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Progettazione e sintesi di nuovi potenziali inibitori della DNA-Topoisomerasi I: derivati 8-metossi-indazolo-[2,3-a]-chinazolin-5(6H)-onici.

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(1)

UNIVERSITÀ DI PISA

Dipartimento di Farmacia

Corso di Laurea Magistrale in Farmacia

Tesi di Laurea

Progettazione e sintesi di nuovi potenziali inibitori della

DNA-Topoisomerasi I: derivati

8-metossi-indazolo-[2,3-a]-chinazolin-5(6H)-onici

Candidata

Relatori

Caterina Mariotti

Prof.ssa Sabrina Taliani

Dott.ssa Elisabetta Barresi

Anno Accademico

2017 - 2018

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Indice

Parte generale

Il tumore ... 1

Eziologia dei tumori ... 4

Virus oncogeni ... 4

Cancerogeni chimici ... 10

Radiazioni ... 14

Trattamento farmacologico del tumore ... 15

Azione citostatica degli antitumorali ... 16

DNA-Topoisomerasi ... 20

Classificazione ... 21

DNA-Topoisomerasi I ... 21

Topoisomerasi IA ... 22

Topoisomerasi IB ... 23

Topoisomerasi IC ... 25

DNA-topoisomerasi I umana ... 25

DNA Topoisomerasi II ... 28

Topoisomerasi IIA ... 29

Topoisomerasi IIB ... 30

DNA-Topoisomerasi come targets per farmaci anti-tumorali ... 30

Farmaci inibitori delle DNA-Topoisomerasi ... 31

Inibitori della DNA-Topoisomerasi I ... 33

Inibitori della DNA-Topoisomerasi II ... 36

Inibitori duali delle DNA-Topoisomerasi ... 40

Introduzione alla parte sperimentale ... 43

Parte sperimentale ... 58

(3)

(4)

Il tumore

Il tumore è la seconda causa di morte a livello globale in quanto è responsabile di 1 decesso su 6.

Il tasso di incidenza di comparsa del tumore per età è più alto del 25% negli uomini rispetto alle donne, in quanto queste ultime sono anche maggiormente sottoposte a test di screening oncologici.

Inoltre, circa il 70% delle morti per tumore si verifica nei paesi a basso e medio reddito, in quanto l’impatto economico di questa patologia è in continuo aumento [1] (Figura 1).

Le cause più comuni di morte per tumore sono: • Polmone: 1,69 milioni di decessi; • Fegato: 788.000 di decessi; • Colon-rettale: 774.000 di decessi; • Stomaco: 754.000 di decessi; • Seno: 571.000 di decessi.

Figura 1. Variazioni relative al tasso di incidenza di tutti i tipi di tumore in base all’età

(5)

Il tumore è una neoformazione di tessuto caratterizzata dalla presenza di cellule atipiche e da un accrescimento autonomo, afinalistico e progressivo.

Questa definizione sottolinea il carattere cellulare della malattia e la sua natura di disturbo dell’accrescimento.

Il tessuto neoformato porta in genere, ma non necessariamente, ad un aumento del volume dell’organo. La crescita dei tumori è svincolata dalle leggi che regolano l’accrescimento dei tessuti e degli organi normali. La scarsa adesione delle superfici protoplasmatiche e la loro motilità facilitano il distacco delle cellule neoplastiche dal tessuto principale, la loro migrazione in siti diversi e quindi la riproduzione a distanza del processo (metastasi). Nei tumori il fine (se così può dirsi) è rappresentato solo dalla riproduzione della cellula neoplastica, ma l’accrescimento neoplastico esita alla fine nella morte del portatore, morte che coinvolge anche le cellule neoplastiche, quindi il risultato finale è l’autodistruzione. L’accrescimento neoplastico però può essere contenuto, almeno negli stadi inziali, dalla reazione del tessuto reticoloistiocitario e dalla proliferazione fibroblastica dell’ospite. La reazione del reticolo-endotelio produce la mobilizzazione nel tessuto sede della neoplasia di cellule capaci di attività fagocitaria, le quali rappresentano un mezzo di contenimento della proliferazione neoplastica. L’attività antiblastica del tessuto reticoloistiocitario è dimostrata dal fatto che le metastasi neoplastiche raramente attecchiscono in organi nei quali il reticolo-endotelio è fortemente rappresentato (es. milza). La reazione fibroblastica agisce producendo una demarcazione di connettivo fibroso intorno al tessuto neoplastico proliferante.

Nei casi di tumore benigno, il connettivo fibroso cresce fino a formare una capsula che delimita nettamente la neoplasia e rende quindi più facile l’asportazione chirurgica. Nel caso dei tumori maligni, invece, la capsula non fa mai in tempo a formarsi completamente, in quanto viene invasa dalla proliferazione neoplastica che è in continua formazione. La reazione fibroplastica agisce nel contenere l’accrescimento tumorale in quanto rappresenta un vallo meccanico; essa comprime le cellule neoplastiche ed i vasi, riducendo quindi l’apporto nutritivo. Il tumore però ha in sé stesso un meccanismo di autolimitazione, rappresentato dalla compressione che le cellule neoplastiche vengono ad esercitare sui vasi; tale compressione riduce l’apporto nutritizio causando così sulla massa neoplastica processi regressivi di grado elevato.

(6)

Questo fatto sottolinea l’autonomia dell’accrescimento delle cellule neoplastiche le une rispetto alle altre e anche il suo afinalismo, che si spinge fino alla mancanza di un risultato utile persino per quanto riguarda il proprio tessuto. In ultima analisi, anche le modalità dell’accrescimento e la sua autonomia rientrano nell’atipia, ossia la somma delle differenze di ogni genere che esistono fra cellule normali e cellule neoplastiche.

I concetti di benignità e malignità dei tumori possono essere clinici e biologici [3].

Tumori benigni Tumori maligni

1. Accrescimento lento ed espansivo (cellule nuove al centro).

Accrescimento rapido e infiltrativo (cellule nuove alla periferia).

2. Sono capsulati nella maggior parte dei casi.

Non sono capsulati e se la capsula esiste è invasa.

3. Non danno metastasi. Danno metastasi. Frequente reperto di cellule neoplastiche nei vasi del tumore. 4. Le atipie citologiche sono scarse. Le atipie citologiche sono notevoli. 5 Le cellule in mitosi sono scarse. Le cellule in mitosi sono numerose e

spesso atipiche. 6. Le atipie funzionali sono limitate.

Negli organi ghiandolari la funzione è spesso conservata.

Esistono notevoli atipie funzionali.

7. Non danno cachessia, se non in casi eccezionali, in rapporto con la natura dell’organo colpito.

Danno cachessia.

8. Recidivano raramente se asportati. Recidivano molto spesso se asportati. 9. Attecchiscono difficilmente se

trapiantati.

Attecchiscono con una certa facilità se trapiantati.

(7)

Eziologia dei tumori

Le cause di insorgenza dei tumori non sono ancora note dal momento che insorgono spontaneamente in risposta ad uno stimolo sconosciuto.

I tumori possono essere determinati geneticamente, oppure possono essere prodotti da cause virali, o ormonali, o da trattamenti fisici, o chimici. Sembra difficile orientarsi in questa congerie di dati apparentemente contrastanti, per cui è opportuno stabilire una visione univoca del quadro in quanto quando uno stesso evento è prodotto da tante cause agenti separatamente, la spiegazione più logica è che le singole cause agiscano tutte su un comune bersaglio.

I principali fattori oncogeni sono i seguenti: 1. Virus oncogeni;

2. Cancerogeni chimici; 3. Radiazioni.

Virus oncogeni

È stato dimostrato che circa 150 virus hanno attività oncogena negli animali; in particolare un terzo di questi sono virus a DNA e i rimanenti sono virus a RNA.

Quando le cellule sono attaccate dai virus a DNA possono essere seguite due modalità: • Infezione produttiva: il virus si replica e la cellula dell’ospite naturale muore (cellule

permissive). La sequenza degli eventi (Figura 2) nelle infezioni produttive consiste: a) Adesione del virus alla membrana della cellula ospite per cui questo viene

trasportato, parzialmente sprovvisto di membrana, al nucleo;

b) Rimozione del capside virale a livello della membrana nucleare o all’interno del nucleo;

c) La trascrizione di regioni specifiche del DNA virale forma per mezzo della RNA polimerasi cellulare, RNA messaggero “precoce”;

d) L’RNA messaggero “precoce” è trasferito dalle proteine interessate nella sintesi di DNA virale e nell’alterazione del metabolismo cellulare;

e) Il DNA virale si replica utilizzando gli enzimi cellulari o possibilmente quelli codificati dal virus;

(8)

g) L’RNA messaggero “tardivo” è trasferito alle proteine strutturali virali e ad altre proteine virus specifiche, interessate in funzioni regolatrici;

h) La maturazione dei virus nel nucleo della cellula in seguito ad un auto-assembramento di DNA virale e proteine strutturali virali è seguito da lisi della cellula.

