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Il futuro malcerto del bicameralismo dal punto di vista del suo passato.

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(1)

UNIVERSITA’ DI PISA

Dipartimento di Giurisprudenza

Corso di laurea magistrale in giurisprudenza

Il futuro malcerto del bicameralismo dal punto di vista

del suo passato

Il Candidato

Il Relatore

Martina Micciché

Prof. Gian Luca Conti

(2)

Sommario

INTRODUZIONE: Il significato del principio bicamerale. ... 1

1. Nozioni e caratteri generali. ... 1

2. Fatti storici del bicameralismo. ... 3

STATUTO E BICAMERALISMO... 7

1. Il principio bicamerale nello statuto albertino: cosa avevano in mente i Costituenti quanto hanno trattato del bicameralismo ... 7

LA DISCUSSIONE DEL BICAMERALISMO IN ASSEMBLEA COSTITUENTE. ... 13

1. Quali sono stati i temi affrontati in Assemblea ed in Sottocommissione. ... 13

2. Chi ha parlato tema per tema. ... 21

LE INTERPRETAZIONI DEL BICAMERALISMO “COSTITUENTE”. .. 41

1. Il bicameralismo nei primi commenti alla Costituzione ... 41

LA FINE DEL BICAMERALISMO “COSTITUENTE” CON LA LEGGE TRUFFA E LA PARIFICAZIONE QUANTO A DURATA DI CAMERA E SENATO. ... 50

1. La legge Truffa del 1953 e lo scioglimento anticipato del Senato. .... 50

2. La parificazione quanto a durata di Camera e Senato nella riforma del Senato del 1963. ... 60

LE TRE “BICAMERALI” PER LE RIFORME ISTITUZIONALI. ... 77

1. Introduzione: ... 77

2. La Prima “Bicamerale” (1983-’85), e le altre ipotesi di riforma. ... 78

3. La Seconda “Bicamerale” (1992-’94). ... 90

(3)

I TENTATIVI DI RIFORMA DEL BICAMERALISMO DOPO LA

MODIFICA DEL TITOLO V... 106

1. I progetti di riforma della XIV legislatura. ... 106

2. La “bozza Violante” della XV legislatura. ... 116

3. I tentativi di riforma del Senato della XVI legislatura. ... 121

LA RIPRESA DEL DIBATTITO SULLA RIFORMA DELLA SECONDA CAMERA. ... 123

1. Introduzione. ... 123

2. La differenziazione del bicameralismo all’interno del procedimento legislativo. ... 127

A) I diversi procedimenti per competenza materiale. ... 127

B) Le tipologie di leggi a “bicameralismo necessario”. ... 129

C) Le tipologie di leggi a “bicameralismo facoltativo”. ... 131

D) Cosa cambia a livello procedimentale per l’iter legislativo. ... 132

E) Il procedimento da seguire nelle ipotesi a “bicameralismo eventuale”. ... 136

F) Approvazione del medesimo testo da parte delle due assemblee. 137 G) Approvazione del testo con modifiche da parte della seconda assemblea. ... 138

H) Respingimento del disegno di legge. ... 138

I) La Commissione paritetica. ... 138

ULTIMA PROPOSTA DI RIFORMA: Relazione finale della Commissione per le riforme istituzionali. ... 144

1. Premessa. ... 144

(4)

A) Bicameralismo differenziato. ... 145

3. Monocameralismo. ... 146

4. Composizione di Camera e Senato nel bicameralismo differenziato. 146 5. Procedimento legislativo. ... 149

6. In sintesi: i poteri propri del Senato. ... 154

CONCLUSIONI. ... 156

(5)

INTRODUZIONE: Il significato del principio bicamerale. 1. Nozioni e caratteri generali.

Il principio1 del Bicameralismo, nella sua accezione più generale, informa un sistema nel quale si prevede il concorso di due assemblee per l’esercizio di talune attribuzioni, in particolare di quelle legislative. Il bicameralismo si di-stingue perciò dall’unicameralismo che dà vita ad un sistema basato su un’unica assemblea legislativa e dal multicameralismo che è caratterizzato dal contemporaneo funzionamento di assemblee in numero superiore a due che, con varie modalità, collaborano alla formazione dell’ordinamento nor-mativo. Il multicameralismo non ha più oggi attuazione, poiché tutti gli Stati contemporanei sono retti con sistemi mono o bicamerali. Si distingue, poi, il bicameralismo in senso proprio da altre forme più o meno attenuate di esso. Per il Mortati «il sistema bicamerale vero e proprio è quello in cui le due as-semblee sono poste in una posizione di assoluta parità, dunque, pur costitu-endo organi distinti ed autonomi, possono dar vita a manifestazioni di volontà imputabili allo Stato solo con la confluenza dei consensi di entrambe sullo stesso testo di deliberazione »2, mentre il bicameralismo attenuato 3 intervie-ne quando la posiziointervie-ne delle due Camere non è assolutamente paritaria, il pieno potere legislativo ed il controllo politico, sono riservati ad una di esse e per l’altra sono previste soltanto attribuzioni consultive o particolari funzioni esecutive o giurisdizionali. In ogni caso come ha osservato il Romano, «è una precisa esigenza del bicameralismo che le due assemblee non costituiscano un duplicato e, quindi, si differenzino più o meno fondamentalmente, così da potersi integrare l’una con l’altra »4. I modi con cui questa differenziazione può attuarsi sono vari e possono riguardare diversi fattori5. Per quanto con-cerne la funzione legislativa, sono previste varie ipotesi: che una delle due Camere manchi del potere d’ iniziativa o si veda precluso lo stesso in materia finanziaria e tributaria oppure non disponga del potere di emendamento, pur essendole attribuito il potere di approvare o respingere; od ancora possa compiere opera ritardatrice dell’iter legislativo nel senso che la sua

1

NEGRI, Bicameralismo in Enciclopedia del diritto vol. v, Milano, Giuffrè, 1959

2

MORTATI, Istituzioni di diritto pubblico, Padova, 1958, 336.

3

BISCARETTI, Diritto costituzionale, Napoli, 1954, 229.

4

ROMANO, Principi di diritto costituzionale generale, Milano, 1945, 308 .

5

(6)

zione ad un progetto di legge possa essere superata soltanto in base ad una successiva lettura dell’altra Camera; od infine che si predisponga una piena riserva di materia a favore di una Camera, escludendo totalmente il concorso dell’altra. Per quanto interessa la funzione di controllo o più in generale le funzioni esecutive attribuite ai Parlamenti, può accadere che l’approvazione dei bilanci finanziari sia riservata ad una delle Camere ovvero si sancisca per essa un obbligo di priorità d’esame; ed ancora che si limiti la funzione ispet-tiva di una Camera al potere di interrogazione e di interpellanza, ma non si preveda il potere di inchiesta o si escluda la responsabilità politica del Go-verno verso di essa. Ad una Camera soltanto possono essere poi, riservati il compito di collaborare alle formazione di altri organi costituzionali od attri-buzioni, anche, di natura giurisdizionale. In merito alla differente struttura delle due Camere può dirsi, che essa dipenda dalla diversa durata e composi-zione. Due Camere possono essere rispettivamente temporanea e permanente oppure entrambe temporanee; possono avere la stessa durata o meno; le loro formazioni contemporanee o sfasate nel tempo, il loro rinnovamento comple-to o pro parte. Riguardo alla composizione, diverse possono essere le proce-dure per la loro formazione: una Camera elettiva può coesistere con un’altra formata con il sistema della nomina da parte del Capo dello Stato o con un sistema misto in base al quale accanto ad un’ aliquota di membri nominati dal Capo dello Stato vi siano, in proporzioni determinate, membri eletti ed altri di

diritto; molto spesso si ha la coesistenza di due assemblee, entrambe elette,

talvolta elette con il medesimo sistema, da un identico corpo elettorale, più spesso con diversi sistemi, da differenti elettori, con differenti requisiti per l’elettorato passivo. La risoluzione dei conflitti tra le due Camere può avveni-re attraverso vari strumenti quali lo scioglimento delle assemblee, il avveni-refeavveni-ren-

referen-dum popolare, la riunione dei due rami del Parlamento in assemblea

naziole ed i comitati misti interparlamentari. Il rendimento di tali istituti varia, na-turalmente, a seconda delle condizioni in cui essi vengano concretamente ad operare.

