DIPARTIMENTO DI ECONOMIA E MANAGEMENT
CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN
MARKETING E RICERCHE DI MERCATO
TESI DI LAUREA
Brevetti, Marchi e Privative Industriali della Provincia di Pisa 1895-1960: un’Analisi Empirica dall’Archivio Storico della Camera di Commercio di Pisa.
RELATORE CANDIDATO
Prof.ssa Valeria PINCHERA Veronica BAGGIANI
Ai miei nonni e alla mia zia, assenti oggi in questo luogo, sempre presenti nel mio cuore.
INTRODUZIONE ... 9 CAPITOLO I ... 15 LA LETTERATURA SUL PROGRESSO TECNOLOGICO E LO
SVILUPPO ECONOMICO: PUNTI DI INCONTRO E DI
DISCONTINUITÀ TRA ECONOMISTI E STORICI. ... 15
1.1 Premessa. ... 15
1.2 Sviluppo e innovazione: le teorie economiche di Joseph Schumpeter e Jacob Schmookler. ... 18
1.3 Paradigmi tecnologici e teorie evolutive. ... 29
1.4 Il progresso tecnologico nella storiografia tra micro e macro invenzioni. .. 32
1.5 Il ruolo della conoscenza tecnica durante le Rivoluzioni industriali. ... 39
1.6 Il modello storiografico del technology gap: i ruoli giocati dal capitale umano, dall’istruzione e dal sistema istituzionale nella crescita di un paese. ... 46 1.7 Brevetti e marchi: tratti evolutivi. ... 65
CAPITOLO II ... 71 IL CONTESTO ECONOMICO ITALIANO E LE PROSPETTIVE DI SVILUPPO DALL’UNITÀ D’ITALIA AGLI ANNI DEL MIRACOLO ECONOMICO. ... 71
2.1 Contesto storico. ... 71
2.2 Il brevetto come indicatore di capacità innovativa e crescita economica.... 84
2.3 Il sistema educativo italiano. ... 95
2.4 Il processo di industrializzazione in Toscana. ... 111
2.5 Sviluppo industriale della provincia di Pisa tra la metà dell’Ottocento e gli anni del boom economico. ... 121
CAPITOLO III ... 137
ANALISI DEI MARCHI, DEI BREVETTI E DELLE ALTRE PRIVATIVE INDUSTRIALI DELLA PROVINCIA DI PISA DAL 1895 AL 1960. ... 137
3.1 Il database: i marchi, i brevetti e i modelli dell’Archivio Storico della Camera di Commercio di Pisa. ... 137
3.2 Analisi dei marchi e dei distintivi di fabbrica. ... 153
3.3 I brevetti e i modelli depositati a Pisa. ... 169
APPENDICE ... 187
CONCLUSIONI ... 191
ALLEGATO 1 ... 199
ALLEGATO 2 ... 209
ALLEGATO 3 ... 221
INDICE DELLE FIGURE E DELLE TABELLE ... 229
BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA ... 233
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INTRODUZIONE
Questo lavoro di tesi mira ad evidenziare le caratteristiche e le modalità con cui si è realizzato il processo di sviluppo industriale nella provincia di Pisa tra la fine dell’Ottocento e la prima metà del Novecento sulla base di un’analisi storico-economica delle serie di privative industriali, datate dal 1895 al 1960, rinvenute presso l’Archivio Storico della Camera di Commercio di Pisa.
Studiosi appartenenti ad ambiti disciplinari differenti, come sociologi, filosofi, giuristi, economisti e storici si sono accostati al tema della tutela dell’innovazione utilizzando approcci metodologici ovviamente diversi. Tuttavia, per la natura del tema trattato, il maggior numero di studi appartiene all’economia, all’interno della quale non emerge comunque una visione univoca. Taluni, infatti, si sono focalizzati sulle questioni relative all’appropriabilità delle nuove conoscenze scientifiche e alla loro applicazione effettiva sul mercato; altri, invece, hanno inteso valutare il ruolo svolto dalle istituzioni nel proteggere la proprietà intellettuale tramite gli istituti giuridici di privativa industriale relativi ai brevetti e ai marchi 1. In merito a quest’ultimo aspetto gli economisti si dividono nettamente tra coloro che allo Stato attribuiscono, attraverso queste regole, una funzione di stimolo all’attività innovativa e coloro che, all’opposto, sono convinti che lo Stato giochi un ruolo del tutto negativo, volto a frenare la diffusione delle innovazioni e di conseguenza anche l’attività di ricerca e sviluppo.
1 Appartengono al primo gruppo studiosi come Solow, mentre fanno parte del secondo, tra molti,
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Tali divergenze si possono appianare studiando la questione dal punto di vista della storia economica, in quanto attraverso l’analisi delle serie di brevetti si è in grado di definire le caratteristiche dell’innovazione di determinati comparti industriali, di valutare le leadership tecnologiche raggiunte dai vari Paesi e persino di dare un giudizio, mediante l’evoluzione delle normative in materia, sulla capacità di adattamento che le istituzioni dei singoli Stati hanno manifestato in seguito ai cambiamenti politici, economici, culturali, sociali che si sono susseguiti nel corso del tempo2.
La diffusione delle teorie neo-schumperiane a partire dagli anni Ottanta, che assegnano alla tecnologia il ruolo chiave dello sviluppo economico di un’impresa, ha contribuito a definire i brevetti quali indicatori veri e propri della capacità tecnologica di un’impresa, di un settore o di un intero paese.
Questo lavoro di ricerca sulla base della letteratura storico-economica intende colmare l’assenza di studi riguardo ai caratteri dello sviluppo industriale nella provincia di Pisa tra la fine dell’Ottocento e la metà del Novecento, tramite la raccolta e l’elaborazione dei dati sulle privative industriali depositate presso la Camera di Commercio pisana.
Gli studi riguardo alle serie storiche di marchi e brevetti a livello italiano non sono molti. Per lo più essi fanno riferimento alla realtà nazionale che viene analizzata in relazione a singoli settori, spesso ad alto contenuto tecnologico, come quello elettrico o quello chimico; in questi casi l’obiettivo è quello di stabilire la posizione dell’Italia rispetto ad altri paesi europei durante la corsa al raggiungimento della frontiera tecnologica3.
Tra le ricerche effettuate in relazione alle singole province emergono quelle incentrate sulla realtà milanese e su quella bresciana. Si tratta di studi molto puntuali che, partendo dall’analisi dei brevetti o dei marchi depositati nelle Camere
2 I più importanti storici economici che hanno affrontato questi temi sono Carlo Marco Belfanti, Renato
Giannetti, Alessandro Nuvolari e Michelangelo Vasta.
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di Commercio locali, offrono un notevole contributo allo studio dei processi di industrializzazione e di sviluppo, la comprensione dei quali permette di conoscere i punti di forza e gli aspetti da incentivare all’interno del territorio provinciale; in questi lavori, tuttavia, non sono previste comparazioni orizzontali con altre province italiane4.
In relazione al caso pisano la letteratura è composta da pochi lavori e, allo stato attuale, non esistono ricerche di lungo periodo sul settore secondario che muovono dall’analisi delle privative industriali; sono presenti soltanto alcuni studi di settore specifici, effettuati entro archi temporali abbastanza ristretti, tra i quali uno dei più noti è quello condotto nel 2008 da Alberto Bianchi sull’industria farmaceutica5.
Questa tesi è suddivisa in tre capitoli, cui seguono brevi conclusioni e diversi allegati contenenti alcuni dati sulle privative industriali raccolte presso l’Archivio Storico della Camera di Commercio di Pisa.
Il Capitolo 1 propone una sintesi dell’evoluzione del pensiero economico relativo alle tematiche dell’innovazione e del progresso tecnologico. Questa trattazione si snoda a partire dalle teorie degli economisti classici, passando attraverso quelle di Joseph Schumpeter e Jacob Schmookler, i quali, per primi, hanno fatto di questi argomenti il punto focale del loro pensiero, fino ad arrivare all’illustrazione della letteratura contemporanea che si sviluppa sull’onda della contrapposizione tra le teorie demand-pull e technology-push.
