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ANALISI DI SICUREZZA E SECURITY DI IMPIANTI A RISCHIO D'INCIDENTE RILEVANTE

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Academic year: 2021

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(1)

Universit`

a degli Studi di Pisa

DIPARTIMENTO DI INGEGNERIA CIVILE E INDUSTRIALE Corso di Laurea Magistrale in Ingegneria chimica

Tesi di laurea magistrale

ANALISI DI SICUREZZA E SECURITY DI IMPIANTI A

RISCHIO D’INCIDENTE RILEVANTE

Candidato:

Ludovica Di Stefano

Relatori:

Dott. Ing. Gabriele Landucci

Dott. Emilio Mariella

Controrelatore:

(2)
(3)

”Tutte le cose che sono veramente grandi a prima vista sembrano impossibili” F. Nietzsche

Alla mia famiglia, con amore.

(4)

1 Introduzione 9

2 Panoramica dell’industria degli esplosivi 12

2.1 Storia dell’industria degli esplosivi . . . 12

2.1.1 Cenni storici . . . 12

2.1.2 Evoluzione dell’industria degli esplosivi . . . 15

2.2 Diffusione dell’industria degli esplosivi in Europa e in Italia . . . 17

2.3 Caratterizzazione chimico-fisica del processo di esplosione . . . 21

2.3.1 Caratterizzazione degli esplosivi . . . 21

2.3.2 Focus sulle sostanze esplosive del caso studio . . . 23

3 Inquadramento legislativo 25 3.1 Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza (T.U.L.P.S.) . . . 25

3.2 Regolamento ADR . . . 26

3.2.1 Trasporto di materiale esplosivo . . . 27

3.3 Regolamento REACH-CLP . . . 27

3.4 Direttiva Seveso . . . 29

3.4.1 La nascita della Direttiva Seveso . . . 29

3.4.2 Evoluzione della Direttiva Seveso . . . 31

3.4.3 La Direttiva Seveso III: punti chiave e innovazioni . . . 32

4 Scopo del lavoro 34 5 Metodologia 37 5.1 Valutazione per analisi di sicurezza dei processi industriali (SAFETY) . . . 37

5.1.1 Metodologie applicabili ai sensi del D.Lgs.105/15 . . . 40

5.1.2 Analisi Storica . . . 45

5.1.2.1 Introduzione all’Analisi Storica . . . 45

5.1.2.2 Banche dati d’incidenti . . . 45

5.1.3 Calcolo dei raggi di danno . . . 49

5.2 Valutazione per analisi di sicurezza da attacchi esterni (SECURITY) 54 5.2.1 Criteri di definizione degli scenari di intrusione . . . 57

5.2.2 Approccio qualitativo per la SRA . . . 59

5.2.2.1 Descrizione del metodo API 780 . . . 59

(5)

5.2.3.1 Determinazione dell’attrattattivit`a con metodo

semi-quantitativo . . . 66

5.2.3.2 Determinazione della vulnerabilit`a con metodo semi-quantitativo . . . 71

5.3 Integrazione dei risultati . . . 77

6 Definizione del caso studio 79 6.1 Aspetti rilevanti per l’analisi di Safety . . . 79

6.2 Aspetti rilevanti per l’analisi di Security . . . 80

7 Risultati analisi di sicurezza dei processi industriali 84 7.1 Analisi storia e banche dati d’incidenti . . . 84

7.2 Analisi delle frequenze . . . 90

7.2.1 Nodi contenenti inerti . . . 91

7.2.2 Depositi di esplosivi . . . 91

7.2.3 Depositi di propellente . . . 96

7.2.4 Sezione di caricamento del propellente da caccia . . . 98

7.2.4.1 Analisi affidabilistica della tramoggia di alimentazio-ne del propellente . . . 99

7.2.4.2 Lavorazione delle munizioni e albero dei guasti . . . 101

7.2.5 Depositi di munizioni . . . 105

7.3 Definizione raggi di danno . . . 106

8 Risultati analisi di sicurezza da attacchi esterni (SECURITY) 109 8.1 Risultati ottenuti con approccio qualitativo . . . 109

8.2 Risultati ottenuti con approccio semi-quantitativo . . . 114

9 Discussione dei risultati 117 10 Conclusioni 120 A Metodo ad Indici 127 B Analisi del rischio con tecnica FMEA 191 C Analisi di security 194 C.1 Analisi qualitativa . . . 195

(6)

2.1 Alcune molecole delle pi`u note sostanze esplosive . . . 15

2.2 Distribuzione delle industrie di esplosivi sul territorio italiano aggior-nata al 2010 [23] . . . 17

2.3 Diffusione delle industrie di esplosivi in Europa [5] . . . 19

2.4 Rete industriale dell’industria degli esplosivi [5] . . . 20

2.5 Sviluppo dell’industria degli esplosivi in Europa [5] . . . 20

2.6 Esempio di gelatine in commercio [11] . . . 21

2.7 Esempio di confezioni ANFO [11] . . . 22

3.1 Esempi di etichettature per materiali appartenenti a diverse divisioni della classe 1 . . . 27

3.2 Pittogrammi per etichettatura delle sostanze pericolose ai sensi del Regolamento CLP . . . 28

3.3 Stabilimento dell’azienda ICMESA di Meda [44] . . . 29

3.4 Molecola di 2,3,7,8-tetraclorodibenzo-p-diossina [44] . . . 29

3.5 Estensione della zona contaminata dal rilascio di diossina nell’inci-dente di Seveso [44] . . . 30

4.1 Schema logico riassuntivo delle fasi di lavoro . . . 34

5.1 Fasi della Quantitative Risk Assessment . . . 38

5.2 Esempio di Albero dei Guasti (FTA) . . . 41

5.3 Confronto tra i modelli di esplosione tramite dati sperimentali . . . . 51

5.4 Picco di sovrappressione versus Scaled Distance per esplosioni di TNT [8] . . . 52

5.5 Modello a soglie per la definizione delle aree di danno . . . 53

5.6 Diagramma di correlazione tra Risk Management e Security Risk Assessment [40] . . . 54

5.7 Diagramma di correlazione tra le fasi del Security Risk Management [34] . . . 55

5.8 Diagramma logico degli step della metodologia API 780 . . . 60

5.9 Possibili minacce (T) discriminate in base alle operazioni considerate [3] . . . 62

5.10 Scala numerica utilizzata nell’applicazione del metodo API 780 [3] . . 63

5.11 Matrice del Rischio, proposta dalla metodologia API 780 [3] . . . 64

5.12 Aspetti innovativi introdotti nell’approccio all’analisi SRA con meto-do semi-quantitativo . . . 65

(7)

5.13 Schema logico della metodologia proposta per la determinazione

del-l’attrattivit`a dell’installazione [24] . . . 67

5.14 Criteri di valutazione degli indici per la stima di IH . . . 68

5.15 Fasi del funzionamento dei Sistemi di Protezione Fisica (PPS) [39] . . 72

5.16 Fasi dell’individuazione dell’attacco da parte delle PPS [39] . . . 72

5.17 Relazione tra la probabilit`a di individuazione e il tempo di valutazione dell’allarme [39] . . . 73

5.18 Fasi del ritardo attuato dalle PPS [39] . . . 74

5.19 Fasi della risposta ad un attacco [39] . . . 74

5.20 Dipendenza delle funzioni che identificano una PPS [39] . . . 75

5.21 Definizione della Matrice del Rischio di Safety . . . 78

6.1 Elenco delle sostanze presenti nell’impianto . . . 80

6.2 Perimetro dello stabilimento . . . 81

6.3 Punti d’accesso autorizzati per l’installazione considerata . . . 82

7.1 Casi riscontrati nel database FACTS [21] raggruppati per tipologia di sostanza . . . 86

7.2 Diagramma riassuntivo della dislocazione degli incidenti riportati . . 87

7.3 Cause dirette degli incidenti selezionati per l’analisi storica . . . 87

7.4 Eventi iniziatori degli incidenti considerati nell’analisi storica . . . 88

7.5 Location degli incidenti considerati nell’analisi storica . . . 88

7.6 Operazioni coinvolte negli incidenti selezionati per l’analisi storica . . 89

7.7 Conseguenze gli incidenti considerati nell’analisi storica . . . 89

7.8 Suddivisione in nodi dell’impianto secondo il Rapporto di Sicurezza dell’azienda presa in esame . . . 90

7.9 Albero degli eventi riferito allo sversamento di esplosivo . . . 92

7.10 Dati affidabilistici per barriere al fuoco del CCPS . . . 94

7.11 Albero degli eventi riguardante l’incendio esterno . . . 95

7.12 Albero degli eventi riguardante lo sversamento accidentale di propellente 97 7.13 Struttura generica di una macchina caricatrice per la produzione di munizioni ad uso civile e venatorio . . . 98

7.14 Scheda del database del CCPS [10] riguardante i componenti adibiti alla movimentazione di solidi . . . 99

7.15 Andamento dell’affidabilit`a del sistema tramoggia col tempo di fun-zionamento . . . 100

7.16 Albero dei guasti relativo al Top Event che interessa la macchina caricatrice . . . 102

7.17 Scheda del database del CCPS [10] riguardante i controllori elettronici 103 7.18 Albero degli eventi riguardante lo sversamento accidentale di propel-lente sulla macchina caricatrice . . . 105

