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PER SAPERNE DI PI `

U

Vuoto

Void

Alessandro Bettini ()

Dipartimento di Fisica e Astronomia “G. Galilei”, Universit`a di Padova e INFN, Sezione di Padova, Padova, Italia

Riassunto. Proporr`o qui le tappe pi`u importanti della storia del concetto di vuo-to, partendo dal mito greco cos`ı come lo troviamo in Esiodo. Accenner`o poi a come il vuoto, con gli atomi, fu di importanza centrale per Leucippo e Democrito, per essere poi negato dalla gran parte dei filosofi greci, Aristotele sopra tutti. E il pregiudizio che la natura aborra il vuoto si afferm`o. Il periodo ellenista vide un grande svilupp`o dell’idraulica, in particolare con Erone. Ne vedremo l’approccio al funzionamento del sifone, in cui l’acqua sale per l’orrore della natura per il vuoto. La sua opera giunger`a, tredici secoli pi`u tardi, a Galilei. Questi deter-miner`a sino a che altezza massima un pompa aspirante pu`o alzare una colonna d’acqua, ma non si discoster`a da Erone nell’interpretazione. La ragione vera, il bilanciamento della pressione atmosferica, sar`a trovato dai suoi discepoli, Berti, Torricelli e Viviani, e da Pascal. Poco dopo, Newton arriver`a alla sua legge della gravitazione universale con due idee ardite: il vuoto esiste ed esistono azioni a distanza, che attraverso il vuoto si propagano. Questo vuoto diverr`a presto sede, a partire da Faraday, di campi di forze, che lo riempiranno fisicamente di energia, quantit`a di moto e momento angolare. E, infine, le teorie quantistiche di questi campi ci mostreranno come il vuoto sia uno stato dinamico estremamente attivo. Abstract. I shall try here to follow the most important stages in the history of the concept of emptiness (“vuoto” in Italian means both vacuum and void), starting from the Greek myth, as we find in Hesiod. I shall next mention how the void, with atoms, had a central importance for Leucippus and Democritus, to be negated by the majority of the Greek philosophers, most importantly by Aristotle. And the prejudice that Nature abhors a vacuum was established. In the Hellenist period great was the development of hydraulics, in particular with Heron. We shall see his approach to the siphon operation, in which the ascent of water is due to the horror vacui of Nature. His book will reach, thirteen centuries

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later, Galilei, who will find the maximum height at which a water column can be lifted by a suction pump, but will not move away from Heron in the interpretation. The true reason, the balance with the atmospheric pressure, will be found by his pupils, Berti, Torricelli and Viviani, and by Pascal. Soon after, Newton will be able to establish the law of universal gravitation with two bold ideas: the void exists and interactions can propagate through it at any distance. This void, however, will soon, starting with Faraday, become the site of fields of forces, that will fill it with energy, momentum and angular momentum. And, finally, the quantum theories of these fields will show us the vacuum to be a dynamically extremely active state.

1. Introduzione

Sul vuoto sono stati scritti centinaia di articoli e libri interi, scientifici, tecnici, filosofici e divulgativi. Il vuoto `e oggi estremamente importante, per gli acceleratori di particelle, per l’industria dei semiconduttori, le tecniche dei film sottili, la metallurgia, la conservazione dei cibi, etc. Ma questi vuoti non sono mai realmente tali, perch´e essi contengono in ogni caso molecole di gas, anche se a densit`a ridotte rispetto a quella atmosferica. Il “vuoto” artificiale pi`u spinto `e stato realizzato nel grande collisore LHC al CERN per permettere ai fasci di protoni di girare per ore indisturbati. Ma in ogni centimetro cubo di questo “vuoto” (10−13atm a circa 3 K) ci sono ancora alcune centinaia di milioni di molecole.

Contiene materia anche il mezzo interstellare, in media un atomo per centimetro cubo, e pure tra una galassia e l’altra qualche atomo c’`e, dell’ordine di uno per metro cubo. La materia contiene massa, energia e cariche. E sono queste che la rendono sta-bile perch´e si conservano. Ma ovunque ci sono anche particelle elementari, i neutrini residui del Big Bang, circa 300/cm3, e le particelle di materia oscura che non sappia-mo cosa siano. E c’`e energia che non ha cariche, quella del campo elettromagnetico e quella del campo gravitazionale, fotoni e gravitoni. E c’`e l’energia oscura che domina il bilancio energetico, ma non sappiamo cosa sia. Se poi potessimo osservare una re-gione vuota di materia e di energia con risoluzione spaziale di 10−16m e temporale di 10−24s vedremmo il vuoto quantistico del campo di colore, continuamente pulsante di coppie quark-antiquark e di gluoni che escono dal nulla per rientravi immediatamente. Sul piano logico, oggi non abbiamo difficolt`a a concepire il vuoto assoluto, come una regione che non contiene assolutamente nulla. Ma non fu sempre cos`ı, e questa stessa possibilit`a fu a lungo discussa nella storia del pensiero e negata da importanti filosofi. Cominciamo quindi dall’inizio. Rimando per maggiori dettagli e per leggere le fonti originali al mio “Da Talete a Newton. La fisica nelle parole dei giganti ” [1].

2. Il mito

Tutte le civilt`a si sono chieste, sin dai loro albori, come l’Universo ebbe origine. La genesi divenne parte del mito. Nella mitologia greca, cultura in cui la nostra ha

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le radici pi`u dirette, i fenomeni fisici primordiali e gli elementi del mondo stesso sono personificati in dei. Esiodo ce ne descrive la genealogia nella Teogonia (circa VII secolo a.C.). Il poema certo contiene elementi rapsodici della tradizione orale precedente, e gli storici hanno discusso a lungo, e ancora lo fanno, se Esiodo sia esistito come persona reale e su quanto delle versioni che ci sono pervenute sia originale e quanto interpolato in tempi pi`u recenti, ma comunque antichi. Non sono certo in grado di discuterne, ma solo di dare un breve cenno a quanto vi si legge di rilevante per il nostro tema.

Gli dei stessi all’inizio non esistevano. Il primo fu Chaos. Sui significati di X ´αoς esiste un’intera letteratura. Non `e disordine, un significato che acquister`a pi`u tardi, ma piuttosto abisso che si spalanca sconfinato e vuoto, pronto ad accogliere altro da s´e. `E lo stato del mondo prima che i suoi componenti si differenzino. Ed `e buio e tetro, “pieno” quindi di tenebra, una negativit`a, di cui due dei suoi figli saranno partecipi: Erebo, l’oscurit`a e Nyx, la notte. `E curioso notare che oggi sappiamo che l’Universo `e letteralmente pieno di “oscurit`a”: materia oscura ed energia oscura ne costituiscono pi`u del 95%. M. L. West osserva [2] che Chaos contiene anche altro dell’oscurit`a, abbastanza da incendiarsi, “quindi un ardore incredibile occup`o Chaos [3]”, quando, pi`u tardi nella narrazione esiodea, Zeus infuriato, cercher`a di domare la rivolta dei Titani lanciando un diluvio di fulmini. E Chaos genera Ghe, la Terra dall’ampio seno, la materia che prima non c’era, e Tartaro, l’oscuro mondo sotterraneo; Ghe genera Urano, il cielo stellato; ed `e subito Eros, il pi`u bello tra gli immortali, che `e qui l’energia generatrice primordiale. E finalmente s’accende il lato luminoso e positivo: uniti da Eros, Erebo e Nyx generano Emera, il giorno e Ether, la luce del cielo.

3. Il vuoto esiste — κεν`oν γ `αρ ε˜ιναι,

La possibilit`a teorica che ci possa essere uno spazio completamente privo di materia fu discussa dal pensiero greco a partire dal V scolo a.C.

Melisso di Samo (nato attorno al 470 a.C.) stabil`ı, per primo, il vuoto come precondizione per il moto. Se tutto `e pieno, non c’`e dove spostarsi per far spazio a chi vuol muoversi. Egli, tuttavia, identific`o il vuoto con il nulla e neg`o la possibilit`a della sua esistenza e, seguendo nel paradosso Parmenide, la possibilit`a del moto dell’Essere unico, l’entit`a fondamentale o, forse, lo spazio sede dei fenomeni.