In seguito sono stati presi in esame anche i principali contributi relativi alla crescita dei paesi proposti dagli storici economici più illustri. Questi studiosi chiamano in gioco forze sociali e istituzionali, le quali nella storia hanno giocato spesso un ruolo determinante nel promuovere lo sviluppo economico tramite il progresso tecnologico, o nell’ostacolarlo, mediante la diffusione di atteggiamenti di conservatorismo.
4 Belfanti (2002); Polese (2013).
5 Gli studiosi che hanno dato i maggiori contributi allo studio della provincia di Pisa sono Alberto
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Da ultimo si presentano i contributi delle ricerche empiriche, basate sull’analisi delle serie brevettuali e delle serie di marchi, effettuate dagli studiosi appartenenti ai due ambiti disciplinari i quali, misurando l’innovazione per mezzo degli strumenti di privativa industriale, hanno cercato di mettere in luce aspetti positivi e negativi del processo di industrializzazione di paesi differenti.
Il Capitolo 2 dà un inquadramento del contesto storico italiano nel periodo che va dall’Unità d’Italia agli anni del boom economico, nella seconda metà del Novecento. Esso si focalizza prevalentemente sugli effetti che i cambiamenti sociali, politici ed istituzionali hanno avuto sull’economia e, in modo particolare, sul settore secondario italiano. Inoltre, si presentano gli studi di coloro che hanno cercato di far luce sulle caratteristiche del sistema brevettuale italiano, andando a valutare se questo, nel suo complesso, abbia costituito un vincolo allo sviluppo oppure lo abbia incentivato. Successivamente è stato ristretto il campo di analisi focalizzandolo sulla realtà toscana e scendendo ad un livello maggiore di puntualizzazione con la presentazione del settore industriale pisano.
Il Capitolo 3 presenta l’analisi empirica delle serie storiche dei brevetti, dei marchi e delle altre privative industriali dal 1895 al 1960, raccolti presso l’Archivio Storico dell’ente camerale, e intende delineare attraverso la ricostruzione e lo studio del database il cammino di crescita e di sviluppo economico intrapreso dall’economia pisana tra la fine dell’Ottocento e la metà del Novecento.
Le serie storiche relative ai marchi e ai distintivi di fabbrica vengono analizzate separatamente rispetto a quelle relative ai brevetti e ai modelli, in quanto si tratta di istituti giuridici dalla natura differente6.
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Quando si parla di segni distintivi in genere ci si riferisce a tre entità specifiche, tipizzate dal codice civile: la ditta, l’insegna e il marchio. La ditta rappresenta il nome commerciale dell’imprenditore, l’insegna distingue la sede in cui si svolge l’attività d’impresa e il marchio distingue il bene o il servizio prodotto dall’imprenditore. Essendo il segno distintivo dell’oggetto, si pensa che il marchio abbia una capacità maggiore, rispetto agli altri segni distintivi, di attrarre il consumatore e di identificare il collegamento tra soggetto e oggetto dell’attività d’impresa. Il marchio, dunque, si lega più all’aspetto commerciale piuttosto che a quello industriale; infatti da esso discendono, ad esempio, tutte le condotte degli imprenditori finalizzate ad ottenere l’accreditamento sul mercato, a sbaragliare la concorrenza e ad ottenere la fidelizzazione dei consumatori.
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L’analisi si conclude con lo studio separato dei settori industriali pisani per i quali, in alcuni casi, vengono effettuati dei paralleli con i settori di altre province italiane. Sebbene, infatti, lo studio sia incentrato sui processi di sviluppo locali, ciò ha lo scopo di mettere in luce le analogie e le differenze che hanno caratterizzato lo sviluppo industriale italiano nel suo complesso.
Il database di privative mette in evidenza le modalità e le cause che hanno determinato lo sviluppo dell’industria leggera nella provincia di Pisa, dove da sempre erano fiorenti le attività artigianali. Il decollo industriale verificatosi tra la fine dell’Ottocento e la prima metà del Novecento, infatti, ha interessato soprattutto queste attività facendo di Pisa una realtà industriale non tanto di alta tecnologia quanto piuttosto di piccole ed eccellenti aziende manifatturiere che creavano e lavoravano prodotti di nicchia. In quest’area, dove la vita era ancora prevalentemente rurale, era fiorente il lavoro a domicilio e il concetto di industria era riconducibile per lo più all’azienda a carattere familiare “sotto casa”. A fianco di queste attività si sono comunque sviluppate anche alcune industrie di grandi dimensioni, come quelle appartenenti al settore chimico-farmaceutico, oppure a quello dei trasporti, le quali, grazie all’attività di ricerca intrapresa e alla collaborazione con l’ateneo pisano, hanno contribuito enormemente alla diffusione della cultura innovativa e dello spirito creativo che hanno alimentato il circolo virtuoso dell’innovazione e del progresso tecnico.
In molti casi un ruolo importante che condiziona il successo dell’impresa è giocato dallo sviluppo tecnico e dall’affinamento della tecnica industriale per mezzo della quale avviene la produzione. Il diritto brevettuale nasce proprio per tutelare le esigenze di quelle imprese, l’oggetto della cui attività è molto tecnico; per questo il diritto brevettuale possiede un duplice scopo: il primo è quello di tutelare l’imprenditore che con il suo ingegno è riuscito a realizzare un trovato o un processo produttivo che costituisce una soluzione ad un problema tecnico. Questa tutela si concretizza attraverso lo ius excludendi alios, ovvero l’utilizzo in esclusiva dell’invenzione. Il secondo scopo è quello di garantire la tutela degli interessi della collettività, tramite la caduta in pubblico dominio dell’invenzione; essa, infatti, rappresenta un progresso tecnico e quindi deve poter essere ricompresa nello stato della tecnica, in modo da rendere possibili ulteriori miglioramenti, ulteriori invenzioni, allo scopo di evitare lo spegnimento e l’affievolirsi del processo innovativo. Per questo il brevetto ha una durata limitata, pari a 20 anni. [Vanzetti A., Di Cataldo V. (2012)
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CAPITOLO I
LA LETTERATURA SUL PROGRESSO TECNOLOGICO E LO SVILUPPO ECONOMICO: PUNTI DI INCONTRO E DI DISCONTINUITÀ TRA
ECONOMISTI E STORICI.
1.1 Premessa.
Il tema della crescita economica era già presente nel pensiero dei più importanti economisti classici alla fine del XVIII secolo, mentre il ruolo rivestito dal progresso tecnico nell’economia moderna è rimasto a lungo ai margini della dottrina economica, almeno fino alla diffusione delle teorie dell’economista Joseph Alois Schumpeter nella prima metà del secolo scorso.
Nella celebre opera La ricchezza delle nazioni (1775, An inquiry into the nature and causes of the wealth of nations) Adam Smith se da un lato mette in luce la relazione tra cambiamento tecnologico e divisione del lavoro, dall’altro non si focalizza sui processi di generazione delle innovazioni; piuttosto egli cerca di spiegare come il progresso tecnologico viene incorporato nei beni capitali e quali sono i suoi effetti sulla produttività del lavoro, sulla specializzazione e sull’occupazione. Nel suo pensiero la divisione del lavoro costituisce il presupposto fondamentale affinché si origini attività inventiva, dato che una maggiore specializzazione consente all’individuo di concentrarsi su un’unica mansione. In questo modo il singolo lavoratore sarà capace di introdurre dei miglioramenti allo scopo di alleviare la fatica che egli dura nello svolgere i compiti lavorativi e i
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vantaggi di queste innovazioni potranno essere spartiti tra i lavoratori e i capitalisti7. Occorre tenere presente che le innovazioni a cui Smith si riferisce sono le cosiddette innovazioni incrementali, ovvero si tratta di innovazioni minori ottenute grazie ai continui miglioramenti e ai graduali perfezionamenti delle tecniche esistenti, effettuati da parte di una miriade di anonime comparse piuttosto che dal genio di un singolo artefice8.
