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Il profilo degli Anticorpi anti peptidi citrullinati nell'Artrite Reumatoide

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DI PISA

Dipartimento di Ricerca Traslazionale e delle Nuove Tecnologie in Medicina e

Chirurgia

CORSO DI LAUREA SPECIALISTICA IN MEDICINA E CHIRURGIA

Il profilo degli Anticorpi anti peptidi citrullinati

nell'Artrite Reumatoide

RELATORE

Prof.ssa Paola Migliorini

CANDIDATO

Francesco Pucciarini

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A mia nonna, alla mia famiglia ad Alessandra

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INDICE

INDICE ...3 1. RIASSUNTO ...5 2. INTRODUZIONE ...7 2.1 L’ARTRITE REUMATOIDE ... 7 2.1.1 EPIDEMIOLOGIA ... 8 2.1.2. FATTORI DI RISCHIO ... 9

2.1.2.1 Fattori di rischio genetici ... 10

2.1.2.2 Età e genere ... 10 2.1.2.3 Fumo ... 11 2.1.2.4 Fattori socioeconomici ... 11 2.1.2.5 Agenti infettivi ... 11 2.1.2.6 Fattori dietetici ... 12 2.1.3 PATOGENESI ... 12 2.1.4 ANATOMIA PATOLOGICA ... 14 2.1.4.1 Articolazioni ... 14 2.1.4.2 Cute ... 15 2.1.4.3 Vasi ... 16

2.1.5 DECORSO DELLA MALATTIA E QUADRO CLINICO... 17

2.1.5.1 Quadro articolare ... 18

2.1.5.2 Quadro extrarticolare ... 20

2.1.6 DIAGNOSI ... 24

2.1.6.1 Criteri diagnostici di Artrite Reumatoide ... 24

2.1.6.2 Diagnostica di laboratorio ... 27

2.1.6.2.1 Fattore Reumatoide ... 28

2.1.6.2.2 Anticorpi anti peptidi citrullinati (ACPA) ... 30

2.1.6.2.3 Anticorpi anti-collagene ... 31

2.1.6.2.4 Altri marker di laboratorio ... 32

2.1.6.3 Analisi del liquido sinoviale ... 32

2.1.6.4 Diagnostica per immagini ... 32

2.1.7 TERAPIA ... 33

2.2 GLI ANTICORPI ANTI PEPTIDI CITRULLINATI ... 39

2.2.1 LA CITRULLINAZIONE DELLE PROTEINE E ALTRE MODIFICHE POST-TRADUZIONALI . 39 2.2.2 GLI ACPA NEI PAZIENTI CON ARTRITE REUMATOIDE ... 40

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2.2.3 CITRULLINA, CITRULLINAZIONE E PEPTIDILARGININA DEIMINASI ... 42

