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Se il 70% della popolazione va a vivere in città

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Academic year: 2021

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IN QUESTO NUMERO

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E 20,00

Periodico Bimestrale - Sped. in Abb. Post. - 45% art 2 comma 20/b legge 662/96 Filiale di Firenze

R i v i s t a f o n d a t a d a E r n e s t o B a l d u c c i

TESTIM

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NIANZE

525-526-527

525-526-527

La città

ecologica

La città ecologica

Severino Saccardi

Una sfida inedita per il pianeta-città

Francesco Alberti, Marco Boato, Enrico Rossi, Dario Nardella

(intervista a cura di Severino Saccardi), Marco Salucci, Stefano Zani,

Simone Morandini, Federico Scarpelli, Pietro Bucciarelli,

Giudalberto Bormolini, Gaspare Polizzi, Chiara Agnoletti e

Stefano Casini Benvenuti, Fausto Ferruzza, Jacopo Bencini,

Sara Nocentini e Simone Siliani, Andrea Bigalli, Roberto Mosi

Città-natura: il binomio del futuro

Silvia Viviani, Mariella Zoppi, Melania Cavelli, Paolo Piacentini,

Giorgio Valentino Federici, Mauro Grassi, Valdo Spini, Giuseppe De Luca,

Paola Zamperlin, Tommaso Pacetti, Elena Farnè e Luisa Ravanello,

Anacleto Rizzo

A scuola di domani

Mauro Perini, Vincenzo Striano,

Andreco (intervista a cura di Irene Innocente e Mario Pagano),

Serena Di Grazia, Francesca Ugolini

La città ecologica

(Volume monografico speciale a cura di Giorgio Valentino Federici,

Miriana Meli, Severino Saccardi, Simone Siliani, Vincenzo Striano,

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Direzione e Amministrazione:

Via Ghibellina, 2/6 50122 Firenze Tel. e fax 055 688180 Cell. 335 5378224

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Severino Saccardi (responsabile)

Condirettore Simone Siliani Comitato di Redazione Maurizio Bassetti Andrea Bigalli Renzo Bonaiuti Luisa Carparelli Alessandro Checcucci Laura Coser Davide De Grazia Fabio Dei

Paola Del Pasqua Pietro Leandro Di Giorgi Franco Farina Leonardo Ferri Simona Giani Andrea Giuntini Mary Malucchi Giulio Mannucci Cristina Martelli

Miriana Meli (caporedattrice) Roberto Mosi Sara Mugnaini Lucio Niccolai Daniele Pasquini Mattia Poggi Mauro Sbordoni Francesco Stella Vincenzo Striano Giorgio Torricelli Giacomo Trentanovi Giuseppe Vettori Stefano Zani Consiglio di Redazione Giovanni Allegretti Federigo Argentieri Orlando Baroncelli Pietro Bucciarelli Matilde Callari Galli Sergio Caruso Andrea Cecconi Mauro Ceruti Bruno D’Avanzo Giuliano Della Pergola

Valerio Del Nero Stefano Girola Sergio Givone Wlodek Goldkorn Franco Graiff Maurilio Guasco Giuseppe Grazzini Samia Kouider Alfredo Jacopozzi Massimo Livi Bacci Claudia Mancina Luigi Manconi Vittorio Mete Pierluigi Onorato Gabriele Parenti Pierangelo Pedani Giannino Piana Giulia Pruneti Ricardo Héctor Rabitti Rodolfo Ragionieri Paolo Ricca Armido Rizzi Giulia Rodano Leonardo Roselli Ermis Segatti Giuliana Sgrena Gianni Sofri Federico Squarcini Franco Toscani Tonino Virone

BIMESTRALE - ANNO LXII

MAGGIO - OTTOBRE 2019 nn. 3-4-5 (525-526-527) RIVISTA EDITA DALL’ASSOCIAZIONE CULTURALE «TESTIMONIANZE» Consiglio Direttivo Giorgio Federici

Giulio Mannucci (Tesoriere) Miriana Meli

Roberto Mosi (Presidente) Severino Saccardi Mauro Sbordoni Simone Siliani Vincenzo Striano

Stefano Zani (Vicepresidente)