Un approccio simile si ritrova nelle riflessioni di David Ricardo, il quale nei Principi di Economia Politica (1817, On the principles of political economy and taxation) affronta le questioni legate alle conseguenze del progresso tecnologico e al progresso tecnico incorporato nei beni; l’economista si sofferma quindi sulle modalità con cui il cambiamento tecnologico influisce sull’occupazione e mette in evidenza fattori sia di natura esogena che endogena, quali ad esempio i meccanismi legati alla produzione di nuove macchine e l’aumento della domanda che si genera in seguito alla diminuzione dei prezzi come conseguenza del progresso tecnico. Si comprende, quindi, come in tale prospettiva il progresso tecnico sia soltanto un fattore secondario, in quanto lo sviluppo economico è determinato dalla terra, dal capitale e dal lavoro9.
Successivamente, in contrasto con gli economisti precedenti, Ricardo affermerà che l’innovazione tecnologica può danneggiare seriamente i lavoratori perché l’elevato costo dei macchinari contribuirebbe a ridurre il fondo salari, con un conseguente aumento della disoccupazione.
Karl Marx è il primo studioso a ritenere che il progresso tecnologico svolga un ruolo chiave per lo sviluppo del sistema economico moderno; Schumpeter di lui scrive che ciò che lo distingue dagli economisti del suo tempo e da quelli che lo precedettero è una visione dell’evoluzione economica come di un processo
7 Smith A. (1995) La ricchezza delle nazioni, Newton Compton, Roma.
8 Guidi M. E. L.(1998) “Gli spilli di Adam Smith. Una rassegna su divisione del lavoro e sviluppo economico, con alcune osservazioni” Università degli studi di Brescia, Dipartimento di studi sociali, p. 8.
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particolare generato dal sistema economico stesso10. L’economista di Treviri sottolinea la natura sociale e non individuale del processo di innovazione, il quale si può comprendere solamente inserendolo in un contesto socio-politico determinato; infatti, la storia delle invenzioni non si riduce soltanto alla storia degli inventori, bensì si può giustificare unicamente alla luce delle relazioni e dei conflitti che esistono tra gruppi e classi di soggetti economici. Il capitalismo è caratterizzato dalla ricerca continua di nuovi prodotti e processi e in quest’ottica assumono un rilievo particolare le trasformazioni sociali causate dalle rivoluzioni tecnologiche. Marx (1867, Das Kapital. Kritik der politischen Ökonomie) porta alla luce due aspetti chiave caratterizzanti il progresso tecnico; il primo consiste nel fatto che esso produce un effetto negativo sull’occupazione, in quanto tale progresso tenderebbe a far aumentare la disoccupazione; il secondo si riferisce all’origine del progresso, origine che promana da un fattore interno all’impresa e al sistema economico, vale a dire il flusso di accumulazione del capitale11.
In questa breve rassegna degli economisti che tra i primi hanno trattato il tema dell’innovazione è doveroso citare anche lo storico economico americano Abbott Payson Usher che grazie ai suoi studi ha offerto nuovi spunti alla riflessione tecnologica12.
Usher (1929, A history of mechanical inventions) introduce il concetto di innovazione intesa come un processo di sintesi cumulativa che a partire dalla percezione di un problema dà origine all’innovazione iniziale e successivamente
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Schumpeter J. A. (1971) Teoria dello sviluppo economico. Ricerca sul profitto, il capitale, il credito,
l’interesse e il ciclo economico, traduzione italiana, Sansoni, Firenze, p. XLVIII.
11 Marx K. (1945) Il capitale: critica dell’economia politica. Libro primo, Utet, Torino.
12 Il tema dell’innovazione è stato affrontato in aree disciplinari differenti, che vanno dall’economia alla
storia, dalla filosofia alla matematica, proseguendo in altri numerosi ambiti del sapere. Il matematico e filosofo inglese Charles Babbage, già nel 1832, fa riflettere i suoi contemporanei sul diverso significato, allora non così scontato, dei verbi fare e fabbricare. Egli mette in evidenza il fatto che il fare si riferisce al lavoro artistico dell’artigiano, il quale si adopera nel miglior modo possibile per creare pezzi unici, mentre il
fabbricare è proprio delle industrie moderne che con la Rivoluzione industriale si stavano affermando sul
panorama economico mondiale; per cui col verbo fabbricare si intende il lavoro meccanico delle macchine e quindi il termine diventa sinonimo di produzione industriale, di produzione su vasta scala e di produzione standardizzata. [Babbage C. (1834) Sulla economia delle macchine e delle manifatture, Guglielmo Piatti, Firenze, pp. 91-93].
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porta alla sua modifica progressiva e al suo miglioramento13. Questo approccio è particolarmente importante e degno di essere menzionato in questa sede per l’influenza che ha avuto sul pensiero di colui che per primo si è dedicato allo studio sistematico dell’innovazione e degli effetti che questa ha prodotto sulle moderne economie industriali: l’economista austriaco Joseph Schumpeter.
1.2 Sviluppo e innovazione: le teorie economiche di Joseph Schumpeter e Jacob Schmookler.
Il contributo più originale che Schumpeter ha dato alla teoria economica riguarda la concezione dello sviluppo, anche se lo scopo primario dei suoi lavori consiste nello studio della dinamica del sistema economico capitalistico e non dell’innovazione fine a se stessa. Sebbene la sua teoria discenda profondamente da quella di Walras, economista da lui molto stimato, fin dalle prime pubblicazioni emerge come Schumpeter non accettasse di ridurre il funzionamento dell’intero sistema economico ad un semplice, ma irreale, modello statico, in cui i prodotti scambiati rimangono sempre gli stessi e le strutture economiche non cambiano. Nella Teoria dello sviluppo economico (1934, Theorie der wirtschaftlichen Entwicklung) Schumpeter scrive che la teoria walrasiana del flusso circolare, che è volta a dimostrare l’esistenza e la stabilità dell’equilibrio, non è adatta a spiegare il fenomeno dello sviluppo economico, dal momento che le variabili endogene al modello vengono distinte da quelle esogene e queste ultime si assumono date. Nell’ottica walrasiana, infatti, una variazione delle variabili esogene determina uno spostamento dell’equilibrio e tramite gli esercizi di statica comparata si possono confrontare punti di equilibrio diversi, ma non si prendono in considerazione le cause che determinano tali variazioni. Al contrario, secondo Schumpeter, bisogna ammettere un approccio dinamico in cui la nuova figura dell’imprenditore introduce
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nuovi prodotti, sfrutta a proprio vantaggio le innovazioni tecnologiche, crea nuovi mercati e modifica la struttura organizzativa della produzione.
