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Alfa-enolasi urinaria e anticorpi anti-alfa-enolasi nel lupus e nelle vasculiti sistemiche.

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INDICE

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Riassunto 3

INTRODUZIONE CLINICA

CAPITOLO PRIMO: L’ALFA – ENOLASI. 4

1.1 Proprietà generali e distribuzione nei tessuti umani. 5 1.2 Strutture primaria e secondaria. 5

1.3 Modalità d’azione dell’enolasi. 6

1.3.1 Nel processo glicolitico. 6

1.3.2 Nel citosol. 8

1.3.3 A livello della membrana cellulare. 9

1.4 Ruolo dell’enolasi nelle malattie. 9 1.5 L’alfa-enolasi e l’autoimmunità. 11 INTRODUZIONE CLINICA

CAPITOLO SECONDO: LA NEFRITE LUPICA. 12

2.1 Inquadramento generale della nefrite lupica. 13

2.2 Patogenesi della nefrite lupica. 14

2.3 Presentazione clinica 16

2.4 Diagnosi. 17 2.4.1 Esame delle urine. 17

2.4.2 Analisi della funzionalità renale. 18

2.4.3La biopsia renale. 18

2.5 Classificazione ISN/RPS della nefrite lupica. 19

2.6 Trattamento della nefrite lupica. 27

2.7 Decorso e prognosi. 29

INTRODUZIONE CLINICA

CAPITOLO TERZO:LE VASCULITI SISTEMICHE. 32

(2)

3.1 Le vasculiti ANCA- positive. 33

3.1.1 Inquadramento generale delle vasculiti ANCA-positive. 33

3.1.2 Patogenesi delle vasculiti ANCA-positive. 35 3.1.3 Caratteristiche cliniche e dati di laboratorio. 38

3.1.4 Diagnosi e diagnosi differenziale. 43

3.1.5 Trattamento. 47

3.1.6 Decorso e prognosi. 48

3.2 Crioglobulinemia mista. 49

3.2.1 Inquadramento generale. 49 3.2.2 Patogenesi della Crioglobulinemia mista. 50

3.2.3 Caratteristiche cliniche e dati di laboratorio. 50

3.2.4 Diagnosi. 54

3.2.5 Trattamento. 55

3.2.6 Decorso e prognosi. 56

CAPITOLO QUARTO: SCOPO DELLA TESI. 57

CAPITOLO QUNTO: MATERIALI E METODI. 58

5.1 Campioni di siero e di urina. 58 5.2 Lisato di rene di ratto come fonte di alfa-enolasi. 58

5.3 Elettroforesi su gel. 58

5.4 Immunoblotting. 59

5.5 Incubazione con l’anticorpo monoclonale. 60

CAPITOLO SESTO: RISULTATI. 61

CAPITOLO SETTIMO:DISCUSSIONE. 67

BIBLIOGRAFIA. 69

(3)

RIASSUNTO

L’alfa-enolasi è un enzima glicolitico dimerico ubiquitario espresso sia a livello citosolico sia a livello di superficie cellulare ove assolve a molteplici funzioni.

Nell’ambito delle malattie autoimmuni il ruolo di questo enzima come autoantigene è stato descritto, tra le altre, nelle vasculiti sistemiche (come le ANCA-positive e la crioglobulinemia mista) e nel LES ed in particolar modo nei pazienti con coinvolgimento renale.

Lo studio condotto in questa tesi è volto ad analizzare se la presenza dell’alfa-enolasi urinaria possa essere considerata come indice di attività di nefropatia lupica oppure se sia un marcatore aspecifico di danno renale.

Allo stesso modo si è cercato di valutare la possibile associazione tra presenza di anticorpi anti-alfa-enolasi nel siero e coinvolgimento renale.

Sono stati quindi raccolti campioni di siero ed urina fresca e delle 24 ore di 35 pazienti provenienti dalla U.O di Nefrologia e di Immunologia Clinica di Pisa .

Questi pazienti presentavano proteinuria come indice di interessamento patologico renale. Nelle urine è stata ricercata l’alfa-enolasi mediante immunoblot, mentre nel siero sono stati ricercati gli autoanticorpi con immunoblot, usando un’enolasi ottenuta da lisato di rene di ratto e, in un ridotto numero di pazienti, anche con ELISA, utilizzando come antigene una forma enzimatica ricombinante.

Dei pazienti esaminati 10/35 presentavano alfa-enolasi urinaria e tra questi cinque con diagnosi di lupus; 9/35 presentavano anticorpi anti-alfa-enolasi all’immunoblotting (due erano affetti da lupus); 2/35 sono risultati positivi alla ricerca anticorpale mediante ELISA :uno dei quali presentava LES. Nel gruppo di pazienti erano presenti anche due soggetti con Crioglobulinemia mista e uno con vasculite ANCA-positiva, tutti risultati negativi sia per l’alfa-enolasi urinaria , sia per gli anticorpi specifici per essa.

Sulla base di questi risultati è stato dedotto che la presenza di alfa-enolasi nelle urine non è esclusiva del LES, ma è presente anche in altre forme di nefrite.

L’enzima non è, tuttavia, marker “aspecifico”del danno renale, vista la mancata correlazione con i livelli di proteine nelle urine e la sua assenza a livello sierico.

Dal momento che l’enolasi è presente nelle urine solo quando la nefrite è in fase di attività, potrebbe rappresentare un marcatore di attività di nefropatia lupica.

Questa possibilità dovrà essere verificata studiando una casistica più numerosa di pazienti con LES e validata da studi di tipo longitudinale.

(4)

INTRODUZIONE CLINICA

CAPITOLO PRIMO L’ALFA- ENOLASI.

L’alfa-enolasi è un metallo-enzima dimerico ubiquitario che occupa una posizione chiave nella via glicolitica.

Catalizza, infatti, la deidratazione del 2-fosfo -D -glicerato (PGA)in fosfoenolpiruvato (PEP), nella via catalitica della glicolisi.

Inoltre, nel processo opposto, cioè nella direzione anabolica nella gluconeogenesi, lo stesso enzima è fautore dell’idratazione di PEP in PGA.

Per poter esplicare la sua attività, l’alfa-enolasi necessita di alcuni ioni metallici divalenti, in particolar modo, il Magnesio è il suo cofattore naturale.

L’enzima è multifunzionale in accordo anche con la sua duplice localizzazione nella cellula.

Lo si ritrova, infatti, nel citosol dove si comporta da Heat Schock Protein, da proteina strutturale del cristallino, da produttore di ATP nella cellula muscolare, ma soprattutto è un analogo dell’inibitore del protooncogene c-myc che regola la crescita e la differenziazione cellulari.

A livello della membrana cellulare, invece, l’enolasi si comporta come potente recettore del plasminogeno in grado di contribuire alla fluidità vascolare e di regolare la migrazione cellulare. L’enzima glicolitico è coinvolto in un ampio spettro di malattie tra cui neoplasie, malattie del SNC, infezioni batteriche e candidiasi.

Infine studi recenti hanno indicato l’alfa-enolasi come autoantigene in malattie autoimmunitarie come la CM, l’ipofisite linfocitica, l’encefalopatia di Hashimoto, la sclerosi sistemica ma soprattutto le vasculiti ANCA –positive ed il LES.

(5)

1.1 Proprietà generali e distribuzione nei tessuti umani.

L’enzima enolasi, o altrimenti detto 2-fosfo-D-glicerato idroliasi, è una proteina citosolica espressa anche in membrana da cellule epiteliali, ematiche e nervose.[3].

Il peso molecolare della forma monomerica è di circa 48 KDa, mentre quello della forma dimerica è di circa 100 KDa.

Si presenta in tre forme isoenzimatiche codificate dai loci genici indipendenti ALFA, BETA e GAMMA.

L’alfa-enolasi, che è l’isoforma di nostro interesse, è ubiquitaria, la beta-enolasi è per lo più esclusiva del tessuto muscolare e la gamma-enolasi è propria del tessuto nervoso e del tessuto neuroendocrino.

1.2 Strutture primaria e secondaria.

L’alfa-enolasi ha una struttura primaria dimerica costituita da due identiche subunità che si fronteggiano in modo antiparallelo. ( Si veda Fig.1.2).

Infatti, l’estremità N-terminale di una subunità fronteggia l’estremità C-terminale dell’altra, così da consentire la formazione di un legame ionico tra i residui Glu20 e Arg 414.

Fig.1.2 Struttura dimerica dell’enolasi.

Ciascun dimero è poi costituito da due domini: uno più piccolo, N- terminale, beta3 –alfa4; uno più grande, C-terminale, con otto strutture cilindriche beta–alfa, betabeta-alfaalfa (alfabeta)6.

(6)

1.3 Modalità d’azione dell’enolasi.

L’enolasi è senza alcun dubbio una proteina multifunzionale, la cui specializzazione varia a seconda delle cellule e della sede di espressione intracellulare.