(7)

2. Fatti storici del bicameralismo6.

Nelle diverse epoche storiche e nei diversi contesti politici, molte sono le ra-gioni che hanno condotto a costituire i Parlamenti dell’età moderna secondo un modello bicamerale. In sintesi può, comunque, dirsi che queste ragioni hanno finito per gravitare intorno a tre esigenze di fondo, legate a diversi processi di sviluppo del costituzionalismo moderno e contemporaneo. Una prima esigenza, la più antica, fu quella che condusse a tradurre nel principio bicamerale la scelta di tenere separati, secondo un criterio di classe o di ceto, i rappresentanti del corpo sociale chiamati a sedere in Parlamento: questa scelta, come è noto, venne ad imporsi per la prima volta, verso la metà del XIV secolo, nell’esperienza parlamentare inglese7. Per questo la storia del Parlamento inglese viene a coincidere in larga parte con quella del sistema bicamerale8. I passaggi essenziali di questa storia si possono riassumere nei seguenti punti. Il Parlamento inglese, come gli altri Parlamenti dell’età me-dioevale, si era venuto a configurare, fin dal XIII secolo, come un’assise di feudatari, laici ed ecclesiastici, convocata periodicamente dal re, quale feuda-tario più influente, al fine di deliberare sui contributi e sugli aiuti feudali da imporre ai singoli partecipanti. A mano a mano che i borghi e le contee co-minciano ad affermarsi come comunità di uomini liberi sottratte all’influenza dei feudatari, anche i rappresentanti di tali comunità vengono chiamati a par-tecipare ai lavori del Parlamento: dunque, mentre i feudatari rappresentano solo se stessi in Parlamento ed i propri interessi, gli eletti dalle comunità sono tenuti ad eseguire le istruzioni ricevute dagli elettori, di fronte a cui sono chiamati a rispondere del loro operato. Questa diversità di posizioni, somma-ta alle distinzioni che contrappongono nobili e borghesi per vincoli di tradi-zione e di nascita, induce il Parlamento, nel corso del XIV secolo, ad operare attraverso due corpi separati, la Camera dei Lords e la Camera dei Comuni. Per un certo arco di tempo, le due Camere, nonostante siano separate, verran-no ad esprimere una forza equivalente, e questo porterà ad affermare, con il principio del «Re in Parlamento» come base della sovranità, anche la regola della necessaria simultaneità nella convocazione: ma ben presto prenderà

6

CHELI, Bicameralismo in Digesto delle discipline pubblicistiche, vol. II, Torino, Utet, 1987.

7

GUARINO, Del sistema bicamerale, in Studi senesi, 1953, 207.

8

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che l’avvio quel processo che, attraverso passaggi molto graduali, condurrà, nel corso di questo secolo, a sanzionare la definitiva preminenza della Came-ra dei Comuni, come espressione diretta della sovCame-ranità popolare, CameCame-ra dei Lords, quale espressione del principio regio ed ereditario. Se le vicende del Parlamento inglese segnano l’origine più antica del bicameralismo, un secon-do passaggio essenziale nella storia di questo istituto è quello che si viene a manifestare attraverso le costituzioni dell’età della Restaurazione. In questa fase, l’esigenza fondamentale che attraverso il bicameralismo, si afferma, è quella della riduzione e del contenimento della forza della rappresentanza popolare, espressa dalla Camera elettiva. Il fatto è, che pochi anni dopo, la rivoluzione francese aveva espresso con forza il principio monocamerale, muovendo dalla convinzione che, se la sovranità spettante al popolo è unica, essa non potrà manifestarsi altro che attraverso un’unica «Assemblea nazio-nale»; ma questo è proprio il principio che le carte della Restaurazione si propongono di contrastare in basa alla riaffermazione, accanto alla sovranità del popolo, della sovranità della corona. L’impianto dualista della sovranità e dello Stato, affermato dall’ ideologia costituzionale di questa età, si riflette direttamente nella costituzione dell’organo parlamentare, nel cui ambito la sovranità popolare e la sovranità regia devono trovare un punto di convivenza equilibrata. Si giunge così, in un contesto storico nuovo, ad una rilettura ag-giornata del bicameralismo9 di stampo inglese, tant’è che, nei primi decenni del XIX secolo, Parlamenti come quello della Francia e del Belgio, finiscono per ricalcare, anche in punto di bicameralismo, il modello inglese. Ed a que-sto modello, reinterpretando in una prospettiva di «bilancia dei poteri» tra re e popolo, si verrà anche ad ispirare lo Statuto Albertino del 1848, attraverso la scelta di un bicameralismo articolato in un Senato, «composto di membri nominati a vita dal re in numero non limitato» ed in una Camera elettiva, «composta di deputati scelti dai collegi elettorali conformemente alla legge». Un terzo passaggio nella storia del bicameralismo si manifesta, infine, nell’ambito delle forme più recenti di Stato democratico, fondato sull’imputazione esclusiva della sovranità al popolo. In questa fase il bicame-ralismo tende normalmente a collegarsi con una finalità non di riduzione, ma di arricchimento delle forme della rappresentanza espresse attraverso la sede

9

(9)

parlamentare. Tale esigenza viene, peraltro, a tradursi, sul piano dell’organizzazione costituzionale, attraverso modelli tra loro molto differen-ziati. Si può concludere sottolineando, come la scelta bicamerale, nei contesti più moderni in cui è venuta a maturare, abbia finito per esprimere due fun-zioni essenziali10: quella della definizione, attraverso la seconda Camera, di un «contrappeso» e di un «limite» alla forza della rappresentanza popolare e quella dell’arricchimento della sfera di questa rappresentanza attraverso la messa a punto di un ulteriore apparato di filtraggio degli interessi sociali, cioè di una sede di «riflessione» o di «raffreddamento»11 per i processi decisionali parlamentari. Le due funzioni, nelle diverse costituzioni, si sono spesso so-vrapposte e incrociate; ma nelle loro matrici storiche restano tra loro ben di-stinte. L’adozione del bicameralismo, in numerosi ordinamenti statali con-temporanei, anziché dipendere dalla struttura degli ordinamenti stessi, rap-presenta il frutto di particolari opzioni politiche, collegate alle motivazioni più diverse. Talora, infatti, la seconda Assemblea parlamentare viene conce-pita ed istituita per prevenire il pericolo di una democrazia totalitaria, come quella che potrebbe risultare dalla concentrazione di eccessivi poteri in capo ad un legislativo monocamerale. In altri casi ancora, l’attenzione dei costi-tuenti si sposta sull’esigenza di integrare la rappresentanza parlamentare, af-fiancando al collegio espresso dall’intero corpo elettorale, in nome di una lo-gica politica o partitica, un altro collegio che, in tutto o in parte, rappresenti determinate partizioni del corpo sociale o del territorio nazionale.12 In con-clusione i principali argomenti che i sostenitori del bicameralismo adducono in difesa dell’istituto si basano principalmente sull’ osservazione che il siste-ma bicamerale consentirebbe il raggiungimento di alcuni fini fondamentali nello Stato moderno: l’affinamento progressivo ed il miglioramento tecnico della legislazione, dovuto al duplice esame cui viene sottoposto un progetto di legge; un controllo più sicuro e profondo della volontà popolare, per l’utilizzazione di diversi sistemi elettorali; un contributo alla stabilità dell’indirizzo politico generale, grazie alla possibilità che il sistema offre di accertare lo stato della pubblica opinione in tempi diversi (questo però

10

MATTARELLA, Il bicameralismo in Rivista trimestrale di diritto pubblico, 1983, 1161.

11

NEGRI, Bicameralismo in Enciclopedia del diritto, vol. V, Milano, Giuffrè, 1959.

12

PALADIN, Tipologia e fondamenti giustificativi del bicameralismo. Il Caso Italia-no in Quaderni costituzionali n°2 1984

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to nell’ipotesi che le due Camere siano elette per differenti durate od in mo-menti diversi); una garanzia contro i sovvertimo-menti dell’ordinamento e cioè grazie ad un sistema di «cheks and balances» che solo in virtù del bicamera-lismo può porsi in essere; cioè un sistema di equilibri, di centri di resistenza alle tendenze sovvertitrici, di cui il sistema bicamerale rappresenterebbe un pilastro molto importante e solido; ed una relativa stabilità del Governo.13

13

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STATUTO E BICAMERALISMO.