Schumpeter fornisce anche una definizione di sviluppo economico precisando che è vero che la vita economica cambia in seguito a modificazioni delle variabili esogene alle quali essa tende ad adattarsi, ma è altrettanto vero che a questo cambiamento economico se ne affianca un altro che non si origina a partire dai dati esterni, bensì scaturisce proprio dall’interno del sistema stesso: soltanto questo mutamento della vita economica è sviluppo14. Lo sviluppo, essendo la causa di numerosi e importanti fenomeni economici, è l’elemento principale degno di costituire la base di una nuova teoria economica:
La forza motrice dello sviluppo economico è la competizione tecnologica che è resa possibile dall’innovazione; Schumpeter ribadisce il ruolo chiave della soddisfazione dei bisogni, affermando che questa costituisce lo scopo di ogni attività produttiva, ma specifica anche che le innovazioni non sono la risposta che il sistema economico dà ai bisogni nuovi che si sono formati nelle menti dei consumatori. Nella teoria del flusso circolare i bisogni possono essere considerati una forza autonoma e potente che agisce nel sistema economico, ma questa prospettiva deve essere abbandonata quando viene accolta la teoria del cambiamento e quindi in questo caso il processo logico diventa quello contrario: è il produttore che di regola inizia il cambiamento economico e i consumatori, se necessario, sono da lui educati15. Ecco che con le dovute premesse si comprende come lo sviluppo sia determinato dall’introduzione di nuove combinazioni di fattori produttivi che non giungono mediante adattamenti delle combinazioni precedenti e che generano cinque categorie di innovazioni:
14 Non c’è nessuna relazione tra il cambiamento del sistema economico causato dalla modificazione
delle variabili esogene e quello provocato dalle variabili endogene. Le variabili esterne al sistema vengono paragonate alle vecchie diligenze, mentre le altre, certamente più importanti e significative, alla ferrovia, simbolo di modernità e progresso; diventa ancor più chiaro, quindi, che soltanto i cambiamenti scaturenti dall’interno del sistema siano portatori di una sorta di valore aggiunto che è, appunto, lo sviluppo.
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1. Produzione di un nuovo bene, la cui novità si ritrova o in un miglioramento nella qualità e/o nelle caratteristiche del bene rispetto alla “versione” precedente, oppure nella realizzazione di un bene che prima non esisteva.
2. Introduzione di un nuovo metodo di produzione. Il nuovo processo produttivo potrebbe essere di uso comune in un’industria diversa, ma non deve essere mai stato utilizzato in quella in questione; inoltre, non deve fondarsi per forza su una scoperta scientifica precedente e potrebbe anche consistere in una diversa modalità di vendita del bene.
3. Apertura di un nuovo mercato. Questo potrebbe avvenire tramite la penetrazione di un particolare ramo dell’industria in un paese in cui tale ramo non c’era, sia che il mercato generale di riferimento esistesse già oppure no.
4. Conquista di una nuova fonte di approvvigionamento di materie prime e di semilavorati, sia nel caso in cui tale fonte di approvvigionamento esista già sia che si debba crearla.
5. Attuazione di una riorganizzazione di una qualsiasi industria, come la creazione di un monopolio o la sua distruzione16.
Schumpeter presenta anche la distinzione tra invenzione e innovazione: la prima è un’idea geniale, qualcosa di radicalmente nuovo concepito da un singolo ricercatore o inventore, ma senza fini commerciali, di lucro o competitivi; l’innovazione, invece, ha un impatto economico rilevante, essendo il risultato di un insieme di decisioni volte a conferire ad un’idea un’applicazione pratica da cui scaturirà un profitto. L’invenzione viene ascritta a puro fenomeno scientifico o tecnologico, l’innovazione, invece, è l’elemento dinamico che rompe la staticità del flusso circolare. Ci può essere innovazione senza nessun tipo di invenzione e le nuove invenzioni, da sole, non provocano nessun impatto economicamente rilevante. Usando la terminologia ideata dell’economista austriaco si chiamerà impresa l’introduzione di nuove combinazioni nel mercato e gli imprenditori saranno quei soggetti economici la cui funzione consiste nell’introdurle. Per
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trasformare un’invenzione in innovazione l’imprenditore deve essere capace di combinare diversi tipi di conoscenze, capacità, competenze e risorse; da qui risulta evidente che il ruolo dell’innovatore e quello dell’inventore sono estremamente differenti. Con l’innovazione l’impresa genera un profitto temporaneo, a meno che il potere economico ottenuto non sia tale da farle ottenere un monopolio duraturo, ma questa è una condizione che raramente si verifica nella realtà; la conseguenza è che per riuscire a sopravvivere nell’arena competitiva bisogna costantemente produrre nuove innovazioni.
La non uniformità temporale del flusso delle innovazioni rende possibile spiegare l’alternarsi di fasi espansive e recessive nel ciclo economico17; infatti, se le innovazioni venissero introdotte ad un ritmo costante l’andamento dell’economia non sarebbe caratterizzato da periodi di espansione e di recessione. Nella realtà le innovazioni si concentrano tutte in alcuni periodi di tempo, contribuendo così ad una rapida crescita del sistema economico; alle fasi espansive seguono altre fasi di tipo recessivo in cui il sistema torna nella posizione di equilibrio, ma tale equilibrio non è uguale a quello precedente, bensì è mutato in seguito al processo di innovazione, salendo ad un livello superiore18.
Anche Jacob Schmookler ha dato un contributo fondamentale allo studio del tema dell’innovazione e del relativo progresso tecnico, ma ha anche stabilito quali sono i fattori che generano il progresso tecnologico, tra i quali emergono le invenzioni; inoltre, secondo l’economista americano, capire che cosa può essere compreso nella definizione di invenzione aiuta a determinare chiaramente quali prodotti e/o processi produttivi possono essere brevettati e quali invece no19.
17 Schumpeter J. A. (1939) Business cycles. A theoretical, historical and statistical analysis of the capitalist process, McGraw-Hill, New York.
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Il ciclo economico è composto da quattro fasi – espansione, recessione, depressione, ripresa – che, a seconda dell’importanza delle innovazioni prodotte, danno origine a onde più o meno lunghe. Le innovazioni epocali, come la macchina a vapore, si susseguono a cicli lunghi (circa di cinquanta anni), quelle di importanza intermedia a cicli più brevi e così via.
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Per quanto riguarda il grande tema dell’innovazione alla metà degli anni Sessanta in una delle sue opere più importanti Schmookler (1966, Invention and economic growth), avendo definito con la parola tecnica il metodo di produzione di un dato bene o servizio, sostiene che si manifesti un cambiamento tecnico quando un’impresa inizia a produrre un bene o un servizio utilizzando un metodo di produzione o delle materie prime che sono del tutto nuove per lei. Da ciò deriva che la prima impresa che mette in atto un cambiamento tecnico è un’impresa innovatrice e la sua azione è l’innovazione; invece, un’impresa che realizza lo stesso cambiamento tecnico, ma in un momento successivo, è un’imitatrice e la sua azione è l’imitazione.
Diverse dalle innovazioni sono le invenzioni, le quali sono state distinte dall’economista rispetto agli altri fenomeni ad esse collegati. In modo specifico è opportuno distinguere, da un lato, le invenzioni dalle altre tipologie di conoscenza tecnologica e, dall’altro, l’attività inventiva dalle altre attività volte alla produzione di tecnologia (technology-producing activities).
In primo luogo, quindi, si considera la composizione della tecnologia, che costituisce la sovrastruttura risultante dall’interazione di quattro elementi distinti, vale a dire la scienza applicata, la conoscenza ingegneristica, le invenzioni e le sub-invenzioni.
La scienza applicata si compone di tutte le generalizzazioni, usate nell’industria e relative a come sono le cose, che possono prendere la forma di leggi, teorie, evidenze empiriche sui fatti naturali o sull’operato dell’uomo. Anche la conoscenza ingegneristica è formata dalle generalizzazioni appena descritte, con la sola differenza che in questo caso esse si riferiscono a come una classe di beni economici, per esempio un ponte o dei motori elettrici, può essere realizzata o al modo in cui una classe di processi tecnici industriali, come le reazioni elettrolitiche o la corrente elettrica, può essere controllata dall’uomo. Si deduce quindi come l’insieme generale di conoscenze costituito dalla scienza applicata e dalle conoscenze ingegneristiche sia incluso nella tecnologia, in quanto entrambe si
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formano a partire dalle generalizzazioni, nel primo caso orientate verso l’apprendimento, nel secondo verso il controllo. Se da un lato la conoscenza ingegneristica ha a che fare con classi di prodotti o processi, dall’altro le invenzioni e le sub-invenzioni si riferiscono a prodotti o processi individuali.