• Infezione abortiva: le cellule che appartengono ad un ospite di specie estranea, bloccano la replicazione virale (cellule non permissive) e, in condizioni appropriate, fino al 40% delle stesse può essere trasformato in cellule cancerose. Quindi le cellule non sono uccise ma stimolate a riprodursi. Nelle infezioni abortive che conducono alla formazione tumorale si verificano solo alcune delle prime tappe dell’infezione produttiva in quanto il DNA del virus infettante si inserisce, almeno in parte, nel genoma della cellula ospite e si replica con esso. Pertanto il virus modifica il genotipo della cellula ospite e conduce alle espressioni fenotipiche descritte come formazioni neoplastiche. Dal momento che il DNA virale è incorporato nel genoma della cellula ospite, le particelle virali infettanti non esistono più nelle cellule trasformate dai virus DNA. Quindi ciascuna cellula trasformata riproduce copie multiple dei geni virali, amplificando in questo modo gli influssi oncogenici del virus. È necessario puntualizzare che l’integrazione del DNA virale è solo la prima di una sequenza di cambiamenti, che provocano infine l’insorgenza di una cellula pienamente cancerosa

[4]

(9)

Figura 2. Ciclo replicativo del virus a DNA [5]

.

I virus a RNA oncogeni sono di notevole interesse in quanto al contrario dei virus a DNA, possono contemporaneamente replicarsi e trasformare le cellule ospiti senza ucciderle. Quindi i virus a RNA vivono in una relazione simbiontica con le loro cellule ospiti. Fondamentale per l’azione oncogena dei virus a RNA è la necessità di una trascrizione continua di DNA e RNA all’interno della cellula ospite.

Il ciclo vitale dei virus a filamento singolo di RNA (Figura 3) è il seguente:

il virus penetra nella cellula ospite per endocitosi, all’interno di una vescicola membranosa. La fusione della membrana virale con quella della vescicola porta alla liberazione del virione all’interno della cellula. Il virus contiene l’enzima necessario per la duplicazione del proprio genoma a RNA. Questo enzima è un RNA polimerasi particolare, che utilizza come stampo l’RNA (a differenza delle RNA polimerasi cellulari che come stampo utilizzano il DNA). Il filamento di RNA virale così sintetizzato serve poi sia da mRNA sia da stampo per la sintesi, mediante appaiamento complementare delle

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Figura 3. Ciclo replicativo del virus a RNA [6]

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Se la sintesi di DNA è bloccata, la trasformazione cellulare abortisce irreversibilmente. Quindi nell’oncogenesi l’RNA virale modifica il DNA della cellula ospite. Per far funzionare tale sistema i virus a RNA oncogeni contengono una DNA-polimerasi diretta dell’RNA, conosciuta come trascrittasi inversa. I virus a RNA non oncogeni sono privi di tale trascrittasi. Questi virus a RNA noti come retrovirus presentano un ciclo riproduttivo (Figura 4) più complesso che è il seguente: il virus penetra nella cellula per fusione diretta tra il rivestimento virale e la membrana plasmatica dell’ospite. La caratteristica peculiare del ciclo vitale dei retrovirus è la sintesi di DNA guidata dall’RNA. Questo processo, catalizzato dall’enzima virale trascrittasi inversa, produce un provirus a DNA formato da cDNA (DNA complementare, trascritto a partire dal genoma a RNA), che rappresenta la forma sotto cui il genoma virale si integra nel DNA della cellula ospite. Il provirus risiede stabilmente nel genoma della cellula ospite, attivandosi di tanto in tanto per produrre nuovi virioni. Quando ciò accade, il provirus viene trascritto in mRNA, che poi viene tradotto nelle proteine virali. Le glicoproteine virali si inseriscono nella membrana plasmatica della cellula ospite, che poi diventerà il rivestimento virale. Altre proteine virali formeranno il capside, che racchiude le molecole di RNA virale. La liberazione dei virioni dalla cellula ospite avviene per un processo di gemmazione molto simile all’esocitosi.

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Cancerogeni chimici

Le sostanze capaci di produrre tumori sono moltissime, sia nel campo organico che in quello inorganico; ciascuna agisce grazie ad un suo proprio meccanismo.

• Sostanze inorganiche: come arsenico (tri- e penta-valente), asbesto idrato, ferro metallico e ematite, cromo esavalente, nichel metallico, berillio e cobalto. Queste sostanze cancerogene agiscono non in modo diretto, ma attraverso una lesione aspecifica (infiammazione, necrosi) tale da determinare un processo proliferativo locale; è probabilmente questo che mette in evidenza cellule già cancerizzate per altra via, fino ad allora rimaste silenti. Quindi per i composti inorganici è più facile ammettere un’azione coadiuvante (co-cancerogena), piuttosto che un’azione cancerogena diretta.

• Sostanze organiche: le sostanze cancerogene organiche sono numerose ed in continuo aumento. I gruppi chimici più importanti sono:

1. Gli idrocarburi aromatici policiclici; 2. I derivati dell’anilina;

3. Gli azocomposti; 4. Le sostanze alchilanti.

Idrocarburi aromatici policiclici (PAH): derivano da due sostanze a tre anelli benzenici condensati, l’antracene e il fenantrene (Figura 5). Nel primo i tre anelli sono posti sullo stesso piano, nel secondo uno degli anelli esterni forma con quello interno un angolo. La cancerogenicità è in stretto rapporto con la struttura, in quanto è inesistente nei composti con soli tre anelli benzenici, mentre si fa consistente in quelli con quattro e cinque anelli. Né l’antracene né il fenantrene sono dotati, di per sé, di azione cancerogena; questa compare, sia pure in forma molto debole, nei derivati sostituiti, e specialmente in quelli metilati. Tra quelli derivanti dall’antracene, si può ricordare il 9,10-dimetilantracene e tra quelli derivanti dal fenantrene l’1,2,3,4-tetrametilfenantrene (Figura 5).

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Figura 5. Fenantrene, antracene e loro derivati con attività cancerogena.

I PAH sono sostanze insolubili in acqua e solubili nei lipidi, che passano facilmente attraverso le membrane cellulari. Si trovano nel fumo di sigaretta, nei derivati del petrolio in seguito a combustione, negli scarichi delle automobili, nel fumo prodotto dagli impianti di riscaldamento a gasolio o a carbone, nei fumi delle industrie, nel catrame, nella fuliggine e nei prodotti della combustione di materie organiche. Una delle caratteristiche principali degli idrocarburi cancerogeni è il fatto che essi agiscano nel punto ove sono applicati (azione topica); solo in casi particolari è stata descritta un’azione a distanza. Nell’uomo i tumori indotti da queste sostanze si sviluppano a carico della cute (epiteliomi per lo più spino-cellulari), dell’apparato respiratorio e dell’apparato gastro-enterico. I PAH sono pro-cancerogeni e diventano cancerogeni se le cellule sono in grado di metabolizzarli; il composto attivo è un epossido, che essendo instabile tende ad unirsi con grosse molecole nucleofile come il DNA, le proteine e i lipidi.

Derivati dell’anilina: l’anilina (Figura 6) è il capostipite di una serie di sostanze cancerogene, la cui comune caratteristica è di non agire nel punto di ingresso nell’organismo, ma soprattutto nelle vie di eliminazione producendo carcinomi della vescica. I tumori compaiono nella vescica in quanto è l’organo in cui le sostanze, rese solubili ed eliminate con l’urina, soggiornano per un tempo più lungo. Dal punto di vista istologico, si tratta di carcinomi che partono dall’epitelio di transizione; sono preceduti da un lungo periodo di latenza (fino a 20 anni) e da manifestazioni precancerose (papillomatosi vescicale). Fenantrene Antracene CH3 H3C H3C CH3 1,2,3,4-Tetrametil-fenantrene CH3 CH3 9,10-Dimetil-antracene

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Le prime osservazioni sull’elevata frequenza di questo tipo di tumore sono comparse nell’industria dei coloranti, dal momento che questi venivano inalati dagli operai. L’anilina di per sé è inattiva, mentre sono molto attivi alcuni suoi derivati contenenti due anelli benzenici, sia condensati che non. In particolare, è stata molto studiata l’azione cancerogena dei seguenti derivati dell’anilina: β-naftilammina e benzidina (Figura 6). Queste sostanze non sono cancerogene come tali, ma lo diventano dopo la loro trasformazione in O-amminofenoli. Questa trasformazione avviene nel fegato ad opera del reticolo endoplasmatico liscio. Questi idrossiderivati subiscono, ancora nel fegato, processi di glucuronazione o solforilazione che li rendono solubili e più facilmente eliminabili mediante la via renale. Gli esteri glucuronici o solforici dei derivati cancerogeni passano quindi nell’urina, ed è la vescica l’organo che resta a lungo a contatto con tali sostanze. Nell’urina sono presenti batteri capaci di demolire, attraverso le loro glucuronidasi e solfatasi, gli esteri delle sostanze cancerogene. L’idrolisi quindi libera di nuovo le idrossiammine aromatiche, che, essendo insolubili, tendono a precipitare nella vescica.

