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Studio Minisevo: Trial randomizzato prospettico su due regimi di precondizionamento anestetico in pazienti sottoposti a chirurgia mininvasiva della valvola mitralica.

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DI PISA

Scuola di specializzazione in

Anestesia, rianimazione, terapia intensiva e del dolore

Direttore: Prof. Francesco Forfori

Studio Minisevo: Trial randomizzato prospettico

su due regimi di precondizionamento anestetico

in pazienti sottoposti a chirurgia mininvasiva

della valvola mitralica.

Relatori:

Dott. Paolo Del Sarto

Prof. Francesco Forfori

Candidata:

Dott.ssa Anna Nunziata

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Indice

Indice 2

Capitolo 1 3

1.0 Introduzione 3

Capitolo 2 6

2.0 Meccanismi Di Danno Cellulare: Danno Ischemico-da Riperfusione 6

2.1 Meccanismi Di Protezione 10

2.2 Precondizionamento E Alogenati 12 2.3 Postcondizionamento E Alogenati 21 2.4 Condizionamento Remoto E Alogenati 24

Capitolo 3 28

3.0 Scopo Dello Studio Minisevo 28

3.1 Materiali E Metodi 29 Capitolo 4 34 4.0 Risultati 34 Capitolo 5 42 5.0 Conclusioni 42 Bibliografia 45 Ringraziamenti 56

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Capitolo 1

1.0 Introduzione

Il cuore ha una profonda capacità di adattarsi a severe condizioni di stress e di proteggersi dalle stesse. l precondizionamento miocardico, è quel fenomeno per il quale un intervento o un trigger, applicati prima di un prolungato insulto ischemico al miocardico, possono ridurre l’area infartuata[1].

Il precondizionamento ischemico è stato descritto per la prima volta nel 1986 da Murry e colleghi: in un modello canino, essi hanno dimostrato che quattro brevi periodi di ischemia miocardica della durata di 5 minuti, seguiti da 5 minuti di riperfusione, prima di un prolungato periodo ischemico di 40 minuti, producevano un effetto memoria nei miociti, portando ad una riduzione del 75% delle dimensioni dell’area infartuata. E’ lo stesso principio per il quale nell’uomo, multipli episodi anginosi che spesso precedono l’infarto miocardico, ritardano la morte cellulare dopo occlusione coronarica e perciò permettono un maggior recupero del miocardio attraverso terapia di riperfusione [2]. La fisiopatologia di questo fenomeno è stata successivamente ben descritta [3].

Oltre ad una protezione immediata che si verifica dopo 1-2 ore dallo stimolo precondizionante, si sviluppa una fase protettiva successiva, seppur meno potente, che persiste per 2-3 giorni, nota come precondizionamento tardivo [4]. Inoltre, il miocardio, può anche essere protetto da uno stimolo applicato dopo il danno da ischemia-riperfusione:

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questo fenomeno è chiamato postcondizionamento [5]. Infine, se lo stimolo ischemico per la protezione miocardica è applicato ad un organo o tessuto distante come per esempio un arto, si parla di condizionamento remoto [6].

Dal punto di vista clinico, la possibilità di indurre un precondizionamento farmacologico, dovrebbe aiutarci a raggiungere gli stessi benefici ottenuti con lo stimolo ischemico, ma senza il rischio rappresentato dall’esposizione transitoria ad un’ostruzione del flusso coronarico miocardico. Diversi farmaci sono stati studiati per determinare se possiedano o meno proprietà precondizionanti per il cuore, inclusi gli anestetici alogenati. Gli effetti cardioprotettivi degli anestetici volatili erano noti già prima che Murry e colleghi definissero il concetto di precondizionamento ischemico. Nel 1976, infatti, Bland e Lowenstein osservarono che dopo un breve periodo di clampaggio delle coronarie canine, l’alotano, riduceva le anomalie del tratto ST all’elettrocardiogramma. Anni dopo, Warltier e colleghi hanno dimostrato come il pretrattamento con l’alotano o l’isoflurano migliorasse la funzione sistolica del ventricolo sinistro quando si verificava un evento ischemico. Cason e colleghi, successivamente, hanno osservato come l’esposizione all’isoflurano scatenasse un effetto simile a quello del precondizionamento ischemico attraverso meccanismi cardioprotettivi [7].

Tutti gli studi in merito, hanno quantificato il danno miocardico in base ai livelli di troponina I. I loro risultati hanno mostrato che l’utilizzo di ipnotici alogenati determinano un minore danno cellulare e una migliore performance miocardica. Le conseguenze di questi effetti protettivi sono una riduzione dei giorni di degenza in terapia intensiva associata ad una ridotta morbilità e mortalità. Sulla scorta di questi dati, a fronte di risultati talvolta controversi e non chiari [8], diventa palese la necessità di effettuare ulteriori studi.

Oggetto della tesi è proprio lo studio degli effetti precondizionanti del sevoflurane in pazienti che si sottopongono ad intervento cardiochirurgico di sostituzione/plastica della

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randomizzato, in singolo cieco, per comparare l’effetto cardioprotettivo della somministrazione continua di sevoflurane rispetto all’anestesia intravenosa con propofol.

L’outcome primario era il rilascio della troponina I nelle prime 72 ore del postoperatorio. Abbiamo, dunque, reclutato 31 partecipanti per ogni gruppo. Tutti gli interventi chirurgici sono stati eseguiti con approccio in minitoracotomia destra. I tempi operativi di bypass cardiopolmonare e di clampaggio erano sovrapponibili. Il rilascio della troponina I era leggermente ridotto, anche se non in modo significativo, nel gruppo propofol (p=0.62). Il picco di troponina ha mostrato una correlazione positiva significativa col tempo di clampaggio (p<0.001). Il rilascio di lattati e il livello di pH nell’intraoperatorio e la creatinina nel postoperatorio erano marginalmente più bassi nel gruppo sevoflurane (p=0.68, 0.19 e 0.33 rispettivamente).

In conclusione, l’anestesia con propofol e con sevoflurane sono associate ad un simile danno miocardico, direttamente correlato alla durata di clampaggio, in pazienti che si sottopongono a chirurgia della valvola mitralica con approccio mininvasivo.

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Capitolo 2

2.0 Meccanismi di danno cellulare: danno ischemico-da

riperfusione

Durante l’ischemia cardiaca, non viene più fornita energia al miocardio. Di conseguenza, a livello cellulare, la concentrazione di lattati aumenta, il pH intracellulare si riduce e si verifica una rapida deplezione delle riserve di ATP [9]. I mitocondri, tipicamente, producono ATP all’interno delle cellule cardiache e durante un episodio ischemico necessitano di un alto fabbisogno di ossigeno che comporta un’alta produzione di radicali liberi (ROS). Essi, inoltre, regolano i livelli di ioni intracellulari che sono essenziali nel prevenire processi di danno cellulare, indotti principalmente dall’aumento di concentrazione degli ioni calcio. La perdita dei depositi di ATP causa un severo squilibrio ionico nelle cellule. In primo luogo, si verifica un importante aumento della concentrazione intracellulare di sodio, dovuto alla disfunzione della pompa Na/K ATPasi che innesca, dunque, l’attivazione dello scambiatore di membrana Na/Ca che agisce in senso opposto, riducendo le concentrazioni di sodio intracellulare ma aumentando quelle del calcio. L’aumento di calcio intracellulare è uno dei trigger del danno cellulare attraverso la distruzione della struttura della membrana citoplasmatica, che culmina nella morte cellulare [10].