2.2.3.1 Il ruolo fisiologico della citrullinazione... 44

2.2.3.2 La citrullinazione nei processi patologici: citrullinazione, infiammazione e artrite reumatoide ... 45

2.2.4 NUOVE SPECIFICITÀ ACPA: GLI ANTICORPI ANTI-VCP E ANTI-HCP ... 48

2.2.4.1 Anticorpi anti-VCP1 e anti-VCP2 ... 48

2.2.4.2 Anticorpi anti-HCP1 e anti-HCP2 ... 49

2.3 POLMONE E ARTRITE REUMATOIDE ... 51

2.3.1 INTERESSAMENTO POLMONARE IN CORSO DI ARTRITE REUMATOIDE ... 51

2.3.2 IL RUOLO DEL POLMONE NELLA GENESI DEGLI ACPA ... 54

3. SCOPO DELLA TESI ... 58

4. MATERIALI E METODI ... 59

4.1 SELEZIONE DEI PAZIENTI ... 59

4.2 VALUTAZIONE DEL PROFILO ANTICORPALE ... 59

4.2.1 Determinazione del Fattore Reumatoide ... 60

4.2.2 Determinazione degli anticorpi anti-VCP1 e anti-VCP2 ... 60

4.2.3 Determinazione degli anticorpi anti-HCP1 e anti-HCP2 ... 61

4.2.4 Determinazione degli anticorpi anti-CCP2 ... 62

4.3 ANALISI STATISTICA ... 62

5. RISULTATI ... 64

5.1 ANALISI STATISTICA ... 65

5.1.1 Analisi delle correlazioni ... 65

5.1.2 Cluster analysis ... 68

5.1.3 Analisi delle componenti principali ... 70

6. DISCUSSIONE ... 73

7. BIBLIOGRAFIA ... 76

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1. RIASSUNTO

Gli Anticorpi anti peptidi/proteine citrullinati (ACPA) sono un importante strumento per la diagnosi di Artrite Reumatoide. La presenza di ACPA di differenti specificità in soggetti sani è strettamente correlata allo sviluppo di Artrite Reumatoide; non è invece noto il valore predittivo dei singoli anticorpi per quanto riguarda le manifestazioni di malattia e la risposta alla terapia in pazienti con Artrite Reumatoide.

Lo scopo del presente studio è quindi quello di valutare il valore diagnostico e prognostico dell’uso combinato dei peptidi VCP1 e VCP2 (derivati da proteine di virus di Epstein Barr) e di HCP1 e HCP2 (derivati dall’istone H4) per la ricerca di ACPA nel siero.

In 413 pazienti con diagnosi di Artrite Reumatoide è stata ricercata la presenza di anticorpi anti-VCP1, anti-VCP2, anti-HCP1 e anti-HCP2 attraverso test ELISA. Nei pazienti sono state valutate le manifestazioni articolari ed extrarticolari, l’attività e severità della malattia; sono state inoltre raccolte le terapie in corso e quelle assunte in precedenza. I dati sono stati valutati attraverso test non parametrici, principal component analysis ed analisi dei gruppi (cluster analysis).

Il 44% dei pazienti ha mostrato positività per anticorpi VCP1, 52% per anticorpi anti-VCP-2; 46% dei pazienti hanno mostrato positività per anticorpi anti-HCP1 e 63% per anticorpi anti-HCP2.

Non si osservano associazioni tra la presenza di ACPA e la presenza di artrite attiva, artrite simmetrica, artrite erosiva, xeroftalmia, xerostomia, noduli reumatoidi e vasculite periferica.

Gli ACPA, in particolare gli anti-HCP, risultano associati con la presenza di interessamento polmonare e con la necessità di assunzione di farmaci biologici.

I pazienti sono stati quindi suddivisi in cinque gruppi sulla base del numero di anticorpi rilevati: è stato riscontrato che all’aumentare del numero di anticorpi presenti corrispondeva un aumento del valore medio del titolo anticorpale, della positività per Fattore Reumatoide e della frequenza di coinvolgimento polmonare.

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La cluster analysis e la principal component analysis hanno evidenziato indipendentemente l’una dall’altra, che gli ACPA si associano con il Fattore Reumatoide, con l’interessamento polmonare e con l’assunzione di farmaci biologici.

In conclusione, ad un più elevato numero di ACPA sierici corrisponde un aumento del rischio di coinvolgimento polmonare. Inoltre, pazienti con diverse specificità di ACPA sono spesso trattati con un elevato numero di DMARDs e con farmaci biologici, segno questo di forme più gravi della malattia.

Questo lavoro di tesi suggerisce quindi che lo studio del profilo degli ACPA nei pazienti con Artrite Reumatoide conclamata, potrebbe quindi essere importante per definire con precisione il rischio di sviluppare interessamento polmonare e forme di malattia più grave e che necessitano di trattamenti più aggressivi per il paziente ed impegnativi per il sistema sanitario nazionale.

