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Tra tradizione e innovazione: Plutarco di Cheronea e le "Questioni Platoniche"

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Academic year: 2021

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Università degli Studi di Pisa

Dipartimento di “Civiltà e Forme del Sapere”

Corso di laurea in “Filosofia e forme del sapere”

TESI DI LAUREA MAGISTRALE

Tra tradizione e innovazione:

Plutarco di Cheronea e le “Questioni Platoniche”

RELATORE CANDIDATO

Chiar.mo Prof. Bruno Centrone Carlo Delle Donne

CORRELATORE

Chiar.ma Prof.ssa Cristina D’Ancona Costa

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INDICE

CAPITOLO I: Una linea divisa e i suoi segmenti

I. Posizione del problema I.1. Sul contesto teorico della linea

I.2. La “linea” a confronto: tra Platone e Plutarco I.2.1. Segmenti disuguali?

I.2.2. Con quale criterio? I.2.3. Sui segmenti inferiori I.2.4. Sui segmenti superiori I.2.5. L’aporia dell’estensione I.3. Il primo corno antilogico

I.3.1. Il segmento sensibile è maggiore: un (presunto) precedente I.3.2. Il primo argomento

I.3.3. Il secondo argomento I.3.4. Il terzo argomento I.3.5. Il quinto argomento

I.3.5.1. Primo modello (epistemologico) I.3.5.2. Secondo modello (ontologico)

I.3.5.3. Un addendum senocrateo? Oppure speusippeo? I.3.5.4. Su alcuni termini tecnici

I.3.5.5. Su alcune fonti I.3.5.6. Alcuni passi paralleli I.3.6. Il quinto argomento

I.3.7. L’ultimo argomento della prima serie antilogica I.4. Il secondo corno antilogico

I.4.1. Equiparare sensibili e divino?

I.4.2. Anima e intelligibile: il secondo argomento I.4.3. Quale criterio? Terzo argomento

I.4.4. Inferire dal sensibile all’intelligibile? Quarto argomento I.4.5. Il penultimo argomento

I.4.6. Ultimo argomento I.5. Conclusioni

Traduzione della III Questione Platonica

7 8 9 12 12 16 17 18 20 21 21 22 25 27 30 32 34 37 39 40 41 47 49 53 53 54 57 58 61 62 64 65

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II.1. Posizione del problema

II.2. All’origine dell’aporia: Platone II.3. Verso una soluzione plutarchea

II.3.1. I “protagonisti” del dispositivo teorico risolutivo: (A) II.3.2. Sulla funzione demiurgica dell’anima cosmica

II.3.3. L’anima non genera dal nulla, né da sé: un chiarimento su un’ipotesi insoste-nibile: (B)

II.4. Un esempio biologico chiarificatore

II.5. Conclusione: scioglimento della contraddizione

II.5.1. Sulla funzione demiurgica dell’anima cosmica: considerazioni preliminari II.5.2. Breve storia dell’anima demiurgica

Appendice 1: Su un passo della X QP (1009d) Traduzione della IV Questione Platonica

CAPITOLO III: Sul principio del curvilineo

III. Una premessa metodologica III.1. Il problema

III.1.1. Il silenzio di Platone, la posizione di Aristotele e gli ipsissima verba di Platone III.1.2. Sulla geometria del Timeo

III.1.3. I presupposti della sezione stereometrica III.1.4. I primi quattro solidi regolari

III.1.5. Il quinto solido genera un quinto elemento? Una breve storia III.2. Esame delle prime proposte esegetiche

III.2.1. Il dodecaedro e l’approssimazione alla sfericità III.2.2. Il circolare come affezione del rettilineo

III.2.3. Il principio è quantitativamente minimale? III.2.3.1. Un addendum senocrateum?

III.2.3.2. Un’applicazione di filosofemi senocratei? III.2.4. Numeri, figure, numeri triangolari

III.2.4.1. Numeri e figure

70 71 78 79 83 88 84 90 91 91 99 100 101 102 102 103 111 111 117 120 140 140 147 150 151 152 153 153

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III.2.4.2. Un addendum speusippeum? III.2.4.3. La monade è triangolare? III.2.4.3.1. Sui numeri triangolari

III.2.4.3.2. Applicazione delle nozioni matematiche alla quaestio III.2.5. Elementi e derivati

III.2.5.1. Un altro addendum senocrateum? III.2.5.2. Un problema esegetico

III.2.6. Accidenti e circolarità III.2.7. Tangenza e circolarità

III.3. Cerchi e sfere sono solo nel “mondo di là” III.4.1. I limiti delle precedenti soluzioni esegetiche III.4.2. Conclusioni

Appendice 1. Plutarco e gli atomismi: democriteo/epicureo e “geometrico” del Timeo Appendice 2. Una nota sulla tecnica di risoluzione “linguistica” delle quaestiones (PQ II e X)

Traduzioni

CAPITOLO IV: Anima, ali e reminiscenza

IV.1. L’ala dell’anima

IV.1.1. Alcune questioni preliminari IV.2.1. La prima risoluzione

IV.2.1.1. Èros e anamnesi: Amatorius

IV.2.1.2. Èros e anamnesi: Questioni Conviviali IV.2.1.3. Èros e anamnesi: PQ I

IV.2.1.4. Una parentesi inessenziale: Cicerone (A), Lucrezio (B), Alcinoo (C1) e l’anonimo commentatore del Teeteto (C2) sulla reminescenza

IV.2.2. La seconda soluzione: è davvero quella plutarchea? Traduzione della VI Questione Platonica

Bibliografia 157 158 158 163 163 164 165 166 168 169 172 175 177 180 187 191 192 192 193 194 199 200 203 228 230 231

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CAPITOLO PRIMO

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I. Posizione del problema. La terza PQ1 si apre, come di consueto, con l’enunciazione dell’aporia

testuale di cui Plutarco intende occuparsi: si tratta della celebre similitudine (ὥσπερ µιᾶς γραµµῆς τετµηµένης) della “linea divisa”2. Essa prende corpo al termine del libro sesto (509d6 ss.) della Po-litèia platonica, di cui costituisce uno snodo teoricamente nevralgico. La cornice filosofica in cui si inserisce è, infatti, tra le più filosoficamente ricche dell’opera, perché, con la “linea”, si realizza il trapasso dal confronto tra sole e idea del buono (506e1 ss.) alla esposizione dell’eikòn3 della -

cosid-detta4 - “caverna” (514a1 ss.). Ora, la difficoltà che Plutarco registra nell’esegesi del passo consiste

nel mancato chiarimento (αὐτὸς γὰρ οὐ δεδήλωκε), da parte dell’autore, di un preciso aspetto teorico. Si tratta, dunque, di un problema di reticenza autoriale; ma, per ottenere un perfetto “funzionamento comunicazionale” della costruzione teoretica della “linea”, ogni sua eventuale “oscurità”5 è, per

l’ese-geta platonico, senz’altro da dissipare.

Vediamo, innanzitutto, la posizione del problema, così come lo presenta il Cheronese:

Ἐν τῇ Πολιτείᾳ, τοῦ παντὸς ὥσπερ µιᾶς γραµµῆς τετµηµένης εἰς ἄνισα τµήµατα, πάλιν τέµνων ἑκάτερον τµῆµα εἰς δύο ἀνὰ τὸν αὐτὸν λόγον, τό τε τοῦ ὁρωµένου γένους6 καὶ τὸ τοῦ νοουµένου, τέτταρα τὰ πάντα ποιήσας, τοῦ µὲν νοητοῦ πρῶτον ἀποφαίνει τὸ περὶ τὰ πρῶτα εἴδη, δεύτερον τὸ µαθηµατικόν· τοῦ δ’ αἰσθητοῦ πρῶτον µὲν τὰ στερέµνια σώµατα, δεύτερον δὲ τὰς εἰκόνας καὶ τὰ εἴδωλα τούτων· καὶ κριτήριον7 ἑκάστῳ τῶν τεττάρων ἀποδίδωσιν ἴδιον, νοῦν µὲν τῷ πρώτῳ διάνοιαν δὲ τῷ µαθηµατικῷ, τοῖς δ’ αἰσθητοῖς πίστιν, εἰκασίαν δὲ τοῖς περὶ τὰ εἴδωλα καὶ τὰς εἰκόνας. ‘τί οὖν διανοηθεὶς εἰς ἄνισα τµήµατα τὸ πᾶν ἔτεµε καὶ πότερον τῶν τµηµάτων, τὸ νοητὸν ἢ τὸ αἰσθητόνa, µεῖζόν ἐστιν;’ αὐτὸς γὰρ οὐ δεδήλωκε.

1 Una rapida analisi è offerta da Romano (1965: 123-124). I testi greci e latini trascritti sono stati desunti, ove

non altrimenti indicato, dal database Perseus-Digital Library, a cui si rinvia per dettagli sulle edizioni critiche di riferimento; le traduzioni, invece, ove non altrimenti specificato, sono da considerarsi mie.

2 Per essere precisi, non si tratta di una linea, bensì di un segmento di linea.

3 Perché, come rimarca Ferrari (2017a: 874 e n. 11), non si tratta di un mythos, e non è in questi termini che

Platone lo designa (514a1 ss.): ἀπείκασον τοιούτῳ πάθει τὴν ἡµετέραν φύσιν παιδείας τε πέρι καὶ ἀπαιδευσίας.

4 Si parla di una prigionia ἐν καταγείῳ οἰκήσει σπηλαιώδει (514a3), “in un’abitazione sotterranea simile a una

grotta” - laddove è evidente che la condizione di partenza dei prigionieri è il prodotto dell’inestricabile intera-zione di fattori socio-culturali e naturali: cfr. Repellini (2003: 393) e Ferrari (2017b).