7.19 Riepilogo delle frequenze di accadimento di incidente rilevante per il caso studio . . . 106

7.20 Rappresentazione grafica delle zone di danno conseguenti all’accadi-mento dei Top Event ipotizzati . . . 108

(8)

8.2 Scenari d’intrusione definiti credibili per il sito . . . 112

9.1 Prospetto riassuntivo dei valori di rischio industriale ottenuti per i caso studio, applicando la Matrice del Rischio di Safety . . . 117

9.2 Prospetto riassuntivo dei valori di rischio non mitigati, ottenuti per il caso studio con approccio qualitativo . . . 118

9.3 Quadro riassuntivo dei valori di rischio non mitigati, ottenuti per il caso studio con metodologia semi-quantitativa . . . 118

B.1 Schema a blocchi del caricamento delle munizioni su una linea di produzione . . . 192

C.1 Form 1 - Caratterizzazione [3] . . . 195

C.2 Form 2 - Threat Assessment [3] . . . 196

C.3 Form 3 - Attractiveness Assessment [3] . . . 197

C.4 Form 4 - Vulnerability Assessment [3] (Parte 1) . . . 198

C.5 Form 4 - Vulnerability Assessment [3] (Parte 2) . . . 199

C.6 Form 5 - Recommendations [3] . . . 200

C.7 Form 4 di API 780 [3], implementato con una metodologia semi-quantitativa . . . 201

(9)

Elenco delle tabelle

5.1 Banche dati di incidenti chimici [47] . . . 47

5.2 Criteri di attribuzione dei sottoindici σT,i per il calcolo di φ [24] . . . 70

5.3 Criteri di attribuzione dei sottoindici σA,i per il calcolo di φ [24] . . . 71

5.4 Criteri di sitma quantitativa della probabilit`a di valutazione degli allarmi definiti dai Laboratori Sandia [39] . . . 76

5.5 Definizione delle classi di frequenza . . . 77

7.1 Caratterizzazione degli obiettivi sensibili dell’installazione cui fa rife-rimento il caso studio . . . 107

7.2 Caratterizzazione degli scenari di rischio d’incidente rilevante . . . 107

8.1 Possibili scenari d’intrusione all’interno del sito . . . 111

8.2 Calcolo dell’Indice di penalizzazione (φ) . . . 115

8.3 Valori dell’attrattivit`a riferiti ai bersagli sensibili del sito oggetto dell’analisi (IA,i) . . . 115

8.4 Calcolo della probabilit`a di riuscita di un attacco (L) per i diversi scenari d’intrusione . . . 116

(10)

Introduzione

L’industria degli esplosivi, che trova le sue origini nella prima met`a del 1500, `e oggi annoverata tra le possibili fonti di rischio d’incidente rilevante.

Data la natura dei materiali processati e stoccati, insieme agli elevati volumi in gio-co, il settore degli esplosivi deve sottostare agli obblighi imposti dalla Direttiva in materia di prevenzione d’incidente rilevante, successivamente all’introduzione della Direttiva Seveso III (D.Lgs. 105/15).

Nonostante la sua elevata diffusione sul territorio italiano ed europeo, l’industria de-gli esplosivi si trova ad essere relativamente giovane dal punto di vista dei concetti cui fa riferimento la Direttiva Seveso.

Per questo motivo `e da considerarsi terreno fertile per l’implementazione di analisi di sicurezza, sia a livello di safety che di security, con lo scopo di raggiungere in breve tempo un livello di standardizzazione delle metodologie adeguato, come gi`a accade negli altri settori dell’industria chimica.

`

E importante, ai fini di una corretta analisi, distinguere la sicurezza nei due ambiti di safety e security.

Per safety si intende l’insieme delle misure e dei dispositivi finalizzati a preve-nire o ridurre i rischi d’incidente rilevante in ambito industriale [36].

Nel presente elaborato l’identificazione e la successiva analisi dei possibili scenari d’incidente rilevante `e stata supportata da una preliminare Analisi Storica degli in-cidenti verificatisi in siti industriali comparabili a quello preso in esame nel caso studio, per tipologie di sostanze e/o di processo.

In secondo luogo, `e stato condotto uno studio di safety che permettesse di definire per ogni scenario identificato una frequenza di accadimento e conseguentemente i raggi di danno corrispondenti al verificarsi dell’incidente rilevante, secondo le mo-dalit`a ipotizzate.

Per security si intende l’insieme della misure e dei dispositivi finalizzati a pre-venire o ridurre i rischi industriali dovuti ad intrusioni esterne [40].

(11)

gli scenari d’intrusione all’interno del sito preso in considerazione nel caso studio, discriminando quelli credibili da quelli non credibili.

Successivamente `e stato definito il livello di rischio associato ad ognuno degli scena-ri, seguendo due approcci equivalenti: uno qualitativo, sulla base delle linee guida dell’API 780, e un altro semi-quantitativo, nato dall’esigenza di rendere sistematica e ripetibile l’analisi e conseguentemente la classificazione del livello di rischio di se-curity.

Il presente lavoro di tesi, sviluppato in collaborazione con un’industria del setto-re esplosivo, si propone di mettesetto-re le basi per lo sviluppo di metodi da applicasetto-re all’analisi di sicurezza, che siano in grado di dare dei risultati in linea con quelli atte-si per il settore specifico. Questo consentirebbe di dare ai Gestori degli stabilimenti un’adeguata percezione del rischio e i giusti strumenti per classificarlo.

L’elaborato `e strutturato nel modo seguente:

Capitolo 2: descrizione sommaria dell’industria degli esplosivi. Ai cenni storici segue una descrizione dei diversi tipi di esplosivo che si possono trovare in com-mercio, con annesso un focus sulle loro principali caratteristiche, insieme a qualche accenno sulla diffusione delle industrie di esplosivi in Italia e in Europa.

Capitolo 3: viene descritto l’inquadramento normativo italiano ed europeo a cui sono soggette le industrie che trattano sostanze esplosive, che impattano sia sulla gestione dell’impianto che sul trasporto delle merci. Particolare attenzione viene posta sulla Direttiva Seveso, da cui l’analisi di sicurezza industriale condotta per lo stabilimento del caso studio, come da prescrizione del D.Lgs. 105/15.

Capitolo 4: mette in evidenza la struttura del lavoro di tesi, illustrando com’`e stata svolta l’analisi di sicurezza sui due livelli distinti di safety e security e come questi siano due aspetti differenti ma concatenati per una realt`a industriale.

Capitolo 5: viene illustrata la metodologia seguita nello svolgimento dell’analisi di sicurezza, in termini di safety e di security, e come si intende integrare e confrontare i risultati nei due casi.

Capitolo 6: nel presente capitolo `e stato definito un caso studio, nello specifi-co un sito industriale che tratta esplosivi solidi situato sul territorio europeo. Per questioni di riservatezza e sicurezza, non vengono divulgati dati sensibili dell’instal-lazione in tutto il lavoro di tesi.

Capitolo 7: vengono riportati i risultati ottenuti nell’applicazione dell’analisi di safety al caso studio. Partendo dai risultati ottenuti dall’analisi storica, sono stati costruiti gli alberi degli eventi, necessari all’identificazione delle frequenze di accadi-mento dei possibili scenari incidentali causati dall’esplosione delle sostanze presenti nello stabilimento, con successiva definizione dei loro raggi di danno.

(12)

livelli: un primo livello qualitativo, seguendo le linee guida della metodologia API 780, e un secondo livello semi-quantitativo, nato dall’implementazione del primo con delle tecniche di definizione quantitativa gi`a sperimentate per il settore Oil & Gas. Capitolo 9: discussione dei risultati ottenuti nei Capitoli 7 e 8, tramite un pro-spetto riassuntivo di quanto `e emerso dalle analisi di sicurezza. Sono state inoltre messe in evidenza eventuali criticit`a del metodo implementato.

Capitolo 10: dopo un breve riepilogo su quanto svolto nel lavoro di tesi, ven-gono esposte le conclusione dell’elaborato e sono stati illustrati eventuali sviluppi futuri da prendere in considerazione.

(13)

Capitolo 2

Panoramica dell’industria degli

esplosivi

Uno dei settori dell’industria chimica `e l’industria degli esplosivi, che trova le sue radici nei primi decenni del 1800, quando lo sviluppo scientifico della chimica port`o alla scoperta di numerose sostanze, principalmente derivati nitrati di sostanze orga-niche con propriet`a d’infiammabilit`a e deflagrazione.

Tali sostanze, aumentate man mano di numero e migliorate nelle varie propriet`a di stabilit`a, sicurezza e potenza, costituiscono i moderni esplosivi [15].

Col passare degli anni hanno trovato largo impiego, oltre che per i tradizionali scopi bellici, nei grandi lavori civili (miniere, trafori ferroviari, impianti idroelettrici, ecc.), in cui consentono notevole risparmio di energia e di tempo, oltre che nelle pratiche sportive come la caccia ed altre attivit`a agonistiche [15].

2.1

Storia dell’industria degli esplosivi

2.1.1

Cenni storici

Gli esplosivi trovano la loro origine gi`a nell’antichit`a, dal momento che il primo esplosivo per scopi bellici fu impiegato dagli arabi nel VIII secolo ed era costituito da un miscuglio a base di salnitro e carbone.