Comitato Scientifico

Andrea Bigalli (Presidente) Mauro Ceruti

Massimo Livi Bacci Cristina Martelli Mario Primicerio Aldo Schiavone Francesco Stella

Autorizz. del Tribunale di Firenze con decreto di registrazione nell’elenco periodici n. 1207 del 14 dicembre 1957 ISSN 0040-3989 Progetto grafico: Laura Venturi Impaginazione e fotolito: Saffe

Via San Morese, 12 Calenzano (Firenze)

Stampa:

ABC Tipografia Via di Capalle, 11 50041 Calenzano (Firenze)

«Testimonianze» è associata all’Unione Stampa Periodica Italiana e al Coordinamento Riviste Italiane di Cultura

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Immagine di copertina: Firenze, piazza Cesare Beccaria (foto Miriana Meli)

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UESTONUMERO

La città ecologica

(Volume monografico speciale a cura di Giorgio Valentino Federici, Miriana Meli, Severino Saccardi, Simone Siliani, Vincenzo Striano, Giacomo Trentanovi, Stefano Zani) 5 La città ecologica

Un volume interamente dedicato al tema cruciale del ruolo e del destino della città nel tempo della crisi ambientale. Una città vista come una sorta di Giano bifronte, che ha in sé tutti gli elementi generatori dell’inquinamento ambientale (nell’aria, nell’acqua, nel suolo), ma possiede anche le potenzialità e le risorse per contribuire, in modo

determinante, alla necessaria inversione di rotta. Una riflessione a più voci, com’è nella tradizione di «Testimonianze», animata da considerazioni di ordine filosofico e

antropologico, accompagnate da analisi di tipo scientifico, urbanistico, paesaggistico e di carattere politico ed amministrativo, nonché da esempi concreti relativi al ruolo

dell’educazione e dell’arte nell’affrontare la «questione ecologia». Ne risalta, in chiaroscuro, tutto il quadro problematico della situazione esistente, insieme a spunti positivi nella ricerca di soluzioni alternative e nel coinvolgimento delle giovani generazioni nella presa di coscienza e nell’impegno per la cura del pianeta. 6 Severino Saccardi, Il destino della città del futuro

12 Una sfida inedita per il pianeta-città

13 Francesco Alberti, Se il 70% della popolazione del mondo va a vivere in città 21 Marco Boato, Una «conversione ecologica» come scelta consapevole

27 Enrico Rossi, Toscana: la bellezza di un territorio e le politiche di una Regione

32 Dario Nardella (intervista a cura di Severino Saccardi), Per fare di Firenze una «città verde» 38 Marco Salucci, Per una critica della ragione ecologica

45 Stefano Zani, Cultura liberale, visione autoritaria e sfida ecologista 55 Simone Morandini, La cultura della città e la lezione della Laudato sì’ 62 Federico Scarpelli, E se anche la città fosse un «ecosistema»?

68 Pietro Bucciarelli, Ecologia (urbana): una sfida sul terreno della modernità

74 Giudalberto Bormolini, La saggezza degli antichi e la costruzione della città nuova 81 Gaspare Polizzi, Una rivoluzione antropologica per una «città felice»

88 Chiara Agnoletti e Stefano Casini Benvenuti, Verso la «sostenibilità»: centri urbani in

transizione

94 Fausto Ferruzza, Economia circolare: la scommessa delle città

100 Jacopo Bencini, Ambivalenza del ruolo delle città nel tempo della sfida climatica

106 Sara Nocentini e Simone Siliani, «Gentrificazione», overtourism e metamorfosi delle città

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115 Andrea Bigalli, Quel che ho imparato nel «ghetto di Rignano»

123 Roberto Mosi, Fra città e campagna: dal camminare al conoscere alla poesia 128 Città-natura: il binomio del futuro

129 Silvia Viviani, Nella città che cambia: le istanze ambientali e il bisogno di urbanistica 135 Mariella Zoppi, Storia, prospettive e necessità della «natura in città»

139 Melania Cavelli, La città: sede di problemi e fucina di soluzioni innovative 144 Paolo Piacentini, La «mobilità dolce»

150 Giorgio Valentino Federici, Se la salvezza viene dalle «infrastrutture grigie»

155 Mauro Grassi, Il «bene acqua», la sostenibilità ambientale e l’esperienza di Firenze, «città

col fiume»