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In aggiunta agli effetti descritti durante un episodio ischemico, anche la riperfusione causa un sovraccarico di calcio, un’inadeguata sintesi di ATP, una ridotta produzione di ossido nitrico (NO) e stress ossidativo ROS mediato [11]. Infatti, sebbene una pronta riperfusione ristori la DO2 e i substrati richiesti per la produzione aerobica di ATP e normalizzi il pH extracellulare eliminando idrogenioni accumulati, la riperfusione stessa appare avere delle conseguenze dannose. Questo concetto si è fatto strada circa 50 anni fa quando si osservò per la prima volta che la riperfusione accelerava lo sviluppo di necrosi in cuori sottoposti a legatura delle coronarie [12].

Quando il flusso di sangue è ripristinato, c’è un riavvio della respirazione cellulare che comporta un aumento paradosso delle concentrazioni di ATP che, lontanamente da ogni beneficio, è direttamente correlato al danno da riperfusione attraverso l’ipercontrattilità dei cardiomiociti e la distruzione della membrana plasmatica. In aggiunta a ciò, la cellula tenta di mantenere un’omeostasi interna eliminando ioni idrogeno che si sono accumulati ad opera dello scambiatore della membrana plasmatica Na/H, il quale a sua volta, attiva il cotrasportatore Na/HCO3. Entrambi i processi, aumentano i livelli di sodio intracellulari, influenzati nuovamente dai livelli di calcio. La sintesi mitocondriale di ATP è pronta ed attiva le pompe Ca ATPasi (SERCA) che permettono l’entrata di calcio nel reticolo sarcoplasmatico fino a completa saturazione. L’aumento massivo dei livelli di calcio, determina l’attivazione dei recettori rianodinici che partecipano attivamente al danno cellulare e all’apoptosi, espellendo calcio nel citoplasma. Infine, il movimento degli ioni, causa edema e distruzione degli organelli e del citoscheletro cellulare attraverso la creazione di un gradiente osmotico. Questo meccanismo fisiopatologico può essere esteso alle cellule adiacenti mediante gap junction, causando un incremento dell’apoptosi cellulare.

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Figura 1​. Maggiori eventi che contribuiscono al danno da ischemia-riperfusione [13].

Un altro importante meccanismo per spiegare il danno cellulare da riperfusione è la perdita dell’integrità mitocondriale dovuta ad un improvviso cambiamento nella permeabilità di membrana. I principali fattori che producono questa disfunzione mitocondriale sono il

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apertura degli MPTPs (mitochondrial permeability transition pore) che sono correlati alla conduttanza nella membrana mitocondriale interna [14].

Un pH<7.4 riduce la permeabilità di membrana e riduce i livelli di calcio intracellulare; d’altra parte, un pH>7.4, accoppiato ad alti livelli di fosfato inorganico intracellulare e di ROS e a bassi livelli di NO, produce effetti opposti. Sulla base di quanto tempo rimarranno aperti gli MPTPs, si verificheranno i seguenti eventi: meccanismi cardioprotettivi indotti, entrata di ioni e soluti ad alto peso molecolare, rigonfiamento della matrice e perdita del gradiente elettrochimico cellulare critico, idrolisi dell’ATP da parte delle ATPasi fino all’apoptosi cellulare[15].

La combinazione dei principali meccanismi - disfunzione degli MPTP e aumento dei livelli di calcio intracellulari - produce l’attivazione della fosfolipasi A2 e della calpaina (proteasi che richiedono l’interazione col calcio per la propria attivazione e sono inibite durante l’acidosi).

Durante la riperfusione, l’improvvisa normalizzazione del pH e l’aumento dei livelli di calcio e di calpaina collaborano alla distruzione cellulare e causano la disfunzione della pompa Na/K ATPasi che produce l’incremento dei due cationi responsabili del danno cellulare (sodio e calcio) [16].

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Figura 2​. Cascata di eventi nella fisiopatologia del danno da ischemia-riperfusione [13].

2.1 Meccanismi di protezione

Il condizionamento ischemico è quel fenomeno per il quale uno o più episodi di breve ischemia, troppo brevi essi stessi da causare necrosi tissutale, rendono il cuore resistente al danno da ischemia-riperfusione e riducono le dimensioni dell’area miocardica infartuata.

Tre varianti di condizionamento sono state identificate: - precondizionamento ischemico (Murry et al, 1986);

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- condizionamento remoto (Przyklenk et al.,1993);

Ognuna di queste si caratterizza per il timing e il sito sul quale lo stimolo protettivo è applicato (Figura 3).

Figura 3. Diagramma schematico che illustra gli aspetti temporali chiave del precondizionamento,

postcondizionamento e pre-, per- e postcondizionamento remoto. Le linee rosse rappresentano lo

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2.2 Precondizionamento e alogenati

Sono passati esattamente 31 anni da quando Murry e colleghi pubblicarono i loro risultati dello studio pilota sul precondizionamento ischemico (IPC), il quale confermava la capacità dell’IPC di proteggere il miocardio canino da ulteriori episodi di ischemia permanente [2].

Nelle ultime tre decadi, sono stati fatti progressi significativi nella determinazione del meccanismo d’azione e si è cercato di ricreare questo meccanismo protettivo nella pratica clinica. Il precondizionamento ischemico è una sorta di fenomeno endogeno che protegge dall’ischemia. In questo meccanismo, gli organi sono esposti ad un’ischemia subletale, controllata, localizzata e di breve durata che attenua il danno cellulare causato da un successivo evento ischemico prolungato e letale. Inizialmente la maggior parte degli studi sul precondizionamento ischemico erano focalizzati sul miglioramento della resistenza miocardica ad una successiva ischemia. Successivamente l’IPC si è rivelato un fenomeno universale, osservato in vari organi e tessuti inclusi cuore [18], fegato [19], cervello [20], retina [21], rene [22], muscolo scheletrico [23] e intestino [24].

Il meccanismo del precondizionamento ischemico è complesso e non è stato ancora perfettamente spiegato. Ci sono tre principali livelli di trasduzione del segnale: a livello del trigger, della cascata dei mediatori intracellulari e degli effettori [25].

I triggers attivati dall’ischemia rappresentano quegli stimoli chimici come ioni calcio, ROS, specie reattive di nitrogeno, oppioidi, autacoidi come adenosina e bradichinina, neurotrasmettitori e ormoni come acetilcolina, angiotensina e citochine come TNFa, IL6 e prostaglandine, che attivano i propri recettori sul sarcolemma. C’è una chiara evidenza che l’IPC sia principalmente mediato da recettori accoppiati a proteine G. L’attivazione di tali

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Nonostante le vie di segnale intracellulare siano diverse, si ritiene che agiscano tutte verso un bersaglio comune ovvero la PKC, una proteina chinasi Ca2+-dipendente.