1. Il principio bicamerale nello statuto albertino: cosa avevano in mente i Costituenti quanto hanno trattato del bicameralismo

Al momento della formazione del nostro Statuto, l’Inghilterra, la Francia e il Belgio avevano due Camere; nel Consiglio di Conferenza del 7 febbraio 1848, posto il criterio di prendere come modello la costituzione francese allo-ra vigente, fu ammessa anche per conseguenza la duplicità delle Camere, il così detto sistema «bicamerale». Il ministro Ravel concludeva un lungo di-scorso esprimendo il pensiero che il Re non dovesse «dividere la propria au-torità con un solo corpo, ma con due»; il ministro De Ambrois aggiungeva esserci «un punto principale e decisivo, la bilancia dei poteri» e per questo erano necessarie due Camere. Venne quindi approvato l’articolo 6 del Pro-clama da pubblicarsi nel giorno seguente, e in seguito esso passò nello Statu-to senza ulteriore disamina.14 Dunque in sede di preparazione dello Statuto, il Consiglio di Conferenza non si soffermò ad approfondire la struttura del bi-cameralismo, né mise a fuoco la questione dei rapporti tra le due Camere.15 Appariva chiara l’intenzione degli autori di porre le due Camere in una con-dizione di sostanziale parità, ma in realtà ne conseguì, un bicameralismo at-tenuato, che si articolava in una Camera a carattere rappresentativo, quella dei deputati, e nel Senato del Regno, composto di membri di nomina regia e di diritto (i principi reali); l’art. 10 dello Statuto stabiliva che, le leggi d’ im-posizione dei tributi o di approvazione dei bilanci e dei conti dello Stato, do-vessero essere presentate prima alla Camera rappresentativa e poi al Senato; l’indirizzo politico spettò, sin dal primo mutare della forma di governo da co-stituzionale pura in parlamentare, al Governo del Re in concorso con la Ca-mera dei deputati.16 Non poteva perciò il Senato, scrive Jemolo, costringere alle dimissioni il Gabinetto che avesse la fiducia del Sovrano e della Camera, ma era soltanto nel suo diritto di non approvare il disegno di legge presentato da quel Gabinetto ed approvato dalla Camera; con la tacita intesa, che ben presto divenne regola accettata di diritto costituzionale, che nel caso di deciso

14

RACIOPPI-BRUNELLI, Commento allo Statuto del Regno, vol. I, Torino, 1909.

15

JEMOLO, Camera e Senato: rapporti e contrasti, in Il Centenario del Parlamento, Roma, 1948.

16

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dissenso tra le due Camere sopra una misura legislativa, l’ultima parola do-vesse essere detta dal corpo elettorale, nel senso cioè che se una proposta di legge, che rispondesse ad un tema di notevole importanza politica ed al quale l’opinione pubblica si appassionasse, fosse respinta, dopo l’approvazione del-la Camera, dal Senato, potesse chiudersi del-la legisdel-latura, ed indirsi dal Governo le elezioni, indicando, nella relazione al decreto di chiusura, quel contrasto come il punto che gli elettori avrebbero dovuto decidere. E se gli elettori ri-mandassero alla Camera fautori della stessa proposta, dovesse da ultimo esse-re il Senato a piegarsi ed evitaesse-re il perpetuarsi del conflitto.17 Entrando più nel dettaglio, secondo lo Statuto albertino, il Senato era composto da membri di diritto e da membri di nomina regia. I primi erano i principi della famiglia reale, i secondi erano nominati dal re fra i membri di speciali categorie che, oltre agli arcivescovi, comprendevano gli alti funzionari civili e militari, co-loro che avessero ricoperto uffici elettivi per un certo periodo di tempo, non-ché le personalità distintesi per meriti patriottici, scientifici o per censo.18 Quindi soggetti che rientravano nelle 21 categorie determinate tassativamente nell’ art. 33 dello Statuto; ed una Camera dei deputati eletta dal corpo eletto-rale, nonostante si avesse ancora un suffragio molto ristretto. Al concetto democratico, il quale riconosce che tutti i poteri emanano dal popolo, vedia-mo corrispondere il sistema elettivo; al concetto aristocratico, il quale vede nell’ Alta Camera la rappresentanza di un elemento sociale che vuol essere privilegiato nella cittadinanza, vediamo corrispondere il sistema ereditario; al concetto monarchico, il quale evita di mettere la Corona a fronte dell’assemblea potentissima per la sua diretta origine popolare, vediamo cor-rispondere il sistema della nomina regia. I Senatori sono nominati a vita e non a termine fisso, per permettere al Senato di godere della necessaria indi-pendenza. Se vengono scelti dal Re con l’avviso dei Ministri responsabili, non hanno però ufficio di rappresentare o di servire il Governo; e pertanto, una volta avvenuta la nomina, debbono trovarsi al sicuro da ogni speranza a da ogni timore a fronte dell’Esecutivo, senza che il pensiero della possibile revoca o dell’eventuale diniego di riconferma alla scadenza del termine, li pa-ralizzerebbe nel libero esercizio delle alte funzioni che lo Statuto attribuisce

17

JEMOLO, Camera e Senato, Roma, 1948.

18

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all’assemblea senatoria. Non può dunque esservi né una revoca dei singoli Senatori, né scioglimento di un Senato di nomina regia: la nostra assemblea è permanente, e i singoli suoi membri sono nominati a vita.19 Il numero dei Se-natori è illimitato; ciò permette, ove occorra, di correggere anche gli eccessi dell’Alta Camera e dirimere i conflitti: quindi la Corona quando reputa che a ristabilire l’equilibrio non convenga ne colpire la Camera elettiva con lo scioglimento né colpire i Ministri con la loro sostituzione, può sostanzial-mente correggere il Senato, nominando ad un tratto un tal numero di nuovi Senatori, da spostare e capovolgere la maggioranza ostile che vi si era forma-ta. Il diritto illimitato di nuove nomine corrisponde pertanto, in rapporto ad un Senato di nomina regia e vitalizia, a ciò che è il diritto di scioglimento in rapporto alla Camera elettiva e temporanea: l’esercizio di esso viene chiama-to comunemente infornata. Inoltre lo Statuchiama-to fissa l’età di 40 anni per essere membro della Camera Alta, per i membri nominati dal Re, e di 21 anni per i membri di diritto, ovvero i principi reali, che però acquisteranno il diritto di voto appena compiuti i 25 anni. Importa però non dimenticare, che se il re-gime rappresentativo richiede due Camere, non sopporterebbe tuttavia che queste fossero perfettamente identiche, se così fosse si potrebbe incappare nel pericolo rilevato da Turgot e da Franklin, quando rassomigliarono il sistema bicamerale al serpente con due teste ed al carro trainato da due cavalli in sen-so opposto. Quindi non sarebbe consigliabile di far sen-sorgere il Senato dallo stesso corpo elettorale dell’altra Camera, con identici collegi e metodi di scrutinio, con identica durata, con uguali condizioni di eleggibilità e con u-gual numero di membri. Ma, detto ciò, l’esperienza prova che di tutti gli altri metodi possibili, il meno adatto a conciliar forza al Senato è proprio quello della nomina regia e vitalizia sia pur condizionata a categorie o a presenta-zioni. Un Senato ereditario ha in attivo il vantaggio della massima indipen-denza così dal Governo come dagli elettori, ma da altra parte è «una Paria mutilata»20, senza avere sufficiente contatto con il popolo, le nomine sono fatte secondo il punto di vista del Gabinetto che si trova al potere. Altro ele-mento, che a mio avviso, denota una scelta verso un sistema bicamerale

atte-nuato o addirittura oserei dire imperfetto è l’art. 10 dello Statuto, come avevo

19

RACIOPPI-BRUNELLI, Commento allo Statuto del Regno, vol. II, Torino, 1909.

20

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già accennato inizialmente; infatti esso recita che «ogni legge d’imposizione dei tributi o di approvazione dei bilanci e dei conti dello Stato, deve essere presentata in primo luogo alla Camera dei deputati». Esso fa propria unica-mente la seconda fra le regole del diritto pubblico inglese. Il sistema, sorto in un paese avente una delle due Camere a sistema ereditario, non ha le stesse ragioni di essere negli Stati ove anche il Senato è elettivo, o dove il Senato è composto bensì per nomina regia, ma sotto l’influsso di Gabinetti parlamen-tari. Il Parlamento non è solo un corpo legislativo, ma è anche un corpo di controllo politico sul Governo. Ora, il controllo è un giudizio, e perciò non si presta ad essere esercitato due volte da due corpi uguali e distinti. L’assemblea che giunge prima a sindacare il Governo, miete il campo, quella che giunge dopo, non può che tacere, però se riconferma il giudizio fa cosa inutile e se lo muta si viene a porre in conflitto con l’altra. Quindi conviene affidare il primato del sindacato politico a quella che fra le due assemblee, è meglio costituita ed indicata per esercitarlo: e questa è certamente la Camera elettiva, quale diretta rappresentanza del corpo elettorale e dell’opinione pub-blica. L’assemblea che riceve per prima un progetto finanziario, resta arbitra di prolungarne lo studio e ritardarne l’approvazione quanto più le piace, fin quasi alla vigilia del giorno in cui sarà necessario che il progetto si trovi di-venuto legge ed entri in vigore, rendendo così impossibile al Senato, una re-visione approfondita con esercizio del diritto di emendamento sul progetto.21 Inoltre non solo si nega al Senato l’iniziativa finanziaria, ma si pretende, al pari della Camera dei Lords inglese, che esso non debba avere in questo campo alcun diritto di emendamento; o per meglio dire, gli viene concesso il solo emendamento inteso a diminuire le cifre singole, non già ad elevarle, o ad aggiungerne, o a ristabilire nei disegni di legge quelle proposte finanziare che, il Governo abbia presentate alla Camera elettiva e la Camera abbia re-spinte. Quanto all’emendamento, il nostro Statuto non distingue fra le due as-semblee, né all’art. 3, né all’art. 30, né all’art. 55: e in questo art. 10, nono-stante si pensi il contrario, null’altro si dice, se non che le leggi finanziarie debbono essere presentate prima alla Camera dei Deputati. Se il sistema bi-camerale è utile e conveniente non si vede perché dovremmo rinunziarvi o quasi per le leggi finanziarie. Il Senato col votare modificazioni alle leggi

