerto.
CAPITOLO 2 - CARCINOMA IN SITU
BOWENOIDE NEL GATTO
2.1 – INTRODUZIONE
Il carcinoma Bowenoide in situ (BISC, Bowenoid in Situ Carcinoma o carcinoma squamoso multicentrico in situ MISSCC) è una patologia poco comune del cane e del gatto, ed è descritta soprattutto in quest'ultima specie (Nespeca et al., 2006; Wilhelm et al., 2006; Foster et al., 1999; Baer e Helton, 1993; Miller et al., 1992; Rees et
al., 1998; Guaguere et al., 1999).
2.2 – CAUSE E PATOGENESI
Nel gatto, diversamente da ciò che avviene per il carcinoma squamocellulare, l'esposizione alla luce ultravioletta non è un fattore causale (Baer e Helton, 1993; Miller et al., 1992). Studi recenti hanno identificato evidenza di papillomavirus in alcuni BISC, l'infezione virale potrebbe quindi essere una causa dello sviluppo di questa patologia in alcuni gatti (Lange et al., 2009b; Munday et al., 2008; Munday e Peters-Kennedy, 2010).
In uno studio effettuato su una popolazione di gatti comprendenti soggetti con solo placche virali feline (FPV) indotte da papillomavirus felino, soggetti con solo BISC e soggetti con FPV + BISC, veniva ricercata tramite immunoistochimica la presenza di antigene virale. Dei 17 gatti con FVP o con FVP+BISC, 16 sono risultati positivi per
l'antigene virale, mentre dei gatti aventi solo BISC solo 1 su 9 è risultato positivo alla presenza di antigene virale. È stata ipotizzata una perdita dell'espressione delle proteine virali nei casi avanzati di BISC come spiegazione plausibile per il loro status negativo, e la conclusione è stata che alcuni BISC probabilmente evolvono da FVP indotti da papillomavirus (Wilhelm et al., 2006).
2.3 – SEGNI CLINICI
Il carcinoma Bowenoide in situ si verifica principalmente in gatti di mezza età o anziani, con un'età media di 12 anni (Baer et al., 1993). Le lesioni sono solitamente multifocali e si verificano soprattutto a livello di testa, collo, torace dorsale, addome e parte prossimale degli arti (Baer et al., 1993; Miller et al., 1992); tali lesioni si possono trovare sulla cute scura e pigmentata, diversamente da ciò che accade per il carcinoma squamocellulare indotto dalla luce solare (Miller et al., 2013). Inizialmente sono presenti macule e placche ben circoscritte, melanotiche ed ipercheratosiche del diametro di 0,5-3 cm; alcune di queste lesioni possono diventare quasi verrucose e sulla superficie di alcune di esse possono svilupparsi corni cutanei. Successivamente, le lesioni diventano placche spesse, crostose ed ulcerate che tendono a sanguinare facilmente (Goldschmidt et al., 2002; Rees et al., 1999).
2.4 - DIAGNOSI
La diagnosi è essenzialmente istologica; all’esame istopatologico possono essere evidenziate aree di cheratinociti neoplastici nell'epidermide e nell'epitelio follicolare, senza invasione del derma attraverso la membrana basale (Goldschmidt et al., 2002). Sono presenti iperplasia e displasia epidermica e follicolare superficiale (Miller et al., 1992; Baer et al., 1993). Le dimensioni e l'aspetto dei cheratinociti sono molto variabili e sono comuni le figure mitotiche. Si riscontrano frequentemente ipercheratosi ortocheratosica e paracheratosica e può essere presente un infiltrato infiammatorio lichenoide. Adiacenti ad alcune lesioni tipiche del carcinoma Bowenoide in situ sono state identificate aree focali di carcinoma squamoso invasivo (Baer e Helton, 1993).
2.5 - TERAPIA
Come implica il nome, il carcinoma squamoso multicentrico in situ è una condizione multicentrica; i gatti affetti presentano lesioni cutanee multiple. Sebbene l'escissione chirurgica delle singole lesioni fornisca una cura locale, spesso nuove lesioni si sviluppano in altre sedi. La terapia sistemica ha risultati variabili: la somministrazione orale di
isotretionina è risultata inefficace in un gatto (Miller et al., 1992),
mentre due gatti su tre hanno mostrato remissione parziale sia con
etretinato per via orale (2 mg/kg SID, non più disponibile) che con acitretina per via orale alla dose di 3 mg/kg SID (Guaguere et al.,
1999). La plesioterapia (irradiazione beta) è risultata efficace in lesioni fino ai 4 mm di spessore (Miller WH et al., 1992). In ogni caso, nuove lesioni continuano a svilupparsi, e le placche più spesse non rispondono a tali terapie. Recentemente è stata dimostrata l'efficacia clinica dell'imiquimod topico nella Bowen disease nell'uomo (Brannan
et al.,2005; Arlette et al., 2004; Peris et al., 2006; Mandekou-Lefaki et al., 2005). Un trial randomizzato a doppio cieco placebo-controllo
su 31 pazienti umani con Bowen disease ha mostrato risoluzione delle lesioni in quasi il 75% dei pazienti in terapia con imiquimod, contro una mancata risposta nel gruppo placebo (Patel et al., 2006). In aggiunta a vari reports aneddotici sull'efficacia di imiquimod in gatti con BISC, vi è uno studio recente (Gill et al., 2006) su 12 gatti trattati con imiquimod topico. Le lesioni iniziali hanno risposto in tutti i gatti, nonostante nel 75% dei soggetti si siano sviluppate nuove lesioni, le quali hanno risposto alla terapia. L'effetto collaterale più comune è stato l'eritema locale autolimitante nel 25% dei gatti trattati e il tempo di sopravvivenza media superava i 3 anni. La crema a base di imiquimod viene applicata sulle lesioni generalmente una volta al giorno per molte settimane fino a qualche settimana dopo la remissione completa della sintomatologia.
