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Elaborazione, adozione delle linee guida e gestione delle lesioni polipoidi nel percorso diagnostico-terapeutico del carcinoma colon-rettale

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Academic year: 2021

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Università degli Studi di Pisa

Facoltà di Medicina e Chirurgia

Scuola di Specializzazione in Anatomia Patologica

TESI DI SPECIALIZZAZIONE

ELABORAZIONE, ADOZIONE DELLE LINEE GUIDA E GESTIONE DELLE LESIONI POLIPOIDI NEL PERCORSO DIAGNOSTICO-TERAPEUTICO DEL CARCINOMA COLON-RETTALE

Candidato Relatore

Dott.ssa Monnalisa Granai Prof.ssa Maura Castagna

Direttore della Scuola di Specializzazione Prof.ssa Gabriella Fontanini

Anno Accademico 2012-2013

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RIASSUNTO

Le Linee Guida sono raccomandazioni di comportamento clinico, elaborate mediante un processo di revisione sistematica della letteratura e delle opinioni di esperti, con lo scopo di aiutare i medici e i pazienti a decidere le modalità assistenziali più appropriate in specifiche situazioni cliniche e vengono correntemente promosse come mezzo di miglioramento della qualità dell'assistenza, per ottimizzare l'esito degli interventi sui pazienti, scoraggiare l'uso di interventi inefficaci o pericolosi, migliorare e garantire l'adeguatezza delle cure, identificare zone della pratica clinica in cui vi è insufficiente evidenza e aiutare a bilanciare costi e risultati.

Per promuovere la prevenzione di una malattia di grande impatto sociale per diffusione e gravità come il cancro del colon-retto, e' necessario costituire gruppi multidisciplinari ai quali fare afferire i pazienti con lo scopo di pianificare e verbalizzare decisioni diagnostico-terapeutiche specifiche per ogni singolo paziente.

E' consolidata la collaborazione tra anatomo-patologi e gli altri medici (chirurgo, radiologo, oncologo, radioterapista) all'interno dell'Azienda Ospedaliera Pisana per facilitare la diagnosi e l'interpretazione del quadro patologico.

Il ruolo dell' anatomo patologo è fondamentale nella standardizzazione del trattamento delle lesioni preneoplastiche, neoplastiche e della malattia avanzata del colon-retto che si attua per garantire una diagnosi precisa e completa e per ottenere una migliore valutazione prognostica dei pazienti.

Nel periodo compreso tra Gennaio 2011 a Maggio 2014 ho partecipato agli interventi di microchirurgia endoscopica transanale eseguiti dall' Unità di Chirurgia Colon-rettale, orientato i polipi rimossi su appositi supporti, marcato il margine di resezione così da facilitarne il campionamento e campionato in sala chirurgica il pezzo operatorio per evitare errori artefattuali che avrebbero

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potuto rendere difficoltosa la valutazione istologica della microinfiltrazione neoplastica negli adenomi cancerizzati.

Nello stesso periodo, collaborando sempre con l' Unità di Chirurgia Colon-rettale, ho gestito, valutandone direttamente la qualità, l'escissione mesorettale di carcinomi asportati con la tecnica dell'escissione totale del mesoretto, attribuendo il grado di Quirke e correlando al referto finale la documentazione fotografica del pezzo operatorio esaminato al momento dell'esame macroscopico a fresco, del campionamento e della valutazione istologica.

Nella malattia metastatica del colon-retto a livello epatico il trattamento chirurgico viene considerato dopo il downsizing ottenuto con trattamento chemioterapico; la tempistica ed il tipo di intervento dipendono dalle condizioni generali del paziente, dall'estensione della malattia e dalla sintomatologia legata al tumore primitivo.

Negli ultimi mesi ho collaborato con l' Oncologia Universitaria valutando dal punto di vista anatomo-patologico l'effetto tossico della chemioterapia nel parenchima epatico sano da cui ne dipende la funzionalità, importante per poter impostare e continuare una chemioterapia postchirurgica.

L‘utilizzo di protocolli diagnostici standardizzati poco costosi, la collaborazione multidisciplinare permettono di stabilire uno specifico follow-up nel caso dei pazienti con lesioni pre-neoplastiche e un iter terapeutico adeguato nel caso dei pazienti con malattia avanzata.

La prevenzione permette quindi, attraverso la diagnosi precoce, la riduzione della morbilità e della mortalità di molte malattie; il comportamento schematizzato delle linee guida facilita la programmazione e il coordinamento nel caso di diagnosi di tumore e di malattia metastatica.

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INDICE

PRIMA PARTE

Elaborazione , adozione delle linee guida

Screening pag. 7

Fattori di rischio pag. 10 Diagnosi pag. 14

Valutazione pre-trattamento pag. 15

Biologia molecolare pag. 16 Chirurgia pag. 20

Chemio e radioterapia neoadiuvante pag. 23 Anatomia patologica pag. 25

Follow-up pag. 26

SECONDA PARTE

Gestione delle lesioni del colon-retto

Epidemiologia pag. 29 Il ruolo del chirurgo pag. 31 Microchirurgia endoscopica transanale pag. 31 Escissione del mesoretto pag. 37 Il ruolo dell‘anatomopatologo pag. 41 Materiali e metodi pag. 52 Risultati pag. 55

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TERZA PARTE

Dal carcinoma a basso rischio di progressione metastatica alla malattia avanzata: elaborazione, adozione e gestione iniziale delle metastasi epatiche del carcinoma del colon-retto

Malattia avanzata e metastasi pag. 58 Terapia adiuvante pag. 59

Chirurgia delle metastasi epatiche pag. 62 Il ruolo dell‘anatomopatologo pag. 72 Materiali e metodi pag. 76 Risultati pag. 78 Discussione pag. 79 Immagini pag. 82

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PRIMA PARTE

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Screening

I sintomi tipici delle neoplasie del colon-retto (dolore addominale, alterazioni dell'alvo, mucorrea, rettorragia, dimagrimento, anemia sideropenica) sono presenti solo nel 40-50% dei casi. I pazienti tendono a sottovalutare il sintomo con un ritardo tra la comparsa ed accesso al proprio medico di medicina generale che puo arrivare in alcuni casi anche diversi anni. In più la falsa negatività degli accertamenti o il dilazionamento dell'endoscopia possono ulteriormente aumentare il ritardo.

Normalmente fra esordio dei sintomi e terapia chirurgica intercorrono di media quattro mesi per le localizzazioni del colon sinistro e sette mesi per il colon destro.

Lo screening è consigliato a partire dall'età di cinquanta anni, in particolare nel sesso maschile, e prevede la ricerca del sangue occulto nelle feci (SOF) ogni 12-24 mesi, la sigmoidoscopia ogni 5 anni o la colonscopia ogni 10 anni; nel caso in cui la SOF risuti positiva è obbligatoria la colonscopia. Gli accertamenti diagnostici nei pazienti di età > 50 anni dovrebbero essere realizzati entro due settimane.

Pazienti di età inferiore ai 50 anni che si presentino con sintomi riferibili a patologia colon-rettale in assenza di obiettività, di evoluzione clinica e di rischio famigliare, possono anche essere attentamente sorvegliati per alcune settimane: se i sintomi persistono devono essere tempestivamente avviati ad accertamenti diagnostici.

Un sanguinamento rettale di recente insorgenza in pazienti con età superiore ai 50 anni non deve essere attribuito a patologia benigna senza aver escluso polipi adenomatosi o carcinomi del colon retto.

Tutti i pazienti di età superiore ai 50 anni che si presentano al medico di medicina generale con nuovi o significativi e persistenti sintomi riferibili a patologia colon-rettale devono ricevere un'accurata anamnesi, inclusa quella

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familiare, ed essere sottoposti ad esame obbiettivo comprensivo di esplorazione rettale.

Si può stimare che ad un medico di medicina generale con 1500 assistiti si presenti in media un caso all' anno di neoplasia colon-rettale e 15 casi sospetti per patologia neoplastica del colon-retto.

Per questo è importante che ai medici di medicina generale vengano fornite informazioni sul funzionamento e sulle modalità di accesso alle strutture diagnostiche, in particolare ai servizi di endoscopia, e terapeutiche.

Gli accertamenti diagnostici devono preferenzialmente essere realizzati entro 4 settimane (5).