Perch´e ci`o che `e vuoto `e nulla e ci`o che `e niente non pu`o esistere. N´e (l’Essere unico) si muove, dato che il pieno non pu`o lasciar strada in alcun punto. Perch´e se il vuoto esistesse, esso si sposterebbe verso di questo, ma, dato che non c’`e alcun luogo vuoto, non ha dove spostarsi [4].

Gli “atomisti”, Leucippo (V secolo a.C.) e il suo discepolo Democrito di Abdera (circa 460–circa 370 a.C.) mantennero l’identificazione del vuoto con il non-essere, ma ne affermarono l’esistenza, anzi ne fecero un elemento fondante della loro fisica. In risposta alla scuola eleatica e ai paradossi sul moto di Zenone, essi affrontarono il problema del continuo. Se prendo un pezzo di legno e lo divido in due, ho due

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pezzi di legno. Se taglio uno dei due, ottengo ancora due pezzi di legno, pi`u piccoli. La domanda `e: posso continuare a dividere all’infinito ed ottenere sempre pezzi della stessa materia? A quei filosofi parve che la risposta dovesse essere negativa. La materia `e fatta di particelle che non sono divisibili, atomi appunto. Questi sono piccolissimi e invisibili e si muovono continuamente nell’infinito spazio vuoto. Essi interagiscono solo quando entrano in contatto tra loro.

Di Leucippo non ci `e rimasto nulla, di Democrito qualche frammento.

Per convenzione `e il colore, per convenzione il dolce, per convenzione l’amaro; in realt`a ci sono gli atomi e il vuoto [5].

Tra le fonti indirette la pi`u vicina `e Aristotele. Questi ci dice che Leucippo sostiene che l’entit`a fondamentale esiste, ma non `e una sola, come era per gli Eleatici, sono invece gli atomi (parentesi sue)

sono in numero infinito, e sono invisibili a causa della piccolezza delle parti-celle. Si muovono nel vuoto (perch´e il vuoto esiste — κεν`oν γ `αρ ε˜ιναι), e, quando si mettono insieme causano la creazione e quando si separano causano la dissoluzione. Hanno un effetto e subiscono un effetto quando vengono in contatto (il contatto non li rende uno), ma quando sono composti e connessi assieme creano qualche cosa [6].

Leucippo e il suo compagno Democrito affermano che gli elementi sono il pieno e il vuoto; chiamano il primo “essere”, e il secondo “non essere”, e di questi il pieno e il solido `e “l’essere” mentre il vuoto `e “il non essere” (perci`o sostengono che “l’essere” non ha meno realt`a del “non essere”, perch´e il vuoto esiste non meno del corpo), e li pongono cause materiali delle cose esistenti [7].

Aristotele, in contrasto, si oppose alla possibilit`a stessa che il vuoto esista. Rias-sumendo all’estremo, la sua teoria fisica assume che il moto di un corpo dipende dalla sua composizione nelle sostanze di base (due “gravi”, terra e acqua, e due “leggere”, aria e fuoco). Se lasciati liberi, i “gravi” tendono verso il basso, i “leggeri” verso l’alto, che sono i loro luoghi “naturali”. La velocit`a di un grave che cade `e diretta-mente proporzionale al peso, e inversadiretta-mente alla resistenza del mezzo, misurata dalla densit`a di quest’ultimo. Allora, il vuoto `e impossibile, anzitutto perch´e in esso non ci sarebbe moto, dato che non c’`e alto e non c’`e basso, e non ci sono quindi luo-ghi naturali verso cui tendere. Inoltre, ammesso per assurdo che moto ci fosse, esso avrebbe velocit`a infinta, dato che la resistenza sarebbe nulla. Aristotele infine rifiuta la possibilit`a dell’azione a distanza. Un sasso lanciato verso l’alto (moto “violento”) sale perch´e spinto dall’aria che, aperta davanti, gli gira attorno e lo spinge da dietro. Aristotele fu uno dei pi`u grandi filosofi della storia, ma il suo approccio assiomatico, la pretesa di sapere a priori cosa la natura debba fare, fu completamente diverso da quello curioso ed umile che era stato dell’illuminismo ionico, con Talete e Anassiman-dro, degli atomisti e, persino, sotto certi aspetti, della scuola di Pitagora. L’influenza sullo sviluppo dello studio della natura sar`a negativa per due millenni, sino a Brahe e Galilei.

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4. L’ellenismo

Lo studio della natura riprese vigore nel periodo ellenista. Dopo la morte di Ales-sandro il Macedone nel 323 a.C., il suo impero, che si estendeva dal Mediterraneo all’India, presto si separ`o in diversi regni. Quello dell’Egitto ebbe per capitale Ales-sandria, fondata da Alessandro nel 331 a.C. alle foci del Nilo. Sotto i primi Tolomei, che promossero le arti e le scienze, fu sede di un museo e della famosa biblioteca, istituzioni internazionali di alta cultura. Molto pi`u duraturi dell’unit`a politica furono gli effetti economici e culturali delle conquiste alessandrine e della loro unificazione in un unico impero. I greci erano venuti a conoscere direttamente le grandi civilt`a Mesopotamiche, Egizia ed altre. Contatti, anche rilevanti, ce n’erano certo stati nei secoli precedenti, ma combattere, amministrare, operare e vivere nei luoghi stessi di queste civilt`a port`o ad uno scambio di conoscenze pi`u ampio e profondo. Da un lato, la cultura greca si diffuse sino all’Indo, dall’altro nuove tecnologie furono acquisite dai greci, favorendo sia i commerci sia lo sviluppo scientifico. Interessa qui in particolare l’ingegneria idraulica che si era grandemente sviluppata, per necessit`a pratiche, presso le civilt`a che dipendevano da grandi fiumi come il Nilo, il Tigri e l’Eufrate. Venuti a conoscenza diretta dalle maestranze che controllavano le opere idrauliche, i Greci vi aggiunsero la loro razionalit`a.

Tra i grandi idraulici ellenisti, interessa qui, in particolare, Erone di Alessandria, attivo nel I secolo d.C. Tra le altre sue opere, Pneumatica, ricerca sulle propriet`a del-l’aria atmosferica, contiene la sua teoria sulla struttura della materia e innumerevoli dispostivi, spesso di magia naturale, inventati sulla base di questa. L’opera soprav-visse ed ebbe grande influenza nel tardo Medioevo, nel Rinascimento e su Galilei stesso [8]. Nell’Introduzione Erone scrive:

Alcuni ritengono che non ci sia assolutamente alcun vuoto; altri che, bench´e la natura non mostri alcun vuoto continuo, il vuoto si trovi distribuito in mi-nute porzioni dentro l’aria, l’acqua, il fuoco e tutte le sostanze; e quest’ultima opinione, che ora dimostreremo esser vera da fenomeni sensibili, `e quella che adottiamo. Recipienti che appaiono ai pi`u vuoti, vuoti non sono, come loro pensano, ma pieni di aria. Ora l’aria, come coloro che hanno studiato fisica pensano, `e composta di particelle minute e leggere, e per la maggior parte invisibili. Se, allora, versiamo acqua in un recipiente vuoto, aria uscir`a in proporzione all’acqua entrata. Questo si pu`o vedere col seguente esperimento. Si rovesci un vaso che sembra vuoto e, tenendolo accuratamente verticale, lo si spinga dentro l’acqua; non vi entrer`a acqua, dato che `e completamente im-merso: `e quindi manifesto che l’aria, essendo materia, ed avendo essa riempito lo spazio nel vaso, non permette all’acqua di entrare. Ora, se foriamo il fondo del vaso, l’acqua entrer`a dalla sua bocca, ma aria uscir`a dal foro . . . . Quindi bisogna assumere che l’aria sia materia. L’aria quando messa in moto diviene vento . . . e, se mettiamo una mano sopra il foro, sentiremo il vento che esce dal foro [9].

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Fig. 1. – Le porte miracolose di Erone di Alessandria [10].

Possiamo quindi affermare che la materia di cui sono fatti tutti i corpi `e com-posta di minute particelle, tra le quali ci sono spazi vuoti, pi`u piccoli delle particelle stesse (per cui `e errato dire che non c’`e alcun vuoto —a meno che non si applichi una forza— e che tutto `e pieno di aria, di acqua, o di altre so-stanze), e, in ragione di quanto una di queste particelle recede, qualcun’altra la segue e riempie lo spazio liberato: che non c’`e alcun vuoto continuo, se non in seguito all’applicazione di una forza: e, ancora, che il vuoto assoluto non lo si trova ma si produce artificialmente.