CAPITOLO 3 - CARCINOMA
SQUAMOCELLULARE NEL GATTO
3.1 - INTRODUZIONE
Il carcinoma squamocellulare (SCC) è una neoplasia maligna comune nel gatto, che origina dai cheratinociti epidermici.
3.2 - CAUSE E PATOGENESI
Lo sviluppo della maggior parte dei carcinomi squamocellulari è associato all'esposizione cronica alla luce solare in aree ipopigmentate e ipotricotiche, nei gatti bianchi o nelle aree bianche del mantello di gatti con colori diversi. In questi casi il carcinoma SC è solitamente preceduto da cheratosi attinica e si verifica più frequentemente nelle aree geografiche caratterizzate da radiazione solare intensa (Goldschmidt e Hendrick, 2002).
Anche il papillomavirus sembra essere implicato nello sviluppo di SCC nel gatto. Nonostante inizialmente, in uno studio ormai datato, fosse stata dimostrata l'assenza di antigeni virali in alcuni casi di SCC (Sundberg et al., 1984), più di recente un nuovo studio ha valutato sia casi di SCC felino che di carcinoma squamoso multicentrico in situ tramite una PCR ad ampio spettro e ha rilevato DNA di papillomavirus rispettivamente nel 18% dei campioni con SCC e nel 24% dei campioni con BISC (Nespeca et al, 2006). Più recentemente i risultati ottenuti in uno studio di Munday pubblicato
nel 2010 hanno supportato l’ipotesi che alcuni carcinomi SC felini siano provocati da infezioni da papillomavirus. In questo studio, Munday ha raccolto 70 casi di SCC felino: 25 di questi erano SCC localizzati in aree corporee non colpite direttamente dai raggi UV, 45 erano SCC localizzati in aree corporee esposte alla luce solare. Tramite PCR è stato amplificato DNA di papillomavirus dal 76% delle lesioni localizzate in aree non fotoesposte e solo dal 42% delle lesioni localizzate in aree fotoesposte. Inoltre, poiché nelle placche virali e nei BISC felini vi è un aumento della proteina p16, è stata utilizzata l’immunoistochimica per rilevare tale proteina ed è stato evidenziato un suo aumento nell’84% degli SCC situati in aree non fotoesposte e solo nel 40% degli SCC situati in aree fotoesposte. Tali risultati supportano l’ipotesi che alcuni SCC felini siano causati da papillomavirus e suggeriscono che i papillomavirus possano provocare neoplasie tramite meccanismi che incrementano la proteina p16 (Munday et al., 2010).
In passato era stata formulata l’ipotesi che anche il virus dell’immunodeficienza felina potesse causare SCC: in uno studio risalente al 1991, Hutson constatò che in California il 24% dei soggetti appartenenti ad un gruppo di gatti FIV positivi era affetto da SCC. Non è stato però possibile formulare una relazione causale tra infezione da FIV e sviluppo di SCC, poiché entrambe le problematiche sono indipendentemente associate ad uno stile di vita all'esterno (Hutson et al., 1991).
Infine, anche anormalità molecolari delle cellule tumorali potrebbero stare alla base dello sviluppo di alcuni carcinomi squamocellulari. Nel SCC felino sono state identificate mutazioni nel gene p53 (tumor soppressor gene) così come la sovraespressione della proteina p53, che potrebbe essere coinvolta nella formazione del tumore (Teifke et
al., 1996).
3.3 - SEGNI CLINICI
Il SCC si verifica nel gatto con un picco d'incidenza tra i 9 e i 14 anni d'età, senza predilezione di razza o di sesso (Goldschmidt et al., 2002). I gatti bianchi, indipendentemente dalla lunghezza del mantello, hanno un rischio 13 volte maggiore di sviluppare questo tipo di neoplasia rispetto ai gatti di altri colori, a causa della loro elevata suscettibilità al danno attinico (Dorn et al.,1971; Lana et al., 1997). Più dell'80% delle lesioni si sviluppano sulla testa, coinvolgendo solitamente il piano nasale, i padiglioni auricolari e le palpebre, mentre le labbra sono coinvolte meno frequentemente (Miller et al., 1991; Ruslander et al.,1997). Le lesioni sono tipicamente croniche e progrediscono da eritema e croste a erosioni e quindi ulcere (Lana et al., 1997). Il carcinoma squamocellulare può coinvolgere più di un sito sulla testa, come è stato evidenziato in uno studio nel quale più del 30% dei gatti affetti presentava lesioni multiple (Lana et al., 1997).
Il SCC primario delle dita è raro nel gatto, poiché in questa specie la maggioranza dei casi riportati di carcinoma digitale sono metastasi di carcinoma polmonare primario. I gatti con la lung-digit syndrome raramente vengono portati in visita per problemi respiratori, è quindi molto importante effettuare delle radiografie toraciche in ogni gatto che presenti una lesione digitale di tipo neoplastico (Gottfried et al., 2000; van der Linde-Sipman JS e van den Ingh, 2000).
3.4 - DIAGNOSI
Le diagnosi differenziali per il SCC cutaneo includono svariate neoplasie, ulcere croniche e infiammazioni croniche (Hargis, 2009); in particolare, le lesioni del letto ungueale vengono di frequente erroneamente diagnosticate come paronichia infettiva. L'esame citologico di un sospetto SCC, qualsiasi sia la sua localizzazione, è utile per stabilire un'ipotesi diagnostica (Garva-Avina, 1994; Stockhaus e Teske, 1999).
Nella maggior parte dei casi l’esame istologico fornisce una diagnosi accurata, anche se in alcuni sottotipi la diagnosi definitiva può essere difficoltosa, come nel caso dei carcinomi squamosi a cellule acantolitiche e a cellule fusate. Per questi sottotipi può essere utile l’immunoistochimica (Hargis, 2009).