1.3.1 Nel processo glicolitico.

Innanzitutto è un importante enzima glicolitico che catalizza la deidratazione del 2-fosfo - D-glicerato (PGA) in fosfoenolpiruvato ( PEP).

Per esplicare la sua attività questa proteina necessita dell’attivazione da parte di ioni metallici.

Rispetto alla classica definizione di metallo-enzima in cui lo ione metallico attivante è legato stabilmente alla proteina, l’enolasi viene, però, attivata con una modalità del tutto particolare.

Diversi ioni, riportati di seguito in ordine decrescente di abilità, possono assolvere questo compito: Mg2+, Zn2+, Mn2+, Fe (II)2+, Cd2+, Co2+, Ni2+, Sm2+, Tb2+; di questi il Magnesio

rappresenta il naturale attivatore dell’enzima.

Tale catione divalente possiede due distinti siti di legame: il primo, conformazionale, modificando la forma del sito attivo dell’enzima, lo abilita al legame con il suo substrato. Il secondo sito, una volta che si è legato all’enolasi stabilmente ma con minor forza rispetto al conformazionale, partecipa attivamente alla catalisi.

Una volta attivato l’enolasi catalizza il trasferimento di un gruppo idrossilico da un intermedio ottenuto dalla rimozione di un protone dal C2 del 2-fosfo-D-glicerato ad una base del sito catalitico.

Tale reazione può avvenire solo a pKa fisiologico del C2 del PGA, che viene ottenuto nel seguente modo:

quando il 2 fosfo-D-glicerato si lega all’alfa-enolasi interagisce con Gln167 e Lys 396 enzimatico e col Mg2+ e ciò determina una rotazione con neutralizzazione del gruppo carbossilico del PGA.

In seguito si verifica un ampio movimento dell’ansa Ser36-His 43 ed uno più piccolo delle anse Ser158-Gly162 e Asp255-Asn256, chiudendo il sito attivo.

Quindi l’ansa Val1153-Phe169 e Ser250-Gly277 si muovono insieme consentendo all’His 159 di donare un protone al gruppo fosforilato del PGA che reagendo con l’Arg374 e con il sito catalitico del Mg 2+ neutralizza la carica negativa del gruppo fosforilico ed abbassa il pKa del C2 del PGA portandolo da 30 entro il range fisiologico.

Il movimento della Lys34 vicino all’Arg374 abbassa il pKa del gruppo ammonico dell’enolasi, che perde un protone e ne accetta un altro dal C2 del PGA.

(7)

Fig .1.3.1a

Tale protone è condiviso da due residui di glucosio dell’enzima: Glu168 e Glu211 e forma un legame ad idrogeno col gruppo idrossilico del 2 fosfo -D -glicerato dando acqua e fosfoenolpiruvato. ( Si vedano le Figg. 1.3.1 a -b).

Fig 1.3.1b

L’enolasi è implicata anche nella gluconeogenesi, poiché catalizza l’idratazione dell’acido fosfoenolpiruvico ad acido glicerico-2- fosfato.[1].

(8)

1.3.2 Nel citosol.

La principale localizzazione dell’enolasi è quella a livello del citosol ove riveste molti ruoli.[1].

 Innanzitutto è omologa al MBP-1, un inibitore del protooncogene fosfoproteico c-myc.

Legandosi al suo substrato, ne impedisce la funzione di regolatore della crescita e della differenziazione cellulare.

Si pensa che MBPI-1 sia il prodotto di una traslazione alternativa dell’mRNA dell’alfa-enolasi con la quale condivide gran parte della struttura ed, in particolare, una sequenza di 96 aminoacidi che è deputata all’inibizione del c-myc .

Tuttavia a differenza dell’enzima glicolitico, che è localizzato prevalentemente a livello citoplasmatico, il MBP-1 si trova nel nucleo.

 In analogia con ciò che succede in altre cellule, le cellule endoteliali rispondono a stress termici o da privazione di ossigeno attraverso una particolare Heat-Shock Protein ( HSP) che è l’enolasi.

Quest’ultima quando è iperespressa in risposta ad un qualche stress provvede alla protezione cellulare aumentando il metabolismo anaerobio.

 L’alfa- enolasi svolge anche un ruolo strutturale nel cristallino.

La componente tao del cristallino, che rappresenta il 23% delle proteine della lente oculare , è analoga all’enzima glicolitico.

Durante lo sviluppo e la differenziazione, infatti, le fibre della lente perdono tutti gli organuli e necessitano della glicolisi per rifornirsi di energia .

Tuttavia la tao ha solo il 5% dell’attività dell’enolasi visto che si presenta in forma monomerica, a causa della mancanza dell’ Mg2+ che è indispensabile per la dimerizzazione.

 Sempre nella localizzazione nel citosol, ma solo nelle cellule muscolari, l’enzima enolasico lega con alta affinità altri enzimi glicolitici come la fosfoglicerato mutasi, la creatinchinasi muscolare, la piruvato chinasi e la troponina muscolare , partecipando in complesso con essi alla produzione di ATP necessaria alla contrazione muscolare.

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1.3.3 A livello della membrana cellulare.

La forma enzimatica espressa sulla membrana ha lo stesso peso molecolare di quella citoplasmatica.

Nella sua localizzazione sulla superficie cellulare, soprattutto a livello delle cellule ematopoietiche come linfociti B, T e monociti, l’enolasi diviene un potente recettore per il plasminogeno, che è una componente chiave del sistema fibrinolitico.

Le caratteristiche di questo recettore sono la bassa affinità per il ligando, l’alta densità e l’ubiquitarietà della sua distribuzione cellulare.

Infatti, la stessa capacità recettoriale viene presentata quando l’enzima è espresso sulle cellule epiteliali, sulle cellule nervose e batteriche, contribuendo così alla patogenesi di molte malattie che saranno esaminate più avanti in questo capitolo.

L’interazione con il plasminogeno, che avviene attraverso l’esposizione superficiale di una lisina C-terminale, ne determina l’attivazione a plasmina.

L’enzima fibrinolitico contribuisce al mantenimento della fluidità vascolare e alla regolazione della migrazione delle cellule.[2 3 4].

1.4 Ruolo dell’enolasi nelle malattie.

L’alfa-enolasi è implicata in un ampio spettro di patologie, in virtù soprattutto della sua localizzazione sulla superficie cellulare e del suo ruolo come recettore del plasminogeno. Qui di seguito si riportano le principali.

 Nella cancerogenesi.

L’enzima è coinvolto nella patogenesi di molte forme neoplastiche.

Tra le forme tumorali ritroviamo tumori neuroendocrini, il neuroblastoma ed il carcinoma polmonare a piccole cellule, per il quale è stata dimostrata una correlazione diretta tra aumentata espressione del DNA e della proteina enolasi e la progressione di neoplasia. In seguito al legame del plasminogeno con lo specifico recettore enolasico, si innesca la cascata proteasica che facilita la diffusione delle metastasi.

L’alfa-enolasi è, quindi, al contempo determinante, marker di neoplasia e promotore della diffusione metastatica.[1].

 Nelle patologie del SNC.

L’enolasi nella sua forma neurone specifica (NSE) è prognostica di danno ipossico cerebrale che consegue ad arresto cardiaco.

Elevati livelli sierici dell’NSE sono predittivi di danno ischemico cerebrale, del Morbo di Alzheimer o di disordini psichiatrici e, se trovato nel siero dei pazienti affetti da melanoma

(10)

o da carcinoma polmonare, questo particolare enzima diviene indice della metastatizzazione a livello cerebrale.

Un ultimo impiego del NSE riguarda il monitoraggio dell’estensione di patologia neoplastica e di responsività al trattamento nei pazienti con cancro allo stadio avanzato per i quali non sono indicate procedure invasive .[1].

 Nelle patologie batteriche.

Tra tutti i recettori batterici per il plasminogeno, l’enolasi è quello dotato di maggior affinità per tale substrato.

Viene espressa sulla superficie cellulare di GRAM + come gli Pneumococchi o come gli Streptococchi di gruppo A.

Questi batteri, in particolare, sfruttano l’enolasi superficiale per legare il plasminogeno umano, sovvertendone l’attività fibrinolitica a vantaggio dell’invasione infettiva tissutale. Negli stafilococchi, invece, l’enzima lega la laminina, una delle componenti della matrice extracellulare, ma la modalità con cui contribuisce al processo infettivo non è ancora ben conosciuta.[5 6].

 Nella patologia dentale.

L’enzima enolasico è un potente cariogeno, che, attraverso il processo glicolitico, fornisce il substrato all’enzima PEP fosfotransferasi che è il principale responsabile del rifornimento di glucosio nei batteri GRAM+ che determinano la carie, come lo Streptococcus mutans.[1].

 Nelle patologie fungine.

L’alfa-enolasi è stata ritrovata nei pazienti neoplastici affetti da candidiasi invasiva.