Quest’ultima viene attivata direttamente solo dall’adenosina, indirettamente da altre vie di segnale intracellulare che coinvolgono la PI3K (fosfatidilinositolo 3 chinasi) e la NO sintasi. PI3K, infatti, determina la fosforilazione di Akt attraverso chinasi fosfolipidedipendenti. Successivamente, Akt fosforilato attiva l’ossido nitrico sintasi endoteliale (eNOS); l’ossido nitrico (NO) prodotto stimola a sua volta la guanilato ciclasi (GC) a produrre cGMP (Guanosin-monofosfato ciclico) che attiva la proteina chinasi G (PKG). Questa cascata di eventi porta all’attivazione della PKC [26]. Effettori finali di questa cascata, sono gli MPTP (mitocondrial permeability transition pore) e i canali mitocondriali del K-ATP dipendenti (mitoKATP).

Figura 4. Mappa proposta dei principali pathway di segnale implicati nel pre e postcondizionamento [27].

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Gli MPTP sono dei grandi canali, ad elevata conduttanza, situati nella membrana mitocondriale interna e generalmente chiusi in condizioni fisiologiche. Quando, invece, sono aperti per un lungo periodo di tempo, come durante un evento ischemico, dissipano il potenziale della membrana interna e contribuiscono al rigonfiamento della matrice e alla rottura della membrana esterna. Inoltre, causano anche il rilascio del citocromo C nel citosol, attivando così, processi proteolitici e di distruzione cellulare. L’inibizione dell’apertura degli MPTP all’inizio della riperfusione, è il meccanismo per il quale si sviluppa il fenomeno del precondizionamento ischemico. Studi sperimentali hanno dimostrato che l’apertura degli MPTP è inibita all’inizio della riperfusione nei cuori soggetti a precondizionamento e postcondizionamento ischemico. Se tale inibizione sia anche alla base del condizionamento ischemico remoto, non è noto.

L’attuale meccanismo che inibisce l’apertura degli MPTP in seguito a precondizionamento ischemico, non è completamente chiaro. I vari meccanismi possibili proposti, possono essere divisi in due categorie che non necessariamente sono mutuamente esclusive [28]:

1) Pathway passivo: il condizionamento ischemico modula fattori quali stato energetico cellulare, accumulo mitocondriale di calcio e fosfati, stress ossidativo e cambi del pH intracellulare che influenzano la suscettibilità all’apertura degli MPTP.

2) Pathway attivo: il condizionamento ischemico attiva un pathway di segnale che modifica la suscettibilità di apertura degli MPTP e modula gli stessi fattori del pathway passivo. Nell’immagine sottostante sono rappresentati i pathway RISK (reperfusion injury salvage kinase) con i complessi enzimatici PI3K-Akt e MEK1/2-Erk1/2, SAFE (survival activating factor enhancement) col gruppo enzImatico JAK-STAT, infine PKG. Questi pathway attivano dei mediatori a valle come eNOS, GSK-3β, HKII,

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PKC-ε e canali del K-ATP dipendenti che mediano l’effetto inibitorio sull’apertura degli MPTP.

Chiaramente, queste due categorie non sono mutuamente esclusive e possono sovrapporsi, come per esempio PKG e PI3K-Akt che regolano il calcio intracellulare promuovendone l’uptake via SERCA nel reticolo sarcoplasmatico.

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I canali mitocondriali del K-ATP dipendenti, localizzati anch’essi sulla membrana mitocondriale interna invece, rappresentano un complesso multiproteico che consta di due componenti: un recettore per la sulfaniluree e un’unità canale per il potassio [29].

La loro attivazione mediata da NO, PKC e PKG, causa il rilascio di ROS e una successiva apertura del canale che porta ad un flusso di potassio, accompagnato da flusso d’acqua, che si verifica secondo gradiente elettromeccanico e da cui deriva rigonfiamento della matrice.

E’ descritto che il blocco di questi canali con glibenclamide prevenga il precondizionamento miocardico nei cani [30]. D'altra parte, è anche vero che composti che mantengono aperti i canali del K, inclusi aprikalim, bimakalim, pinacidil, nicorandil o diazossido sono cardioprotettivi riducendo le dimensioni dell’infarto quando applicati prima dell’evento ischemico.

I meccanismi d’azione supposti, sono i seguenti [31]:

a) ipotesi del risparmio energetico: l’apertura dei canali K-ATP sarcolemmatici accelera il tempo fino all’insufficienza contrattile durante l’ischemia, in parte a causa dell’accorciamento del potenziale d’azione, che a sua volta porta ad un ridotto influsso di calcio nelle cellule e ad un effetto inotropo negativo. E’ un effetto simil cardioplegico che riduce il potenziale d’azione della membrana cellulare e riduce il sovraccarico di calcio. Si prevede che la diminuzione del consumo di ATP conservi i livelli di nucleotidi intracellulari, dando quindi un effetto anti-ischemico. Questa "ipotesi di risparmio di ATP" è stata postulata nello studio di patch-clamp di Noma, in cui è stato inizialmente identificato il canale cardiaco K-ATP [32]. Inoltre, l’attivazione dei canali del K-ATP mitocondriali durante l’ischemia, mitiga il sovraccarico di calcio [33] preservando l’integrità mitocondriale e il consumo di energia.

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b) protezione dell’integrità mitocondriale: ​Il precondizionamento e l'apertura del canale K-ATP mitocondriale rallentano il metabolismo energetico e proteggono l'integrità mitocondriale durante l'ischemia[34]. Questa idea è che l'entrata di K+ nei mitocondri durante l'ischemia, insieme all'attività di un antiporto K+/H+, favorisca meglio la regolazione del volume della matrice, che regola a sua volta, la fosforilazione ossidativa [35]: l’entrata di K+ rallenta il sovraccarico di calcio all’interno dei mitocondri e ciò preserva lo stato dello spazio intermembrana; ciò ripristina la funzione di accoppiamento tra l’adenina nucleotide traslocasi e la creatinchinasi, così come la formazione di gruppi fosfato ad alta energia ai siti citosolici di utilizzo di ATP [36].Inoltre, questo meccanismo, permette alla membrana mitocondriale di essere permeabile ai precursori dell’ATP per un periodo di tempo più lungo, garantendo la possibilità di continuare a produrre ATP durante episodi ipossici. Sebbene questo paradigma debba essere provato nel contesto del cuore ischemico, mitocondri isolati da cuori precondizionati, hanno, infatti, un elevato tasso di sintesi di ATP [37].