Istologicamente, il SCC presenta isole o corde irregolari di cheratinociti che proliferano verso il basso, oltre la membrana basale, invadendo il derma. Ritrovamenti frequenti includono
formazioni di cheratina, "perle" cheratiniche, ponti intercellulari, mitosi e atipia; può essere inoltre visibile un continuum di cambiamenti istologici: la cheratosi attinica progredisce a carcinoma in situ e poi a carcinoma squamoso. Occasionalmente può essere presente elastosi solare, una degenerazione delle fibre elastiche e delle fibre collagene nel derma superficiale con deposizione di materiale fibrillare basofilo ispessito. La maggior parte dei SCC del gatto appartengono al sottotipo istopatologico da bene a moderatamente differenziato, ma esistono anche forme poco differenziate di aspetto basaloide e varietà a cellule acantolitiche poco differenziate (pseudoghiandolari) e a cellule fusate (Goldschmidt et al., 2002).
Istologicamente è stata rilevata, in associazione al SCC felino, una reazione infiammatoria locale abbondante, consistente soprattutto in linfociti T CD3+ e plasmacellule (Perez et al.,1999); le neoplasie da ben differenziate a moderatamente differenziate mostrano numeri significativamente maggiori di queste cellule immunitarie ed esprimono complessi maggiori di istocompatibilità MHC-II in proporzione più alta rispetto alle neoplasie da moderatamente differenziate ad invasive. Questa risposta cellulare e umorale potrebbe attuare una downregulation della crescita tumorale, ma non è stato dimostrato che possa indurre una regressione completa del tumore (Miller et al., 2013).
3.5 - COMPORTAMENTO BIOLOGICO
Generalmente, i SCC sono localmente invasivi e sono lenti a metastatizzare. I linfonodi regionali drenanti il sito tumorale possono essere aumentati di volume, ma solitamente sono linfonodi reattivi in risposta all'infiammazione tumorale e all'ulcerazione (Miller et al., 2013).
Nei gatti con SCC a livello di testa e collo sono rare le metastasi ai linfonodi regionali e ai polmoni. Di 247 gatti colpiti da SCC valutati in 7 studi, nessuno aveva metastasi al momento della diagnosi, anche se non è stata eseguita una stadiazione completa in tutti i casi (Gomes et al., 2000; Lana et al., 1997; de Vos et al., 2004; Fidel et
al., 2001; Magne et al., 1997; Theon et al., 1995). Al follow-up, in 11
gatti (22%) erano state diagnosticate metastasi regionali o a distanza, la maggior parte delle quali localizzate a livello del linfonodo regionale (Lana et al., 1997; de Vos et al., 2004; Fidel et al. 2001; Magne et al., 1997; Theon et al., 1995).
3.6 - TERAPIA
Poiché la maggior parte dei casi di carcinoma squamocellulare felino non metastatizza, un efficace trattamento locale del tumore primario fornisce lunghi tempi di sopravvivenza nella maggior parte dei casi. Più la lesione è piccola, più è alta la probabilità che la terapia abbia successo. Le terapie che hanno mostrato elevati tassi di successo contro la malattia locale comprendono l'escissione chirurgica, la
crioterapia, la radioterapia, la terapia fotodinamica e la chemioterapia intralesionale. L'escissione chirurgica è la tecnica d'elezione quando attuabile (Ruslander et al., 1997; Clarke, 1991; Lana et al., 1997; de Vos et al., 2004; Fidel et al., 2001; Withrow et al., 1990; Bostock et
al., 1972; Frimberger et al., 1998; Stell et al., 2001; Goodfellow et al.,
2006; Theon et al., 1996).
3.6.1 - Terapia chirurgica
Nel gatto l'escissione chirurgica dei padiglioni auricolari (pinnectomia) e/o del piano nasale (nosectomia) è efficace e il risultato estetico è accettabile per la maggior parte dei proprietari (Ruslander et al., 1997; Lana et al., 1997; Withrow e Straw, 1990). La resezione aggressiva della palpebra inferiore con tecniche ricostruttive permette di ottenere margini puliti in gatti con ampi SCC a livello della palpebra (Hunt, 2006; Schmidt et al., 2005).
In uno studio effettuato su 102 gatti aventi in totale 163 carcinomi squamocellulari, la crioterapia ha fornito un tasso di remissione dell'83%: dopo 1 trattamento tutte le lesioni localizzate a livello di orecchie e palpebre andavano in remissione, così come il 70% delle lesioni sul piano nasale; l'80% delle lesioni sul piano nasale era ancora in remissione dopo 4 anni dal trattamento (Clarke, 1991). In un altro studio, 8 gatti su 11 con SCC a livello del collo trattati con crioterapia sviluppavano recidive croniche, con un intervallo medio di libertà dalla malattia di 254 giorni (Lana et al., 1997). È consigliabile
però riservare la crioterapia per lesioni piccole, poiché è un trattamento superficiale.
3.6.2 - Terapia medica
Così come la crioterapia, anche la radioterapia è più efficace per lesioni piccole e superficiali (Fidel et al., 2001; Theon et al., 1995). Secondo 3 studi sull'SCC del piano nasale, la media di sopravvivenza libera da malattia in 114 gatti trattati con ortovoltaggio o con teleterapia al cobalto andava dai 12 ai 16 mesi (Lana et al., 1997; Theon et al., 1995; Cox et al., 1991). In 15 gatti, la teleterapia protonica ha dato un responso completo nel 60% dei casi, con un tempo medio di sopravvivenza libera da malattia di 440 giorni (Fidel
et al., 2001). In 17 gatti, la terapia a fascio d'elettroni ha dato un
tasso di guarigione completa del 94%, con un tempo medio di sopravvivenza libera da malattia di circa 400 giorni (Fidel et al., 2001). Lo stadio tumorale in questi lavori era variabile; le risposte migliori alla radioterapia si ottenevano nella maggior parte dei casi per i tumori piccoli e a stadio più basso. In ogni caso la chirurgia, se attuabile, è la scelta migliore per la terapia locale rispetto all'irradiazione esterna.