In analogia con quanto accade nelle patologie batteriche, l’invasività di tale infezione è attribuibile alla capacità recettoriale dell’enzima enolasico superficiale nei confronti del plasminogeno.

Inoltre l’enzima è un antigene immunodominante e la sua presenza nel siero dei pazienti o la presenza di anticorpi specifici per esso, sono considerati un marker di patologia invasiva da Candida albicans.[7].

L’enolasi, inoltre, è un importante allergene inalatorio fungino capace di scatenare una reazione di ipersensibilità IgE mediata.

In particolare l’epitopo riconosciuto da questi anticorpi è localizzato nelle vicinanze dell’estremità C-terminale dell’enzima.

(11)

1.5 L’alfa- enolasi e l’autoimmunità.

Anticorpi anti alfa-enolasi sono stati descritti nell’ipofisite linfocitica [8] e nell’encefalopatia di Hashimoto [9].

Nell'ambito delle malattie autoimmuni sistemiche, Moodie et al [10] hanno descritto nel 1993 la presenza nel siero del 40% dei pazienti affetti da vasculiti sistemiche di anticorpi diretti contro una proteina del citosol di 48 kDa, che è stata identificata con l'alfa-enolasi. Anticorpi della stessa specificità sono stati trovati anche nel siero del 25% dei pazienti con lupus sistemico ed in percentuale più alta in quelli con nefrite.

Questo iniziale suggerimento sulla relazione fra anticorpi anti-alfa-enolasi e danno renale è stato poi sviluppato da alcuni lavori successivi.

Studiando mediante immunoblot la reattività di sieri di pazienti affetti da crioglobulinemia mista (CM ) con estratti di tessuto renale, si è infatti osservata una reattività di alcuni sieri con un antigene di 48 kDa.

Tale reattività era fortemente correlata con la presenza di nefrite: tutti i soggetti i cui sieri riconoscevano questo antigene presentavano una nefrite in fase di attività, mentre questo anticorpo non era presente in nessun paziente che non presentava interessamento renale. [11].

La sequenza N-terminale della proteina di 48kD parzialmente purificata dall’estratto renale ne ha dimostrato l’identità con l’alfa-enolasi [12].

Anticorpi anti-alfa-enolasi sono quindi presenti nel 18% dei pazienti con CM, nel 27% dei pazienti con LES (anche in questo caso la quasi totalità dei pazienti positivi ha una nefrite in fase di attività) ed anche nel 30% dei soggetti con sclerosi sistemica progressiva.

In questa malattia, la presenza degli anticorpi anti-alfa-enolasi è esclusiva della forma diffusa, caratterizzata da un severo impegno d’organo [13].

Anche nella glomeruloefrite membranosa si riscontrano anticorpi anti-alfa enolasi nel 69% delle forme primitive e nel 58% delle forme secondarie (osservati in corso di LES o di artriti reumatoidi) sono stati trovati mediante immunoblot anticorpi specifici per l’enzima. [14].

Nel complesso, questi dati indicano che la risposta immune all’alfa- enolasi non è limitata ad una singola malattia, ma nell’ambito di malattie autoimmuni sistemiche come il LES o le vasculiti è associata ad interessamento renale.

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INTRODUZIONE CLINICA

SECONDO CAPITOLO LA NEFRITE LUPICA.

La nefrite lupica è una patologia infiammatoria del nefrone con interessamento particolare del glomerulo renale.

E’ una complicanza molto frequente nel LES, tanto da influenzarne fortemente la prognosi e la sopravvivenza dei pazienti.

Riconosce una patogenesi di tipo autoimmunitario con formazione in circolo ed in situ di immunocomplessi(IC), limitatamente a livello mesangiale o con estensione alla periferia delle anse capillari o sul versante subepiteliale della membrana basale del glomerulo. La deposizione è garantita anche dalla riduzione della clearance degli IC, che danno via alla cascata del complemento che conduce al danno tissutale.

Da un punto di vista clinico la malattia offre un’estrema variabilità di presentazione; le forme più frequenti sono rappresentate dalla S. Nefrosica, dalla S. Nefritica e dall’Insufficienza renale cronica che ne costituisce anche una delle cause di morte.

La biopsia renale, che ha consentito di classificare le eterogenee forme istopatologiche con cui si manifesta la nefrite lupica (classi INS/RPS), e in minor misura l’analisi del sedimento urinario, la valutazione della proteinuria e della funzione renale hanno utilità sia diagnostica che prognostica. La sopravvivenza dei pazienti dipende fortemente dagli effetti del trattamento farmacologico. Il gold standard terapeutico è rappresentato dal trattamento con corticosteroidi, tuttavia la tossicità connessa con un loro uso prolungato ha reso necessaria l’introduzione di altri immunosoppressori come la Ciclofosfamide.

Altre terapie efficaci sono quelle con Metotrexate, Mofetile Mycophenolato, Rituximab ed immunoglobuline e.v..

Infine per le complicanze sono utili antiipertensivi, come gli ACE –inibitori, e le statine.

Fattori prognostici importanti sono rappresentati dagli indici di attività e di cronicità, dalle categorie istologiche INS/RPS e da altri parametri epidemiologici (come il sesso maschile, la giovane età e la razza nera) e clinici (come la proteinuria persistente, l’ipertensione arteriosa e l’elevazione della creatininemia).

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2.1 Inquadramento generale della nefrite lupica.

La nefrite lupica è definita da uno stato infiammatorio a carico principalmente dei glomeruli renali, ma anche dei tubuli, dell’interstizio e dei vasi renali, che si sviluppa nel contesto della patologia autoimmune Lupus Eritematoso Sistemico.

Il coinvolgimento renale è molto comune nel LES. Occupa, infatti, il quarto posto in ordine di frequenza come manifestazione clinica (46.1%), dopo le complicanze articolari (91.6%), quelle cutaneo- mucose (70.5%) ed ematologiche (70%), ed il terzo posto come manifestazione d’esordio ( solo nel 6%, dopo manifestazioni articolari e cutanee). ( Si veda anche la Tab.2.1 )

Tuttavia, se si considera la frequente asintomaticità del quadro clinico di questa nefropatia e se si valuta esclusivamente l’aspetto istologico , si può affermare che la quasi totalità (90-100%) dei pazienti affetti dalla malattia autoimmunitaria lupica presenta alterazioni patologiche a carico del rene .

Come risulta da uno studio su 82 pazienti, condotto presso l’U.O di Reumatologia dell’Ospedale Santa Chiara di Pisa, dal momento della diagnosi di LES, che si verifica in media verso i 26 anni ( range 13-62 anni), al momento dell’esecuzione della biopsia renale, che attesta la nefropatia, trascorrono in media 4 anni ( range 1-16 anni).

Il decorso clinico della nefrite lupica è caratterizzato da periodi di remissione alternati a periodi di riacutizzazione della patologia. Ciascuna riacutizzazione rappresenta un fattore prognostico negativo e il maggior rischio di recrudescenza è connesso con l’età inferiore ai 30 anni e con il referto bioptico che dimostra estese lesioni infiammatorie.

L’impegno renale condiziona notevolmente la prognosi e la sopravvivenza dei pazienti affetti da LES tanto che è stimato che nel 25% dei casi la nefropatia esita in Insufficienza renale cronica, una delle cause principali di morte del paziente.

Tab 2.1 Sono riportati a confronto i dati clinici ottenuti da uno studio condotto presso L’U.O di Reumatologia di Pisa su 350 pazienti affetti da LES e quelli riferiti dalla letteratura.

In entrambe le valutazioni risulta che le manifestazioni renali accorrono come frequenza dopo le manifestazioni articolari quali artralgie ed artrite, dopo il Rash Malare e dopo l’anemia.

Manifestazioni cliniche del LES

7-45 23 piastrinopenia 30-78 58 Anemia 31-63 29 Sierosite 21-37 35 Vasculite cutanea 31-60 53 Impegno renale 18-58 49 Fenomeno di Raynaud 53-95 69 Artrite Letteratura (%)* Les Pisa (n= 350) (%) 11-45 60 Fotosensitività 39-61 55 Rash malare 41-66 42 Leucopenia 2-32 10 Tiroidite 10-59 12 Linfoadenopatia 41-86 26 Febbre 3-45 63 Alopecia 53-95 82 Artralgie

Il lupus eritematoso sistemico Prof. S. Bombardieri

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2.2 Patogenesi della nefrite lupica.

La nefrite lupica è il prototipo della patologia renale da immunocomplessi solubili e preformati in circolo o formatisi in situ.

L’eccessiva produzione di IC è determinata dalla combinazione di due processi ben precisi. • In primo luogo si verifica un’iperproduzione di anticorpi policlonali, di cui molti autoreattivi, che reagendo con antigeni solubili nel compartimento vascolare determinano la formazione di immunocomplessi circolanti .[15].