A tale ”miscela primitiva” `e da attribuire il titolo di predecessore della polvere nera [14]. La nascita di questo esplosivo risale al 1400, a seguito dell’aggiunta di zolfo alla miscela esplodente sopra citata; la sua composizione era: 40 ”%” salnitro; 30 ”%” carbone e 30 ”%” zolfo. Tuttavia la composizione della polvere nera sub`ı una rapida evoluzione gi`a in quegli anni, passando a: 74 ”%” salnitro; 15 ”%” carbone e 11 ”%” zolfo, proporzioni mantenute ancora oggi.

La sostanza esplodete cos`ı fatta `e rimasta praticamente l’unico esplosivo conosciuto, inizialmente utilizzato per scopi soltanto militari e via via anche civili e sportivi. In questo la polvere nera `e stata favorita dalla sua elevata stabilit`a e dal suo notevole grado di sicurezza nell’utilizzo, che calano drasticamente nel momento in cui vengo-no modificate le proporzioni tra i componenti.

(14)

La polvere nera trova i suoi primi impieghi, nel periodo di maggiore diffusione, tra il 1500 e il 1600 come esplosivo da cava e da miniera, utilizzato in moltissimi lavori sotterranei anche nell’attuale Italia [15].

Il primato della polvere nera rimase invariato e indiscusso fino alla fine del XVIII secolo e l’inizio del XIX secolo, quando furono scoperti altri tipi di esplosivi grazie allo sviluppo dell’industria chimica.

Con lo sviluppo della chimica su basi scientifiche ebbe infatti inizio la moderna chi-mica degli esplosivi, che iniziava a fondarsi sull’esistenza di sostanze che potessero essere stabili come la vecchia polvere nera [15].

Dopo il 1830 si ebbe un’importante evoluzione nella chimica delle sostanze esplo-denti, dal momento che venne utilizzata per la prima volta la nitrazione come pro-cedimento per ottenere esplosivi.

Nel 1838 Braconnot, trattando amido e legno con acido nitrico concentrato, ottenne una sostanza, chiamata xiloidina, che brucia con vivacit`a. Successivamente, nel 1847 ci fu la scoperta dell’esplosivo fondamentale nella storia e nella tecnica degli attua-li esplosivi: la nitrogattua-licerina. Il merito di tale scoperta va all’itaattua-liano A. Sobrero, insegnante di chimica nella Scuola di Meccanica e Chimica applicata alle Arti di Tornino [15].

Questo esplosivo fu utilizzato a partire da quegli anni per numerosi lavori di urba-nistica, come ad esempio l’apertura del traforo di Hoosac; tuttavia la nitroglicerina `e risultata da subito una sostanza scarsamente maneggevole e trasportabile, a causa della sua elevata instabilit`a in seguito ad un urto.

Si sentiva dunque la necessit`a di un esplosivo pi`u stabile, che riuscisse a garantire

almeno le stesse prestazioni di quello scoperto da Sobrero [15].

Contestualmente con l’evoluzione della sempre presente polvere nera,che fu resa pi`u

accessibile a seguito della sostituzione del nitrato di potassio col nitrato di sodio

molto pi`u economico, si ebbe nel 1866 la scoperta della dinamite, attribuibile ad A.

Nobel [15].

Egli si accorse che, unendo la nitroglicerina (esplosivo allo stato liquido e insta-bile agli urti) con una terra porosa (Kieselguhr)si poteva ottenere un esplosivo che

mantenesse la sua potenza, ma allo stesso tempo risultasse pi`u stabile.

La dinamite a base inerte, infatti, costituiva essenzialmente un prodotto plastico al 75 ”%” di nitroglicerina, che poteva facilmente essere lavorato e modellato, pre-sentando una sensibilit`a agli urti notevolmente inferiore a quella della nitroglicerina libera. Nei decenni successivi, ad opera dello stesso Nobel, la dinamite divenne a base attiva grazie all’aggiunta di sostanze combustibili o sali ossidanti all’assorbente inattivo [14].

Tuttavia la prima dinamite a base esplosiva arriva nel 1875, quando Nobel scopr`ı che la nitroglicerina poteva essere gelatinizzata da cotone collodio. Tale sostanza esplodente derivava essenzialmente dallo scioglimento della nitrocellulosa all’interno della nitroglicerina stessa, processo che dava luogo ad una sostanza colloidale alla base di alcuni dei moderni esplosivi.

(15)

2.1. STORIA DELL’INDUSTRIA DEGLI ESPLOSIVI Negli stessi anni fu scoperto un altro materiale, alla base degli esplosivi utilizzati in guerra a partire dal 1930, ottenuto aggiungendo alla composizione della dinamite il nitrato ammonico. Tali esplosivi sono utilizzati ancora oggi e vengono prodotti con una composizione di nitrato di ammonio che arriva fino al 75 ”%” [14].

Negli anni successivi si svilupparono una serie di esplosivi a basi differenti:

ˆ esplosivi clorati: introdotti grazie all’avvento dell’acido picrico. Sono basati principalmente su miscele stechiometriche di clorato di sodio o di potassio fine-mente polverizzati con sostanze di natura grassa o adeguate sostanze combusti-bili. Danno luogo tendenzialmente a miscele dalla combustione molto rapida e luminosa; attualmente vengono spesso impiegati nell’industria pirotecnica [49].

ˆ esplosivi Favier: apparsi nel 1887, sono miscele di nitrato ammonico con vari dosaggi di nitronaftalina, nitroglicerina e altri nitrati. Nel corso degli an-ni sono stati ottenuti altri esplosivi similari sostituendo trian-nitrotoluene alla nitronaftalina [49].

ˆ esplosivi a base nitrocellulosica: anche dette ”polveri senza fumo”, che sono ottenute a seguito di un processo di nitrazione e differisco tra loro per il grado di nitrazione. Attualmente sono largamente impiegate, non soltanto in ambito bellico ma anche civile e venatorio [49].

ˆ esplosivi ”intoccabili”: si tratta di una classe di esplosivi altamente instabile, come ad esempio la famiglia dei composti alogenati dell’azoto e dei prodotti a base di perossido di acetone [49].

Tra le pi`u importanti scoperte del XIX secolo in materia di esplosivi, va

annovera-ta quella francese della miscela di binitronafannovera-talina (”12%”) con nitrato ammonico (88”%”), esplosivo economico da scoppio usato poi largamente nella guerra mondiale [14].

Parallelamente alla preparazione degli esplosivi moderni senza fumo e senza fiamma, da lancio e da scoppio, si svilupp`o la fabbricazione d’inneschi, capsule, detonatori, micce e furono preparate anche varie polveri bianche da caccia, a base di nitrocellu-losa, che finirono col sostituire le polveri nere.

Per maggiori dettagli in merito alle tipologie di propellenti attualmente in commercio consultare [17].

(16)

Figura 2.1: Alcune molecole delle pi`u note sostanze esplosive

2.1.2

Evoluzione dell’industria degli esplosivi

La scoperta o la preparazione in laboratorio degli esplosivi moderni fu seguita subito da diffusi tentativi di fabbricazione industriale, giustificati sia dalla grande potenza dei nuovi prodotti in confronto alla polvere nera, sia dalla possibilit`a della loro

appli-cazione in lavori stradali, ferroviari, fluviali, portuali, divenuti sempre pi`u numerosi

e importanti a partire dalla seconda met`a del secolo scorso [23].

Nei primi passi della fabbricazione industriale, s’incontrarono per`o difficolt`a tecniche rilevanti, sia perch´e si dovevano adattare esplosivi ad alta potenza alle armi poco perfette allora in uso, sia perch´e la manipolazione di questi prodotti non sempre suf-ficientemente stabili faceva temere continuamente e talvolta determinava esplosioni violentissime. La scoperta di stabilizzanti, la messa a punto delle varie lavorazioni e la scoperta della dinamite, permisero di superare molte difficolt`a e favorirono lo sviluppo di tali industrie [23].

Parallelamente allo sviluppo dell’industria furono migliorati i procedimenti di fab-bricazione cosicch´e si accrebbe la potenzialit`a degli impianti. Infatti, mentre fin verso la fine del 1800 venivano nitrate quantit`a di poche decine di chili per volta di glicerina, di cotone e di toluolo, si arriv`o, durante la guerra mondiale, a nitrare 400-500 kg di glicerina per ogni operazione e le produzioni per ciascun esplosivo ar-rivarono a varie decine di tonnellate al giorno, con un movimento di masse esplosive in lavoro di centinaia di tonnellate [23].

Mentre le fabbriche di polvere nera erano costituite da pochi e modesti locali di lavorazione, gli impianti di esplosivi nitrati, ai quali dovevano trovarsi annesse le fabbriche degli acidi nitrico e solforico, gli impianti di ricupero per questi acidi, le centrali di produzione di vapore, di sollevamento d’acqua, ecc. vennero a costituire centri industriali indipendenti assai importanti. I sistemi di fabbricazione furono perfezionati, migliorate la costruzione degli apparecchi e la loro disposizione,

(17)

utiliz-2.1. STORIA DELL’INDUSTRIA DEGLI ESPLOSIVI zando movimenti meccanici, cercando di far subire le minori manipolazioni possibili ai prodotti in lavoro [23].