c) altri meccanismi: durante l’ischemia, la riperfusione e il precondizionamento ischemico, una varietà di meccanismi possono influenzare la funzione dei canali del K-ATP e perciò contribuire, direttamente o indirettamente, al ruolo che essi hanno durante questi eventi. I canali del K-ATP possono essere regolati da diverse cascate di segnale, incluse quelle cAMP mediate. Sebbene il cAMP sia stato studiato nel contesto di cuori ischemici per molti anni, il ruolo di questa cascata di segnale sui canali del K-ATP non è ancora ben definito. Un’altra molecola segnale, la PKC, ha un ruolo fondamentale nell’iniziare la protezione in varie forme di IPC. Il meccanismo attraverso il quale la PKC conferisce cardioprotezione è elusivo e può comprendere la preservazione della funzione mitocondriale, la generazione dei ROS e il migliorato sovraccarico cardiaco [38]. I canali del K-ATP sia sarcolemmali che mitocondriali,

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sono stati proposti come effettori del segnale PKC mediato [39]. Dati patch-clamp dimostrano che la PKC attiva i canali K-ATP direttamente e up-regola gli stessi [40]. Gli effettori a valle delle PKC devono essere ancora completamente identificati ed includono le AMPK [41] che hanno dimostrato un ruolo cardioprotettivo nel danno da ischemia/riperfusione e nel precondizionamento ischemico.

Figura 6.​ Funzione dei canali del K-ATP dipendenti [27].

Alcuni di questi pathway appena descritti, sono condivisi dal precondizionamento anestetico con gas alogenati. Gli anestetici volatili isoflurane, sevoflurane e desflurane hanno proprietà protettive sul miocardio. E’ stato ipotizzato che tali proprietà siano dovute alla natura cardiosoppressiva degli anestetici volatili [42]. Questi ultimi producono una riduzione della richiesta di ossigeno riducendo la frequenza cardiaca, la contrattilità miocardica e inducendo un rilasciamento vascolare coronarico [43].

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Così come nel precondizionamento ischemico, anche in quello anestetico, i canali mitoK ATP giocano un ruolo fondamentale.​Sebbene il meccanismo d’azione del precondizionamento anestetico sia stato ben definito, l’esatto pathway che conduce all’attivazione dei mitoK-ATP non è ancora completamente chiaro [44]. E’ stato visto che gli anestetici volatili non aprono direttamente i mitoK-ATP, piuttosto, li inducono ad aprirsi a soglie più basse di ATP. Un importante fattore di questo effetto è la PKC che rappresenta un elemento chiave a monte della cascata del segnale. Questo concetto è stato validato quando fu usato un inibitore della PKC (chelerytrine) e si vide che le proprietà degli anestetici volatili erano completamente bloccate [36]. Un altro pathway usato dagli anestetici volatili è quello mediato dai recettori accoppiati alle proteine G (GPCR). I GPCRs che sono associati al pathway del precondizionamento anestetico sono proteine Gi [45], recettore A1 per adenosina [46], recettore δ1 per gli oppioidi [47]. Il blocco di ciascuno di questi pathways GPCR mediati, abolisce gli effetti benefici degli anestetici volatili. Un ulteriore meccanismo d’azione, è esplicato attraverso l’ossido nitrico e la modulazione della NO sintasi. Effettori di questa via di segnale sono sia la PKC sia la PKG.

Figura 7. Precondizionamento anestetico sui canali mitoKATP attraverso due pathways di segnale che confluiscono sull’attivazione della PKC [44].

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Le specie reattive dell’ossigeno, ROS, sono rilasciate durante la riperfusione del tessuto ischemico. Tali ROS danneggiano le proteine e deprimono la funzione contrattile del miocardio. Nel precondizionamento ischemico è stato visto che piccoli rilasci di ROS triggerano l’apertura dei canali mitoKATP. Ambrosio et al. hanno dimostrato che gli anestetici volatili e gli oppioidi, stimolano un piccolo rilascio di ROS che innesca eventi di segnalazione a valle che inducono a loro volta protezione miocardica [48].

Figura 8.​ Precondizionamento anestetico: ruolo dei ROS [44].

Come discusso col precondizionamento ischemico, c’è una seconda finestra di protezione che si verifica dopo il classico pathway. Questa seconda finestra o risposta tardiva, è descritta anche nel precondizionamento anestetico. Essa è importante perché fornisce protezione al miocardio da 12 a 72 ore dopo la dose iniziale di gas anestetico.

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dall’attivazione dei canali mitoKATP con la differenza che in questo caso, non c’è una stimolazione recettore mediata, piuttosto una trascrizione genica temporanea che permette ai mitoKATP di essere più suscettibili all’apertura [49]. Nel 2013, Qiao et al, hanno descritto i meccanismi fondamentali del precondizionamento tardivo nel cuore di ratti. Questi meccanismi includono l’attivazione di NFkB, la regolazione dell’autofagia e l’attenuazione dell’espressione del TNFα, IL-1β e caspase 3 [50]. A tal proposito, i gas alogenati attenuano sia l’attivazione di NFkB che la sua espressione genica, la quale regola l’infiammazione durante la riperfusione. L’uso di sevoflurane induce le cell NK ad agire come trigger e mediatori regolando le proteine apoptotiche Bcl2 durante il periodo di precondizionamento e le proteine infiammatorie ICAM1 e TNFα durante il periodo di riperfusione [51].

2.3 Postcondizionamento e alogenati

Il postcondizionamento (PostC) è definito come piccoli episodi di ischemia-riperfusione all’inizio del processo di riperfusione. Il PostC riduce il danno causato dal ripristino del flusso ematico cellulare, causato dalla lenta progressione nel lavaggio dei metaboliti prodotti durante l’ischemia e dalla normalizzazione del pH, prevenendo così o riducendo le lesioni risultanti da questo processo [52].Il postcondizionamento è correlato ad una significativa riduzione delle dimensioni dell’infarto in studi sperimentali sia su modelli animali sia umani [53]. Nel 2003 Zhao e colleghi [54], hanno introdotto il concetto di postcondizionamento in uno studio condotto su cani. Gli animali erano divisi in tre gruppi. Il primo gruppo era il gruppo PreC nel quale l’arteria discendente anteriore sinistra (LAD), veniva occlusa per 5 minuti. Era poi applicata la riperfusione per 10 minuti. Infine, la LAD veniva clampata per 60

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minuti. Nel secondo gruppo, PostC, si occludeva la discendente anteriore per 60 minuti, dopodiché, all’inizio della riperfusione, venivano applicati 3 cicli di ischemia-riperfusione di 30 secondi ciascuno. Il terzo gruppo era quello di controllo nel quale veniva praticato solo l’evento ischemico della stessa durata dei gruppi precedenti. In ogni gruppo fu analizzata l’area infartuata e risultò che questa era simile nei gruppi PreC e PostC, con differenze significative comparate al gruppo di controllo. Zhao e colleghi conclusero che il postcondizionamento è efficace almeno quanto il precondizionamento nel ridurre l’area ischemica e proposero la necessità di ulteriori studi per valutare questo meccanismo di protezione miocardica in differenti tipi di chirurgia. Il meccanismo attraverso il quale questo beneficio è prodotto, fu correlato inizialmente alla riduzione dei radicali liberi, dei mediatori dell’infiammazione e del calcio mitocondriale, così come ad un miglioramento della funzione endoteliale. Fu successivamente osservato che il meccanismo effettore del PostC è correlato all’attivazione di pathway enzimatici che sono implicati anche nel precondizionamento.