L’invenzione è un prodotto realizzabile, o un processo fattibile, nuovo da non risultare ovvio ad un esperto del settore, considerando il livello di conoscenze tecniche raggiunte in quel campo nel momento storico in cui l’idea è sorta. Le sub-invenzioni, invece, nascono a partire da cambiamenti ovvi in un prodotto o in un processo, cambiamenti che possono essere determinati sia attraverso applicazioni diverse della conoscenza ingegneristica sia grazie alle abilità tecniche di lavoratori, utilizzatori o artigiani che provvedono a modificare un bene o un processo produttivo per renderlo migliore e/o più funzionale allo scopo per cui è stato creato. Da un punto di vista più concreto l’economista americano spiega che la distinzione tra un’invenzione e una sub-invenzione corrisponde a quella tra un prodotto (o processo) nuovo che potrà essere brevettato e un altro, che sebbene possa essere caratterizzato da elementi di novità, non otterrà il brevetto20.
A questo punto Schmookler è in grado di definire il progresso tecnologico come l’aggiunta di nuova conoscenza in una qualsiasi delle quattro categorie sopra descritte; dunque, la prospettiva si allarga in quanto non solo le invenzioni, ma anche i miglioramenti nella scienza applicata, nell’ingegneria e nelle sub-invenzioni costituiscono progresso tecnologico.
Le invenzioni e le sub-invenzioni sono i payoff, cioè i risultati dell’attività inventiva, vale a dire gli elementi con cui i progressi scientifici e ingegneristici possono incidere direttamente sull’attività economica; è proprio in questo senso che
20 Schmookler precisa che la brevettabilità di un’invenzione dipende dal fatto che essa sia qualcosa che
scaturisce ex-novo dalla mente umana e non la scoperta di qualcosa che già esiste, ma che è rimasto sconosciuto fino a quel momento. Nel seguito dell’analisi si comprende anche che il progresso tecnologico non implica necessariamente la possibilità di ottenere il diritto di brevetto, essendo questo un fenomeno più ampio che si lega sì alle invenzioni, ma anche alla relazione che si instaura con le sub-invenzioni, con la conoscenza ingegneristica e con la scienza applicata.
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spesso si parla di conoscenza scientifica e ingegneristica come di prodotti intermedi e di invenzioni e sub-invenzioni come di prodotti finali.
La distinzione tra attività inventiva e attività technology-producing è abbastanza semplice da comprendere, essendo la prima ricompresa nel gruppo più ampio delle seconde, insieme all’attività di ricerca e a quella di sviluppo. Di questi termini soltanto il primo può essere considerato in un’accezione generale, dato che la ricerca identifica il processo di creazione sistematica di nuova conoscenza, scientifica o ingegneristica, relativa ad una particolare classe di fenomeni.
Il termine sviluppo ha due significati; in genere viene utilizzato per identificare l’iter di creazione di un nuovo prodotto o processo, che va dalla fase iniziale della concettualizzazione dell’idea a quella finale della messa in produzione; questo significato è abbastanza curioso perché in genere ci si aspetta di essere di fronte al fenomeno dello sviluppo solo dopo che la cosa che deve essere sviluppata viene creata. L’altro significato, invece, limita il termine sviluppo ai miglioramenti che vengono apportati ad un’idea già precedentemente realizzata e concretizzata in un prodotto specifico.
Attività inventiva, invece, può designare un qualunque sforzo volto alla produzione di tecnologia, oppure può avere un significato confinato in modo specifico al lavoro che serve per arrivare alla produzione di un nuovo prodotto o processo; il secondo significato, quindi, da un lato esclude la ricerca, che attiene alla scoperta di proprietà nelle classi di oggetti, dall’altro esclude lo sviluppo che si manifesta in seguito all’invenzione, sviluppo che ha lo scopo di perfezionare e raffinare l’invenzione individuale già esistente.
L’economista si dedica anche alla ricerca delle determinanti delle invenzioni e sostiene che ogni invenzione è una nuova combinazione di conoscenza preesistente che soddisfa qualche bisogno.
Parlando di nuova combinazione si mettono in luce le caratteristiche dell’inventore, che sono fondamentali per portare un’invenzione a compimento; infatti, per essere in grado di creare un prodotto o un processo talmente nuovo da
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non risultare ovvio l’inventore deve essere in possesso di abilità straordinarie, di motivazione e di risorse tali da concedergli anche la possibilità di avere, talvolta, il cosiddetto lampo di genio. Mentre il primo elemento della definizione (la nuova combinazione) fa perno su una serie di componenti che possono essere definite “individuali”, gli altri due sono accomunati dal fatto di scaturire da “forze sociali”; la conoscenza preesistente, infatti, è parte dell’eredità intellettuale della società, nel senso che è costituita da tutte le invenzioni realizzate nel passato e che fungono da base conoscitiva ormai acquisita su cui delineare le invenzioni future. I bisogni da soddisfare possono essere materiali o psicologici, passeggeri o permanenti, ma comunque trovano fondamento nelle dinamiche della società, dalle quali spesso vengono anche condizionati.
Without wants no problems would exist. Without knowledge they could not be solved21: questa citazione esprime il nesso tra bisogni e conoscenza che insieme fanno emergere nuovi problemi e nuove insoddisfazioni; tutto ciò si può risolvere soltanto con un’invenzione, la cui introduzione avviene progressivamente in sei tappe:
1. L’entrata dell’invenzione all’interno del potenziale inventivo, cioè dell’insieme di tutte le possibili invenzioni realizzabili in un dato periodo di tempo all’interno di una specifica società.
2. L’acquisizione, da parte di un potenziale inventore, dell’ultimo tassello di conoscenza di cui ha bisogno per realizzare l’invenzione.
3. La determinazione degli effetti che l’invenzione produrrà. 4. La decisione di realizzare l’invenzione.
5. La definizione dell’idea di base su cui si fonda l’invenzione. 6. La realizzazione dell’invenzione.
La macchina a vapore può essere considerata uno dei primi congegni realizzati in cui convergono i concetti di invenzione e innovazione. Il termine invenzione si è
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consolidato nel corso del tempo all’interno […] della storia degli artefatti e delle pretese di originalità degli inventori22. All’inizio del diciannovesimo secolo la diffusione delle leggi sui brevetti in Europa e negli Stati Uniti ha finito col mettere a punto la tradizione definendo l’inventore come l’individuo a cui sono stati riconosciuti i diritti legali su un progetto da lui ideato. All’analisi di questo tema si sono dedicati molti studiosi, tra i quali emerge lo storico Abbott Payson Usher che, in linea con l’opinione corrente, ha definito l’invenzione come il risultato di un’intuizione che va al di là dell’esercizio delle normali abilità tecniche, benché essa, affinché possa essere realizzata, necessiti anche di attività addizionali quali la percezione del problema, la definizione dello scenario e la revisione critica. Il termine innovazione, invece, come già abbiamo avuto modo di notare, deriva principalmente dalla tradizione economica di importanti studiosi come Schumpeter e Schmookler, che si sono dedicati ad analizzare le forze da cui scaturisce l’attività innovativa, senza però preoccuparsi dell’origine in senso stretto delle innovazioni.
Nello studio di Frederic Scherer (1984, Innovation and growth. Schumpeterian perspectives) sulla macchina a vapore Watt-Boulton l’economista integra per la prima volta il concetto usheriano di invenzione, riferito al comportamento dell’inventore James Watt, e quello schumpeteriano di innovazione, attribuito, invece, all’innovatore Matthew Boulton23.
Nel 1712 Thomas Newcomen fu autorizzato a costruire e a vendere la macchina da lui ideata e conosciuta come macchina a pressione atmosferica, l’antenata della più celebre macchina a vapore creata successivamente da James Watt. Il congegno di Newcomen era costituito da una pompa a pistone che veniva azionata da un motore a vapore a condensazione interna ed è considerato il primo esempio di macchina capace di trasformare l’energia chimica in energia meccanica.