La plesioterapia (brachiterapia non invasiva) con stronzio 90 in 15 gatti con SCC superficiale del piano nasale (</= a 5 cm o non invasivo) dava una risposta completa nell'85% dei pazienti; non ci sono state recidive nel periodo di follow-up (134-2043 giorni, con una
Anche la terapia fotodinamica (PDT) in gatti con SCC funziona meglio per le lesioni di piccole dimensioni (</= 5 cm o non invasive). Le lesioni grandi potrebbero avere un miglior tasso di remissione aumentando la densità energetica del flusso, ma si possono comunque verificare delle recidive (Hahn et al., 1998). Nonostante la terapia fotodinamica dia eccellenti risultati cosmetici, il periodo post-trattamento può essere difficile e la durata della remissione, anche per lesioni piccole, non è elevata come per altre opzioni terapeutiche (Lana et al., 1997; Peaston et al., 1993).
La chemioterapia sistemica ha attività limitata verso il SCC, mentre la
chemioterapia intralesionale è stata utilizzata con qualche successo
in gatti con SCC del piano nasale (de Vos et al., 2004; Theon et al., 1996). 23 gatti con SCC del piano nasale in stadio avanzato sono stati trattati con carboplatino intratumorale in olio di sesamo purificato settimanalmente per 4 volte; nel 73% dei casi vi è stata una risposta completa con un intervallo medio libero da malattia di 16 mesi (Theon et al., 1996). Nello studio di de Vos del 2004, 6 gatti con SCC del piano nasale in stadio avanzato sono stati trattati per 4 settimane con iniezioni settimanali intralesionali di carboplatino diluito associate ad irradiazioni con ortovoltaggio effettuate il lunedì, il mercoledì e il venerdì. In tutti i casi vi è stata una risposta completa alla terapia, ma la durata media di remissione e sopravvivenza è stata scarsa, con un tempo di follow-up medio di 268 giorni (de Vos et al., 2004). In uno studio effettuato sul cane, in 13 soggetti con SCC cutaneo di grandi
dimensioni e/o multiplo la chemioterapia intralesionale a rilascioprolungato (collagene, epinefrina e 5-fluoracile o cisplatino) ha
mostrato un tasso di risposta completo del 50% con un tempo di remissione medio di 153 settimane (Kitchell et al., 1995). Mentre la disponibilità della chemioterapia ad impianto potrebbe essere limitata, alcuni tipi di chemioterapia intralesionale potrebbero essere considerati nei casi di SCC non gestibili chirurgicamente.
3.7 - PREVENZIONE
Evitare la luce solare è fondamentale per la prevenzione del carcinoma squamocellulare. I normali vetri delle finestre non bloccano tutti i raggi ultravioletti, quindi i gatti che sono soliti prendere il sole sulla finestra potrebbero essere predisposti (Ruslander et al., 1997). Si trovano in commercio protezioni solari topiche per animali, ma non ci sono report sulla loro efficacia, soprattutto vista la capacità del pet di rimuovere la lozione tramite lambimento.
CAPITOLO 4 - CARCINOMA BOWENOIDE IN
SITU NELL’UOMO
4.1 - JOHN TEMPLETON BOWEN
Il Dr. John Templeton Bowen, medico statunitense nato a Boston l'8 luglio del 1857, si laureò in medicina all'università di Harvard nel 1884 e nei 3 anni successivi seguì vari training post-laurea in dermatologia a Berlino, Monaco e Vienna. Tornò quindi a Boston dove nel 1889 divenne assistente medico curante di pazienti con problemi dermatologici al Massachussets General Hospital, per diventare poi nel 1895 medico curante di pazienti con problemi dermatologici, incarico che mantenne fino al 1914. Nel 1896 il Dr. Bowen venne eletto insegnante di dermatologia presso la Harvard Medical School e mantenne questo ruolo fino al 1902, quando fu nominato assistente professore. Nel 1907 divenne il primo professore di dermatologia dell'Edward Wigglesworth alla Harvard Medical School e fu inoltre eletto presidente dell'American Dermatologic Association. Andò in pensione nel 1911 per diventare Professore Emerito e nel 1927 smise di praticare.
Si diceva che il Dr. Bowen amasse molto la quiete e la solitudine, e che forse amasse più il suo microscopio che i suoi pazienti. Non si sposò mai e negli ultimi anni divenne piuttosto solitario. Morì il 3 dicembre 1940, all'età di 84 anni (Marvin e Corman, 1987).
Il Dr. Bowen era un ottimo microscopista. Le due pubblicazioni che saranno sempre associate al suo nome sono "The Epitrichial Layer of the Human Epidermis" (1889) e "Precancerous Dermatoses [Bowen's Disease]" (1912) (AMA Arch Derm, 1957; White, 1941).
4.2 - MALATTIA DI BOWEN O CARCINOMA BOWENOIDE IN SITU
In medicina umana il carcinoma Bowenoide in situ viene solitamente chiamato Malattia di Bowen o Morbo di Bowen e viene definito come una forma di SCC in situ di cute, mucose e giunzioni muco-cutanee; è quindi una neoplasia maligna a carico dei cheratinociti. A differenza del carcinoma a cellule basali, della cheratosi attinica, e del carcinoma squamocellulare, nella malattia di Bowen non vi è differenza di incidenza tra le aree cutanee fotoesposte e quelle non foto esposte (Burtica, 2011); non vi è inoltre predilezione di sesso. La malattia di Bowen é più frequente negli anziani, con incidenza maggiore in pazienti oltre i 60 anni d'età; in uno studio statunitense del 1991 viene riportato che l'incidenza è di 14,9 casi su 100.000 bianchi (Chute et al., 1991), mentre in uno studio effettuato nel 1994 la percentuale risultava 10 volte maggiore (142 casi per 100.000 bianchi) (Reiznet et al., 1994). La malattia di Bowen, se non trattata, può evolvere in carcinoma squamocellulare invasivo.
