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INDUSTRIA 4.0: gli impatti e le trasformazioni per la creazione di valore nell'attività produttiva

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Academic year: 2021

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Dipartimento di Economia e Management

Corso di laurea magistrale

Strategia, Management e Controllo

INDUSTRIA 4.0: gli impatti e le trasformazioni per la

creazione di valore nell’attività produttiva

RELATORE

Prof. Nicola CASTELLANO

CANDIDATO

Sofia RATTI

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Sommario

CAPITOLO 1 ... 5

Verso l’industria 4.0: excursus storico ... 5

Il modello europeo: la strategia tedesca come guida ... 7

La strategia americana ... 10

Breve accenno alla strategia della Cina ... 11

La strategia italiana ... 12

Industria 4.0: a che punto sono le aziende italiane? ... 16

Le tecnologie abilitanti ... 18

L’impatto sul mondo del lavoro ... 21

La soggettività del lavoro. ... 24

Competence Center e Digital Innovation Hub ... 25

Vantaggi e criticità nel processo di digitalizzazione ... 27

La servitizzazione ... 28

La formazione continua ... 30

CAPITOLO 2 ... 33

Modello di Sveiby ... 34

Trasformare la propria fabbrica in una fabbrica digitale ... 35

La struttura interna: l’evoluzione dei processi aziendali. ... 37

Lean Thinking ... 41

Da Lean production a Digital lean 4.0 ... 43

Smart products ... 45

Smart machine ... 47

Augmented operator ... 49

Capitale umano e competenze ... 50

L’indagine condotta da Manpower: un quadro delle competenze in Italia ... 53

Missmatch in Italia ... 56

Competenze digitali ... 57

Le competenze a livello direzionale e operativo ... 61

Capitale relazionale ... 64

I distretti industriali ... 65

Internazionalizzazione dei distretti: verso una catena globale del valore ... 68

Internazionalizzazione delle PMI italiane ... 70

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Rapporti con le università ... 77

Spin-off ... 77

Global supply chains e le tecnologie di industria 4.0 ... 78

Verso l’applicazione pratica ... 80

Capitolo 3 ... 81

Caso Bossard Italia ... 82

Bossard: smart factory logistics ... 83

Analisi critica ... 87

Caso Pirelli ... 88

Storia e prodotti ... 88

Tecnologie 4.0: fasi di implementazione e Big Data ... 89

Tecnologia 4.0: smart product (IoT) ... 91

Le competenze ... 93

Analisi critica ... 94

Caso Fabio Perini ... 95

Digital tissue ... 97

Tissue data cloud ... 99

Wearable technologies ... 102 Competenze ... 103 Analisi critica ... 106 Casi a confronto ... 107 CAPITOLO 4 ... 108 Conclusioni ... 108 Bibliografia ... 112 Sitografia ... 114

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pag. 5

CAPITOLO 1

Verso l’industria 4.0: excursus storico

Con il termine industria 4.0 intendiamo una nuova concezione del modello aziendale sia per quanto riguarda la produzione di prodotti e l’offerta di servizi sia l’organizzazione aziendale in termini di modelli di business e gestione delle risorse umane. L’industria 4.0 viene descritta come una rivoluzione industriale e una tecnologia disruptive (Bower e Chistensen, 1995), cioè un’innovazione radicale che cambia le regole del gioco e il funzionamento dei mercati.1 Si crea un nuovo rapporto tra persone, macchine e nuovi

strumenti tecnologici quali robot, big data, cloud, realtà aumentata. Con la sua accezione più ampia l’industria 4.0 è sinonimo di smart factory, può essere tradotta come fabbrica intelligente, fabbrica digitale o industria del futuro. La smart factory è un’azienda caratterizzata dall’adozione di sistemi di lavorazione automatizzati e intelligenti, si parla di integrazione uomo-macchina, Cyber-physical system (CPS), in cui a differenza del passato abbiamo una comunicazione bidirezionale tra i due soggetti, l’uomo infatti non si limita più a mettere in pratica un comando e controllare poi l’attività svolta dalla macchina, con la quarta rivoluzione industriale le macchine sono in grado di immagazzinare dati ed elaborarli per trasmettere agli utilizzatori informazioni costanti sul processo produttivo. Con il ricorso a sistemi di produzione cyber-fisici, i siti produttivi sono in grado di reagire più rapidamente, quasi in tempo reale, alle variazioni della domanda, delle specifiche di prodotto, dei flussi

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approvvigionamento delle materie prime ottimizzando i processi di trasformazione, riducendo gli errori e i difetti, migliorando il time to market e assicurando flessibilità, velocità e prestazioni. La chiave del successo della digitalizzazione 4.0 non sta nell’aver a disposizione le tecnologie abilitanti su singoli oggetti ma a creare una connessione tra essi per arrivare ad avere un efficacie e continuo flusso informativo mai ottenuto con le tecnologie precedenti.

Industria 4.0 è solo il nostro punto di arrivo frutto di un percorso storico che ha origine a fine 1700 con la prima rivoluzione industriale legata all’invenzione della macchina a vapore che permise da un lato di azionare macchinari industriali, decisiva per accelerare il progresso di tutte le attività produttive, dall’altro di costruire le prime locomotive a vapore rivoluzionando l’intero mercato dei mezzi di trasporto come treno, navi. La seconda rivoluzione industriale avviene a cavallo tra il 19 e il 20 secolo prima della prima guerra mondiale dove l’introduzione della corrente elettrica determina un significativo passo in avanti nella produzione dando vita alla produzione di massa. La terza rivoluzione industriale avviene in modo rapidissimo dopo i duri anni della seconda guerra mondiale, svolta decisiva negli anni ‘70 con lo sviluppo dell’elettronica e dell’informatica (tecnologie ICT) automatizzando ulteriormente la produzione fino ad arrivare alla nascita di internet cambiando notevolmente il mondo delle telecomunicazioni e anche della vita delle persone. Dal 2011 in poi, il termine industria 4.0 è divenuto parte del nostro linguaggio e con esso tutte le relative tecnologie abilitanti, la fase di rivoluzione è tutt’ora in corso e proiettata nel futuro. La quarta rivoluzione industriale però si differenzia dalle rivoluzioni precedenti in quanto: non è caratterizzata almeno per il momento da veri e proprio salti in avanti caratterizzati da scoperte scientifiche e tecnologiche ma da un’evoluzione del processo di informatizzazione che già era cominciato con la terza rivoluzione, inoltre gli impatti dell’I4.0 non sono solo legati alla manifattura ma in modo trasversale riguardano anche altri settori (come l’agricoltura, servizi, turismo, e pubblica amministrazione) e sia grandi che piccole e medie imprese. Molti attori si sono trovati a competere in nuovi mercati da cui sono gradualmente scomparsi i players tradizionali, che vengono sostituiti da nuovi “artigiani digitali (makers)”, da nuove tipologie di operatori (Uber), da sistemi di pubblicità liquidi (Tripadvisor)2.Oltre ad una pervasività in vari settori dell’economia si

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assiste anche al coinvolgimento di tutta la filiera produttiva, dal fornitore al produttore ma anche dal produttore al singolo cliente. Le due parole chiave fondamentali sono: inter connettività, garantita dalle tecnologie Internet of Things (IoT), che come vedremo più avanti include l’insieme di componenti e dispositivi tecnologici (sensori, GPS,..) incorporabili in oggetti fisici e macchinari , che assicurano l’ interfaccia tra mondo fisico e mondo digitale (sistemi Cyber-fisici) e consentono di comunicare, attraverso internet, con altri oggetti, di scambiare informazioni e modificare il comportamento in base agli input ricevuti, ma anche di memorizzare e quindi apprendere dall’iterazione digitale. Altro concetto è l’automatizzazione poiché rappresenta un’evoluzione dell’automatizzazione della terza rivoluzione industriale, dove la robotica ha potenziato le proprie capacità cognitive, di adattamento al contesto e di auto-apprendimento. Parlando di robotica e quindi macchine intelligenti è doveroso fare un riferimento anche ad un altro concetto molto di moda adesso, il Machine Learning (tradotto come apprendimento automatico) intesa come abilità delle macchine (intese come computer) di apprendere senza essere esplicitamente e preventivamente programmate. In sostanza, gli algoritmi di Machine

Learning usano metodi matematico-computazionali per apprendere informazioni

direttamente dai dati, senza modelli matematici ed equazioni predeterminate. Gli algoritmi di Machine Learning migliorano le loro prestazioni in modo “adattivo” mano a mano che gli “esempi” da cui apprendere aumentano.3In conclusione lo sviluppo del machine learning

e più in generale dell’IoT ha ovvie conseguenze sul manufacturing: nella fabbrica digitale aumenta la connessione e l’interdipendenza non solo tra i lavoratori (H2H), ma anche tra le macchine (M2M) e tra questi e la rete pervadendo tutte le attività aziendali.