Figura 6. Anilina, b-naftilammina e benzidina.

Azocomposti: gli azocomposti sono sostanze che contengono nella loro molecola due atomi di azoto uniti fra loro con legame –N=N–; quelli cancerogeni contengono anche anelli benzenici. La loro caratteristica principale, per quanto riguarda l’azione cancerogena, è la proprietà di determinare soprattutto tumori epatici. Nel fegato gli azocomposti vengono metabolizzati a composti attivi per introduzione di un gruppo ossidrilico e coniugazione con acido solforico.

NH2 Anilina NH2 ß-naftilammina NH2 H2N Benzidina

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Gli azocomposti sono dei coloranti e tra questi abbiamo il rosso scarlatto che contiene la molecola pro-cancerogena 4-amminoazotoluene e il dimetilamminoazobenzene (DAB) (Figura 7). Il DAB, per il suo colore giallo-aranciato, era usato per dare colore alla margarina e alle paste alimentari, proprio per simulare il colore dell’uovo.

Figura 7. Rosso scarlatto e dimetil-ammino-azobenzene (DAB).

Sostanze alchilanti: si definiscono con questo nome sostanze capaci di attaccare gruppi alchilici a determinati composti chimici. Molte di queste sono cancerogene come l’iprite, o dicloroetilsolfuro, le azoipriti, gli epossidi e i nitrocomposti (Figura 8).

L’iprite è stata usata nella guerra mondiale per le sue proprietà vescicanti e necrotizzanti sulla cute e sulle mucose. Sono però ancora più cancerogene le azoipriti, ossia sostanze in cui l’atomo di S dell’iprite è sostituito con un atomo di N, la cui terza valenza è saturata da un radicale alifatico oppure da un gruppo aromatico. Queste sostanze agiscono a carico degli acidi nucleici e della mitosi, che viene bloccata. Le sostanze di questo gruppo, pur essendo cancerogene, hanno caratteristiche radiomimetiche per cui vengono impiegate con un certo successo nella cura stessa dei tumori.

Per quanto riguarda invece gli epossidi, in particolare l’1,2,3,4-diepossibutano e i metansolfonati (Figura 8), la loro attività cancerogena diminuisce col crescere del numero dei gruppi metilenici interposti tra i gruppi epossidici.

Inoltre i nitrocomposti, come la dimetilnitrosammina che produce epatomi e adenomi polmonari in seguito ad una N-demetilazione nel reticolo endoplasmatico liscio delle cellule epatiche, dà origine ad un agente metilante ossia il diazometano e la nitrosometilurea che provoca leucemie, tumori renali, intestinali e cutanei.

N N H3C N N CH3 OH Rosso scarlatto N N N CH3 CH3 Dimetil-ammino-azobenzene (DAB)

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Il meccanismo d’azione delle sostanze alchilanti è legato alla loro capacità di formare ponti alchilici fra molecole polipeptidiche o nucleiniche diverse. Tale proprietà dipende dalla ionizzazione che queste subiscono in acqua [3]

.

Figura 8. Iprite, azoiprite, epossidi e nitrocomposti.

Radiazioni

Le radiazioni cancerogene sono quelle ultraviolette e quelle ionizzanti.

Radiazioni ultraviolette - La radiazione ultravioletta (UV) è una porzione dello spettro

elettromagnetico a corta lunghezza d’onda. I raggi UV si dividono in UV-A (da 400 nm a 315 nm), UV-B (da 315 nm a 280 nm) e UV-C (da 280 nm a 10 nm). Gli effetti delle radiazioni UV sulle cellule comprendono: inattivazione di enzimi, inibizione della divisione cellulare, mutagenesi, morte cellulare e cancro. L’effetto cancerogeno è stato dimostrato solo per radiazioni di lunghezza d’onda compresa fra 290 e 320 nm. L’effetto biochimico più importante delle radiazioni UV è la formazione di dimeri di pirimidina nella catena del DNA, che distorce l’asse del fosfodiestere della doppia elica nella zona

S Cl Cl Iprite CH3 N Cl Cl Azoiprite H2C HC HC CH2 O O 1,2,3,4-Diepossiebutano H3C N C NH2 NO O N-Nitroso-N-metil-urea H3C N H3C NO Dimetilnitrosamina CH3 O2 S O O O2 S CH3 Metansolfonati

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Radiazioni ionizzanti - Le radiazioni X e γ sono parte dello spettro elettromagnetico con lunghezza d’onda di circa 10-8

m e con energia fotonica sufficientemente elevata per eccitare o espellere elettroni dalle loro orbite formando ioni. Le radiazioni ionizzanti inducono un ampio spettro di danni nel DNA: rotture di uno o entrambi i filamenti, ponti tra ed intra-filamento, danni cromosomici, ma anche alterazioni delle basi [7].

Trattamento farmacologico del tumore

La chemioterapia antitumorale si propone di contrastare lo sviluppo del tumore eliminando le cellule neoplastiche. La particolarità di questo tipo di chemioterapia sta nel fatto che non è una cellula batterica, un parassita, che viene attaccato, bensì le cellule dell’organismo stesso, cellule divenute pericolose. Le probabilità di successo di una chemioterapia, saranno tanto maggiori quanto maggiori sono le differenze biologiche esistenti tra le cellule bersaglio e le cellule dell’organismo ospite.

I farmaci antitumorali, in base al loro meccanismo d’azione, si classificano in: • Farmaci ormonali ed antagonisti ormonali:

1. Corticosteroidi: grazie alla loro capacità di inibire la sintesi dei linfociti si usano per il trattamento delle leucemie e dei linfomi;

2. Androgeni: usati per il trattamento del tumore alla mammella e all’ovaio, ma provocano un fenomeno di virilizzazione precoce;

3. Anti-estrogeni: come il tamofixene usato per il trattamento del carcinoma mammario;

4. Progestinici: usati per il trattamento del tumore alla prostata.

• Isotopi radioattivi: le radiazioni ionizzanti sono in grado di danneggiare il patrimonio genetico in modo da impedire la proliferazione delle cellule tumorali. Si utilizzano:

1. Iodio131

: per il tumore alla tiroide; 2. Oro198

: per il tumore epatico; 3. Fosforo32

: per i sarcomi, ossia i tumori ossei;

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• Farmaci a bersaglio: identificano i fattori di crescita come responsabili del tumore per cui inibiscono i loro recettori. La ricerca ha permesso di individuare:

1. Anticorpi monoclonali: come il Trastuzumab e il Cetuximab che sono antagonisti del fattore di crescita dell’epidermide. Il Trastuzumab si usa per il tumore alla mammella mentre il Cetuximab per il tumore al polmone;

2. Inibitori dei recettori dei fattori di crescita per competizione con ATP: come l’Imatinib che si usa per il trattamento dei tumori stromali come quello allo stomaco.

• Farmaci citotossici:

1. Agenti alchilanti: cedono un gruppo alchilico al DNA e/o RNA che si occupano della duplicazione cellulare;

2. Anti-metaboliti: bloccano la sintesi del DNA;

3. Agenti intercalanti: provocano una replicazione difettosa del DNA con conseguente apoptosi;

4. Inibitori delle topoisomerasi: clivaggi del DNA che portano all’apoptosi; 5. Inibitori del fuso mitotico: sono farmaci che impediscono alla tubulina di

formare il fuso mitotico, essenziale per lo svolgimento della divisione cellulare.

Azione citostatica degli antitumorali

Le cellule tumorali si dividono senza sosta per cui tale moltiplicazione cellulare richiede la continua sintesi di acidi nucleici. Su questo aspetto si sono concentrate le ricerche, in quanto l’obiettivo è stato quello di trovare composti che, inibendo selettivamente la formazione di tali acidi o dei loro precursori, siano in grado di arrestare la crescita incontrollata della massa tumorale.