Interessa qui, in particolare, il sifone, che era gi`a stato discusso da Filone di Bisanzio (circa 280-220 a.C.), attivo ad Alessandria tre secoli prima, e fu usato da Erone in molte delle sue macchine, come quella in fig. 1 che ora descriveremo. Se si scalda l’aria nel globo, a destra in figura, l’acqua sale nel tubo a U, il sifone. Ma questo viola il dogma aristotelico che l’acqua, per natura, tende a scendere. La spiegazione di Filone e di Erone `e che l’acqua va in su, in verso contrario a quello per essa “naturale”, a causa della predominante resistenza della natura al vuoto continuo. Questo si verificherebbe se si rompesse la colonna d’acqua nel tubo. La comprensione di quale sia la vera causa, che a noi sembra cos`ı ovvia, non verr`a data nemmeno da Galilei, ma dai suoi discepoli.

La macchina in fig. 1 apre automaticamente le porte di un tempio, mostrando la statua della divinit`a, quando il sacerdote accende un fuoco sull’altare. Miracolo!

Costruzione di un tempio le cui porte si aprono spontaneamente quando si accende il fuoco, e si richiudono quando il fuoco si spegne.

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accu-ratamente chiuso, sino a riempirlo a met`a”. Quando si accende il fuoco sull’altare εδ, aria calda si espande ed entra nel globo nascosto, attraverso il tubo ξη, che deve essere ermeticamente saldato al globo, spingendo acqua nel secchio sospeso. Questo, appesantito, apre le porte con un sistema di catene e pulegge, il cui meccanismo `e accuratamente descritto. Poi,

quando il fuoco si spegne, l’aria rarefatta uscir`a attraverso i pori nella super-ficie del globo, ed il sifone curvo (la cui estremit`a sar`a immersa nell’acqua del secchio appeso) porter`a acqua nel globo in modo da riempire il vuoto lasciato dalle particelle rimosse.

E il secchio alleggerito permetter`a al contrappeso a sinistra di chiudere le porte. Uscita dai pori a parte, la fisica `e corretta [11].

L’Ellenismo, incluso il periodo “imperiale”, in cui fece parte dell’Impero romano, fu l’ultimo, eccelso, capitolo della cultura greca antica. Si concluse con Simplicio di Cilicia (c. 490–c. 560), importante perch´e attraverso i suoi commenti delle opere antiche i contenuti di molte di queste sono giunti sino a noi (come il frammento di Melisso sopra citato). La sua scuola neoplatonica ad Atene fu colpita, in quanto pagana, dall’editto di Giustiniano del 529. Con altri sei filosofi si trasfer`ı in Persia, sperando di poter l`ı continuare la scuola. Ma la speranza fu delusa e dovettero tornare ad Atene. Non c’era pi`u cittadinanza per il pensiero dei greci.

5. Galileo Galilei

La filosofia aristotelica, e in particolare i pregiudizi sull’impossibilit`a del vuoto, l’horror vacui, dominarono il pensiero in Europa per tutto il Medioevo. Nell’Uma-nesimo e nel Rinascimento le opere degli antichi tornarono ad essere lette, non solo nei conventi, ma da un pubblico pi`u vasto che includeva non solo studiosi, filosofi ed artisti, ma anche ingegneri ed artigiani, anche grazie all’invenzione della stampa a caratteri mobili di Johannes Gutenberg nel 1455. Importanti, per il nostro soggetto, furono le traduzioni della Pneumatica di Erone in latino da parte di F. Commandino nel 1575 e in italiano da parte di G. B. Aleotti nel 1589. Ci`o stimol`o lo sviluppo delle pompe idrauliche per diversi usi, incluse le fontane e i giochi d’acqua richiesti da nobili e potenti per abbellire i loro giardini. I maestri fontanieri migliorarono nel tempo le tecnologie, passarono dal legno al metallo per ridurre le perdite, allo scopo di aumentare il dislivello cui si riusciva a aspirare l’acqua, ma all’inizio del XVII secolo apparve chiaro che esisteva un limite invalicabile. A che era dovuto?

Lo studio del problema port`o al chiarimento del concetto di pressione, come si legge nell’articolo a ci`o dedicato di C. Frontali pubblicato in questa rubrica [12]. Galilei affront`o il problema, la cui soluzione sar`a il “vuoto torricelliano”, a pi`u riprese nel corso della sua vita, senza risolverlo. La sua teoria finale `e esposta e discussa nella prima giornata de Le nuove scienze [13], dedicata, assieme alla seconda, alla struttura della materia e alla resistenza dei materiali. Mi limiter`o qui all’essenziale; per approfondimenti si veda, ad esempio [14].

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L’11 aprile del 1615, Giovan Francesco Sagredo aveva scritto a Galilei una lettera in cui riferiva di suoi esperimenti sul vuoto, non dissimili da quelli di Filone ed Erone. Uno di questi era:

Alle fornaci di Murano ho fatto fare un vaso di vetro con un palmo di collo; et essendo ben caldo, l’ho fatto rinchiuder, s`ı che tutto l’aere che v’era dentro rinchiuso, pieno di calore, non potesse pi`u uscire; et doppo, raffredato e per consequenza uscito lo spirito igneo e restatavi dentro l’aere di ugual tempera-mento all’ambiente, persuasi chi erano presenti che dentro vi fosse pochissima aria, s`ı come al senso era manifesto che non vi fosse lo spirito igneo. Le prove furno due. La prima, che havendovi fatto rinchiuder dentro un sonaglio da sparaviero, questo, mosso, non faceva suono alcuno, se non in quanto perco-teva nel vetro et, per conseguenza, faceva un suono esterno; il che fu assai facilmente creduto che non avenisse per altro che per lo mancamento dell’aere nel vaso sudetto, et tanto pi`u che, essendosi rotto detto vaso, si trov`o il sona-glio sonoro, secondo l’ordinario. La seconda, perch´e havendo io posto esso vaso col collo in una mastella di acqua, con un ferro gentilmente appersi la bocca, per la quale salendo entr`o tant’acqua, che pareva che volesse riempire in tutto il detto vaso, se ben l’impatienza, che fu cagione che si rompesse affatto, non permesse che si vedesse totalmente riempito (1) [15].

Questo passaggio mostra come ancora le idee fossero parecchio confuse, da con-cetti quali gli spiriti ignei. D’altra parte, l’esperimento mostrava che in un ambiente rarefatto il suono non si propaga. Dal suo canto, Galilei non era persuaso che l’e-sperimento mostrasse l’esistenza del vuoto continuo. Egli aveva certo adottato l’i-potesi atomica, ma in essa il vuoto `e solo interstiziale, distribuito tra un atomo e l’altro.

Quindici anni pi`u tardi, Giovan Battista Baliani, ingegnere genovese, scriveva a Galilei il 27 luglio 1630 [16] per averne la spiegazione di un problema incontrato nel costruire una conduttura di rame per un acquedotto che doveva scavalcare un monte salendo “80 palmi di Genova”, cio`e circa 20 m. Si trattava di un sifone con le due bocche in basso. Non c’era verso, l’acqua non risaliva cos`ı tanto. Aggiungeva anche che “avviene un’altra cosa che mi fa stupire”. Quando il sifone era pieno e chiuso superiormente, se si apriva la bocca inferiore l’acqua usciva, ma “solo per la met`a circa e poi si ferma”. Rimaneva cio`e una colonna d’acqua di circa 10,5 m di altezza.