Il modello europeo: la strategia tedesca come guida

L’Unione Europea ha avviato il programma Horizon 2020, un programma di finanziamento per la ricerca e l’innovazione europea. È il programma più ingente varato finora dall’UE in termini di risorse assegnate essendo disponibili più di 70 miliardi4 di finanziamenti per un

periodo di sette anni (2014-2020). Il programma affronterà le sfide più attuali della società, per questo non punta solo a favorire il mercato in sé ma anche al miglioramento della

3https://www.ai4business.it/intelligenza-artificiale

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qualità della vita e della sostenibilità ambientale delle scelte economiche. Il programma è pilotato dall’Unione Europa attraverso un organismo pubblico-privato, la European

Factories of the future Association (EFFRA) formata da grandi imprese industriali europee

(Siemens, Airbus, Fiat-Chrysler, Bosch), centri di ricerca pubblici, università e associazioni imprenditoriali. L’attuazione di Horizon 2020 ha l’ambizioso obbiettivo di promuovere una ripresa economica forte e per realizzarlo indica tre priorità: una crescita basata sulla ricerca e sull’innovazione tecnologica, una società inclusiva a elevata occupazione (mercato del lavoro, formazione, lotta alla povertà) e una crescita “verde” vale a dire un’economia competitiva e sostenibile. Il programma Horizon 2020 si fonda su tre pilastri fondamentali:

scienza di eccellenza, leadership industriale e sfide della società. La materia industria 4.0 si

inserisce nel secondo pilastro del framework “industrial leadership” che si articola in tre programmi: leadership nelle tecnologie abilitanti (nanotecnologie, materiali avanzati, biotecnologie, sistemi avanzati di produzione, ICT, spazio) accesso al capitale di rischio per incentivare l’investimento in ricerca e innovazione da parte dei privati e favorire

l’innovazione delle PMI aiutandole a crescere per diventare leader.

L’input lanciato dall’Unione Europea è stato poi adattato ai vari contesti nazionali, il più rilevante è quello tedesco (industrie 4.0), analizzeremo poi il piano industria 4.0 dell’Italia e un breve accenno a high value manufacturing del Regno Unito e industrie del futur francese, poiché questi ultimi ancora un po' indietro nello sviluppo e nell’implementazione di un piano strategico.

L’espressione Industria 4.0 è stata utilizzata per la prima volta in Germania, dall’Accademia nazionale delle scienze e dell’ingegneria, durante la Fiera di Hannover nel 2011, la più grande fiera mondiale dedicata alla tecnologia. I tedeschi, essendo il primo paese manifatturiero in Europa, sono stati i primi a sentire il bisogno di integrare i tradizionali sistemi produttivi con le nuove componenti tecnologiche dell’ICT 4.0, così da garantirsi la leadership sui mercati. Il piano previsto dal governo in materia di high- tech prevede da un lato la necessità di adattare le tecnologie ICT agli specifici bisogni del mercato e dall’altro avviare programmi di ricerca e formazione per implementare nuovi metodi per la gestione delle risorse umane e lo sviluppo di processi industriali. Un ulteriore elemento della strategia è quello di sviluppare e ampliare la “plattform industrie 4.0” una piattaforma al quale possono accedere imprese, centri di ricerca, istituzioni e sindacati con lo scopo di

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monitorare i più rilevanti trend e applicazioni del settore manifatturiero e creare così standard comuni per delineare l’applicazione della digitalizzazione con successo nei processi produttivi. Questa cooperazione permette soprattutto alle piccole medie imprese di poter acquisire know-how che altrimenti sarebbe troppo costoso da acquistare. Questo progetto è sostenuto sul piano finanziario dal Governo federale con una stretta collaborazione tra grandi player industriale, istituzioni e centri di ricerca, tra cui i più importanti ricordiamo il Max Planck Institute, il Frauenhofer e l’Acatech (Accademia nazionale delle scienze e dell’ingegneria). Il principale intento dei tedeschi, volendo mantenere il loro primato nella manifattura, è di puntare sui propri prodotti:

Smart products: prodotti e macchinari intelligenti, ovvero dotati di connessione internet, possono raccogliere una grande mole di dati che poi una volta trasferiti su relativi server aziendali hanno lo scopo di ottimizzare i procedimenti produttivi;

Connettività: avere prodotti e impianti connessi permette di avere una maggiore efficienza in termini di riduzione dei tempi e risorse utilizzate;

Integrazione: il monitoraggio intelligente delle attività permette di avere sempre una visione trasparente dei processi produttivi in modo da poter intervenire più facilmente ai rapidi cambiamenti del mercato (lato commerciale);

Altri modelli europei sono la Francia con il programma “Indutrie du Futur” del 2015 che si basa sul partenariato pubblico-privato: alliance pour industrie du futur formato da enti pubblici, imprese, università. L’obbiettivo del programma è di favorire una trasformazione radicale dell’industria francese non solo riguardo alla robotica, big data, realtà aumentata e IoT ma anche in riferimento all’innovazione organizzativa, ai nuovi modelli di business e relazioni con i clienti.

In Inghilterra si parla di High Value Manufacturing, le industrie inglesi hanno bisogno di un profondo rinnovamento per mantenere la competitività internazionale e pertanto il governo ha previsto forti investimenti soprattutto sui settori con maggiori potenzialità di crescita a livello internazionale quali l’aereospaziale, farmaceutico, chimico, elettronico.

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pag. 10 La strategia americana

Gli Stati Uniti hanno adottato una strategia diversa da quella tedesca ma sempre mirando al raggiungimento dello stesso fine, l’integrazione tra macchine, oggetti e persone. L’approccio americano ha una presenza meno massiccia del governo centrale e la strategia ha come oggetto principale, non il settore manifatturiero ma si basa sull’idea di uno sviluppo di tecnologie digitali in modo trasversale a tutti i settori. Nel 2011 è stato introdotto l’Avanced Manifacturing partnership (AMP) durante la presidenza Obama, per sancire una stretta collaborazione tra imprese industriali e grandi nomi dell’ICT oltre ai centri di ricerca e università, per favorire il finanziamento e la terziarizzazione dell’economia americana. Inoltre, nel 2014, l’industrial internet consortium (ICC), nato su iniziativa delle aziende leader come Intel, IBM, General Electric, AT&T, ha pubblicato

“industrial internet reference architecture”, un insieme di linee guida che definiscono best practices e standard tecnologici aperti per lo sviluppo dei sistemi IOT applicati nel contesto

industriale e dei servizi. Da qui è nata l’esigenza di creare una “smart manufacturing

platform” basata su cloud che mette a disposizione i dati provenienti dai sensori IOT

impiegati nelle linee di produzione. Questa piattaforma consentirà di integrare dati e processi manifatturieri sia interni al singolo impianto (per analisi, misura e simulazione) sia esterni, così di integrare ed orchestrare i processi di business di tutte le imprese coinvolte nella value chain. L’enfasi è quindi posta sull’integrazione tra sistemi, attraverso l’uso di sensori, sui rapporti machine-to-machine, sui big data, il cloud e la creazione di piattaforme che garantiscano l’interconnessione dei diversi produttori.