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2. INTRODUZIONE

2.1 L’ARTRITE REUMATOIDE

L’artrite reumatoide (AR) è una malattia infiammatoria sistemica cronica a eziologia sconosciuta, caratterizzata da poliartrite simmetrica, erosiva o meno, a cui possono associarsi manifestazioni sistemiche. È la più comune forma di artrite infiammatoria cronica e un’importante causa di disabilità fisica e inabilità lavorativa, con un’incidenza globale prossima all’1% della popolazione mondiale [1].

Come la maggior parte delle malattie autoimmuni, l’artrite reumatoide ha maggior incidenza e prevalenza nel sesso femminile rispetto al sesso maschile, con un rapporto di 2-3:1. L’esordio della malattia si verifica tipicamente tra la quinta e la settima decade di vita [2].

L’eziologia dell’artrite reumatoide è ancora sconosciuta, ma la malattia è probabilmente frutto dell’interazione tra fattori genetici predisponenti e fattori ambientali, ormonali e immunologici che determinano perdita della tolleranza al self con sviluppo di autoimmunità [1]; le cellule del sistema immunitario prevalentemente coinvolte sono i linfociti TH1 e i linfociti B, i quali sono responsabili della produzione di due classi di anticorpi marker della malattia, il Fattore Reumatoide (FR), la cui presenza è correlata a forme più aggressive di artrite e ad una maggiore frequenza di manifestazioni extrarticolari, e gli Anticorpi Anti Peptidi Citrullinati (ACPA), più frequenti nei soggetti fumatori e in quelli con manifestazioni polmonari associate ad AR.

La principale manifestazione di malattia è l’artrite. Si tratta di un’artrite bilaterale a distribuzione simmetrica, a carattere aggiuntivo con andamento centripeto. Nelle fasi iniziali sono interessate prevalentemente le piccole articolazioni diartodiali delle mani (interfalangee prossimali e metacarpofalangee) e dei piedi (metatarsofalangee), poi i processi infiammatori si estendono a coinvolgere le medie articolazioni come polsi e ginocchia, ma anche le grandi articolazioni come quelle di spalla e anca, senza risparmiare la colonna cervicale. Si distinguono forme più o meno gravi a seconda del

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numero delle articolazioni interessate, della presenza o meno di erosioni articolari e di interessamento extrarticolare. L’andamento della malattia può essere recidivante-remittente o progressivo.

L’artrite reumatoide si associa a peggioramento della qualità di vita, alla comparsa di disabilità più o meno importanti e si caratterizza per un aumento della mortalità e dell’inabilità al lavoro rispetto alla popolazione generale, con un calo dell’aspettativa di vita di tre-dieci anni, soprattutto legata all’insorgenza di patologie cardiovascolari [3], ma anche a malattie polmonari, renali e infettive [4].

L’avvento di nuovi farmaci come il metotrexato, capostipite dei DMARDs, e i cosiddetti farmaci biologici, tra cui gli anti-TNF, hanno modificato drasticamente le strategie terapeutiche adottate in questi pazienti: si è passati da una terapia esclusivamente sintomatica basata su FANS e corticosteroidi ad una terapia effettivamente in grado di modificare la storia della patologia. La possibilità di fare diagnosi sempre più precoci grazie alla presenza di marker sierologici sensibili e specifici e di metodiche di diagnostica strumentale come l’ecografia e la Risonanza Magnetica permetterà in futuro di ridurre il numero di pazienti con disabilità legate allo sviluppo di artrite erosiva deformante.

2.1.1 EPIDEMIOLOGIA

Numerose indagini su incidenza e prevalenza dell’artrite reumatoide sono state condotte nelle ultime decadi, rivelando un certo grado di variabilità tra le differenti popolazioni.

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Figura 2.1 Prevalenza della malattia in vari paesi del mondo

La maggior parte degli studi condotti in Nord Europa e Nord America ha stimato una prevalenza della malattia dello 0,5-1,1% [5, 6], mentre studi condotti nell’Europa del Sud hanno riportato una prevalenza dello 0,3-0,7% [7-10]. In alcune popolazioni di nativi americani è stata riscontrata una prevalenza maggiore, fino al 7%, mentre in alcune aree dell’Africa incidenza e prevalenza sono risultate molto basse, tra lo 0,2 e lo 0,4% [6, 11]. L’incidenza annuale di AR varia tra i 20 e i 50 nuovi casi all’anno su 100.000 abitanti in Nord America e Nord Europa [12, 13]; non esistono studi di questo genere per i paesi emergenti.