Fino alla seconda guerra mondiale il consumo di esplosivi era nel mondo di circa 350 mila tonnellate all’anno e non creava preoccupazioni per il rifornimento delle materie prime (benzolo, toluolo, cotone, glicerina, ecc.) e dei reagenti (acido nitrico e acido solforico), ma l’enorme consumo nel periodo bellico, che raggiunse nel 1918 i due milioni di tonnellate, fece sorgere nelle varie nazioni il problema dei rifornimenti dei prodotti necessari alla fabbricazione degli esplosivi. Parallelamente si svilupp`o a livello industriale il desiderio di non dipendere da fonti di acquisto obbligate o limitate [23].

Cos`ı i paesi poveri di combustibili si ritrovarono a temere la mancanza il benzolo, toluolo, naftalina, ecc.; quelli poveri di pirite e di zolfo cominciarono ad aver paura per la difficolt`a del rifornimento di acido solforico [23]. Tutti poi dipendevano dal Cile per il rifornimento del nitrato di soda necessario alla fabbricazione dell’acido nitrico. In questo contesto andarono quindi incontro a grande sviluppo gli esplosivi ottenuti partendo da materie prime ottenibili per sintesi, destinati in avvenire ad

aggiungersi a quelli finora pi`u largamente usati [23].

Oltre a quelle ottenute per sintesi, altre materie prime si diffusero largamente nel-l’industria degli esplosivi per il loro diminuito prezzo e la possibilit`a di ottenerle pure.

Dallo scenario descritto e analizzato, si evince chiaramente che l’industria degli esplo-sivi presenta maggiori difficolt`a di organizzazione e di sviluppo rispetto ad altre in-dustrie chimiche. Tali difficolt`a nascono essenzialmente, oltre che per le lavorazioni delicate e pericolose trattate, anche per questioni legali e logistiche [23].

Sono infatti notevoli le limitazioni stabilite dalle leggi sulla fabbricazione, conser-vazione e spedizione degli esplosivi ed `e grande la necessit`a di disporre di molti depositi sparsi nelle varie regioni, per fra fronte ai rifornimenti e ad altre eventuali operazioni. In ogni nazione l’industria `e riunita in pochi potenti organismi per la

fabbricazione degli esplosivi da guerra e dei pi`u importanti esplosivi industriali e

polveri da caccia [23].

In termini di produzione e consumo, infine, attualmente si presenta il seguente scenario:

- Gli Stati Uniti hanno un consumo annuo di circa 250.000 tonnellate, delle quali il 60 ”%” per esplosivi da scoppio, il 12”%” per esplosivi di sicurezza e il 28 ”%” di polvere nera. Si calcola che negli U.S.A. viene estratto con esplosivi circa un miliardo di tonnellate all’anno di pietrami, calcari, minerali e affini [23];

- L’Inghilterra consuma circa 35.000 tonnellate annue, delle quali circa il 50 ”%” di esplosivi di sicurezza, dovuto alla grande produzione di carbone, e il 20 ”%” di polvere nera [23];

- La Francia consuma circa 20.000 tonnellate all’anno [23];

(18)

2.2

Diffusione dell’industria degli esplosivi

in Europa e in Italia

In Italia vengono vendute annualmente circa 15.000 tonnellate di esplosivi. Questo

quantitativo negli ultimi 10 anni ha avuto un’oscillazione intorno pi`u o meno al 30

”%”, con il minimo raggiunto intorno al 1994 in conseguenza della riduzione dei finanziamenti per le opere pubbliche [23].

La continua ripresa dei lavori pubblici, soprattutto per le grandi infrastrutture viarie con grossi scavi in roccia quali ad esempio gallerie, trincee e fondazioni, inducono a prevedere un graduale incremento della domanda qualificata di esplosivo nei prossimi anni [23].

Rispetto alle medie Europee, in Italia il consumo di esplosivi `e inferiore di oltre il 50 ”%”. Di frequente, infatti, lavori tipicamente ”da mina” sono effettuati mediante abbattimento meccanico, con elevati costi, maggiori rischi per il personale e maggior disagio per i residenti nei paraggi [23].

La distribuzione delle maggiori industrie di esplosivi sul territorio italiano `e riportata in Figura 2.2 [23].

Figura 2.2: Distribuzione delle industrie di esplosivi sul territorio italiano aggiornata al 2010 [23]

Andando a considerare nello specifico il settore di produzione di munizioni per uso civile e venatorio, si tratta di una porzione di mercato in notevole crescita sia a livello nazionale che europeo [5].

Per industrie del settore si intendono sia quelle che producono le munizioni con anima a canna liscia tal quali, sia quelle impegnate nella produzione di componenti e macchinari utilizzati per confezionare il prodotto finito [5], ovvero:

(19)

2.2. DIFFUSIONE DELL’INDUSTRIA DEGLI ESPLOSIVI IN EUROPA E IN ITALIA ˆ propellente;

ˆ proiettili;

ˆ componenti inerti (bossoli e borre) e non inerti (inneschi); ˆ macchinari per la produzione di cartucce.

La diffusione delle varie tipologie di aziende `e documentata dall’AFEMS [5], orga-nizzazione senza scopo di lucro nata nel 1951 con l’obiettivo di continuare il lavoro della Convenzione Internazionale per le Munizioni. Essenzialmente AFEMS mette a disposizione un forum per i membri del proprio network e un mezzo per rispondere in maniera efficace alle difficolt`a di natura tecnica, scientifica e legislativa del settore [5].

A titolo informativo e in maniera del tutto trasparente, possono essere consultati online i dati riguardanti la diffusione dell’industria delle munizioni civili e venatorie. La distribuzione, a livello europeo, delle industrie del settore risulta essere quella riportata in Figura 2.3, dove sono contrassegnate in blu le zone con una maggiore densit`a industriale [5].

(20)

Figura 2.3: Diffusione delle industrie di esplosivi in Europa [5]

I vari settori di cui si compone l’industria delle munizioni con anima a canna liscia sono visibili in Figura 2.4, con annessa distribuzione sul territorio europeo nella Figura 2.5.

(21)

2.2. DIFFUSIONE DELL’INDUSTRIA DEGLI ESPLOSIVI IN EUROPA E IN ITALIA

Figura 2.4: Rete industriale dell’industria degli esplosivi [5]

(22)

`

E interessante notare che la produzione di materie prime per il caricamento delle munizioni (bossoli, borre, polvere e proiettili) costituisce nel complesso il 27 ”%” circa delle industrie, superiore persino alla percentuale di diffusione delle aziende che si occupano del caricamento delle cartucce.

2.3

Caratterizzazione chimico-fisica del processo

di esplosione

2.3.1

Caratterizzazione degli esplosivi

Come gi`a accennato al precedente paragrafo 1.2, attualmente esistono in commercio molti tipi di esplosivi. Questi differiscono tra loro per le loro propriet`a chimico-fisiche e conseguentemente per le loro destinazioni d’impiego [11].

Di seguito un focus sulle principali tipologie. ˆ Gelatine

Si tratta di esplosivi detonanti, direttamente discendenti delle dinamiti di No-bel. Il componente fondamentale `e la nitroglicerina (o nitroglicole), solitamen-te abbinato alla nitrocellulosa per la maggior parsolitamen-te [11]. La restansolitamen-te parsolitamen-te `e costituita da sostanze inerti, additivi minerali e nitrato d’ammonio.

Hanno un colore bianco rosato, eventualmente in commistione a dei puntini di

colore pi`u scuro, e vengono confezionate con carta paraffinata molto spessa.

Un esempio `e visibile in Figura 2.7

Si tratta di esplosivi molto versatili dal punto di vista applicativo, dal mo-mento che possono essere impiegati in ogni ambiente di lavoro, sotterraneo o all’aperto, e sono molto efficaci nelle opere di demolizioni civili [11].

(23)

2.3. CARATTERIZZAZIONE CHIMICO-FISICA DEL PROCESSO DI ESPLOSIONE Quando la percentuale di nitroglicerina `e pressoch`e del 100 % la gelatina pren-de il nome di gomma. In questo caso viene confezionata in pani a forma di parallelepipedo irregolari ed `e destinata alle cosiddette ”cariche appoggiate” [11].

ˆ Esplosivi pulverulenti

Sono miscele a base di nitrato d’ammonio ad al titolo di azoto, con aggiunte in percentuali variabili di TNT e additivi di varia natura [11].

L’aspetto `e quello di una polvere, di colore bianco, grigio o beige. Solitamente questi esplosivi vengono confezionati in sacchetti di PVC chiusi ad un’estre-mit`a o in candelotti.

A causa della solubilit`a del nitrato di ammonio, risultano inadatti per i lavori subacquei e ne consegue un utilizzo principalmente in volata a cielo aperto.

Sono pi`u economici delle gelatine e non necessitano di grandi diametri di

per-forazione, per questo sono impiegati spesso in lavori da cava in abbinamento alle gelatine e/o slurry [11].

ˆ ANFO

Prende il nome dalla sigla ”Ammonium Nitrate Fuel Oil”, nel quale `e rac-chiusa la sua composizione . Il nitrato d’ammonio si trova in una particolare forma fisica chiamata ”prilled”, ovvero costituito da piccole sferetta cave che

gli consentono di assorbire il pi`u possibile al suo interno l’olio combustibile

[11].