Infatti, cloni di linfociti B aberranti o deregolati, anche attraverso l’induzione da parte dei linfociti T, producono un ampio spettro autoanticorpale con alcune delle seguenti specificità[16]:

 Anti-dsDNA sono caratterizzati da polireattività verso polinucleotidi, ribonucleoproteine e fosfolipidi e costituiscono un marker del LES;[17].  Anti-ribosomiali reagiscono con le proteine acide ribosomiali P0, P1, P2 e

sono anch’essi markers di patologia lupica;[18].

 Anti-C1q amplificano la patogenicità dei complessi immuni che si depositano a livello tissutale, legando quelli sul cui Fc è presente il C1q.[19].

in secondo luogo si ha una riduzione della clearance degli immunocomplessi da parte del sistema reticolo endoteliale.

Il deposito si verifica principalmente a livello del mesangio presumibilmente per l’esistenza, a tale livello, di recettori per l’Fc anticorpale e per la mancanza della membrana basale che separi lo spazio circolatorio dall’interstizio mesangiale. (Si veda la Fig 2.2 )[20]. Si ha quindi l’attivazione della cascata del complemento con produzione di fattori chemotattici per i leucociti (ad esempio C5a ) responsabili di proliferazione e/o necrosi cellulare e la formazione del complesso d’attacco di membrana C5b, che incrementa la permeabilità capillare glomerulare.[21].

L’evoluzione del processo è tuttavia variabile.

Infatti, in alcuni casi, l’equilibrio tra deposizione di IC e loro degradazione (o drenaggio linfatico) si traduce in minimi danni mesangiali e pauci –asintomaticità sul piano clinico. In altri casi, in accordo con un aumento del flusso sanguigno e/o con un particolare potenziale nefritogenico dei complessi immuni, l’infiammazione e l’attivazione delle cellule mesangiali, con proliferazione e produzione di eccesso di matrice extracellulare, conducono alla nefropatia mesangiale. Esistono due forme di patologia del mesangio:

 la prima, che rappresenta la nefropatia mesangiale propriamente detta, (corrisponde alla classe II della classificazione ISN/RPS riportata in 2.5) ,è definita da un processo mesangiopatico benigno o comunque compensato, con minima tendenza alla progressione;

 la seconda, detta nefrite lupica proliferativa (comprende le classi III e IV della classificazione ISN/RPS) ,rappresenta la forma di nefropatia mesangiale da immunocomplessi in transizione verso un interessamento patologico della periferia delle anse capillari.

Non è chiaro se i complessi che si depositano sotto l’endotelio della periferia delle anse capillari abbiano proprietà distinte da quelli che si depositano nel mesangio.

Nel tentativo di interpretare l’evoluzione dalla nefropatia mesangiale alla forma proliferativa, sono stati proposti tre diversi modelli patogenetici.

Il primo sostiene che, a causa del sovraccarico dei sistemi di clearance del mesangio, vi sia la deposizione degli immunocomplessi in eccesso dapprima a livello paramesangiale e quindi più profondamente a livello periferico.

(15)

Una seconda ipotesi individua come responsabile dei depositi l’attrazione elettrica tra le cariche cationiche dei complessi immuni e la carica anionica della membrana basale del glomerulo.

Secondo il modello più recente, durante l’apoptosi cellulare si liberano antigeni nucleari che si fissano alla membrana basale per attrazione elettrostatica dei gruppi cationici dei nucleosomi. La reazione con gli specifici anticorpi, porta alla formazione di complessi immuni in situ.

Infine, un caso a parte è rappresentato dalla nefropatia membranosa (corrisponde alla classe V della classificazione ISN/RPS ) in cui gli immunocomplessi si depositano sul versante subepiteliale della membrana basale del glomerulo.

Per questa forma è stato ipotizzato un modello patogenetico basato esclusivamente sulla formazione in situ di immunocomplessi.

Tuttavia tale ipotesi non ha trovato l’adeguato riscontro nell’uomo e per tanto l’origine dei depositi subepiteliali rimane ancora oscura.

MEMBRANA BASALE

CELLULA DEL MESANGIO

Fig 2.2 Immagine dell’interstizio mesangiale: la mancanza della membrana basale che separi il lume capillare dall’interstizio mesangiale facilita il deposito di IC a tale livello.

Un’ultima considerazione deve essere fatta circa il ruolo dell’immunità T cellulo - mediata nella patogenesi della nefrite lupica.

(16)

Indubbia è la caratteristica presenza dei linfociti T nell’infiltrato dell’interstizio del mesangio ed è certa la funzione ausiliaria di tali cellule nell’induzione dei cloni linfocitari B, grazie all’interazione cellula –cellula, mediata da molecole di attivazione ed adesione superficiale come CD28-B7/ CTL4 e CD40-CD40L, o mediante la produzione di fattori solubili come TNF e IL-1.

Esistono ancora dubbi, però, circa il possibile danno diretto da parte delle cellule T nella patogenesi della nefropatia mesangiale.[22].

2.3 Presentazione clinica.

Le modalità di presentazione clinica a livello renale sono molto variabili ( Si veda anche il grafico relativo):

Anomalie isolate di funzionalità renale;

Sindrome Nefrosica che si manifesta nel 40% dei casi ed è definita da proteinuria maggiore di 3,5 g/24 h, ematuria, edema, ipoalbuminemia ed iperlipidemia;

Sindrome Nefritica che si presenta nel 30% dei pazienti ed è definita da ematuria, ipertensione arteriosa, insufficienza renale ed edema;

Insufficienza renale acuta o rapidamente progressiva: quest’ultima è definita dal riscontro di una concentrazione sierica di creatinina raddoppiato in meno di tre mesi, di solito nel contesto di una Glomerulonefrite lupica proliferativa;

Insufficienza renale cronica che si verifica nel 25%;

Graficoillustrativo delle modalità di presentazione clinica della nefrite lupica

Frequentemente i pazienti affetti da nefrite lupica sono asintomatici all’esordio. Per questo, ai fini di una diagnosi precoce, i soggetti con LES sono sottoposti, ad intervalli regolari, a screening delle urine comprensivo della proteinuria delle 24 ore. Inoltre si effettua una periodica valutazione della creatininemia e dell’azotemia, della pressione arteriosa, dei

sindrome nefrosica

sindrome nefritica

anomalie isolate di funzione renale

insufficienza renale acuta o rapidamente

progressiva insufficienza renale cronica

(17)

valori di albuminemia e lipidemia, del complemento sierico, del titolo anticorpale anti- DNA, anti –nucleosomi o anti –C1q, quali indicatori di malattia lupica.

All’anamnesi è importante indagare circa la presenza di nicturia, che indica l’inizio della disfunzione glomerulare o tubulare, e raccogliere informazioni circa l’aspetto delle urine. In particolare se schiumose definiscono lo stato di proteinuria, mentre se macroscopicamente ematiche indicano un coinvolgimento renale molto severo e richiedono una valutazione immediata della funzionalità renale e del grado di proteinuria.[23].

2.4 Diagnosi.

La diagnosi di nefrite lupica non può prescindere dalle seguenti metodiche: ♦ esame delle urine

analisi della funzionalità renale biopsia renale .[24].

2.4.1 Esame delle urine.

L’esame delle urine è uno dei più importanti ed efficaci metodi per controllare e monitorare l’attività della nefrite lupica.

Il campione delle urine fresche del primo mattino (mitto intermedio) viene dapprima analizzato mediante il metodo colorimetrico di Dipstick e quindi centrifugato al fine di ottenere un adeguato sedimento che viene sottoposto all’osservazione microscopica.

Per la preparazione del sedimento si usano 50 ml di urine che non devono essere crioconservate per evitare la precipitazione di cristalli che interferirebbe fortemente con l’analisi al microscopio.

Nella nefrite lupica si hanno i seguenti reperti: • Ematuria:

È quasi sempre una microematuria dunque gli eritrociti sono dimostrati solo con la microscopia e non sono visibili all’ispezione delle urine.

Per parlare di ematuria patologica vi devono essere almeno 10 globuli rossi per campo di osservazione microscopica ad alta frequenza.

In particolare si deve prestare attenzione alla presenza di eritrociti dismorfici che indica l’infiammazione glomerulare o la patologia tubulo interstiziale.

Le diverse componenti, cioè eritrociti, leucociti e cellule epiteliali di sfaldamento tubulare, eventualmente presenti, sono valutate separatamente.

Proteinuria:

quella della nefropatia lupica è di origine glomerulare e non selettiva.

Secondo l’ACR (American College of Rheumatology) la diagnosi di nefrite lupica si pone con valori di proteinuria maggiori di 200 mg/ die o con più di tre test di Dipstick positivi per l’albumina.

Inoltre per una migliore definizione clinica è importante valutare l’eventuale presenza del range nefrosico di proteinuria, cioè di almeno 3.5 g /die di proteine nelle urine.

(18)

Cilindruria:

sempre secondo l’ACR, un altro criterio per porre diagnosi di questa nefropatia è rappresentato dal riscontro di cilindri cellulari ematici, granulari , tubulari o misti nel sedimento urinario.