2.1.2 FATTORI DI RISCHIO

Si definisce fattore di rischio qualsiasi fattore, ambientale, infettivo o genetico che aumenti il rischio di sviluppare una malattia. L’artrite reumatoide, com’è tipico delle malattie autoimmuni, riconosce un’eziologia multifattoriale, in cui fattori genetici predisponenti e fattori ambientali interagiscono e determinano la malattia, per cui è possibile individuare diverse tipologie di fattori di rischio: fattori di rischio genetici, fattori di rischio legati all’età e al genere, e fattori di rischio ambientali, dietetici e legati alle abitudini di vita.

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2.1.2.1 Fattori di rischio genetici

L’artrite reumatoide è caratterizzata da un importante grado di familiarità: il parente di primo grado di un paziente malato di artrite reumatoide ha un rischio 2-10 volte superiore di sviluppare la malattia rispetto alla popolazione generale [1].

I geni noti per conferire maggior rischio di artrite reumatoide sono numerosi, tra questi si ricordano: alcune varianti alleliche del gene HLA-DRB1, raggruppate nel cosiddetto gruppo HLA-DRB1 SE, un polimorfismo del gene PADI4, che codifica per la Peptidilarginina Deiminasi 4, un polimorfismo di PTNP22, che codifica per la Proteina Tirosina Fosfatasi Non Recettoriale tipo 22 e numerosi altri polimorfismi di singoli nucleotidi (SNP) a carico di geni che regolano le funzioni del sistema immunitario quali STAT4, CD244, FCLR3, TNF e TRAF1 [1].

2.1.2.2 Età e genere

L’artrite reumatoide esordisce tipicamente tra i 40 e i 70 anni, con un picco di incidenza nel corso della quinta decade di vita; quando l’esordio si verifica oltre i 60 anni, si definisce “artrite reumatoide senile” o “artrite reumatoide dell’anziano” ed entra in diagnosi differenziale con la polimialgia reumatica.

L’incidenza dell’artrite reumatoide è superiore nel sesso femminile rispetto al sesso maschile; il rapporto tra l’incidenza nei due sessi varia da 2:1 a 3:1 a seconda degli studi. La maggiore incidenza di AR nei soggetti di sesso femminile sembra suggerire un ruolo degli ormoni sessuali femminili nella patogenesi della malattia; è inoltre noto che gli estrogeni hanno effetto stimolante sul sistema immunitario [14].

Sono stati condotti studi epidemiologici sulla gravidanza, sull’uso dei contraccettivi orali e della terapia ormonale sostitutiva in menopausa. La gravidanza sembra essere associata ad una riduzione del rischio di sviluppare AR e alla remissione della malattia in soggetti malati, associata però a frequente recidiva di malattia dopo il parto [5, 6]; l’uso della terapia anticoncezionale orale non avrebbe invece effetto sul rischio di sviluppare la malattia, ma si associa allo sviluppo di patologia meno aggressiva, forse per gli effetti modulatori sul sistema immunitario [14].

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2.1.2.3 Fumo

Il fumo di sigaretta è il più noto fattore di rischio ambientale per lo sviluppo di artrite reumatoide: fumare conferisce un rischio di sviluppare AR pari a 1,5-3,5 volte rispetto alla popolazione generale. Il fumo di sigaretta è però correlato quasi esclusivamente ad artrite reumatoide con positività per FR e/o ACPA [1].

2.1.2.4 Fattori socioeconomici

I fattori socioeconomici sembrano influenzare sia il rischio di sviluppare l’artrite reumatoide che il decorso della malattia.