Galilei risponde da Firenze il 6 agosto. Comincia col precisare che l’acqua si pu`o far salire o spingendola dal basso o attraendola dall’altro. Nel primo caso,

si potr`a sollevare e spignere a qualsivoglia altezza, anco di 1000 braccia, purch´e il cannone sia saldo e forte, sich´e non crepi: ma nell’alzarla per attrazzione ci

(1) Per tutte le citazioni di Galilei mi riferir`o a Le Opere di Galileo Galilei a cura di A. Favero,

Edizione Nazionale (Barbera, Firenze) 1890-1909, indicando con O. G., n. Vol. n. pag. In rete a http://gallica.bnf.fr/services/engine/search/sru?operation=searchRetrieve&version=1.2& collapsing=disabled&rk=85837;2&query=%28gallica%20all%20%22galileo%22%29%20and%20dc. relation%20all%20%22cb304760526%22

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`e una determinata altezza e lunghezza di canna, oltre alla quale `e impossibile far montare l’acqua un sol dito, anzi un sol capello; e tale altezza parmi che sia circa 40 piedi, e credo anco meno. La cagione di tale effetto mi travagli`o assai, prima che io l’investigassi; ma finalmente m’accorsi che non doveva essere cos`ı recondita, anzi assai manifesta: ch´e cos`ı avviene delle cause vere, dopo che sono ritrovate [17].

Ma la cagione trovata non era quella giusta. Una qualsiasi corda, ragiona, appesa in alto non pu`o essere lunga a piacere. C’`e infatti una lunghezza limite alla quale essa si spezza sotto il suo stesso peso. Tale lunghezza per corde dello stesso materiale `e indipendente dalla loro grossezza, dato che

la corda 4 volte pi`u grossa di un’altra non `e altro che 4 di tali corde pi`u sottili, onde conviene che possa reggere il quadruplo dell’altra per appunto.

Lo stesso avviene per l’aspirazione dall’alto di una colonna d’acqua, qualsiasi sia il diametro della condotta, a parte che in questo caso la resistenza `e dovuta solo alla repulsione per il vuoto:

anzi si strapper`a questa tanto pi`u facilmente, quanto le parti dell’acqua, nel separarsi l’una dall’altra, non hanno da superare altra resistenza che quella del vacuo succedente alla divisione; che nel ferro o altra materia solida, oltre alla resistenza del vacuo, vi `e quella grandissima del tenacissimo attaccamento delle parti, del quale mancano le parti dell’acqua.

Galilei continua dichiarando 20 braccia l’altezza massima della colonna d’acqua, che con un braccio fiorentino di 58.3 cm, corrisponde a 11,66 m. Non sapeva quindi ancora, o non ricordava, il valore esatto.

Nel 1638 Galilei pubblica Le nuove scienze, agli arresti domiciliari a Villa Gioiello, di salute malferma e ormai completamente cieco. Un argomento discusso, tra i tre amici, Salviati-Galilei, Sagredo e Simplcio, `e la resistenza alla rottura di aste, di travi e di corde. Tale resistenza, stabiliscono, come nella lettera a Sagredo, `e in parte dovuta alla struttura del materiale stesso, in parte alla resistenza della natura al vuoto. Viene quindi considerata la colonna d’acqua che, per aspirazione in un tubo verticale non pu`o superare l’altezza di 18 braccia. Questo valore, pari a circa 10,5 m, `e ora vicino a quello che calcoliamo oggi di 10,33 m, e anche quanto aveva trovato Baliati.

Salviati descrive poi un esperimento con cui misurare la resistenza del vuoto. In breve, si abbia un cilindro verticale chiuso superiormente e con un pistone a tenuta inferiormente. Abbiamo riempito completamente d’acqua, Salvati ci spiega come, il volume sopra il pistone. Questo porta un gancio di ferro cui si appende un secchio, che riempiremo di sabbia sino a che il pistone non si stacchi dall’acqua. Pesando sabbia, secchio, pistone e gancio sappiamo la forza di resistenza del vuoto. Col senno di poi, Galilei aveva fatto un bell’esperimento, ma che non dimostrava la sua teoria. Nella discussione che segue per`o, egli conclude che la lunghezza massima che potrebbe raggiungere una verga o un filo appeso in alto prima di spezzarsi se questo fosse impedito dalla sola forza del vuoto `e inversamente proporzionale al suo peso specifico. Ad esempio per un filo di rame:

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SALV. . . . trovandosi, v.g., il rame esser nove volte pi`u grave dell’acqua, di qualunque verga di rame la resistenza allo strapparsi, dependente dalla ragion del vacuo, importa quanto `e il peso di due (cio`e 18/9 ) braccia della stessa verga [18].

Se si aspira dall’alto una colonna di liquido, questa, si pu`o concludere, essendo tenuta assieme dalla sola forza del vuoto, non potr`a essere pi`u lunga di un valore che `

e inversamente proporzionale al peso specifico del liquido stesso. Galilei non lo dice esplicitamente, ma l’inferenza `e immediata. La trarr`a un suo discepolo, Evangelista Torricelli, nel concepire il suo esperimento.

Nell’ultima parte della giornata, Salviati distrugge logicamente, e con esperimenti pensati, i due assiomi della meccanica aristotelica, che la velocit`a di caduta dei corpi pesanti sia proporzionale al peso e che essa sia inversamente proporzionale alla densit`a del mezzo, e con essi, i due argomenti di Aristotele sopra ricordati sull’impossibilit`a del vuoto. Galilei sembra per`o avere ancora difficolt`a ad ammettere logicamente il vuoto continuo, al di l`a di quello interstiziale, tra le particelle della materia. In ogni caso quindi, il moto avviene in presenza di un mezzo resistente. Ma il vuoto, e quindi l’assenza di resistenza, lo concepisce come situazione limite.

SALV. [. . . .] Veduto come la differenza di velocit`a, ne i mobili di gravit`a diverse si trova esser sommamente maggiore ne i mezzi pi`u e pi`u resistenti; ma che pi`u? nel mezzo dell’argento vivo, l’oro non solamente va in fondo, ma, ma esso solo vi descende, e gli altri metalli e pietre tutti vi si muovono in su e vi galleggiano, dove che tra palle d’oro, di piombo, di rame, di porfido, o di altre materie gravi, quasi del tutto insensibile sar`a la disegualit`a del moto per aria, ch´e sicuramente una palla d’oro nel fine della scesa di cento braccia non preverr`a una di rame di quattro dita; veduto, dico, questo, cascai in opinione che se si levasse totalmente la resistenza del mezzo, tutte le materie descenderebbero con eguali velocit`a.

SIMP. Gran detto `e questo, Sig. Salviati. Io non creder`o mai che nell’istesso vacuo, se pur vi si desse il moto, un fiocco di lana si movesse come un pezzo di piombo [19].

Salviati continua le sue argomentazioni, per finalmente passare alle fondamentali prove sperimentali dirette, eseguite su moti rallentati a sufficienza per poter farvi misure accurate, con il piano inclinato e con pendoli. Sono esempi eccelsi del metodo sperimentale, e della prosa letteraria di Galilei. Ma il metodo sperimentale fu respinto, non solo dagli accademici conservatori, ma anche da filosofi innovatori, segnatamente Ren´e Descartes (1596-1650), che in una lettera a M. Mersenne (1588-1604) scrive:

Tutto quello che dice sulla velocit`a dei corpi che cadono nel vuoto, etc., `e privo di fondamento, perch´e egli avrebbe dovuto prima determinare cos’`e la gravit`a; e se avesse saputo la verit`a, avrebbe saputo che essa `e nulla nel vuoto [20]. Se avesse avuto cura, e capacit`a, di ripetere gli esperimenti di Galilei, forse avrebbe cambiato opinione.

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6. I discepoli di Galilei

La pubblicazione de Le nuove scienze ebbe impatto enorme e immediato, in par-ticolare sulle ricerche che qui ci interessano, quelle sul vuoto. Il gruppo di ricercatori pi`u attivo era a Roma, alla corte papale. Ne facevano parte allievi diretti o indiretti di Galilei: Evangelista Torricelli (1608-1647), Raffaello Magiotti (1597-1656), Antonio Nardi (1598-1648), Emanuel Maignan (1601-1676) e Gasparo Berti (ca 1600-1643).

Gasparo Berti, nato, si pensa, a Mantova, fu attivo a Roma come notevole spe-rimentatore. Alla morte di Castelli nel 1643 fu chiamato sulla sua cattedra alla Sapienza, ma mor`ı nello stesso anno. Nel 1640 circa, comunque prima di quello di Torricelli, aveva realizzato esperimenti per controllare se una colonna d’acqua non potesse alzarsi pi`u di 18 braccia, come affermato da Galilei, e di verificare se nello spazio sopra il pelo libero ci fosse o meno il vuoto. Non us`o alcuna pompa aspirante, ma iss`o sulla facciata della sua dimora di tre piani a Roma, un tubo di piombo lungo 12 m. Erano presenti Magiotti, Kircher e Zucchi, oltre ad un numeroso pubblico di spettatori. Gli esperimenti furono descritti da Padre Zucchi e poi da altri. Citer`o qui da Techinica curiosa, sive mirabilis artis di C. Schott [21], del 1687, che contiene anche la ricostruzione di fig. 2.