Questi farmaci antitumorali citostatici, ossia che bloccano la crescita di tutte le cellule, non sono però in grado di inibire selettivamente la moltiplicazione delle cellule tumorali, per cui causano effetti collaterali. Questo perché la differenza di attività nei confronti delle cellule cancerose e delle cellule sane è molto bassa anche se l’aumento della sintesi di acidi nucleici e nucleoproteine è in alcuni tumori molto più veloce che nelle cellule normali.

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A tale azione si devono imputare gli effetti avversi estremamente gravi di questi farmaci che si manifestano in modo particolare su altri tessuti in rapida crescita nell’organismo, quali ghiandole sessuali, sistema emopoietico e mucose. Quindi è contro-producente assumere gli antineoplastici citostatici per il trattamento delle malattie infettive in quanto diminuiscono le capacità difensive endogene dell’organismo a causa della loro azione immunosoppressiva [8].

Questi farmaci antitumorali si suddividono in:

• agenti ad azione diretta sul DNA con formazione di legami chimici irreversibili o con formazione di complessi più o meno stabili che influenzano la conformazione dell’acido nucleico e il relativo cambiamento funzionale;

• agenti ad azione indiretta, come gli antimetaboliti, che inibiscono o interferiscono sulla normale sintesi del DNA.

Le molecole di piccole dimensioni che interagiscono direttamente con il DNA, utilizzano tre modalità̀ di legame:

§ Intercalazione;

§ Legame al solco minore; § Legame al solco maggiore.

Nell’intercalazione il legame di una molecola con il DNA determina la distorsione dell’elica, caratterizzata dall’estensione della doppia elica e dal locale srotolamento a livello del sito di attacco. Dal punto di vista chimico, gli agenti intercalanti, sono fondamentalmente caratterizzati dalla presenza di:

• una struttura policiclica aromatica o etero-aromatica planare, che forma un complesso molecolare con le basi del DNA, stabilizzato da legami a idrogeno, forze di Van der Waals ed interazioni idrofobiche;

• gruppi o catene laterali, legate in opportune posizioni del sistema planare, in grado di collocarsi in uno od entrambi i solchi della doppia elica del DNA, realizzando interazioni esterne che possono favorire la formazione del complesso d’intercalazione.

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I leganti al solco minore vengono riconosciuti in base alle seguenti caratteristiche strutturali critiche del solco: ampiezza, profondità e potenziale elettrostatico che dipendono tutte dalla sequenza nucleotidica. L’ampiezza del solco varia da 3-4 Å per i tratti ricchi in AT, fino a oltre 8 Å per quelli ricchi in GC. La profondità del solco è minore per le sequenze GC rispetto ai tratti AT per la presenza dell’ammina esociclica nella guanina. In realtà, il gruppo amminico ha carattere nucleofilo e funziona come sito di riconoscimento e di alchilazione attraverso la formazione di legami a idrogeno. A differenza dell’intercalazione, dove il legame delle molecole induce ampi cambiamenti nella conformazione del DNA, il legame al solco minore è caratterizzato da piccole o non apparenti distorsioni del DNA, spesso accompagnate da cambiamenti nella conformazione della molecola.

I leganti al solco maggiore non si legano selettivamente al solco maggiore, ma principalmente per intercalazione stabilendo così legami ad idrogeno con il solco maggiore. In generale, le intercalazioni con il solco maggiore forniscono qualche grado di specificità per la sequenza, ma l’affinità di legame è dovuta, principalmente, all’intercalazione.

La maggior parte di questi farmaci antitumorali, però, agisce mediante l’induzione dell’arresto del ciclo cellulare o della morte cellulare programmata (apoptosi), indipendentemente dalla struttura chimica o dal meccanismo d’azione.

Le principali classi di farmaci per cui è stato dimostrato sperimentalmente un effetto pro-apoptotico includono:

agenti che danneggiano il DNA, in grado di provocare danni di tipo differente come la formazione di legami crociati inter- o intra-catenari;

inibitori delle topoisomerasi che provocano rotture alla doppia elica del DNA in corrispondenza della sua associazione con le proteine;

agenti intercalanti;

inibitori della formazione del fuso mitotico; inibitori della sintesi del DNA;

antimetaboliti in grado di interferire con i principali circuiti metabolici cellulari

[9]

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In base al loro meccanismo d’azione, i farmaci antitumorali citossici si classificano in tre gruppi principali:

• Farmaci che agiscono sulla duplicazione e/o sulla trascrizione del DNA: 1. Alchilanti (es. Ciclofosfamide);

2. Agenti intercalanti (es. Cisplatino).

• Farmaci che intervengono nella biosintesi degli acidi nucleici e delle proteine necessarie al funzionamento cellulare (anti-metaboliti):

1. Antagonisti dell’acido folico (es. Metotrexato); 2. Analoghi delle pirimidine (es. 5-fluoro-uracile); 3. Analoghi delle purine (es. 6-Mercaptopurina);

• Farmaci che agiscono sul fuso mitotico: 1. Inibitori delle topoisomerasi; 2. Taxani (es. Paclitaxel e Docetaxel);

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DNA-Topoisomerasi

Il DNA non ha una struttura statica, ma è libero di muoversi nello spazio fluido della cellula, per cui è in grado di annodarsi e di avvolgersi su sé stesso. Questa struttura del DNA nello spazio viene controllata e regolata da una classe di enzimi ubiquitari che si chiamano DNA-topoisomerasi.

Questi enzimi sono in grado di catalizzare due tipi di interconversioni topologiche del DNA, fondamentali per la sopravvivenza della cellula: le reazioni di superavvolgimento-rilassamento e quelle di concatenamento-decatenamento. In particolare le DNA-topoisomerasi catalizzano le seguenti reazioni:

• Rottura dello scheletro fosfodiestereo del DNA tramite due successive reazioni di transesterificazione. Durante lo stato di transizione di rottura del DNA si forma un intermedio covalente fra DNA e proteine ossia fra il gruppo idrossilico della tirosina dell’enzima ed un gruppo fosfato nel punto di rottura del DNA.

• Dopo che si è formato l’intermedio topoisomerasi-DNA, esse permettono la separazione delle estremità rotte, creando così un’apertura per un altro segmento di DNA, sia per un filamento, come nel caso della topoisomerasi I, che per due filamenti, nel caso della topoisomerasi II.

• Infine le topoisomerasi uniscono nuovamente con un legame covalente le due terminazioni dei filamenti precedentemente tagliati.

Le DNA-topoisomerasi sono quindi essenziali per i principali processi cellulari, quali replicazione, trascrizione, duplicazione del DNA ma anche compattazione della cromatina e segregazione dei cromosomi.

I tessuti tumorali, le cui cellule sono in attiva e rapida proliferazione, presentano una maggior concentrazione di DNA-topoisomerasi rispetto alle cellule sane, e ciò è stato sfruttato a fini terapeutici. Le DNA-topoisomerasi hanno assunto un'importanza primaria per il trattamento dei tumori in quanto le cellule dei tumori liquidi presentano una maggiore concentrazione di topoisomerasi II rispetto alla I, mentre prevale la I in relazione alla II all’interno delle cellule dei tumori solidi [10].

Molti farmaci antitumorali hanno come “target” specifico questa categoria di enzimi e lo sviluppo di farmaci più efficienti, in grado di superare la farmacoresistenza, è uno degli obiettivi primari della ricerca oncologica e biotecnologica.

(24)

Classificazione

Si distinguono due classi di DNA-topoisomerasi in base al loro meccanismo d’azione ed alle proprietà fisiche [11]

:

• Enzimi di classe I, monomerici, introducono una rottura su un singolo filamento di DNA, rilassandolo di un giro alla volta e cambiando il numero di legame di una sola unità. La reazione in questione non richiede alcun consumo di energia sotto forma di ATP.

• Enzimi di classe II, costituiti da più subunità, che a differenza dei primi introducono dei tagli su entrambi i filamenti di DNA. Attraverso consumo di ATP, il DNA viene srotolato e il numero di legame viene cambiato di due unità.

La caratteristica che accomuna entrambe le DNA-topoisomerasi è l’utilizzo di un ossidrile catalitico fornito da una tirosina che si lega mediante attacco nucleofilo ad un gruppo fosfato del DNA. In questo modo si rompe un legame fosfodiestereo e se ne forma uno fosfotirosinico; mentre per le topoisomerasi I l’energia liberata dalla rottura del legame fosfodiestereo viene usata per compiere il movimento di torsione del filamento legato alla proteina necessario allo srotolamento, per le topoisomerasi II questa energia è fornita dalla scissione di un legame fosfodiestereo di una molecola di ATP, che si lega come un cofattore alla forma inattiva della proteina (Figura 9).