Le strategie devono considerare il rischio della popolazione da esaminare, il tratto di intestino a maggior rischio, il rapporto costo-efficacia, la compliance e la disponibilità delle tecnologie.

Ognuna delle strategie proposte presenta problemi che devono essere affrontati per poter avviare programmi di screening su larga scala, relativamente al livello di adesione, alla frequenza con cui proporre il test, all' età in cui iniziare lo screening.

L‗esporazione rettale è parte dell‗esame obiettivo generale ma non può essere indicata come test di screening perchè, nonostante più del 50% dei tumori del retto sia palpabile e questa procedura sia piuttosto semplice e innocua, non è in grado di ridurre la mortalità per cancro del grosso intestino, poiché può consentire di rilevare solo la presenza di lesioni localizzate negli ultimi 7-8 cm del retto, pertanto deve essere considerata un esame complementare a quelli strumentali (5).

La ricerca del sangue occulto fecale è un esame economico e assolutamente non invasivo (11).

L‗Haemoccult test è il più comunemente usato ed è un test fondamentale per la diagnosi, capace di rilevare una perdita di 10 ml di sangue/die nel 67% dei pazienti e perdite superiori a 20 ml di sangue/die nell‗80-90% dei pazienti (34, 69, 81, 157).

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La colonscopia è il metodo di screening più sensibile: è possibile visualizzare e rimuovere direttamente polipi, limitatamente alle dimensioni e alla localizzazione, ed eseguire biopsie. Gli svantaggi di questa procedura sono la preparazione intestinale necessaria, la natura invasiva della procedura, le potenziali complicanze, tra cui la perforazione, anche se con un‗incidenza di meno dell‗1% (157).

In questa neoplasia, l'esigenza di coordinamento tra specialisti è particolarmemte rilevante per il carattere multidisciplinare al quale fare afferire i pazienti per la diagnosi ed il trattamento. E' consigliata, laddove possibile, la costituzione di tale gruppo con lo scopo di pianificare e verbalizzare le decisioni diagnostico-terapeutiche su ogni singolo paziente. Le decisioni diagnostico-diagnostico-terapeutiche devono essere coerenti con le linee-guida e qualora si verifichi uno scostamento è opportuno esplicitarne i motivi.

Terminata la fase diagnostico-terapeutica, deve essere fornita documentazione adeguata al paziente, al medico generale ed ai servizi di supporto e deve essere esplicitato lo schema di follow-up.

Diversi studi dimostrano un miglioramento dell'out-come in presenza di struttura a più elevato volume di casi trattati (5).

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Fattori di rischio

Fattori ambientali

Numerosi studi hanno sottolineato l‗importanza dei fattori ambientali nell‗eziopatogenesi del tumore del colon-retto: è stato stimato che il 70% dei carcinomi del colon-retto potrebbe essere prevenuto da un intervento dietetico (153,157).

I fattori ambientali sembrano condizionare lo sviluppo del cancro in tempi diversi: il fumo di sigaretta sembra avere un‗influenza sui primi momenti della cancerogenesi condizionando in positivo lo sviluppo degli adenomi; l‗obesità e la scarsa attività fisica svolgerebbero un ruolo su tappe tardive, influenzando la progressione maligna dell‗adenoma stesso.

Un alto indice di massa corporea (BMI>29 Kg/m²) e ancor più l‗obesità centrale, tipica del sesso maschile (misurata attraverso il rapporto vita-fianchi), rappresentano fattori di rischio per lo sviluppo del carcinoma del colon-retto. L‗elevato consumo di grassi animali costituisce un fattore di rischio: in combinazione con gli acidi biliari stimolano la divisione delle cellule della mucosa colica; sarebbero in grado di attivare l‗ oncogene RAS, mediante la via di sintesi del colesterolo e la cottura ad alte temperature rende possibile la formazione di composti ad alto potere mutageno (amine cicliche).

È stato ipotizzato che una dieta ricca di fibre possa costituire un comportamento protettivo attraverso vari meccanismi: legame agli acidi biliari, inibizione della formazione delle nitrosamine, incremento del contenuto acquoso delle feci, diluizione dei cancerogeni, effetti antiossidanti, riduzione del tempo di transito intestinale, formazione di catene corte di acidi grassi dotate di un potere anticancerogeno in vitro in seguito all‗ interazione con la flora (153).

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Fattori genetici

La percentuale di forme determinate da una predisposizione genetica si aggira intorno al 5-10% dei casi complessivi di carcinoma colorettale.

La genetica gioca un ruolo fondamentale nelle fasi di iniziazione, sviluppo e progressione del polipo adenomatoso e del cancro del colon-retto.

Nel normale epitelio colico si ha una migrazione continua di cellule dal compartimento proliferante più profondo della cripta (dove risiedono le cellule staminali) fino allo strato più esterno dell‗epitelio, più differenziato, di colociti. Le cellule vengono rimosse e l‗epitelio intestinale viene quindi ad essere rinnovato ogni 5 o 6 giorni. La progressione da epitelio normale a polipo adenomatoso come tappa intermedia fino al vero e proprio carcinoma del colon-retto, ha base nei disordini ereditari, anche se gli studi effettuati a riguardo sono solo su colture cellulari e modelli animali (153).

Le alterazioni genetiche che possono portare allo sviluppo del cancro colon-rettale sono classificate in tre gruppi principali: alterazioni dei protoncogeni, perdita dell‗attività di soppressione tumorale e anomalie nei geni coinvolti nella riparazione del DNA. Adenomi e carcinomi insorgono nel contesto di un‗instabilità genomica per la quale le cellule epiteliali accumulano un numero di mutazioni necessarie per il trasformarsi di cellule neoplastiche .

La destabilizzazione del genoma è un prerequisito per la genesi dei tumori. Le forme ereditarie di cancro colon-rettale possono essere suddivise in forme poliposiche e non poliposiche: al primo gruppo appartiene la poliposi adenomatosa familiare (FAP) (45, 153) e le sue varianti quali la sindrome di Gardner e la sindrome di Turcot, al secondo gruppo afferisce la sindrome di Lynch o sindrome del carcinoma colo rettale ereditario non associato a poliposi (HNPCC).

Per la sindrome di Lynch o HNPCC (80) la sorveglianza dovrebbe prevedere una colonscopia ogni 12-24 mesi per le donne già a partire dai 25 anni; inoltre, per le altre neoplasie che fanno parte dello spettro dei tumori della sindrome,

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vanno controllate solo se presenti nella famiglia (45, 153).

In caso di poliposi adenomatosa famigliare, i soggetti portatori della mutazione su APC devono essere seguiti con retto-sigmoidoscopie dalla pubertà e con colonscopie, quando compaiono i polipi. La colectomia profilattica deve essere programmata al termine dello sviluppo se le colonscopie precedenti non hanno già posto il dubbio di trasformazione maligna di uno o di più polipi (5).

Familiarità

La maggior parte dei carcinomi del colon retto è di tipo sporadico con incidenza in incremento con l' aumentare dell' età, con mediana di insorgenza di circa settanta anni ed a bassa probabilità di comparsa prima dei 50 anni.

1) Lo screening dovrebbe essere iniziato all' età di 40 anni, oppure 10 anni prima del parente più giovane affetto dal carcinoma e ripetuta per cinque anni quando ci sia un parente di primo grado con carcinoma del colon-retto o adenoma in età < 55 anni oppure almeno due parenti di secondo grado con diagnosi di carcinoma del colon-retto indipendentemente dall'età della diagnosi.

2) La sorveglianza è analoga a quella della popolazione a rischio generico quando a un parente di primo grado viene diagnosticato un carcinoma colon rettale in età superiore ai 60 anni oppure nel caso di due parenti di secondo grado con diagnosi di carcinoma del colon-retto.

La sorveglianza post-polipectomia per il singolo paziente varia secondo le caratteristiche dei polipi asportati. Il rischio di adenomi cancerizzati alla colonscopia è tanto maggiore quanto è maggiore il numero degli adenomi asportati alla colonscopia indice e quanto maggiore è la loro dimensione.

Sono stati identificati:

1) Soggetti a basso rischio: 1-2 adenomi di dimensioni inferiori a 1 cm, tubulari e con displasia di basso grado.