Le caratteristiche distintive della strategia americana possono essere riassunte così: 1. Tecnologie digitali innovative: sviluppo tecnologico e applicativo delle tecnologie

generaliste di base che possono essere poi impiegate in una vasta varietà di prodotti. Creazione di hardware, software, standard tecnologici aperti;

2. Internet of things (IoT), industrial internet: prodotti e servizi dotati di connessione internet in ambito consumer (IoT) e ambito industriale (industrial internet)

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3. Big data e analytics: tecniche di acquisizione, storage, trattamento e visualizzazione di grandi masse di dati.

È evidente che sia il modello europeo che quello americano hanno come scopo lo sviluppo di sistemi cyber-fisici in cui l’uomo sarà sempre di più assistito ed integrato con una forma di intelligenza artificiale, ma comunque si possono identificare due approcci diversi. Prendiamo come riferimento nel confronto il modello tedesco, che abbiamo visto non è l’unico ma di sicuro è la realtà più strutturata. La strategia tedesca enfatizza molto il ruolo della smart factory, nel modello americano si privilegia l’Internet of Things, ne consegue che il modello europeo si focalizza di più sul settore manifatturiero, mentre gli Stati Uniti puntano a migliorare anche le attività di servizi, ovvero il sistema economico nel suo complesso. Il modello europeo preferisce individuare uno standard comune, a cui tutte le imprese possono fare riferimento per lo sviluppo di tecnologie adeguate, mentre gli americani preferiscono definire piattaforme aperte a tutti gli operatori. Inoltre in Europa gli interventi dei governi sono sostanziali al contrario in America la maggior parte del finanziamento è fornito da imprese private e fondazioni di ricerca.

Breve accenno alla strategia della Cina

Il Governo cinese ha lanciato nel 2015 il piano China Manufacturing 2025 (CM2025) che ha l’obiettivo di trasformare la Cina in una “leading global manufacturing power” entro il 2049, anno del 100esimo anniversario della fondazione della Repubblica Popolare Cinese. Una potenza manifatturiera non solo per volumi, ma anche per tecnologia e innovazione. Il piano CM2025 si differenzia molto dai piani Industria 4.0 che vediamo implementati in Europa e negli Stati Uniti. Questi ultimi, infatti, si limitano a delineare le tecnologie di riferimento e i progetti di finanziamento, ma lasciano poi alle imprese e al mercato ampi margini di discrezionalità. Il piano cinese è invece molto più top-down. Il Governo ha definito quali siano i settori d’interesse. Alcuni sono funzionali alla modernizzazione e urbanizzazione del Paese come la meccanica agricola che deve compensare il calo di chi lavora in agricoltura, altri sono decisamente più high tech come la robotica, i materiali avanzati e le biotecnologie. In questi settori, meno maturi se paragonati all’automotive o alla meccanica, la Cina ha un gap minore da recuperare e quindi pensa di poter raggiungere più rapidamente posizioni di leadership. L’obiettivo di Pechino è quindi quello di essere

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sempre più autosufficiente per quanto riguarda l’approvvigionamento delle tecnologie e diventare leader globale per molte di esse (per alcune lo è già: basti pensare alle tecnologie per le reti wireless sviluppate da imprese come Huawei). Gli obiettivi intermedi sono quelli di aumentare le percentuali di componenti prodotte nel Paese, con target differenziati per settore, e aumentarne la qualità. Le grandi aziende stanno effettuando importanti investimenti in R&D e nello sviluppo di risorse e competenze nel campo dell’AI (Artificial Intelligence), per sfruttare la grande quantità di dati che proviene da una popolazione così vasta e largamente digitalizzata. L’obiettivo di Made in China 2025 è la completa ristrutturazione dell’industria, con l’ammodernamento tecnologico che diviene soltanto uno dei tanti fattori coinvolti per renderla più competitiva. Il progetto ambizioso, infatti, prefigura l’abbandono della strategia delle esportazioni di massa (e di bassa qualità) che ha comunque contribuito fino ad ora alla crescita cinese negli ultimi 30 anni, la Cina punta ora ad importazioni ed esportazioni di qualità. Non è detto che questo sia un approccio vincente. Non sempre le politiche top-down funzionano specialmente in contesti dinamici come quelli relativi alle nuove tecnologie. Tuttavia il paese ha già dato prova di essere in grado di raggiungere i propri obbiettivi, quindi è doveroso tenere presente l’evoluzione della situazione da parte di tutte le altre potenze mondiali.

La strategia italiana

In Italia è stata approvata nella legge di bilancio del 2017 il “piano industria 4.0” fortemente sostenuto dal governo Renzi e dall’allora ministro dello sviluppo economico Carlo Calenda. La cabina di regia del governo italiano è caratterizzato da una stretta collaborazione tra pubblico e privato, hanno partecipato alla stesura la presidenza del consiglio dei ministri e ben sei ministeri (min. dell’economia e delle finanze, min. dello sviluppo economico, min. dell’istruzione, dell’università e della ricerca, min. del lavoro e delle politiche sociali, min .delle politiche agricole, alimentari e forestali, min. dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare in collaborazione),organizzazioni sindacali, centri di ricerca, cassa depositi e prestiti, mondo imprenditoriale come Confindustria e prestigiose università come politecnico di Bari e Torino e Milano, Scuola Sant’Anna di Pisa e CRUI5. Questo

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provvedimento tiene conto delle caratteristiche del nostro sistema industriale basato come ben noto su PMI a conduzione familiare, il che implica: pochi grandi player leader nel settore ICT in grado di poter guidare la trasformazione della manifattura italiana, limitato numero di capi filiera in grado di coordinare il processo evolutivo delle catene del valore, infatti le imprese italiane tendono ad identificarsi come parte di distretti territoriali e non di una più estesa rete nazionale. Anche l’offerta di prodotti e servizi è peculiare infatti le nostre imprese manifatturiere hanno una forte “personalizzazione” per le singole commissioni e per questo motivo sono caratterizzate da maggiori costi rispetto alle omologhe aziende straniere più standardizzate. Similare al modello tedesco anche in Italia c’è un ruolo chiave di prestigiosi poli universitari e centri di ricerca per sviluppo e innovazione. Le caratteristiche appena elencate del nostro tessuto industriale delle PMI in realtà possono essere un fattore premiante al fine di implementare efficacemente la quarta rivoluzione industriale, in termini di migliore posizionamento competitivo e accresciuta integrazione nelle catene internazionali del valore6. Il piano prevede delle linee guida come:

operare in una logica di neutralità tecnologica, intervenire con azioni orizzontali e non verticali o settoriali, operare sui fattori abilitanti. Il provvedimento si articola in direttrici chiave: formate da normative che supportano investimenti innovativi e competenze. Mentre le direttrici di accompagnamento si riferiscono a: le infrastrutture abilitanti e strumenti pubblici e di supporto. Gli obbiettivi del triennio 2017-2020 possono essere quantificati così:

investimenti innovativi:

• incremento di investimenti privati per il rinnovo del “parco macchine” (attraverso la misura del super ammortamento);

• gli investimenti a maggior contenuto trasformativo utilizzando le tecnologie digitali e l’utilizzo di una serie di beni strumentali in chiave 4.0 (attraverso la misura dell’iper ammortamento);

• aumentare la spesa privata in R&S con maggiore focus su tecnologia I4.0;

• la finanza di impresa a supporto degli investimenti del Piano Industria 4.0 (favorire investimenti privati early stage).

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pag. 14 Competenze:

• diffondere la cultura I4.0 attraverso scuola digitale e alternanza scuola lavoro; • sviluppare le competenze I4.0 attraverso percorsi universitari e istituti tecnici

superiori dedicati;

• finanziare la ricerca I4.0 potenziando i cluster7 e i dottorati;

• creare competence center a livello nazionale e digital innovation hub (DIH). Direttrici di accompagnamento, infrastrutture abilitanti:

• assicurare adeguate infrastrutture di rete, piano banda ultra-larga (100% aziende italiane coperte a 30Mbps entro il 2020, 50% delle aziende coperte da 100Mbps entro il 2020)

strumenti pubblici di supporto:

• garantire gli investimenti privati: fondo centrale di garanzia con focus su copertura investimenti I4.0;

• negoziazione ed erogazione di finanziamenti personalizzati in base alle esigenze specifiche delle imprese con priorità su progetti I4.0;

• focus sul made in Italy, su catene digitali di vendita e incremento del supporto alle PMI;

• supportare lo scambio salario-produttività attraverso la contrattazione decentrata aziendale.