4.3 - SEGNI CLINICI
Clinicamente, la neoplasia ha inizio come un’area piccola di colore rosato-rossastro, desquamante, asintomatica, persistente, a limiti netti rispetto alla cute sana circostante; in seguito, con andamento piuttosto lento, evolve estendendosi ed assumendo una forma rotondeggiante o poligonale irregolare e rilevandosi lievemente (placca) (Burtica, 2011). Il carcinoma Bowenoide in situ si presenta come lesione singola in 2/3 dei casi. Nell'uomo insorge più comunemente su testa e collo mentre nella donna sono più interessate le guance e gli arti inferiori. La lesione può presentarsi frequentemente anche sul tronco e talvolta nella regione perianale (Stein, 2003), digitale e in altre regioni corporee. Queste lesioni misurano solitamente dai 2 ai 5 centimetri di diametro al momento della diagnosi e un errore comune per i poco esperti in dermatologia è confonderle per placche isolate di psoriasi. La psoriasi è rara come placca isolata, e l'assenza di altre lesioni psoriasiformi su ginocchia, gomiti o cuoio capelluto dovrebbe destare sospetti. Una seconda diagnosi differenziale è il carcinoma basocellulare multifocale o extrafacciale, anche se la lesione Bowenoide non ha i margini rialzati caratteristici del carcinoma basocellulare. Il fatto che la lesione Bowenoide si trovi in una sede solitamente non fotoesposta può aiutare a differenziarla da una cheratosi attinica, nonostante clinicamente le lesioni possano essere piuttosto simili.
Occasionalmente si possono osservare lesioni di grandi dimensioni; vi è un'incidenza maggiore di lesioni multiple in pazienti con ingestione di arsenico in anamnesi (McKie, 1996).
4.4 - CAUSE E PATOGENESI
L'eziologia della malattia di Bowen è probabilmente multifattoriale; tra i fattori di rischio identificati troviamo: sostanze chimiche come l’arsenico (Shannon e Strayer, 1989; Hunt et al., 2014), l’infezione da papillomavirus umano (HPV 15 e 16 sono stati dimostrati nei cheratinociti della malattia di Bowen delle estremità distali, genomi 16 e 18 nei cheratinociti dell’eritroplasia di Queyrat e anche altri genomi di HPV sono stati evidenziati in qualche caso di malattia di Bowen) (Burtica 2011), l'esposizione cronica ai raggi UV (Kossard e Rosen, 1992), l'immunosoppressione e altre possibili cause che comprendono fattori genetici, trauma, altre carcinogenesi chimiche e i raggi X.
La letteratura supporta un'associazione tra malattia di Bowen e esposizione all'arsenico, che si verifica spesso in un arco di tempo di 10 anni. Le maggiori fonti di esposizione all'arsenico includono la soluzione di Fowler, un medicinale che veniva utilizzato per la terapia della psoriasi, la soluzione di Gay, utilizzata per trattare l'asma, acqua di pozzo contaminata e alcuni pesticidi (Shannon e Strayer, 1989; Hunt et al., 2014).
Per quanto riguarda l'esposizione cronica ai raggi UV, l'età d'insorgenza e la distribuzione per le forme che insorgono sulle aree fotoesposte suggerisce l'importanza di un danno solare cronico come fattore carcinogenetico della malattia di Bowen (Kossard e Rosen, 1992). Il carcinoma squamocellulare in situ di tipo Bowenoide deriva spesso dalla cheratosi attinica, che se ne differenzia per la mancanza di atipia cheratinocitaria a tutto spessore, considerata invece tratto distintivo della malattia di Bowen (Anderson, 2012). Il papillomavirus umano tipo 16 è di gran lunga il sottotipo più comunemente isolato dalle lesioni di tipo Bowenoide, nonostante siano stati identificati anche altri sottotipi quali HPV 2, 18, 31, 33, 54, 56, 61, 62 e 73 (Derancourt et al., 2001; McKee et al., 2005; Shim et
al., 2011; Euvrard et al., 1993). In un articolo di Mitsuishi del 2003,
furono esaminate 13 lesioni da cheratosi attinica e 62 malattie di Bowen in 69 pazienti giapponesi; in tale studio è stata rilevata tramite PCR la presenza di HPV nel 77% delle cheratosi attiniche e nel 65% dei carcinomi Bowenoidi in situ. In totale erano stati identificati 27 tipi di HPV. Inoltre, 24 campioni di lesioni precarcinomatose HPV positive o HPV negative sono state analizzate con l'immunoistochimica per determinare eventuali differenze biologiche tra lesioni HPV positive e HPV negative. È stata utilizzata l'immunoostochimica per p21, p53, PCNA (Proliferating Cell Nuclear Antigen) e altri fattori, e i risultati non hanno rilevato una differenza significativa nell'attività di proliferazione cellulare tra lesioni HPV
positive e HPV negative, suggerendo che la sola infezione da HPV non possa indurre proliferazione cellulare in tali lesioni (Mitsuishi et
al., 2003). Pazienti immunosoppressi con malattia di Bowen hanno
più possibilità di avere lesioni multiple e più aggressive (Drake e Walling, 2008).
4.5 - DIAGNOSI DIFFERENZIALI
Tra le diagnosi differenziali per la malattia di Bowen devono essere prese in considerazione la cheratosi attinica, il carcinoma a cellule basali, il lichen semplice cronico, la malattia di Paget mammaria, la psoriasi, il carcinoma squamo cellulare e infine la Tinea Corporis.
4.6 - ISTOPATOLOGIA
Per confermare il sospetto clinico di carcinoma Bowenoide in situ è essenziale una biopsia comprendente la porzione più indurita della lesione. È importante includere nella biopsia le strutture follicolari, così come effettuare campionature multiple in lesioni di grandi dimensioni per escludere la presenza di invasione della membrana basale. La malattia di Bowen presenta istologicamente un'anaplasia a tutto spessore dell'epidermide, con perdita della normale maturazione dei suoi componenti. I cheratinociti sono atipici e scombinati, spesso vengono descritti come "battuti dal vento", con perdita di polarità. Nonostante le cellule dello strato basale appaiano
relativamente normali, vi é un'estensione dell'atipia dei cheratinociti nell'epitelio follicolare.