22 Staudenmaier J. (1988) I cantastorie della tecnologia. Ritessere l’umana convivenza?, Jaca Book,
Milano, p. 45.
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Quasi cinquant’anni più tardi Watt, con l’obiettivo di ridurre le consistenti perdite di vapore delle macchine, giunse all’ideazione di un condensatore separato dal cilindro; era nata così la macchina a vapore: in three days, I had a model at work nearly as perfect […] as any which have been made since that time24.
La commercializzazione dell’opera avvenne soltanto in seguito alla fondazione dell’azienda Boulton & Watt, che sancì l’inizio della collaborazione tra le due personalità; il motivo che aveva spinto Boulton ad investire nel progetto della macchina a vapore era che egli aveva ritenuto il trovato idoneo a risolvere un problema che periodicamente si verificava nelle sua fabbrica a Soho25.
Dall’analisi storica degli avvenimenti Scherer conferma che il ruolo di James Watt è stato veramente quello dell’inventore, dal momento che egli ha creato la macchina a vapore a partire da un’idea geniale; Boulton, invece, è un innovatore perché ha fondato una nuova impresa incentrata sulla produzione di un nuovo bene e ha dimostrato uno spiccato senso degli affari. Infatti, mentre Watt perfezionava la sua invenzione nel laboratorio di casa, Boulton dirigeva l’impresa a Soho; Watt non era portato a dialogare con le banche e difficilmente riusciva a trovare finanziatori, Boulton, invece, aveva un atteggiamento molto propenso al rischio; ma il divario maggiore tra i due individui, che sta proprio alla base della differenza tra i termini inventore e innovatore, risiede nel fatto che Boulton, nei suoi piani, aveva previsto di diffondere la macchina a vapore in tutto il mondo, mentre Watt si accontentava soltanto di beneficiare di un reddito modesto dalla sua invenzione, con pochi rischi e nessun problema. Cambiando prospettiva, si ravvisa in Watt l’attitudine mentale di uno scienziato piuttosto che di un artigiano, dato che egli aveva tenuto in considerazione tutte le possibili alternative, in modo da essere sicuro che quelle dalle quali non sarebbe scaturita nessuna soluzione adeguata avrebbero potuto essere scartate con facilità.
24 Watt J. (1795) Letter, Watt to the Chief Justice of Common Pleas, citato in Scherer, Innovation and growth, cit. p. 10.
25 La scarsità d’acqua presente in estate rendeva inattive le ruote idrauliche e per spingerle si dovevano
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L’attività tecnica messa in atto tra il 1765 e il 1780 comprendeva l’uso di nuovi materiali e utensili, non solo per risolvere problemi tecnici e meccanici, ma anche per semplificare la fabbricazione delle componenti, per allungarne la durata, per evitare di acquistarle da terzi a prezzi troppo elevati, per aumentare l’efficienza di lavoro delle macchine, e così via. Questo tipo di lavoro non aveva coinvolto soltanto Watt, ma anche Boulton e un ampio numero di abili artigiani che avevano il compito di creare, fabbricare e testare nuovi modelli; per questo si può dire che i locali della Boulton & Watt a Soho durante la fine del ‘700 anticipano chiaramente i laboratori di ricerca e sviluppo fioriti nel secolo successivo che caratterizzano ancora l’assetto della ricerca nelle imprese moderne.
Queste premesse permettono a Scherer di spingersi oltre rispetto ai modelli di Usher e Schumpeter, affermando che nel processo cha dà origine al cambiamento tecnologico un complemento necessario all’invenzione e all’innovazione è lo sviluppo. Infatti, l’invenzione e l’innovazione sono entrambe necessarie al progredire della tecnologia, ma serve un termine intermedio che integri i due modelli precedenti: lo sviluppo è questo elemento intermedio e assume significato soltanto se viene messo in relazione con i primi due.
Si origina in questo modo il modello invenzione-sviluppo-innovazione: per rendere disponibili ed utilizzabili nuovi prodotti o processi, c’è bisogno di un lungo periodo di aggiustamento durante il quale l’invenzione viene migliorata, gli errori vengono corretti, la tecnica viene perfezionata in modo da poterla adattare alle richieste specifiche di ogni cliente; così il nuovo prodotto/processo può essere realizzato e questo può avvenire persino ad un costo basso. Affinché l’invenzione si trasformi in un’innovazione, quindi, deve esserci lo sviluppo, cioè deve passare un periodo di tempo in cui si effettuano dei miglioramenti sull’idea iniziale; in questo modello il termine intermedio delimita i confini concettuali degli altri due e tale vicinanza terminologica migliora la comprensione delle dinamiche del modello
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stesso e si mett[ono] […] a fuoco sia l’intuizione inventiva che le strategie imprenditoriali26.
1.3 Paradigmi tecnologici e teorie evolutive.
Nell’ambito della letteratura contemporanea sul progresso economico si sono creati due filoni di studio cui appartengono le teorie del cambiamento tecnico: le teorie demand-pull e quelle technology-push. Tale distinzione viene fatta in base al grado di autonomia dell’attività innovativa rispetto ai cambiamenti di breve periodo che si manifestano nell’ambiente economico. I modelli che si ispirano al primo gruppo sono quelli in cui le variabili di mercato determinano la direzione del progresso tecnico, mentre nel caso delle teorie technology-push sono i progressi nella scienza e la tecnologia che portano allo sviluppo delle innovazioni.
Le teorie demand-pull prevedono un approccio alquanto rudimentale al fenomeno del cambiamento tecnico, in quanto si basano sul concetto di black box: nel mercato, dunque, esistono scatole nere di possibilità tecnologiche prontamente disponibili e utilizzabili ogni volta che le condizioni di mercato lo richiedono. I cambiamenti nei processi e nei prodotti avvengono in maniera meccanica e il progresso tecnologico diventa una variabile dipendente nel breve periodo. Si tratta di modelli che di fatto sono molto lontani dalla realtà e che non permettono di dare una spiegazione soddisfacente alle innovazioni radicali che creano delle fratture rispetto alla realtà precedente.
Le teorie technology-push, invece, considerano la tecnologia come un fattore (quasi) autonomo, ma comunque totalmente indipendente dalle forze presenti nell’ambiente economico che ne influenzano il cambiamento; in questo approccio scompare del tutto il ruolo chiave delle variabili economiche nella determinazione della direzione e del tasso del progresso tecnico, al punto tale che in alcune forme
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estreme di teorie technology-push, ipotizzando una relazione causale ad una via (dalla scienza alla tecnologia all’economia), viene trascurata l’importanza intuitiva di alcuni fattori economici nel formare la direzione del cambiamento tecnico.
Rispetto alla teoria economica tradizionale Giovanni Dosi (2000, Innovation, organization and economic dynamics. Selected essays) dà una definizione più ampia di progresso tecnico e ritiene che la tecnologia sia composta da un insieme di conoscenze pratiche e teoriche, competenze, metodi, procedure, esperienze di successo e fallimento, congegni fisici e attrezzature27.
Lo studioso si spinge oltre suggerendo che in analogia con i paradigmi scientifici (o programmi di ricerca scientifica) esistono anche dei paradigmi tecnologici (o programmi di ricerca tecnologica); l’analogia sta proprio nel fatto che entrambi i paradigmi incorporano una visione, una definizione dei problemi rilevanti, un modello di indagine e di progresso.
Un paradigma tecnologico è un modello di soluzione di problemi tecnologici selezionati, basato su principi selezionati derivanti dalle scienze naturali e su tecnologie materiali selezionate; quindi esso definisce i bisogni o le richieste che intende soddisfare, le conoscenze scientifiche che servono a questo scopo e la tecnologia materiale che si dovrà utilizzare. Proseguendo con l’analogia si evince che se la scienza è l’attualizzazione di una promessa contenuta in un paradigma scientifico, il progresso tecnico costituisce la concretizzazione di una promessa contenuta in un paradigma tecnologico. Ciò significa che tali paradigmi circoscrivono le opportunità tecnologiche per gli innovatori futuri, definiscono le procedure da seguire per sfruttare al meglio tali opportunità e indirizzano i loro sforzi in certe direzioni piuttosto che in altre.