Elemento chiave per favorire investimenti e sviluppo in materia è di favorire l’awareness, la presa di coscienza dei nuovi concetti, si è previsto un piano nazionale di comunicazione attraverso mezzo stampa, web, social media per sensibilizzare il settore industriale sulle tematiche I4.0 e sui temi di innovazione digitale.

7 I cluster tecnologici nazionali sono reti (riconosciute dal MIUR a partire dal 2012) di soggetti pubblici e

privati che operano sul territorio nazionale in settori quali la ricerca industriale, la formazione e il

trasferimento tecnologico. Funzionano da catalizzatori di risorse per coordinare e rafforzare il collegamento tra il mondo della ricerca e quello delle imprese. Ciascun cluster fa riferimento a uno specifico ambito tecnologico e applicativo ritenuto strategico per il nostro Paese. (Fonte: www.agendadigitale.eu)

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Come vedremo più avanti lo sviluppo della materia è reso possibile dalla nascita

competence center, digital Innovation Hub, ma partendo più dal basso dall’alternanza

scuola-lavoro e da nuovi corsi universitari specializzati in materia I4.0. Il piano, infatti, prevede la diffusione di una cultura 4.0 lungo l’intero ciclo formativo. I dati del 2017 parlano chiaro, sul piano delle competenze 4.0 l’Italia sconta uno skill mismatch notevole: solo il 29% di high skills digitali rispetto alla media europea del 37% (dati Eurostat 2016) e un gap di 3,4 punti percentuali rispetto alla media europea per quanto riguarda la partecipazione dei lavoratori, di età compresa tra i 24 e i 65 anni, ai corsi di formazione8.

Le caratteristiche del tessuto industriale italiano delle PMI permettono comunque di sviluppare un approccio 4.0 creando reti d’imprese trainate dal ruolo dei leader dei distretti. La cosa più importante da imparare a livello imprenditoriale è la cultura dell’aggregazione, di fare “rete” tra imprese, di non operare in solitudine, ma in condivisione. Grazie alla “rete” le imprese saranno in grado di garantire nel tempo una continua ricerca e sviluppo per prodotti più innovativi e sarà più facile accedere al mercato estero. In secondo luogo le medie imprese leader nei distretti industriali permettono di trasmettere competenze e tecnologie favorendo uno sviluppo orizzontale della catena di fornitura in cui ogni attore è fondamentale per raggiungere il prodotto/servizio finale.

L’Italia deve risolvere alcune criticità: la necessità di dover riadattare le innovazioni tecnologiche e i modelli organizzativi già sviluppate dalle grandi aziende europee nel nostro contesto di PMI. Le grandi aziende leader tedesche, rigidamente organizzate, con l’implementazione dell’industria 4.0 massimizzano in modo evidente sia l’efficienza sia la produttività. Questo implica uno sforzo maggiore da parte delle nostre aziende in quanto non hanno a disposizione altrettante risorse finanziarie e dotate di una maggiore flessibilità organizzativa. Inoltre non bisogna dimenticare lo sforzo in termini di formazione che le PMI devono affrontare, occorre conoscere perfettamente il contenuto tecnologico di industria 4.0 per poter scegliere quali strumenti utilizzare, acquistare, modificare, implementare. È necessario che sia i datori di lavoro che i lavoratori acquisiscano conoscenze e competenze sull’attuale “stato dell’arte” delle tecnologie disponibili.

8 Cardoni (2018) “piano impresa 4.0- trasformazione del lavoro, formazione, occupazione e crescita”,

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Industria 4.0: a che punto sono le aziende italiane?

La Digital360 Research9, in partnership con IBM, ha condotto una ricerca per fare il punto

della situazione su quanto l’industria 4.0 si sia affermata o meno nelle nostre aziende manifatturiere, il report ci offre uno scenario completo e esaustivo del nostro paese. Il campione preso sono 135 aziende medie e grandi nel mercato manifatturiero in particolare dei settori Food, Impiantistica, Automotive, Metallurgia e Pharma. La ricerca ha il duplice obbiettivo di capire lo stato di evoluzione rispetto al paradigma dell’Industria 4.0, mappando le imprese coinvolte dal punto di vista della capacità di execution (con riferimento sia alle Operational Technology – OT sia all’Information Technology – IT) e dal punto di vista della capacità di visione (sia strategica sia operativa)10. Parallelamente

l’indagine ha voluto indagare sui progetti attuati nell’ambito industria 4.0 per capire i cambiamenti avvenuti sulle logiche dei processi decisionali e modelli organizzativi aziendali. I dati ci mostrano che l’Italia è nettamente divisa a metà, infatti abbiamo un 54% di imprese che ammettono di non aver ancora fatto niente per digitalizzare i processi produttivi e non intende farlo nel futuro, mentre il 46% ha avviato i primi progetti di trasformazione digitale11. È preoccupante il dato di coloro che non ritengono importante o

comunque non urgente intraprendere progetti relativi all’industria 4.0 anche se al tempo stesso l’awareness creata sul fenomeno si sta facendo strada favorendo un processo di cambiamento culturale radicale. Infatti nel 2016 si registrava un 38% di imprese che non conosceva industria 4.0 mentre ora la percentuale è scesa all’8%. Ed è salita dal 15 al 28% la percentuale di chi ha già implementato concretamente soluzioni sul tema, e dal 13 al 28% quella di imprese che stanno valutando come muoversi12. Dalla ricerca sono emersi

9 Digital360 è una piattaforma multicanale unica in Italia, che offre un’ampia gamma di servizi ad imprese,

pubbliche amministrazioni e fornitori tecnologici.

10 www.internet4things.it/industry-4-0/research-report-industria-4-0-sono-gli-attaccanti-4-0-che-vincono-unendo-vision-ed-execution

11 www.randstad.it/knowledge360/archives/belle-addormentate-o-attaccanti-qual-e-lo-stato-dellindustria-40-in-italia_854

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cinque profili aziendali diversi tra loro, suddivisi dal gruppo digital360 e IBM nel seguente modo:

• gli Attaccanti: sono il 20% del campione, sono i capofila della digital trasformation. Essi hanno dimostrato di saper coniugare una visione e una capacità esecutiva esprimendo al meglio le potenzialità offerte dall’industria 4.0;

• le aziende in cammino: sono il 15%, hanno impostato una strategia e stanno lavorando per adottare tecnologie e competenze Industria 4.0. Al momento sono occupate a sperimentare, testare le varie tecnologie ed implementare le proprie conoscenze in materia;

• i praticoni: sono il 15% sono coloro che sono rimasti bloccati tra la tecnologia 3.0 e 4.0. hanno capito l’importanza di investire nei processi digitali di trasformazione industriale ma non hanno ancora pianificato nel dettaglio una strategia;

• i Teorici: rappresentano il 29%, sono coloro che hanno sviluppato una buona visione del percorso da intraprendere ma che ancora non riescono ad intraprendere azioni concrete verso questa direzione;

• le belle addormentate: (21%) sono quelle aziende che non sanno reagire a queste nuove opportunità e sembrano avvolte dal sonno della “non-azione”, forse anche per ignoranza in materia.

Marco Taish, docente di ingegneria gestionale al politecnico di Milano, non nasconde il suo ottimismo affermando: “oggi si respirano due cose, che non c’erano nei convegni su

manifattura ed economia due o tre anni fa: la serenità degli imprenditori e la prospettiva di una positiva ripresa dell’economia”. È comunque evidente che si debba affrontare la

questione del gap delle competenze, come sostiene Oriani13, soprattutto da parte dei

manager “perché è difficile definire una roadmap valida senza avere una reale conoscenza” e ancora “il digitale supporta e potenzia l’organizzazione, ma bisogna stare attenti a non

confondere i fini con i mezzi”, facendo intendere che la tecnologia da sola non risolve i

problemi ma è la corretta integrazione tra organizzazione e tecnologia che permette l’evoluzione.