Figura 9. Reazione catalizzata dalle DNA-topoisomerasi [11]

(25)

Ogni reazione di topoisomerizzazione, sia essa dovuta ad enzimi di classe I o classe II, può essere divisa in tre step: il primo prevede la rottura del filamento o dei filamenti e la formazione di un legame covalente tra l'enzima e il DNA; nel secondo si ha il rilassamento o superavvolgimento del DNA; nel terzo ed ultimo momento avviene la saldatura covalente dei filamenti precedentemente tagliati.

DNA-Topoisomerasi I

Tutti gli enzimi della classe I possono essere suddivisi in tre sottofamiglie che differiscono per il loro meccanismo di rilassamento del DNA e per l’origine, procariotica e/o eucariotica [12]

.

Topoisomerasi IA: di origine procariotica, richiedono per la loro azione catalitica la presenza di ioni magnesio e molecole di DNA a singolo filamento. La prima topoisomerasi di questa famiglia fu scoperta da Wang nel 1971 nel batterio di E. coli. Questi enzimi rilassano parzialmente solo i superavvolgimenti negativi e legano covalentemente l’estremità 5’ del filamento tagliato, lasciando l’ossidrile libero in 3’ [13]

. Questa famiglia di enzimi, a sua volta, è suddivisa in ulteriori quattro sottogruppi:

a. Topoisomerasi di tipo I batterica; b. Topoisomerasi di tipo III batterica;

c. Topoisomerasi di tipo III eucariotica, importante nei processi di ricombinazione, riparazione del DNA, mantenimento della stabilità genomica e trascrizione dei geni ribosomiali. Di questa sottofamiglia si conoscono anche i sottotipi III e III ; d. Girasi inversa, enzima non monomerico, presente solo in batteri termofili e

iper-termofili, come il Methanopyrus kandleri. Appartiene a questa classe la topoisomerasi di tipo I dell’E. coli, conosciuta anche con il nome di proteina .

Tutti questi sottogruppi condividono lo stesso meccanismo di rilassamento del DNA conosciuto come “enzyme-bridged strand passage”. Questo modello ipotizza la formazione di una sorta di “cancello” nel complesso covalente DNA-enzima, che porta di conseguenza a cambi conformazionali.

Nella prima fase, la DNA-topoisomerasi di tipo I si lega al DNA attraverso due domini delimitanti la cavità centrale. Nella seconda fase, il dominio contenente la tirosina

(26)

tirosina catalitica lega l’estremità 5’ del filamento tagliato, mentre l’estremità 3’ rimane collegata non covalentemente ad altre parti del ponte proteico. Dopo aver intrappolato il secondo filamento intatto nella cavità del DNA, che già accoglie il filamento tagliato, avviene il terzo passaggio di risaldatura. L’ultima e quarta fase consiste nell’apertura dell’enzima con conseguente fuoriuscita del DNA integro. La DNA-topoisomerasi quindi promuove il rilassamento del DNA controllando il passaggio del filamento intatto attraverso quello tagliato [14]

. In questo modo, il lavoro dell’enzima permette la modifica del numero di legami del DNA di solo una unità per ciclo.

Per quanto riguarda la girasi inversa la sua struttura consiste in 865 amminoacidi ed è suddivisa in tre domini:

1) Il dominio N-terminale, conosciuto come “cleavage-strand passage domain” contenente Tyr319 del sito attivo, la quale consente il taglio di un filamento e la rotazione dell’altro filamento. Questo dominio è parte degli elementi conservati, poiché esso è presente anche negli altri membri di questa sottofamiglia;

2) Il secondo è la regione finger che contiene tre motivi a dita di zinco che legano il DNA. Essi sono importanti durante gli steps in cui avviene il passaggio del filamento (nelle altre classi, questi motivi che legano lo zinco mantengono le stesse funzioni, anche se differiscono per struttura e sequenza);

3) L’ultimo dominio è quello C-terminale, ricco di residui basici, il quale contribuisce al legame con il substrato. Esso conferisce maggiore affinità per le molecole a singolo filamento del DNA. Anche altri membri della sottofamiglia contengono un dominio C-terminale relativamente basico non conservato che, presumibilmente, mantiene la stessa funzione.

Topoisomerasi IB: è un enzima di origine eucariotica e virale che provvede al rilassamento di superavvolgimenti positivi e negativi del DNA. A differenza delle topoisomerasi di tipo IA, queste non richiedono la presenza di ioni metallici, anche se in realtà stimolerebbero la loro attività, né molecole a singolo filamento di DNA come substrato per la reazione, che, al contrario, è rappresentato dal DNA a doppio filamento. Inoltre, a differenza delle topoisomerasi di tipo IA, che rilassano solo superavvolgimenti negativi (con l’eccezione della topoisomerasi III umana che rilassa anche quelli

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superavvolgimento, conducendo a un rilassamento completo; queste ultime legano covalentemente il filamento tagliato alla sua estremità 3’ [14]

.

Gli enzimi di questa famiglia rilassano il DNA tramite un meccanismo di “rotazione

controllata”. Secondo questo modello, la parte della doppia elica non legata

covalentemente all’enzima, che ha la posizione idrossilica in 5’ libera e non è legata al sito catalitico, ruota intorno al legame fosfodiestereo intatto localizzato nella parte opposta al sito di taglio. Questa rotazione non è libera, ma è controllata da interazioni elettrostatiche fra le basi del DNA e gli amminoacidi della struttura dell’enzima [14] [15]

. La DNA topoisomerasi di tipo IB lavora con un meccanismo ATP indipendente: l’energia richiesta per la rotazione deriva da quella accumulata nel superavvolgimento. Per questa ragione, il rilassamento dello stress nella doppia elica superavvolta si verifica tramite uno o più cicli di rotazione controllata [15]

(Figura 10).

Questi enzimi sono molto importanti nei processi di trascrizione e replicazione del DNA poiché essi rilassano i superavvolgimenti positivi che si accumulano sopra la forcella di replicazione [16]

. Il prototipo di questa famiglia è la DNA topoisomerasi I che si trova in tutte le cellule eucariotiche. Questa classe include anche la topoisomerasi I virale, come la Poxyvirus topoisomerasi del Vaccinia virus, la cui presenza è essenziale per il virus per poter cominciare il suo ciclo replicativo e che possiede un’alta omologia nella sequenza degli amminoacidi e proprietà enzimatiche molto simili all’enzima umano. C’è, inoltre, una terza categoria che consiste nella topoisomerasi V procariotica isolata in archeobatteri ipertermofili come il Methanopyrus kandleri, che ha un’attività catalitica simile alla topoisomerasi di tipo I eucariotica, e Vaccinia, ma solo una sottile omologia di sequenza.

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Figura 10. Confronto tra il meccanismo "enzyme-bridged strand passage" nelle

topoisomerasi I e a "rotazione controllata" nelle topoisomerasi IB [16].

Topoisomerasi IC: l’unico membro di questa famiglia è la topoisomerasi V, [17] isolata da

archeobatteri metanogenici. Inizialmente classificata come topoisomerasi di tipo IB, oggi è attualmente considerata come capostipite di una nuova classe da quando è stata riconosciuta la sua funzione di riparazione del DNA, in aggiunta alla sua attività topoisomerasica.

DNA-topoisomerasi I umana: è un enzima di circa 90 KDa e consiste in 765 residui amminoacidici. Recenti studi hanno mostrato che questo enzima forma un anello che circonda il DNA essenzialmente nella sua conformazione B. Strutturalmente (Figura 11) è un monomero che presenta quattro principali domini:

• il dominio NH2-terminale;

• il dominio centrale, chiamato anche core, ulteriormente suddiviso in tre sottodomini distinti;

• il dominio linker;

(29)

Figura 11. Topoisomerasi I umana in complesso con 2sDNA [13].

Sono essenziali per l’attività catalitica il core e il dominio COOH-terminale, mentre gli altri due non sono indispensabili. Questi domini sono organizzati in due lobi che abbracciano e avvolgono i duplex di DNA: il lobo superiore consiste in due sottodomini, I e II del core, mentre il lobo inferiore è formato dal sottodominio del core III e dal dominio COOH-terminale. La forma dell’enzima ricorda quella di una pinza e si può trovare avvolta intorno al DNA in due distinte conformazioni: aperta o chiusa. Nella forma chiusa, o compatta, l’enzima esibisce un poro centrale di circa 15-20 Å (Figura 12) all’interno del quale si dispone il DNA. Il poro ha residui con cariche positive sulla superficie, complementari al potenziale elettrostatico negativo della superficie della doppia elica del DNA. All’interno del poro c’è il sito catalitico della topoisomerasi I, dominio altamente conservato in tutte le topoisomerasi eucariotiche che consiste in una tirosina (Tyr723), due arginine (Arg488 e Arg590) e una istidina (His632). Questo residuo, localizzato nel dominio COOH-terminale, è responsabile dell’attacco nucleofilo al gruppo fosfato del DNA.