161 Valdo Spini, La lezione di Oslo

164 Giuseppe De Luca, Il «peccato» del consumo di suolo e le considerazioni di un urbanista

non pentito

171 Paola Zamperlin, È tempo di smart cities e di città sostenibili 179 Tommaso Pacetti, Per la gestione partecipata di una risorsa che vale

183 Elena Farnè e Luisa Ravanello, Ma gli alberi in città non sono solo un ornamento 189 Anacleto Rizzo, La rivoluzione del drenaggio sostenibile nell’ambiente urbano 195 A scuola di domani

196 Mauro Perini, Da Firenze, città-simbolo, un appello sull’«emergenza Amazzonia» 198 Vincenzo Striano, Climate change e coscienza del pericolo

202 Andreco (intervista a cura di Irene Innocente e Mario Pagano), Come fanno gli ornitorinchi 209 Serena Di Grazia, Una «Consulta Ambientale» a scuola

214 Francesca Ugolini, «Nativi ambientali» alla ricerca dei fiumi nascosti

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S

E IL

70%

DELLA POPOLAZIONE

DEL MONDO VA A VIVERE IN

CITTÀ

Quel monito del Club di Roma

Sono passati centocinquanta anni da quan-do i primi dagherrotipi hanno quan- documen-tato la trasformazione del paesaggio ur-bano di Londra agli albori dell’era

indu-striale. La fabbrica, le cui ciminiere for-mano un tutt’uno con le dense coltri di fu-mo soprastanti, è diventata da allora l’im-magine idealtipica di tutte le negatività della città industriale e come tale utiliz-zata, fin da subito, quale modello cui

con-Il processo di formazione di una consapevolezza globale sui

rischi derivanti da un modello economico basato sullo sviluppo

illimitato ha radici lontane, ma ha avuto un punto di svolta con

la pubblicazione, nel 1972, del rapporto The Limits of Growth,

redatto da un gruppo di ricercatori del Massachusetts Institute of

Technology per conto del Club di Roma. Da allora, con

l’aggravarsi della crisi ambientale, si sono susseguiti

appuntamenti e accordi internazionali a livello europeo e

mondiale per porre confini precisi allo sviluppo e per la ricerca

di un equilibrio nel rapporto fra uomo e natura. Centrale è, in

questo ambito, il dibattito sulla questione della sostenibilità

urbana, in un tempo in cui le città ospitano una parte crescente

dell’intera popolazione del mondo.

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trapporsi nella prefigurazione di forme ur-bane alternative che oggi definiremmo più «sostenibili» (si pensi ad esempio alla

Gar-den City teorizzata già nel 1898 da

Ebe-nezer Howard: ovvero l’idea di un inse-diamento formato da nuclei urbani di di-mensioni contenute immersi nella cam-pagna e collegati fra loro, in alternativa allo sviluppo radiocentrico – «a macchia d’olio» – delle città esistenti). In un’ipote-tica galleria che volesse ripercorrere le fa-si e le geografie dello sviluppo industria-le nel mondo, dai suoi esordi nel vecchio mondo ai recenti exploit dei paesi emer-genti, ritroveremmo la stessa immagine declinata nelle più diverse tipologie di sta-bilimenti, sotto cieli offuscati da colonne di fumo, nubi o pennacchi gassosi, a te-stimonianza di un’incessante attività di al-terazione dell’atmosfera terrestre, portata avanti per oltre un secolo nella totale in-differenza sulle possibili conseguenze che prima o poi sarebbero ricadute sulle ge-nerazioni future e solo in tempi relativa-mente vicini a noi sottoposta a tentativi di controllo e mitigazione, non sistematici e del tutto insufficienti a compensare l’au-mento complessivo delle emissioni. Atti-vità a cui per altro si sono aggiunte, con impatti crescenti a partire dal secondo do-poguerra, quelle connesse agli impianti nelle costruzioni civili ed ai trasporti – un settore che, a dispetto degli avanzamenti tecnologici degli ultimi due decenni, di-pende tutt’oggi, ancor più dell’industria, da fonti energetiche di origine fossile. Nel processo di formazione di una con-sapevolezza globale sui rischi derivanti da tale modello di sviluppo, un punto di svol-ta è ssvol-tasvol-ta la pubblicazione nel 1972 del rapporto The Limits of Growth, redatto da un gruppo di ricercatori del Massachusetts Institute of Technology per conto del Club di Roma, associazione informale di scien-ziati, economisti e industriali nata nel 1968 su iniziativa dell’imprenditore italiano