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Le tecnologie abilitanti

Come già accennato nel primo paragrafo, la vera rivoluzione apportata dall’I4.0 è quella di creare un’interconnessione continua tra uomo e macchina utilizzando “tecnologie

abilitanti” (key enabling technologies). Non si tratta solo di costruire la “fabbrica

intelligente” ma vengono interconnesse intere catene del valore e filiere produttive, ci crea così una forte integrazione delle catene di fornitura e subfornitura. Diventano centrali nuovi elementi chiave, dal lato della domanda il ruolo del cliente non è più strettamente passivo ma assume il ruolo di consumatore-utilizzatore. Dal lato dell’offerta le tecnologie favoriscono una mass customisation, personalizzazione di massa dei prodotti che è reso possibile grazie alla modularità e ri-configurabilità continua degli impianti, in generale dei processi produttivi.

Le tecnologie che caratterizzano l’I4.0 possono essere sintetizzate così14:

• Robot capacitici o collaborativi (advanced manufacturing solution): la robotica collaborativa prevede sistemi robotizzati che sono in grado di gestire e condividere lo stesso spazio di lavoro con gli esseri umani, possono essere addestrati per operare su piccola scala. Sono robot facilmente programmabili e interconnessi con il sistema azienda;

• Manifattura additiva (additive manufacturing): la stampa 3D ha la possibilità di applicazione in tutti i settori industriali, usando un’ampia varietà di materiali. Inizialmente veniva utilizzata per la realizzazione di soli prototipi, oggi si comincia ad applicare anche per la produzione di piccoli lotti e alla produzione personalizzata. Questa tecnologia capovolge il tradizionale processo produttivo che avveniva per sottrazione dal pieno (subtractive manufacturing), ad esempio attività come la tornitura e fresatura. La stampa 3D consente la produzione

14 Fonte MIUR

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sommando strati successivi di materiale (additive manufacturing) fino alla composizione del prodotto. I vantaggi apportati riguardano la personalizzazione di massa perché consente di realizzare un prodotto su misura per il cliente senza dover fare un lotto intero e una significativa riduzione dei costi di produzione. • Realtà aumentata (AR) e realtà virtuale (VR): la realtà aumentata permette di

aggiungere informazioni e dimensioni alla realtà per supportare l’utente in specifiche attività, ad esempio di mostrare tramite tablet o visori delle informazioni relative ad un oggetto reale semplicemente inquadrandolo; la realtà virtuale, invece, permette la completa immersione dell’utente in un ambiente digitale costruito ad hoc, può essere supportata ad esempio da dispositivi indossabili (wearable technologies) come occhiali;

• Simulazione: Questa tecnologia è riconducibile a un laboratorio virtuale che permette una riduzione dei costi di analisi, progettazione e test rispetto ad eseguire le stesse operazioni con esperimenti complessi realizzati in laboratorio reale. • Integrazione verticale e orizzontale: utilizzo di sistemi informativi che permettono

l’integrazione di informazioni lungo la catena dal valore dal fornitore al consumatore; integrazione verticale tra produttore e consumatore, integrazione orizzontale tra aziende operanti nella stessa filiera anche in concorrenza con l’accesso a piattaforme comuni da cui attingere dati e informazioni relativi ai processi produttivi;

• Industry of Things (IOT) e industrial internet: fanno parte di questa categoria tutti i dispositivi, sensori e piattaforme software che si possono incorporare all’interno di oggetti fisici e macchinari, per renderli in grado di comunicare attraverso la rete internet. Normalmente si distingue tra Internet of Things (IOT) legato al mondo

consumer e industrial internet relativo alla comunicazione multidirezionale tra

processi produttivi e prodotti; Elemento peculiare della tecnologia IOT in generale è la possibilità che ogni oggetto possa essere in grado di scambiare in modo autonomo informazioni con gli oggetti circostanti, modificando anche il proprio comportamento in funzione degli input ricevuti dagli altri oggetti.

• Cloud: tecnologia che permette l’archiviazione di elevate quantità di dati su software accessibili con connessione internet. Possono essere classificati come

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in tutte le loro fasi, e cloud computing quello ormai diffuso tra gli utenti per salvare file, musica, immagini. I vantaggi apportati per le imprese sono diversi: la scalabilità cioè la possibilità di aumentare o diminuire la risorsa in base alle proprie esigenze e quindi di pagare solo la parte che effettivamente viene utilizzata, inoltre le aziende potranno snellire la propria infrastruttura IT delegando una serie di attività al provider del servizio;

• Big data analytics: analisi e rielaborazione di un’ampia base di dati eterogenei per ottimizzare prodotti e processi produttivi e facilitare la presa di decisioni. L’obiettivo è di estrarre informazioni aggiuntive rispetto a quelle che si potrebbero ottenere analizzando piccole serie, con la stessa quantità totale di dati;

• Cyber-security: è un sinonimo di sicurezza informatica, ovvero di tutte quelle tecnologie utili a proteggere un computer o un insieme di computer (sistema informatico) da attacchi che possono portare alla perdita o compromissione di dati ed informazioni.

Gli elementi appena citati acquisteranno sempre di più importanza in modo trasversale non solo nelle attività produttive ma anche nella vita di ogni persona. Il concetto di fabbrica intelligente pone le aziende ad una continua sempre più stretta iterazione con il mondo esterno coinvolgendole in un processo di responsabilizzazione sociale e ambientale. Industria 4.0 può essere descritta in riferimento ai diversi livelli di interconnessione relativi a: il contesto aziendale interno, le relazioni con i fornitori, con i clienti e con il resto della società:

• primo livello riguarda la smart factory e i sistemi cyber-fisici che possono essere implementati creando una rete intelligente che controlla in modo automatico il processo produttivo. Il collegamento diretto tra le macchine consente di modificare in tempo reale gli “ingredienti” costituenti la funzione di produzione dell’impianto, mantenendo costanti gli standard;

• il secondo livello: i rapporti con i fornitori possono mutare ad esempio con l’introduzione di stampanti 3D e lo sfruttamento di piattaforme di rete. Si può modificare il concetto di prossimità fisica, favorendo quello di prossimità funzionale (cioè vicinanza tra le funzioni aziendali coinvolte nella fase produttiva). Il vantaggio della prossimità fisica rimane quando la supply chain è fortemente integrata nel

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territorio, come nel caso dei distretti industriali. Essa potrebbe diventare meno rilevante dal momento che stampo un unico pezzo del prodotto in 3D nei pressi del mio cliente finale;

• Il terzo livello è riferito al rapporto con i clienti, si deve valorizzare un “utilizzo interattivo” non riguardando tanto le tecnologie consolidate come e-commerce, social network ma le tecnologie in cui non son ancora state sfruttate tutte le opportunità come IOT, realtà aumenta, robotica mobile.

• Il quarto livello: consiste nella connessione con il resto della società con la creazione di community a cui parteciperanno imprenditori, consumatori, macchine, oggetti e lavoratori. In questo modo il flusso informativo tra i vari attori aumenta in modo esponenziali avendo effetti diretti ad esempio sul marketing, reputazione aziendale e/o aggiornamento del sito sempre più complessi da gestire.

L’impatto sul mondo del lavoro

Sull’impatto che l’industria 4.0 può apportare al mondo del lavoro si confrontano due diverse filosofie con una visione ben differente. Il dibattito si divide tra catastrofisti e

innovatori, i primi temono che una parte significativa della forza lavoro attuale sarà

sostituita dalle nuove macchine intelligenti. I secondi invece vedono in tutte queste innovazioni e trasformazioni un’occasione per rinnovare la forza lavoro con nuove competenze e creare nuove figure professionali sostituendone solo una minima parte che verrà completamente automatizzata.