Questo prodotto trova grandi applicazioni nelle cave d’inerti, con grandi lun-ghezze di fori da mina, da caricare con notevoli quantit`a di esplosivo; in questi casi l’ANFO `e miscelato e pompato direttamente nei fori tramite autobotti [11].

Tale diffusione ed utilizzo non `e consentita in Italia al D..Lgs. n.624; per-tanto non `e molto diffuso e viene impiegato in piccoli sacchetti clippati ad un’estremit`a [11].

Figura 2.7: Esempio di confezioni ANFO [11]

Ha l’aspetto di una polvere bianco-giallastra e i formati standard sono da 40 a 120 mm. Generalmente viene utilizzato abbinato ad altri esplosivi, che sono

(24)

di solito gelatine o slurry [11]. ˆ Slurry

Si tratta di esplosivi a base di TNT e di nitrato di ammonio in soluzione sa-tura d’acqua, con componenti minerali e sensibilizzazione mediante nitrato di monometilammina [11].

Sono esplosivi di consolidato valore tecnico e commerciale. I candelotti so-no confezionati in tubolari di PVC, contenenti un gel candido o giallogso-nolo, semitrasparente o bianco maculato argenteo, grigio o verdognolo [11].

ˆ Emulsioni

Sono miscele di liquidi tra loro immiscibili, dunque un sistema bifasico: una fase ossidante e una combustibile, entrambe in forma liquida [11].

Il tenore in acqua delle emulsioni `e minimo, poich`e si impiegano generalmente soluzioni saline ad elevata concentrazione. Si tratta di particelle piccolissime di soluzione ossidante, ricoperte di un film sottile di materiale combustibile, e tutte pressate tra loro [11].

Possono essere prodotte tramite processi differenti a livello industriale: a fred-do, a calfred-do, con microsfere di vetro o di plastica [11].

L’emulsione viene resa sensibile ai normali mezzi di innescamento tramite un processo di sensibilizzazione, solitamente tramite compressione adiabatica di bolle d’aria artificiali [11].

ˆ Polvere Nera `

E l’esplosivo deflagrante per eccellenza, il pi`u antico tra gli esplosivi, utilizzato

sia per scopi bellici che per scopi civili. La sua formulazione classica `e: nitrato di potassio (75 %), carbone di legno (15 %), zolfo (10 %) [11].

La polvere nera `e venduta in sacchetti o barattoli di diverso peso e dimensione a seconda degli impieghi; `e sensibile all’umidit`a e perde efficacia (potere defla-grante) all’aumentare di questa [11].

L’accensione della polvere nera avviene a 270/290 gradi Celsius ed `e facilmente raggiunta con fiamma o scintilla. La sua deflagrazione comporta una reazione chimicamente incompleta, con quantit`a relativamente elevata di prodotti resi-dui, che vanno a costituire gli abbondanti fumi conseguenti all’esplosione [11]. Viene molto impiegata in lavori da cava e nella fabbricazione di micce a lenta combustione.

2.3.2

Focus sulle sostanze esplosive del caso studio

Le sostanze esplosive processate e stoccate nell’installazione di interesse per il caso studio possono essere suddivise in diverse categorie, a seconda della loro pericolo-sit`a.

Si tratta in ogni caso di materiali ad uso civile e venatorio, distinti in: esplosivi pulvirulenti, propellenti senza fumo, munizioni e loro componenti.

(25)

2.3. CARATTERIZZAZIONE CHIMICO-FISICA DEL PROCESSO DI ESPLOSIONE `

E importante distingue il comportamento chimico-fisico di esplosivi e propellenti; a questo scopo `e utile riportare le definizioni del Testo Unico di Pubblica Sicurezza, che discriminano gli esplosivi in base alla loro capacit`a di detonare [41].

Per questo motivo, le sostanze esplosive trattate nel sito verranno indicate come

esplosivi e propellenti , in maniera anche piuttosto impropria ma di facile

com-prensione e discriminazione.

Con il termine esplosivi sono stati classificati tutti quei materiali che vengono consi-derati di I Categoria dal T.U.L.P.S., ovvero ”esplosivi deflagranti, ossia lenti, con

una velocit`a di detonazione che va dai 100 m/s ai 1000 m/s [41].”

Con il termine propellenti invece vengono indicati di seguito tutti i materiali con-siderati di II e/o III categoria dal T.U.L.P.S. Alla II Categoria appartengono i cosiddetti ”esplosivi detonanti secondari, che presentano una velocit`a di detonazio-ne di circa 7000 m/s [41].”; mentre della III Categoria fanno parte ”gli esplosivi detonanti primari o da innesco [41]”.

Le due classi di propellenti sono state accomunate dal momento che presentano delle caratteristiche molto simili tra loro se innescate, ma discriminate dagli esplosivi che hanno un comportamento ben diverso a seguito di accensione.

Le munizioni e loro componenti si collocano invece nella classe di

pericolo-sit`a pi`u bassa di tutti lo stabilimento, seguite soltanto dalle sostanze inerti (carta e

(26)

Inquadramento legislativo

Vengono riportate e riassunte di seguito le principali caratteristiche degli aspet-ti normaaspet-tivi che riguardano l’industria degli esplosivi. Nella fataspet-tispecie verranno analizzati gli aspetti legislativi di:

ˆ T.U.L.P.S.

ˆ Regolamento ADR

ˆ Regolamento REACH e regolamento CLP ˆ Direttiva seveso

Il presente capitolo ha lo scopo di evidenziare gli aspetti storici di tali elementi legislativi e la loro influenza sulla realt`a industriale presa in considerazione

3.1

Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza

(T.U.L.P.S.)

Il Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza (abbr. con l’acronimo T.U.L.P.S.), nell’ordinamento giuridico italiano, `e un testo unico del Regno d’Italia, ancora oggi vigente nella Repubblica Italiana.

Emanato con il R.D. 6 novembre 1926 n. 1848,[1] venne approvato con regio decreto 18 giugno 1931 n. 773. Con il regio decreto 6 maggio 1940, n. 635 venne emanato il relativo regolamento di esecuzione (Regolamento di esecuzione del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza). Il T.U.L.P.S. disciplina diversi ambiti tra i quali:

ˆ L’attivit`a di vigilanza o custodia privata

ˆ Le investigazioni, ricerche e raccolta di informazioni per conto di privati. E’ chiaro che in quest’ambito si collocano tutti gli aspetti relativi alla security di uno stabilimento, aspetti che verranno presi in considerazioni nei prossimi capitoli. Un altro aspetto che viene regolamentato dal T.U.L.P.S. sono le armi, in particolare,

(27)

3.2. REGOLAMENTO ADR e dunque tralasciando altri aspetti che sono comunque consultabili in [27], di nostro interesse e l’allegato A [28], che presenta l’elenco dei prodotti esplodenti e classifica-zione, e inoltre tutti i capitoli dell’allegato B [29] che regolamentano gli aspetti di costruzione, gestione, manutenzione di fabbricati e impianti inerenti alla produzione di materiale esplosivo.

3.2

Regolamento ADR

In Europa il trasporto terrestre di merci pericolose `e regolamentato da: ˆ ADR (strada)

ˆ RID (ferrovia) ˆ IMDG (via mare) ˆ IATA DGR (via aerea)

A.D.R. ovvero l’acronimo di: “European Agreement concerning the international

carriage of Dangerous goods byRoad” venne siglato a Ginevra nel 1957 (L. 12.08.62,

n. 1839); destinato a regolamentare il trasporto di merci pericolose su strada esclu-sivamente a livello internazionale. Venne poi recepito a livello nazionale tramite la Direttiva 94/55/CE a partire dal 01/01/1997 Attualmente gli Stati “membri” dell’ADR sono 45. Il regolamento in particolare specifica:

ˆ Le merci pericolose il cui trasporto internazionale `e proibito;

ˆ Le merci pericolose il cui trasporto internazionale `e autorizzato e le condi-zioni riguardanti tali merci (comprese le esencondi-zioni), per quanto concerne in particolare:

– La classificazione delle merci, compresi i criteri di classificazione e i rela-tivi metodi di prova;

– L’utilizzazione degli imballaggi (compreso l’imballaggio in comune); – L’utilizzazione delle cisterne (compreso il loro riempimento);

– Le procedure di spedizione (comprese la marcatura e l’etichettatura dei colli e la placcatura e la marcatura dei mezzi di trasporto, come pure la documentazione e le informazioni richieste);

– Le disposizioni concernenti costruzione, prova e approvazione degli im-ballaggi e delle cisterne;

– L’utilizzazione dei mezzi di trasporto (compreso il carico, il carico in comune e lo scarico).

(28)

3.2.1

Trasporto di materiale esplosivo

Il regolamento classifica le sostanze pericolose da trasportare in 9 classi. La classe 1 `e la classe di nostro interesse poich`e racchiude:

ˆ Tutte le materie solide o liquide (o miscele di materie) che sono soggette, per reazione chimica, allo sviluppo di gas a una temperatura, una pressione e a una velocit`a tale da provocare danni nelle vicinanze. Alla classe 1 appartengono anche tutte le materie pirotecniche, cio`e quelle materie o miscele di materie de-stinate alla produzione di effetti calorifici, luminosi, sonori, gassosi o fumogeni o una combinazione di tali effetti;

ˆ Gli oggetti esplosivi, cio`e gli oggetti contenenti una o pi`u materie esplosive o pirotecniche;

ˆ Le materie e gli oggetti non menzionati qui sopra, ma che siano fabbricati al fine di produrre un effetto pratico per esplosione o un effetto pirotecnico. La classe 1 viene suddivisa in divisioni ciascuna con caratteristiche differenti. Su ogni etichetta, deve essere indicata la divisione ed il gruppo di compatibilit`a. Per maggiori dettagli consultare [51].