Quando associati a globuli rossi o globuli bianchi indicano uno stato infiammatorio con disfunzione globale del nefrone.

2.4.2 Analisi della funzionalità renale.

Per valutare e monitorare nel tempo le anomalie della filtrazione glomerulare, che nella nefrite lupica sono senza dubbio più rilevanti rispetto alla disfunzione tubulare, si ricorre alla determinazione della creatininemia e alla misura della proteinuria nella raccolta delle urine delle 24 ore.[24].

Nella pratica clinica, si preferisce la valutazione della creatininemia piuttosto che l’analisi della clearance renale visto che quest’ultima tende a sovrastimare la reale filtrazione glomerulare a causa della secrezione tubulare della creatinina.

Innanzitutto è necessario premettere che il range di normalità per il primo parametro è molto variabile da paziente a paziente ed è influenzato, oltre che dalla filtrazione glomerulare, anche dall’età e dalla massa muscolare.

La funzione renale deve essere valutata in condizioni basali, minimizzando eventuali influenze di farmaci come FANS, Ace –inibitori ed antibiotici nefrotossici.

L’altro parametro funzionale gold standard è la proteinuria che si determina dalla raccolta di 3 campioni di urina nell’arco delle 24 ore e il cui comportamento è importante nel trattamento terapeutico.

Infatti, una sua riduzione a valori inferiori a 1.0 g/die durante una determinata terapia farmacologica denota una prognosi a lungo termine favorevole, mentre la persistenza di valori patologici oltre la remissione della patologia glomerulare indica la presenza di un danno irreversibile del capillare glomerulare.

2.4.3 La biopsia renale.

Il terzo strumento a nostra disposizione per valutare il coinvolgimento renale nei pazienti con LES è la biopsia eseguita per via percutanea sotto guida ecografica, più frequentemente, o anche TC guidata.

E’ inoltre necessario fare una valutazione ecografica preventiva delle dimensioni renali, valutando in particolare l’indice cortico /midollare. Per poter caratterizzare al meglio la nefrite lupica è necessario avere a disposizione reperti di corteccia renale contenenti almeno 10 glomeruli renali.

Le indicazioni cliniche alla biopsia comprendono indicatori di danno d’organo certo come la presenza di sedimento nefritico contenente soprattutto cilindri cellulari, ma anche microematuria ed una proteinuria maggiore di 1.0 g/die.

Se sono presenti una riduzione del complemento e un aumentato titolo di autoanticorpi Anti – ds DNA allora si esegue la biopsia anche per proteinuria tra 0.5-1.0 g/die.

(19)

Anche se esistono ampie divergenze circa i benefici effettivi dell’esame bioptico nella nefrite lupica, alcuni ruoli sono però riconosciuti con consenso generale.

I risultati della biopsia renale possono chiarire, ad esempio, una presentazione clinica ambigua soprattutto se i dati clinici discordano da quelli di laboratorio; possono fornire le informazioni necessarie per valutare il rapporto rischio /beneficio della terapia citotossica, nonché facilitare l’impostazione stessa di strategie terapeutiche. Dove appropriato, un precoce intervento guidato dai referti bioptici può evitare lesioni croniche irreversibili migliorando, così, la prognosi a lungo termine.[24].

2.5 Classificazione ISN/RPS della nefrite lupica.

Sulla base dei reperti bioptici e delle indagini microscopiche e di immunofluorescenza su di essi, nel 2003 è stata redatta una nuova classificazione (che ha sostituito la vecchia WHO) delle eterogenee forme istopatologiche con cui si manifesta la nefrite lupica.(Si veda Fig.2.5). Tale procedura ha consentito ai clinici di usufruire di validi strumenti per poter valutare al meglio la prognosi di malattia e per impostare una terapia adeguata.[24].

CLASSE I

Glomerulo Normale (è rara).

Assenza di alterazioni alla microscopia ottica, all’immunofluorescenza e alla microscopia elettronica.

CLASSE II

Nefropatia mesangiale o a lesioni minime ( presente nel 10-30%dei pazienti).

E’ una forma sostanzialmente mite di patologia che può talora, però, essere considerata come uno stadio precoce, in progressione verso forme più severe.

In base all’osservazione alla microscopia ottica si distinguono le seguenti due forme: • IIa in cui i glomeruli ed il mesangio appaiono normali.

IIb in cui, invece, si nota un’espansione del mesangio dovuta all’incremento della cellularità e della matrice, mentre le anse capillari sono evidenti in assenza di lesioni attive o sclerosanti che compromettono la circolazione e la filtrazione glomerulare. (Si veda la Fig.2.5.2a )

In entrambe le forme, all’immunofluorescenza e alla microscopia elettronica si notano depositi di immunocomplessi e C3 a livello mesangiale. (Si veda la Fig.2.5.2b).

(20)

Fig.2.5.2a Alla microscopia ottica dopo colorazione con ematossilina – eosina si nota la proliferazione mesangiale tipica della IIb.

(21)

CLASSE III

Nefrite lupica proliferativa focale (interessa il 10-25% dei pazienti).

E’ anch’essa una forma benigna di patologia che interessa fino al 50% dei nefroni renali, con distribuzione irregolare e segmentale ( vale a dire che interessa meno del 50% dell’ansa capillare glomerulare).

Si presenta, all’osservazione microscopica, come lesioni proliferative focali, esito dell’attiva replicazione delle cellule del mesangio ed endoteliali e dell’infiltrato di leucociti. Le cellule epiteliali viscerali, invece, possono esibire cambiamenti degenerativi ma non hanno grandi capacità di proliferazione.(Si veda la Fig.2.5.3). In base alle lesioni individuate si definiscono le tre sottoclassi che seguono:

IIIa: si caratterizza per la presenza di lesioni necrotizzanti attive.

IIIb: si caratterizza per la presenza di lesioni sia necrotizzanti sia sclerosanti. IIIc: si caratterizza per la presenza di lesioni sclerosanti.

All’immunofluorescenza si hanno depositi di Immunoglobuline A, G, M e del C3 e del C1q a livello principalmente mesangiale ma, talora, anche subendoteliale.

Fig.2.5.3 Alla microscopia ottica, dopo colorazione con ematossilina – eosina, si può vedere la proliferazione mesangiale focale.

(22)

CLASSE IV

Nefrite lupica proliferativa diffusa (si presenta nel 40-60% dei pazienti).

Rispetto alla forma precedente si caratterizza per il coinvolgimento di più del 50% dei nefroni, e per il maggior grado di severità.

Al microscopio ottico si repertano proliferazioni cellulari la cui origine è speculare a quella della forma focale e che spesso esitano in formazione di semilune (crescents) e in necrosi.(Si veda Fig.2.5.4 a).

Si divide in due sottoclassi:

IV S (segmentale): in cui sono presenti lesioni che coinvolgono meno del 50% dell’ansa capillare.

IV G (globale ): in cui sono presenti lesioni che coinvolgono più del 50% dell’ansa capillare.

All’immunofluorescenza si hanno depositi di Immunoglobuline A, G, M e di C3, C1q e fibrina, sia in sede mesangiale, sia in sede sottoendoteliale. (Si vedano le Figg. e 2.5.4 b-c). Infine alla microscopia elettronica si vedono depositi elettrondensi a livello mesangiale, sottoendoteliale e raramente anche sottoepiteliale. (Si veda Fig.2.5.4 d).

Fig.2.5.4a All’osservazione microscopica, dopo colorazione con ematossilina – eosina, si nota una proliferazione diffusa e la presenza di corpi ematossilinici.

(23)

Fig.2.5.4b All’immunofluorescenza si notano depositi diffusi mesangiali e parietali di C1q.

(24)

Fig.2.5.4d: Alla microscopia elettronica si notano estesi depositi elettrondensi a livello subendoteliale.

CLASSE V

Nefropatia lupica membranosa ( presente nel 10-20% dei pazienti).

Al microscopio ottico si caratterizza per la presenza di depositi sub epiteliali alla periferia delle anse capillari glomerulari, ancor meglio visibili alla microscopia elettronica previa colorazione Tricromica. (Si veda Fig.2.5.5.a).

Nelle fasi precoci non è rilevabile l’assottigliamento delle anse capillari che invece si ha nelle fasi più avanzate, ove si dimostra anche la presenza di proiezioni spinose di membrana che si proiettano tra i depositi immuni subepiteliali.

Ad uno stadio ancora più avanzato i depositi possono essere pienamente incorporati con la membrana basale assottigliata fino ad andare incontro a dissoluzione, lasciando come un’impronta di morso sulla membrana stessa.

All’immunofluorescenza e alla microscopia elettronica sono visibili depositi di Immunoglobuline A, G, M a livello sub epiteliale, ma spesso associati a depositi sub endoteliali e mesangiali. (Si veda Fig.2.5.5.b).