Già negli ’30 del 20° secolo, Keynes aveva coniato l’espressione “disoccupazione

tecnologica”, determinata dall’innovazione nel campo della produzione. C’è da dire che

ogni qualvolta ci si è trovati di fronte a cambiamenti significativi nelle modalità di produzione sono aumentate le preoccupazioni per i possibili impatti sull’occupazione. Alcuni studi condotti da sostenitori di una visione catastrofistica, Osborne e Frey, hanno misurato il grado di digitalizzabilità, ovvero la probabilità di essere sostituiti da task digitali, concludendo che 702 tipi di lavoro verranno sostituiti nei prossimi dieci, vent’anni anni;

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pari al 47% degli impieghi odierni negli Stati Uniti15. Un ulteriore studio16 del 2016 condotto

dal World Economic Forum, stima come conseguenza dei progressi dell’intelligenza artificiale e di altri drivers tecnologici, una perdita di 7,1 milioni di posti di lavoro e alla nascita di 2 milioni di nuovi posti di lavoro nei 15 paesi in cui l’analisi è stata condotta, come conseguenza una perdita netta pari a 5,1 milioni di posti di lavoro solo per il periodo 2015-2020. Questi studi concordano sul fatto che la digitalizzazione colpirà in modo più significativo le occupazioni di medio livello, in particolare quelle caratterizzate da standardizzazione e attività routinarie mentre le occupazioni di alto e alcune di basso livello per motivi diversi sono difficilmente sostituibili. Le prime perché richiedono una capacità di elaborazione troppo complessa per le macchine. Le seconde perché esigono un tasso di flessibilità e manualità che l’intervento dell’uomo è ad oggi meno costoso. Tenendo comunque presente che le tecnologie starebbero “risalendo le gerarchie” per aggredire professionalità finora ritenute non automatizzabili. Sempre Frey e Osborne affermano che ci sono tre tipi di competenze in cui le apparecchiature elettroniche non sono in grado, almeno per ora, di superare i lavoratori e cioè l’intelligenza creativa, l’intelligenza sociale (indispensabile nelle professioni sanitarie), l’intuizione richiesta nelle professioni attive in ambienti poco strutturati o in forte mutamento e, soprattutto il buon senso, essenziale in molti lavori. Sulla stessa linea anche gli economisti Brynjolfsson e McAfee (2014) in cui secondo loro il potere delle macchine resta fuori dalle professioni che richiedono skill emozionali, affettive, relazionali, creative e capacità di problem solving.

Gli innovatori sostengono invece che l’avvento di tecnologie digitali disruptive possano portare una svolta in positivo per l’occupazione. Per far sì che ciò avvenga è necessario intraprendere un percorso di riqualifica degli attuali lavoratori e una formazione per i nuovi che arriveranno. Essendo le tecnologie in continua evoluzione sarà necessaria una continua formazione (lifelong learning) per non perdere competitività sul mercato. Lo scopo è quello di consentire ai lavoratori di poter interagire coscientemente con le macchine e di avere una visione globale dell’attività aziendale. Un recentissimo studio17 condotto dalla società

di consulenza McKinsey sostiene che tutte le occupazioni hanno un certo potenziale di

15 Carl Benesikt Frey, A.Osborne (2013) “The future of the employment: how suscetible are jobs to

computerization?

16 World Economic Forum, (2016) “The future of the jobs:employment, skills and workforce strategy for the

fourth industrial revolution “

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automazione: per alcune le attività saranno interamente automatizzabili (5% delle professioni) e per altre solo parzialmente: per circa il 60% delle professioni la quota che può essere affidata alle macchine è almeno del 30%. Tuttavia non c’è da stupirsi se nel breve periodo l’occupazione diminuirà per poi tornare a livelli positivi nel medio e lungo periodo questo perché: i motivi fondamentali sono due e vengono spesso trascurati nel dibattito sugli effetti del progresso tecnologico. Innanzitutto l'impatto delle nuove tecnologie sull'occupazione non è univoco, ma è duplice, come ha dimostrato l'economista del Mit David Autor. Da un lato l'automazione si pone come sostituto della manodopera. Molte, probabilmente la maggior parte, delle tecnologie impiegate sul luogo di lavoro sono introdotte per risparmiare manodopera. L'obiettivo principale delle nuove tecnologie è sostituire la manodopera umana con quella automatizzata, per ridurre il costo del lavoro. Ma l'automazione ha anche un ruolo complementare alla manodopera, nel senso che ne aumenta la produttività e di conseguenza accresce la domanda di certe tipologie di lavoratori. Il primo effetto produce una riduzione dell'occupazione e dei salari, il secondo un aumento18.

Chi sostiene questa strada è fermamente convinto che già in passato abbiamo assistito a vere e proprie rivoluzioni facilitando la vita dell’uomo e orientando il lavoro ad attività a maggior creatività e quindi più gratificante. Non c’è motivo di ritenere che questa volta le cose andranno diversamente.

Da tenere presente comunque che le considerazioni di questi studi non hanno ancora avuto un riscontro vero e proprio nella realtà, probabilmente in alcune situazioni aziendali o in alcune settori di nicchia ma è ancora presto per trarre delle conclusioni oggettive e assolute. Il motivo principale è che manca ancora una visione d’insieme, nel senso che l’adozione di soluzioni tecnologiche non ha ancora raggiunto un livello di diffusione di massa né di stabilizzazione e inoltre i cambiamenti del mercato del lavoro non possono dipendere solo dai cambiamenti tecnologici ma anche da altre variabili non tecnologiche.

18 Moretti Enrico, (2018), “Il robot in fabbrica non deve far paura Più lavoro se cresce la produttività”

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pag. 24 La soggettività del lavoro.

Alla luce degli aspetti trattati finora, consideriamo adesso le conseguenze che l’I4.0 ha sul singolo lavoratore. Come già accennato le trasformazioni disruptive richieste dalla fabbrica digitalizzata impattano per lo più sulle figure professionali di livello medio-basso. La smart

factory, è vero che è caratterizzata da sistemi cyber-fisici, cioè una forte iterazione tra uomo

e macchine, ma è sempre importante tenere a mente che la macchina, seppur “intelligente” perché dotata di software, algoritmi, device che permettono la connessione e trasferimento di dati, non può essere azionata senza l’impulso dell’uomo. La fabbrica intelligente potremmo dire non ha bisogno solo di competenze “fredde” abilità tecniche e saperi codificati, ma chiede anche risorse “calde”: valori, attitudini, passioni, in una parola “soggettività”19. Il coinvolgimento attivo dei lavoratori, a qualsiasi livello e in ogni attività

aziendale è ritenuto da manager e imprenditori un pilastro della produzione intelligente. Di conseguenza la smart factory non può prescindere da una centralità del lavoratore coerente con gli obbiettivi della produzione smart. Riguardo le competenze diventa rilevante la capacità di impostare le macchine e di risolvere problemi che possono avvenire durante il ciclo produttivo. Infatti, i prodotti delle fabbriche 4.0, per soddisfare al meglio le richieste dei clienti, sono sempre più personalizzati. Per consentire la piena personalizzazione del prodotto sono necessari lavoratori che, potenzialmente per ogni ciclo produttivo, impostino e riconfigurino i macchinari al fine di ottenere quanto desiderato dal cliente. La catena di montaggio, caratterizzata dall’interconnessione dei macchinari permessa dall’IoT è in grado di comunicare tra le sue diverse componenti e attraverso l’ampio uso di robot gestire i lavori più pesanti in modo più efficiente sostituendo la forza manuale del lavoratore. Allo stesso tempo, essendo le macchine sempre soggette ad errori, bug o altre tipologie di ostacolo alla produzione, l’operaio deve essere in grado di risolvere questi problemi, che il più delle volte non riguardano ostacoli fisici, ma probabilmente nati dai sistemi informatici che governano la produzione20. Il secondo

aspetto è legato alla flessibilità, riguarda gli orari e i luoghi di lavoro. Essendo la produzione connessa, nulla vieta di poterla controllare da remoto, grazie al proprio computer o