Il primo esperimento utilizzava solo il tubo verticale. All’interno del vaso sul pavimento stradale c’`e una valvola, R, che inizialmente era chiusa. Riempito il tubo e il globo di vetro saldato alla sua cima, Berti apr`ı la valvola in basso e l’acqua cominci`o ad uscire nel vaso, ma presto si ferm`o. Il tubo aveva una finestrella, L, all’altezza di 18 braccia, che permise di osservare che proprio l`ı arrivava la colonna. Fu fatto un segno a marcare il livello dell’acqua, e il giorno dopo si vide che era rimasto invariato. Aperta la valvola in basso, l’acqua usc`ı con fragore.

Per indagare che ci fosse sopra la colonna d’acqua, in un secondo esperimento, Berti colleg`o a quello verticale, in A in figura, un tubo laterale, munito di valvola, che portava ad una bacinella piena d’acqua appoggiata a una finestra. Riempito d’acqua il tubo verticale e aperta la valvola in basso, il livello dell’acqua scese sino a 18 braccia, come prima. Fu allora aperta la valvola del tubo piccolo, e l’acqua nella bacinella fu risucchiata nel tubo verticale. Questo indicava che il vuoto ci fosse, ma Berti rifer`ı di aver visto uscire nell’acqua una bolla. Il che innesc`o discussioni tra vacuisti (galileiani) e pienisti (peripatetici e cartesiani).

Un terzo esperimento, per cercare di chiarire la questione, fu fatto successivamente, su suggerimento di Kircher. Berti install`o una campanella (M in figura) ed un martello (N ) nel globo in alto. Il martello di ferro era tenuto lontano da un magnete posto all’esterno. Allontanato il magnete, il martello ruot`o sotto l’azione del suo peso e percosse la campana. Tutti i presenti udirono “un suono limpidissimo”. Sembrava una prova che non ci fosse vuoto, ma rimaneva il dubbio che il suono si fosse propagato lungo i supporti, in contatto acustico con il vetro del globo. Sagredo, come abbiamo letto, era stato pi`u attento.

Evangelista Torricelli fu allievo a Roma di B. Castelli, a sua volta discepolo di Galilei, a partire dal 1626. Spostatosi a Firenze nel 1641, assistette il Maestro negli ultimi suoi giorni, e gli succedete nell’incarico di matematico e filosofo del granduca di

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Fig. 2. – L’esperimento di Berti del 1640 circa.

Toscana, incarico che mantenne fino alla morte. Torricelli diede grandi contributi alla matematica, alla balistica, all’idraulica, all’ottica, sia nella teoria sia nella produzione di lenti di alta qualit`a.

Descrisse il suo famoso esperimento del 1644, in una lettera dell’11 giugno a Mi-chelangelo Ricci, altro autorevole membro della scuola galileiana di Roma e futuro cardinale. Lo scopo di Torricelli non era solo lo studio del vuoto, ma anche pratico, fare cio`e un barometro. La lettera infatti inizia:

Le accennai gi`a che si stava facendo non so che sperienza filosofica intorno al vacuo, non per far semplicemente il vacuo, ma per far uno strumento che mostrasse le mutazioni dell’aria, hora pi`u grave e grossa, et hor pi`u leggiera e sottile [22].

Entrando nel dibattito sull’esistenza del vuoto, dichiara poi la sua idea che la colonna d’acqua, ma anche, pensava, di altri liquidi, si sostenga per equilibrare il

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Fig. 3. – Dalla prefazione delle Lezioni accademiche di Torricelli [23].

peso dell’aria. Il peso specifico di questa era stato misurato da Galilei, che ne Le nuove scienze dice di aver trovato 1/400 di quello dell’acqua.

Molti hanno detto che il vacuo non si dia, altri che si dia, ma con repugnanza della natura e con fatica; non so gi`a che alcuno habbia detto che si dia senza fatica e senza resistenza della natura. Io discorreva cos`ı: se trovassi una causa manifestissima, dalla quale derivi quella resistenza che si sente nel voler fare il vacuo, indarno mi pare si cercherebbe di attribuire al vacuo quella operazione, che deriva apertamente da altra cagione, anzi che, facendo certi calcoli facilis-simi, io trovo che la causa da me addotta (cio`e il peso dell’aria) doverebbe per s´e sola far maggior contrasto che ella non fa nel tentarsi il vacuo [22].

L’idea di usare mercurio, argento vivo, invece di acqua avrebbe permesso di usare tubi pi`u corti, un paio di braccia, cio`e un po’ pi`u di un metro. L’esperimento fu realizzato in buona parte da Viviani, che sovraintese alla realizzazione dei tubi e parti di vetro a Venezia. Come farli non era affatto ovvio e furono necessarie le competenze tecniche dei vetrai veneziani. I tubi furono due (fig. 3), il primo semplice aperto da un lato e chiuso dall’altro, il secondo aperto da un lato e terminante in un volume sferico saldato all’altro (per confrontare due volumi diversi di possibile vuoto). Riemp`ı ciascun tubo di mercurio, ne chiuse la bocca con un dito, rovesci`o il tubo, ne immerse la bocca nel mercurio della bacinella e tolse il dito. L’altezza della colonna risult`o identica in entrambi i tubi.

Noi habbiamo fatti molti vasi di vetro et anco come i seguenti, segnati A et B, grossi e di collo [cio`e il tubo] lungo due braccia, questi pieni d’argento vivo, poi

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serratagli con un dito la bocca e rivoltati in un vaso dove era l’argento vivo C, si vedevano votarsi e non succeder niente nel vaso che si votava; il collo per`o AD restava sempre pieno all’altezza d’un braccio e 1/4, et un dito di pi`u [23]. Per verificare se in alto ci fosse il vuoto, pose uno strato d’acqua sopra il mercurio nella catinella. Oper`o col tubo con il bulbo. Quando la colonna si era formata, alz`o lentamente il tubo. Quando la bocca usc`ı dal mercurio, l’acqua si precipit`o nel tubo, mentre il mercurio usciva. Nel tentativo di sostituirlo a bilanciare la pressione atmosferica lo riemp`ı tutto, bulbo incluso.

Per mostrar che il vaso fusse perfettamente voto, si riempiva la catinella sot-toposta d’acqua fino in D et alzando il vaso a poco a poco, si vedeva, quando la bocca del vaso arrivava all’acqua, descender quell’argento vivo dal collo, e riempirsi con impeto orribile d’acqua fino al segno E affatto. Il discorso si faceva [il fenomeno avveniva] mentre il vaso AE stava voto e l’argento vivo si sosteneva bench´e gravissimamente nel collo [tubo] AC, questa forza, che regge quell’argento vivo contro la sua naturalezza di ricader gi`u, si `e veduto fino adesso che sia stata interna nel vaso AE, o di vacuo, o di quella roba somma-mente rarefatta; ma io pretendo, che la sia esterna e che la forza venga di fuori. Su la superficie del liquore che `e nella catinella gravita l’altezza di cinquanta miglia d’aria; per`o qual maraviglia `e se nel vetro CE, dove l’argento vivo non ha inclinazione, n´e anco repugnanza per non esservi nulla, entri e vi s’innalzi fin tanto, che si equilibri colla gravit`a dell’aria esterna, che lo spinge? [23] Che la causa fosse esterna e non interna era confermato dal fatto che, operando con entrambi i tubi, si osservava che le altezze delle due colonne erano identiche. Se la forza che fa alzare la colonna fosse stata nello spazio vuoto, o rarefatto, sovrastante, sarebbe stata molto maggiore nel caso del bulbo.