2) Soggetti a rischio intermedio: 3-10 adenomi di dimensioni inferiori a 1 cm o almeno uno >1 cm con architettura villosa o con displasia di alto grado o polipi

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serrati sessili > 1 cm con displasia di alto grado;

3) Soggetti ad alto rischio: più di 10 adenomi o poliposi serrata;

4) Soggetti con adenomi sessili > 3 cm asportati con tecnica piece-meal (23,157).

In linea di massima i tempi della sorveglianza devono essere individualizzati sulla base dell'accuratezza dell'esame, dell' età, della presenza di storia familiare e di comorbidità.

E' fondamentale in ogni caso la comunicazione con il paziente che deve avvenire in ogni momento del percorso, dalla prevenzione alla terapia (5).

Il paziente deve ricevere dal medico una chiara, adeguata e sollecita informazione sulla malattia, sulle procedure diagnostiche e sulle opzioni terapeutiche.

Solo dopo essere stato adeguatamente preparato, ogni paziente deve fornire un consenso informato; questo ha valore di atto tecnico e legale e deve proporsi la finalità di fornire al paziente un' informazione completa, chiara e comprensibile affinchè egli possa consapevolmente aderire o meno a quanto gli viene proposto (5).

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Diagnosi

Per quel che riguarda la diagnosi clinica, i test endoscopici oltre a diagnosticare carcinomi in fase asintomatica, mirano a ridurre la incidenza di carcinoma colo-rettale attraverso la rimozione di lesioni pre-cancerose (polipi adenomatosi), con riduzione della mortalità conseguente sia alla riduzione della incidenza che alla diagnosi di carcinomi asintomatici.

La sigmoidoscopia permette di esplorare solo il retto-sigma e la parte terminale del discendente, in cui sono localizzati i 2/3 dei cancri e degli adenomi; la colonscopia permette una esplorazione completa dell'intestino.

Possono essere condotte ambulatorialmente, preferibilmente con opportuna sedazione. In alcuni casi può essere considerata l'esecuzione dell'esame in narcosi (65). La performance della sigmoidoscopia in relazione all'area esplorata è uguale a quella della colonscopia (157).

Vengono identificati quasi tutti i cancri e i polipi > 1 cm e il 70- 85% dei piccoli polipi. Reperti falsamente positivi sono rari. La proporzione di cancri o adenomi, globalmente presenti nel colon, che possono essere evidenziati con un sigmoidoscopio flessibile, in grado di esaminare tutto il sigma nell' 80% dei casi, è del 40-60%.

Quando nel retto-sigma vengono identificati adenomi, il paziente viene sottoposto a colonscopia che permette un'esplorazione completa ed affidabile di tutto il colon essendo allo stesso tempo diagnostica e terapeutica, poiché consente di rimuovere agevolmente i polipi adenomatosi precursori del CCR in un discreto numero di casi. E' considerato di buon livello ottenere la visualizzazione di tutto il colon nell' 85-90% dei casi con < 0,2% di perforazioni.

Molteplici studi hanno documentato la sua elevata specificità e sensibilità, nettamente superiori a tutte le altre metodiche attualmente disponibili.

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associata al clisma con doppio contrasto la cui sensibilità è del 55-95%.

Le colonscopia virtuale offre rapidità di esecuzione, assenza di invasività e accuratezza diagnostica ma non essendo stato valutato il rapporto costo-beneficio in rapporto alla colonscopia non può essere proposta come metodica di screening (93).

Nel sospetto di neoplasia del colon-retto i pazienti devono essere sottoposti a colonscopia totale e in caso di stenosi che renda impossibile la colonscopia totale occorre far seguire all'esame endoscopico un Rx clisma a doppio contrasto o una colonscopia virtuale a completamento dell'indagine. Nei tumori del retto è inoltre fondamentale l'esecuzione dell' esplorazione rettale che consente di valutare neoplasie fino a 6-7 cm dal margine anale.

Nelle neoformazioni rettali alcune scelte terapeutiche presuppongono l'acquisizione di dati precisi sulla distanza dalla neoformazione dal margine anale, sul coinvolgimento endoluminale (grado di stenosi) e sull'estensione longitudinale e circonferenziale.

La conferma istologica dovrebbe essere sempre disponibile prima dell'intervento chirurgico ma può essere talvolta omessa in caso di neoformazioni coliche non facilmente raggiungibili con l'endoscopia e con iconografia inequivocabile (5).

Valutazione pre-trattamento

Nelle neoformazioni del colon è raro che la conoscenza preoperatoria di T ed N modifichi l' approccio terapeutico e non è neanche necessario l'utilizzo di routine della TAC per la definizione dei parametri T ed N.

Per le lesioni iniziali (cT1-2) è sufficiente l'esecuzione di un'ecografia transrettale o di un' ecoendoscopia e di una TAC spirale pelvica.

Per le lesioni localmente avanzate (cT3-4) è raccomandabile la RMN pelvica per la valutazione del coinvolgimento della fascia mesorettale e dell'estensione radiale della neoplasia.

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preoperatoriamente con un'ecografia epatica o peferibilmente con una TAC torace. Le metastasi polmonari vanno escluse con una Rx torace o preferenzialmente con una TAC torace.

L'impiego di metodiche diverse e costose quali RNM, PET scan e scintigrafia ossea va riservato a casi particolari; in particolare la PET può essere considerata in caso di lesioni metastatiche metacrone potenzialmente suscettibili di resezione chirurgica.

La strategia terapeutica da impiegare va definita in funzione delle condizioni generali del paziente che rappresentano un fattore prognostico rilevante al pari di altre caratteristiche quali età, occlusione intestinale, durata dei sintomi, sede della malattia.

In presenza di condizioni generali scadute o di altri fattori prognostici sfavorevoli possono essere impiegate strategie terapeutiche individualizzate . Il paziente deve essere sempre coinvolto nelle scelte di trattamento.

Per le neoformazioni rettali la valutazione pre-trattamento è obbligatoria.

Vi è indicazione ad effettuare la determinazione del CEA preoperatorio dato il suo ruolo prognostico e il suo possibile utilizzo nel follow-up. E' diffusamente impiegato anche il Ca19.9. La determinazione del CEA va effettuata al momento della diagnosi (5).

Biologia molecolare

Il carcinoma del colon-retto è caratterizzato da alterazioni molecolari a carico di numerosi oncogeni e geni onco-soppressori che cooperano nel determinare la trasformazione neoplastica (50).

Circa l'80% dei casi di carcinoma del colon-retto sono di tipo sporadico; il rimanente 20% è considerato di tipo familiare o legato a sindromi genetiche, come la poliposi adenomatosa familiare, associata a mutazioni del gene APC ed il carcinoma del colon-retto non poliposico caratterizzato da mutazioni

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germinali dei geni mismatch repair (MMR), soprattutto hMSH2, hMSH6, hMLH1.

Nella cancerogenesi del colon si distinguono tre principali pathways di trasformazione:

1) L'instabilità legata ai microsatelliti: i microsatelliti sono brevi sequenze ripetute di DNA presenti normalmente nel genoma umano. A causa di specifiche mutazioni i microsatelliti possono diventare in maniera anomala più corti o più lunghi rendendo il DNA instabile.

2) L'instabilità cromosomica (CIN): la maggioranza dei carcinomi del colon retto sporadici mostra un certo grado di CIN che è associata a gravi anomalie cromosomiche, come delezioni e inserzioni, con attivazione di proto-oncogeni ed inattivazione di geni tumor-soppressor, così come aneuploidia o polipoloidia cromosomica. Numerosi geni coinvolti nella carcinogenesi intestinale subiscono alterazioni genetiche dovute all'instabilità cromosomica come APC, p53, KRas, BRAF, PTEN, SRC, TGF-b, SMAD 2 e 4, timosina b-4.

3) La metilazione aberrante del DNA: la trascrizione di geni è regolata dalle cosiddette sequenze promotrici che regolano il legame dei fattori di trascrizione del gene di interesse. La metilazione delle sequenze promotrici è un fine meccanismo di regolazione della trascrizione genica in quanto altera le capacità dei fattori di trascrizione di legarsi ad esse e promuovere la trascrizione. L'ipermetilazione anomala delle sequenze nucleotidiche dei promotori è frequente nel DNA dei pazienti affetti da cancro del colon-retto (5).