19 Magone Annalisa, Mazali Tatiana (2016) “industria 4.0-uomini e macchine nella fabbrica digitale” Guerrini

e Associati

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smartphone. Il tutto supportato da webcam installate in punti strategici nella catena di montaggio e ai migliaia di sensori presenti sarà possibile individuare problemi e risolverli a distanza. Questo non significa che nel futuro avremo fabbriche senza lavoratori, con macchinari completamente gestiti dall’esterno ma è chiaro che tutto favorisce flessibilità al lavoro in sé perché l’individuo responsabile in base alla natura di certi interventi potrà controllare semplicemente da casa. Questa organizzazione flessibile del lavoro offre, di norma, un grado elevato di autonomia lavorativa e può incrementare la qualità dal lavoro, nonché migliorare e favorire la riconciliazione tra la vita lavorativa e quella familiare. Tuttavia, queste forme flessibili di lavoro comportano anche dei rischi se i lavoratori sono, o si sentono, obbligati a essere disponibili a lavorare in qualsiasi momento. Questo lavoro senza limiti può essere fonte di stress e di esaurimento psicofisico. Comunque è evidente che il nuovo lavoratore si deve dedicare molto all’attività di creatività e progettazione, utilizzando la mente e formulare ipotesi avendo una visione d’insieme dell’intero processo produttivo. Non è più sufficiente utilizzare solo le proprie forze fisiche e un atteggiamento passivo ai cambiamenti, si chiama in causa l’identità sociale del lavoratore che trova riflesso nell’incentivo a trasferire nel lavoro non solo la competenza o l’attenzione ma anche la passione, che per diversi responsabili risorse umane diviene criterio valutativo nelle attività di recruitment. Aspetto chiave quindi è accelerare i processi di formazione e apprendimento dei nuovi fattori critici di successo.

Competence Center e Digital Innovation Hub

Nel piano industria 4.0 si parla anche di competence center e digital innovation hub (DIH) per stimolare l’innovazione 4.0 attraverso la collaborazione fra ricerca e imprese e la formazione delle competenze per il lavoro nella fabbrica del futuro. Il piano industria 4.0 ha dato vita ad una rete infrastrutturale dell’innovazione digitale, con l’obbiettivo di creare una stretta connessione tra imprese e ricerca, formazione e lavoro, innovazione e territorio. I due soggetti chiave sono:

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• Competence center: sono principalmente eccellenti poli universitari di ricerca, che con l’aiuto di stakeholder chiave (per esempio centri di ricerca, startup), hanno creato uno stretto contatto con grandi player privati. L’obbiettivo è intensificare sempre di più rapporti tra università e imprese poiché i centri di competenza hanno lo scopo di: trasmettere formazione e awereness su I4.0, advisory tecnologica per PMI su I4.0 e lancio ed accelerazione di progetti innovativi e di sviluppo tecnologico. I competence center sono pochi e selezionati e agiscono a livello nazionale, fino ad oggi abbiamo politecnico di Milano, Torino, Bari, Scuola Superiore Sant’Anna, università di Bologna, Federico II di Napoli, le università Venete, La Sapienza di Roma. Ogni polo si è specializzato in uno specifico campo tecnologico.

• Digital innovation hub (DIH): nella visione di Confindustria e R.ETE. imprese21

dovrebbero creare un network di “attori territoriali dell’innovazione” composto da competence center, università, cluster, player industriali, investitori, enti locali. Sono stati definiti dal governo come un “ponte tra impresa, ricerca e finanza”, sono la vera e propria porta di accesso per le imprese al mondo di industria 4.0, nella misura in cui forniscono un supporto per introdurre tecnologie 4.0 nelle imprese. La loro mission è la sensibilizzazione delle imprese su opportunità esistenti in ambito 4.0, supporto nelle attività di pianificazione di investimenti innovativi, servizi di mentoring alle imprese e interazione con DIH europei. I DIH hanno una dimensione regionale o interregionale e per la loro costituzione non sono previsti finanziamenti pubblici nazionali, ma devono ricorrere a risorse regionali, fondi europei o a fondi professionali.

Grazie alla creazione di queste nuove interconnessioni tra università e imprese, tra pubblico e privato e tra diritto all’istruzione e formazione alle competenze dell’I4.0, si può dar vita alla fabbrica del futuro in versione “research factory” dove manifattura e ricerca si uniscono per una continua innovazione. La sfida dell’industria 4.0 è far sì che la manifattura italiana, passi dall’attuale 15% di contributo al PIL ad almeno un 20%, grazie alla trasformazione digitale, trainando verso la crescita l’intera economia22 .

21 L’associazione nasce come evoluzione del “patto della Capranica”, stretto tra Confartigianato Imprese,

Casartigiani, CNA, Confcommercio Imprese per l’Italia e Confersercenti.

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pag. 27 Vantaggi e criticità nel processo di digitalizzazione

Il processo di digitalizzazione in tutti gli aspetti citati sta mettendo in atto una trasformazione radicale, e come in ogni evoluzione ci saranno dei vantaggi sotto forma di miglioramenti da poter sfruttare ma anche nuove criticità che le tecnologie e i nuovi approcci organizzativi possono incontrare. Per far sì che la rivoluzione prosegua e diventi una pratica corrente nel nostro sistema economico-sociale le istituzioni devono fornire misure e supporti affinché gli svantaggi non siano maggiori dei benefici apportati. In termini di benefici attesi gli aspetti più evidenti sono23: conseguire una maggiore flessibilità, con significativo impatto in termini di customizzazione. La flessibilità della domanda permette di adattarsi alla domanda di mercato e di unire allo stesso tempo i vantaggi della produzione in larga scala con la produzione in piccola scala. Una maggiore velocità dal prototipo alla produzione in serie attraverso tecnologie innovative poiché c’è una maggiore integrazione tra progettazione e produzione. Una maggiore produttività attraverso minori tempi di set-up, riduzione errori e fermi macchina con un aumento dell’affidabilità dei sistemi produttivi. Una migliore qualità e minori scarti mediante sensori che monitorano la produzione in tempo reale, implementando un controllo continuo. E infine una maggior competitività del prodotto grazie a maggiori funzionalità derivanti dall’internet delle cose riassumibili in una maggiore integrazione delle filiere di fornitura con un miglioramento dei sistemi di approvvigionamento e nella logistica, una maggior sicurezza perché grazie all’iterazione uomo-macchina abbiamo una significativa riduzione del numero di errori e infortuni; infine altro aspetto divenuto ormai fondamentale è una maggiore sostenibilità ambientale in termini di riduzione dei consumi energetici, delle emissioni, con conseguente riduzione dell’impatto ambientale sull’intero ciclo di vita del prodotto. Dal lato delle criticità il sistema per una completa e corretta implementazione si presenta molto complesso, l’ostacolo più grande, soprattutto per le PMI, sono gli investimenti elevati per beni fisici che garantiscano flessibilità per la produzione. Altro aspetto è l’integrazione a tutti i livelli e tutti gli elementi aziendali tramite un sistema

23 Fonte MIUR

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informativo unico ed integrato, questo è uno degli aspetti più costosi e critici da implementare poiché si basa principalmente sulla tecnologia Internet Of Things (IoT). Altra variabile fondamentale è la grande mole di dati che la tecnologia I4.0 permette di ottenere tramite l’interconnessione delle macchine e dei sensori, si fa riferimento ai big data e Analytics, competenza fondamentale per sapere elaborare e selezionare in modo efficacie i dati che abbiamo a disposizione. L’adeguamento del capitale umano a tutti i livelli aziendali in termini di competenze e conoscenze è fondamentale per superare con successo eventuali criticità.

I dati costituiscono una parte importante del patrimonio aziendale e sono variamente raccolti e aggregati in quantità e qualità secondo cultura aziendale, esigenze, settori, dimensioni. La digitalizzazione è il passaggio di dati, informazioni, immagini di un’azienda dal sistema analogico a quello digitale, cioè interpretabile da un calcolatore. Essa si può dividere in due tipi:

• La digitalizzazione orizzontale gestisce il flusso di informazioni e merci da parte del cliente attraverso la propria azienda al fornitore e viceversa. Questo processo prevede l’integrazione e il controllo delle funzioni aziendali. La digitalizzazione orizzontale comprende anche tutti quei partner necessari a soddisfare le esigenze dei clienti.