Au-relio Peccei e dello scienziato scozzese Alexander King allo scopo di promuove-re un dibattito internazionale sul futuro dell’umanità. Utilizzando per la prima vol-ta un modello di simulazione messo a pun-to dal team di Jay Forrester, fondapun-tore del-la dinamica dei sistemi complessi, capa-ce di analizzare le interazioni fra cinque variabili – demografia, produzione ali-mentare, industrializzazione, inquina-mento e consumo di risorse non rinnova-bili – lo studio evidenziò come, se non si fossero introdotti correttivi alle tendenze in atto, nel corso nel XXI secolo la crescita dei cinque indicatori si sarebbe scontrata con i limiti fisici del pianeta con conse-guenze catastrofiche per la popolazione: uno scenario ritenuto ancora evitabile rie-quilibrando, attraverso politiche appriate, l’incremento demografico e la pro-duzione materiale con l’ambiente e le ri-sorse. Come si legge nelle conclusioni del volume: «It is possible to alter these growth

trends and to establish a condition of eco-logical and economic stability that is su-stainable far into the future», frase che

contiene già in nuce il concetto di svi-luppo sostenibile.

Nei successivi rapporti del MIT e del Club di Roma, elaborati nel corso di quaranta-cinque anni sulla base di modelli e

data-set continuamente aggiornati, si dà conto

del progressivo avvicinarsi della crisi, con-siderata inevitabile già dal 19921 a

cau-sa del perdurare delle condizioni di cre-scita incontrollata e degli sforzi sempre più impegnativi di cui gli stati dovrebbe-ro farsi carico per limitarne gli impatti. La pubblicazione di The Limits of Growth giocò un ruolo importante nel preparare il terreno alla prima Conferenza dell’ONU sull’ambiente umano tenutasi a Stoccolma nel settembre dello stesso anno con il ti-tolo Only one Earth, divenuto da allora uno slogan ricorrente dei movimenti am-bientalisti. Nella sua dichiarazione finale,

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sottoscritta dai 133 paesi partecipanti, tro-viamo formulati per la prima volta (punti 13-15) i principi cardine della pianifica-zione urbana sostenibile, fondata sull’in-tegrazione delle politiche: «(…) 13. È ne-cessaria una pianificazione di sviluppo in-tegrata; 14. Una pianificazione razionale dovrebbe risolvere i conflitti tra ambiente e sviluppo; 15. Gli insediamenti umani devono essere pianificati per eliminare i problemi ambientali».

Un risultato permanente della Conferen-za di Stoccolma è stata l’istituzione del Programma Ambientale delle Nazioni Uni-te (UNEP) sotto il cui coordinamento ri-cade il sistema di monitoraggio unificato dell’ambiente (Earthwatch) da parte delle diverse agenzie ONU. Nel 1988, UNEP e WMO (World Meteorological Organiza-tion) daranno poi vita al forum scientifico IPCC (Intergovernmental Panel on Clima-te Change), che costituisce tutt’oggi il prin-cipale organismo internazionale per la va-lutazione dei cambiamenti climatici. Nel frattempo, dal 1987, l’espressione «sviluppo sostenibile» entra definitiva-mente a far parte del vocabolario globale grazie alla pubblicazione da parte della Commissione Mondiale per l’Ambiente e lo Sviluppo (WCED), istituita nel dicem-bre 1983 su iniziativa dell’allora segreta-rio generale dell’ONU Javier Pérez de Cuéllar, del rapporto Our Common

Futu-re (Il futuro di tutti noi, nella versione

ita-liana), noto anche come Rapporto Brund-tland dal nome della presidente della com-missione; già ministra dell’ambiente e al-l’epoca capo del governo della Norvegia, Gro Harlem Brundtland ricoprirà in se-guito anche i ruoli di direttrice generale dell’Organizzazione Mondiale della Sa-nità (1998-2003) e di rappresentante spe-ciale dell’ONU sul Cambiamento Clima-tico (2007-2010), diventando una figura simbolica a livello mondiale nel campo delle politiche per l’ambiente e la salute.