Nella genesi del carcinoma del colon-retto si è ipotizzato il seguente meccanismo (50):

• Inattivazione oncosoppressore APC (cr. 5): adenoma < 1 cm. • Attivazione oncogene Ras (cr. 18): adenoma > 3 cm con displasia. • Inattivazione della proteina p53 (cr. 17): cancro.

• Altre anomalie a carico dei mismatch repair genes: metastasi.

Studi recenti hanno dimostrato che alcune di queste modificazioni genetiche hanno valore prognostico e/o predittivo, rivestendo un importante ruolo nella

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gestione clinica del paziente affetto da cancro del colon-retto.

Mutazioni del gene KRas sono riscontrate in circa il 40% dei carcinomi del colon retto. Esistono dati contraddittori sulla correlazione tra mutazioni di KRas e prognosi in questa neoplasia: alcuni studi hanno suggerito un debole ruolo prognostico negativo della sola mutazione G12V ma non esistono dati conclusivi a supporto di questa diagnosi. Diversi studi clinici hanno dimostrato in maniera concorde che mutazioni dei codoni 12 e 13 di KRas (esone 2) producono resistenza ad anticorpi monoclonali anti-EGFR (Cetuximab, Panitumumab) in pazienti con carcinoma del colon-retto metastatico.

Un‘ analisi retrospettiva ha dimostrato che altre mutazioni di KRas (esone 3 e 4) e mutazioni di NRas (esone2, 3 e 4) possono determinare resistenza ad un trattamento anti-EGFR ed assere associate ad un effetto detrimentale dell'anticorpo in combinazione con FOLFOX.

L'analisi mutazionale del gene KRas trova indicazione nei pazienti con carcinoma del colon-retto metastatico per i quali è indicato un trattamento di prima linea o in linee successive con un regime di terapia contenente un anticorpo monoclonale anti-EGFR. L‘ utilizzo di Panitumumab è ristretto ai pazienti Ras wild type (esoni 2,3 e 4 di KRas e NRas).

In considerazione dell' alta concordanza fra le mutazioni riscontrate nei tumori primitivi e nelle corrispondenti metastasi, la determinazione dello stato mutazionale di KRas può essere effettuata indifferentemente su tessuto tumorale primitivo o metastatico.

L‘associazione italiana medici oncologi (AIOM), in collaborazione con la Società Italiana di Anatomia Patologica e Citopatologia (SIAPEC), ha attivato un programma di controllo di qualità per i laboratori che eseguono il test della mutazione di KRas.

Sono state riportate differenze per le diverse mutazioni di KRas in alcuni studi. Tuttavia la maggioranza di questi dati sono stati ottenuti in studi retrospettivi in cui i pazienti erano trattati con farmaci anti-EGFR come ionoterapia nel contesto della pratica clinica o, comunque, in assenza di braccio di controllo. Per alcuni

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dei geni citati i risultati riportati in letteratura sono discordanti; pertanto, il loro impiego quali fattori predittivi non è attualmente raccomandato nella pratica clinica (5,7).

Alcune alterazioni molecolari possono fornire importanti indicazioni prognostiche: mutazioni di BRaf sono presenti in circa il 10% dei pazienti con carcinoma del colon-retto e sono associate ad un prognosi sfavorevole della malattia (5,6, 174).

Numerosi studi suggeriscono anche che carcinomi del colon-retto sporadici allo stadio II se deficienti dei geni MMR (MSI+) hanno prognosi più favorevole rispetto ai tumori in cui non ci sono mutazioni dei geni MMR (MSI-) quando trattati chirurgicamente (5).

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Chirurgia

La chirurgia rappresenta la principale opzione terapeutica con intento curativo nelle neoplasie colon-rettali e dovrebbe essere effettuata in tempi ragionevolmente brevi.

Il tempo di attesa tra diagnosi e ricovero non dovrebbe superare le quattro settimane. Il ricovero dovrebbe avvenire subito prima dell'intervento per ridurre i costi e le infezioni.

Devono essere eseguiti i comuni esami preoperatori secondo le pratiche consolidate verificate in collaborazione con l'anestesista.

Prima dell'intervento devono essere eseguite: la preparazione intestinale, la profilassi TVP-embolia polmonare con eparina a basso peso molecolare, la profilassi antibiotica con una cefalosporina di I o II generazione e se il paziente è anche solo potenzialmente candidato ad una stomia, la preparazione ad un' eventuale stomia.

La tecnica chirugica delle neoplasie del colon e del retto si fonda su considerazioni anatomiche e chirurgiche (5)

Sono definiti adenomi cancerizzati quelli in cui si può accertare l'infiltrazione neoplastica della sottomucosa in assenza di interessamento della tonaca muscolare propria (pT1) e il referto istologico di un adenoma cancerizzato deve riportare i parametri che definiscono il rischio metastatico (basso rischio: 8-18%; alto rischio: 20-40%):

1) Grado di differenziazione del carcinoma;

2) Presenza o assenza di invasione linfovascolare;

3) Stato del margine di resezione endoscopica (cellule carcinomatose a meno di 0,1 cm e/o comprese nella banda di diatermocoagulazione);

4) Budding tumorale; 5) Microinfiltrazione;

La presenza di anche uno solo dei parametri di rischio indica un alto potenziale metastatico della lesione e costituisce un indicazione al trattamento chirurgico

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(38, 23). Oggi si raccomanda al patologo presente in sala operatoria al momento della rimozione del polipo di marcare con inchiostro di china il punto di escissione.

Adenomi con focolaio di cancerizzazione ben differenziato, che non presentino segni di invasione vascolare, linfatica e con margine indenne possono ragionevolmente ritenersi trattati radicalmente con la sola escissione endoscopica. Il rischio di metastasi linfonodali per i carcinomi T1 (a basso rischio) è nell'ordine del 2% (191).

La microchirurgia endoscopica transanale deve essere eseguita da chirurghi con adeguati training in questa specifica procedura.

Nei T1 con pattern di infiltrazione sm3 il rischio è pari a quello dei T2 e pertanto è richiesto un trattamento analogo ai T2 (166).

L'eventuale trattamento chirurgico radicale è sostanzialmente rappresentato dalla resezione segmentaria, preferenzialmente laparoscopica.

La terapia chirurgica delle neoplasie del colon-retto T2 e T3 deve portare all'exeresi del segmento di grosso intestino sede del tumore con adeguati margini liberi da malattia e all'asportazione completa delle rispettive stazioni linfonodali regionali.

In base a questi presupposti si possono sottolineare alcune problematiche inerenti alla chirurgia oncologica:

1) Margine prossimale e distale di resezione; 2) Legatura dei vasi colici all'origine;

3) Escissione totale del mesoretto o total mesorectal excision (TME); 4) Linfadenectomia;

5) La resezione in blocco degli organi adiacenti infiltrati; 6) Perforazione della neoplasia;

7) Stomia di protezione;

8) Il chirurgo come fattore prognostico. Il volume del singolo chirurgo e dell'equipe in cui lavora è un fattore collegato non solo alla mortalità chirurgica ed alla percentuale di complicanze perioperatorie ma anche alla prognosi a

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distanza dei pazienti.

Sull' eventuale tumore residuo e/o sulle metastasi deve essere eseguita una biopsia. La radicalità della resezione deve essere confermata sia dal giudizio intraoperatorio (assenza di residui evidenti macroscopicamente) che dal successivo esame istologico (margini liberi da neoplasia).

Il carcinoma del retto medio e basso, cioè extraperitoneale, presenta delle peculiarità che lo distinguono nettamente dal carcinoma del colon e la chirurgia delle difficoltà tecniche al punto che in alcuni paesi viene demandata a centri specialistici (5,152).

L'escissione locale in elezione con microchirurgia endoscopica transanale (166,167,168) va ritenuta un trattamento adeguato qualora ricorrano queste condizioni:

A) chirurgia palliativa in cui l'intervento di chirurgia radicale è controindicato per le condizioni generali:

a. Le dimensioni del tumore non superano i 3 cm; b. Il grading istologico è 1-2;

c. Carcinoma in situ o con infiltrazione confinata agli strati iniziali della sottomucosa (T1sm1 e sm2);

d. Non vi è infiltrazione linfatica o linfonodale;

e. L'escissione è ritenuta completa sia dal chirurgo che dal patologo;

f. La distanza dal tumore rispetto al margine anale consente una escissione transanale tecnicamente fattibile;

g. L'asportazioneè stata eseguita fino al grasso perirettale; h. Il margine chirurgico è circonferenzialmente negativo; B) rifiuto del paziente a sottoporsi a chirurgia radicale.