5 Sul problema della asàpheia e, in generale, sulle strategie esegetiche medioplatoniche. cfr. Ferrari (2000),

(2001a), (2010), (2012), (2016); Petrucci (2014), (2015), (2018); Centrone (2012a); Donini (1992), (2000), (2010: 211-282); Sedley (1997); Romano (1994); Mansfeld (1994); Manetti (1998); Hadot (1987); Gudeman (1927); Dörrie (1959: 1-10); Dillon (1989), Gerson (2005).

6 In favore della lezione qui a testo milita anche il testo platonico (509d8: τό τε τοῦ ὁρωµένου γένους καὶ τὸ

τοῦ νοουµένου; non vi è in questo punto - stando all’apparato di Burnet - incertezza nei mss.); cfr. poi anche

X, E1, e, n. La lezione ghènos, invece, è in J, g, B, E2 (in quest’ultimo caso - segnala Cherniss [1976: 34, n.5] -, la terminazione -os è sovrascritta a -ous).

7 Il termine è, per lo più, estraneo al lessico platonico, in cui non sembra figurare mai con un valore

semanti-camente forte. Con lo stoicismo e l’epicureismo, però, entra stabilmente a far parte del lessico filosofico: cfr. D.L. VII 54 = S.V.F. II 105 e D.L. X 31 = fr. 35 Usener, su cui cfr. Parente (1992a: 126, n.9).

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Tra tradizione e innovazione: Plutarco di Cheronea e le “Questioni Platoniche”

Nella Repubblica, il Tutto è equiparato a una sola linea suddivisa in segmenti disu-guali. Platone taglia di nuovo in due, con lo stesso criterio, ciascun segmento: sia quello del genere visibile, sia quello del genere intelligibile; ne ottiene quattro in totale. Dell’intelligibile, mostra che è primario il segmento relativo alle Forme Prime, mentre è secondario quello matematico; del sensibile, invece, riconosce come primari i corpi solidi, come secondarie le loro riproduzioni e immagini. Inol-tre, assegna a ciascuno dei quattro segmenti un “criterio” specifico: intelletto, al primo; razionalità discorsiva, al segmento matematico; agli oggetti sensibili, cre-denza; e a quanto attiene alle loro immagini e riproduzioni, immaginazione. Eb-bene, che aveva in mente Platone, quando divise il Tutto in segmenti disuguali? E quale segmento è maggiore? Quello intelligibile o quello sensibile? Perché Platone non l’ha mostrato.

Il segmento testuale preso in esame da Plutarco è, come anticipavo, la celebre e discussa similitudine della linea.8 Il primo elemento da sottolineare, perché piuttosto sorprendente, è che Plutarco non

sem-bra interessato alle implicazioni onto-epistemologiche della sezione, ma solo all’ “estensione” dei due segmenti principali, intelligibile e sensibile. Prima, però, di esaminare il prosieguo dello zètema e di cercare di individuare la soluzione preferita dall’autore, è opportuno ripercorrere, sia pur breve-mente, il “movimento argomentativo” che conduce Platone - attraverso Socrate - a elaborare e intro-durre, nella Politèia, la complessa immagine della linea.

I.1. Sul contesto teorico della linea. Ci troviamo in uno dei libri filosoficamente più densi dell’opera. Socrate sta tracciando il profilo del filosofo, per mostrare come solo a lui spetti governare (485a4-8: τὴν φύσιν αὐτῶν πρῶτον δεῖ καταµαθεῖν. καὶ οἶµαι, ἐὰν ἐκείνην ἱκανῶς ὁµολογήσωµεν, ὁµολογήσειν καὶ ὅτι οἷοί τε ταῦτα ἔχειν οἱ αὐτοί, ὅτι τε οὐκ ἄλλους πόλεων ἡγεµόνας δεῖ εἶναι ἢ τούτους)9. Così, ne

descrive la totale estraneità alla menzogna e all’avidità di denaro, il coraggio, le doti mnemoniche e la misuratezza in ogni campo. A questo punto, però, Glaucone, pur confessandosi “incastrato” dalla coerenza argomentativa di Socrate, gli fa osservare che gran parte di quelli che hanno ricevuto un’educazione filosofica si dimostra o del tutto inutile alla città, o addirittura nociva (487b-d)10.

Con-tro ogni aspettativa, Socrate conferma l’impressione del suo interlocutore: sì, i filosofi più capaci

8 Su questa pagina platonica la bibliografia è pressoché sterminata: cfr. la discussione bibliografica di Lafrance

(1987) e Smith (1996). Mi limito, dunque, a segnalare (in ordine cronologico) alcuni contributi dedicati spe-cificamente alla linea e successivi ai due studi appena citati: Yang (1999), Netz (2003), Repellini (2003), Aronadio (2006), Ferrari (2006), Fronterotta (2006), Migliori (2006), Foley (2008), Dominick (2010), Repel-lini (2010), Trabattoni (2010), Franklin (2011), Centrone (2012: nn.ad locc.), Mourelatos (2012), Ferrari (2014: nn.ad locc.).

9 Sulla legittimazione del potere attraverso il solo sapere, cfr. Vegetti (2017).

10 νῦν γὰρ φαίη ἄν τίς σοι λόγῳ µὲν οὐκ ἔχειν καθ᾽ ἕκαστον τὸ ἐρωτώµενον ἐναντιοῦσθαι, ἔργῳ δὲ ὁρᾶν, ὅσοι

ἂν ἐπὶ φιλοσοφίαν ὁρµήσαντες µὴ τοῦ πεπαιδεῦσθαι ἕνεκα ἁψάµενοι νέοι ὄντες ἀπαλλάττωνται, ἀλλὰ µακρότερον ἐνδιατρίψωσιν, τοὺς µὲν πλείστους καὶ πάνυ ἀλλοκότους γιγνοµένους, ἵνα µὴ παµπονήρους εἴπωµεν, τοὺς δ᾽ ἐπιεικεστάτους δοκοῦντας ὅµως τοῦτό γε ὑπὸ τοῦ ἐπιτηδεύµατος οὗ σὺ ἐπαινεῖς πάσχοντας, ἀχρήστους

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sono àchrestoi alle loro città - “inutilizzati”, si può aggiungere, oltreché “inutili”. La città, infatti - al modo di una nave di proprietà di un armatore ottuso e forte, in balia di marinai rissosi e desiderosi, seppur ignoranti, di tenere il timone -11, non riesce a comprendere che deve essere lei a implorare i

filosofi di governare, non il contrario (489b4-c7: τῆς µέντοι ἀχρηστίας τοὺς µὴ χρωµένους κέλευε αἰτιᾶσθαι, ἀλλὰ µὴ τοὺς ἐπιεικεῖς. οὐ γὰρ ἔχει φύσιν κυβερνήτην ναυτῶν δεῖσθαι ἄρχεσθαι ὑφ᾽ αὑτοῦ οὐδὲ τοὺς σοφοὺς ἐπὶ τὰς τῶν πλουσίων θύρας ἰέναι, ἀλλ᾽ ὁ τοῦτο κοµψευσάµενος ἐψεύσατο, τὸ δὲ ἀληθὲς πέφυκεν, ἐάντε πλούσιος ἐάντε πένης κάµνῃ, ἀναγκαῖον εἶναι ἐπὶ ἰατρῶν θύρας ἰέναι, καὶ πάντα τὸν ἄρχεσθαι δεόµενον ἐπὶ τὰς τοῦ ἄρχειν δυναµένου, οὐ τὸν ἄρχοντα δεῖσθαι τῶν ἀρχοµένων ἄρχεσθαι, οὗ ἂν τῇ ἀληθείᾳ τι ὄφελος ᾖ). Inoltre, le molte persone nocive, che sembrano essere state rese tali dalla filosofia, sono, in realtà, come piante eccezionalmente pregiate che vengano cresciute, però, in un terreno molto impervio: solo per questo diventano particolarmente nocive. Tale è, per l’appunto, l’effetto che determina una cattiva educazione. Di fronte alle doti eccezionali del ragazzo potenzialmente filosofo, i sofisti - gli adulatori della folla, i marinai dell’armatore stupido - cercano di trarne vantaggio, allontanandolo dalla filosofia e perseguitando chiunque si opponga ai loro pro-positi (494b8-e6: βουλήσονται δὴ οἶµαι αὐτῷ χρῆσθαι, ἐπειδὰν πρεσβύτερος γίγνηται, ἐπὶ τὰ αὑτῶν πράγµατα οἵ τε οἰκεῖοι καὶ οἱ πολῖται. […] ἐὰν δ᾽ οὖν, ἦν δ᾽ ἐγώ, διὰ τὸ εὖ πεφυκέναι καὶ τὸ συγγενὲς τῶν λόγων εἰσαισθάνηταί τέ πῃ καὶ κάµπτηται καὶ ἕλκηται πρὸς φιλοσοφίαν, τί οἰόµεθα δράσειν ἐκείνους τοὺς ἡγουµένους ἀπολλύναι αὐτοῦ τὴν χρείαν τε καὶ ἑταιρίαν; οὐ πᾶν µὲν ἔργον, πᾶν δ᾽ ἔπος λέγοντάς τε καὶ πράττοντας καὶ περὶ αὐτόν, ὅπως ἂν µὴ πεισθῇ, καὶ περὶ τὸν πείθοντα, ὅπως ἂν µὴ οἷός τ᾽ ᾖ, καὶ ἰδίᾳ ἐπιβουλεύοντας καὶ δηµοσίᾳ εἰς ἀγῶνας καθιστάντας;). A questo punto, i posti lasciati vuoti dai mancati filosofi vengono occupati da “omuncoli”, che infangano, con la loro inadeguatezza, il buon nome della filosofia (495c9-e). I pochissimi veri filosofi che si salvano da questo scempio, d’altra parte, non sono per nulla inclini a intrattenere rapporti con le “bestie” - cioè, i più -; se ne tengono, anzi, al riparo, come chi, colto da una bufera, si nasconde dietro un muricciolo.12 Solo in

uno Stato diverso, radicalmente diverso, questi “uomini miracolosi” potrebbero mostrarsi per quello che sono: e tale Stato è proprio la Politèia, cui Socrate ha dato vita con il suo lògos (497b1 ss.: ἀλλὰ

ταῖς πόλεσι γιγνοµένους. L’importanza di tale critica è opportunamente sottolineata da Ferrari (2014: 157, n.