Nell'epidermide sono presenti vacuolizazzione, mitosi atipiche, cheratinizzazione delle singole cellule e cellule multinucleate. Grandi cheratinociti pallidi con abbondante citoplasma con aspetto a vetro smerigliato, detti cellule pagetoidi, sono spesso distribuiti in modo casuale nell'epidermide. Lo strato corneo sovrastante mostra frequentemente ipercheratosi e paracheratosi. Il derma superficiale presenta un infiltrato linfocitario moderato e le cellule neoplastiche tendono ad affollare le strutture annessiali. Le cellule neoplastiche nella malattia di Bowen si colorano positivamente per p53, HPV, e citocheratina ad alto peso molecolare (Gupta et al., 2009); geneticamente, è stata osservato un aumento di espressione e mutazione di TP53 ed inoltre è stato riportato che le lesioni hanno una o più delezioni nei marker 9q. La malattia di Bowen è una condizione dove il quadro citologico è più allarmante che il comportamento biologico della lesione stessa (McKie, 1996).
4.7 - TERAPIA
Nel 2014 la British Association of Dermatologists ha determinato delle linee guida specifiche per la gestione della malattia di Bowen ("British Association of Dermatologists' guidelines for the management of squamous cell carcinoma in situ (Bowen's disease) 2014") (Morton et al., 2014). Ogni modalità di trattamento offre dei
vantaggi e degli svantaggi. La scelta della migliore opzione terapeutica comprende un'analisi di vari fattori quali le dimensioni della lesione, il loro numero, sede, grado di invalidità funzionale, disponibilità di mezzi terapeutici e i loro costi. Poiché con la maggior parte delle terapie le recidive costituiscono un rischio, è raccomandato un follow-up a 6 e a 12 mesi. Fattori che impongono un follow-up a distanza più ravvicinata comprendono una anamnesi clinica di lesione recidivante, presenza di lesioni multiple, lesioni in zone più delicate e immunosoppressione.
4.7.1 – Terapia medica
Il 5-Fluoracile è un agente antineoplastico topico che interferisce con la sintesi del DNA attraverso l'inibizione della timidilato sintetasi e di conseguenza della proliferazione cellulare. Viene utilizzato clinicamente come crema al 5% da applicare 1 o 2 volte al giorno per un periodo che varia da 1 settimana a 3 mesi. Il 5-Fluoracile viene preferibilmente applicato sotto bendaggio occlusivo, con dinitroclorobenzene come veicolo, in seguito all'utilizzo di cheratolitici o della crioterapia, oppure attraverso iontoforesi (un sistema di distribuzione chimico guidato dall'elettrogradiente) o pretrattamento con un laser Er:YAG. Il maggior vantaggio è una facile applicazione del prodotto da parte dei pazienti, mentre il maggior effetto collaterale è l'irritazione con erosioni e ulcerazioni che possono persistere anche per alcune settimane (Bargman e Hochman, 2003;
Fulton et al., 1968; Sturm, 1979; Welch et al., 1997). Uno svantaggio di questa modalità terapeutica consiste nel fatto che il prodotto potrebbe non essere in grado di penetrare abbastanza a fondo per trattare ogni estensione follicolare profonda delle cellule tumorali. La crema a base di Imiquimod al 5% (Mackenzie-Wood et al., 2001; van Egmond et al., 2007; Alessi et al., 2009; Drug Ther Bull, 2009), un modificatore topico della risposta immunitaria, sembra essere una buona opzione terapeutica per la malattia di Bowen. L’utilizzo di imiquimod crema al 5% (Aldara ®) è registrato in medicina umana per il trattamento della cheratosi attinica, delle verruche genitali esterne e del carcinoma superficiale basaloide. Il prodotto viene spesso utilizzato per lesioni di grandi dimensioni, lesioni sugli arti inferiori e per l'eritroplasia di Queryat (questo termine viene utilizzato per descrivere la malattia di Bowen che insorge sul glande).
È da riportare che in un report è stato descritto un caso di malattia di Bowen del cuoio capelluto trattata con imiquimod poi evoluta in SCC invasivo (Fernandez-Vozmediano e Armario-Hita, 2005).
La radioterapia con raggi-X (raggi-X molli) o con raggi di Grenz (raggi-X ultra-molli) è indicata per pazienti poco idonei alla terapia chirurgica o per pazienti con lesioni multiple (Dupree et al., 2001; Zygogianni et al., 2011), mentre è sconsigliato per lesioni situate sulle estremità inferiori a causa del ridotto tasso di guarigione.
La terapia fotodinamica (PDT) è stata utilizzata, con risultati variabili, per il trattamento della malattia di Bowen (Braathen et al., 2005;
Jones et al., 1992). La PDT richiede l'introduzione nell'organismo di un agente fotosensibilizzante, il quale viene trattenuto in modo preferenziale dalle cellule tumorali. In seguito, una fonte di luce viene utilizzata per stimolare l'agente fotosensibilizzante, provocando il rilascio di tossine e portando alla distruzione del tumore. L'acido-5-aminolevulinico (ALA) o il metilaminolevulinato (MAL) sono i due fotosensibilizzatori più utilizzati. Vengono utilizzate diverse fonti luminose, di lunghezze d'onda variabile e diversi protocolli di dosaggio. La PDT si adatta bene alle lesioni di grandi dimensioni, lesioni multiple e sedi a ridotta capacità di guarigione. Gli effetti collaterali comprendono effetti di fototossicitá locale quali bruciature e dolore pungente e, raramente, erosioni, ulcerazioni e iper o ipo-pigmentazione (Christensen et al., 2010).
4.7.2 – Terapia chirurgica
Escissione semplice con margini convenzionali: la chirurgia è il
trattamento d'elezione per le lesioni più piccole e per quelle situate in zone non problematiche, quali il viso e le dita (Ferrandiz et al., 2012). L'escissione ad ampi margini è raccomandata per la malattia di Bowen perianale (Cleary et al., 2000), mentre l'escissione chirurgica delle lesioni localizzate a livello degli arti inferiori è spesso limitata dalla mancanza di mobilità cutanea a questo livello.