21

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nanziarie, non impone certo il proprio modo di vedere, ma si limita, come sempre, a mettere innanzi quel che gli pare più utile: e consapevole della sua minor forza intrinseca di fronte all’altra Camera, non lo farà che nei casi più gravi.22 Il nostro Senato si è sempre ritenuto in diritto di emendare su queste leggi facendo un uso discretissimo di questo diritto. A tal proposito si ricorda una discussione memorabile avvenuta in Parlamento: la Camera aveva ap-provato nel luglio del 1878 un progetto per l’abolizione della tassa sui cereali inferiori e per la riduzione di quella sulla macinazione del grano. Il Senato, occupandosene a sua volta nel 1879, approvò l’abolizione del dazio sui cerea-li inferiori ma ristabilì integralmente la tassa sul macinato, malgrado le prote-ste del presidente dei ministri on. Depretis, che soprote-steneva l’incompetenza as-soluta dell’assemblea vitalizia a votare emendamenti di quel genere. Il pro-getto quindi ritornò alla Camera, dove con dibattito vivacissimo, contro l’opinione dello stesso Gabinetto che esortava a tenere fermo ponendo perfi-no la questione di fiducia, si concluse con l’approvare il progetto che era sta-to modificasta-to dal Senasta-to, e con l’iniziare contemporaneamente un altro pro-getto a parte per l’abolizione della tassa sul macinato che il Senato non aveva ammessa. Giunse, dunque, in Senato questo secondo progetto, trovando nuo-ve opposizioni, le quali condussero a sospendere ogni immediata delibera-zione in proposito. Il Governo sciolse la Camera: e avendo il paese rimandato in Parlamento una maggioranza favorevole all’abolizione di quella dura tassa, un nuovo progetto era iniziato dal Governo ed approvato dalla Camera. Il Se-nato allora, dichiarando di aver assolto il proprio compito nelle precedenti opposizioni, riconobbe che di fronte alla deliberata volontà del paese l’ora dei salutari avvertimenti era trascorsa, ed approvò il progetto. Così rimanevano confermati i diritti dell’assemblea senatoria, fino a che la Camera, in rappre-sentanza diretta del corpo sovrano, non mostri che diverso è il volere di quest’ultimo.23 In conclusione l’intento, nello Statuto, era quello di limitare il potere della rappresentanza democratica, affiancandole una seconda Camera diversamente composta. Infatti alla Camera rappresentativa si affiancava una

22

RACIOPPI-BRUNELLI, Commento allo Statuto del Regno, vol. III, Torino, 1909.

23

JEMOLO, Camera e Senato: rapporti e contrasti, in Il Centenario del Parlamento, Roma, 1948.

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seconda Camera non elettiva, strettamente legata alla Corona.24 Limitare la rappresentanza, mantenere il controllo del re sulla legislazione, era lo scopo di un Senato formato da membri vitalizi, di diritto e di nomina regia.25 Ma erano davvero tanto diverse Camera e Senato nell’Italia dell’Ottocento? In teoria, quale maggiore differenza di quella esistente fra un’assemblea eletta per un termine breve e un’assemblea vitalizia, con membri di diritto e di no-mina regia? Eppure, se si guarda in concreto, la composizione dell’una non era tanto diversa nella sostanza da quella dell’altra, a causa della ristrettezza del suffragio. In un sistema oligarchico prima, predemocratico poi, gli eletti alla Camera dei deputati appartenevano in definitiva al medesimo ambiente sociale, culturale e persino politico dei membri del Senato: le divisioni che contraddistinguevano una Camera erano in sostanza le stesse che traversava-no l’altra; a variare eratraversava-no solo le proporzioni.26

24

CARLASSARE, Un Bicameralismo discutibile, in Il Parlamento. Storia d’Italia, Annali 17, Torino, 2001.

25

G. ARANGIO RUIZ, Storia costituzionale del Regno d’Italia, Napoli, 1985.

26

CARLASSARE, Un Bicameralismo discutibile, in Il Parlamento. Storia d’Italia, Annali 17, Torino, 2001.

(17)

LA DISCUSSIONE DEL BICAMERALISMO IN ASSEMBLEA CO-STITUENTE.

1. Quali sono stati i temi affrontati in Assemblea ed in Sottocommissio-ne.

Il tipo di soluzione che viene adottata in Italia con la costituzione del 1948 esprime una scelta, per molti aspetti, anomala rispetto agli schemi ordinari del modello bicamerale. A tale soluzione si giunse sulla scorta di un dibattito assai complesso, che impegnò a lungo i lavori della Costituente, tanto in sede di Commissione dei 75 che di Assemblea plenaria.27 All’interno della Secon-da Sottocommissione si erano, fin Secon-dall’inizio, delineate differenti posizioni: da un lato, quella delle sinistre, favorevoli all’adozione di un sistema mono-camerale in base all’argomento, che «se la radice della sovranità è unica, ed è il popolo, la volontà popolare trova la sua espressione in una Assemblea, la quale rispecchia questa volontà ed è chiamata ad attuarla», come appunto af-fermava l’on. La Rocca28 in Sottocommissione, ed ancora continuava affer-mando, che la Camera unica è la più adatta, la più giusta ad eseguire la vo-lontà popolare e non si può ammettere una seconda Camera formata da privi-legiati, da nominati dall’alto, da persone investite a vita dalla carica, perché questo significherebbe riportare nella Repubblica democratica la vecchia im-palcatura della monarchia. Fatta questa affermazione di principio, esso non si oppose in maniera categorica alla istituzione di una seconda Camera, che pe-rò, anche per evitare un cattivo ricordo, non potrà più essere chiamata Sena-to29. Quindi secondo i comunisti, la seconda Camera non potrà né dovrà esse-re se non elettiva. Naturalmente si dovrà trovaesse-re il corpo elettorale adatto, perché non si può ammettere che dalla stessa fonte elettorale derivino due vo-lontà diverse. E poiché si inclina verso l’adozione dello stato regionale, biso-gnerà vedere se nella regione non possa trovarsi la fonte per l’elezione della seconda Camera. Poi c’era chi sosteneva, come Laconi che «la prima Camera rappresenta nel nostro Paese, attraverso l’elezione diretta, attraverso il suffra-gio universale, la volontà di tutto quanto il popolo, alla quale non vi è rasuffra-gione

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CHELI, Bicameralismo in Digesto delle discipline pubblicistiche vol. II, Torino, Utet, 1987.

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PALADIN, Tipologia e fondamenti giustificativi del bicameralismo. Il Caso Italia-no in Quaderni costituzionali n°2, 1984.

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alcuna di porre dei freni e dei limiti»30; chi come Nenni, deduceva a sua volta che la prevista «Camera dei senatori si sarebbe risolta in un puro e semplice intralcio al lavoro legislativo, in un espediente procedurale per imbrigliare la prima Camera, in un organismo fittizio ed inutile».31 Altra posizione differen-te, era quella, della Democrazia cristiana e dei partiti dell’area laica, favore-voli a conservare un assetto bicamerale, sia pure su basi elettive, cioè del tut-to diverse da quelle della tradizione statutaria.32 Quanto sostenuto dalle sini-stre, faceva parte di un orientamento minoritario, infatti ripiegarono, quasi subito, sulla tesi che il bicameralismo fosse accettabile, a patto che entrambe le Camere esprimessero il principio democratico, essendo elette dal popolo e quindi dotate di identici poteri.33 Nella loro comune decisione di istituire due Camere del Parlamento, i costituenti restavano profondamente divisi circa gli obiettivi da raggiungere in tal modo e circa i mezzi più idonei allo scopo pre-scelto.34 In sintesi, nella seconda sottocommissione come pure nel plenum, tre sono stati gli orientamenti principali: per un primo verso, cioè le forze di cen-tro, in particolar modo i democristiani, puntavano al bicameralismo nell’intento di integrare la rappresentanza parlamentare, come Mortati ipotiz-zò fin dalla sua relazione iniziale e come egli stesso precisò in un ordine del giorno che affermava «la necessità dell’istituzione di una seconda Camera, al fine di dare completezza di espressione politica a tutte le forze vive della so-cietà nazionale, una seconda Camera che abbia una funzione politica, che non deve rispecchiare la prima, ma deve essere una rappresentanza capace di e-sprimere interessi politici di carattere generale».35 Nella stessa seduta l’on. Einaudi affermava, che era necessaria una struttura politica che non dimenti-chi nessuna delle forze esistenti nel Paese; per conseguenza ci deve essere una seconda Camera, diversa dalla prima, che non esca soltanto da una vota-zione numerica dei singoli, ma che rappresenti tutto l’insieme delle forze vi-ve, sia una rappresentanza di quelli che sono vissuti e di quelli che

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Atti Ass. Cost. , 5 marzo 1947.