34).

11 Si tratta di una celebre immagine, forse una tra le più facili da disambiguare del corpus platonicum: cfr.

479e7-489a3, su cui cfr. Gastaldi (2003), Ferrari (2014: 158-160, nn. 36-42), (2015) e Cambiano (2016: 14 ss.). 12 496c5-e4: καὶ τούτων δὴ τῶν ὀλίγων οἱ γενόµενοι καὶ γευσάµενοι ὡς ἡδὺ καὶ µακάριον τὸ κτῆµα, καὶ τῶν πολλῶν αὖ ἱκανῶς ἰδόντες τὴν µανίαν, καὶ ὅτι οὐδεὶς οὐδὲν ὑγιὲς ὡς ἔπος εἰπεῖν περὶ τὰ τῶν πόλεων πράττει οὐδ᾽ ἔστι σύµµαχος µεθ᾽ ὅτου τις ἰὼν ἐπὶ τὴν τῷ δικαίῳ βοήθειαν σῴζοιτ᾽ ἄν, ἀλλ᾽ ὥσπερ εἰς θηρία ἄνθρωπος ἐµπεσών, οὔτε συναδικεῖν ἐθέλων οὔτε ἱκανὸς ὢν εἷς πᾶσιν ἀγρίοις ἀντέχειν, πρίν τι τὴν πόλιν ἢ φίλους ὀνῆσαι προαπολόµενος ἀνωφελὴς αὑτῷ τε καὶ τοῖς ἄλλοις ἂν γένοιτο — ταῦτα πάντα λογισµῷ λαβών, ἡσυχίαν ἔχων καὶ τὰ αὑτοῦ πράττων, οἷον ἐν χειµῶνι κονιορτοῦ καὶ ζάλης ὑπὸ πνεύµατος φεροµένου ὑπὸ τειχίον ἀποστάς, ὁρῶν τοὺς ἄλλους καταπιµπλαµένους ἀνοµίας, ἀγαπᾷ εἴ πῃ αὐτὸς καθαρὸς ἀδικίας τε καὶ ἀνοσίων ἔργων τόν τε ἐνθάδε βίον βιώσεται καὶ τὴν ἀπαλλαγὴν αὐτοῦ µετὰ καλῆς ἐλπίδος ἵλεώς τε καὶ εὐµενὴς ἀπαλλάξεται.

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Tra tradizione e innovazione: Plutarco di Cheronea e le “Questioni Platoniche” τοῦτο καὶ ἐπαιτιῶµαι, µηδεµίαν ἀξίαν εἶναι τῶν νῦν κατάστασιν πόλεως φιλοσόφου φύσεως: διὸ καὶ στρέφεσθαί τε καὶ ἀλλοιοῦσθαι αὐτήν, ὥσπερ ξενικὸν σπέρµα ἐν γῇ ἄλλῃ σπειρόµενον ἐξίτηλον εἰς τὸ ἐπιχώριον φιλεῖ κρατούµενον ἰέναι, οὕτω καὶ τοῦτο τὸ γένος νῦν µὲν οὐκ ἴσχειν τὴν αὑτοῦ δύναµιν, ἀλλ᾽ εἰς ἀλλότριον ἦθος ἐκπίπτειν: εἰ δὲ λήψεται τὴν ἀρίστην πολιτείαν, ὥσπερ καὶ αὐτὸ ἄριστόν ἐστιν, τότε δηλώσει ὅτι τοῦτο µὲν τῷ ὄντι θεῖον ἦν, τὰ δὲ ἄλλα ἀνθρώπινα, τά τε τῶν φύσεων καὶ τῶν ἐπιτηδευµάτων. δῆλος δὴ οὖν εἶ ὅτι µετὰ τοῦτο ἐρήσῃ τίς αὕτη ἡ πολιτεία. οὐκ ἔγνως, ἔφη: οὐ γὰρ τοῦτο ἔµελλον, ἀλλ᾽ εἰ αὑτὴ ἣν ἡµεῖς διεληλύθαµεν οἰκίζοντες τὴν πόλιν ἢ ἄλλη. τὰ µὲν ἄλλα, ἦν δ᾽ ἐγώ, αὕτη). Come garantire, però, la sopravvivenza di questi “eletti”? Facendo sì che a governare, in un modo o nell’altro, sia la filosofia (499a11-c5). Dopo aver descritto le tecniche educative da adoperare con i futuri governanti-filosofi, Socrate dichiara che, però, a fare la differenza è il mèghiston màthema (504e2-3): l’idea del “buono” (505a2).13 Un governante che non sia “esperto” (506b1: epistemòn) di

questo, non è davvero prezioso per la città.14 Tuttavia, indagare la natura di una simile idea, la cui

posizione preminente è dichiarata fin dalla sua prima menzione, è estremamente difficile: non basta, a carpirla, il “fondamento” (così Vegetti [2003a]) in tal momento disponibile (506d5 ss.: ἀλλ᾽, ὦ µακάριοι, αὐτὸ µὲν τί ποτ᾽ἐστὶ τἀγαθὸν ἐάσωµεν τὸ νῦν εἶναι — πλέον γάρ µοι φαίνεται ἢ κατὰ τὴν παροῦσαν ὁρµὴν ἐφικέσθαι τοῦ γε δοκοῦντος ἐµοὶ τὰ νῦν15 — ὃς δὲ ἔκγονός τε τοῦ ἀγαθοῦ φαίνεται καὶ ὁµοιότατος ἐκείνῳ, λέγειν ἐθέλω, εἰ καὶ ὑµῖν φίλον, εἰ δὲ µή, ἐᾶν). L’unica cosa che si può fare, quindi, è esaminare una “versione” meno complessa del buono: suo “figlio”, il sole, che è - per così dire - “tutto suo padre” (506e2-3). Ebbene, ciò che il sole è nel mondo sensibile rispetto alla vista e a ciò 13 […] ὃ µέντοι µέγιστον µάθηµα καὶ περὶ ὅτι αὐτὸ λέγεις, οἴει τιν᾽ ἄν σε, ἔφη, ἀφεῖναι µὴ ἐρωτήσαντα τί ἐστιν; […] ἐπεὶ ὅτι γε ἡ τοῦ ἀγαθοῦ ἰδέα µέγιστον µάθηµα, πολλάκις ἀκήκοας, ᾗ δὴ καὶ δίκαια καὶ τἆλλα προσχρησάµενα χρήσιµα καὶ ὠφέλιµα γίγνεται. καὶ νῦν σχεδὸν οἶσθ᾽ ὅτι µέλλω τοῦτο λέγειν, καὶ πρὸς τούτῳ ὅτι αὐτὴν οὐχ ἱκανῶς ἴσµεν: εἰ δὲ µὴ ἴσµεν, ἄνευ δὲ ταύτης εἰ ὅτι µάλιστα τἆλλα ἐπισταίµεθα, οἶσθ᾽ ὅτι οὐδὲν ἡµῖν ὄφελος, ὥσπερ οὐδ᾽ εἰ κεκτῄµεθά τι ἄνευ τοῦ ἀγαθοῦ. ἢ οἴει τι πλέον εἶναι πᾶσαν κτῆσιν ἐκτῆσθαι, µὴ µέντοι ἀγαθήν; ἢ πάντα τἆλλα φρονεῖν ἄνευ τοῦ ἀγαθοῦ, καλὸν δὲ καὶ ἀγαθὸν µηδὲν φρονεῖν; In questo punto, l’idea

del “buono” (così Vegetti [2003a: 253, n. 1]) “costituisce la causa finale dell’agire, il centro di gravitazione della prassi”: così Ferrari (2003: 292); cfr. anche Cambiano (1971: 195 ss.) e Ferrari (2001).

14 505d10-506a3: ὃ δὴ διώκει µὲν ἅπασα ψυχὴ καὶ τούτου ἕνεκα πάντα πράττει, ἀποµαντευοµένη τι εἶναι,

ἀποροῦσα δὲ καὶ οὐκ ἔχουσα λαβεῖν ἱκανῶς τί ποτ᾽ ἐστὶν οὐδὲ πίστει χρήσασθαι µονίµῳ οἵᾳ καὶ περὶ τἆλλα, διὰ τοῦτο δὲ ἀποτυγχάνει καὶ τῶν ἄλλων εἴ τι ὄφελος ἦν, περὶ δὴ τὸ τοιοῦτον καὶ τοσοῦτον οὕτω φῶµεν δεῖν ἐσκοτῶσθαι καὶ ἐκείνους τοὺς βελτίστους ἐν τῇ πόλει, οἷς πάντα ἐγχειριοῦµεν; Sui risvolti più squisitamente

politici della normatività del buono, Cambiano (1971: 195-196) scrive: “A Platone non interessa una scienza puramente contemplativa, alla quale sia indifferente il problema del suo uso. Il sapere ha necessariamente un risvolto politico e può dimostrarsi utile o inutile rispetto al contesto sociale in cui è usato. La condizione della retta applicazione del sapere e delle stesse idee è la conoscenza del bene, la quale è, dunque, in ultima analisi, per Platone, la radice che legittima l’attribuzione del potere ai filosofi. Solo il filosofo, conoscendo il bene, può garantire la realizzazione del bene, al quale ogni cittadino aspira.” Sul sapere del filosofo, in generale, oltre a Ferrari (2000a), (2000b) e adesso (2018: 75 ss.), cfr. anche le considerazioni di Trabattoni (2003): insistenza sulla “debolezza” della epistemologia platonica a parte, lo studioso offre qui un dettagliato resoconto dei luoghi platonici in cui meglio emerge la natura proposizionale-definizionale del sapere (dialettico) del filosofo. Resta comunque, a mio avviso, ancora molto utile Parente (1996).