Nonostante le lesioni siano tipicamente ben demarcate, la reale estensione della malattia potrebbe andare ben oltre i margini clinici.
Per questa ragione, l'escissione dovrebbe essere eseguita con almeno 4 mm di margine.
Chirurgia micrografica di Mohs (Leibovitch et al., 2005): è un metodo
eccellente per lesioni grandi, lesioni poco demarcate, lesioni ricorrenti su testa e collo, o aree dove il risparmio di tessuto è di vitale importanza, come nel caso delle lesioni digitali o genitali. La tecnica di Mohs utilizza la rimozione chirurgica seguita dall'esame a sezioni congelate di quasi il 100% dei margini. Questo trattamento offre il più alto tasso di guarigione rispetto a tutte le altre opzioni terapeutiche e, poiché vengono prelevati solamente sottili strati di cute, permette il risparmio di tessuto.
Curettage e elettrodissecazione, crioterapia e ablazione con laser
(Tantikun, 2000; Neubert e Lehmann, 2008; Moreno et al., 2007): questi metodi sono tecniche chirurgiche "alla cieca", ovvero non vi è conferma istopatologica della rimozione, e sono procedure comprovate per la malattia di Bowen. Il curettage con elettrodissecazione è una tecnica sicura e comunemente utilizzata; nonostante ciò l'efficacia del trattamento è in gran parte determinata dall'abilità del clinico ed inoltre è una delle opzioni terapeutiche più dispendiose. La crioterapia è un'altra opzione terapeutica molto utilizzata, specialmente per lesioni singole e di piccole dimensioni. I protocolli suggeriti in letteratura comprendono un singolo ciclo della durata di 30 secondi di congelamento -scongelamento, due cicli di 20 secondi di congelamento-scongelamento con un periodo di
scongelamento oppure fino a 3 trattamenti singoli di 20 secondi a intervalli di diverse settimane. Il rischio di scarsa guarigione della ferita (es. cicatrici ipopigmentate) aumenta con la durata del tempo di congelamento. Questa tecnica viene poco utilizzata per il trattamento di lesioni ampie a causa del disagio per il paziente.
Laser a ioni di argon, laser a diossido di carbonio e laser a Nd:YAG:
serie di casi hanno dimostrato benefici nell'uso di questi laser nella terapia di alcune lesioni Bowenoidi.
4.8 - FOLLOW-UP
I pazienti che hanno in anamnesi qualsiasi tipo di neoplasia cutanea e quindi anche il carcinoma di Bowen devono essere rivalutati ogni 6-12 mesi con un esame cutaneo completo di tutta la superficie corporea.
Uno studio ha dimostrato che l'uso della dermatoscopia nel follow-up può essere di grande utilità: la visualizzazione di strutture vascolari corrispondeva ad un trattamento incompleto della patologia o a recidive, mentre l'assenza di strutture vascolari corrispondeva a una remissione completa (Mun et al., 2012).
4.9 - PROGNOSI
La prognosi per la malattia di Bowen è eccellente, la maggior parte degli studi riporta un rischio di progressione a SCC invasivo del
3-5%. Il rischio di SCC invasivo sembra più elevato (10%) per l'eritroplasia di Queryat (Morton et al., 2014).
Una questione aperta è il fatto che la malattia di Bowen possa o meno essere considerata un marker cutaneo di malignità in altre sedi (Arbesman e Ransohoff, 1987; Graham e Helwig, 1959; Jaeger et
al., 1999; Poole e Fenske, 1993). Molti report datati riportavano
questa associazione nel 15-70% dei casi, una review che ha analizzato i dati emergenti da sette studi però suggerisce che in sei di questi vi siano importanti bias, compresa l'assenza di un adeguato gruppo di controllo (Abersman e Ransohoff, 1987). Uno studio di popolazione più recente, effettuato in Danimarca su 1147 pazienti con malattia di Bowen, ha dimostrato che non vi è un aumento statisticamente significativo di incidenza di neoplasie maligne interne. La malattia di Bowen non è quindi oggi ritenuta una condizione paraneoplastica (Jaeger et al., 1999).
4.10 - PREVENZIONE
La prevenzione è il miglior trattamento, perciò per gli individui a rischio è consigliabile l'uso di protezioni solari, abiti fotoprotettivi e altre misure per minimizzare i danni attinici. Tali pazienti devono inoltre essere incentivati ad effettuare screening di routine frequenti. Il vaccino quadrivalente ricombinante contro l'HPV, un mix di particelle simil-virali derivate dalle proteine del capside L1 dei
sottotipi virali HPV 6, 11, 16 e 18, è indicato per prevenire il cancro cervicale, il precancro e il cancro vulvare e vaginale, le lesioni precarcinomatose e le verruche genitali associate all'infezione da sottotipi virali HPV 6, 11, 16 o 18 negli adolescenti e nelle giovani donne.
CAPITOLO 5 - USO DI IMIQUIMOD CREMA 5%
NELLA TERAPIA DEL CARCINOMA
BOWENOIDE IN SITU
5.1 - INTRODUZIONE
L'imiquimod fa parte delle imidazochinoline, una famiglia di farmaci immunostimolanti che funziona legandosi ai recettori di superficie Toll-like 7 e 8 presenti sui macrofagi (Patel et al., 2006). L’esatto meccanismo d’azione di imiquimod non è ancora conosciuto, ma l’ipotesi è che il legame con questi recettori provochi una risposta immunitaria sia innata che cellulomediata, la quale scatena un'apoptosi tessuto-specifica (Patel et al., 2006), con rilascio di citochine infiammatorie, infiltrazione tumorale da parte di linfociti, cellule dendritiche e macrofagi e la proliferazione/migrazione delle cellule del sistema immunitario. L'imiquimod non ha quindi un'attività antitumorale diretta (Bruner, 2006).