L’attivazione dei recettori dell’adenosina, bradichinina e oppioidi, è determinante per l’inizio del postcondizionamento. I pathway intracellulari di secondi messaggeri, così come per il precondizionamento, includono il RISK e il SAFE pathway. Ed anche in questo caso, la cascata di trasduzione del segnale converge sull’inibizione degli MPTPs e sull’apertura dei mitoKATP.

E così come per il precondizionamento, anche il postcondizionamento, può essere indotto da anestetici alogenati. Lemoine e colleghi hanno comparato il postcondizionamento indotto da desflurane nel tessuto atriale di pazienti diabetici e non, somministrando dosi crescenti di desflurane. L’effetto positivo del farmaco era in parte ridotto dai cambiamenti dei recettori adrenergici della popolazione diabetica [55]. Inoltre, nel post condizionamento indotto da desflurane, la PKC gioca un ruolo fondamentale poiché attiva numerosi pathway,

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meccanismi attivati da questo farmaco in quanto il suo blocco, causa la scomparsa del postcondizionamento indotto da desflurane [56].

Recentemente, Lemoine e colleghi hanno illustrato i meccanismi di apertura dei mitoKATP e di inibizione degli MPTPs in risposta al post condizionamento con sevoflurane e desflurane: l’attivazione di recettori accoppiati a proteine G inclusi recettori beta adrenergici, per adenosina e per bradichinina, in risposta allo stimolo post condizionante di sevoflurane e desflurane, porta all’attivazione di proteine G (Gi o Gq), che attivano a loro volta PKC ε e

MAPK. L’attivazione della PKCε induce l’apertura dei mitoKATP che, in questo modo, stimolano

la respirazione cellulare e riducono il sovraccarico di calcio. In risposta al post condizionamento

anestetico, il sovraccarico di calcio nella matrice mitocondriale è ridotto. Alla riperfusione,

dunque, il carico di calcio è minore, il livello di ATP è preservato e la produzione di ROS è ridotta:

ciò causa inibizione dell’apertura degli MPTP, prevenendo il rilascio del citocromo C, dunque

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Figura 9.​ Rappresentazione schematica del postcondizionamento anestetico [57].

2.4 Condizionamento remoto e alogenati

Nel 1993, Przyklenk e Whittaker, estesero il concetto di precondizionamento ischemico mostrando che brevi periodi di occlusione-riperfusione regionali in un letto vascolare del cuore proteggevano non solo il territorio interessato, ma anche altre parti del miocardio [58]. Da allora, gli studiosi hanno ricercato modelli più convenienti di precondizionamento, noti come condizionamento ischemico remoto (RIC). E i primi risultati furono confermati da eventi ischemici indotti nel rene e nel mesentere [59]. Sebbene questa scoperta fosse

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periodi ischemici [60] per cui non sono candidabili per un’applicazione clinica in questo contesto. Ulteriori progressi nel campo del RIC provengono dall’utilizzo di muscolo scheletrico come stimolo ischemico. Nel 2002, Kharbanda e colleghi, riprodussero un RIC occludendo con un tourniquet il flusso ematico di una zampa posteriore di un modello sperimentale porcino [61]. Il precondizionamento ischemico remoto miocardico, rappresenta dunque, un meccanismo attraverso il quale un’ischemia transitoria in territori vascolari distanti, aumenta la resistenza dei cardiomiociti verso un’ischemia coronarica prolungata e il danno da ischemia-riperfusione [62].

Lo stimolo ischemico remoto attiva tre principali pathway di protezione al fine di trasferire lo stimolo remoto all’organo effettore [25].

I meccanismi molecolari che contribuiscono al RIC sono complessi e rimangono ancora non completamente chiariti [27]. In breve, l’ipotesi corrente è che il precondizionamento remoto induce una risposta neuro-ormonale che a sua volta innesca una cascata di effetti a valle. L’evidenza di una componente neurale deriva da recenti osservazioni sul fatto che il pretrattamento di animali con il bloccante gangliare esametonio, abolisce l’effetto cardioprotettivo di una transiente ischemia mesenterica [63]. Successivi studi hanno dimostrato che la transezione del nervo femorale ipsilaterale [64] o la vagotomia cervicale bilaterale [65], aboliscono la cardioprotezione indotta dall’ischemia di un arto. D’altra parte, una stimolazione diretta del nervo femorale [66] o di nervi sensitivi [67] all’interno di un arto, inducono cardioprotezione. Comunque ci sono anche molti dati controversi sul coinvolgimento neuronale nel RIC. La conseguenza di ogni stimolo nervoso, quando localizzato all’arto o ai gangli cardiaci, è il rilascio di sostanze cardioprotettive nel torrente circolatorio [68]. Questi includono chemokine SDF-1a, ribonucleasi-1, leucotrieni e microRNA 144. L’esatto meccanismo attraverso il quale questi mediatori sono rilasciati e la loro importanza relativa, deve essere ancora pienamente compresa. Ancora, l’effetto ultimo sui

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cardiomiociti è l’induzione della risposta chinasica protettiva [69] e la modifica dell’apertura degli MPTPs [70], così come osservato nel fenomeno del pre e del postcondizionamento. Diversamente da questi ultimi, il RIC sembra avere effetti aggiuntivi pleiotropici che modificano i pathway implicati nella risposta acuta e cronica al danno da ischemia-riperfusione, contribuendo inoltre al miglioramento della funzione vascolare endoteliale, alla riduzione dell’aggregazione piastrinica e ad un significativo effetto anti-infiammatorio che si presenta precocemente con una ridotta adesione dei neutrofili e tardivamente con una riduzione dell’infiltrazione infiammatoria cellulare e una riduzione del rimodellamento.

Figura 10. Diagramma delle differenti fasi e i rispettivi meccanismi fisiopatologici implicati nel precondizionamento ischemico remoto [62].

Nonostante il condizionamento remoto di un arto rimanga una strategia attraente e di facile esecuzione, ad oggi ci sono dei dati non confortanti nell’ambito della cardiochirurgia. Tre studi multicentrici (ERICCA, RIPHeart, CIRCUS) non sono riusciti a dimostrare il miglior outcome a breve e lungo termine in casi di condizionamento remoto ad un arto , cui seguiva

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remoto dell’arto non migliora l’outcome clinico in questo contesto chirurgico [71]. Una spiegazione plausibile della mancanza di protezione è l’utilizzo di anestesia con propofol in quasi tutti i pazienti studiati [72]. Infatti il propofol non è più cardioprotettivo dell’isoflurano ed inoltre abolisce l’effetto protettivo indotto dal condizionamento remoto nei pazienti che si sottopongono a CABG [73]. A questo punto, sembra perciò prematuro abbandonare la cardioprotezione indotta dal condizionamento remoto, non solo nell’infarto miocardico dove ci sono risultati positivi disponibili [74], ma anche in chirurgia cardiaca fino a quando non avremo evidenza di beneficio o meno di RIC in trials dove l’isoflurane rappresenterà l’anestetico di scelta.