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che è visibile, il buono lo è, sul piano intelligibile, rispetto all’intelletto e a ciò che è intelligibile (508b12-c2: τοῦτον τοίνυν, ἦν δ᾽ ἐγώ, φάναι µε λέγειν τὸν τοῦ ἀγαθοῦ ἔκγονον, ὃν τἀγαθὸν ἐγέννησεν ἀνάλογον ἑαυτῷ, ὅτιπερ αὐτὸ ἐν τῷ νοητῷ τόπῳ πρός τε νοῦν καὶ τὰ νοούµενα, τοῦτο τοῦτον ἐν τῷ ὁρατῷ πρός τε ὄψιν καὶ τὰ ὁρώµενα).16 Inoltre, come il sole garantisce ai sensibili non solo la loro

percepibilità, ma anche l’esistenza e la vita, analogamente l’idea del buono, trascendendoli “in pre-stigio e potenza”, garantisce agli intelligibili, oltre alla conoscibilità (509b5-9), anche l’essere.17

I.2. La “linea” a confronto: tra Platone e Plutarco. A questo punto, s’inserisce la seconda, grandiosa similitudine: quella della linea divisa, di cui si occupa la III PQ plutarchea. Schematizzo di seguito la struttura argomentativa del passo platonico, confrontandola con la “sintesi” offertane da Plutarco. Platone suggerisce di equiparare i due generi dell’intelligibile e del visibile a un segmento di linea tagliata in due ulteriori segmenti disuguali.18

I.2.1. Segmenti disuguali? Tanto per cominciare, nell’esposizione offerta da Plutarco viene aggiunto, fin qui, τοῦ παντὸς: evidentemente, supporre una linea i cui segmenti rappresentino intelligibile e sensibile implica esaurire la totalità della sfera dell’essere19. Eppure, quando Socrate ha menzionato

poco prima (509b5-9) - con una reticenza a noi quanto mai sgradita - la idèa tou agathoù, ha dichia-rato che essa è “al di là dell’essere in prestigio e in potenza”. Plutarco, dunque - che, però, potrebbe aver fatto ricorso a un’esposizione compendiata già pronta -, non sembra intendere alla lettera tale affermazione. Inoltre, preferisce, in relazione alla suddivisione in segmenti della linea, la lezione ἄνισα, “disuguali”, a un’altra evidentemente già allora in circolazione: an’isa, “in (segmenti) uguali”,

16 Sull’analogia sole-buono, cfr. Calabi (2003) e ora Fronterotta (2017).

17 καὶ τοῖς γιγνωσκοµένοις τοίνυν µὴ µόνον τὸ γιγνώσκεσθαι φάναι ὑπὸ τοῦ ἀγαθοῦ παρεῖναι, ἀλλὰ καὶ τὸ εἶναί

τε καὶ τὴν οὐσίαν ὑπ᾽ ἐκείνου αὐτοῖς προσεῖναι, οὐκ οὐσίας ὄντος τοῦ ἀγαθοῦ, ἀλλ᾽ ἔτι ἐπέκεινα τῆς οὐσίας πρεσβείᾳ καὶ δυνάµει ὑπερέχοντος. Sulla natura e sulla funzione della idèa tou agathoù, è fiorita una letteratura

sterminata; mi limito qui a segnalare alcuni contributi alla discussione, che mi paiono rappresentativi delle principali tendenze storiografiche: da una parte, Baltes (2011: 351-71), Ferrari (2001), (2003) e Vegetti (2003), inclini a riconoscere un’appartenenza al dominio dell’ousìa al to agathòn; dall’altra, p. es. Ferber (2003), as-sertore dell’alterità radicale tra ousìa e agathòn, sulla scorta della differenza tra causa e causato. Un’altra lettura recente, piuttosto differente dalle precedenti per l’approccio matematico da cui muove, è offerta da Sillitti (2011).

18 ὥσπερ τοίνυν γραµµὴν δίχα τετµηµένην λαβὼν ἄνισα τµήµατα, πάλιν τέµνε ἑκάτερον τὸ τµῆµα ἀνὰ τὸν αὐτὸν

λόγον, τό τε τοῦ ὁρωµένου γένους καὶ τὸ τοῦ νοουµένου […]. Le traduzioni più attestate di to horòmenon e di to noùmenon sono “il visibile” e “l’intelligibile”. Da un punto di vista linguistico, c’è da notare, tuttavia, che

non si tratta di aggettivi verbali in -tos, che pure figurano poche righe prima e poco dopo nel testo platonico: dovrebbero, dunque, essere in questione i prodotti delle azioni del vedere e del pensare, più che la possibilità della visione e dell’intellezione di tali oggetti. Da un punto di vista filosofico, comunque, non pare esserci sostanziale differenza tra le due forme verbali.

19 Un approccio analogo all’ontologia platonica, che ne evidenzia l’interezza poi variamente articolantesi, è in

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Tra tradizione e innovazione: Plutarco di Cheronea e le “Questioni Platoniche”

che è la lezione tràdita dal codice F20. Non si tratta, a ben vedere, di una questione esclusivamente

filologica - o, comunque, scevra da implicazioni teoriche -: come è chiaro dal problema stesso che mette in moto la quaestio plutarchea, l’estensione dei segmenti dovette avere un rilievo filosofico decisivo già per gli antichi lettori e seguaci di Platone. Ne è prova, come anticipavo, il fatto che ci fosse chi sosteneva, già nell’antichità, la preferibilità della lezione an’ìsa. Giamblico (De comm. math. scient. 36, 15-23; 38, 15-28), per esempio, dopo aver riportato testualmente la posizione dello Pseudo-Archita21 sulle facoltà conoscitive della nostra anima22, riferisce che costui era un assertore

dell’equivalenza dei due segmenti della linea23 (καθάπερ γὰρ γραµµὰν δίχα τετµαµένην καὶ ἴσα πάλιν

20 Cfr. Slings (2005: 112-113).

21 Com’è noto, non si è giunti a un accordo, tra gli studiosi, su quali siano le ragioni e il periodo esatto della

fioritura degli pseudoepigrafi pitagorici (su questo fenomeno in generale, cfr. Untersteiner [1980: 109 ss.]): cfr. - oltre al classico Burkert (1972: 15-96) - Centrone (1990: 41 ss.), (2000a), (2014), (2015), Bonazzi (2002), (2013a), (2013b). Recentemente, peraltro, Ulacco (2017: 109 ss.) ha mostrato come, nei trattati attribuiti ad Archita e a Brontino di tema logico-ontologico, si rintraccino elementi riconducibili sia alla tradizione plato-nico-accademica sia a quella aristotelica, che si trovano così intimamente saldate e armonizzate (in generale, su questa operazione di “coerentizzazione”, cfr. Karamanolis [2006]). Tale dipendenza aristotelica - su cui cfr. anche Ulacco (2016) - milita in favore di una datazione bassa degli scritti, perché la produzione esoterica aristotelica tornò in circolazione solo nel I a.C. (su quest’ultimo punto, cfr. Hatzimichali [2016], Chiaradonna [2009a], [2011], [2015], Falcon [2017: 28 ss.]).