Figura 3.1: Esempi di etichettature per materiali appartenenti a diverse divisioni della classe 1

3.3

Regolamento REACH-CLP

L’acronimo REACH sta per : Registration, Evaluation, Authorisation and

Restric-tion of Chemicals ossia registrazione, valutazione, autorizzazione e restrizione delle

sostanze chimiche; tale regolamento europeo `e entrato in vigore il 1° giugno 2007.

In linea di principio, il regolamento REACH si applica a tutte le sostanze chimi-che: non solo a quelle utilizzate nei processi industriali, quindi, ma anche a quelle che vengono adoperate quotidianamente, ad esempio nei detergenti o nelle verni-ci, e quelle presenti in articoli come gli abiti, i mobili e gli elettrodomestici. Il regolamento, quindi, interessa la maggior parte delle aziende di tutta Europa.

Il regolamento REACH attribuisce alle aziende l’onere della prova, per cui le aziende, a norma del regolamento, devono identificare e gestire i rischi collegati

alle sostanze che producono e vendono nell’Unione europea, dimostrare all’ECHA 1

(29)

3.3. REGOLAMENTO REACH-CLP come utilizzare tali sostanze senza correre rischi e informare gli utenti delle misure di gestione dei rischi. Se tali rischi non sono gestibili, le autorit`a hanno la facolt`a di

imporre varie limitazioni all’uso delle sostanze e nel lungo termine le sostanze pi`u

pericolose devono essere sostituite con sostanze meno pericolose.

Il regolamento REACH stabilisce le procedure per l’acquisizione e la valutazione dei dati sulle propriet`a e sui pericoli delle sostanze. Le aziende devono procedere alla registrazione delle loro sostanze e a tale scopo devono collaborare con le altre aziende che registrano le stesse sostanze. L’ECHA riceve e valuta la conformit`a delle singole registrazioni e gli Stati membri dell’UE valutano le sostanze selezionate per chiarire le problematiche iniziali per la salute dell’uomo e dell’ambiente. Le autorit`a e i comitati scientifici dell’ECHA stabiliscono se i rischi delle sostanze possono essere gestiti o no. Per altre informazioni riguardo ci`o che implica il regolamento REACH per le aziende, consultare [18].

Il Regolamento CLP (acronimo di Classification,Labeling and Packagin) sta per Regolamento (CE) N. 1272/2008 relativo alla classificazione, all’etichettatura e all’imballaggio delle sostanze e delle miscele che modifica e abroga le direttive 67/548/CEE e 1999/45/CE e che reca modifica al regolamento (CE) n. 1907/2006. Esso implementa nella legislazione europea la seconda edizione dello United Nations Globally Harmonised System of classification and labelling of chemicals (GHS). Il Regolamento CLP `e entrato in vigore il 20 gennaio 2009. Esso sostituisce attraverso un periodo di transizione la Direttiva 67/548/CEE sulle sostanze pericolose (DSP) e la Direttiva 1999/45/CE sui preparati pericolosi (DPP.) Gli utilizzatori di sostanze chimiche devono conoscere la nuova classificazione ed etichettatura delle sostanze chimiche per essere in grado di valutare e controllare il rischio chimico in azienda e l’eventuale pericolosit`a di miscele o articoli immessi sul mercato. In base alla nuo-va classificazione prevista dal regolamento CLP inoltre sull’etichetta devono essere riportati i nuovi pittogrammi.

Figura 3.2: Pittogrammi per etichettatura delle sostanze pericolose ai sensi del Regolamento CLP

Il regolamento CLP non prevede in linea generale obblighi per l’immissione sul mercato di articoli. Fanno eccezione gli articoli esplosivi, cos`ı come definiti alla parte 2.1 dell’allegato I del regolamento CLP, che devono essere necessariamente etichettati in conformit`a del regolamento CLP. Altri articoli non necessitano di es-sere etichettati ai sensi del regolamento CLP. Il principale obiettivo dei suddetti regolamenti `e migliorare il quadro legislativo precedente sulle sostanze chimiche al fine di tutelare dal rischio chimico: lavoratori, consumatori e ambiente.

(30)

3.4

Direttiva Seveso

3.4.1

La nascita della Direttiva Seveso

La Direttiva Seveso si occupa di gestire e prevenire i rischi dovuti all’accadimento di Incidente Rilevante.

Per Incidente Rilevante si intende un evento, quale un’emissione, un incendio o un esplosione di grande entit`a, dovuto a sviluppi incontrollati che si verificano du-rante l’attivit`a dello stabilimento, e che dia luogo ad un pericolo grave, immediato o differito, per la salute umana e per l’ambiente, all’interno o all’esterno dello

sta-bilimento, e in cui intervengano una o pi`u sostanze pericolose [44].

La necessit`a di una normativa in materia di prevenzione di incidenti industria-li nacque a seguito del ”Disastro di Seveso”, avvenuto il 10 lugindustria-lio 1976 nell’a-zienda ICMESA di Meda, che caus`o la fuoriuscita e la dispersione di una nube del 2,3,7,8-tetraclorodibenzo-p-diossina, meglio nota come TCDD o semplicemente diossina.

Figura 3.3: Stabilimento dell’azienda ICMESA di Meda [44]

Si tratta di una sostanza molto tossica, un solido inodore di colore bianco che, se viene dilavata nel terreno, si lega al materiale organico l`ı presente e si degrada nel corso di parecchi mesi o addirittura anni [44].

(a) Formula di struttura (b) Modello 3-D

(31)

3.4. DIRETTIVA SEVESO Il rilascio della diossina si ebbe a causa di un’avaria al sistema di controllo di un reattore chimico destinato alla produzione di triclorofenolo (componente presente in molti diserbanti), in seguito alla quale la temperatura sal`ı oltre i limiti previsti. La causa prima fu probabilmente l’arresto volontario della lavorazione senza che fosse azionato il raffreddamento della massa, e quindi senza contrastare la natura esoter-mica della reazione.

Il processo chimico aveva luogo in un reattore di tipo batch, la cui esplosione venne evitata dall’apertura delle valvole di sicurezza, ma l’alta temperatura raggiunta fa-vor`ı la cinetica della reazione secondaria, che comport`o una massiccia formazione di TCDD, che fuoriusc`ı nell’aria in quantit`a non definita dando luogo alla formazione di una nube tossica, che colp`ı i comuni di Meda, Seveso, Cesano Maderno e Desio. Il comune maggiormente colpito fu Seveso, in quanto situato immediatamente a sud della fabbrica, da cui il nome della Direttiva ancora in vigore.

Il veleno invest`ı una vasta area di terreni dei comuni limitrofi della bassa Brianza, particolarmente quello di Seveso. Il disastro ebbe notevole risonanza pubblica e a livello europeo porta alla creazione della direttiva 82/501/CEE nota anche come direttiva Seveso.

Figura 3.5: Estensione della zona contaminata dal rilascio di diossina nell’incidente di Seveso [44]

(32)

3.4.2

Evoluzione della Direttiva Seveso

A partire dalla prima met`a degli anni ’80 sulla scia degli incidenti rilevanti in Eu-ropa tra cui Flixborough (UK) (1974), Bleek (NL) (1975) e Seveso (1976) fino al 2012, la Direttiva Seveso ha subito dei processi evolutivi atti a rafforzare la stra-tegia di controllo e di conseguenza la prevenzione di incedenti rilevanti, in contesti industriali anch’essi dinamici e dunque variabili nel tempo. I capisaldi su cui si basa

la direttiva Seveso I sono rimasti intatti fino alla pi`u recente Seveso III, tuttavia

l’aggiornamento della direttiva ha comportato l’aggiunta di obblighi da parte del gestore dell’impianto e alcune innovazioni concettuali che vanno ad ampliare l’effi-cacia di tale normativa. In questo paragrafo viene offerta una panoramica generale

degli aspetti pi`u importanti relativi all’implementazione delle versione aggiornate.

Per ulteriori dettagli consultare [52]

Di seguito sono riassunti gli aspetti fondamentali della Seveso I:

ˆ Censimento degli stabilimenti a rischio con annessa idenntificazione delle so-stanze pericolose da parte degli stati membri

ˆ Creazione di un piano di prevenzione e di e di un piano di emergenza da parte di ogni stabilimento a rischio

ˆ Controllo dell’urbanizzazione attorno al sito ˆ Informazione degli abitanti delle zone limitrofe

ˆ Esistenza di un’autorit`a preposta all’ispezione dei siti a rischio.

Sono esclusi, le installazioni militari e i rischi connessi con l’emissione di radiazioni ionizzanti. A seguito dell’implementazione lo scenario mondiale industriale viene afflitto da tre incidenti rilevanti, avvenuti tra il 1984 e il 1986.