Attualmente, in diverse casistiche, la percentuale di risposta patologica completa dei tumori del colon retto medio-basso dopo radio-chemioterapia neoadiuvante standard (irradiazione con 45-50 Gy associati a schemi di chemioterapia basati sul 5-fluorouracile) raggiunge il 20-25%. Il rischio di metastasi linfonodali in coloro che hanno avuto una risposta patologica completa è stato valutato

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nell'ordine del 2-4% a seconda della selezione dei pazienti. Questi risultati supportano il razionale di eseguire una escissione locale dopo radio-chemioterapia preoperatoria in quei casi ni cui la rettoscopia e le biopsie non evidenziano residuo di neoplasia. Qualora l'esame istologico del pezzo operatorio asportato mediante escissione locale confermi l'assenza di neoplasia petrebbe essere risparmiato al paziente l'intervento di resezione radicale del retto (5).

Chemio-radioterapia neoadiuvante

La radioterapia pre-operatoria nel cancro del retto extraperitoneale è associata ad una significativa riduzione delle recidive locali. Non vi è evidenza di differenza tra regime ipofrazionato e regime convenzionale quando la neoplasia non coinvolge la fascia mesorettale (distanza <0,1 cm).

Quando la terapia è stata eseguita con frazionamento tradizionale in associazione con dosi superiori a 30 Gy si è rivelata una riduzione statisticamente significativa dell' incidenza di recidive locali.

Anche quando la radioterapia è stata eseguita con ipofrazionamento della dose (short-course) utilizzando frazioni da 5 Gy ciascuna seguite a breve distanza dalla chirurgia, si è ottenuto un vantaggio statisticamente significativo in termini di riduzione delle recidive locali.

La radioterapia ipofrazionata non prevede l'associazione con la chemioterapia che può essere impiegata con i regimi di frazionamento convenzionale; ha dimostrato un maggior rischio di positività di infiltrazione del margine circonferenziale negli stadi avanzati T3c-d rispetto alla radioterapia con frazionamento convenzionale e in particolare rispetto alla radioterapia con frazionamento convenzionale associata alla terapia concomitante. L'efficacia in termini di riduzione delle recidive locali sembra simile alla radiochemioterapia (5, 114).

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Recenti studi hanno evidenziato un ulteriore aumento dei risultati con evidenza di un migliore controllo locale e sopravvivenza nei pazienti trattati con radiochemioterapia preoperatoria, con l'impiego di 5-fluorouracile e acido folinico in associazione alla radioterapia rispetto a quelli trattati con la sola radioterapia preoperatoria convenzionale (151).

Nonostante studi di fase II di associazione tra radioterapia e chemioterapia con l'impiego di 5-fluorouracile e di nuovi farmaci abbiano mostrato ottima tolleranza e un' elevata percentuale di successivi interventi radicali con preservazione dello sfintere con completa negativizzazione del pezzo operatorio in percentuali variabili dal 10% al 25%, i dati degli studi randomizzati fino ad ora disponibili relativi ad associazioni con Oxaliplatino non hanno mostrato vantaggi effettivi in termini di risposta patologica completa evidenziando, invece, aumento di tossicità con l'impiego della polichemioterapia rispetto al solo 5-fluorouracile/ acido folinico.

L'associazione tra radioterapia e polichemioterapia deve essere al momento pertanto limitata a protocolli di ricerca.

La somministrazione orale di Capecitabina si è dimostrata equivalente al 5-fluorouracile in infusione continua e offre il vantaggio di evitare il posizionamento di cateteri venosi centrali.

Poichè la radio-chemioterapia è in grado di determinare il downstaging della neoplasia rettale, il suo impiego deve essere considerato in tutti i pazienti con lesioni del retto basso non candidabili a escissione locale. Tra il termine del trattamento chemio-radiante e la chirurgia devono intercorrere non meno di sei settimane e non più di otto-dieci settimane.

I dati di studi sul trattamento post-operatorio e i dati dello studio di confronto tra chemioterapia pre e post-operatoria indicano che un trattamento chemioterapico della durata complessiva di sei mesi dovrebbe poter far parte del trattamento integrato per il carcinoma del retto localmente avanzato. Nei pazienti che ricevono chemio-radioterapia preoperatoria sono quindi generalmente considerati adeguati quattro mesi di trattamento (5).

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Anatomia patologica

Sono da considerarsi criteri diagnostici minimi da riportare obbligatoriamente nel referto:

1) per gli adenomi cancerizzati: istotipo, grado istologico, invasione linfovascolare, stato del margine laterale di resezione endoscopica, stato del margine profondo, microstadiazione intesa come rapporto percentuale di tessuto adenomatoso e adenocarcinoma e livello di invasione della sottomucosa (5,23, 38);

2) per i carcinomi: istotipo, grado di differenziazione, livello di infiltrazione della sierosa e del grasso periviscerale, distanza dai margini di resezione prossimale e distale, numero di linfonodi metastatici, presenza/assenza di invasione vascolare. Nei tumori del retto deve essere indicata l'integrità della fascia mesorettale e la distanza del margine di resezione radiale. Nei pazienti con terapia neo-adiuvante dovrebbe essere riportato il grado di regressione tumorale (TRG) (5, 37, 146, 152).

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Follow-up

I soggetti sottoposti a rimozione di adenomi sono a rischio di sviluppare lesioni neoplastiche.

Lo scopo principale della sorveglianza endoscopica è quello di prevenire lo sviluppo di una neoplasia colorettale attraverso la rimozione di uno o più adenomi ad alto rischio prima che essi assumano le caratteristiche di una neoplasia maligna.

Al termine della fase relativa al trattamento della polipectomia per via endoscopica vengono raccolte le conclusioni che prevedono il follow-up.

I parametri essenziali per la definizione di intervallo tra la colonscopia di base e quella di follow-up sono:

1) la numerosità degli adenomi; 2) le dimensioni degli adenomi; 3) il grado di displasia;

4) la presenza di componente villosa.

Ai fini della definizione degli intervalli di sorveglianza la misurazione degli adenomi deve essere effettuata dal patologo nella maniera più accurata possibile. In base a detti parametri è raccomandato procedere alla stratificazione dei pazienti per livello di rischio:

1) pazienti a basso rischio: ricerca del sangue occulto fecale a 5 anni per polipi iperplastici < 1cm e numero < 20; colonscopia a 5 anni per polipi iperplastici > 1 cm; colonscopia a 1 anno, se negativa ricerca del sangue occulto fecale dopo 5 anni per numerosi polipi iperplastici (>20).

2) pazienti a rischio intermedio: colonscopia a 3 anni, se negativa da ripetere ogni 5 anni; se negativa per due volte consecutive, ricerca del sangue occulto fecale dopo 5 anni.

3) pazienti ad alto rischio: colonscopia a 3-6 mesi per gli adenomi sessili estesi > 2 cm; colonscopia ad 1 anno, se negativa controllo a 3 anni, se negativa 2 volte consecutive controllo a 5 anni per gli adenomi cancerizzati privi di segni di

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invasività locale (138, 147, 148).

Per quanto riguarda la patologia neoplastica:

1) esame clinico ogni 3-4 mesi per i primi tre anni (compresa l'esplorazione rettale dell'anastomosi per i pazienti operati per carcinoma del retto e ogni 6 mesi per i due anni successivi). Non vi sono evidenze che indichino l'utilità del monitoraggio degli enzimi epatici ne di alttri esami ematochimici (ad eccezione del CEA);

2) CEA ogni 3-4 mesi per i primi 3 anni, ogni 6 mesi per i due anni successivi anche nei pazienti con CEA preoperatorio nei limiti della norma.

3) la colonscopia deve essere eseguita appena possibile, comunque entro 6-12 mesi dall'intervento nei pazienti senza uno studio preoperatorio; nei pazienti in cui l'esame evidenzia un "colon indenne" la ripetizione dell'esame endoscopico è consigliata dopo un anno dall'intervento, inseguito dopo tre anni in assenza di adenomi e quindi ogni 5 anni, valutando eventuali comorbidità e l'età.