22 Pseudo-Archita, Dell’intelletto e della sensazione, 19 ss. (ed. Ulacco, pag. 2779 ss.): Ἔτι δὲ σαφέστερον

Ἀρχύτας ἐν τῷ Περὶ νοῦ καὶ αἰσθήσεως διακρίνει τὰ κριτήρια τῶν ὄντων, καὶ τὸ τῶν µαθηµατικῶν οἰκειότατον κριτήριον παρίστησι διὰ τούτων· ‘ἐν ἁµῖν’ γὰρ ‘αὐτοῖς’, φησί, ‘κατὰ ψυχὰν γνώσιές εἰσι τέσσαρες, νόος ἐπιστάµα δόξα αἴσθησις, ὧν αἱ µὲν δύο τοῦ λόγου ἀρχαί ἐντι, οἷον νόος αἴσθασις, τὰ δὲ δύο τέλη, οἷον ἐπιστάµα καὶ δόξα· τὸ δ’ ὅµοιον ἀεὶ τοῦ ὁµοίου γνωστικόν. φανερὸν ὦν ὅτι ὁ µὲν νόος ἐν ἁµῖν τῶν νοατῶν γνωστικόν, ἁ δὲ ἐπιστήµη τῶν ἐπιστατῶν, ἁ δὲ δόξα τῶν δοξαστῶν, ἁ δὲ αἴσθασις τῶν αἰσθατῶν· διόπερ ὦν δεῖ µεταβαίνεν ἀπὸ µὲν τῶν αἰσθατῶν ἐπὶ τὰ δοξαστὰ τὰν διάνοιαν, ἀπὸ δὲ τῶν δοξαστῶν ἐπὶ τὰ ἐπιστατά, καὶ ἀπὸ τούτων ἐπὶ τὰ νοατά· ταῦτα δὲ σύµφωνα ποιητά, θεωρούµενα δι’ αὐτῶν ἀλάθεα. διωρισµένων δὲ τούτων τὰ µετὰ ταῦτα δεῖ νοῆσαι. καθάπερ γὰρ γραµµὰν δίχα τετµαµένην καὶ ἴσα πάλιν ἑκατέρων τµήµατα τετµαµένα ἀνὰ τὸν αὐτὸν λόγον, καὶ οὕτω διῃρήσθω καὶ τὸ νοατὸν ποττὸ ὁρατόν, καὶ πάλιν ἑκάτερον οὕτως διωρίσθω, καὶ διαφέρεν σαφηνείᾳ τε καὶ ἀσαφείᾳ ποττἆλλα· τὸν αὐτὸν δὴ τρόπον τῶ µὲν δὴ αἰσθατῶ τὸ µὲν ἅτερον τµῆµά ἐστι τά τε εἴδωλα τὰ ἐν τοῖς ὕδασι καὶ ἐν τοῖς κατόπτροις, τὸ δ’ ἕτερον µέρος, ὧν ταῦτα εἰκόνες, φυτὰ καὶ ζῷα· τῶ δὲ νοατῶ τὸ µὲν ἀνάλογον ἔχον ὡς αἱ εἰκόνες τὰ περὶ τὰ µαθήµατα γένη ἐντί· οἱ γὰρ περὶ τὰν γαµετρίαν ὑποθέµενοι τό τε περισσὸν καὶ τὸ ἄρτιον καὶ σχάµατα καὶ γωνιᾶν τρισσὰ εἴδεα, ἐκ τούτων πραγµατεύονται τὰ λοιπά, τὰ δὲ πράγµατα ἐῶντι ὡς εἰδότες, λόγον τε οὐκ ἔχοντι διδόµεν οὔτ’ αὐτ<αύτ>οις οὔτ’ ἄλλοις· ἀλλὰ τοῖς µὲν αἰσθατοῖς, ὡς εἰκός, χρῶνται, ζατοῦντι δὲ οὐ ταῦτα, οὐδὲ τούτων ἕνεκα ποιεῦνται τὼς λόγως, ἀλλὰ τᾶς διαµέτρω χάριν καὶ αὐτῶ τετραγώνω. τὸ δ’ ἅτερον τµᾶµά ἐντι τῶ νοατῶ, περὶ ὃ διαλεκτικὰ κατασχόληται· αὐτὰ γὰρ τῷ ὄντι τὰς ὑποθέσιας [ἀλλ’] ὑποθέσιας, ἀλλ’ ἀρχάς τε καὶ ἐπιβάσιας ποιεῖται<, ἵνα> µέχρι τῶ ἀνυποθέτω ἐπὶ παντὸς ἀρχὰν ἔλθῃ, καὶ πάλιν ἐχοµένα καταβᾷ ἐπὶ τὰν τελευτὰν οὐδενὶ προσχρωµένα αἰσθατῷ, ἀλλ’ εἰδέεσσιν αὐτοῖς δι’ αὑτῶν. ἐπὶ δὲ τέτταρσι τούτοις τµάµασι καλῶς ἔχει διανέµεν καὶ τὰ πάθεα τᾶς ψυχᾶς· καὶ καλέσαι νόασιν µὲν ἐπὶ τῷ ἀκροτάτῳ, διάνοιαν δὲ ἐπὶ τῷ δευτέρῳ, ἐπὶ δὲ τῷ τρίτῳ πίστιν, εἰκασίαν δὲ ἐπὶ τῷ τετάρτῳ.’ Due passi utili da cfr. sono tramandati

da: Stobeo (1.41.4, pag. 282), ora in Ulacco (2017: 2678 ss.), e - si tratta, in questo caso, della parte immedia-tamente precedente al testo di Giamblico sopra citato - Stobeo (1.48.6, pag. 315), ora in Ulacco (2017: 2733 ss.). Del testo che ho sopra trascritto, oggetto di un ampio esame in Ulacco (2017: 3498 ss.), si è occupato recentemente anche Trabattoni (2016), cui si rimanda per un’analisi più dettagliata e per un confronto con alcune fonti medioplatoniche (su queste ultime, cfr. anche Boys-Stones [2005]).

23 Nello stesso senso si esprime anche l’anonimo autore di uno scolio alla Repubblica (ad 509d, pag. 550 ss.

Hermann), che attribuisce la preferenza per la lezione ìsa ad Archita e Giamblico, mentre annota che alcuni antigrafi recano la lezione ànisa. Cfr. quanto afferma Slings (2005: 112): “The scholium mentioned by Adam in his note (easily accessible in Hermann’s edition, VI 350–351) is a Byzantine extract, not found in A but first

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ἑκατέρων τµήµατα τετµαµένα ἀνὰ τὸν αὐτὸν λόγον, καὶ οὕτω διῃρήσθω καὶ τὸ νοατὸν ποττὸ ὁρατόν, καὶ πάλιν ἑκάτερον οὕτως διωρίσθω, καὶ διαφέρεν σαφηνείᾳ τε καὶ ἀσαφείᾳ ποττἆλλα) - similitudine di cui, peraltro, secondo Siriano (In Arist. Met. comm. 102.3-6) e Sofonia (In Arist. lib. de an. par. 129.6-132.1), il pitagorico sarebbe stato l’inventore. Interessante è la parte seguente del commento24

di Giamblico all’estratto dello Pseudo-Archita:

τὸ δὴ µετὰ τοῦτο τὴν γραµµὴν κατατέµνει, µίαν µὲν οὖσαν, ἵνα ὡς ἓν τὸ γνωριστικὸν ὑπολάβωµεν, δίχα δὲ ταύτην διαιρεῖ κατὰ τὰς πρώτας διαφορὰς τῶν ὄντων καὶ τὰς ἐπ’ αὐτοῖς διχῇ διῃρηµένας κρίσεις. ἴσας δὲ αὐτὰς τίθεται κατὰ τὴν τῶν λόγων µετουσίαν καὶ τῶν εἰδῶν καὶ διὰ τὴν ὁµοιότητα τῶν µετεχόντων πρὸς τὰ µετεχόµενα, καὶ διότι ἡ ἀναλογία ἡ αὐτή πώς ἐστιν ἐπ’ ἀµφοτέρων. πάλιν δ’ ἑκάτερον τῶν τµηµάτων ἀνὰ τὸν αὐτὸν λόγον διαιρεῖ, ἐπειδὴ δι’ὅλου ἡ γνωστικὴ δύναµις ὁµοειδής ἐστι πρὸς ἑαυτήν, τάς τε διαφορὰς αὐτῆς ποιεῖται σαφηνείᾳ τε καὶ ἀσαφείᾳ καὶ τῷ τελέως ὡρίσθαι ἢ τῷ ἐνδεῶς, πρὸς ἄλληλά τε αὐτῶν τὴν διάκρισιν ἐπιδείκνυσι, κατὰ τί παραλλάττει καὶ ὑποδεέστερά ἐστι τὰ δεύτερα τῶν προτέρων.

In seguito, Platone ritaglia la linea - che è una sola affinché comprendiamo che è una sola la facoltà cognitiva - suddivide, insomma, questa linea in due, in confor-mità con le due principali differenze tra gli enti e con le modalità conoscitive - distinte in due tipi - a quelli relative. Considera queste differenze uguali, in rapporto alla condivisione dei rapporti e delle idee, sia perché c’è somiglianza tra parteci-panti e partecipati, sia perché è la stessa, in un certo senso, la proporzione in en-trambi i segmenti. Poi, divide questi ultimi nuovamente in base allo stesso rapporto, poiché la facoltà conoscitiva è integralmente omogenea con se stessa. Le sue diffe-renze, invece, Platone le traccia in base alla chiarezza e all’oscurità e in base alla perfezione, o alla defettività, della loro “definizione”25. Infine, egli ne mostra anche

le distinzioni reciproche: in cosa, cioè, gli enti secondi si distinguano dai primi, e in cosa siano a questi inferiori.

in Marc.184 […]. The scholium was written by Johannes Rhosos, the scribe of Marc.184, but it was presum-ably commissioned by Bessarion, for whom Rhosos copied Marc.184. It is a paraphrasis of Iambl.

Comm.Math. 32, 13–37, 19 Festa”.

24 Questo è l’inizio del commento al brano trascritto nella n. 22, cui segue immediatamente quanto qui

tras-crivo: Οἶµαι τοίνυν καὶ διὰ τούτων κατάδηλον γεγονέναι, ὡς τέσσαρες µέν εἰσι διαφοραὶ τῶν ὄντων, τέτταρες δὲ τῆς κρίσεως ἀρχαί, καὶ ὡς ὁ λόγος µέσην ἔχων ἐφάπτεται τῶν δύο ἄκρων, νοητῶν τε καὶ αἰσθητῶν, ἐν τέλους τάξει πρὸς τὸν νοῦν καὶ τὴν αἴσθησιν καθιστάµενος ὡς ἀρχὰς οὔσας ἑαυτοῦ καὶ ὑπ’ αὐτῶν ἀποτελούµενος. ἔστι δὲ καὶ τοῦτο ἀξίωµα κοινὸν περὶ πάσης γνωριστικῆς δυνάµεως, ὡς τῷ ὁµοίῳ τὰ ὅµοια γιγνώσκεται. ἔνεστιν οὖν καὶ ἀπ’ ἀµφοτέρων ἀµφότερα καὶ ἀπὸ τῶν ἑτέρων τὰ ἕτερα τούτων καταµανθάνειν, τάς τε ἴσας διαιρέσεις κοινῶς τε καὶ ἰδίως οἷόν τε ἐπ’ αὐτῶν ποιεῖσθαι, τάξιν τε µεταβάσεως ἀπὸ τῶν ἑτέρων ἐπὶ τὰ ἕτερα, τουτέστιν ἀπὸ τῶν καταδεεστέρων ἐπὶ τὰ ἀνωτέρω· καὶ ἀναγωγὴν πάντων καὶ σύνταξιν ἐπὶ τὸν νοῦν ὅπως δεῖ ποιεῖσθαι διώρικε.