5.2 – USO DI IMIQUIMOD CREMA 5% IN MEDICINA UMANA
In origine Aldara era stato sviluppato e approvato dalla FDA per la terapia delle verruche dei genitali esterni e della zona perianale causate da papillomavirus; in seguito, nel 2004, il suo uso venne approvato anche per la terapia della cheratosi attinica.
Aldara viene oggi utilizzato anche per la terapia dei carcinomi squamocellulari in situ Bowenoidi minori di 2 cm di diametro e localizzati su tronco, collo o estremità (escluse mani e piedi).
Il trattamento deve includere un margine di 1 centimetro di cute sana attorno alla lesione, le raccomandazioni per l’utilizzo comprendono il non applicare fasciature dopo l'applicazione, lavarsi le mani prima e dopo l'applicazione ed evitare l'uso su labbra, narici e occhi. Gli effetti collaterali più frequenti sono eritema (54-61%), reazione al sito d'applicazione (33%), erosione (29-31%), escoriazione/desquamazione (18-25%), prurito (20%), edema (12-17%), orticaria (15%); con frequenza tra 1 e 10% sinusite (7%), bruciature (6%), mal di testa (5%), carcinoma squamoso (4%), diarrea (3%), sanguinamento (3%), dolore (3%), eczema (2%), indolenzimento (2%), infiammazione (2%) e con frequenza dell’1% dolore alla schiena, affaticamento, fibrillazione atriale, infezione virale, vertigini, vomito, infezione del tratto uretrale, febbre, rigor, alopecia; infine, con frequenza non definita, sintomi simil-influenzali, mialgia.
Per un utilizzo corretto è consigliato evitare o minimizzare l'esposizione alla luce solare, indossare abbigliamento protettivo contro le radiazioni solari, non utilizzare se l’area da trattare presenta ferite chirurgiche non ancora completamente risolte ed evitare l'uso in pazienti con patologie autoimmuni preesistenti, dato anche che la
sicurezza e l’efficacia del prodotto non sono ancora state stabilite in pazienti immunocompromessi.
È inoltre consigliato interrompere la terapia se dopo poche applicazioni si verificassero intense reazioni cutanee locali quali essudazione cutanea ed erosione. Talvolta le reazioni cutanee locali sono precedute da sintomi influenzali, in tal caso è consigliato interrompere il trattamento e rivalutare la situazione. L’uso di imiquimod potrebbe esacerbare condizioni infiammatorie cutanee quali la malattia cronica del trapianto contro l'ospite (GVHD, Graft versus Host Disease) e non è raccomandato per malattie da HPV orale, oftalmico, uretrale, intravaginale, cervicale, rettale o intra-anale. Durante il trattamento si può osservare un aumento transitorio del numero delle lesioni.
Per quanto riguarda l’utilizzo in gravidanza, Aldara è un farmaco di categoria C, ovvero da utilizzare con attenzione solo se i benefici superano i rischi; anche in lattazione va utilizzato con cautela, poiché non è noto se si distribuisca al latte materno.
L'assorbimento di Aldara sembra dipendente dall'area di applicazione piuttosto che dalla quantità applicata, e il picco di concentrazione ematica è di 0,1-3,5 ng/mL. L’eliminazione avviene attraverso escrezione urinaria (Food and Drug Administration, 2004). Un'altra formulazione a base di imiquimod ma con concentrazione diversa ha il nome commerciale di Zyclara® (due formulazioni: 3,75% o 2,5%). In medicina umana non viene utilizzato per la terapia
della malattia di Bowen, bensì per la cheratosi attinica e per le verruche genitali esterne. Zylcara può essere utilizzato quotidianamente in aree di maggior superficie rispetto ad Aldara.
5.3 - USO DI IMIQUIMOD CREMA 5% NEL GATTO
La prima segnalazione sull’utilizzo di Aldara crema al 5%nel gatto risale al 2006 e riguarda la terapia del carcinoma bowenoide in situ (Gill et al., 2006); fino ad allora erano state segnalate solo esperienze aneddotiche.
Nello studio retrospettivo di Gill, venivano presi in esame 12 gatti con diagnosi di BISC trattati con Aldara crema al 5%. Per tutte le lesioni si notava una buona risposta iniziale, anche se la maggior parte dei gatti (75%) ne sviluppava di nuove che in tutti i casi comunque rispondevano alla terapia. Cinque gatti (41%) hanno avuto effetti collaterali probabilmente associati al farmaco: eritema al sito d’applicazione (25%), aumento dei livelli di enzimi epatici e neutropenia (8%), anoressia parziale e vomito (8%). La terapia con Aldara è stata ben tollerata dalla maggior parte dei gatti di questo studio, anche se, data la sua natura retrospettiva, non è stato possibile classificare in modo oggettivo il grado di risposta ed è in realtà probabile che vi sia stato un alto grado di variabilità individuale.
Nel nostro studio, abbiamo raccolto 4 casi di BISC felino diagnosticati tramite esame istopatologico presso il Dipartimento di
Scienze Veterinarie e altri laboratori e un caso di carcinoma squamoso insorto su cheratosi attinica sulla punta del naso, diagnosticato presso un altro laboratorio. I gatti venivano trattati con Aldara crema al 5% e grazie alla collaborazione dei veterinari referenti è stata valutata clinicamente la risposta terapeutica dei vari pazienti.
CAPITOLO 6 - CASI CLINICI
6.1 - TENERINA
Il caso è stato riferito dalla Dott.ssa Daniela Strata. Tenerina è un gatto comune europeo, femmina sterilizzata di 13 anni di età. La gatta viene presentata alla visita per la presenza di alcune lesioni cutanee sul muso. Tutte le lesioni sono insorte contemporaneamente, sono modicamente pruriginose e non è mai stata effettuata alcuna terapia. All’esame obiettivo generale non si osservano alterazioni. Alla visita dermatologica si apprezzano una lesione crostosa sul dorso del tartufo (foto 1) e lesioni eritematose ed erosivo-ulcerative bilaterali sulla regione delle tempie con maggiore estensione e gravità a livello della tempia sinistra (foto 2, 3).
Foto 1 Foto 2