Nel 1984 2259 morti e svariati danni ambientali di grosso impatto furono causati dalla fuoriuscita incontrollata di isocianata di metile da uno stabilimento dell’Union Carbide a Bhopal (India), sempre nello stesso anno a Citt`a del Messico un esplosione

di serbatoi di GPL causa pi`u di 500 morti. Mentre lo scenario europeo vede la

contaminazione del fiume Reno da mercurio a Basilea (CH) (1986). Dopo circa 10 anni, e quindi nel 1996 nasce la Seveso II, recepita in Italia con il D.Lgs. 334/99, in cui il sistema di approccio ai sistemi di sicurezza nell’ambito industriale cambia ottiva, venne diminuito il numero di sostanze definite materie pericolose da 180 a 50 e si affianc`o a questo elenco una lista di classi di pericolosit`a che ampli`o, di conseguenza, il campo di applicazione del decreto.

La Direttiva venne in seguito aggiornata dando vita alla cosiddetta Seveso II bis (direttiva 2003/105/CE) dopo l’incidente di una fabbrica di fertilizzanti a Tolosa che ha causato uno sversamento di nitrato d’ammonio nell’ambiente circostante e lo scoppio di un’azienda di materiale pirotecnico nei Paesi Bassi, e i danni ambientali dovuti allo sversamento di arsenico, mercurio e cianuri nel bacino del Danubio. La Seveso II bis viene recepita in Italia con Decreto Legislativo 21 settembre 2005, n. 238.

(33)

3.4. DIRETTIVA SEVESO In questa normativa sono stati introdotti nuovi limiti per le aziende che deten-gono nitrato di ammonio, materiale pirotecnico e per le aziende minerarie, oltre all’abbassamento dei valori limite per le sostanze tossiche e l’innalzamento dei limiti per le sostanze ritenute cancerogene.

Ecco riportati gli adempimenti delle diverse categorie [12] ˆ Art. 5.22

ˆ Individuare i rischi di incidente rilevante;

ˆ Integrare il DVR (Documento di Valutazione dei Rischi) di cui al D.Lgs.81/08; ˆ Provvedere all’informazione, formazione e addestramento come previsto dal

D.M.16/03/98. ˆ Art.6

ˆ Trasmettere la notifica, con le modalit`a dell’autocertificazione, a: Min. Amb., Regione, Provincia, Comune, Prefetto e CTR;

ˆ Trasmettere la Scheda di Informazione di cui all’allegato V a: Min. Amb., Regione, Sindaco e Prefetto; Redigere e riesaminare ogni 2 anni il documento di Politica di prevenzione degli incidenti rilevanti di cui all’articolo 7;

ˆ Attuare il SGS (Sistema di Gestione della Sicurezza) di cui allo stesso docu-mento.

ˆ Art.8

ˆ Trasmettere il RdS (Rapporto di sicurezza) all’autorit`a competente;

ˆ Riesaminare il rapporto di sicurezza: a) ogni 5 anni; b) ad ogni modifica che costituisca aggravio del preesistente livello di rischio; c) ogni volta che intervengano nuove conoscenze tecniche in materia di sicurezza;

ˆ Predisporre il Piano di Emergenza Interno;

ˆ Trasmettere al Prefetto e alla Provincia le informazioni per la stesura del Piano di Emergenza Esterno.

Attualmente `e in vigore la Direttiva Seveso III (D.Lgs. 105/15), l’ultimo aggiorna-mento della normativa.

3.4.3

La Direttiva Seveso III: punti chiave e innovazioni

La nuova edizione della direttiva ha preso il via quando il 24 luglio 2012 `e stata pub-blicata sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea n. 197 la Direttiva 2012/18/UE del 4 luglio 2012. Entrata in vigore il 13 agosto dello stesso anno, per essere rece-pita dagli Stati Membri entro il 1º giugno 2015. L’Italia l’ha recerece-pita nel proprio

(34)

Tale normativa si applica agli stabilmenti in cui sono presenti le sostanze perico-lose (nell’allegato I della normativa) e introduce delle novit`a significative pur non andando a modificare il sistema di controlli precedente. Su richiesta della comunit`a europea sono state introdotte alcune novit`a, ad esempio vengono introdotte alcune definizione migliorata la sintassi per aumentare la leggibilit`a della norma, viene co-munque mantenuta la regola della sommabilit`a [26].

Scendendo pi`u nel dettaglio `e importante notare i seguenti aspetti [26]:

ˆ L’adeguamento dell’allegato 1 al nuovo sistema di classificazione ed etichetta-tura delle sostanza (regolamento CLP 1272/2008), la necessit`a `e dovuta ad un bisogno di armonizzazione a livello internazionale.

ˆ Aggiornamento, adempimento e controlli sulla base delle esperienze derivate dall’applicazione della seveso II, in particolare vengono introdotti dei miglio-ramenti tecnici (semplificazione delle procedure, riduzione degli oneri ammi-nistrativi a carico delle imprese)

ˆ Potenziamento del sistema di controlli con nuove misure quali l’obbligo di pianificazione e programmazione delle ispezioni degli stabilimenti

ˆ Adeguamento della convenzione di Aarhus del 1998, relativa all’accesso alle informazioni, la partecipazione del pubblico ai processi decisionali e l’accesso alla giustizia in materia ambientale. Potenziamento dei flussi di informazioni tra gli stakeholders a tutti i livello

ˆ Introduzione delle procedure di deroga per le sostanze non in grado di generare (in pratica) incidenti rilevanti. La proposta di deroga pu`o essere presentata alla comunit`a europea da uno stato membro.

(35)

Capitolo 4

Scopo del lavoro

Nel presente elaborato sono state condotte delle analisi su due livelli come mostra la Figura 4.1, per le quali verr`a definita una metodologia specifica nel successivo Capitolo 5, ed applicate ad una realt`a del settore dell’industria degli esplosivi.

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degli esplosivi tanto quanto lo sono per le realt`a Oil & Gas per cui sono state pensate. Lo scopo del presente elaborato di tesi `e infatti quello di definire una metodolo-gia che consenta di determinare il livello di rischio globale di una qualunque realt`a a rischio d’incidente rilevante, che tratti sostanze esplosive, sia per gli aspetti di rischio connessi alle attivit`a industriali che per quelli di sicurezza da attacchi esterni. Per poter definire un metodo che sia efficace ed efficiente si parte dall’applicazione di strategie ed algoritmi gi`a consolidati ed in uso nel settore petrolifero e petrolchi-mico, andando ad adattarli adeguatamente al caso delle installazioni che trattano esplosivi solidi.

A primo impatto queste realt`a industriali appaiono estremamente semplici per la tipologia di processi operativi che trattano, il che porta spesso a sottovalutare la complessit`a delle situazioni che possono venire a crearsi da un punto di vista di sicurezza.

Sebbene le installazioni Oil & Gas sono effettivamente pi`u complesse da un punto

di vista di ingegneria di processo, il settore degli esplosivi si trova a fare i conti con legislazioni e metodologie per la prevenzione e/o la gestione del rischio che mal si adattano alle loro esigenze operative. Da qui nasce la necessit`a di fornire ai gestori dei questi stabilimenti degli strumenti adeguati per poter applicare i principi del Risk Management in maniera semplice ed esaustiva.

Gli step per la definizione e la validazione della procedura di analisi semi-quantitativa del rischio di security sono i seguenti:

Step 1: a partire dalle prescrizioni della normativa vigente in tema d’incidenti rilevanti, `e stato condotto uno studio di safety applicando i principi ampiamente consolidati della QRA, andando prima a definire i possibili scenari incidentali, per poi determinare frequenza e magnitudo del rischio associato ad ognuno di essi. Step 2: applicazione di una metodologia qualitativa per la valutazione del rischio di security, utilizzata nel settore Oil & Gas [3], implementata in modo da consentire

di definire un livello di rischio in maniera sistematica e pi`u oggettiva possibile.

Step 3: `e stata definita una Matrice di Rischio Safety, che viene utilizzata a partire dai valori di frequenza e magnitudo (numero di persone nell’area di danno associata all’accadimento del major accident) ottenuti per i diversi scenari incidentali.

La matrice consente di definire un livello del rischio di safety, che va da 1 a 5, in modo da rendere confrontabili i valori ottenuti in questo caso con quelli visti allo Step 2 per la security. L’utilizzo di questa matrice consente di validare o meno il modello semi-quantitativo sviluppato per la valutazione del rischio di security. Il vantaggio di questo modello `e in primis quello di consentire al gestore di de-terminare l’efficacia dei sistemi di security di cui `e dotata la sua azienda, per poterli eventualmente implementare in maniera adeguata sulla base delle criticit`a rilevate. Per questo `e fondamentale avere a disposizione un metodo che sia facilmente uti-lizzabile e soprattutto rappresentativo delle condizioni specifiche dell’installazione,

(37)

senza andare a sovrastimare o sottostimare l’effettivo livello di rischio.

In secondo luogo consente di avere una correlazione diretta degli aspetti di safety e security, che risulterebbero addirittura comparabili tra loro, in modo da garan-tire la gestione globale del rischio per realt`a cos`ı delicate come quelle a rischio di accadimento d’incidente rilevante.

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Metodologia

5.1

Valutazione per analisi di sicurezza dei

processi industriali (SAFETY)

Dal punto di vista della sicurezza industriale, la normativa vigente impone l’uti-lizzo di metodologie consolidate per l’analisi di sicurezza per gli impianti a rischio d’incidente rilevante e che dunque ricadono negli obblighi della Direttiva Seveso III (D.Lgs.105/15).