(25)

Fig.2.5.5 a: Alla microscopia ottica, dopo colorazione Tricromica, si possono notare depositi parietali diffusi (in granuli rosso arancio )sulla parete dei capillari glomerulari.

(26)

CLASSE V I

Nefropatia sclerosante.

E’ un’entità istologica di ultima scoperta. Riflette uno stadio tardivo di danno irreversibile con glomerulosclerosi avanzata, atrofia tubulare e fibrosi interstiziale.

Fig.2.5 Figura riassuntiva delle principali alterazioni istologiche che si verificano nelle differenti classi di nefrite lupica.

(27)

A ciascuna classe ISN/RPS corrisponde un preciso quadro clinico come riportato nella seguente tabella:

2.6 Trattamento della nefrite lupica.

I moderni trattamenti offrono la prospettiva di una buona remissione di malattia e di una sostanziale longevità.[24 25].

Per il trattamento della nefrite lupica sono disponibili diverse opzioni terapeutiche: 1)farmaci immunosoppressori

2)terapie aggiuntive per il trattamento delle complicanze secondarie 3)farmaci sperimentali

Terapia immunosoppressiva:

Il ruolo dei corticosteroidi come il Prednisone o il Metilprednisolone è inconfutabile. Tuttavia una loro sostanziale tossicità connessa con l’uso prolungato ad alte dosi ha spinto all’esplorazione di terapie immunosoppressive alternative.

Ad esempio la Ciclofosfamide è considerata uno dei più validi immunosoppressori per la nefrite lupica. La sua efficacia singolarmente o in associazione, a basse dosi, con Azatioprina è nettamente superiore al Prednisone nel controllo dell’attività clinica della patologia e nell’attenuazione dei cambiamenti di patologia renale nel tempo.[26 27 28].

Classe Quadro clinico associato

Classe I: glomeruli normali Assenza di alterazioni

Classe II: gn mesangiale Lieve proteinuria, modeste alterazioni del sedimento urinario

Classe III: gn proliferativa focale Proteinuria raramente nefrosica, alterazioni del sedimento urinario

Rara l’alterazione della funzione renale • Classe IV: proliferativa diffusa Proteinuria spesso nefrosica, ematuria,

ipertensione, insufficienza renale

Classe V: gn membranosa Sindrome nefrosica.

Talvolta insufficienza renale a lenta evoluzione

(28)

Tuttavia la crescente tossicità della terapia quotidiana ha reso necessario il passaggio ad una somministrazione di tipo pulsatile (intermittente), valutando però la compatibilità con la funzionalità renale.

In caso di riduzione di filtrazione glomerulare, infatti, si assiste al prolungamento dell’emivita del farmaco e, se la dose non viene adattata, all’aumento della sua tossicità in particolare quella sul midollo osseo .[24].

Tossicità acuta Tossicità cronica

EPATICA: si manifesta con nausea e vomito; si somministrano antiemetici.

MIDOLLARE:disordini linfoproliferativi, leucopenia VESCICA: si manifesta con cistite emorragica; si

somministra Uromitexan.

GONADICA: dose ed età dipendente NEOPLASIE (ca. vescicale)

Trattamento della nefrite lupica proliferativa

La Ciclofosfamide è l’immunosoppressore che ha dimostrato la migliore efficacia terapeutica nella nefrite lupica proliferativa.

Si somministra per un periodo di 2 -6 mesi con boli di 0.5-1 g a cadenza mensile o per os alla dose di 50-100 mg/die.

Trattamento della nefropatia lupica membranosa:

Sebbene nella sua forma pura sia correlata con un basso rischio di progressione verso l’insufficienza renale, la tipica insorgenza della Sindrome Nefrosica, in questa forma patologica, aumenta notevolmente il rischio di complicanze tromboemboliche ed aterosclerotiche.

Inoltre si possono riscontrare forme miste di nefropatia membranosa con sovrapposizione di proliferazione capillare, la cui prognosi è equiparabile a quella della nefrite lupica proliferativa.

Quindi nel management sono seguite tre diverse procedure:

 Nella nefropatia membranosa che non ha sviluppato un range nefrosico di proteinuria è giustificato un atteggiamento attendistico con monitoraggio attento che evidenzi, eventualmente, il subentrare della Sindrome Nefrosica o della forma mista di nefropatia.

 Nella nefropatia membranosa con un range nefrosico di proteinuria il primo trattamento è con alte dosi di Prednisone (e.v 1-2mg /Kg, per due mesi a giorni alterni; poi si somministrano 0. 25 mg/Kg a giorni alterni in 3-4 mesi.)

In aggiunta si può ricorrere a terapia adiuvante con Ciclosporina A (5mg/Kg /al giorno), con Ciclofosfamide ( terapia pulsatile con 2 g/m2 ogni 1-3 mesi o con dose singola orale di 2 mg/Kg/al giorno ), o con la combinazione di Metilprednisolone e Clorambucile (terapia pulsatile con 1.0 g/alm giorno per 3 giorni di Prednisolone seguita da 27 giorni di Prednisolone alla dose di 0.5 mg/Kg/al giorno nel primo ,terzo e quinto mese alternato a 30 giorni di Clorambucile alla dose di 3-6mg//m2/al giorno, tre cicli di ciascuna terapia per più di sei mesi )

 Nella nefropatia mista membranosa e proliferativa il trattamento è lo stesso della nefrite lupica proliferativa.

(29)

Terapie aggiuntive per il trattamento delle complicanze secondarie:

Tra i farmaci utilizzati per il trattamento delle complicanze secondarie della nefrite lupica ritroviamo i seguenti:

 Gli antiipertensivi nel trattamento dell’ipertensione secondaria al danno renale ed in particolare gli ACE –inibitori che riducono la proteinuria glomerulare che persiste dopo il controllo della nefrite in fase attiva.

 Le statine che riducono l’iperlipidemia connessa con la Sindrome Nefrosica.[24].

Altri farmaci:

 Le Immunoglobuline endovena sono utilizzate nel trattamento della trombocitopenia immunomediata o nella patologia refrattaria del sistema nervoso centrale o del rene.[29].

 Il Metotrexate è usato come un’aggiunta o come un’alternativa alla terapia antiinfiammatoria, sopratutto per le manifestazioni extrarenali del LES.[30].

 Il Micofenolato è utilizzato dopo l’induzione di remissione con Ciclofosfamide.[31].

 L’anticorpo monoclonale anti-CD20 (Rituximab) è utilizzato nella patologia refrattaria del sistema nervoso centrale o del rene.[32 33].

2.7 Decorso e prognosi.

Il decorso della nefrite lupica è assai variabile in relazione, soprattutto, alla risposta alla terapia.

Più frequentemente si hanno periodi di remissione alternati a periodi di esacerbazione con possibilità di evoluzione verso una classe istologica più severa. Altre volte si va invece verso il deterioramento progressivo della funzionalità renale; altre ancora si ha remissione incompleta anche dopo terapia protratta.[34].

A tal proposito la biopsia assume un ruolo importante nel follow up dei pazienti durante l’iter di malattia: grazie ad essa è possibile identificare indici di attività e indici di cronicizzazione che aiutano a valutare come evolve il quadro nefropatico nel tempo.

Indice di attività Punteggio

Assegnato

Ipercellularità endocapillare (0-3)

Infiltrazione di leucociti (0-3)

Depositi ialini sub endoteliali (0-3)

Necrosi fibrinoide /Carioressi (0-3)

Trombi Ialini (0-3)x2

Crescents cellulari (0-3)

(30)

In base al punteggio totale ottenuto per ciascuno dei due indici, è possibile stimare per ogni paziente, la prognosi di sopravvivenza a 10 anni dalla diagnosi di malattia.

Per indice di attività maggiore di 12 si ha il 60% di probabilità di sopravvivenza a 10 anni.

Per indice di attività minore di 12 si ha l’80 % di probabilità di sopravvivenza a 10 anni.

Particolarmente importante è il valore prognostico dei crescents e della necrosi fibrinoide. • Per indice di cronicità inferiore a 1 si ha il 100% di probabilità di sopravvivenza a

10 anni.

Per indice di cronicità pari a 2-3 punti si ha il 68% di probabilità di sopravvivenza a 10 anni.

Per indice di cronicità superiore a 4 si ha il 32% di probabilità di sopravvivenza a 10 anni.

Nella valutazione di questo secondo indice si considera come rilevante il valore prognostico dell’atrofia tubulare e della fibrosi interstiziale.

La prognosi della nefrite lupica può essere riferita anche alle classi istologiche dell’INS/RPS: in questo caso si valuta la sopravvivenza a 5 anni dalla diagnosi di malattia.

CLASSE SOPRAVVIVENZA A 5 ANNI

I-II 90%

III 65% se trattata gode di prognosi

buona

IV 25%

V 90%

V I È la più infausta

Per concludere, focalizzando l’attenzione anche da un punto di vista clinico, si considerano fattori prognostici negativi quelli che seguono:

Indice di cronicità Punteggio

assegnato

Sclerosi glomerulare (0-3)

Crescents fibrosi /aderenze fibrose (0-3)

Atrofia tubulare (0-3)

(31)

Epidemiologici Sesso maschile Giovane età Afro-americani

Clinici Incremento creatininemia

Ipertensione che si ha di sovente nelle classi III e IV.