La notizia dell’esperimento di Torricelli si diffuse rapidamente in Europa. In Ger-mania, Otto von Guericke (1602-1686) costru`ı una rudimentale pompa per realizzare il vuoto. Con questa esegu`ı il famosissimo esperimento-esibizione degli emisferi, a Ratisbona nel 1654 e due anni dopo a Magdeburgo, che due pariglie di cavalli non riuscirono a separare. L’esperimento fu descritto dal suo amico G. Schott nel suo Technica Curiosa [21] gi`a citato.

La pompa di von Guericke era laboriosissima da usare e fu merito di Robert Hooke (1635–1703) l’aver progettato e realizzato, su richiesta di Robert Boyle (1627–1691) la prima vera macchina pneumatica nel 1659. Questa disponeva di un recipiente con un’apertura per potervi introdurre oggetti, che veniva poi chiusa con guarnizioni che tenessero (abbastanza) il vuoto (fatte di pelle conciata). Era ora possibile sperimen-tare, a Oxford, su gas a diversi valori di pressione e molti altri fenomeni. Nel tempo, Hooke e Boyle migliorarono gradualmente i dispositivi. Ma non possiamo qui parlar-ne diffusamente, rimandando per una discussioparlar-ne critica dettagliata a [14]. Andiamo invece in Francia.

Gi`a nel dicembre del 1644, Marin Mersenne era a Firenze, ad assistere ad una replica dell’esperimento fatta da Torricelli stesso, e a discuterne con lui i dettagli. Tornato in Francia con le informazioni necessarie, le ricerche sul vuoto ne ricevettero

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un enorme impulso. Gli esperimenti italiani non avevano provato al di l`a di ogni dub-bio che al di sopra della colonna di mercurio ci fosse realmente il vuoto. In Francia il pensiero di Ren´e Descartes, che continuava a negare apoditticamente la possibi-lit`a dell’esistenza del vuoto, aveva molti seguaci. C’era chi sosteneva, partendo dal pregiudizio dell’horror vacui, che ci fosse invece una materia sottile, penetrata sopra il mercurio attraverso i pori del vetro per opporsi al vuoto (2). Diversi

esperimen-ti furono tentaesperimen-ti e sviluppaesperimen-ti in Francia, ma la prova definiesperimen-tiva fu data dal famoso esperimento ideato da Blaise Pascal (1623-1662).

Questi, matematico, fisico e teologo, nacque a Clermont-Ferrand nel 1623, nel 1631 si trafer`ı con la famiglia a Parigi e nel 1639 a Rouen. A 16 anni, Blaise aveva gi`a iniziato la sua produzione scientifica. Rouen era allora la citt`a francese in cui la produzione del vetro di qualit`a era la pi`u avanzata e Blaise trov`o disponibili le tecnologie per il vuoto, su cui inizi`o a sperimentare nel 1646. L’anno dopo organizz`o uno spettacolare esperimento in cui ripet´e, in presenza di un pubblico di 500 perso-ne, l’esperimento di Berti, sia con l’acqua sia col vino rosso, che ha densit`a minore dell’acqua, ma `e pi`u volatile. Se l’altezza della colonna fosse legata al peso, quella del vino, meno denso, dovrebbe essere pi`u alta dell’acqua, se ai vapori nello spazio libero al di sopra di essa, pi`u bassa. L’altezza del vino risult`o maggiore di quella dell’acqua. Blaise, a Rouen, ricordava bene il Puy de Dˆome, un vulcano spento che si alza sino a 1465 m sopra la sua citt`a natale (fig. 4). Qui ora abitava la famiglia della sorella, e il 15 novembre 1647 scrisse al cognato Florin P´erier per proporre un esperimento per stabilire se l’altezza della colonna di mercurio variasse con la quota. Ma P´erier aveva diversi impegni fuori sede, d’inverno la montagna era coperta di neve e di nebbie, la primavera successiva fu anomala, come scriver`a P´erier a Pascal nella famosa lettera del 22.9.1648 in cui far`a la relazione dettagliata dell’esperimento (3

), “anche in questa stagione che `e qui la pi`u bella dell’anno, ho avuto pena a trovare un giorno in cui si potesse vedere la cima di questa montagna” [24], e l’estate seguente i due cognati passarono molto tempo a Parigi. E dieci mesi se ne andarono.

Finalmente il 19 settembre 1648:

il tempo appariva molto bello sulle cinque del mattino, e la sommit`a del Puy de Dˆome era scoperta, e ho deciso di partire a fare l’esperimento. Per que-sto, ne ho avvisato diverse persone di rilievo di questa citt`a di Clermont, che m’avevano pregato di avvertirli il giorno che andassi, dei quali alcuni sono ecclesiastici, altri secolari [24].

I cinque, tanti erano, si misero in cammino, portando due tubi uguali di vetro sigillati ad un’estremit`a e un bariletto con il mercurio, rettificato il giorno prima, e altri vetri ben sistemati per evitare danni. Giunti, verso le otto, al giardino del monastero

(2) In realt`a noi sappiamo che i vapori di mercurio ci sono, ma la loro pressione a temperatura

ambiente `e 1,76 Pa, insignificante per questi argomenti.

(3) Se ne pu`o ascoltare la lettura della parte principale a https://blaisepascal.

bibliotheques-clermontmetropole.eu/son-oeuvre/pascal-savant/physique/experience-du-puy-de-dome

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Fig. 4. – Clermont-Ferrand (Puy-de-Dˆome), Vue prise de Loradoux (Est) 1840 GRA 4@Biblioth`eque du Patrimoine Clermont Auvergne M´etropole.

dei Minimi, il luogo pi`u basso in citt`a, composero due barometri e misurarono le altezze delle colonne. Erano esattamente uguali: 26 pollici tre linee e mezza = 71 cm. Ne affidarono uno, su cui Florin aveva marcato il livello, a un monaco che controllasse eventuali variazioni. Con l’altro, salirono sul Puy de Dˆome guadagnando circa 1000 m (500 tese) di quota. La colonna era alta 23 pollici e due linee = 63 cm. Risultato,

che ci delizia tutti di ammirazione e di stupore, e ci sorprende cos`ı tanto che, per nostra stessa soddisfazione, desideriamo ripeterlo. Di conseguenza, ho rifatto (la misura) ancora altre cinque volte in cima alla montagna, sia al coperto nella piccola cappella che vi si trova, sia allo scoperto, sia al riparo, sia al vento, tanto col bel tempo, tanto durante la pioggia e la nebbia che vennero pi`u tardi, eliminando prima di ogni volta accuratamente l’aria nel tubo; `e si `e trovata in tutte queste esperienze la medesima altezza [24].

La soddisfazione fu grande, l’esperimento si era espresso chiaramente! La pressione atmosferica era la causa del fenomeno. Per conferma, fecero un’ulteriore verifica a mezza quota e in fine al monastero, dove l’altezza del barometro non era cambiata in tutto il giorno. La tesi dell’horror vacui della natura era definitivamente dimostrata falsa. Pascal ne trarr`a le conclusioni.

La natura non ha alcuna ripugnanza per il vuoto; essa non fa alcuno sforzo per evitarlo; tutti gli effetti che si attribuiscono a questo orrore derivano dal peso e dalla pressione dell’aria; questa ne `e la sola causa vera, ed `e per mancanza di conoscenza che `e stato espressamente inventato questo immaginario orrore del vuoto per darne ragione [25].

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7. Isaac Newton

Fran¸cois-Marie Arouet (1694-1778), meglio noto col nom de plume di Voltaire, illumin`o la Francia, l’Europa e il mondo del suo pensiero, l’Illuminismo appunto. Viveva a Parigi, ma i suoi scritti, le sue opinioni fuori dal coro e il suo carattere bellicoso gli procurarono, gi`a da giovane, due condanne al carcere ed un temporaneo esilio in Inghilterra. Ed `e qui che con lui ci spostiamo nel 1726, l’anno in cui Newton pubblicava la terza, ed ultima, edizione dei Principia, un anno prima di morire.

Voltaire ne rimase profondamente impressionato. In Francia, quasi ottant’anni dopo l’esperimento di Pascal, la filosofia di Descartes ancora dominava. Nel suo mo-dello, l’universo, il sistema solare, era pieno di vortici, che trasportavano i pianeti in giro. Era pura speculazione senza alcun supporto sperimentale o osservativo e senza potere predittivo. Il soggiorno inglese diede vita alle sue venticinque Lettres philoso-phiques o Lettres anglaises, pubblicate nel 1734. Di queste cinque sono “newtoniane”. Nella Sur Descartes et Newton, Voltaire paragona i due grandi. Con Descartes con-divideva l’esilio per le idee, mentre Newton aveva avuto la fortuna, scrive, di essere nato in un paese libero.