Capitolo 3

3.0 Scopo dello studio Minisevo

Ogni anno, oltre un milione di pazienti si sottopongono a chirurgia cardiaca [75]. Nonostante i progressi nel campo della protezione miocardica e della gestione perioperatoria, la morbilità e la mortalità sono ancora rilevanti. Il danno miocardico è fortemente correlato alla CEC e all’arresto cardioplegico. Ne deriva un crescente interesse nello studio di farmaci, procedure e tecniche che possano ridurre il danno ischemico, correlato col rialzo delle troponine I, l’aumento delle quali è inversamente correlato con la sopravvivenza a breve e lungo termine [76]. Sia il sevoflurane che il propofol sono anestetici coinvolti nel meccanismo del precondizionamento [77-78]. Il sevoflurane può ridurre il danno

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da riperfusione attraverso l’attenuazione del sovraccarico cellulare di calcio [79] laddove le proprietà antiossidanti del propofol riducono il danno miocardico ossidativo secondario alla formazione di ROS durante la riperfusione [80]. Comunque rimane ancora da vedere se un regime sia superiore all’altro [81]. La maggior parte degli studi condotti in merito, includevano popolazioni eterogenee ( per es. patologie cardiache di base differenti, tecniche operative differenti) e con diversi elementi confondenti (per es. diabete e/o precedenti episodi ischemici) [82]. Per questo motivo, i pazienti con insufficienza mitralica organica, senza patologia coronarica, possono rappresentare un substrato ideale ove investigare gli effetti di un potenziale agente precondizionante. Inoltre, l’approccio mini-invasivo alla valvola mitralica è associato con un tempo ischemico prolungato [83] e può esporre il paziente ad un significativo danno da ischemia-riperfusione. Lo scopo di questo studio è di determinare se l’anestesia condotta con sevoflurane conferisce cardioprotezione maggiore rispetto a quella condotta con propofol in pazienti che si sottopongono ad intervento in elezione di plastica/sostituzione valvolare mitralica con approccio in minitoracotomia destra.

3.1 Materiali e metodi

Lo studio Minisevo è un trial controllato e randomizzato, in singolo cieco, in un singolo centro. I partecipanti sono stati randomizzati in un gruppo che faceva sevoflurane ed in un altro che faceva propofol con rapporto di 1:1.

Candidati eleggibili per lo studio erano maggiorenni che si sottoponevano a chirurgia della valvola mitralica in minitoracotomia destra in elezione e per la prima volta. I partecipanti

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Anche i pazienti con diabete mellito, insufficienza renale cronica dialisi dipendente, fibrillazione atriale o allergia documentata al propofol o al sevoflurane, erano esclusi.

Lo studio è stato condotto presso l’Ospedale del cuore “G. Pasquinucci”, Fondazione Toscana G. Monasterio, Massa, Italia, centro specializzato in chirurgia cardiaca. Lo studio è stato approvato dal comitato etico dell’area vasta Toscana (rif. CEAVNO No. 452/14).

I beta bloccanti e altri farmaci rilevanti erano continuati fino al giorno dell’intervento in tutti i pazienti. I pazienti erano monitorizzati con ECG 5 derivazioni, arteria radiale sinistra per la pressione arteriosa cruenta, capnografia, pulsossimetria, temperatura ematica e vescicale. L’ecografia transesofagea era eseguita in tutti i pazienti. Sia il propofol che il sevoflurane erano somministrati mantenendo un valore di BIS (BIS XP ®, Aspect Medical System, Newton, MA) compresi tra 40 e 60.

Gruppo propofol: questo gruppo prevedeva un’induzione con propofol 2 mg/kg, sufentanil 0,3-0.4 mcg/kg e una miorisoluzione con rocuronio bromuro alla dose di 0.6-1 mg/kg.

Il mantenimento era garantito dalla somministrazione di propofol ad un dosaggio di 2-5 mg/kg/h, sufentanil 0,5-2 mcg/kg/h e rocuronio 0,075-0,1 mg/kg a boli refratti.

Nessun anestetico volatile era utilizzato durante tutta la procedura.

La sedoanalgesia in terapia intensiva era garantita dalla somministrazione di propofol 2 mg/kg/h e da morfina 0,01 mg/kg/h.

Gruppo sevoflurane: questo gruppo prevedeva un’induzione con midazolam 0.1-0.2 mg/kg, sufentanil 0,3-0,4 mcg/kg e una miorisoluzione con rocuronio bromuro alla dose di 0,6-1 mg/kg. Il mantenimento era garantito dalla somministrazione di sevoflurane raggiungendo una MAC di 0,6-1. Durante la circolazione extracorporea, il sevoflurane era

(31)

erogato via vaporizzatore direttamente al circuito ossigenatore e la MAC e la percentuale di sevoflurane espirato erano campionati all’uscita dell’ossigenatore.

L’approccio chirurgico era in minitoracotomia destra con una cannulazione aortica centrale ed una cannulazione venosa percutanea, preferibilmente attraverso la vena femorale destra. Una piccola incisione di 5 cm era praticata a livello del quarto spazio intercostale destro. Altre due entrate erano utilizzate per l’inserzione dell’ottica, il posizionamento del vent, l’insufflazione di CO2 e le suture di sospensione del pericardio. Dopo l’inizio della circolazione extracorporea, l’aorta veniva clampata sotto visione diretta e veniva somministrata una cardioplegia cristalloide fredda anterograda (CUSTODIOL® Bretschneider’s HTK-Solution, DR. FRANZ KÖHLER CHEMIE, Bensheim, Germany) al dosaggio di 25 ml/kg.

La valvola mitrale era dunque esposta attraverso una atriotomia parasettale sinistra. Il riparo della valvola mitralica veniva eseguito in base al meccanismo di insufficienza, secondo la classificazione di Carpentier.

L’outcome primario era il danno miocardico, quantificato con il dosaggio delle troponine I sieriche (cTnI) prelevate ad intervalli di tempo stabiliti.

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Figura 11.​ Schema riassuntivo dei prelievi.

L’outcome secondario era la valutazione dello stress metabolico sistemico in base ai lattati, al pH ematico e al livello sierico di creatinina; altri outcome clinici includevano il tempo di ventilazione meccanica, la durata della degenza in terapia intensiva e i cambiamenti della funzione ventricolare sinistra. I campioni ematici per la misurazione dei lattati e del pH erano prelevati prima e durante la CEC, a 20 e 40 minuti e alla fine della chirurgia. La funzione ventricolare sinistra era valutata preoperatoriamente ed entro il quarto e il sesto giorno post operatorio. La valutazione della funzione sistolica era misurata con metodo Simpson con l’ecografo iE33 Philips Healthcare.