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Atti Ass. Cost. , 10 marzo 1947.

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CHELI, Bicameralismo in Digesto delle discipline pubblicistiche vol. II, Torino, Utet, 1987

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TOGLIATTI, Atti Ass. Cost. , 11 marzo 1947.

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PALADIN, Tipologia e fondamenti giustificativi del bicameralismo in Quaderni costituzionali, n°2 1984.

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no;36 ed ancora l’on. Castiglia che affermava che «nella nuova Costituzione della Repubblica italiana, si doveva adottare il sistema bicamerale, istituendo accanto alla Camera dei Deputati, espressione della volontà politica del popo-lo, il Senato, espressione, oltre che della stessa volontà politica, degli interes-si sociali e regionali del paese nella cui interes-sinteinteres-si e armonia interes-si ravvisano i mezzi più idonei per una legislazione veramente rispondente alle aspirazioni della Nazione».37 Da ciò venne concordato il seguente ordine del giorno: «La conda Sottocommissione, riconosciuta la necessità dell’istituzione di una se-conda Camera, al fine di dare completezza di espressione politica a tutte le forze vive della società nazionale, passa all’esame del sistema del rapporto tra le due Camere ed al modo di composizione si ciascuna di esse».38 Per un altro verso, alcuni gruppi intermedi fra il centro e le sinistre, capeggiati da esponenti repubblicani, auspicavano piuttosto ad un Senato che fungesse da «Camera delle Regioni», volta ad articolare la base della rappresentanza par-lamentare secondo un principio di decentramento territoriale, così come ven-ne affermato da Lussu, che osserva inoltre che la Camera regionale dovrebbe essere concepita esclusivamente come rappresentativa dell’Ente Regione e degli interessi regionali, inquadrati questi ultimi in una visione unitaria dell’interesse generale della Nazione.39 Inoltre lo stesso onorevole, un giorno prima, aveva sostenuto di vedere con una certa preoccupazione le due Came-re aventi gli stessi poteri; ciò costituiCame-rebbe un intralcio allo sviluppo dell’azione politica. La seconda Camera dovrebbe avere un potere ridotto, e non quello stesso della prima. E aggiunge che a suo parere costituisce una confusione l’elezione di una seconda Camera, anche se debba avere poteri limitati.40 Per un ultimo verso, si contrapponeva la tesi comunista e socialista, che appunto condizionava l’accettazione del principio bicamerale alla fon-damentale omogeneità delle due Camere: come fu messo in luce da un ordine del giorno presentato da Lami Starnuti ed altri con cui si chiedeva che «la se-conda Camera non fosse costituita in modo da alterare sostanzialmente la fi-sionomia politica del Paese, rispecchiata nella composizione della prima

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EINAUDI, Atti II Sc. , 7 settembre 1946.

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CASTIGLIA, Atti II Sc. , 7 settembre 1946.

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Atti II Sc. , 7 settembre 1946.

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LUSSU, Atti II Sc. , 7 settembre 1946.

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mera»41; cioè, affermava, una cosa giustissima, perché sarebbe molto strano che si potesse dar vita ad una seconda Camera, in contrasto eventualmente con la prima, espressione diretta del pensiero e della volontà del popolo so-vrano. Il dubbio che sorge nell’oratore è precisamente questo che, quando nell’ordine del giorno Mortati si parla di forze vive della società nazionale, cioè di forze produttrici, economiche, industriali, capitalistiche e via dicendo, si venga a creare questa antitesi, questa antinomia che invece si deve evitare. Non si deve avere un Senato di destra, quando il Paese ha voluto chiaramente che la rappresentanza politica e con essa tutto l’indirizzo dello Stato siano decisamente di sinistra. Alla fine vennero messi ai voti i due ordini del gior-no, quello dell’on. Mortati e quello dell’on. Lami Starnuti, ed ebbe la meglio l’on. Mortati con 17 voti favorevoli contro i 12 favorevoli all’altro ordine del giorno.42 Dopo che le sinistre ebbero manifestato una certa flessibilità sul problema, dichiarandosi disposte ad accettare il principio bicamerale, a con-dizione di non pregiudicare la parità nella legittimazione e nelle competenze tra le due Camere43, il dibattito svoltosi nella seconda sottocommissione si risolse in una generale, ma anche immotivata adesione al bicameralismo per-fetto.44 Su questo ne ragionava l’on. Leone in un ordine del giorno, in cui af-fermava, di fondamentale importanza il principio della parità tra Senato e Camera per quanto concerne il potere legislativo, nel controllo sull’azione governativa e nelle elezioni del Capo dello Stato e chiarito questo punto, la seconda Sottocommissione doveva passare allo studio sulla nomina e compo-sizione della seconda Camera.45 Viceversa, si continuò a navigare fra gli e-quivoci e fra i compromessi. Dapprima, infatti, venne approvato un ordine del giorno La Rocca-Grieco in cui si affermava l’esigenza di una seconda Camera integralmente elettiva, al pari della prima, considerando che ogni in-vestitura di funzioni rappresentative dall’alto contraddice risolutamente ai più elementari principi di una democrazia, perciò si delibera che la seconda

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LAMI STARNUTI, Atti II Sc. , 7 settembre 1946.

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Atti II Sc. , 7 settembre 1946.

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CHELI, Bicameralismo in Digesto delle discipline pubblicistiche vol. II, Torino, Utet, 1987.

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PALADIN, Tipologia e fondamenti giustificativi del bicameralismo. Il Caso Italia-no in Quaderni costituzionali n°2 1984.

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mera abbia origine esclusivamente elettiva.46 In seguito passò la proposta af-facciata dall’on. Tosato, per cui la seconda Camera avrebbe dovuto essere «e-letta a base regionale», ma senza aver chiarito se ciò sottintendesse l’accettazione della «Camera delle Regioni» come aveva proposto l’on. Lus-su, e se in tal senso, si volessero o meno respingere le concezioni corporativi-stiche del Senato, sia pure collegate a scelte da compiere in ambiti coinciden-ti con le circoscrizioni regionali.47 Così si giunse, con una risoluzione del tut-to precaria, alla formulazione dell’art. 55 del progettut-to di costituzione dove si stabiliva che «la Camera dei senatori è eletta su base regionale» (1° comma); che «a ciascuna Regione è attribuito, oltre un numero fisso di cinque senatori, un senatore per duecentomila abitanti o per frazione superiore a centomila» (2° comma); e che «i senatori sono eletti per un terzo dai membri del Consi-glio regionale e per due terzi a suffragio universale e diretto dagli elettori che hanno superato il venticinquesimo anno di età» (3° comma). Ma questo pri-mo compromesso, raggiunto al termine di lavori assai confusi e viziati da contraddizioni interne, non soddisfece in definitiva nessuna delle forze preva-lenti in Assemblea. Da una parte, cioè si riteneva che fra le Camere così con-figurate sussistesse ancora una eccessiva ed ingiustificata differenziazione; dalla parte opposta, si lamentava per contro, che attraverso un sistema bica-merale di sola facciata si fosse «fatto rientrare dalla finestra il monocamerali-smo cacciato dalla porta» come aveva affermato Codacci Pisanelli.48 Anche nel plenum i costituenti democristiani continuarono con molta tenacia a svi-luppare la tesi che la seconda Assemblea legislativa dovesse basarsi «sopra la rappresentanza di categoria e di interessi».49 Così come Clerici, ad evitare il rischio di un «doppione», auspicò una «rappresentanza organica» da attuare mediante il Senato, non esitando a riproporre in tal senso un «autentico cor-porativismo»50; allo stesso modo, anche Ambrosini teorizzò l’esigenza di far posto alle «forze sociali», per mezzo di rappresentanti eletti da categorie de-finite dalla legge, di un Senato quindi, composto su base mista: della rappre-sentanza degli interessi delle categorie della produzione intesa nel senso più vasto, e della rappresentanza degli interessi territoriali delle Regioni e dei

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LA ROCCA-GRIECO, Atti II Sc. , 26 settembre 1946.

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TOSATO, Atti II Sc. , 26 settembre 1946.

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CODACCI PISANELLI, Atti Ass. Cost. , 10 settembre 1947.

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Atti Ass. Cost. , 10 settembre 1947.