Quando la «questione ambiente» interpella le istituzioni internazionali

La definizione di sustainable development fornita dal Rapporto Brundtland è ben no-ta: «(…) uno sviluppo che soddisfa i biso-gni del presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di sod-disfare i propri». A questa definizione se ne aggiunge un’altra che ne chiarisce il si-gnificato politico, come ricerca di equili-brio fra istanze potenzialmente conflittuali relative alle tre dimensioni – ambientale, sociale ed economica – sottese al con-cetto: «Lo sviluppo sostenibile, lungi dal-l’essere una definitiva condizione di ar-monia, è piuttosto processo di cambia-mento tale per cui lo sfruttacambia-mento delle ri-sorse, la direzione degli investimenti, l’o-rientamento dello sviluppo tecnologico e i cambiamenti istituzionali siano resi coe-renti con i bisogni futuri oltre che con gli attuali» – un «limite all’infinito», per usa-re una metafora matematica.

Il carattere umanistico che caratterizza l’approccio dell’ONU alle problematiche ambientali è chiaramente esplicitato nel-la seconda Conferenza su Ambiente e Svi-luppo, tenutasi a Rio de Janeiro nel 1992, a vent’anni da quella di Stoccolma, con la partecipazione di 179 paesi. Il primo dei 27 principi enunciati nella Dichiarazione di Rio recita infatti: «Gli esseri umani so-no al centro delle problematiche per lo sviluppo sostenibile. Essi hanno diritto a una vita sana e produttiva in armonia con la natura»; armonia che può essere rag-giunta solo se «(…) la tutela ambientale co-stituirà parte integrante del processo di svi-luppo» (principio 4). Da qui il corollario, che l’Unione Europea ha fatto proprio tra-ducendolo nel 2004 in una direttiva co-munitaria2, riassunto nello slogan «chi

in-quina paga» (principio 16).

Nell’ambito della Conferenza di Rio ven-gono adottate due convenzioni quadro

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fondamentali che impegnano gli stati a coordinare le proprie politiche sui temi della biodiversità e del cambiamento cli-matico e lanciato il «Piano d’azione 21», volto a promuovere nelle comunità loca-li la stesura su base partecipativa di pro-grammi di interventi per il XXI secolo im-prontati al nuovo paradigma di sviluppo. In attuazione della Convenzione Quadro sui Cambiamenti Climatici, a partire dal 1995 sono indette con cadenza annuale conferenze delle parti (Conferences of Par-ties – COP) tra gli stati firmatari, per di-scutere, sulla base delle analisi prodotte dagli organismi tecnici internazionali, ac-cordi o protocolli per il contenimento del-le emissioni climalteranti di origine an-tropica; per diventare operativi, questi do-vranno poi essere ratificati da almeno 55 nazioni, responsabili di almeno il 55% delle emissioni globali.

Ad oggi gli esiti più significativi delle COP sono stati il Protocollo di Kyoto (COP 3, 1997) e l’Accordo di Parigi (COP 21, 2015).

L’obiettivo del primo era conseguire entro il 31 dicembre 2012 una riduzione media tra le parti del 5% dei gas a effetto serra rilasciati in atmosfera rispetto ai livelli del 1990, anche ricorrendo a meccanismi fles-sibili di acquisizione/cessione di quote fra i diversi paesi, con target più alti per quel-li maggiormente industriaquel-lizzati e margi-ni di flessibilità per quelli in via di svi-luppo. L’obiettivo fissato per l’Unione Eu-ropea – abbattere dell’8% le emissioni pro-dotte complessivamente nei 15 paesi che all’epoca ne facevano parte – è stato su-perato: la riduzione conseguita tra il 2008 e il 2012 ha infatti raggiunto l’11,5%, me-dia calcolata tenendo conto delle diffe-renze di target e di performance dei sin-goli stati membri. Fra questi, l’Italia si è at-testata su un modesto -4,6%, inferiore al suo target specifico fissato in -6,5%3.