Persistenza di proteinuria (Ritardo nella terapia) Riacutizzazioni renali

Istologici Lesioni proliferative diffuse

Elevata attività (indice di attività >11.) Elevata cronicità (indice di cronicità >3.)

(32)

INTRODUZIONE CLINICA

CAPITOLO TERZO

VASCULITI SISTEMICHE.

Le vasculiti ANCA – positive sono malattie infiammatorie a carico dei piccoli vasi.

Sono principalmente tre: la Granulomatosi di Wegener, la Sindrome di Churg – Strauss e la Poliangioite microscopica.

Interessano un’ampia varietà di distretti corporei e si riscontrano prevalentemente nella fascia di età compresa tra la quinta e la settima decade.

Anticorpi diretti contro antigeni citoplasmatici di neutrofili (MPO e PR3) sono responsabili della patogenesi attraverso diversi meccanismi ma principalmente, in sinergia con stimoli infiammatori, con l’attivazione dei neutrofili che sono le principali cellule effettrici del danno vascolare. Il danno è poi amplificato dall’azione di linfociti T e di monociti che si attivano in risposta agli antigeni PR3 e MPO.

Da un punto di vista clinico si distinguono manifestazioni generali precoci e comuni alle tre forme di vasculiti ANCA –positive come espressione del processo infiammatorio sistemico (febbre, artralgie, mialgie, anoressia, perdita di peso, malessere generale) e sintomi specifici per le tre forme risultato dell’ischemia dei tessuti interessati.

Di particolare rilievo è la glomerulonefrite necrotizzante che si ha nelle tre vasculiti ma che evolve rapidamente in insufficienza nella Poliangioite microscopica e nella forma avanzata della Granulomatosi di Wegener.

L’apparato respiratorio è colpito frequentemente. A livello polmonare si determinano un’alveolite emorragica e, nelle due forme granulomatose lesioni nodulari bilaterali.

La Churg – Strauss che è una forma allergica si presenta con asma e rinite croniche, mentre la Wegener è caratterizzata da collasso del setto nasale e stenosi tracheale che può compromettere seriamente la vita del paziente. A livello cutaneo si ha porpora.

La diagnosi è affidata alla biopsia vascolare che dimostra la vasculite necrotizzante dei piccoli vasi, alla biopsia renale, che evidenzia la glomerulonefrite necrotizzante, nonché alla sierologia che evidenzia la positività per i p-ANCA o peri c-ANCA e nella Sindrome di Churg –Strauss anche eosinofilia.

L’approccio terapeutico si articola in una fase d’induzione con Ciclofosfamide e Prednisolone e in una fase di mantenimento, volta a prevenire le frequenti esacerbazioni, con Azatioprina, Mofetile Micofenolato, Ciclosporina e Metotrexate.

Altre terapie più recenti comprendono l’utilizzo di inibitori competitivi dell’IL-1, e anticorpi monoclonali quali il Rituximab o anti – TNF, nonché la Leflunamide .

Delle tre forme la Poliangioite microscopica è quella con prognosi più infausta potendo portare a morte il paziente per alveolite emorragica o per grave insufficienza renale.

Tra le vasculiti dei piccoli vasi si ritrova anche la Crioglobulinemia mista che è strettamente correlata alla’infezione da virus dell’epatite C.

E’ una vasculite da immunocomplessi che depositandosi a livello intravascolare determinano la chemiotassi di polimorfonucleati che sono i principali effettori del danno di parete vascolare. Il quadro clinico è polimorfo: accanto alla classica triade costituita da porpora, astenia ed artralgie vi sono manifestazioni d’impegno d’organo tra cui spicca quello renale con S. Nefrosica o S. Nefritica.

La diagnosi si pone con l ‘aumento di indici di flogosi ,quali VES o PcR, con la positività del FR con la sierologia positiva per il HCV e con la negatività per gli anticorpi ANA.

Il trattamento si basa sull’utilizzo di INF, cortisonici, Rituximab e sulla plasmaferesi.

La Crioglobulinemia ha un decorso favorevole anche se nel 40% si può sviluppare un linfoma maligno.

(33)

3.1 Le vasculiti ANCA- positive.

3.1.1. Inquadramento generale delle vasculiti ANCA-positive.

Le vasculiti ANCA- positive sono malattie a carattere infiammatorio- necrotico della parete dei piccoli vasi arteriosi e venosi, sostenute, in un processo autoimmunitario, da una particolare classe di autoanticorpi specifici per antigeni citoplasmatici dei neutrofili (ANCA).

Costituiscono una terza classe (Si veda Fig. 3.1.1.) insieme alle vasculiti da anticorpi anti – membrana basale del glomerulo ( anti –GMB), tipica della Sindrome di Goodpasture, ed insieme alle vasculiti da deposito granulare di immunocomplessi e complemento, che sono quelle più frequenti e che sono rappresentate dalle seguenti[35].:

Da deposito Ig A nei vasi cutanei e nei vasi glomerulari dei pazienti con Porpora di Schonlein Henoch.

Da depositi misti di Ig G- Ig M in pazienti con Crioglobulinemia mista. Da depositi di Ig G nei pazienti con la vasculite lupica o con vasculite settica.

La Granulomatosi di Wegener, la Sindrome di Churg – Strauss e la Poliangioite microscopica sono le tre vasculiti che fanno parte della classe presa in esame in questo capitolo.[35].

Interessano i vasi di molti distretti corporei, ciascuna con una propria preferenza di localizzazione e con diverso grado di severità di danno d’organo.

La Granulomatosi di Wegener è una vasculite granulomatosa necrotizzante che interessa preferibilmente le vie aeree (90%) superiori ed inferiori e, con particolare gravità, il rene (80%); può coinvolgere anche l’occhio, l’intestino, il cuore, le articolazioni, la cute e il sistema nervoso periferico.

Nella Sindrome di Churg – Strass, che è una granulomatosi allergica, i vasi maggiormente interessati sono quelli delle vie aeree ma anche quelli della cute,dell’intestino, del sistema nervoso centrale , dei muscoli e del cuore. Il rene è colpito raramente e in ogni modo con minor gravità, senza esitare in insufficienza.

Infine, la Poliangioite microscopica è una grave vasculite necrotizzante non granulomatosa che si distribuisce soprattutto al rene (90%) ma anche alla cute, al polmone ai muscoli , all’intestino ,al cuore e più raramente alle vie aeree superiori .

Le tre forme patologiche prediligono maggiormente il sesso maschile e si presentano con un picco d’incidenza tra i 55 ed i 70 anni, anche se la Granulomatosi di Wegener può interessare anche soggetti più giovani.

Pur essendo le meno frequenti tra le tre categorie di vasculiti di piccoli vasi, l’incidenza delle ANCA –associate sta aumentando progressivamente ed attualmente si hanno 20 milioni di nuovi casi ogni anno.

(34)

Fig.3.1.1. E’ riportata la classificazione delle vasculiti in base all’interessamento vascolare.

Come si evince dallo schema le vasculiti ANCA-positive interessano soprattutto i vasi di piccolo calibro, sia arteriosi e sia venosi.

Le vasculiti sono il risultato dell’interazione di fattori ambientali e genetici.[36].

Per quanto riguarda i primi dobbiamo ricordare alcuni farmaci come il Propiltiouracile, agenti infettivi come lo Stafilococco Aureus e ancora una lunga esposizione ad alte dosi di Silice.

Numerosi studi in ambito genetico hanno portato alle seguenti conclusioni:

Non è stata dimostrata alcuna associazione tra le vasculiti ANCA-positive e gli antigeni HLA.

Il polimorfismo dell’esone 11 del gene CD18 (che fa parte della famiglia dei recettori delle beta due integrine ed è iperespresso sui monociti ANCA-attivati) è associato con le vasculiti dei piccoli vasi MPO- ANCA positive.

Nei pazienti con Ganulomatosi di Wegener sono state trovate le seguenti condizioni:

 Gli omozigoti per il Fc gamma RII-R131e Fc gamma RIIIa-F158 (sono geni codificanti per il recettore dell’Fc delle immunoglobuline, situato sui neutrofili ed indispensabile per la loro attivazione) possono essere più suscettibili alla esacerbazione di malattia.

 E’ stata dimostrata un’associazione con il polimorfismo A-564G nel promotore della PR3, a livello del quale si trova un sito di legame per il fattore di trascrizione. La proteina ne risulta iperespressa.

 E’ stata ritrovata un’associazione con un polimorfismo del cluster genetico che comprende il gene per alfa1-antitripsina, la quale sembra svolgere la funzione di fattore secondario d’amplificazione del danno vascolare.