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Comuni, integrando le due rappresentanze con un numero di senatori nomi-nati dal Presidente della Repubblica;51 e di conseguenza il conclusivo ordine del giorno Piccioni-Moro propose, la prospettiva di una seconda Camera a impianto «corporativistico», destinata a rappresentare «i gruppi nei quali si ordinano le attività sociali» e costruita «mediante elezioni a doppio grado alle quali concorrano tutti gli appartenenti alle categorie sociali ed in modo da promuovere la coordinazione degli interessi dei gruppi con gli interessi gene-rali»;52 mentre, nel frattempo, Fuschini e Mortati si sforzavano invece di ar-monizzare la visione corporativistica del Senato con quella regionalistica, ri-chiedendo una rappresentanza degli «interessi territoriali ed economici a base regionale» o sommando la proposta avente di mira gli «interessi professiona-li» alla riconosciuta necessità di «dare alle Regioni una voce specifica nel Parlamento»53. Senonché le sinistre si opposero fermamente a questo tipo di bicameralismo, non solo contestandone le aspirazioni, ma anche evidenzian-done le difficoltà di attuazione e rilevando, in particolar modo, che un Senato corporativo anziché di estrazione democratica avrebbe coerentemente dovuto ridursi ad «organo consultivo» della Camera.54 Alla fine venne messo ai voti l’ordine del giorno Piccioni-Moro, citato prima, in cui ancora si diceva, che l’esistenza di una seconda Camera avrebbe assicurato al lavoro legislativo, divenuto sempre più tecnicamente qualificato, il concorso di speciali compe-tenze; che la rappresentanza della seconda Camera doveva essere realizzata secondo un criterio di ripartizione a base territoriale regionale, con metodo democratico e la ripartizione dei seggi doveva obbedire di massima al criterio della proporzione con l’entità numerica delle categorie ed insieme a quello della maggiore responsabilità del lavoro qualificato; da questa votazione ne uscì sconfitto con 213 voti contrari a fronte di 166 favorevoli.55 Non ebbe migliore fortuna la «Camera delle Regioni», pur prevista dalla Commissione dei 75. Rilanciata prima da Macrelli e poi da Ruini, il quale insisteva nell’assunto che, «introdotta la figura delle Regioni, non si poteva non tener-ne conto anche per la composiziotener-ne del Senato, destinandolo a fungere da

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AMBROSINI, Atti Ass. Cost. , 16 settembre 1947.

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Atti Ass. Cost., 17 settembre 1947.

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FUSCHINI-MORTATI, Atti Ass. Cost., 17 settembre 1947.

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PALADIN, Tipologia e fondamenti giustificativi del bicameralismo. Il Caso Italia-no in Quaderni costituzionali n°2 1984.

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mediatore e coordinatore fra gli interessi dei nuovissimi enti»56; anche questa impostazione fu infatti osteggiata dalle sinistre: poiché gli oppositori soste-nevano in sostanza, secondo le parole di Laconi, che l’unità politica dello Stato escludesse la rappresentanza parlamentare delle autonomie regionali.57 E l’opposizione prevalse, una volta rigettato l’ordine del giorno Perassi, sia pure con il piccolo scarto di 213 voti contro 198, in cui si diceva: «L’Assemblea Costituente ritiene che i senatori debbano essere eletti nel nu-mero di tre per ogni Regione dal Consiglio regionale e per il resto da delegati eletti a suffragio universale fra gli elettori iscritti nel Comune della circoscri-zione elettorale di primo grado in proporcircoscri-zione degli abitanti, secondo le mo-dalità determinate dalla legge».58 Le stesse sinistre ammettevano per altro che restava comunque indispensabile, per dare un senso al previsto bicamerali-smo, differenziare i due rami del Parlamento; ma per esse lo scopo doveva venir perseguito, senza smentire né sminuire il principio dell’uguale emana-zione di entrambe le Camere dal corpo elettorale. La chiave per la soluemana-zione del problema fu dunque ricercata sul piano dei sistemi elettorali, mediante l’approvazione di due ordini del giorno, destinati ad indirizzare la legislazio-ne ordinaria che, per questo verso, avrebbe integrato la Costituziolegislazio-ne. In effet-ti, fin dal 23 settembre, venne votato a larga maggioranza il criterio che l’elezione della Camera dei deputati dovesse svolgersi in base alla proporzio-nale, con approvazione dell’ordine del giorno dell’ on. Giolitti.59 Ma nel frat-tempo, ed anzi prima ancora che fossero formalmente respinte le tesi demo-cristiane e repubblicane, guadagnava terreno l’idea che il Senato andasse a sua volta formato con il sistema maggioritario uninominale. A favore di que-sto tipo di differenziazione si erano già espressi gli interventi di Preti, di Rus-so Perez e di Nitti, contrari ad un sistema di elezione proporzionale del Sena-to, ritenuto uno spaventoso errore, tanto più data la natura dell’istituzione e dato il fatto che la durata deve essere lunga.60 Con il medesimo intento ven-nero poi presentati gli ordini del giorno di Giolitti e dello stesso Nitti, il se-condo dei quali fu infine approvato, per 190 voti contro 181, stabilendo che il Senato sarà eletto con suffragio universale e diretto col sistema del collegio

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Atti Ass. Cost., 19 settembre 1947.

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LACONI, Atti Ass. Cost., 24 settembre 1947.

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PERASSI, Atti Ass. Cost., 25 settembre 1947.

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Atti Ass. Cost., 23 settembre 1947.

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uninominale.61 Tuttavia, sul valore di quel voto si discusse molto a lungo; e la confusione delle idee trovò una riprova nella controversa approvazione (mal-grado la bocciatura dell’ordine del giorno Perassi, che accanto alle elezioni con il collegio uninominale e alle elezioni con la proporzionale, aveva con-trapposto un terzo sistema delle elezioni di secondo grado) dell’attuale primo comma dell’art. 57 Cost., per cui «il Senato della Repubblica è eletto a base regionale», nonché del conseguente emendamento Mortati, in cui oltre a pre-vedere la base regionale, stabiliva che, il numero dei senatori è determinato in ragione di uno ogni 250 mila abitanti, quoziente abbassato a 200 mila, accet-tando la proposta della Commissione, che prevedeva un senatore per 200 mi-la abitanti o per frazione superiore a 100 mimi-la; e attribuendo a ciascuna Re-gione un numero minimo di 6 senatori.62 In ogni caso, a questa prima ragione distintiva, altre ne vennero subito aggiunte. Da un lato, è sta mantenuta ferma la previsione già contenuta nel Progetto, per cui gli elettori del Senato, diver-samente da quelli della Camera, devono aver superato il venticinquesimo an-no di età. Dall’altro lato, è stata elevata l’età minima degli eleggibili: mentre il Progetto la fissava in 35 anni, nel testo definitivo essa è di 40 anni, così come proposto dall’on. De Vita.63 Inoltre, ha finito per prevalere l’idea di as-segnare a vita, per mezzo di nomine presidenziali od anche di diritto, una piccola quota dei posti di senatore, così come proposto dagli onorevoli Rubil-li e CondorelRubil-li64; per non dire di Einaudi, sino al punto di suggerire che fosse attribuita al Capo dello Stato l’investitura di un quarto o di un terzo del nu-mero dei parlamentari in questione.65 In luogo di progetti così massimalistici, e come tali insuscettibili d’incontrare il favore dell’Assemblea, è invece pas-sato il minimale emendamento dell’on. Alberti, in cui si affermava che «cin-que senatori sono nominati a vita dal Capo dello Stato fra coloro che, con meriti insigni, nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario, hanno illu-strato la Patria»66; capoverso inserito nell’art. 59 Cost., in aggiunta ai posti da riservare agli ex-Presidenti della Repubblica.67 Finalmente quasi per effetto di

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Atti Ass. Cost., 7 ottobre 1947.

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Atti Ass. Cost., 8 ottobre 1947.

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Atti Ass. Cost., 9 ottobre 1947.

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Atti Ass. Cost., 24 settembre 1947.

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EINAUDI, Atti II Sc., 24 settembre 1946.

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ALBERTI, Atti Ass. Cost., 24 settembre 1947.