L’attivismo dell’UE su questo fronte trova

riscontro nelle iniziative portate avanti dal-la Commissione e dal Consiglio europei, anche al di fuori della cornice ONU, sul-la falsariga del Protocollo di Kyoto, ed in particolare nel «Pacchetto 20-20-20» (2009) e nella Risoluzione Quadro «Cli-ma-Energia 2030» (2013) che prevedono, con scadenza rispettivamente al 2020 e al 2030, il taglio delle emissioni del 20% e del 40% sui valori del 1990; quote di energia prodotta da fonti rinnovabili pari al 20% e al 27% del totale; risparmi nei consumi energetici rispetto agli standard correnti non inferiori al 20% e al 27%. Ri-sultati che, per quanto riguarda gli obiet-tivi al 2020, le stime più recenti (EC, 2019) rivelano essere a portata di mano almeno per i primi due obiettivi.

Nel corso del COP 18 a Doha (2012), il Protocollo di Kyoto è stato prorogato al 2020, innalzando al 18% la riduzione me-dia delle emissioni (una percentuale co-munque inferiore a quella già stabilita in autonomia dall’UE), con un emendamen-to («Kyoemendamen-to II») ad oggi ratificaemendamen-to da 127 soggetti sui 144 necessari alla sua entrata in vigore, corrispondenti ai 3/4 delle ade-sioni al protocollo originario.

Nonostante il comportamento virtuoso dei paesi europei, l’effettiva possibilità di ri-spettare a livello planetario i parametri di Kyoto e Kyoto II è stata confutata nel rap-porto del Club di Roma 2052. A Global

Forecast for the Next 40 Years (2012).

Se-condo lo studio, elaborato da Jorgen Ran-dars, uno degli autori di The Limits of

Growth, pur in presenza di un’inversione

di tendenza rispetto al passato collocabi-le intorno al 2030, la quantità di CO2 emessa globalmente nel 2052 sarà anco-ra superiore del 40% ai livelli del 1990. L’accordo di Parigi è il primo atto sul cli-ma a livello mondiale giuridicamente vin-colante per i 195 paesi che lo hanno sot-toscritto; entrato in vigore nel 2016, sarà operativo dal 2021. L’obiettivo è

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nere il riscaldamento terrestre entro la fi-ne del XXI secolo «ben al di sotto» di 2°C (e possibilmente non al di sopra di 1,5°C) rispetto ai livelli preindustriali: una presa d’atto delle trasformazioni irreversibili ope-rate sul clima dall’industrializzazione e al tempo stesso un impegno – per quanto tardivo – a cambiare rotta, a cominciare dai paesi economicamente più avanzati. Anche in questo caso, però, sia i piani di azione per il clima predisposti dalle sin-gole nazioni prima e durante la COP 21, sia le proiezioni dei centri di ricerca in-ternazionali tendono a dimostrare che le misure realisticamente praticabili nel cor-so dei prossimi decenni non saranno suf-ficienti a mantenere l’aumento della tem-peratura al di sotto della soglia critica4.

Nonostante le incertezze sui progressi ef-fettivamente conseguibili sia nel medio che nel lungo periodo, l’Accordo di Pari-gi costituisce il presupposto alle «azioni

sul clima» inserite come uno dei 17 obiet-tivi globali da perseguire entro il 2030 nel documento Transforming our world: the

2030 Agenda for Sustainable Development

adottato dall’ONU nel Summit per lo Svi-luppo Sostenibile del 2015, nonché del Climate Action Summit indetto per set-tembre 2019 dal Segretario Generale Antó-nio Guterres allo scopo di promuovere un salto di qualità nelle politiche nazionali sul fronte della sfida climatica.