La traiettoria tecnologica è l’attività di normale problem solving determinata da un paradigma e può essere rappresentata dal movimento del trade-off tra le
27 Dosi G. (2000) Innovation, organization and economic dynamics. Selected essays, Edward Elgar
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variabili tecnologiche che il paradigma stesso definisce come rilevanti. Alla luce di ciò il progresso è il miglioramento di questo trade-off28.
Un altro contributo fondamentale apportato da Dosi (2004, L’interpretazione evolutiva delle dinamiche socio-economiche) riguarda l’interpretazione evolutiva della crescita economica29. I sistemi in evoluzione sono caratterizzati dall’emergere continuo di novità; in biologia tali novità sono meglio conosciute con il nome di mutazioni e riguardano i cambiamenti radicali che si realizzano nelle popolazioni a livello genetico ed ecologico. Anche nell’ambiente socio-economico si ravvisa la presenza di mutazioni che consistono nei cambiamenti e nelle innovazioni prodotte dalle società contemporanee a livello organizzativo, tecnologico e istituzionale.
Secondo la teoria evolutiva i comportamenti di individui e organizzazioni si mantengono inalterati nel tempo nel senso che in ogni specifico contesto esistono dei repertori comportamentali da mettere in atto di volta in volta. Gli individui agiscono in base alle regole che costituiscono la risposta a domande come: “cosa è appropriato fare per un cittadino/professore/operaio ecc… nelle circostanze in cui mi trovo?”; anche le imprese hanno delle procedure comportamentali codificate: “cosa fare quando i margini operativi scendono”, “cosa fare per penetrare un nuovo mercato”. Appare evidente quindi la differenza con l’economia tradizionale neoclassica secondo cui tali comportamenti sono il risultato di un processo di massimizzazione che l’individuo razionale compie in base ai vincoli presenti e alle informazioni di cui dispone. Queste considerazioni sono importanti perché ci permettono di comprendere come nel mondo in cui viviamo ci siano costantemente delle opportunità innovative non sfruttate che trovano giustificazione nel fatto che i comportamenti messi in atto da individui e organizzazioni non seguono una logica ottimizzante.
28 Ibidem, p. 48.
29 Dosi G. (2004) “L’interpretazione evolutiva delle dinamiche socio-economiche” Laboratory of
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Sebbene si tratti di una teoria tuttora in fieri e non ancora pienamente consolidata, resta fermo il fatto che lo sviluppo è trainato dal progresso tecnico, in cui le tecnologie, le forme organizzative e le istituzioni evolvono insieme e traggono dei miglioramenti ognuna dai progressi dell’altra.
I processi evolutivi sono due e interagiscono tra loro: uno riguarda l’evoluzione delle tecnologie e l’altro l’evoluzione delle imprese. Queste ultime svolgono un ruolo fondamentale nel sistema economico, in quanto imprese diverse sono dotate di abilità e capacità differenti e le partite competitive che si giocano nel mercato contribuiscono a diffondere e a integrare diverse conoscenze, tecniche e comportamenti. In questo scenario un ruolo attivo è detenuto anche dalle istituzioni, come per esempio le università o i laboratori pubblici di ricerca, che possono far pendere l’ago della bilancia in una direzione o in un’altra, influenzando direttamente i tassi di apprendimento scientifico e tecnologico.
1.4 Il progresso tecnologico nella storiografia tra micro e macro invenzioni.
Gli storici economici hanno dato un grande impulso allo sviluppo delle teorie della crescita, grazie anche all’approccio metodologico tipico della storiografia, che in molti casi si è rivelato complementare rispetto a quello dell’economia30
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Il cambiamento tecnologico nel corso della storia è scaturito da quelle idee che si manifestavano in modo imprevedibile e le condizioni di domanda possono aver
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Lo storico Carlo Maria Cipolla ha evidenziato la diversità negli atteggiamenti che caratterizzano gli studiosi delle due discipline: stimolato dall’ansia di individuare paradigmi operativi, l’economista è portato
a limitare il numero delle variabili da prendere in considerazione, e a prendere in esame soltanto quelle variabili che possono dimostrare certe regolarità nei loro rapporti di associazione e che sembrano riflettere comportamenti predicibili e razionali. [Lo storico invece] prende in considerazione tutte le variabili, tutti gli elementi, tutti i fattori in gioco. E non solo le variabili e i fattori economici. Lo storico deve includere nella sua analisi le istituzioni giuridiche, le strutture sociali, le caratteristiche culturali, le istituzioni politiche, sia per l’impatto che tali istituzioni e strutture ebbero sulla performance dell’economia studiata, sia, in senso opposto, per l’impatto che la situazione economica ebbe su dette strutture e su dette istituzioni, [Cipolla C. M. (2000) Introduzione allo studio della storia economica, Il Mulino, Bologna, p. 20].
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influenzato il ritmo a cui esse si presentavano, ma non possono essere considerate il solo elemento che ha determinato o meno la creatività tecnologica di una società. Se per spiegare il livello globale della creatività tecnologica si considerassero solo i fattori di domanda si cadrebbe in un ragionamento circolare. La domanda, infatti, è condizionata dal reddito e il reddito può aumentare per diversi motivi, come l’aumento della popolazione, il miglioramento delle condizioni economiche, oppure grazie ad eventi naturali come il passaggio a condizioni climatiche più favorevoli. Oltre a questi fattori, un altro elemento di fondamentale importanza che ha inciso fortemente sul livello dei redditi è stato il cambiamento tecnologico: la tecnologia condiziona il reddito, non il contrario.
I processi di innovazione richiedono costi elevati che vengono subiti dalla società, sia che si tratti di cambiamenti con conseguenze non sostenibili per l’ambiente, sia nel caso in cui essi siano un beneficio per la comunità. Il costo totale sostenuto per introdurre una tecnica nuova è formato da due componenti: i costi privati sostenuti dagli inventori e i costi sociali sostenuti dalla collettività; in genere i secondi sono sempre di gran lunga maggiori dei primi. Nonostante la presenza di tali costi sono molte le società che hanno sperimentato il progresso tecnologico e tra queste l’Occidente è quella che ha saputo trarne i maggiori benefici e che è stata in grado di alimentarlo grazie ad un crescendo continuo di invenzioni; quella occidentale, dunque, è stata il principale esempio di società tecnologicamente creativa.
Lo storico economico Joel Mokyr (1990, The lever of riches. Technological creativity and economic progress) definisce le società tecnologicamente creative in questo modo:
Nel passato, come nel presente, si possono definire società tecnologicamente creative quelle società che generarono innovazioni i cui benefici resero trascurabili i costi d’invenzione e sviluppo, producendo così un pasto gratis 31.
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Il manifestarsi di un evento senza precedenti come la Rivoluzione industriale ha fatto pensare a molti studiosi che la più grande invenzione del diciannovesimo secolo sia stata il come inventare: approcci teorici migliori, misurazioni più precise e strumenti più accurati hanno ridotto l’importanza e la presenza di scoperte fortuite e casuali.
Spesso, però, il progresso tecnologico è stato frenato da atteggiamenti di conservatorismo, che si sostanziano nella tendenza ad utilizzare una determinata tecnica soltanto perché questa è in uso da molto tempo ed è quindi consolidata. Sono stati distinti un conservatorismo personale e uno collettivo. Il primo coincide con il concetto ampiamente utilizzato dagli economisti di razionalità limitata, che si risolve nell’incapacità dell’individuo di prendere in considerazione tutte le informazioni disponibili, con la conseguenza di non poter effettuare la scelta migliore tra le possibili alternative. Di fronte al progresso tecnologico l’uomo ha una razionalità limitata nel senso che il passaggio ad una tecnica nuova comporta la valutazione di una serie di informazioni complesse e la scelta tra alternative solo lievemente differenti genera dei cambiamenti talmente piccoli che il risultato è la tendenza a mantenere lo status quo, cioè la situazione che esisteva prima del verificarsi di quel cambiamento. Il conservatorismo collettivo si può manifestare anche in una società i cui individui sono fortemente orientati al progresso; infatti, questo atteggiamento si diffonde quando nella società ci sono dei gruppi organizzati che hanno convenienza a mantenere lo status quo, ostacolando la diffusione di alternative di gran lunga superiori.