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Figura 12. Struttura della topoisomerasi I umana nella sua forma compatta [13].

L’attività della DNA-topoisomerasi I umana prevede quattro steps:

• Legame con il DNA: l’enzima nella conformazione aperta del suo dominio del core riconosce la catena ribonucleotidica e conduce alla conseguente formazione del complesso non covalente DNA- topoisomerasi. Questo legame è direzionato verso la catena polinucleotidica dalla complementarietà fra la struttura e la carica elettrostatica di superficie dell’enzima, e culmina con la chiusura della topoisomerasi I intorno all’acido nucleico, così che i sottodomini I e III del dominio del core possano entrare in contatto;

• Cleavage del DNA: gli amminoacidi del sito attivo sono localizzati in una posizione tale da permettere l’attacco nucleofilo da parte della tirosina 723 a livello del gruppo ossidrilico sul legame fosfodiestereo del DNA, al fine di formare un legame fosfotirosinico e costituire il cleavable complex (“complesso scindibile”) in cui l’enzima è covalentemente legato alla catena tagliata del DNA; • Rilassamento del DNA: l’enzima subisce un cambio conformazionale che

permette il passaggio del filamento integro attraverso la momentanea interruzione dell’altro filamento. L’energia liberata dalla torsione interna del DNA presumibilmente guida la rotazione, la cui velocità è regolata dall’enzima stesso; • Riparazione del DNA: si verifica per trans-esterificazione. L’ossidrile libero in

(31)

legato alla tirosina enzimatica. Successivamente, l’originale legame fosfodiestereo viene ricostituito per cui l’enzima rilascia il DNA [18]

.

In normali condizioni, i complessi non covalenti topoisomerasi-DNA sono transienti e non è possibile rilevarli poiché l’integrità del DNA è energeticamente più favorita rispetto alla rottura. Nonostante questo, il complesso non covalente topoisomerasi-DNA può accumularsi in casi in cui la topoisomerasi I venga bloccata mentre è avvolta intorno al DNA a causa di alterazioni endogene (scissione di basi, accoppiamenti errati di basi, addotti, discontinuità a livello dei filamenti) o di alterazioni della cromatina indotte dal processo di apoptosi [19]

. Normalmente, alla fine del ciclo catalitico, viene rilasciata una molecola di DNA, riducendo il numero di superavvolgimenti. Il DNA può comunque legare l’enzima e subire un ulteriore ciclo catalitico. L’azione catalitica della topoisomerasi I non richiede la presenza di energia in forma di ATP. Infatti, il processo è completamente reversibile poiché l’energia del legame fosfodiestereo scisso resta preservato nel legame fosfotirosinico del complesso covalente topoisomerasi-DNA. Il passaggio di riparazione del DNA, inoltre, avviene solo grazie all’uso dell’energia accumulata nel legame fosfotirosinico.

Durante la replicazione del genoma, la funzione della topoisomerasi I è fondamentale: in sua assenza, il movimento della forcella replicativa sarebbe bloccato a causa dell’accumulo di torsione nel filamento che funge da stampo. Il suo intervento è essenziale anche per il processo di trascrizione e ricombinazione durante la mitosi [20]

.

DNA Topoisomerasi II

La DNA-topoisomerasi II consiste in due o più subunità e catalizza processi simili a quelli relativi alle DNA-topoisomerasi I. Il meccanismo d’azione è diverso da quello degli enzimi di tipo I: le topoisomerasi II causano la rottura di entrambi i filamenti che formano la doppia elica in particolari regioni del DNA favorendo così il passaggio di un’altra doppia elica attraverso questa rottura. Inoltre, la topoisomerasi II riesce a rilassare i superavvolgimenti sia negativi che positivi. La forma di questo enzima è paragonabile a quella di una di una tenaglia (Figura 13).

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Figura 13. Struttura topoisomerasi II [13].

Il taglio dei due filamenti avviene per trans-esterificazione tra una coppia di tirosine e due legami fosfodiesterei affacciati tra loro; queste due reazioni avvengono in maniera concertata. I residui di tirosina sono legati covalentemente alle estremità 5’ dei filamenti interrotti, liberando così i gruppi ossidrilici in posizione 3’. L’idrolisi di ATP induce cambi conformazionali nell’enzima risultanti nella separazione dell’estremità 5’ (legata) dall’estremità 3’ (libera), aprendo un passaggio nella doppia elica tagliata. A questo punto, l’enzima trasporta una intatta elica a doppio filamento attraverso l’apertura creata nella prima doppia elica, che, successivamente, verrà risaldata. Infine, i legami fosfodiesterei si riformano tramite una ulteriore trans-esterificazione [21]

, con risultato di una variazione di due unità nel numero di legami del DNA. La reazione procede solo in presenza di ATP, essenziale per il rifornimento di energia per i significativi cambi conformazionali coinvolti nel meccanismo d’azione dell’enzima.

Le DNA-topoisomerasi II possono essere divise in due sottofamiglie [17], sulla base delle

seguenti differenze strutturali:

1. Topoisomerasi IIA: appartengono a questa famiglia i seguenti enzimi:

a. Topoisomerasi II eucariotica: è un omodimero presente in tutti gli eucarioti. Rilassa il DNA superavvolto sia positivamente che negativamente ed è per questo essenziale durante la separazione dei cromosomi. Inoltre, coopera con la

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processi di replicazione;

b. Topoisomerasi IV o girasi batterica: è un enzima eterotetramerico batterico che sembra essere coinvolto nel processo di separazione cromosomica alla fine del processo di replicazione del DNA. Inoltre sembra essere in grado di introdurre superavvolgimenti negativi tramite una progressiva attività catalitica mediante il meccanismo di inversione del segno.

2. Topoisomerasi IIB: sono state scoperte negli archeobatteri, all’interno dei quali sono ubiquitarie. Attualmente sono state identificate in alcuni classi di batteri e di alghe. Questa famiglia include la topoisomerasi IV (Archaea) e topoisomerasi IIB batterica. Solo recentemente sono state isolate nelle cellule eucariotiche in cui, anche se è stato chiarito il loro ruolo strutturale, non è stata ancora ipotizzata la loro funzione fisiologica.

DNA-Topoisomerasi come targets per farmaci

anti-tumorali

L’attenzione sulle DNA-topoisomerasi negli ultimi anni non deriva soltanto dal fatto che queste proteine giocano un importante ruolo fisiologico in molti processi nucleari per il mantenimento dello stato topologico degli acidi nucleici, ma anche perché esse sono farmacologicamente significative, in quanto possono essere trasformate in tossine cellulari grazie all’azione di uno specifico gruppo di farmaci antitumorali che riesce ad inibire la loro funzione. Nelle cellule dell’uomo la DNA-topoisomerasi I è molto abbondante nei tumori solidi (per esempio, in quelli al colon), mentre la DNA-topoisomerasi II è predominante nei tumori al seno, ovaio e di natura ematologica. I tessuti del tumore, le cui cellule proliferano rapidamente, presentano un’alta concentrazione di questi due enzimi rispetto alle cellule sane.

La possibilità di sfruttare questi enzimi a scopi terapeutici ha spinto i ricercatori a sviluppare molti farmaci con questo preciso meccanismo d’azione. Al momento, le DNA-topoisomerasi hanno assunto primaria importanza nelle ricerche sul cancro e molti farmaci che le inibiscono sono largamente usati nella chemioterapia sull’uomo [21]

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Farmaci inibitori delle DNA-Topoisomerasi

La classificazione degli inibitori delle DNA-topoisomerasi più comunemente usata si basa sull’enzima bersaglio, ossia, sulla capacità di interferire con l’azione della DNA-topoisomerasi Ι o della DNA-DNA-topoisomerasi II:

a. Farmaci attivi sulla DNA-topoisomerasi Ι: la Camptotecina è il più noto inibitore selettivo di tale enzima, attualmente in uso clinico con i suoi derivati semisintetici Topotecan e Irinotecan;

b. Farmaci attivi sulla DNA-topoisomerasi ΙΙ: possono essere intercalanti o non intercalanti del DNA. Tra gli intercalanti ci sono i derivati acridinici (Amsacrina), i derivati antraciclinici (Adriamicina e Daunomicina), le Actinomicine e le Ellipticine; tra i non intercalanti ci sono le Epipodofillotossine e la Genisteina; c. Farmaci anti-topoisomerasi attivi sulla girasi, topoisomerasi IIA batterica: tra

questi, usati nella terapia antimicrobica, i più noti sono i chinoloni, tra cui l’acido nalidissico è il precursore.