Un francese che arriva a Londra trova le cose ben diverse, in filosofia come in tutto il resto. Lascia il mondo pieno; lo trova vuoto. A Parigi, si vede l’universo composto di vortici di materia sottile; a Londra, nulla di questo si vede. Da noi, `e la pressione della luna a causare il flusso del mare; presso gli Inglesi, `e il mare che gravita verso la luna . . . . La luce, per un cartesiano, esiste nell’aria; per un newtoniano, essa viene dal sole in sei minuti e mezzo. E pi`u avanti:

Chez vos cart´esiens, tout se fait par une impulsion qu’on ne comprend gu`ere; chez M. Newton, c’est par une attraction dont on ne connaˆıt pas mieux la cause.

Newton, partendo dalle scoperte di Galilei e di Kepler, aveva unificato in una sola teoria la meccanica degli oggetti terreni e quella dei corpi celesti. L’aveva fatto con due idee ardite, che il vuoto esiste e che esistono azioni a distanza attraverso il vuoto. Di queste ultime avrebbe desiderato comprendere le cause profonde, ma, in assenza di elementi sufficienti, non azzard`o ipotesi. Hypotheses non fingo dir`a nello scolio generale finale.

Fin qui ho spiegato i fenomeni dei cieli e del mare con la forza di gravit`a, ma non ho assegnato alcuna causa a questa forza. `E una forza dovuta ad una qualche causa, che penetra sino nei centri del Sole e dei pianeti, senza che la sua efficacia diminuisca. Ed essa opera non gi`a in proporzione all’estensio-ne delle superfici delle particelle sulle quali agisce (come le cause meccaniche usualmente fanno) ma proporzionalmente alla quantit`a di materia. E la sua azione raggiunge ovunque distanze immense, sempre decrescendo come l’inver-so del quadrato della distanza. La gravitazione verl’inver-so il Sole `e il risultato delle gravitazioni verso le singole particelle del Sole; e allontanandosi dal Sole decre-sce accuratamente come l’inverso del quadrato della distanza sino all’orbita di

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Saturno, come `e manifesto dalla quiete degli afeli dei pianeti, ma anche, fino al pi`u remoto afelio delle comete, dato che anche quegli afeli sono in quiete. Ma non sono ancora stato in grado di scoprire, deducendola dai fenomeni, la ragione di queste propriet`a della gravit`a, e non invento ipotesi (hypotheses non fingo). Perch´e qualsiasi cosa che non si deduca dai fenomeni si deve chiamare ipotesi ; e ipotesi, sia metafisiche sia fisiche, sia su qualit`a nascoste sia meccaniche, non hanno posto nella filosofia (fisica) sperimentale. In questa filosofia le proposizioni sono dedotte dai fenomeni, e quindi rese generali per induzione. Cos`ı divennero note . . . le leggi del moto e della gravit`a. E ci basta che la gravit`a realmente esista ed agisca secondo le leggi che abbiamo esposto, e sia sufficiente a rendere conto di tutti i moti dei corpi celesti, e del nostro mare.

E, certamente, quanto aveva fatto poteva bastargli.

8. Campi e quantistici e vuoto

Quando Newton scriveva quanto abbiamo appena letto, l’interazione gravitazio-nale non era la sola azione a distanza nota, dato che da secoli lo erano anche quella elettrica e quella magnetica.

Nel 1785, Charles Augustin de Coulomb (1736-1806), usando la bilancia di torsione che aveva inventato, dimostr`o che la legge della forza tra due sferette cariche ferme, a parte il fatto che questa pu`o essere attrattiva o repulsiva ed `e molto pi`u intensa, ha la stessa forma di quella di Newton.

Mezzo secolo dopo, Michael Faraday (1791-1867) studi`o sperimentalmente come un mezzo materiale, un dielettrico, modifica i fenomeni elettrostatici. Nella sua in-terpretazione teorica, introdusse il concetto di linea di forza, col quale rappresentava punto per punto sia la direzione del campo elettrico sia la sua intensit`a, come propor-zionale alla densit`a di linee. L’idea era geniale, gli valse la derisione di molti colleghi, ma `e quella che usiamo tuttora. Le linee di forza riempivano lo spazio non solo nei dielettrici materiali ma anche nel vuoto. Il concetto di campo entrava cos`ı nella fi-sica, sia pure non ancora completamente sostanziato di entit`a fisiche. Dopo la sua grande scoperta dell’induzione elettromagnetica (1831), egli introdusse anche le linee di forza magnetiche come quelle curve “che potrebbero essere tracciate da limatura di ferro, quelle cio`e che risulterebbero in ogni punto tangenti ad un piccolissimo ago magnetico”.

Nel 1856, James Clerk Maxwell (1831-1979) pubblica una prima importante ope-ra, On Faraday’s lines of force, in cui inizia la sua indagine sulle relazioni tra campo elettrico e magnetico, sviluppando una prima teoria di campo, modellata su di un’a-nalogia fluido-meccanica. Alle sue equazioni, al suo Treatise, pubblicato nel 1873, e alla corrente di spostamento, Maxwell non arriv`o col semplice argomento della con-servazione della carica con cui insegniamo agli studenti, ma utilizzando un complicato modello meccanico in cui le correnti erano rappresentate da oggetti simili a cuscinetti a sfere che ruotavano e traslavano in un fluido elastico e viscoso. Fu questo come la

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brutta impalcatura che serve all’architetto per edificare la cattedrale. Completata la costruzione, l’impalcatura si butta e la cattedrale, le equazioni di Maxwell, esce nel suo splendore. Interessa qui notare che gi`a nel modello meccanico i cuscinetti han-no energia, quantit`a di moto e momento angolare. E cos`ı, le equazioni di Maxwell ci dicono che queste quantit`a fondamentali non sono solo meccaniche, ma sono anche di-stribuite con densit`a variabile con la posizione e col tempo nello spazio, riempiendolo. Il campo elettromagnetico ha acquistato pieno senso fisico. Energia, quantit`a di moto e momento angolare viaggiano, si propagano, e lo fanno con una velocit`a definita. `E la velocit`a delle onde elettromagnetiche, quella della luce. Se una carica si sposta di posizione in un punto, un’altra carica ad una certa distanza non se ne accorge immediatamente, ma solo col ritardo dovuto alla velocit`a finita di propagazione.

Il campo elettromagnetico quindi eliminava il problema estetico delle azioni a distanza dalle forze elettriche e magnetiche, e riempiva il vuoto.

Che la forza gravitazionale di Newton dovesse essere modificata perch´e la propa-gazione anche in questo caso non pu`o essere istantanea, ma si deve propagare con la stessa velocit`a della luce, come richiesto dal principio di relativit`a, fu stabilito da Jules Henri Poincar´e (1854-1912) nella sua memoria sulla teoria della relativit`a del 5 giugno 1905 [26] e nella forma estesa di questa del luglio dello stesso anno [27]. Parl`o qui della necessit`a delle ondes gravifiques e tent`o di sviluppare una teoria, ma senza successo. Ci riusc`ı Albert Einstein (1879-1955) dieci anni pi`u tardi [28]. Come il campo elettromagnetico anche quello gravitazionale occupa con continuit`a, riem-pie quindi, lo spazio-tempo, anzi ne determina la geometria stessa. Le equazioni di Einstein, che descrivono completamente l’interazione gravitazionale a livello macro-scopico, contengono, si noti, due costanti fondamentali: la costante di Newton G, che `

e la costante di accoppiamento analoga a quelle delle altre interazioni fondamentali, e la “costante cosmologica” Λ, che non ha analogo nelle altre interazioni. Tutte le propriet`a osservate dell’“energia oscura”, il 68% del bilancio energetico dell’universo, sono in accordo con l’essere proprio Λ a darvi origine. Capire se ci`o sia il caso o meno `

e uno dei quesiti fondamentali della frontiera della fisica.