25 Preciso che non di definizione formale si tratta, ma della loro “determinazione” da parte dell’autore: cfr.

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Tra tradizione e innovazione: Plutarco di Cheronea e le “Questioni Platoniche”

Analogamente, invece, a Plutarco, anche dello pseudo-Brontino (Giambl. De comm. math. scient. 34.20 ss.)26 possediamo una testimonianza che attesta la sua preferenza per la disuguaglianza dei

segmenti: διόπερ καὶ Βροτῖνος ἐν τῷ Περὶ νοῦ καὶ διανοίας χωρίζων αὐτὰ ἀπ’ ἀλλήλων τάδε λέγει· ‘ἁ δὲ διάνοια τῶ νῶ µεῖζόν ἐστι, καὶ τὸ διανοατὸν τῶ νοατῶ· ὁ µὲν γὰρ νόος ἐστὶ τό τε ἁπλόον καὶ τὸ ἀσύνθετον καὶ τὸ πρᾶτον νοέον καὶ τὸ νοεόµενον (τοιοῦτον δ’ ἐστὶ τὸ εἶδος· καὶ γὰρ ἀµερὲς καὶ ἀσύνθετον καὶ πρᾶτόν ἐστι τῶν ἄλλων), ἁ δὲ διάνοια τό τε πολλαπλόον καὶ µεριστὸν καὶ τὸ δεύτερον νοέον (ἐπιστάµαν γὰρ καὶ λόγον τὸν προσείληφε), παραπλησίως δὲ καὶ τὰ διανοατά, ταῦτα δ’ ἐντὶ τὰ ἐπιστατὰ καὶ τὰ ἀποδεικτὰ καὶ τὰ καθόλω τὰ ὑπὸ τῶ νόω διὰ τῶ λόγω καταλαµβανόµενα.’

Circa tre secoli dopo Plutarco, peraltro, Proclo (In Plat. rem publ. I, 288, 18-27 Kroll) si pronuncia in favore della disuguaglianza dei segmenti27, adducendo anche una spiegazione filosofica:28

ἡ δ’ οὖν εἰς ἄνισα τοµὴ τῶν πάντων αὐτῷ τὴν ἀξίαν ἐνδείκνυται τῶν τετµηµένων, τὴν κατὰ τὸ συνεχὲς ἀνισότητα τῆς κατὰ τὴν ὕπαρξιν ἀνισότητος εἰκόνα τιθεµένῳ. τούτων δὲ τῶν ἀνίσων δύο τµηµάτων ἑκάτερον ἀνάλογον τέµνει τῇ ἐξ ἀρχῆς γραµµῇ, τῆς ἀναλογίας πάλιν ταύτης ἐναργῶς δηλούσης τὴν διὰ ταυτότητος τῶν δευτέρων ἀπὸ τῶν πρότερον ὕφεσιν.

La divisione di tutti gli enti in parti disuguali proposta da Platone mostra il valore (axia) di ciò che è stato tagliato: Platone, infatti, concepisce la disuguaglianza geo-metrica del continuo come immagine (eikona) della disuguaglianza ontologica. Pla-tone taglia, poi, ciascuno di questi due segmenti disuguali in modo analogo a come ha fatto con la linea iniziale: tale analogia mostra di nuovo chiaramente la deriva-zione, pur nell’identità, degli enti secondi da quelli primi. (trad. Abbate) 26 Cfr. il comm. di Ulacco (2017: 4238 ss.). 27 Τὴν µὲν οὖν ἀφ’ἑνὸς πρόοδον τῶν ὄντων συνεχῆ καὶ ἡνωµένην οὖσαν ἐνδείξασθαι βουλόµενος γραµµῇ µιᾷ τὴν συνέχειαν ταύτηνἀπείκασεν, δι’ ὁµοιότητος καὶ ἀλληλουχίας τῶν δευτέρων ἀπὸ τῶν πρώτων ἀεὶ προϊόντων, κενοῦ δὲ οὐδενὸς τὰ ὄντα διείργοντος. οὐδὲ γὰρ ἦν τοῦτο θεµιτόν, τἀγαθοῦ πάντα παράγοντος καὶ εἰς ἑαυτὸ πάλιν ἐπιστρέφοντος. δεῖ γοῦν ὁµοιοῦσθαι τῷ γεννῶντι τὴν γένεσιν· ἑνὸς οὖν ἐκείνου ὄντος συνεχῆ τὴν γένεσιν ἀναγκαῖον εἶναι· συγγενὲς γὰρ τῷ ἑνὶ τὸ συνεχές. τούτου δὲ αἴτιον τοῦ συνεχοῦς ἡ ὁµοιότης τῶν ἑποµένων τµηµάτων πρὸς τὰ ἡγούµενα· ταύτην δὲ εἶναι πρὸς τοῦ ἑνὸς ὁµολογοῦµεν ἅπαντες· ἡ γὰρ ὁµοιότης ἑνότης τίς ἐστιν. µίαν µὲν οὖν γραµµὴν διὰ ταῦτα λαµβάνει, τέµνει δὲ δίχα ταύτην, οὐκ εἰς ἴσα µέρη τέµνων, ἀλλ’ εἰς ἄνισα, δύο δὲ ὅµως. καὶ γὰρ ἐν Φιλήβῳ τοῖς τὰ ὄντα σκοποῦσιν παρεκελεύσατο µετὰ τὸ ἓν σκοπεῖν τὰ δύο, εἴ πως ἐστίν, εἰ δὲ µή, τὸν σύνεγγυς τῆς δυάδος ἀριθµόν.

28 Su questo passo, si veda il comm. ad loc. di Abbate (2004: 404, n. 8), che spiega: ≪L’ulteriore divisione

della linea iniziale va intesa in base al medesimo rapporto con cui è stata effettuata la prima divisione; in altre parole, le due divisioni della linea sono improntate allo stesso principio di fondo, vale a dire quello della successione, assiologicamente ordinata, dei vari livelli entro cui si articola il reale. In sostanza, l’espressione διὰ ταυτότητος va intesa nel senso di “per identità di rapporto” […]≫.

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I.2.2. Con quale criterio? Inoltre, tanto Platone quanto Plutarco suggeriscono di tagliare in due29, di

nuovo, ciascuno dei due suddetti segmenti “secondo il medesimo rapporto” (anà ton autòn lògon). Plutarco, però, omette di indicare, come fa invece Platone, quale sia il parametro limitatamente al quale si devono ottenere le nuove suddivisioni: sparisce, quindi, qualsiasi riferimento alla “chia-rezza/non-chiarezza”, saphèneia/asàpheia.30 Sorgono, allora, due problemi ermeneutici: a) come

in-tendere anà ton autòn lògon? b) Perché Plutarco omette il riferimento alla chiarezza? a) Sulla natura del “rapporto” si è molto discusso: si veda, innanzitutto, lo status quaestionis in Ferrari (2014: 197-9). Si tratta di capire, principalmente, quale proporzione abbia in mente Platone, poiché, in questo punto e alla fine del libro (511d6-e431), egli sembra ricorrere a due tipi diversi di

propor-zione: rispettivamente, discontinua e continua. Nel primo caso, infatti, il rapporto tra i segmenti po-trebbe essere così formalizzato: C (I segm. sup.) + D (II segm. sup.) : A (I segm. inf.) + B (II segm. inf.) = B:A = D:C (ma anche: A+B : C+D = A:B = C:D). Da tale rapporto, emerge chiaramente come i segmenti centrali siano equiestesi: una palese incongruenza con la proporzione continua allusa dalla “sintesi” alla fine del libro VI, in cui si preserva, invece, il principio di progressione in chiarezza e verità tra i segmenti, pertanto tutti disuguali. Platone, tuttavia, non sembra essersi curato di questa difformità, che ha preso il nome, nella storiografia filosofica, di overdetermination problem. In ciò, Plutarco - le cui conoscenze matematiche sono, peraltro, dubbie32 - non fa che seguire il Maestro:

neppure lui, infatti, sembra interrogarsi sulla natura delle proporzioni matematiche impiegate nella similitudine della linea.

b) L’omissione, invece, del riferimento a saphèneia e asàpheia potrebbe essere spiegata tenendo a mente l’impossibilità, asserita da Plutarco nella quaestio, che sussista una commensurabilità tra in-telligibile e sensibile in termini quantitativi. La stessa questione di quale segmento sia più “esteso” non sarebbe, in tal senso, ben posta: i rapporti tra i “referenti reali” dei segmenti non sono esprimibili quantitativamente o dimensionalmente, ma solo qualitativamente od ontologicamente. In altre parole,

29 Dìcha tèmnein significa, quindi, nel passo della Resp. (come in quello della quaest.), “dividere in due”; non

“dividere in due parti uguali”, come in Men. 84e4-85a3: così Ferrari (2014: 197, n. 161).

30 ὥσπερ τοίνυν γραµµὴν δίχα τετµηµένην λαβὼν ἄνισα τµήµατα, πάλιν τέµνε ἑκάτερον τὸ τµῆµα ἀνὰ τὸν αὐτὸν

λόγον, τό τε τοῦ ὁρωµένου γένους καὶ τὸ τοῦ νοουµένου, καί σοι ἔσται σαφηνείᾳ καὶ ἀσαφείᾳ πρὸς ἄλληλα ἐν µὲν τῷ ὁρωµένῳ […]. Cfr. Vegetti (2003a: 92, n. 141).