La QRA (Quantitative Risk Assessment) `e una procedura richiesta e applicata in determinati settori industriali, come ad esempio quello chimico, e richiede l’identi-ficazione dei pericoli connesi ad una determinata attivit`a prima di poter valutare il livello di rischio e la conseguente accettabilit`a [50].

Al fine di effettuare la valutazione del rischio deve essere effettuata una stima della frequenza di accadimento f e della magnitudo dei danni M, che da un’idea della loro grandezza [36].

L’analisi del rischio viene effettuata tramite una serie di step successivi, secondo lo schema di Figura 5.1, che sono:

1. identificazione dei pericoli;

2. valutazione e stima delle conseguenze (danni provocati dagli eventi); 3. valutazione e stima della frequenza di accadimento degli eventi; 4. valutazione del rischio sulla base della frequenza e delle conseguenze;

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5.1. VALUTAZIONE PER ANALISI DI SICUREZZA DEI PROCESSI INDUSTRIALI (SAFETY)

Figura 5.1: Fasi della Quantitative Risk Assessment

I metodi di analisi della sicurezza sono strumenti sviluppati al fine di identificare i pericoli di incidenti rilevanti, valutare i rischi connessi con le installazioni e con le attivit`a svolte nello stabilimento, effettuare un’analisi comparata della criticit`a e controllare la completezza e coerenza della progettazione [36].

Alcuni tra i metodi pi`u comunemente utilizzati, secondo le linee guida del CCPS

(Center for Chemical Process Safety)[10], sono:

- Metodi ad indici (F & EI, Mond Index, CEI, etc.); - Check-list;

- What-if Analysis;

- FMEA (Failure Modes and Effects Analysis); - Fault Tree Analysis FTA;

- Event Tree Analysis ETA;

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- PHA (Preliminary Hazard Analysis); - HAZID (Hazard Identification) Analysis; - HRA (Human Reliability Analysis);

e molte altre. In ogni caso, le diverse tecniche complessivamente possono essere divise in tre macro-categorie [36]:

1) Check-list e metodi ad indici: si basano sull’utilizzo di liste di domande (check-list) per verificare lo stato di un sistema ed identificare i pericoli. Le limitazioni di tali procedure sono rappresentate dal fatto che i pericoli non considerati nelle check-lists non vengono analizzati e dunque tralasciati nella valutazione finale, e che i risultati sono fortemente influenzati dall’esperienza di chi li redige.

Uno dei metodi compreso in questa categoria `e il Metodo ad Indici DPCM 31 marzo 1989 [42].

2) Metodologie di revisione strutturata: si tratta di tecniche basate su ses-sioni di brainstorming effettuate da un team di specialisti del metodo e del-l’impianto analizzato ed `e richiesta una conoscenza piuttosto dettagliata del processo e dell’impianto.

Si suddividono a loro volta in due sotto-categorie: metodologie relative alla progettazione, come ad esempio HazOp, FMEA, What-if, volte all’i-dentificazione di zone critiche e modalit`a di guasto delle apparecchiature, e metodologie relative alle conseguenze, come ad esempio la tecnica Ha-zId, volte all’identificazione delle conseguenze potenziali ed eventuali metodi di protezione e loro mitigazione.

3) Diagrammi logici: procedimenti logici che permettono di studiare la proba-bilit`a di guasto di un sistema ed effettuarne una rappresentazione grafica. I principali metodi compresi in questa categoria sono: FTA (Fault Tree Ana-lysis) ed ETA(Event Tree AnaAna-lysis).

I Diagrammi Logici permettono un’identificazione dei pericoli anche di tipo quanti-tativo, mentre le altre categorie ne consentono una semplice stima qualitativa. Per questo motivo, spesso le prime due categorie di metodi fungono da sopporto iniziale

a quelle che sono delle metodologie di analisi successive e pi`u dettagliate.

Alcune delle metodologie descritte costituiscono adempimenti legislativi, come indi-cato al successivo Paragrafo 5.1.1.

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5.1. VALUTAZIONE PER ANALISI DI SICUREZZA DEI PROCESSI INDUSTRIALI (SAFETY)

5.1.1

Metodologie applicabili ai sensi del D.Lgs.105/15

I vari metodi rappresentano un buon supporto per il gestore di uno stabilimento di

soglia superiore assoggettato alla direttiva Seveso III, nella stesura del rapporto di

Sicurezza, come accennato al precedente Capitolo 3.

Nella fase si identificazione dei major accident a cui pu`o andare incontro il sito, la Normativa [13] impone l’impiego di Metodi ad Indici (DPCM 31 marzo

1989)[42] e del metodo HazOp per effettuare la valutazione ed identificazione dei

pericoli necessaria durante la redazione del Rapporto di Sicurezza.

Il Metodo ad Indici `e uno strumento che permette di effettuare una valutazione preliminare per l’identificazione di aree critiche di attivit`a industriali [36]. Tale me-todo unisce una check-list ad un sistema di valutazione basato sull’attribuzione di punteggi ai singoli elementi. I vari punteggi vengono sommati, secondo delle equa-zioni di calcolo definite dal DPCM 31 marzo 1989 [42], e consentono di ottenere degli indici di rischio.

Ogni indice ottenuto va successivamente ”mitigato”, ovvero corretto in relazione alle informazioni specifiche del sito che si sta considerando, tramite una seconda check-list che tiene conto delle condizioni in cui normalmente di svolgono le attivit`a nell’azienda.

Tali indici consentono di effettuare una valutazione comparativa di pericolo o di rischio dei diversi impianti, apparecchiature e aree di processo.

Il metodo HazOP prevede una sessione di brainstorming, svolta da un team di esperti che deve vedere rappresentate tutte le competenze e le discipline progettuali. Gli obiettivi sono in primis l’identificazione delle sequenze di guasti che possono portare ad incidenti rilevanti; in secondo luogo si hanno: l’identificazione delle zone critiche di impianto dal punto di vista della sicurezza e del processo, la correzione di errori logici in fase di progetto, ”decision making” per la riduzione dei rischi, adempimento della procedura per la stesura del Rapporto di Sicurezza richiesta dal-le normative vigenti sulla sicurezza [36].

Tale metodologia non sempre `e applicabile, o almeno non a tutte le realt`a aziendali, dal momento che devono essere disponibili P & ID e PFD dell’impianto.

Nello specifico del caso studio del presente lavoro di tesi, la scelta `e ricaduta in maniera obbligata sul Metodo ad Indici, in combinazione con l’analisi FMEA sulla macchina di produzione delle munizioni, non essendo presenti diagrammi di proces-so da poter esaminare in fase di HazOp. L’analisi ha portato all’identificazione dei nodi, ovvero i diversi luoghi del sito da cui pu`o aver luogo un incidente rilevante, e i relativi Top Event.

Il dettaglio dell’analisi svolta `e riportata in Appendice A e in Appendice B, mentre al Capitolo 7 verranno esposti soltanto i risultati ottenuti.

In ogni caso, una volta individuati i Top Event si procede ad un’analisi di rischio di tipo quantitativo andando ad applicare la tecnica dell’ Fault Tree Analysis. La sua costruzione prevede un procedimento a ritroso, che parte dal Top Event e procede analizzando la causa dell’ultima deviazione che determina il Top stesso.

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Tale causa, a sua volta, viene trattata come deviazione per risalire a tutte le cause che ad essa possono concorrere, ogni volta che si verifica un guasto delle protezioni (automatiche o manuali), previste nel progetto [50].

L’albero dei guasti `e dunque un’espansione di ogni causa dell’evento fino alla

de-terminazione degli ”eventi primari”, ovvero quegli eventi che non risultano pi`u

svi-luppabili. I processi logici precedentemente descritti vengono poi rappresentati gra-ficamente, attraverso opportuni software, mettendo il evidenza le relazioni logiche tra gli eventi che, verificandosi, comportano l’accadimento dell’evento indesiderato (Top Event), tramite l’utilizzo di adeguati operatori logici.

Figura 5.2: Esempio di Albero dei Guasti (FTA)

L’albero dei guasti (FTA) costituisce una rappresentazione grafica delle relazioni logiche tra gli eventi che verificandosi in successione portano all’evento indesiderato (cosiddetto ”Top Event”). Per evento si intende una condizione anomala del sistema, interna o esterna ad esso, che agisce sul sistema stesso. Il Top Event rappresenta, invece, un evento indesiderato di cui si vogliono determinare le cause e quantificare la probabilit`a di accadimento tramite la successiva analisi delle frequenze [36]. L’albero dei guasti fornisce, pertanto, una descrizione dei possibili malfunzionamenti che possono causare direttamente o indirettamente l’evento indesiderato. La costru-zione di un albero dei guasti inizia con la definicostru-zione del Top Event e della sua

relazione con il verificarsi degli eventi pi`u prossimi che possono causare il top event,

detti anche gate; per ognuno di questi gate cos`ı identificati viene applicato lo stesso procedimento di ricerca delle relative cause, e cos`ı via, fino all’identificazione degli eventi primari.

Gli eventi primari rappresentano il limite di sviluppo dell’albero e sono associati generalmente al guasto di componenti o sottosistemi che non si ritiene utile

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