La lunga marcia verso la sostenibilità urbana

Uno dei 17 goals dell’Agenda 2030 del-l’ONU è dedicato specificamente alla so-stenibilità urbana, tema evidentemente cruciale se consideriamo il tasso crescen-te di inurbamento della popolazione mon-diale, in ragione del quale, nel 2050, su

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un totale stimato di 9 miliardi di persone, si prevede che il 70% abiterà in città (era il 46,5% di 6,1 miliardi nel 2010 e appe-na il 36% di 3,6 miliardi nel 1970). In Europa, dove la percentuale è già as-sestata intorno all’80%, l’affermarsi di una nuova cultura urbana orientata alla soste-nibilità è stato cadenzato, dai primi anni 90 del secolo scorso, dalla pubblicazione di numerosi «manifesti» elaborati dentro e fuori la cornice delle istituzioni comu-nitarie, nei cui principi è possibile rico-noscere tutte e tre le componenti dello svi-luppo sostenibile, variamente declinate as-segnando in particolare al binomio costi-tuito da sostenibilità ambientale e sociale un ruolo trainante nella costruzione delle

vision, anche ai fini dell’attivazione di

nuo-ve economie.

Nella successione tra formulazioni origi-nali e versioni aggiornate agli avanzamenti del dibattito internazionale, sono da se-gnalare i contributi del Congresso dei Po-teri Locali e Regionali del Consiglio d’Eu-ropa, organizzazione per la promozione dei diritti umani con sede a Strasburgo, che nel 1992 ha adottato la European

Ur-ban Charter con l’allegata European De-claration of Urban Rights in 20 punti,

se-guita nel 2008 della European Urban

Char-ter II – Manifesto for a New Urbanity,

non-ché dell’«European Council of Town Plan-ners», l’associazione degli istituti di urba-nistica dei paesi europei, a cui si devono

The new Charter of Athens (2003) e The Charter of European Planning (2013).

Tra le iniziative di matrice comunitaria, due passaggi fondamentali nella forma-zione del quadro generale di riferimento per le politiche e la programmazione del-le risorse in tema di sviluppo urbano so-no stati la Conferenza europea sulle città sostenibili, tenutasi ad Aalborg (Danimar-ca) con il patrocinio della Commissione europea nel maggio 1994 (pochi mesi do-po l’istituzione ufficiale dell’Unione) e le

comunicazioni della Commissione al Con-siglio e al Parlamento europeo con cui è stata delineata, tra il 2004 e il 2005, la

Strategia tematica sull’ambiente urbano

della UE.

Grazie alla Carta di Aalborg, sottoscritta al termine della Conferenza da 80 enti lo-cali, saliti negli anni seguenti a ca. 3000 appartenenti a 46 stati5, è stata promossa

in tutto il continente l’attuazione delle «Agende 21» previste nella Dichiarazio-ne di Rio: un’occasioDichiarazio-ne per rialliDichiarazio-neare in-torno alla sfida dello sviluppo sostenibile il dibattito pubblico sul futuro delle città, le politiche incidenti sul loro funziona-mento (in campo sociale, ambientale, energetico, ecc…), gli strumenti di piani-ficazione territoriale, quelli settoriali, di programmazione e di monitoraggio, che in Italia, dove è mancata una strategia di supporto a livello nazionale, ha avuto pur-troppo nel complesso esiti più formali che sostanziali, nonostante un numero molto elevato di adesioni e processi attivati. L’«obiettivo globale della Strategia tema-tica sull’ambiente urbano» è così esplici-tato nella prima delle due Comunicazio-ni ad essa dedicate: «Occorre rivitalizza-re le città europee, per farne luoghi sani, piacevoli e accoglienti in cui vivere e per-mettere alle comunità e alle economie lo-cali di prosperare. Al centro di questo pro-cesso deve essere l’ambiente». Gli ambi-ti d’azione prioritari, individuaambi-ti nel do-cumento e più volte rilanciati in atti suc-cessivi, sono quattro: la gestione coordi-nata delle scelte che si ripercuotono sul-l’ambiente urbano (secondo il modello delle Agende 21); la riorganizzazione dei trasporti urbani in chiave sostenibile (ridi-mensionamento del ruolo dell’automobi-le negli spostamenti interni aldell’automobi-le aree ur-bane a vantaggio del trasporto pubblico e della mobilità elementare – ciclistica e pe-donale; progressiva sostituzione del par-co auto cirpar-colante par-con mezzi non