La troponina cardiaca era misurata il giorno prima dell’intervento (livello basale) e altre sei volte dopo l'esposizione agli anestetici precondizionanti.

Abbiamo calcolato un campione di 60 pazienti (30 per ogni gruppo). Assumendo un’analisi di varianza e di covarianza, la grandezza di questo campione può rilevare al 90% una differenza standardizzata di 0,43 nei markers sierici trai i gruppi, purché non ci siano interazioni tra i due gruppi e tra le patologie. Se ci fosse un’interazione, il campione di grandezza di 60 può rilevare all'80% una differenza standardizzata di 0,55 nei markers sierici tra i gruppi.

(33)

La randomizzazione dei pazienti era generata dal computer.

I partecipanti erano in cieco poiché l’intervento era effettuato in sala operatoria senza segni visibili di regimi di precondizionamento anestetico. Data la natura dello studio, lo staff di sala operatoria era a conoscenza del tipo di protocollo utilizzato.

Gli outcomes continui erano riassunti e presentati graficamente come medie geometriche ed errori standard; la trasformazione nel logaritmo naturale era applicata ai dati per normalizzare la loro distribuzione. I dati per categoria erano riassunti come dati percentuale. La troponina I e gli altri markers erano analizzati mediante montaggio a più livelli di modelli di regressione lineare (variabile continua misurata in diversi tempi).

La validità dei modelli era confermata. I risultati analizzati su scala logaritmica sono stati trasformati nella scala originale dopo che l’analisi e i risultati erano presentati come rapporti medi geometrici (GMR). Il test di rapporto di coerenza era utilizzato per determinare la significatività statistica. L’effetto della lunghezza del clampaggio sul rilascio delle cTnI era indagata con l’analisi di correlazione di Pearsons. Nessuna analisi di sottogruppi era programmata. Il trial non è potente abbastanza da rilevare le differenze negli outcomes clinici. Tutte le analisi erano effettuate in R-project.

(34)

Capitolo 4

4.0 Risultati

Tra marzo 2015 e dicembre 2016, 225 pazienti sono stati valutati per l’inclusione nel trial e 160 di questi sono stati esclusi. Dopo la randomizzazione, 3 pazienti sono stati esclusi a causa del concomitante intervento di riparazione di valvola tricuspidalica e di ablazione di fibrillazione atriale. Ci sono state 2 violazioni al protocollo: un paziente arruolato nel gruppo propofol ha ricevuto sevoflurane e un paziente arruolato nel gruppo sevoflurane ha ricevuto anche propofol. In un paziente del gruppo sevoflurane, la minitoracotomia è stata convertita a sternotomia per insuccesso nel riparo della valvola mitralica. Questi pazienti sono stati comunque inclusi per intention-to-treat, per cui 62 partecipanti sono stati inclusi nell’analisi.

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Tabella 1​. Partecipanti allo studio.

L’età media della popolazione era 64.7±11.9 e 28 su 62 (45,1%) erano di sesso maschile.La mediana del rischio chirurgico calcolato con l’Euroscore era 3,7. Casualmente, i

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partecipanti del gruppo propofol erano più anziani (età media 68.3±9.5 contro 60.7±12.5) del gruppo sevoflurane. Il resto delle caratteristiche dei partecipanti è descritto nella tabella 2.

Age (year)

Male

Body mass index

Creatinine (mg/dl) Logistic Euroscore Smoker/Ex smoker Hypercholesterolemia Family history Systemic Hypertension >55 mmHg Previous Stroke/TIA Propofol (n=31) 68.3±9.5 15 (48.3) 24.7±3.5 0.89±0.2 3.5 (4.1) 1 (3.2) 4 (12.9) 6 (19.3) 8 (25.8) 1 (3.2) Sevoflurane (n=31) 60.7±12.5 13 (41.9) 24.9±3.3 0.78±0.2 3.2 (4.3) 1 (3.2) 6 (19.3) 4 (12.9) 6 (19.3) 0 Totale (N=62) 64.7±11.9 28 (45.1) 25.2±3.4 0.83 (0.27) 3.7(5) 2 (3.2) 10 (16.1) 10 (16.1) 12 (19.3) 1 (1.6)

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Pulmonary Hypertension

LV function<50%

LV function>50%

NYHA I-II

NYHA III

Degenerative mitral regurgitation

Isolated posterior

Isolated anterior

Anterior and posterior

3 (9.6) 3 (9.6) 28 (90.3) 25 (80.6) 6 (19.3) 20 (64.5) 5 (16.1) 6 (19.3) 4 (12.9) 4 (12.9) 27 (87) 27 (87) 4 (12.9) 18 (58) 4 (12.9) 8 (25.8) 7 (11.2) 7 (11.2) 55 (88.8) 52 (83.9) 10 (16.1) 38 (61.3) 9 (14.5) 14 (22.5)

Tabella 2.​ I valori sono presentati come mediana, media ± DS o n (%).

Il tempo totale di CEC e clampaggio sono simili in entrambi i gruppi ( 139.7±40.5 vs 141.2±38.7 e 90.3±31.5 vs 94.3±28.5, gruppo propofol e sevoflurano rispettivamente).

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Tutti i pazienti hanno ricevuto una cardioplegia cristalloide fredda. La media di MAC con sevoflurane è stato 1.2±0.2. La media del dosaggio di infusione di propofol è stato 2.6±0.7 mg/kg/h. Tutti i pazienti eccetto uno, hanno avuto ottimo risultato chirurgico, in assenza di insufficienza valvolare residua all’eco transesofageo di controllo.

La concentrazione di troponine preoperatorie è minima in entrambi i gruppi (<0,01 ng/dl). Non c’era differenza statisticamente significativa nei confronti dell’outcome primario: la concentrazione di cTnI aumentava in seguito al picco chirurgico delle 6 ore ed era più basso dell’ 8% nel gruppo propofol (GMR, 0.92; 95% intervallo di confidenza, 0.63-1.27; p=0.62).

Il picco del rilascio delle troponine (a 6 e 12 ore) ha mostrato una correlazione positiva significativa (p<0.001) col tempo di clampaggio in entrambi i gruppi.

Figura 12.​ Andamento delle troponine nel tempo.

I livelli postoperatori di lattati, di pH ematico e di creatinina erano marginalmente più bassi nel gruppo sevoflurane (GMR, 1.12; 95% CI, 0.92-1.23; p=0.68; Differenza Media MD 0.02, 95% CI, -0.02, 0.04; p=0.19; GMR, 1.13; 95% CI, 1, 1.19; p=0.33). (Figura 13).

(39)

Figura 13.​ Concentrazioni nel tempo di Troponina I (A), lattati (B), pH (C ) , creatinina (D).

Il tempo di ventilazione meccanica era leggermente inferiore nel gruppo del sevoflurane (497 min (460) vs 589 min (285). Comunque il tempo di degenza in terapia intensiva era simile nei due gruppi: 1186 min (176) vs 1215 min (122), 8 days (3) vs 8 days (2), gruppo propofol e sevoflurane rispettivamente.