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un colpo di mano dell’ultima ora, passò anche l’emendamento Clerici, inteso a differenziare la durata delle due Camere. L’art. 58, primo comma, del Pro-getto prevedeva che entrambi i rami del Parlamento dovessero venire rinno-vati ogni quinquennio, applicando in questo stesso senso il principio del bi-cameralismo perfetto. Per contro, fu inopinatamente, ma anche precariamente introdotto nella Carta costituzionale il disposto che eleva a sei anni la durata del Senato.68 Ma giova aggiungere, che un ulteriore tratto distintivo fu inseri-to nella normativa costituzionale transiinseri-toria. Il plenum aveva in effetti disat-teso quella parte del Progetto (art. 56), per cui i senatori elettivi andavano scelti nell’ambito di particolari categorie di eleggibili costituzionalmente in-dicate. Senonché di quella proposta qualcosa sopravvisse, ispirando gli e-mendamenti Leone e Martino, che poi si tradussero nella terza disposizione transitoria: in base alla quale, ai fini della «prima composizione del Senato della Repubblica», vennero nominati senatori i componenti della Costituente che avevano ricoperto una serie di altre cariche pubbliche (a partire dalla pre-sidenza del Consiglio dei ministri o delle Assemblee legislative) od erano sta-ti colpista-ti da gravi condanne del Tribunale fascista per la difesa dello Stato.69 La conclusione della vicenda costituente portava così a delineare, per l’Italia, una forma di bicameralismo atipico, che non veniva a trovare alcun riscontro nell’esperienza degli altri paesi europei: un bicameralismo cioè caratterizzato dal fatto di essere perfettamente paritario sul piano funzionale, non molto dif-ferenziato sul piano strutturale e solo embrionalmente agganciato ad una pro-spettiva incompiuta di decentramento territoriale.70

2. Chi ha parlato tema per tema.

Volendo analizzare più da vicino la vicenda, ho ritenuto di grande interesse, ripercorrere alcuni interventi, nelle sedute dell’Assemblea costituente, di co-loro che, hanno dato un’ impronta autorevole ed hanno contribuito, alla for-mazione della nostra Costituzione, negli articoli che ci riguardano. Infatti si ricorda la seduta del 23 settembre 1947, in cui venne stabilito che la seconda Camera, avrebbe avuto il nome di Senato della Repubblica; così come aveva

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Atti Ass. Cost., 9 ottobre 1947.

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Atti Ass. Cost., 25 settembre 1947.

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CHELI, Bicameralismo in Digesto delle discipline pubblicistiche vol. II, Torino, Utet 1987.

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proposto Nitti dicendo «vorrei che si parlasse di Senato e non di Camera dei senatori» o ancora l’on. Macrelli e l’on. De Vita avevano proposto, appunto, di sostituire alle parole Camera dei senatori, quelle di Senato delle Repubbli-ca; proposta accettata anche dal comitato ed infine approvata dall’Assemblea.71 Inoltre, nella stessa seduta, si è giunti ad un’altra importan-te decisione, ovvero, venne approvato l’ordine del giorno Giolitti, in cui si prevedeva che, la Camera dei deputati è eletta a suffragio universale e diretto secondo il sistema proporzionale.72 In aggiunta, dopo una serie di altri inter-venti, si stabilì il secondo comma dell’art. 53: «in ragione di un deputato per ottantamila abitanti o per frazione superiore a quarantamila», e l’art. 54 ap-provato nella seguente formulazione: «sono eleggibili a deputati tutti gli elet-tori che hanno compiuto i venticinque anni di età entro il giorno delle elezio-ni».73 Proseguendo, nella seduta del 24 settembre 1947, celebre è l’intervento dell’on. Nitti che, proponeva con un emendamento di sostituire gli art.55 e 56 con il seguente: « Il Senato è eletto sulla base di un senatore per 200 mila abi-tanti. Il territorio della Repubblica è diviso in circoscrizioni elettorali, che e-leggono un solo senatore ciascuna. A ogni Regione è inoltre attribuito un numero fisso di tre senatori. Sono elettori i cittadini che hanno compiuto 25 anni e sono eleggibili quelli che hanno compiuto 40 anni. Del Senato fanno parte, salvo la loro rinunzia, gli ex Presidenti della Repubblica e gli ex Presi-denti del Consiglio dei Ministri. Alla costituzione del Senato entrano a farne parte gli ex deputati che hanno appartenuto alla Camera dei deputati per cin-que legislature, senza che però cin-questo fatto costituisca alcun precedente per l’avvenire. Fanno parte del Senato il Presidente della Corte di cassazione di Roma, il Presidente del Consiglio di Stato, il Presidente della Corte dei conti e 6 professori di Università designati per elezione dal Consiglio superiore della pubblica istruzione. I senatori di nomina elettiva durano in carica 6 anni e sono rinnovabili per un terzo ogni due anni».74 Dunque l’on. Nitti nello svolgimento del suo emendamento affermava che, il Senato doveva essere efficiente e doveva essere espressione nazionale, cui partecipano tutti gli elet-tori. Doveva essere il più possibile selezionato, ma nello stesso tempo si

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Atti Ass. Cost., 23 settembre 1947.

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GIOLITTI, Atti Ass. Cost., 23 settembre 1947.

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Atti Ass. Cost., 23 settembre 1947.

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veva evitare ogni cosa che costituiva privilegi inutili e quindi, era contrario ad ogni idea di ridurre il Senato ad un’Assemblea. Le fonti della sovranità dovevano essere le stesse: il popolo intero, tutti devono essere elettori se si trovano nelle condizioni generali richieste. Quindi, nessun privilegio. Ancora continuava affermando che «Senato e Camera dei deputati sono due cose di-verse. Non devono essere soggetti alle stesse disposizioni. Il Senato non cade mai, il Senato non finisce mai; la Camera dei deputati può essere sciolta; il Senato in nessun Paese può essere sciolto. In nessun Paese serio, dove esiste un Senato, il Senato può essere sciolto. Il Senato deve essere un’ Assemblea che, siccome ha una durata più lunga, deve avere la maggiore solidità. Biso-gna però che le fonti delle elezioni siano le stesse; ma che si presentino in forma più appropriata, a secondo che si tratti dell’una o dell’altra Assemblea. Ma la cosa essenziale è la forma di elezione. Abbiamo già adottato la propor-zionale, vedrete i risultati disastrosi tra qualche anno, forse fra solo un anno, di questa aberrazione della Costituzione che è la proporzionale». Adesso, continuava l’onorevole, si deve stabilire la formula da adottare per il Senato. Nei paesi seri esiste il collegio uninominale, fatto sulla base di un solo nome, si vota un solo nome, sistema che garantisce serietà e durata. Eleggere il Se-nato con la proporzionale, sarebbe un grande errore, tanto più data la natura dell’istituzione e dato il fatto che la durata deve essere lunga, perché non può esistere un Senato breve. Un Senato deve durare tanto che possa approfondir-si nel costume politico, vivere nel fondo della vita del Paese. Senato già vuol dire durata. Perciò il Senato deve essere eletto con il collegio uninominale. L’uniformità delle due Camere non è necessaria ed è dannosa. Infatti, in tutti i Paesi dove esiste il sistema bicamerale, le due Camere rispondono ciascuna ad una propria funzione. Così, dopo una lunga digressione sul territorio divi-so in circoscrizioni di 200.000 abitanti, continuava a divi-sostenere che, con il col-legio uninominale del Senato, si darebbe la possibilità ad ogni grande perso-nalità di manifestarsi; e ogni individuo potrà aspirare alla vita legislativa, senza per questo aver bisogno di sottomettere la sua attività intellettuale all’inevitabile dominio di un grande partito, cui deve appartenere se vuol fare della politica.75 Ora, nella forma nella quale era stato concepito il Senato, si ammetteva che ogni Regione potesse disporre di 5 senatori, ma l’onorevole

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proponeva una riduzione a tre. Poi riteneva che tutti coloro che possedevano i requisiti richiesti per l’elettorato politico della Camera dei deputati dovevano essere elettori del Senato, con una sola differenza: cioè che, mentre per la Camera dei deputati le condizioni per l’elezione erano di ventun anni di età e di venticinque per l’eleggibilità, per il Senato dovevano cambiare, nel senso che l’età per l’elettorato attivo doveva essere fissata a 25 anni e per l’elettorato passivo a 40 anni. Quindi sperava che tutti potessero essere can-didati, senza limitazioni territoriali e senza alcun sistema di elezioni a doppio grado, che condurrebbe alla confusione e alla corruzione. Nitti proponeva poi, che del Senato potessero far parte coloro i quali avessero di fronte al pubblico il privilegio di rappresentare la cultura, mediante l’elezione, fatta dal Consiglio Superiore della pubblica istruzione, di sei senatori, che vengano dagli studi e dalle ricerche; contrario alle elezioni a doppio grado, perché, come lo stesso sosteneva, il nostro Paese non aveva una struttura politica, che assicurasse contro le cattive influenze e contro la corruzione. Proseguendo il nostro onorevole, continuava affermando che, l’idea del collegio uninominale era non solo una necessità, ma una convenienza per tutti; ma egli aveva af-frontato, anche un altro argomento, chiedendosi chi avrebbe dovuto formare il Senato? Prima di tutto i senatori eletti. Ma vi era un fatto nuovo di cui bi-sognava tener conto, ovvero dovevano far parte anche senatori non eletti. Senatori non eletti con votazione, ma che erano nella generale coscienza. Il Senato aveva avuto una lunga fase in cui non aveva funzionato, mentre la Camera dei deputati è stata per molti anni attiva. Ora è naturale che quelli che furono deputati onorevolmente, prima del fascismo, che stettero in Parlamen-to prima di quella lunga crisi costituzionale che fu il fascismo, possano venire in certo numero là dentro a rappresentare non solo la tradizione ma il buon nome del Parlamento. Quindi, l’on. Nitti auspicava alla formazione di un’Assemblea anche migliore, dove vi entreranno forze diverse, a cominciare dai vecchi parlamentari fino a quelli che verranno eletti per suffragio, col col-legio uninominale; sistema con il quale ciascun candidato viene conosciuto e valutato dai suoi elettori e finisce col conoscerli e con l’interessarsi di loro; la reciproca simpatia prelude sempre alla reciproca fedeltà.76 Proseguendo, l’onorevole avrebbe voluto che nel primo Senato non mancassero uomini di