L’invenzione è un prodotto individuale, ma è la società che spinge gli inventori a realizzare una nuova tecnologia, a migliorarla, ad adattarla; è proprio quando si manifesta questa interazione tra individuo e società che il cambiamento tecnologico viene trasformato da invenzione a innovazione.
Per capire il modo in cui nasce e si diffonde il cambiamento tecnologico alcuni storici, tra cui Cipolla e Mokyr, ed economisti, come Marx e molti altri dopo di lui, hanno suggerito di analizzare tale cambiamento considerandolo come un processo
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in evoluzione32 e per rendere più chiaro l’argomento hanno proposto un’analogia33 tra questo cambiamento e la biologia. Infatti, tale paragone risulta utile per comprendere a fondo gli aspetti dinamici del progresso tecnologico e per capire se quest’ultimo avviene in modo graduale oppure attraverso grandi mutamenti improvvisi.
Procedendo con l’analogia, possiamo assimilare l’invenzione, cioè la comparsa di una nuova tecnica, alla comparsa di una nuova specie (speciazione), in quanto le idee nuove, siano esse di tipo scientifico, culturale o tecnologico, sono sottoposte ad un processo di selezione. Le idee di successo, infatti, sono quelle che hanno saputo adattarsi ai bisogni della società e che quindi sono in grado di sopravvivere moltiplicandosi più velocemente a discapito delle idee più deboli, come accade in genere agli esseri viventi; focalizzandoci sul progresso tecnologico si evince, dunque, che le tecniche migliori da riprodurre sono quelle che, dati i prezzi e i livelli dei fattori produttivi, che a loro volta determinano la qualità totale del bene, sono in grado di produrre tali beni al costo più basso.
Sono proprio le idee inventive che danno origine al cambiamento tecnologico, infatti in assenza di progresso l’informazione tecnica passerebbe da una generazione all’altra mantenendosi inalterata. Tali idee possono nascere in maniera casuale o meno, ma l’importante è che siano di rottura rispetto alle tecniche correntemente in uso; come avviene in natura non tutte le nuove idee riescono a sopravvivere e a passare ad una fase di maturità: riescono in tale processo soltanto le idee adattive, che verranno riprodotte e costituiranno la base conoscitiva adatta a generare nuovi mutamenti.
32 Il termine evoluzione possiede due distinti significati: il primo si riferisce ad un cambiamento
graduale ma continuo, mentre il secondo chiama in causa un “modello dinamico regolato da processi di mutamento e selezione” [Mokyr, 1990]. Le teorie moderne del cambiamento evolutivo sono orientate prevalentemente al secondo significato e per spiegare tale fenomeno considerano gli effetti provocati dalle catastrofi e dagli eventi che producono cambiamenti drastici nel mondo e che portano a nuovi e imprevedibili
steady state. Quest’ultimo concetto è molto utilizzato in ambito economico per identificare una crescita
costante, uniforme e prevedibile che in termini dinamici corrisponde al concetto statico di equilibrio.
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Questo modo di ragionare ci permette di distinguere senza errore le invenzioni dal loro processo di diffusione: nello stesso momento accanto alla tecnica produttiva migliore ci sono altre tecniche più antiquate che continuano ad essere impiegate, ma col passare del tempo le ultime scompariranno e verranno sostituite del tutto dalle prime, sottostando in modo ineluttabile alle regole di un processo competitivo che equivale al processo di selezione naturale.
Per rispondere all’interrogativo che molti storici economici si pongono sulla modalità in cui avviene il progresso tecnologico, vale a dire se questo si manifesti in maniera graduale oppure se sia il risultato di cambiamenti violenti, si possono utilizzare i concetti di “macro-invenzione” e “micro-invenzione”, che ancora una volta si ispirano ai fenomeni biologici delle “macro e micro-mutazioni”.
La storia è un susseguirsi di periodi di stabilità e di periodi dominati da grandi cambiamenti che vengono provocati dalle cosiddette macro-invenzioni, ovvero invenzion[i] senza una provenienza ben delineata, in quanto rappresenta[no] una chiara rottura rispetto alle tecniche precedenti34. Queste tipologie di invenzioni devono possedere una serie di requisiti, tra cui la fattibilità tecnica, la riproducibilità, la possibilità di essere effettivamente utilizzabili; inoltre, devono essere economicamente fattibili, cioè devono risultare efficienti almeno quanto lo sono le tecniche già in uso; infine, devono avere la fortuna di svilupparsi in un ambiente sociale tollerante che ne promuova la diffusione; infatti, nella storia ci sono stati molti casi di invenzioni radicali che non hanno trovato il favore della società, la quale ne ha ostacolato o ritardato lo sviluppo e in certi casi ne ha determinato persino la distruzione.
Le micro-invenzioni sono piccoli passi incrementali che migliorano, adattano e dinamicizzano le tecniche esistenti già in uso, riducendone i costi, migliorandone forma e funzioni, aumentandone la durata e abbassando il fabbisogno di energia e materie prime35. Queste si possono definire alla luce dei concetti dell’economia
34 Ibidem, p. 400.
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tradizionale, perché sono governate dalle leggi della domanda e dell’offerta, quindi sono influenzate dalle variazioni nei prezzi dei beni e dei fattori produttivi, dai cambiamenti nei livelli di produzione e di occupazione; inoltre, per la loro realizzazione diventano importanti i concetti di apprendimento per esperienza (learning by doing) e di apprendimento per utilizzo (learning by using). Al contrario, le macro-invenzioni sono guidate da individui fortunati e dotati d’acume, oltre che dalle forze economiche; spesso sono il risultato di scoperte fortuite nelle quali l’inventore si è imbattuto per caso, per cui anche la scansione temporale di questi trovati risulta difficile da spiegare.
Macro-invenzioni e micro-invenzioni sono tra loro complementari, nel senso che il ruolo delle macro-invenzioni è quello di costituire la base conoscitiva per lo sviluppo di micro-invenzioni adattive, in modo tale che il prodotto marginale delle piccole invenzioni successive risulti maggiore di quello dell’invenzione primaria; in effetti, è documentato dal susseguirsi degli avvenimenti storici che le invenzioni secondarie producono dei rendimenti maggiori di quanto faccia l’invenzione principale e che in molti casi passa alla storia la micro-invenzione piuttosto che l’idea geniale che ne è alla base: un esempio è quello della macchina a vapore. La macro-invenzione è costituita dall’idea nuova di Newcomen che per primo è riuscito a trasformare l’energia chimica del vapore in energia meccanica, ma ciò che viene ricordato è la micro-invenzione, ovvero il successivo perfezionamento apportato da James Watt al congegno originario che ne ha reso possibile la produzione, l’impiego a livello industriale e la diffusione su scala mondiale. La complementarietà di cui abbiamo parlato non è “a senso unico”; infatti, è vero che senza le macro-invenzioni non ci sarebbe niente da migliorare, ma è vero anche che senza le micro-invenzioni molte invenzioni principali non sarebbero state idonee a produrre vantaggi economici e quindi sarebbero diventate soltanto dei “pezzi da museo”. La superiorità delle macro-invenzioni è sostenuta dagli studiosi che ritengono che il progresso tecnologico sia il frutto di cambiamenti violenti; ci sono, però, altri studiosi che, pur riconoscendo la presenza di tali cambiamenti, ritengono