La frazione di eiezione media del ventricolo sinistro del pre e del post-operatorio era rispettivamente 58.2±6.8 e 50±5.7 % nel gruppo propofol e 59±7.9 e 50±10.3 nel gruppo sevoflurane.

Non ci sono state morti in ospedale. Un paziente del gruppo sevoflurane è stato revisionato per sanguinamento senza necessità di conversione a sternotomia. Il resto degli

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rigurgito mitralico residuo più che lieve o completamente assente. Non si è verificato nessun evento avverso inaspettato.

Mechanical ventilation time(min)

LOS ICU (min)

LOS total (day)

N of patients requiring inotrops/vasoconstrictors

N of patients transfused

In hospital death

De novo Atrial Fibrillation

AV block requiring temporary pacemaker

AV block requiring permanent

Propofol (n=31) 589(285) 1186 (176) 8 (3) 12 (38.7) 3 (9.6) 0 3 (9.6) 3 (9.6) 1 (3.2) Sevoflurane (n=31) 497(460) 1215 (122) 8 (2) 11 (35.4) 5 (16.1) 0 5 (16.1) 4 (12.9) 0 Totale (N=62) 572 (367) 1200 (120) 8 (2) 23 (37) 8 (12.9) 0 8 (12.9) 7 (11.2) 1 (1.6)

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pacemaker

Post-operative MI

Reopening for bleeding

Stroke/TIA

Delirium

Pnx or effusion requiring drain

Wound dehiscence

Groin access complication

0 0 0 1 (3.2) 1 (3.2) 2 (6.4) 1 (3.2) 0 1 (3.2) 0 0 2 (6.4) 0 1 (3.2) 0 1 (1.6) 0 1 (1.6) 3 (4.8) 2 (3.2) 2 (3.2)

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Capitolo 5

5.0 Conclusioni

Ad oggi, questo rappresenta il primo studio che compara l’effetto del propofol e del sevoflurane come agenti precondizionanti in una popolazione specifica di pazienti che si sottopongono a riparo della valvola mitralica con approccio mininvasivo.

Se da un lato, diversi studi hanno dimostrato un miglioramento nell’outcome postoperatorio, inclusa una riduzione delle troponine in pazienti che si sottoponevano a chirurgia cardiaca e ricevevano anestetici volatili [84], dall’altro, non ci sono dati univoci in studi equivalenti in popolazioni meno eterogenee (es. pazienti sottoposti a chirurgia mitralica e/o assenza di “naturale” precondizionamento ischemico) [85-86].

La maggior parte degli studi sul precondizionamento anestetico sono stati fatti nel contesto della chirurgia coronarica. Ed anche in questo caso, molti elementi confondenti erano presenti: diabete mellito, precedente angina, miocardio ibernato, microembolizzazione coronarica, no-reflow, ipercolesterolemia [87].

Sulla scorta di ciò, riteniamo che i pazienti con valvulopatia isolata possano rappresentare lo scenario ideale per testare l’effetto di un potenziale stimolo precondizionante. Inoltre, le patologie mitraliche organiche, a differenza delle valvulopatie aortiche, sono meno associate a coronaropatia [88].

(43)

Il nostro studio sul riparo isolato della valvola mitralica non è riuscito a dimostrare la superiorità di un regime anestetico rispetto ad un altro. D’altra parte, i pazienti del gruppo propofol avevano un rilascio inferiore, seppur non significativo, di troponine (8%). C’era inoltre, una correlazione positiva tra il tempo di clampaggio e il rialzo delle troponine.

Generalmente, la chirurgia mininvasiva può richiedere più tempo e probabilmente questo è il primo report che ne mostra la correlazione col rilascio di troponine.

La funzione ventricolare sinistra valutata tra il quarto e il sesto giorno post operatorio era simile nei due gruppi (50±5.7 % e 50±10.2 %, propofol e sevoflurane rispettivamente).

I punti di forza di questo studio sono molteplici. In primo luogo, si tratta di uno studio che include pazienti che non hanno coronaropatia associata dunque non precedentemente esposti a precondizionamento ischemico. Inoltre, l’assenza di pazienti diabetici garantisce la mancanza di interferenze con gli ipoglicemizzanti orali. In aggiunta, questo studio è stato condotto in un centro cardiochirurgico specializzato dove vengono eseguite più di 50 riparazioni valvolari per anno. Ciò significa che nessuna curva di apprendimento ha influito sul risultato. Infine, lo stimolo doloroso che può esso stesso elicitare il precondizionamento, in questo caso è molto ridotto data la mininvasività della procedura; ne deriva un’ulteriore riduzione di elementi confondenti nell’interpretazione dei dati [89].

D’altra parte, questo studio ha delle limitazioni. In primo luogo per quanto riguarda l’analisi primaria basata sul rilascio di troponine: tale rilascio dopo chirurgia cardiaca non sempre indica un danno miocardico irreversibile, così come dimostrato da Pegg e colleghi nello studio sulla RMN cardiaca in pazienti sottoposti a CABG [90]. Il pattern di rilascio delle troponine dal tessuto miocardico si verifica in due fasi: un picco iniziale tra la prima e la sesta ora del postoperatorio, con un danno miocardico reversibile e un rilascio di troponine dal compartimento citoplasmatico, principalmente dovuto alla circolazione extracorporea; una

(44)

contrattile che induce apoptosi. Pegg e colleghi hanno concluso che sia le diverse misure di troponina risultanti nella cosiddetta curva enzimatica, sia una singola misurazione di troponina I a 24 h dall’intervento, meglio correlano con la nuova necrosi post operatoria dei miociti.

Altra limitazione dello studio risiede nel fatto che, per ragioni pratiche, si è sviluppato in cieco solo verso i pazienti. In terzo luogo, questo studio, poteva includere un terzo gruppo dove si testava la sinergia del sevoflurane e del propofol somministrati nella stessa seduta.

Inoltre, nel gruppo propofol l’infusione di propofol era continuato in terapia intensiva e quindi questi pazienti erano esposti ad un agente precondizionante rispetto al gruppo sevoflurane.

Ci sono diverse evidenze che l’effetto precondizionante del sevoflurane sia migliorato se mantenuto nelle prime 6 ore dopo chirurgia [91] e comunque l’effetto cardioprotettivo più uniforme è visto quando il sevoflurane è somministrato per tutta la durata della procedura [92].

Sia l’effetto del propofol che del sevoflurane sono dose correlati. Inoltre il propofol conferisce cardioprotezione particolarmente nei pazienti diabetici. Infine, il follow up dei pazienti non è portato avanti.

Comunque evidenze molto deboli supportano l’idea che il precondizionamento anestetico possa avere un impatto sull’outcome tardivo [83].

In conclusioni l’anestesia con propofol e sevoflurane sono associate con danno miocardico simile, direttamente correlato alla durata dell’arresto cardioplegico in pazienti che si sottopongono a chirurgia mininvasiva della valvola mitralica.

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