4) la sigmoidoscopia si esegue ogni 6mesi per i primi due anni.

5) TAC torace ed addome superiore con contrasto ogni 6-12 mesi per i primi 3-5 anni in funzione dell'entità del rischio. L'ecografia ha una minore sensibiità e può sostituire la TAC preferibilmente con l'impiego di contrasti ecografici in caso di difficoltà logistiche e nei pazienti non candidabili ad ulteriori programmi chirurgici. Dopo il III anno si può eseguire un' ecografia dell' addome e un Rx torace da eseguire una volta all' anno fino al V anno.

6) TAC torace ed addome con contrasto ogni 3-6 mesi per iprimi 2 anni e successivamente ogni 6-12 mesi fino al quinto anno nei pazienti sottoposti a metastasectomia.

7) TAC o RNM pelvica ogni 6-12 mesi per i primi due anni ed annualmente nei tre anni successivi nei pazienti operati per carcinoma del retto in funzione dell'entità del rischio.

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SECONDA PARTE

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Epidemiologia

Il carcinoma del colon-retto rappresenta un importante problema sanitario (153). I Paesi più a rischio sono quelli industrializzati, nei quali il carcinoma del colon-retto rappresenta la seconda causa di tumore.

A partire dagli anni Cinquanta è stata registrata un‗inversione di tendenza: un graduale aumento di incidenza nei Paesi in via di sviluppo contro una stabilizzazione o riduzione di incidenza nei Paesi ad alto rischio.

Attualmente in Europa questo tumore rappresenta la seconda neoplasia per entrambi i sessi, mentre negli Stati Uniti è la quarta neoplasia non cutanea per frequenza e la seconda causa di morte cancro-correlata; tre quarti dei pazienti giungono alla diagnosi con una malattia estesa alla parete colica e ai linfonodi loco regionali.

I Paesi a maggiore incidenza sono quelli dell‗Europa dell‗Ovest e del Nord rispetto a quelli dell‗Est e del Sud. Altre aree a rischio sono il Nord- America e l‗Australia. America del Sud, Asia e Africa sono paesi a basso rischio; le popolazioni immigrate acquisiscono il rischio del Paese di residenza per le mutate abitudini alimentari.

Per quanto riguarda l‗Italia secondo il rapporto dell‗Associazione Italiana Registro Tumori (AIRT) il tumore del colon-retto è risultato al 4° posto in termini di frequenza fra le neoplasie diagnosticate negli uomini rappresentando l‗11,3% del totale dei tumori e al 3° posto nelle donne rappresentando l‗11,5% del totale.

Fra le cause di morte tumorale il colon-retto è stata la seconda in ordine di frequenza sia fra gli uomini (10,4% di tutti i decessi tumorali) sia fra le donne (12,4%).

Il rischio di avere una diagnosi di tumore del colon-retto nel corso della vita (fra 0 e 74 anni) è di 50,9‰ fra i maschi (1 caso ogni 20 uomini) e di 31,3‰ fra le femmine (1 caso ogni 32 donne), mentre il rischio di morire è di 17,3‰ fra i

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maschi e 10,0‰ fra le femmine.

Esiste una certa variabilità geografica nell‗incidenza del tumore del colon-retto nel nostro Paese con un rapporto fra le aree con i tassi più alti e quelle con i più bassi, generalmente quelle dell‗Italia meridionale e insulare, intorno a 2 sia fra gli uomini sia fra le donne.

Per quanto riguarda gli andamenti nel tempo, il tumore del colon-retto mostra una tendenza all‗aumento dell‗incidenza con mortalità in riduzione.

Nell‗ambito della popolazione generale un soggetto di sesso maschile ha una probabilità di ammalarsi di cancro del colon-retto del 4.5 % nel corso della vita, mentre in una donna tale probabilità è del 3.2 %.

Il rischio si manifesta a partire dai 40 anni e aumenta esponenzialmente con l‗avanzare dell‗età: circa il 70% dei tumori del colon e due terzi dei tumori del retto si verificano nei pazienti con più di 65 anni di età.

La malattia è maggiormente localizzata nel colon terminale e nel retto, dove si sviluppa circa il 60% dei tumori del colon-retto, tuttavia sia in Europa che negli Stati Uniti l‗incidenza dei tumori del colon destro è in aumento. Simili risultati sono stati riportati anche in Asia.

I fattori che comunque hanno un peso preponderante sullo sviluppo del carcinoma colon-rettale sono quelli ambientali. Le ragioni delle variazioni geografiche e razziali dell‗incidenza e della mortalità di questo tumore sono infatti da ricercare nelle differenze dello stile di vita e dell‗alimentazione tra i Paesi Occidentali e quelli in via di sviluppo e, in ultima analisi, anche nelle diverse possibilità di trattamento e di screening di questa neoplasia.

Soggetti che migrano da aree a bassa incidenza ad aree ad alta incidenza acquisiscono, nel giro di una generazione, lo stesso rischio del paese ospite di sviluppare il tumore del colon-retto: ciò è dovuto all‗adozione di uno stile di vita tipico dei Paesi sviluppati. Altri studi hanno rivelato l‗importanza dell‗esposizione ambientale nell‗incidenza del tumore del colon-retto e forniscono una guida per le modificazioni della dieta e dello stile di vita come misure preventive. Nonostante l‗elevata incidenza della malattia, la mortalità è

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relativamente bassa, con una sopravvivenza globale a 5 anni del 60%, questi dati risultano migliori nei soggetti più giovani che in quelli più anziani.

Grazie alla possibilità di una diagnosi precoce e ai miglioramenti nel campo terapeutico si è osservato negli ultimi decenni un aumento di sopravvivenza a 5 anni del 9% nel carcinoma del colon e del 7% nel carcinoma del retto. Di conseguenza, per l‗aumento di sopravvivenza si ha un‗elevata prevalenza della malattia, che in Europa è stimabile intorno ai 660.000 casi, mentre è di oltre due milioni di persone nel mondo.

Nella malattia metastatica, nonostante i progressi recenti nella terapia medica, si ha ancora una sopravvivenza a lungo termine molto bassa (inferiore al 5% nei pazienti non resecati (153).

Il ruolo del chirurgo

La microchirurgia endoscopica transanale (TEM) consente la precisa dissezione e la rimozione radicale di polipi di diametro superiore a 3 cm e di casi selezionati di carcinoma prossimale allo sfintere anale (20, 21, 22).

Microchirurgia endoscopica transanale

Uno studio preoperatorio scrupoloso è indispensabile per identificare i pazienti che possano beneficiare di un' escissione locale dei tumori del retto. Il chirurgo che eseguirà l'intervento esegue personalmente la rettoscopia con endoscopio rigido per determinare la localizzazione del tumore, la distanza dal margine anale, le dimensioni e la sede rispetto alla circonferenza rettale.

Formazioni adenomatose sessili del diametro fino a 2 cm usualmente si rimuovono con l'ansa diatermica.

Lesioni più grandi possono essere asportate per via endoscopica a frammenti compromettendo l'integrità dei margini e l'accuratezza dell'esame istologico.

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Adenomi sessili di dimensioni > 3 cm possono contenere aree di degenerazione, displasia severa, carcinoma in situ o carcinoma invasivo che possono sfuggire preoperatoriamente a tutte le attuali metodiche investigative; questi carcinomi sono il più delle volte pT1 a basso rischio di progressione neoplastica: l'escissione locale a tutto spessore della neoplasia con margini di resezione liberi dal tumore risulta essere curativa.

Per gli adenomi sessili localizzati in prossimità del canale anale si utilizza un divaricatore anale per esporre sufficientemente bene tutto il canale anale e procedere all' asportazione della formazione.

Per gli adenomi sessili localizzati a distanza dalla linea dentata che siano ben visualizzati mediante rettoscopia rigida di dimensioni < 8 cm di diametro longitudinale è indicata l'escissione locale. La resezione dell'adenoma con questa metodica può risultare estremamente difficile in caso di grosse neoformazioni sessili localizzate sulla parete anteriore, a livello della porzione superiore del retto o in prossimità del sigma e l'apertura inavvertita del peritoneo parietale non può essere evitata in ogni caso.