I farmaci che inibiscono la DNA-topoisomerasi I agiscono principalmente durante la fase replicativa del ciclo cellulare (fase S), mentre le lesioni causate dalla DNA-topoisomerasi II sono associate alla fase di trascrizione dell’RNA e, quindi, avvengono durante la fase G2 e la fase M del ciclo cellulare (Figura 14).

(35)

I farmaci antitumorali che inibiscono le DNA-topoisomerasi si suddividono in base al meccanismo d’azione in:

• Farmaci di classe Ι: in grado di stabilizzare i complessi covalenti DNA-topoisomerasi mediante la formazione di un complesso ternario DNA-enzima-inibitore reversibile ma cataliticamente inattivo, poiché lo stadio di ricongiunzione dei filamenti del DNA è inibito. La stabilizzazione del complesso covalente topoisomerasi-DNA rappresenta un ostacolo per lo scorrimento delle proteine lungo il DNA, quali le DNA polimerasi, elicasi e RNA polimerasi. Il vero danno si verifica quando avviene la collisione tra il complesso e la forcella replicativa: la rottura reversibile di un filamento del DNA diventa la rottura irreversibile di un doppio filamento e viene così attivata l’apoptosi

[22]

. Spesso questi farmaci vengono definiti “veleni” delle DNA-topoisomerasi in quanto trasformano l’enzima in una potente tossina cellulare. Il capostipite di questa classe è l’alcaloide naturale Camptotecina ed i suoi analoghi semisintetici Topotecan e Irinotecan (Figura 15).

Alla classe dei “veleni” appartengono anche altri farmaci intercalanti, come le Bleomicine, che non agiscono direttamente sulla DNA-topoisomerasi, ma interferiscono con essa intercalandosi tra le basi azotate del DNA e provocando azioni letali per la cellula.

N N O O O HO Camptotecina N N O HO N O O HO Topotecan N N O O N N O O O HO Irinotecan

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Figura 15. Camptotecina, Topotecan e Irinotecan con relativo meccanismo di azione.

• Farmaci di classe ΙΙ: detti anche “soppressori” delle DNA-topoisomerasi, agiscono sul sito catalitico dell’enzima, senza interferire direttamente col complesso covalente, impedendone così il legame con il DNA. La citotossicità deriva dal fatto che non si può avere rilassamento della doppia elica e, quindi, vengono impediti processi che coinvolgono il DNA come la replicazione. Appartengono a questa classe la Shikonina e il β-Lapachone (Figura 16).

Figura 16. Shikonina eβ-Lapachone.

Inibitori della DNA-Topoisomerasi I

Ha suscitato un notevole interesse la Camptotecina, un alcaloide in grado di bloccare il complesso scindibile tra la topoisomerasi I e il DNA. La Camptotecina consiste in un inibitore interfacciale in quanto è in grado di instaurare una rete di ponti idrogeno con residui specifici dell’enzima ed interazioni idrofobiche con le basi del DNA. Questa interazione è stereospecifica, perché solo l’isomero 20(S)-Camptotecina è attivo. Il legame stereospecifico all’interfaccia dell’interazione topoisomerasi I-DNA stabilizza un complesso transiente: questa stabilizzazione prolungata di un intermedio induce una serie

H NH O HN HO Topoisomerasi I 3' 5' 5' 3' 3' 5' 5' 3' O P O O -O H NH O HN

Complesso topoisomerasi I-DNA N N O O O HO 3' 5' 5' 3' O P O O -O H NH O HN N N O O O HO Complesso ternario topoisomerasi I-DNA-inibitore OH OH O OH O Shikonina O O O CH3 H3C ß-Lapachone

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quindi come un inibitore non-competitivo per l’enzima in quanto non agisce in modo competitivo con il substrato, ma solo quando si forma l’intermedio enzima-substrato. Questo composto è stato isolato per la prima volta nel 1966 dalla corteccia della Camptotheca Acuminata, appartenente alla famiglia delle Nyssaceae. Tale pianta, originaria della Cina e del Tibet, era nota fin dall’antichità per le sue proprietà antifungine ed è stata usata come conservante per molti alimenti. L’estrazione della Camptotecina dalla pianta è però difficile, soprattutto per le scarse rese e la bassa solubilità in acqua del composto. L’utilità clinica di questo composto è però limitata a causa della sua tossicità e della bassa solubilità; per questo sono state fatte numerose variazioni strutturali della Camptotecina in modo da migliorarne il profilo farmacocinetico (rapida apertura dell’anello lattonico per dare un composto inattivo e scarsa solubilità) e farmacodinamico (allargare, o anche diversificare, lo spettro di attività rispetto alla tipologia tumorale). Ancora oggi la produzione di molti derivati rimane parzialmente dipendente dalla disponibilità di Camptotecina, poiché la sintesi chimica totale è lunga e costosa, ma anche l’estrazione dell’alcaloide puro dalla pianta risulta essere problematica.

Sono state eseguite modifiche del capostipite Camptotecina (Figura 17) agli anelli A e B per cercare di risolvere il problema della solubilità e modifiche all’anello E per modulare la potenza e la reversibilità del legame. Le modifiche agli anelli A e B hanno condotto a due derivati idrosolubili, Irinotecan e Topotecan, che sono stati introdotti recentemente in clinica per il trattamento del tumore ovarico, del polmone e del colon retto.

N N O R1 R2 R3 O O HO Camptotecina: R1=R2=R3= H Irinotecan: N N O O A B C D E R1= R2= H R3= CH2CH3 Topotecan: R1= OH ; R2 = CH2N(CH3)2 ; R3= H

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Ad essi si sono aggiunti gli omologhi strutturali Diflomotecan e Gimatecan (Figura 18), attualmente in fase II di sperimentazione clinica, in cui l’anello lattonico a sei termini, facilmente idrolizzabile in vivo, è stato sostituito con l’anello omologo a-idrossilattonico, metabolicamente più stabile.

Figura 18. Diflomotecan e Gimatecan.

Recentemente sono stati studiati alcuni composti, a struttura di tipo non camptotecino-simile; fra questi, gli Indolocarbazoli, le Indenoisochinoline e le Fenantridine (Figura 19) rivestono un ruolo di interesse futuro, grazie al loro migliore indice terapeutico.

N N O F O O HO A B C D E F Diflomotecan N N O O O HO A B C D E N O Gimatecan

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Inibitori della DNA-Topoisomerasi II

Gli inibitori delle topoisomerasi II hanno quasi tutti una porzione policiclica aromatica che si può intercalare al DNA e vari sostituenti che si alloggiano nel solco minore della doppia elica; questo significa che questi composti potrebbero interagire anche direttamente con l’enzima. Gli inibitori di questo enzima si possono dividere in due classi:

• Inibitori catalitici: si legano specificamente con l’enzima in modo da agire a livello di differenti stadi del ciclo catalitico;

• Veleni: stabilizzano il complesso covalente topoisomerasi II-DNA.

Gli inibitori catalitici (Figura 20) della topoisomerasi II sono un gruppo di sostanze, eterogenee dal punto di vista chimico, che possono:

a. interferire con il legame topoisomerasi II-DNA: es. Aclarubicina e Suramina; b. stabilizzare i complessi non covalenti topoisomerasi II-DNA: es. Merbarone; c. inibire il legame con l’ATP: es. Novobiocina.

Figura 20. Gli inibitori catalitici agiscono su differenti stadi del ciclo catalitico [23].

L’Aclarubicina (Figura 21) è un agente antineoplastico che appartiene alla classe delle antracicline, che funziona come forte agente intercalante e inibisce il legame topoisomerasi II–DNA. Si tratta quindi un antagonista, analogo dei classici “veleni” della topoisomerasi II come Etoposide, Teniposide e Amsacrina.

(40)

Inoltre l’Aclarubicina ad alte concentrazioni, stimola la formazione di complessi covalenti topoisomerasi I-DNA; mentre a concentrazioni biologicamente rilevanti, inibisce il legame topoisomerasi I-DNA e, perciò, è un antagonista della Camptotecina

[23]

.

Figura 21. Aclarubicina.