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mentati da combustibili fossili; promo-zione dei servizi in sharing, come alter-nativa alle auto in proprietà…); il miglio-ramento delle prestazioni ambientali del patrimonio edilizio (nuova costruzione e recupero dell’esistente; un obiettivo, quel-lo di rendere gli edifici carbon neutral, che le esperienze degli «eco-quartieri» realizzati in via sperimentale in molti pae-si europei, hanno dimostrato di essere as-solutamente raggiungibile); una pianifica-zione urbanistica a sua volta improntata a quattro principi: contrasto alla «prolifera-zione urbana» (fenomeno molto diffuso in Italia, nelle forme della cosiddetta «cam-pagna urbanizzata» o «città diffusa»); su-peramento delle zone monofunzionali (ov-vero della separazione netta fra zone re-sidenziali, poli commerciali e direziona-li, servizi e attrezzature, ecc.) a favore di una stretta integrazione tra funzioni com-patibili; aumento e riconnessione delle aree verdi; localizzazione delle funzioni «generatrici di traffico» (centri commer-ciali, grandi ospedali, stadi, ecc.) in ra-gione dell’accessibilità con mezzi di tra-sporto sostenibili.

In parallelo alle iniziative della UE, nu-merosi studi internazionali hanno affron-tato le stesse questioni cimentandosi nel-l’enucleazione dei requisiti che dovreb-bero caratterizzare un insediamento co-me «sostenibile», «verde», «ecologico» e, aspetto che nel tempo ha visto crescere sempre di più la sua importanza, «resi-liente»6; dove la resilienza è intesa

soli-tamente come la capacità di adattamento ai cambiamenti climatici, ma può essere anche riferita alle trasformazioni necessa-rie per spezzare la dipendenza delle città dalle fonti energetiche di origine fossile, responsabili delle emissioni che condu-cono al cambiamento climatico (la cosid-detta «transizione energetica»).

Le prestazioni e qualità individuate, am-piamente sovrapponibili ancorché

aggre-gate in vario modo a seconda degli obiet-tivi specifici di ciascuna ricerca, mettono in luce come le scelte d’uso del suolo, tra-dizionalmente disciplinate dagli strumen-ti urbanisstrumen-tici, non possano ormai che di-scendere da una strategia complessiva di tutela del suolo stesso, sia in termini quan-titativi (favorendone il riciclo nelle aree già urbanizzate in alternativa al nuovo consumo), che qualitativi (preservandone o ripristinandone le funzionalità ecosiste-miche) nel quadro di un uso efficiente di tutte le risorse, che chiama in causa la to-talità delle funzioni urbane e i loro rapporti con l’ambiente fisico circostante. L’esi-genza di rendere le città più sostenibili e resilienti ai mutamenti in atto può così di-ventare, con la forza e la legittimazione che derivano dalla sua riconosciuta im-pellenza, l’occasione per interventi siste-matici di rigenerazione urbana e ambien-tale, combinando in modo fertile la tute-la del patrimonio con tute-la formazione di nuovi luoghi, paesaggi, architetture so-cialmente e culturalmente significativi.

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1Cfr. D. H. Meadows, D. I. Meadows, J. Randers,

1992.

2Direttiva 2004/35/CE sulla responsabilità

ambien-tale in materia di prevenzione e riparazione del dan-no ambientale.

3Tale risultato dipende largamente dalle cattive

pre-stazioni registrate nel settore dei trasporti (+2,9%) e in quello residenziale e dei servizi (+8,2%) che han-no controbilanciato le consistenti riduzioni, in par-te dovupar-te all’ottimizzazione dei cicli produttivi, in parte alla crisi economica, ottenute nell’industria energetica (-8%), in agricoltura (-16%), nella gestio-ne e trattamento dei rifiuti (-17,5%), gestio-nei processi

in-dustriali 26,5%) e soprattutto nel manifatturiero (-36,8%). Fonte: www.reteclima.it.

4Per raggiungere lo scopo, l’IPCC stima infatti che

sarebbe necessario ridurre le emissioni globali del 70% entro il 2050, e del 100% (carbon neutrality) entro il 2100.

5Tra questi, cinque appartengono a stati non

rica-denti nel continente europeo (Australia, Israele, Li-bano, Marocco).

6Si vedano ad esempio: Gaffron, Huismans, Skala,

2005; Newman, Beatley, Boyer, 2009; Lehmann, 2010.

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