Un' ulteriore indicazione all'intervento di microchirurgia endoscopica transanale è l'escissione del peduncolo dell' adenoma peduncolato asportato endoscopicamente che all'esame istologico definitivo risulta infiltrato da carcinoma invasivo.

I tumori maligni del diametro inferiore a 3 cm, ben differenziati, o che interessano meno del 25% della circonferenza, che non infiltrano la parete muscolare e senza coinvolgimento linfonodale, vengono asportati senza terapia neoadiuvante anche se le piccole dimensioni non annullano il rischio di diffusione metastatica linfonodale.

Carcinomi allo stadio pT2 che presentano una buona mobilità all'esplorazione digitale e che interessano meno di un quarto della circonferenza rettale, del diametro inferiore a 4 cm senza alcun riguardo per il grado istologico di differenziazione, possono essere trattati con escissione locale dopo chemio-radioterapia adiuvante.

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Il trattamento dei tumori pT3 ha scopo puramente palliativo in pazienti in gravi condizioni generali per patologia cardiologica o respiratoria associata che non possono essere sottoposti ad intervento radicale.

Controindicazioni assolute all'intervento sono: l'infiltrazione del grasso perirettale, tumori la cui biopsia depone per carcinoma poco differenziato, presenza di metastasi (167).

Controindicazione relativa è la presenza di stenosi endorettale.

La preparazione pre-intervento segue i principi comuni alla chirurgia colorettale. Nel consenso informato deve essere riferita la possibilità di una laparotomia e l'eventualità di una colostomia temporanea.

Il giorno prima dell' intervento si sottopone il paziente a pulizia intestinale; all'inizio dell' intervento si inizia la profilassi antiinfettiva e antitrombotica; si posiziona il catetere vescicale ed è utile la fasciatura degli arti inferiori nei pazienti ad alto rischio di complicanzioni trombotiche.

Materiali

E‘ possibile l‘escissione transanale della parete rettale a tutto spessore attraverso un rettoscopio collegato ad un particolare apparecchio che combina quattro funzioni: insufflazione, controllo della pressione, aspirazione e lavaggio.

L'insufflazione di CO2 viene eseguita con un controllo pressorio ottenuto mediante monitoraggio continuo delle pressioni endorettali.

La pressione endoluminale viene monitorizzata sul rettoscopio attraverso un canale di misurazione della pressione del gas inserito direttamente su un' apposita connessione.

L'aspirazione avviene attaverso una pompa a rulli a funzione continua che garantisce l' equilibrio con il flusso di entrata. La pressione di aspirazione è inferiore a quella di insufflazione al fine di garantire la distensione permanente delle pareti del retto.

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campo operatorio. Ai fini della sezione e della coagulazione si utilizza un bisturi elettrico monopolare che può essere collegato al bisturi, alle forbici, alle pinze o all' aspiratore.

Il rettoscopio viene introdotto dopo aver inserito un dilatatore a punta smussa. Al fine di facilitare la valutazione endoscopica il dilatatore viene rimosso e sostituto con un adattatore provvisto di finestra per la visione, collegato a una sorgente luminosa.

L'adattatore per l'inserimento dell'ottica e degli strumenti endoscopici viene assemblato prima della fase operatoria vera e propria. L'ottica stereoscopica consente una visione tridimensionale del campo operatorio.

La tecnica TEM prevede l'esecuzione dell'intervento attraverso un unico accesso al campo operatorio, ciò significa che sia l'ottica che gli strumenti endoscopici vengono introdotti nella stessa porta. Conseguentemente, lo spazio per le manovre chirurgiche è limitato e gli strumenti hanno un decorso parallelo lungo il canale del rettoscopio. Queste limitazioni possono far si che gli strumenti si ostacolino a vicenda durante le manovre chirurgiche, pertanto è necessario un addestramento specifico per acquistare la necessaria manualità.

Tecnica di exeresi

All'inizio della procedura il chirurgo dovrebbe porre la massima attenzione a non escindere troppo in profondità il tumore perchè la sezione della parete muscolare provoca una retrazione sia del pezzo che della parete rettale. La lesione dovrebbe essere maneggiata con la massima cura ed essere pinzata a livello della mucosa sana in modo da mantenere i suoi margini intatti ed evitare sanguinamenti.

All' inizio dell'intervento vengono utilizzate pinze per afferrare delicatamente la mucosa partendo dal margine distale del polipo e sollevandola delicatamente. In caso di emorragia l'aspiratore è utile per ricercare il vaso sangunante e comprimere l'area mentre con la stessa sonda viene eseguita la coagulazione. A

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causa dei frequenti ripiegamenti verso l'alto e verso il basso del flap di mucosa, i margini di resezione devono essere costantemente tenuti sotto controllo durante l'escissione.

La tecnica TEM assicura un'escissione sufficientemente approfondita negli strati sottostanti per i tumori pT1 e permette la rimozione di grosse lesioni mantenendo i margini intatti e garantendo una escissione corretta e adeguatamente valutabile.

Dopo la resezione di estese neoformazioni si può facilitare l'esecuzione della sutura passando contemporaneamente alcuni punti di avvicinamento dei margini della ferita. I margini della ferita vengono prima approssimati con diversi punti staccati a distanza di 5 mm circa l'uno dall' altro dopodichè viene eseguita la sutura trasversale.

Complicanze

La microchirurgia endoscopica transanale è impegnativa ed il chirurgo può andare incontro durante l‘ intervento a complicazioni tecniche, la più temibile è la perforazione del retto.

Piccole perforazioni possono essere riparate con suture riassorbibili.

In ogni resezione di tumori di pertinenza della porzione intraperitoneale del retto è possibile aprire inavvertitamente la cavità peritoneale a causa di una sezione portata troppo in profondità: questa complicazione comporta il passaggio della CO2 insufflata nella cavità peritoneale con conseguente caduta della pressione endorettale di gas tale da compromettere la visione endoscopica. Il difetto creato deve essere richiuso: per assicurare la tenuta della clip d‘argento all‘interno del lume, il primo punto deve essere passato includendo nel morso anche la mucosa rettale e, per assicurare la sutura in maniera stabile alla fine, il punto finale deve nuovamente ritornare all‘interno del lume rettale.

Raramente è necessario convertire l‘intervento in laparotomia, riparare la lesione e confezionare una stomia a monte.

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La complicanza intraoperatoria più frequente è il sanguinamento la cui causa più frequente è la lesione del peduncolo vascolare che di solito vienne confezionato alla fine. Piccoli sanguinamenti sono facilmente controllabili.

La ritenzione urinaria nei pazienti anziani con iperplasia prostatica è una delle complicanze postoperatorie precoci; in questi pazienti è consigliabile tenere il catetere per 48 ore.

La stenosi del lume in corrispondenza della sutura è quasi sempre asintomatica. Il notevole diametro del rettoscopio provoca una distensione delle fibre dello sfintere anale che può provocare modesta incontinenza; nei pazienti anziani , in particolare dopo interventi prolungati, l'ncontinenza è più frequente ma è sempre reversibile.

Nei pazienti di sesso femminile affetti da neoplasie della parete anteriore del retto esiste il rischio di fistola rettovaginale. Se l'operatore riconosce la fistola durante l'intervento può tentare una ricostruzione della parete vaginale, in caso contrario è necessario reintervenire successivamente per via vaginale.

Nel 10% dei pazienti può comparire una proctite molto fastidiosa che può comparire alcuni giorni dopo l'intervento, che risponde al trattamento con antinfiammatori non steroidei.

Vantaggi e svantaggi

La microchirurgia endoscopica transanale, utilizzando una via d'acceso naturale al campo operatorio evita cicatrici e la demolizione di strutture anatomiche. L'incidenza delle complicanze è bassa, le perdite ematiche ridotte, il dolore post-operatorio assente, la degenza breve, la mortalità post-opertoria nulla, i risultati funzionali buoni con una ripresa rapida dell'attività lavorativa (63).

Rispetto alle tecniche classiche di escissione transanale permette di raggiungere lesioni del retto superiore sotto visione diretta della parete rettale, distesa e ingrandita. La visione tridimensionale attraverso l'ottica bioculare è superiore alla visione bidimensionale dello schermo: ciò consente di valutare con

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precisione la distanza dei margini di resezione al limite della lesione, un' accurata emostasi, la sutura ottimale della parete rettale.