La Suramina (Figura 22) è un composto polianionico che, ad alte concentrazioni modula l’attività di numerosi enzimi cellulari, mentre a dosi più basse agisce, preferibilmente, sulla topoisomerasi II e su alcuni recettori dei fattori di crescita. In particolare, la Suramina inibisce l’attività catalitica della topoisomerasi II, inibendo il legame dell’enzima al DNA. O O H3CO O OH OH OH O N(CH3)2 H3CO O O H3CO O O H3CO Aclarubicina O CH2OH O NaO3S NaO3S SO3Na N H O CH3 HN O O NH O H3C N H O SO3Na NaO3S SO3Na Suramina

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Il Merbarone (Figura 23) deriva dalla coniugazione dell’acido tiobarbiturico con l’anilina tramite un legame ammidico. Questo composto è in grado di inibire l’attività catalitica della DNA-topoisomerasi II, con una certa selettività per l’isoforma II . In particolare, il Merbarone non ha effetto né sul legame topoisomerasi II-DNA né sull’idrolisi dell’ATP, ma è un potente inibitore della rottura del DNA mediata dall’enzima [24]

.

Figura 23. Merbarone.

La Novobiocina (Figura 24), che appartiene alla classe delle cumarine, è in grado di: inibire la DNA-topoisomerasi II bloccando il sito di legame dell’ATP, impedire il legame del fattore di trascrizione IIIA al gene 5S RNA e si occupa della dissociazione dei complessi TFIIIA-RNA e TFIIIA- DNA.

Figura 24. Novobiocina.

I veleni della DNA-topoisomerasi II sono una classe eterogenea di composti alla quale appartengono: a. le Epipodofillotossine; b. le Antracicline; c. gli Antracenedioni. H N O NH H N OH O S Merbarone O H2N O CH3 H3C H3CO OH O CH3 O OH O O OH CH3 CH3 Novobiocina

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Le Epipodofillotossine, sono derivati semisintetici della podofillotossina, che viene estratta dalla mandragola. Etoposide e Teniposide (Figura 25) sono strutturalmente simili ed agiscono entrambi inibendo la DNA-topoisomerasi II. Questo comporta la rottura dei filamenti del DNA che avviene ad opera del complesso inibitore-enzima-DNA.

Figura 25. Etoposide e Teniposide.

Le Antracicline (Figura 26), sono antibiotici isolati dallo Streptomyces Peucentius, che vengono attualmente utilizzati anche nella terapia antineoplastica, in quanto presentano tre principali meccanismi d’azione:

• un legame ad alta affinità per il DNA dovuto ad intercalazione che comporta un blocco della sintesi di DNA e RNA, oltre che una scissione dei filamenti di DNA, mediata da modificazioni della DNA-topoisomerasi II;

• un legame alle membrane che ne altera la fluidità e la permeabilità agli ioni; • la trasformazione in un sistema semi-chinonico con la produzione di radicali

ossigeno attraverso un processo enzimatico di riduzione.

OO O H H3C O OH O O O H3CO OCH3 OH Etoposide OO O H O OH O O O H3CO OCH3 OH S Teniposide R1 OH OH O O O R2 OH O O NH2 R3R 4 Antracicline

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Gli Antracenedioni, come il Mitoxantrone e l’Ametantrone (Figura 27), sono composti antracenici caratterizzati da una struttura simile a quella del nucleo antraciclinico e per questo mostrano gli stessi meccanismi d’azione degli antibiotici [24]

.

Figura 27. Mitoxantrone e Ametantrone.

Inibitori duali delle DNA-Topoisomerasi

Gli inibitori delle DNA-topoisomerasi sono una larga classe di farmaci antitumorali che hanno azione su un ampio spettro di tumori maligni, tuttavia l’insorgenza di fenomeni di resistenza a questi farmaci rimane il principale problema clinico, e costituisce la causa più frequente di insuccesso della terapia farmacologica a lungo termine. Lo scopo degli esperimenti oncologici è quindi di capire i meccanismi responsabili di questo fenomeno, per portare allo sviluppo di nuove terapie più efficaci [25].

Data la natura multifattoriale del cancro, quando il trattamento monoterapico non è sufficientemente efficace, si può ricorrere:

• ad un trattamento multifarmaco con problemi di compliance dei pazienti;

• o alla somministrazione di una specialità unica contenente più principi attivi con problemi di biodisponibilità, farmacocinetica o metabolismo.

Per questa ragione, la messa a punto di farmaci con attività duale, o meglio “multitarget” sembra costituire una nuova e promettente strategia terapeutica. Infatti, lo sviluppo di composti capaci di colpire simultaneamente due o più bersagli biologici, dovrebbe portare ad una ottimizzazione del profilo farmacologico, all’assenza di interferenze tra farmaci diversi ed a un regime terapeutico estremamente semplificato. In questo contesto, alcuni studi hanno preso in considerazione la possibilità di ottenere composti capaci di inibire contemporaneamente l’attività di ambedue gli enzimi DNA-topoisomerasi I e

OH OH NH(CH2)2NH(CH2)2OH NH(CH2)2NH(CH2)2OH O O Mitoxantrone Ametantrone H H NH(CH2)2NH(CH2)2OH NH(CH2)2NH(CH2)2OH O O

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È stato ipotizzato che, poiché gli enzimi hanno funzioni complementari e/o sovrapponibili nel metabolismo cellulare, anche composti con livelli di attività non elevati nei confronti di ciascun enzima, potrebbero mostrare un buon spettro di attività antitumorale. Un ulteriore vantaggio potrebbe essere costituito dalla minore incidenza dei meccanismi di resistenza al farmaco. È stato infatti osservato che, in seguito a somministrazione di un inibitore selettivo di ciascun enzima, il sistema cellulare risponde con una up-regulation dell’isoforma non coinvolta, per compensare il danno subito; con conseguente diminuzione di efficacia terapeutica.

La sperimentazione clinica ha inoltre dimostrato che l’associazione di due farmaci con distinta attività, rispettivamente anti-topoisomerasi I o II, si traduce esclusivamente in un aumento della tossicità, con un effetto di antagonismo, piuttosto che di sinergismo. In questo ambito, hanno assunto una certa importanza numerosi composti che, oltre ad esplicare notevoli proprietà anti-proliferative, si sono mostrati efficaci inibitori dell’attività di entrambi gli enzimi DNA-topoisomerasi (Figura 28) [26]

.

Una prima e più ampia categoria include composti che si legano al DNA mediante intercalazione e comprende alcune Acridine (DACA), Piridocarbazoli (Intoplicina), e derivati delle Antracicline (Aclarubicina, Figura 21). Una seconda classe è costituita da molecole ibride preparate unendo inibitori della topoisomerasi I con quelli della topoisomerasi II, come gli ibridi Camptotecina-Epipodofillotossina ed Ellipticina-Distamicina. Una terza classe comprende composti come il Tafluposide, ottenuti eseguendo modifiche strutturali di composti con attività selettiva nei confronti di una o l’altra classe di enzimi.

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Figura 28. Daca, Intoplicina e Tafluposide. N N H O NMe2 Daca H N N HO HN CH3 NMe2 Intoplicina O O O O O O O O O O O OPO3H2 OCH3 H3CO O O O F F F F F F F F F F H H Tafluposide

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Introduzione alla parte

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Le DNA-topoisomerasi sono enzimi che inducono modifiche conformazionali nella doppia elica del DNA durante i principali processi cellulari come la replicazione, la trascrizione, la riparazione e la condensazione della cromatina. Si distinguono due principali classi di DNA-topoisomerasi: quelle di tipo I e quelle di tipo II.

Le DNA-topoisomerasi I risolvono i superavvolgimenti del DNA attraverso la rottura di un singolo filamento, prodotta in seguito ad un legame covalente tra la tirosina del sito attivo e l’estremità 3’ della catena del DNA. L’estremità 5’ libera ruota intorno al filamento intatto e quando il DNA è rilassato, la topoisomerasi I rilascia il sito di legame e viene ristabilita l’integrità della doppia elica.

A questo livello, la DNA-topoisomerasi I risulta essere particolarmente vulnerabile ad opera di un gruppo di composti anti-tumorali chiamati “veleni”, i quali intrappolano reversibilmente il complesso attraverso la loro intercalazione tra le basi di DNA e il sito di scissione, inibendo così la ricongiunzione delle estremità rotte. La collisione tra la macchina replicativa e il complesso intrappolato, porta alla rottura irreversibile del filamento di DNA, con conseguente attivazione dell’apoptosi e arresto del ciclo cellulare. Gli inibitori della DNA-topoisomerasi I sono un gruppo di farmaci anti-tumorali relativamente nuovi, che hanno un ampio spettro di attività sia nei tumori solidi che sanguigni. La Camptotecina I (Figura 29) è stata la prima molecola ad essere classificata come inibitore della topoisomerasi I. I tentativi di migliorare la sua solubilità in acqua e il suo profilo sia tossicologico che farmacocinetico, hanno condotto allo sviluppo di due derivati della Camptotecina idrosolubili, Topotecan II e Irinotecan III (Figura 29) e di altri nuovi composti attualmente sotto sperimentazione clinica.

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