(35)

3.1.2. Patogenesi delle vasculiti ANCA – positive.

Prima di parlare del meccanismo patogenetico delle vasculiti, è necessario caratterizzare gli ANCA.

Gli ANCA sono una categoria di autoanticorpi diretti contro antigeni enzimatici contenuti nei granuli azzurrofili e nei lisosomi dei neutrofili e dei monociti.

In particolare la loro reattività è specifica per una proteina sierica di 29 KDa, detta PROTEINASI 3 (PR3) e per la MIELOPEROSSIDASI (MPO) che è un enzima coinvolto nella genesi di forme reattive dell’ossigeno. Entrambi questi antigeni sono localizzati a livello citoplasmatico, tuttavia durante la preparazione del campione fissato con alcool la MPO si ridistribuisce a livello della membrana nucleare dando un pattern perinucleare in immunoluorescenza.

In base all’immunofluorescenza si distinguono, quindi, le tre classi di ANCA che seguono:

c- ANCA p-ANCA a-ANCA

All’immunofluore scenza hanno un pattern

citoplasmatico.

Sono reattivi verso gli antigeni PR3 CAP57

Sono presenti nelle Vasculiti ANCA positive con le seguenti. • Frequenze:  Nel 90% nella Granulomatosi di Wegener  Nel 30% nella Sindrome di Churg- Strauss  Nel 45% nella Poliangite microscopica • All’immunofluores cenza hanno un pattern perinucleare (se il campione è fissato con l’alcool.) • Sono reattivi verso

gli antigeni MPO ELASTASI CATEPSINA G LATTOFERRINA LISOZIMA PROTEINA BPI (Proteina battericida di incremento della permea-bilità)

Sono presenti nelle

Vasculiti ANCA positive con le seguenti frequenze:  Nel 10% nella Granulomatosi di Wegener  Nel 70% nella Sindrome di Churg –Strauss  Nel 55% nella Poliangite microscopica • All’immunofluoresce nza hanno dimostrano

un comportamento

atipico non avendo

né un pattern

citoplasmatico, né un pattern perinucleare.

Sono presenti nelle Malattie infiammatorie dell’Intestino (IBD), nella Colangite Sclerosante Primitiva e nell’Artrite Reumatoide.

(36)

Gli ANCA sono anticorpi marker ed anche anticorpi patogeni nelle vasculiti dei piccoli vasi.(Si veda la Fig.3.1.2b).

Questi anticorpi contribuiscono all’infiammazione vascolare attraverso diversi meccanismi. Innanzitutto, in sinergia con stimoli infiammatori, probabilmente di origine infettiva, determinano l’attivazione dei neutrofili, che sono i principali effettori del danno ai vasi di piccolo calibro.[36].

In dettaglio, tra le citochine e chemochine rilasciate in seguito a processi infettivi locali o sistemici spicca il Tumor necrosis factor –alfa (TNF alfa).

Nella vasculite in fase attiva la citochina ed i suoi recettori solubili TNF-R55e TNF-R7 si trovano in elevate concentrazioni sia a livello sierico, sia a livello del sito di flogosi. E’ inoltre iperespressa sulle cellule ematiche mononucleate.

Il ruolo principale del TNF alfa è di sensibilizzare i neutrofili. Tale processo si traduce in un aumento nell’espressione di molecole di adesione come il CD11b ma soprattutto nella ridistribuzione degli antigeni PR3 e MPO dalla sede citoplasmatica alla superficie cellulare, consentendo l’interazione con gli ANCA.

Questi anticorpi legano con F (ab) 2 gli antigeni specifici e con Fc il recettore relativo espresso sui neutrofili, determinandone l’attivazione.

Tali cellule attivate esprimono molecole come CD66b, CD64 e CD63, e vanno incontro a trasmigrazione ed adesione endoteliale, alla produzione di radicali liberi dell’ossigeno, nonché a degranulazione con liberazione di enzimi proteolitici, inducendone così il danno vasculitico.

Una volta attivati, i neutrofili subiscono un’accelerazione nella via apoptotica mediata dall’azione di radicali liberi.

Tuttavia, pur acquisendo le normali caratteristiche morfologiche connesse con questo tipo di morte cellulare, non si verificano sulla superficie cellulare quei cambiamenti che conducono normalmente all’eliminazione sicura delle cellule apoptotiche da parte dei fagociti. Si determina, pertanto, l’accumulo di detriti di neutrofili con leucocitoclassia (mediata da interleuchine macrofagiche come IL-1 e IL-8) e necrosi secondaria. (si veda la Fig. 3.1.2 a)[36].

a

(37)

Gli ANCA agiscono stimolando l’adesione leucocitaria all’endotelio vascolare in risposta alla flogosi locale, modulando anche in tal modo il danno alla parete dei piccoli vasi.

b

Fig 3.1.2bLa figura mostra il meccanismo patogenetico della vasculite ANCA positiva[37].

(a) le citochine e le chemochine rilasciate come risultato di infezione locale o sistemica causano la sovraespressione di molecole d’adesione ( ICAM-1) e sensibilizzano i neutrofili .

(b) I neutrofili sensibilizzati causano la sovra espressione di molecole d’adesione (CD11b) e la traslocazione degli antigeni ANCA- specifici dai loro compartimenti lisosomiali alla superficie cellulare.

(c) L’interazione tra la porzione F (ab’)2 degli ANCA con gli specifici antigeni sulla superficie cellulare e la reazione della porzione Fc con i rispettivi recettori attivano i neutrofili, causando un aumento della trasmigrazione e dell’adesione dei neutrofili alla parete vascolare .

(d) I neutrofili attivati producono radicali liberi dell’ossigeno e subiscono la degranulazione con conseguente rilascio di enzimi proteolitici, determinando, così, la vasculite.

La progressione del danno vasculitico è garantita dal reclutamento di linfociti T e monociti che si attivano e proliferano con risposta alla PR3 e alla MPO.

L’attivazione delle cellule T, testimoniata da una ridotta espressione di CD28 e dall’aumento del CD69, che sono rispettivamente una molecola costimolatoria e un marker precoce dell’attivazione, continua anche dopo la remissione di patologia ANCA determinata.

Tali linfociti sono quindi responsabili del decorso delle vasculiti tipicamente costituito da fasi di remissione alternate a fasi di esacerbazione di malattia.

(38)

Per il reclutamento dei linfociti T CD4 e CD8 positivi e dei monociti, che si accumulano nei tessuti interessati dal processo infiammatorio vascolare, sono necessarie alcune citochine tra cui MIP-1 alfa e beta, MCP-1 e molecole d’adesione vascolare come VCAM-1.

3.1.3 Caratteristiche cliniche e dati di laboratorio.

L’espressione clinica delle vasculiti ANCA –positive comprende sintomi costituzionali precoci comuni, che sono espressione di un processo infiammatorio sistemico, e sintomi specifici per ciascuna delle tre forme, che conseguono all’ischemia nei territori di irrorazione dei vasi infiammati.

Tra i primi si trovano febbre, mialgia, artralgie, anoressia, perdita di peso, malessere generale e sudorazione notturna.[38].

L a Granulomatosi di Wegener è caratterizzata dalla seguente triade: 1) granulomi acuti necrotizzanti che caratterizzano soprattutto le vie aeree;

2) vasculite necrotizzante o granulomatosa focale a carico dei piccoli vasi soprattutto del polmone e delle vie aeree superiori ma anche di altri distretti;

3) malattia renale sotto forma di glomerulonefrite necrotizzante focale o diffusa;

Quando non si verificano tutte e tre le lesioni si parla di forma “limitata”, in cui il rene non è colpito e la malattia è confinata all’apparato respiratorio.

Un coinvolgimento importante è quello renale che è rappresentato dalla glomerulonefrite necrotizzante focale segmentale pauci–immune nelle fasi iniziali che può poi evolvere verso la forma proliferativa diffusa con formazione di semilune e con rapido deterioramento della funzionalità renale.

Nel coinvolgimento delle vie aeree superiori si avranno rinite cronica, sinusite, otite media, rinorrea purulenta, epistassi, ulcerazione della mucosa orale e di quella nasale, collasso del setto nasale (Si veda la Fig. 3.1.3 a) e stenosi tracheale (Si veda la Fig. 3.1 3 b).

Figura

Tab  2.1  Sono  riportati  a  confronto  i  dati  clinici  ottenuti  da  uno  studio  condotto  presso  L’U.O  di  Reumatologia di Pisa su 350 pazienti affetti da LES e quelli riferiti dalla letteratura
Fig 2.2 Immagine dell’interstizio mesangiale: la mancanza della membrana basale che separi il lume capillare  dall’interstizio mesangiale facilita il deposito di IC a tale livello
Fig. 2.5.2b All’immunofluorescenza sono visibili depositi granulari mesangiali di C3.
Fig 3.1.2bLa figura mostra il meccanismo patogenetico della vasculite ANCA positiva[37]
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