31 Si tratta della celebre “sintesi” con cui si chiude il libro VI: ἱκανώτατα, ἦν δ᾽ ἐγώ, ἀπεδέξω. καί µοι ἐπὶ τοῖς

τέτταρσι τµήµασι τέτταρα ταῦτα παθήµατα ἐν τῇ ψυχῇ γιγνόµενα λαβέ, νόησιν µὲν ἐπὶ τῷ ἀνωτάτω, διάνοιαν δὲ ἐπὶ τῷ δευτέρῳ, τῷ τρίτῳ δὲ πίστιν ἀπόδος καὶ τῷ τελευταίῳ εἰκασίαν, καὶ τάξον αὐτὰ ἀνὰ λόγον, ὥσπερ ἐφ᾽ οἷς ἐστιν ἀληθείας µετέχει, οὕτω ταῦτα σαφηνείας ἡγησάµενος µετέχειν. Cfr. le nn. ad loc. di Vegetti (2003a),

Cen-trone (2012) e Ferrari (2014).

32 Al riguardo, si vedano Napolitano (1988: 378-413) e Parente (1992) - la quale non si occupa, però, di questo

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Tra tradizione e innovazione: Plutarco di Cheronea e le “Questioni Platoniche”

come lo stesso Plutarco farà notare più avanti nella quaestio, non ha nessun senso parlare di “gran-dezza” riferendosi a ciò che, come gli intelligibili, è incorporeo.33 Come confrontare, dunque, gli

oggetti noetici e quelli sensibili? Proprio rispetto alla saphèneia e all’asàpheia, che, come Platone chiarisce (511e3-5), sono “parametri” legati a un principio eminentemente onto-veritativo34.

L’omis-sione plutarchea, allora, è funzionale a indurre una meditazione filosofica - che è poi la quaestio stessa - e una progressiva presa di coscienza dell’inadeguatezza di un raffronto meramente quantita-tivo tra ranghi ontologici radicalmente e qualitativamente eterogenei - e, quindi, irriducibili, in ter-mini contrastivi, a parametri validi solo per uno di essi.

I.2.3. Sui segmenti inferiori. Platone comincia, a questo punto, la descrizione dei quattro segmenti a partire da quello inferiore della sezione del visibile: a partire, cioè, dalle immagini e dalle ombre, che si producono sull’acqua e su tutte le superfici lisce, compatte e lucide.35 A ciò segue poi,

nell’espo-sizione, la trattazione del segmento che fa da modello al precedente: ossia, quello degli esseri viventi, delle piante e dei prodotti artificiali.36 Prima, però, di procedere ulteriormente, Socrate si accorda con

il suo interlocutore su un teorema onto-gnoseologico formalizzabile nel modo seguente: Opinabile : Conoscibile = Copia : Modello.37

Nel testo plutarcheo, questo passaggio è così sintetizzato: Platone ha posto, nell’ambito del visibile, “per primi” i “corpi solidi” e “per seconde” le loro raffigurazioni e immagini. Ora, parlare di “corpi solidi” come di un “iperonimo” di animali, piante e prodotti artificiali equivale a ridurre tali entità a ciò che, dal punto di vista platonico, le accomuna “costituzionalmente”: i triangoli e i solidi poliedrici che da questi derivano.38 In altre parole, Plutarco suggerisce di concepire la realtà visibile come

33 Cfr. 1002d: καὶ ἄλλως εὔηθές ἐστι τοῖς σωµατικοῖς τεκµαίρεσθαι περὶ τῶν ἀσωµάτων.

34 Questa coalescenza di verità ed essere in Platone è stata affrontata, di recente, da Centrone (2014a). 35 καί σοι ἔσται σαφηνείᾳ καὶ ἀσαφείᾳ πρὸς ἄλληλα ἐν µὲν τῷ ὁρωµένῳ τὸ µὲν ἕτερον τµῆµα εἰκόνες — λέγω δὲ

τὰς εἰκόνας πρῶτον µὲν τὰς σκιάς, ἔπειτα τὰ ἐν τοῖς ὕδασι φαντάσµατα καὶ ἐν τοῖς ὅσα πυκνά τε καὶ λεῖα καὶ φανὰ συνέστηκεν, καὶ πᾶν τὸ τοιοῦτον, εἰ κατανοεῖς. ἀλλὰ κατανοῶ. Cfr. le nn. ad loc. di Vegetti (2003a),

Centrone (2012) e Ferrari (2014).

36 τὸ τοίνυν ἕτερον τίθει ᾧ τοῦτο ἔοικεν, τά τε περὶ ἡµᾶς ζῷς καὶ πᾶν τὸ φυτευτὸν καὶ τὸ σκευαστὸν ὅλον γένος.

τίθηµι, ἔφη. Lo statuto degli artefacta è, in Platone, al centro di un'antica questione ermeneutica; in particolare,

si discute sulla possibilità che si diano idee di manufatti: cfr. Parente (1964), (1966: cap. I), Ferrari (2007a) e Forcignanò (2014).

37 ἦ καὶ ἐθέλοις ἂν αὐτὸ φάναι, ἦν δ᾽ ἐγώ, διῃρῆσθαι ἀληθείᾳ τε καὶ µή, ὡς τὸ δοξαστὸν πρὸς τὸ γνωστόν, οὕτω

τὸ ὁµοιωθὲν πρὸς τὸ ᾧ ὡµοιώθη; ἔγωγ᾽, ἔφη, καὶ µάλα. Cfr. le nn. ad loc. di Vegetti (2003a), Centrone (2012)

e Ferrari (2014).

38 In ciò, il testo plutarcheo si dimostra sostanzialmente fedele all’insegnamento platonico del Timeo, laddove

la particolare consistenza ontologica degli enti matematici garantisce intelligibilità, nella misura del possibile, al mondo sensibile. Peraltro, il problema, ermergente già nel Parmenide, dell’estensione della “popolazione intelligibile” e della possibilità che si diano Forme anche di entità estremamente umili, potrebbe trovare una risoluzione proprio nella asserita matematicità della trama strutturale della corporeità: cfr. Parente (1964).

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metricamente fondata - anche se poi tali elementi immanenti, che si rintracciano al fondo della cor-poreità, sono di rango inferiore e di natura derivativa rispetto agli oggetti matematico-geometrici veri e propri, appartenenti al segmento dei dèutera èide.39

I.2.4. Sui segmenti superiori. L’esposizione dei due segmenti dell’intelligibile è preceduta, nel testo platonico, da una celebre parentesi sui metodi ipotetico40 e anipotetico41. L’attenzione dell’indagine

si sposta, quindi, almeno per il momento, su un versante prettamente cognitivo-metodologico. All’in-terno, dunque, del segmento inferiore dell’intelligibile, si utilizza un metodo che: 1) induce a partire dalle realtà sensibili; 2) porta a concepirle come immagini; 3) spinge a fare ipotesi e 4) a procedere, deduttivamente, in direzione sempre discendente e mai ascendente. Nel segmento superiore, invece, è praticabile un metodo che: 1) non si serve del sensibile; 2) giunge a un principio anipotetico; 3) è tutto compreso all’interno del piano eidetico, attraverso gli elementi del quale si snoda; 4) è eminen-temente procedurale.42 Com’è prevedibile, però, l’interlocutore di Socrate non ha compreso né di

quali metodi egli stia parlando, né quali siano le entità interessate da tali metodi. A questo punto, allora, Socrate spiega che il metodo ipotetico è assimilabile a quello dei geometri che, per operare le loro dimostrazioni astratte, p.es. sul triangolo “in sé”, ricorrono a oggetti sensibili e assumono, al riguardo, delle ipotesi, di cui non forniscono, però - né, ragionevolmente, sanno fornire - un lògos.

39 Sulla natura e sulla funzione mediatrice di razionalizzazione svolta dagli enti matematici nella cosmologia

plutarchea, cfr. Ferrari (1995: 115-84). 40 ἧι τὸ µὲν αὐτοῦ τοῖς τότε µιµηθεῖσιν ὡς εἰκόσιν χρωµένη ψυχὴ ζητεῖν ἀναγκάζεται ἐξ ὑποθέσεων, οὐκ ἐπ᾽ ἀρχὴν πορευοµένη ἀλλ᾽ ἐπὶ τελευτήν, τὸ δ᾽ αὖ ἕτερον—τὸ ἐπ᾽ ἀρχὴν ἀνυπόθετον—ἐξ ὑποθέσεως ἰοῦσα καὶ ἄνευ τῶν περὶ ἐκεῖνο εἰκόνων, αὐτοῖς εἴδεσι δι᾽ αὐτῶν τὴν µέθοδον ποιουµένη. […] οἶµαι γάρ σε εἰδέναι ὅτι οἱ περὶ τὰς γεωµετρίας τε καὶ λογισµοὺς καὶ τὰ τοιαῦτα πραγµατευόµενοι, ὑποθέµενοι τό τε περιττὸν καὶ τὸ ἄρτιον καὶ τὰ σχήµατα καὶ γωνιῶν τριττὰ εἴδη καὶ ἄλλα τούτων ἀδελφὰ καθ᾽ ἑκάστην µέθοδον, ταῦτα µὲν ὡς εἰδότες, ποιησάµενοι ὑποθέσεις αὐτά, οὐδένα λόγον οὔτε αὑτοῖς οὔτε ἄλλοις ἔτι ἀξιοῦσι περὶ αὐτῶν διδόναι ὡς παντὶ φανερῶν, ἐκ τούτων δ᾽ ἀρχόµενοι τὰ λοιπὰ ἤδη διεξιόντες τελευτῶσιν ὁµολογουµένως ἐπὶ τοῦτο οὗ ἂν ἐπὶ σκέψιν ὁρµήσωσι. […] οὐκοῦν καὶ ὅτι τοῖς ὁρωµένοις εἴδεσι προσχρῶνται καὶ τοὺς λόγους περὶ αὐτῶν ποιοῦνται, οὐ περὶ τούτων διανοούµενοι, ἀλλ᾽ ἐκείνων πέρι οἷς ταῦτα ἔοικε, τοῦ τετραγώνου αὐτοῦ ἕνεκα τοὺς λόγους ποιούµενοι καὶ διαµέτρου αὐτῆς, ἀλλ᾽ οὐ ταύτης ἣν γράφουσιν, καὶ τἆλλα οὕτως, αὐτὰ µὲν ταῦτα ἃ πλάττουσίν τε καὶ γράφουσιν, ὧν καὶ σκιαὶ καὶ ἐν ὕδασιν εἰκόνες εἰσίν, τούτοις µὲν ὡς εἰκόσιν αὖ χρώµενοι, ζητοῦντες δὲ αὐτὰ ἐκεῖνα ἰδεῖν ἃ οὐκ ἂν ἄλλως ἴδοι τις ἢ τῇ διανοίᾳ. […] τοῦτο τοίνυν νοητὸν µὲν τὸ εἶδος ἔλεγον, ὑποθέσεσι δ᾽ ἀναγκαζοµένην ψυχὴν χρῆσθαι περὶ τὴν ζήτησιν αὐτοῦ, οὐκ ἐπ᾽ ἀρχὴν ἰοῦσαν, ὡς οὐ δυναµένην τῶν ὑποθέσεων ἀνωτέρω ἐκβαίνειν, εἰκόσι δὲ χρωµένην αὐτοῖς τοῖς ὑπὸ τῶν κάτω ἀπεικασθεῖσιν καὶ ἐκείνοις πρὸς ἐκεῖνα ὡς ἐναργέσι δεδοξασµένοις τε καὶ τετιµηµένοις. Cfr. le nn.ad loc. di Vegetti (2003a), Centrone (2012) e