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esperienza e vi fossero i rappresentanti delle tre grandi magistrature dello Stato: uno per ogni grande magistratura, la Suprema Corte di cassazione di Roma, il Consiglio di Stato, la Corte dei conti. Supponeva che tutti avessero la dottrina necessaria in un’Assemblea politica, ma non tutti, la pratica. La presenza nella nuova Assemblea del Senato di un certo numero di uomini sperimentati, quali i rappresentanti delle tre grandi magistrature, è a vantag-gio di tutti. Venne detto che, essi non essendo eletti potessero essere un peri-colo, ma Nitti controbatte, affermando che, non avrebbero costituito alcun pericolo, anche perché non si diventa Presidente di cassazione a 50 o a 40 anni; uomini di così lunga esperienza avrebbero portato piuttosto elementi di equilibrio; di conseguenza l’onorevole è fermamente convinto della necessità di questa riforma; in quanto al numero, raccomanda di essere moderati, per-ché più si allargherà il numero, più sarà resa difficile la cosa, se non impossi-bile.77 Di contro, nella stessa seduta, l’on. Lami Starnuti aveva presentato un opposto emendamento, in cui proponeva l’elezione del Senato per circoscri-zioni regionali, a suffragio universale diretto con sistema proporzionale in ra-gione di un senatore ogni 120.000 abitanti o frazione superiore a 60.000. L’onorevole svolgendo il suo emendamento, affermava la sua posizione con-traria alla proposta Nitti, non perché non abbia riconosciuto gli elementi di bontà che sono insiti nel sistema del collegio uninominale, non perché consi-deri in modo assoluto, perfetto il sistema proporzionale, ma perché, nella re-altà politica italiana di quel tempo e davanti alla decisione della seduta prece-dente, secondo la quale la Camera dei deputati dovrà formarsi col sistema proporzionale, riteneva inopportuno e pericoloso introdurre questo differente sistema per la formazione della seconda Camera. Il sistema del collegio uni-nominale viene sostenuto perché, si dichiarava, che era necessario differen-ziare la seconda Camera dalla prima, concetto che da un punto di vista astrat-to poteva anche essere accolastrat-to, ma da un punastrat-to di vista concreastrat-to andava re-spinto, poiché significava affidare in tal modo l’elezione dei senatori non alla maggioranza di un determinato collegio elettorale, ma al gruppo politico di minoranza più forte e si verrebbe a creare una seconda Camera che rappre-senterebbe la minoranza del Paese, in contrasto forse stridente, con la prima

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Camera.78 Inoltre l’on Lami Starnuti si opponeva alla proposta dell’amico on. Perassi, che a sua volta proponeva un sistema proporzionale di secondo gra-do, in cui la nomina effettiva dei senatori veniva fatta non più dal corpo elet-torale nella sua spontaneità e nella sua sincerità, ma da un collegio più o me-no ristretto;79 e si opponeva, appunto, sostenendo che, quando vi sono in gio-co interessi politici gio-così notevoli, un ristretto gio-collegio di lettori può subire tut-te le influenze e tuttut-te le tut-tentazioni e può dare di conseguenza all’elezione una fisionomia non rispondente ai sentimenti e al pensiero del Paese.80 Sempre nella stessa seduta81, si era espresso favorevole al collegio uninominale l’on. Laconi, come affermava nel suo emendamento che, la creazione di una se-conda Camera rispondeva all’esigenza che, la legge trovi una sua maggiore elaborazione e un maggiore suo perfezionamento. Poi sosteneva che, le Re-gioni non erano state create come organi di potere politico, ma come ente pu-ramente autonomo ed incluso nell’unità politica dello Stato, correndo un grande pericolo a concedere una rappresentanza fissa alle Regioni, cioè il pe-ricolo di dare la stura domani a tutta una serie di movimenti regionalistici i quali altro scopo non avrebbero se non quello di conquistare a determinate Regioni o talvolta anche a determinati gruppi politici prevalenti in quelle Regioni le rappresentanze senatoriali; ed infine era assolutamente contrario ad una qualsiasi investitura dei senatori dall’alto, poiché sostiene che contra-sti con qualsiasi esigenza della democrazia, si potrebbe trattare di persone o organi che siano i più qualificati al mondo, ma non rappresentino in questa funzione, in alcun modo, la totalità del Paese.82 In un altro filone c’era chi, come l’on. Nobili Tito Oro, proponeva l’elezione dei senatori per metà a suf-fragio universale, per l’altra metà, in parti uguali, dal Consiglio regionale e dai Consigli comunali di ciascuna circoscrizione. Spinto dall’idea che, i sena-tori dovrebbero rappresentare, terrisena-torialmente, non più l’intera Nazione, ma la propria Regione, dovrebbero difendere non più gli interessi generali dello Stato e del Paese, ma quelli particolaristici della Regione; e con questa intro-duzione del Comune nella vita politica italiana, mediante la sua partecipazio-ne alla nomina di rappresentanti al Senato della Repubblica, avrebbe

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LAMI STARNUTI, Atti Ass. Cost., 24 settembre 1947.

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PERASSI, Atti Ass. Cost., 24 settembre 1947.

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LAMI STARNUTI, Atti Ass. Cost., 24 settembre 1947.

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Atti Ass. Cost., 24 settembre 1947.

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tibilmente un’altra risonanza: dimostrerebbe che lo Stato considera alla stessa maniera gli enti locali minori e più periferici e quelli maggiori, attenuerebbe il sospetto delle particolari finalità che si attribuiscono alla Regione, accre-scerebbe l’autorità del Senato per la più capillare diffusione dei consensi dai quali derivano le nomine dei suoi membri. Ed ancora, avrebbe risalto mag-giore la stessa funzione dei senatori; il loro contatto con i Comuni e con le popolazioni gioverebbe a stringere vincoli di simpatia e di collaborazione, che si risolverebbero in un’assistenza più assidua agli enti locali, specie nei loro rapporti con l’amministrazione centrale, e in un più costante interessa-mento per le necessità delle popolazioni.83 Si arrivò così al già citato emen-damento dell’on. Perassi, che proponeva l’elezione dei senatori per un terzo, con il minimo di tre, dal Consiglio regionale e per il resto da delegati eletti a suffragio universale fra gli elettori iscritti nei comuni della circoscrizione e-lettorale di primo grado, in proporzione degli abitanti, secondo le modalità determinate dalla legge. Quindi si evince che l’onorevole accoglie l’idea dell’elezione di secondo grado, idea che era stata diverse volte e sotto diverse forme prospettata in seno alla seconda Sottocommissione. Ma ciò che caratte-rizza questo emendamento è che esso lascia un notevole margine alla legge elettorale, limitandosi a fissare i principi fondamentali; e sotto questo punto di vista è correlativo al sistema che è stato seguito per la Camera dei deputa-ti.84 Sulla stessa scia, l’on. Zuccarini propone due modifiche all’emendamento Perassi, ovvero, attribuisce una quota fissa di senatori a cia-scuna Regione e poi stabilisce che gli elettori dovevano aver superato i 25 anni di età. Per la prima modifica proposta, l’onorevole sosteneva che, la Re-gione era stata costituita per rappresentare un organismo chiamato a risolvere per suo conto i suoi particolari problemi e a portare nella seconda Assemblea la voce di questi interessi particolari perché si armonizzino con gli interessi generali. Quindi era necessario, nella composizione del Senato, accentuare il carattere regionale e locale. Così stabilito un numero fisso, serviva ad equili-brare il peso fra il Mezzogiorno e il sud d’Italia, delle Regioni meridionali, e le Regioni del Settentrione. Mentre per la seconda modifica, ovvero, l’età de-gli elettori, aveva trovato un modo per differenziare e mide-gliorare ancora la

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NOBILI TITO ORO, Atti Ass. Cost., 24 settembre 1947.

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