Le equazioni di Maxwell e le equazioni di Einstein descrivono, rispettivamente, l’interazione elettromagnetica e quella gravitazionale a livello macroscopico. Sappia-mo per`o che le prime sono l’approssimazione a quel livello al quale tende la teoria fon-damentale, l’elettrodinamica quantistica (QED, dalle iniziali in inglese). Altrettanto presumibilmente `e vero per le equazioni di Einstein, ma della gravitazione ancora non abbiamo una teoria quantistica.

Conosciamo altre due interazioni fondamentali, che si manifestano entrambe a livello microscopico. L’interazione debole ha un raggio d’azione dell’ordine dell’atto-metro (10−18m) a causa della massa elevata dei suoi quanti (W+, W− e Z0) ed `e “unificata” nella teoria con quella elettromagnetica.

L’interazione forte, che tiene assieme i quark negli adroni, `e il campo del “colore”, termine, che non ha nulla a che fare con quello ordinario, con cui sono chiamate le cariche che originano il campo. I quanti di questo sono i “gluoni”, dall’inglese glue, la colla. Hanno ruolo analogo al fotone dell’elettromagnetismo, ma, a differenza di questo che non ha carica elettrica, i gluoni hanno cariche di colore. La teoria

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quantistica del campo di colore `e la Quantum Chromodynamics (QCD). Una sua propriet`a fondamentale `e il confinamento. Banalizzando, l’interazione tra quark cresce al crescere della distanza che li separa e di conseguenza non si riesce a rompere un protone, come si fa con un atomo o un nucleo, estraendo i quark che lo compongono. I quark vivono sempre e solo confinati dentro gli adroni. Anzi, a rigore, quasi sempre. Possono farlo, per brevissimi istanti, nel vuoto.

Il vuoto `e definito nelle teorie quantistiche come la funzione d’onda dello stato di energia minima della Hamiltoniana che descrive il sistema. Le caratteristiche del “vuoto” dipendono quindi da quelle assunte nella teoria. Importante conseguenza `

e che la simmetria del vuoto `e la stessa della Hamiltoniana, rotture spontanee a parte. Comunque, in tutta generalit`a, mentre `e vero che questo stato non contiene nulla, questo nulla non `e affatto semplice, certo non `e un non-essere. Per studiarlo sperimentalmente bisogna perturbarlo, ad esempio limitandolo con pareti fisiche, come nell’effetto Casimir. Lo studio teorico del vuoto e delle sue caratteristiche topologiche, altamente non banali e matematicamente complesse, `e stato fondamentale per lo sviluppo della QCD. Posso qui solo dare qualche cenno.

Fluttuazioni in energia (e di momento) devono necessariamente esserci in qual-siasi sistema quantistico per il principio di indeterminazione. Di conseguenza nessun sistema pu`o avere energia nulla, ma c’`e un minimo, chiamato energia di punto zero. Il vuoto quindi, inteso come assenza di qualsiasi cosa, materia ed energia, non esiste. Consideriamo una regione di spazio che sia vuota, cio`e non contenga n´e particelle n´e campi quando osservata a “grande” scala. Con “grande” intendo tale rispetto a quella delle fluttuazioni quantistiche del vuoto stesso. Queste consistono nella creazione, dal nulla, di coppie particella-antiparticella, senza violare la conservazione della carica, che `e una simmetria della Hamiltoniana. Chiamiamo “virtuali” queste particelle. La creazione della coppia viola la conservazione dell’energia di ΔE = 2mc2, se m `e la massa della particella. Ci`o implica che la vita della coppia, diciamo Δt, sia limitata a Δt </ΔE. Nel caso dei quark pi`u leggeri, coppie uu e dd, la durata della fluttua-zione dev’essere minore di qualche 10−23s, ancora minore per le coppie di quark pi`u pesanti, in ragione inversa alla loro massa. In questo tempo, viaggiando anche alla velocit`a massima, la coppia si pu`o separare, prima di riunirsi, di cΔt, di femtome-tri. Su queste scale, non appaiono solo coppie quark-antiquark, ma questi potrebbero scambiarsi qualche fotone o qualche gluone. E, dato che i gluoni non solo trasportano, ma posseggono carica di colore, processi con solo gluoni avvengono pure.

Il vuoto quindi, se osservato a scale abbastanza piccole, `e vivo. Contiene flut-tuazioni di massa e di energia sempre crescenti al decrescere della scala spaziale e temporale. Non le possiamo “vedere” ma le possiamo calcolare con potenti computer. Ci`o ha fatto Derek Leinweber. Nelle sue simulazioni, che si trovano in rete [29], si vedono i grumi di energia (pi`u precisamente, di azione) nascere, evolvere, cambiare di forma, mescolarsi e scomparire, mantenendo tuttavia l’aspetto generale inalterato. La fig. 5 ne `e un’istantanea; le regioni in rosso sono quelle di maggior densit`a di energia, in blu quelle di minore. Le regioni delle densit`a pi`u piccole non sono riportate in modo da consentire di vedere dentro il volume.

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compren-Fig. 5. – Il vuoto di QCD in un volume di 2.4× 2.4 × 3.6 fm3, abbastanza grande da contenere

un paio di protoni. Per gentile concessione di Derek Leinweber, CSSM, University of Adelaide, https//www.physics.adelaide.edu.au/theory/staff/leinweber/visual QCD/Nobel/

dere le propriet`a, perch´e sono esse che determinano, in larga misura, quelle della materia stessa, e hanno determinato, all’inizio, la struttura futura dell’universo. La massa dei nucleoni, e quindi della materia che vediamo, per la grandissima parte, quantitativamente il 99%, non `e dovuta alla massa dei quark (e al meccanismo di Higgs come si afferma sbagliando), ma alla loro energia. Come i nucleoni, il vuoto contiene energia. Ed `e la presenza dei quark, con le loro cariche nette, quando reali invece che virtuali, che provoca la solidificazione di energia in materia.

Tornando al punto di partenza, tornando indietro nel tempo di 13,8 miliardi di anni al Big Bang, l’universo `e tutto racchiuso in dimensioni microscopiche. La tem-peratura, cio`e la densit`a di energia, `e altissima. L’Universo della genesi `e un sistema quantistico. E furono le fluttuazioni di energia del vuoto di allora il seme delle strut-ture che oggi vediamo, ammassi di galassie, galassie, stelle con i loro pianeti, e noi stessi.

Siamo quindi figli del vuoto o, tornando al mito, dell’esiodeo Chaos primigenio, πρ´ωτ ιστ α X ´αoς γ ´ενετ o.

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I frammenti dei filosofi presocratici sono citati nella bibliografia usando la numera-zione adottata dai filologi, stabilita da Hermann Diels e Walther Kanz (DK) nei primi anni del secolo scorso. Ringrazio il Prof. Luciano Bossina per avermela spiegata e per aver corretto traduzioni e citazioni. Gli sono in particolare grato per avermi illu-minato sulla Teogonia e spiegato nei dettagli, con una dotta discussione, i significati di X ´αoς. Gli errori residui sono ovviamente miei.

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Bibliografia

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[4] Melisso, 30 B 7, 7 DK (= Simpl. Comm. in Arist. Phys. 112, 6–10).

[5] Democrito di Abdera, 55 B 9 DK (= Sext. Emp. adv. math. VII 135) e 55 B125 DK (= Galen. de experientia medica, 15, 7, 8-9 Walzer).

[6] Leucippo, 54 A 7 DK ( = Arist. de gen. et corr. 325a 31–34). [7] Leucippo, 54 A 6 DK (= Arist. Met. A 4, 985b 4–10).

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[11] https://www.youtube.com/watch?v=JPv3j6y5zHU.

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[15] O. G. XII, pag. 107, n. 1108. [16] O. G. XIV, pag. 124. n. 2040. [17] Ivi, pag. 127. n. 2043. [18] O. G. VIII, pag. 65. [19] Ivi, pag. 116.

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[26] Poincar´e H., “Sur la dinamique de l’´electron”, C. R. Acad. Sci. Paris, 140 (5 Juin 1905) 1504. Anche in Oeuvres, Vol. 9, p. 489.

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[28] Einstein A., “Die Grundlage der Allgemeinen Relativit¨atstheorie”, Ann. Phys., 49 (1916) 40. [29] http://www.physics.adelaide.edu.au/theory/staff/leinweber/VisualQCD/Nobel/index.

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