Ferrari (2014), nonché gli importanti studi di Cambiano (1971: 142-158) e (2006: 23-80).

41 τὸ τοίνυν ἕτερον µάνθανε τµῆµα τοῦ νοητοῦ λέγοντά µε τοῦτο οὗ αὐτὸς ὁ λόγος ἅπτεται τῇ τοῦ διαλέγεσθαι

δυνάµει, τὰς ὑποθέσεις ποιούµενος οὐκ ἀρχὰς ἀλλὰ τῷ ὄντι ὑποθέσεις, οἷον ἐπιβάσεις τε καὶ ὁρµάς, ἵνα µέχρι τοῦ ἀνυποθέτου ἐπὶ τὴν τοῦ παντὸς ἀρχὴν ἰών, ἁψάµενος αὐτῆς, πάλιν αὖ ἐχόµενος τῶν ἐκείνης ἐχοµένων, οὕτως ἐπὶ τελευτὴν καταβαίνῃ, αἰσθητῷ παντάπασιν οὐδενὶ προσχρώµενος, ἀλλ᾽ εἴδεσιν αὐτοῖς δι᾽ αὐτῶν εἰς αὐτά, καὶ τελευτᾷ εἰς εἴδη. Cfr. le nn.ad loc. di Vegetti (2003a), Centrone (2012) e Ferrari (2014), nonché gli importanti

studi di Cambiano (1971: 142-258) e (2006: 23-80).

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Tra tradizione e innovazione: Plutarco di Cheronea e le “Questioni Platoniche”

Ecco perché, per quanto le conclusioni raggiunte possano essere corrette, riproducibili e coglibili con la sola diànoia, esse non godono della stabilità che solo l’epistème dei principi di un ragionamento può garantire: non sono nient’altro che prodotti di homologhìa.

Il metodo in questione nel segmento superiore e finale della sezione, invece, si snoda interamente sul piano intelligibile: servendosi delle ipotesi come di meri punti di partenza, di elementi teorici prov-visori, giunge “fino a ciò che è anipotetico e al principio di tutto”. Questa è la descrizione della dynamis tou dialeghesthai.43 Se, dunque, solo chi si serve di quest’ultima perviene ad avere nous

delle realtà in esame, quanti permangono all’interno del piano dianoetico sono confinati in uno spazio epistemico intermedio tra opinione e intelletto (511d4-5)44. Dunque, gli oggetti che popolano gli

ul-timi due segmenti sono sempre gli èide, le forme, mentre è dalla differente modalità di accesso a questi che dipende, poi, il grado (dianoetico o dialettico) dello stato cognitivo determinatosi.45

Il libro si conclude con un problematico riepilogo delle conquiste della discussione: viene tematiz-zato, infatti, un abbinamento tra pathèmata, “stati cognitivi”, e oggetti cognitivi. I due segmenti su-periori, come è stato anticipato, contemplano le due modalità conoscitive di nòesis e diànoia, en-trambe indirizzate alle Forme, anche se con modalità epistemologicamente difformi; ai due segmenti inferiori, invece, vengono associate due forme cognitive il cui statuto è piuttosto ambiguo: pìstis per le realtà sensibili (animali, piante, prodotti artificiali), eikasìa per le loro immagini. 46

La sintesi che Plutarco offre di questo complesso passaggio testuale è estremamente fedele. Risulta interessante, però - in quanto costituisce un elemento estraneo al dettato platonico -, lo stilema im-piegato per descrivere le forme: pròta èide, “forme prime”, le chiama il Cheronese; dal che è logico inferire come, tra i platonici suoi contemporanei, si dovesse parlare anche di dèutera èide, “forme seconde”: ossia, gli enti matematici, come ha dimostrato Franco Ferrari47. Questi costituiscono, sì,

un’articolazione dell’intelligibile inferiore rispetto al piano ultimativo degli oggetti propri del sapere

43 Sulla dialettica platonica, cfr. Vegetti (2003b).

44 µανθάνω, ἔφη, ἱκανῶς µὲν οὔ — δοκεῖς γάρ µοι συχνὸν ἔργον λέγειν — ὅτι µέντοι βούλει διορίζειν σαφέστερον εἶναι τὸ ὑπὸ τῆς τοῦ διαλέγεσθαι ἐπιστήµης τοῦ ὄντος τε καὶ νοητοῦ θεωρούµενον ἢ τὸ ὑπὸ τῶν τεχνῶν καλουµένων, αἷς αἱ ὑποθέσεις ἀρχαὶ καὶ διανοίᾳ µὲν ἀναγκάζονται ἀλλὰ µὴ αἰσθήσεσιν αὐτὰ θεᾶσθαι οἱ θεώµενοι, διὰ δὲ τὸ µὴ ἐπ᾽ ἀρχὴν ἀνελθόντες σκοπεῖν ἀλλ᾽ ἐξ ὑποθέσεων, νοῦν οὐκ ἴσχειν περὶ αὐτὰ δοκοῦσί σοι, καίτοι νοητῶν ὄντων µετὰ ἀρχῆς. διάνοιαν δὲ καλεῖν µοι δοκεῖς τὴν τῶν γεωµετρικῶν τε καὶ τὴν τῶν τοιούτων ἕξιν ἀλλ᾽ οὐ νοῦν, ὡς µεταξύ τι δόξης τε καὶ νοῦ τὴν διάνοιαν οὖσαν.

45 Così Trabattoni (2010) e Ferrari (2014).

46 Una ricca rassegna dei possibili traducenti di questi termini è offerta da Ferrari (2014: 208, n. 172). 47 La discussione è principalmente in Ferrari (1995: 156-8). Cfr. Alc. Didask. 155, 36-156, 11: οὐκοῦν ὄντος

καὶ ἐπιστηµονικοῦ λόγου καὶ δοξαστικοῦ, οὔσης δὲ καὶ νοήσεως καὶ αἰσθήσεως, ἔστι καὶ τὰ τούτοις ὑποπίπτοντα, οἷον τὰ νοητὰ καὶ αἰσθητά· καὶ ἐπεὶ τῶν νοητῶν τὰ µὲν πρῶτα ὑπάρχει, ὡς αἱ ἰδέαι, τὰ δὲ δεύτερα, ὡς τὰ εἴδη τὰ ἐπὶ τῇ ὕλῃ ἀχώριστα ὄντα τῆς ὕλης, καὶ νόησις ἔσται διττή, ἡ µὲν τῶν πρώτων, ἡ δὲ τῶν δευτέρων. […]Τὰ µὲν δὴ πρῶτα νοητὰ νόησις κρίνει οὐκ ἄνευ τοῦ ἐπιστηµονικοῦ λόγου, περιλήψει τινὶ καὶ οὐ διεξόδῳ, τὰ δὲ δεύτερα ὁ ἐπιστηµονικὸς λόγος οὐκ ἄνευ νοήσεως, su cui cfr. comm. ad loc. di Dillon (1988a).

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noetico, ma non sono, d’altro canto, considerati da Plutarco neppure come esclusivamente, o princi-palmente, sensibili; si tratta, in realtà, di entità la cui origine è nell’intelligibile, ma la cui efficacia e funzionalità si esprime, in termini cosmologici, interamente nel sensibile: nella misura, infatti, in cui si applicano a esso, lo rendono quanto più possibile intelligibile.48

I.2.5. L’aporia dell’estensione. La questione che, a questo punto, pone Plutarco è la seguente: perché segmenti disuguali? E quale dei due, posto che non hanno la stessa “estensione”, è “maggiore” (mei-zon)? Prima di procedere con l’analisi della quaestio, è necessario ribadire, fin da adesso, la parzialità della prospettiva d’indagine adottata: il rapporto tra intelligibile e sensibile è, infatti, esaminato in termini meramente quantitativi. Tuttavia - come qualsiasi platonico avrebbe dovuto sapere -, la natura di tale relazione, per quanto difficile a cogliersi perfettamente, non è affatto riconducibile a quella che intercorre tra insiemi di oggetti equipollenti nella loro realtà materiale; è, quindi, un approccio ontologicamente “equiparazionista” a venire rigettato dal Cheronese.

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