• La digitalizzazione verticale, invece, garantisce un flusso costante di informazioni e dati dalle vendite, attraverso lo sviluppo del prodotto, alla produzione, alla logistica. La qualità e la flessibilità possono essere incrementate e i costi ridotti mediante il miglioramento della comunicazione fra le funzioni aziendali, la prevenzione di errori e una migliore capacità di analisi.

La servitizzazione

Ormai molti beni industriali, quali macchine utensili, mezzi industriali vengono forniti con la possibilità di comprare anche un servizio o più servizi in abbonamento, per la gestione predittiva, per l’aggiornamento delle patch software, o ancora per la formazione del

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personale destinato all’uso della macchina e così via. Questo fenomeno, va sotto il nome di “servitizzazione”, sta effettivamente prendendo piede e le motivazioni sono molteplici:

• Negli ultimi anni i margini di redditività dei prodotti si sono andati progressivamente assottigliando. Specialmente nel caso di prodotti ormai abbastanza maturi, quali le macchine utensili, il divario prestazionale fra i vari modelli si è andato assottigliando, la concorrenza è aumentata, il ciclo di vita delle macchine si è ridotto. Le aziende allora si sono rivolte alla creazione di servizi aggiuntivi, da proporre insieme ai loro prodotti per riportare i margini di redditività a livelli più accettabili e più compatibili con il core business aziendale;

• L’offerta di un servizio crea maggiore uniformità del cash flow in entrata aziendale. Un cliente non pagherà solo per l’acquisto del bene strumentale, ma continuerà a pagare anche negli anni successivi un canone per l’erogazione dei servizi;

• Offrire un servizio è sicuramente un modo per caratterizzare la propria offerta, per aggiungere quel “qualcosa in più” che può spingere un cliente all’acquisto del proprio prodotto rispetto a quello della concorrenza, anche in considerazione del fatto che oggi, il cliente non cerca un prodotto, ma una soluzione alla sua esigenza; • Il servizio contribuisce a personalizzare il prodotto, quindi è intrinsecamente un fattore di segmentazione dell’offerta, senza contare che, mediante il servizio, i contatti fra cliente e fornitore si mantengono attivi e continui, con un sicuro effetto di fidelizzazione.

Questi servizi cominciano a essere offerti da quelle aziende che hanno cominciato a implementare la digitalizzazione nella loro struttura. Infatti la possibilità di controllo e monitoraggio in remoto è un importante asset tecnico per garantire servizi evoluti, soprattutto legati alla manutenzione predittiva, alla diagnostica in remoto, questo perché per esempio nel caso di macchine e sistemi per la produzione, l’indicatore prestazionale più ricercato dagli utilizzatori oggi è la OEE, la overall equipment effectiveness. Questo genere di servizi evoluti dipende chiaramente dal tipo e dalla quantità di informazioni che le apparecchiature e gli impianti sono in grado di trasmettere e scambiare e dal modo in cui questi dati sono stati raccolti, elaborati e interpretati. Le informazioni sull’utilizzo di un bene sono la chiave di volta su cui creare e ingegnerizzare dei servizi che avvicinano il consumatore o l’utilizzatore a chi ha realizzato il prodotto.

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Con il prodotto-servizio si possono cogliere diversi vantaggi:

• Diversificazione dell’offerta: nel vasto panorama delle offerte di macchinari, che è sempre più difficile valutare perché ormai le tecnologie sono praticamente disponibili per tutti, la distinzione si ha proprio nel prodotto-servizio che si può distinguere in base a quanto i macchinari sono effettivamente utilizzati dal cliente (pay for use), oppure in funzione delle ore di disponibilità (per for availability), oppure in base al rendimento che essi garantiscono (pay for performance);

• Unicità dell’offerta: le tecnologie sono copiabili e le fabbriche sono automatizzabili con robot disponibili sul mercato, il prodotto-servizio ha caratteristiche uniche, non copiabili, almeno nelle stesse identiche forme, perché legato alla creatività che nasce all’interno di un ambito specifico, nel quale il ruolo dell’uomo riemerge ancora una volta come determinante ed esclusivo.

• Creazione di un vantaggio competitivo difficilmente colmabile nel breve dalla concorrenza e quindi diventa anche un potente strumento di fidelizzazione del cliente;

• Aumento dei profitti: se sulle macchine il binomio globalizzazione/crisi ricorrenti ha drasticamente eroso i margini di guadagno, il maggiore profitto è legato all’offerta di servizi a esse associati.

La formazione continua

La trasformazione digitale sta cambiando il nostro modo di lavorare e l’intero eco-sistema delle aziende portandoci verso nuovi modelli di business basati sulla raccolta continua di dati e su strategie e-commerce oltre i confini nazionali. Questi cambiamenti implicano che sia i datori di lavoro che i dipendenti aggiornino sempre più spesso le proprie conoscenze e competenze, abbiamo quindi una doppia responsabilità. Le aziende devono garantire opportunità per la crescita personale e professionale delle persone e le persone devono impegnarsi con continuità, sostenere e migliorare le proprie capacità, per rendersi costantemente appetibili sul mercato del lavoro. Le aziende infatti dovrebbero

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preoccuparsi, se le proprie persone non sono “richieste” sul mercato: questo significa che sono prive di particolati capacità, o peggio che sono estremamente sostituibili. Quindi la formazione continua, lifelong learning, è uno dei fattori fondamentali sia per compiere al meglio il proprio lavoro sia per tradurre le opportunità date dalla trasformazione digitale in un vantaggio competitivo per l’azienda. Si dice che un’adeguata formazione permetta di mantenere una certa “employability” nel lungo periodo. Esso è un concetto difficilmente traducibile in italiano, secondo una definizione di Sumanta Ghoshal24, è la capacità: per i giovani, di assicurarsi l’ingresso nel mondo del lavoro grazie a conoscenze e competenze

garantite dalla qualità del sistema informativo; per chi ha un lavoro, di mantenerlo nel tempo, rendendo possibile un passaggio da un ruolo a un altro nella stessa organizzazione, soddisfacendo i requisiti richiesti per ricoprirlo; per chi si deve ricollocare, di trovare rapidamente un lavoro, grazie al livello di spendibilità delle proprio competenze25.

Nonostante ciò i lavoratori riconoscendo nella teoria l’importanza della propria formazione spesso non si sentono sufficientemente motivati ad apprendere o anche se motivati non riescono a mettere in pratica con successo le conoscenze acquisite. Per evitare entrambi questi aspetti devono essere tenute a mente tre considerazioni fondamentali:26i lavoratori

devono essere coscienti che partecipare alla formazione porterà dei benefici concreti alla loro mansione, devono avere fiducia nel fatto che li saranno i forniti tutti i supporti necessari per apprendere nel miglior modo possibile e infine essi devono essere convinti che una volta appreso siano in grado di poter raggiungere gli obbiettivi prefissati. Con lo sviluppo di nuove tecnologie anche il modo in cui viene erogata la formazione cambia. Infatti, la formazione 4.0 da un lato, si serve delle nuove tecnologie sviluppate per un apprendimento più veloce (ad esempio simulatori della realtà aumentata semplificano l’analisi), dall’altro grazie a workshop permette di familiarizzare con le nuove tecnologie, in quanto parte integrante della realtà lavorativa. Un aspetto fondamentale per trasmettere efficacemente conoscenza è il riferimento alla realtà, infatti insegnanti o consulenti cercano sempre di più di supportare le conoscenze teoriche con esperienze reali di implementazione dei processi (cyber-phisical system) simulando una vera a propria progettazione e sviluppo dell’idea, questo favorisce situazioni win-win per entrambe le

24 Famoso studioso ed esperto di management a livello internazionale

25 Colonna, “employability”, mensile dell’associazione lombarda dirigenti aziende industriali 26 J. C. Jacobs, H. Kagermann, D. Spath, (2016),“The Future of Work in the Digital Transformation”,

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