Nel trattamento degli adenomi a larga base di impianto e di "early rectal cancer" è superiore a trattamenti che non permettono di superare la sottomucosa quali la polipectomia "piece-meal", l'elettrocoagulazione, il laser, la radioterapia intracavitaria.

I limiti della metodica non vanno sottovalutati: il costo dell' apparecchiatura è elevato; la difficoltà iniziale nel mettere a punto la tecnica chirurgica richiede una curva di apprendimento e un tutore esperto con tempi operatori prolungati (21, 88, 89, 167).

Esiste il rischio di sottostadiare preoperatoriamente neoplasie maligne che richiedono un trattamento chirurgico più radicale e quindi la necessità di controllare scrupolosamente, i margini di resezione e le necessità di reintervenire successivamente con la chirurgia tradizionale nel caso di escissione inadeguata e recidiva (68, 166, 167, 168).

Escissione del mesoretto

La chirurgia del cancro del retto è tra le più impegnative in quanto l'operatore deve assicurare buoni risultati funzionali e soprattutto oncologici. Il chirurgo deve, quando possibile, evitare una stomia, garantendo una buona qualità di vita e assicurare una radicalità oncologica.

E' necessario sottolineare l'importanza di una preparazione e di un interesse specifico al fine di garantire i migliori risultati.

I casi trattati da operatori con ridotto numero di interventi/anno, presentano risultati peggiori in termini di aumento di mortalità, maggiore frequenza di recidive e minor sopravvivenza globale. Da uno studio svedese è emerso che l'incidenza delle recidive locali va dal 4 al 10% a seconda del numero di TME/anno effettuate dal chirurgo assumendo come "cut-off" minimo quello di

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12 TME l'anno.

Non sembrano esserci delle differenze significative se l'intervento è condotto via "open" o laparoscopica.

La capacità di eseguire una TME corretta deve necessariamente far parte del bagaglio di un operatore che si accinge a trattare un paziente con cancro del retto per garantire una minore percentuale di recidive loco-regioali e di complicanze postoperatorie.

Al tal fine il chirurgo deve rispettare dei principi fondamenali: ottenere l'integrità della fascia mesorettale; rispettare il marigine radiale; effettuare la dissezione lungo un piano avascolare ("holy plane"); ottenere la clearance del margine distale; evitare l'effetto cono; effettuare una corretta linfadenectomia.

Margine prossimale

La lunghezza del margine di resezione prossimale dovrà essere > 5 cm ed è influenzata principalmente da criteri di appropriato supporto vascolare in relazione al livello di legatura vascolare.

Margine distale

Nei tumori del retto superiore, il mesoretto va asportato fino a 5 cm distalmente ai tunori. A sfavore di una TME vi sono il riscontro istologico post-operatorio di una diffusione distale della neoplasia inferiore a 4 cm dal margine inferiore, la maggior durata dell'intervento, una maggior richiesta di trasfusioni intra-operatorie, un aumento della morbilità.

Nei tumori del retto medio e inferiore è prevista la TME, con un margine di sicurezza di 1-2 cm dal tumore.

Il margine di sicurezza è stato posto dalla maggior parte degli autori a 2 cm sebbene dati recenti indichino come raramente l'estensione distale del tumore superi 1 cm e auesto si verificherebbe soprattuttonegli stadi avanzati.

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Livello di legatura della arteria mesenterica inferiore (AMI)

La legatura del'arteria mesenterica inferiore può esseree eseguita in tre modi: rasente all' Aorta, alta e distale. Le problematiche sono essenzialmente oncologico e tecnologico.

Non vi e‘ differenza significativa nella sopravvivenza con o senza asportazione dei linfonodi mesenterici prossimali, e difatti tali linfonodi se metastatici vengono considerati M1. Tale studio è stato seguito anche da altri che hanno confermato lo scarso significato oncologico della linfadenectomia mesenterica alta sia in termini di sopravvivenza che di accuratezza dello staging post-operatorio.

"Holy plane e cone effect"

Uno dei principali errori commessi dal chirurgo è l'asportazione incompleta del mesoretto. Questa può verificarsi quando la dissezione viene condotta alla cieca in modo particolare durante lo scollamento posteriore che deve essere eseguito attraverso un'attenta dissezione anatomica lungo il piano avascolare che separa l'aponeurosi di Waldeyer e la fascia mesorettale definita da Heald "the holy plane". Se si conduce l'isolamento mesorettale lungo tale piano non si riscontrano particolari problemi.

Viceversa manovre grossolane che non consentano il sicuro riconoscimento della fascia presacrale possono dare origine ad emorragie venose di difficile controllo per la sezione delle vene presacrali. Queste, una volta resecate, tendono a ritrarsi all'interno dell'osso sacro, senza che le loro pareti collabiscano, rendendo particolarmentedifficili i tentativi d'emostasi, con effetti talvolta letali. Un altro errore possibile è reppresentato dalla dissezione nel contesto del mesoretto, conseguente a sezioni oblique che producono il "cone effect" di Anderberg, responsabile di residui di tessuto cellulo linfatico nella pelvi, causa di recidive loco-regionali.

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Durante queste manovre è particolarmente importante evitare la perforazione del tunore che è associata ad un aumento delle recidive indipendentemente dallo stadio anatomopatologico e dalla fissità della neoplasia.

La qualità dell'intervento chirurgico è un fattore chiave nella prevenzione delle recidive locali.

Complicanze

La deiscenza dell'anastomosi è la principale fonte di morbilità post-operatoria. Si osserva nel 6-7% degli interventi di resezione anterore bassa, nel 10-20% dopo resezioni ultrabasse e nelle colon-anali con la necessità di una stomia di protezione per le CAA con anastomosi a meno di 6 cm dal margine anale.

Studi segnalano che l'1,8% dei pazienti operati per cancro del colon-rettoviene sottoposto a reintervento di cui la metà in urgenza. La deiscenza anastomotica dopo escissione totale del retto è stato oggetto di un interessante pubblicazione norvegese nata dal problema che la frequenza delle deiscenze dopo anastomosi colo-rettale o colon-anale sembrerebbe aumentata dopo escissione totale del mesoretto.

Con una stomia di protezione il rischio di deiscenza si è ridotto del 60%. La mortalità operatoria a 30 giorni è stata più frequente nei casi di deiscenza mentre non è aumentato il rischio di recidive locali.

Le anastomosi basse vanno protette con una stomiae le deiscenzenon aumentano le recidive.

La mortalità operatoria varia in base alle condizioni ed al tipo di intervento; valori accettabili dovrebbero essere contenuti entro il 5% per la chirurgia d'elezione ed il 20% per quella di emergenza (133, 152).

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Qualità di vita del paziente

Pazienti con anastomosi basse, soprattutto con CAA, soffrono di disturbi funzionalecaratterizzati da aumento e urgenza della defecazione con la necessità di assumere farmaci antidiarroici e diete particolari.

Sequele genito-urinarie

La TME da una parte migliora l'incidenza delle recidive pelviche ed aumenta la sopravvivenza a distanza, dall'altraè gravata da un'alta morbilità per le disfunzioni genito-urinarie secondarie a lesioni nervose.

Per ridurre tali complicanze è stata proposta l'individuazione e la conservazione dei nervi con la "Nerve Sparing Technique" grazie alla quale si è avuta una netta riduzione di sequele genito urinarie (133, 152).

Il ruolo dell’ anatomopatologo

In assenza di collaborazione tra anatomopatologo e chirurgo, la lesione polipoide viene disposta da quest‘ultimo su supporto rigido e bloccata con aghi prima della fissazione in formalina al 10% con lo svantaggio di non poter valutare il margine di resezione e la possibile infiltrazione di ghiandole neoplastiche nella sottomucosa e nella muscolaris mucosae in corrispondenza delle impunture.

Quando ci sia una buona collaborazione tra chirurgo ed anatomopatologo, al termine dell' intervento chirurgico, quest‘ultimo viene contattato, raggiunge la sala chirurgica nel momento dove orienta, misura ed esegue una documentazione fotografica del polipo (97).

Vengono utilizzati spugne o piccoli pezzi di stoffa, sotto e sopra la base di resezione: in questo modo si evita che i margini si ripieghino per effetto della

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