È stato studiato il ruolo del tipo di occupazione, del livello di educazione e della condizione sociale sul rischio di sviluppare la malattia o sulla gravità della malattia stessa. I risultati dei vari studi condotti sono conflittuali, ma alcuni dati sembrano dimostrare una associazione tra un peggiore stato socioeconomico e l’aumento della mortalità [14].

2.1.2.5 Agenti infettivi

Numerosi studi hanno ipotizzato una correlazione tra la genesi della malattia e una pregressa infezione, virale o batterica; è possibile che alcuni agenti infettivi possano, in individui geneticamente predisposti, essere causa dello sviluppo di autoimmunità, attraverso alterazioni della regolazione del sistema immunitario, attraverso lo sviluppo di cross-reattività o attraverso alterazioni di proteine normali con lo sviluppo di neoantigeni contro cui si genera la risposta autoimmune.

Tra i possibili responsabili della genesi dell’autoimmunità si ricordano il Parvovirus B19, il virus della rosolia, il virus di Epstein Barr; in alcuni soggetti con artrite reumatoide sono stati riscontrati elevati titoli di anticorpi diretti contro alcuni di questi agenti infettivi, ma nessuna indagine epidemiologica ha dimostrato la presenza di cluster spaziali o temporali nell’incidenza dell’artrite reumatoide, elemento essenziale per dimostrare una diretta associazione tra AR e infezioni [14].

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2.1.2.6 Fattori dietetici

Numerosi studi epidemiologici hanno indagato gli eventuali effetti della dieta sulla patogenesi dell’artrite reumatoide: è stato dimostrato un effetto protettivo nel lungo termine di pesce, olio di oliva e verdure. Il pesce avrebbe effetto protettivo grazie alla presenza in esso di omega3, con effetto antinfiammatorio [15]. Anche la dieta mediterranea sembra avere effetto protettivo verso l’artrite reumatoide, riducendo il rischio di sviluppare la forma più aggressiva di malattia [16].

2.1.3 PATOGENESI

I meccanismi coinvolti nella genesi dell’artrite reumatoide non sono ad oggi completamente noti, ma i numerosi studi in merito stati fatti nel corso degli anni hanno fissato una serie di punti fermi, soprattutto per quanto riguarda la genesi delle forme sieropositive di artrite reumatoide, caratterizzate dalla positività al Fattore Reumatoide o agli Anticorpi anti peptidi citrullinati.

Come tutte le malattie autoimmuni, l’artrite reumatoide è il risultato della interazione tra fattori di rischio ambientali e genetici: in individui geneticamente predisposti l’esposizione a certi fattori di rischio presenti nell’ambiente causa la perdita della tolleranza al self, con sviluppo di autoimmunità.

I fattori di rischio genetici noti sono numerosi: il più importante è probabilmente la presenza dell’allele HLA-DRB1 SE, che codifica per la catena beta di una molecola MHC di classe II, espressa dai linfociti T CD4+. Al legame tra APC e linfocita T fa seguito l’attivazione del linfocita T, con successiva proliferazione, maturazione e differenziazione verso le linee TH1, produttrice di TNF-α e IFN-γ, e TH17, produttrice di IL-6, IL-17 e GM-CSF. La presenza di specifici alleli che regolano l’attività delle cellule T, come i geni PTNP22 e il gene codificante per CTLA4, favoriscono la proliferazione di questi cloni autoreattivi.

I linfociti B stimolati dai linfociti T attivati proliferano all’interno del cavo articolare e maturano in plasmacellule produttrici di autoanticorpi, tra cui Fattore Reumatoide e

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Anticorpi anti peptidi citrullinati: questi anticorpi formano immunocomplessi che legano il complemento con conseguente rilascio di chemochine proinfiammatorie e sostanze chemiotattiche.

Macrofagi e fibroblasti sinoviali sono anch’essi coinvolti nel processo patogenetico attraverso la liberazione di citochine proinfiammatorie quali TNF-α, IL-1 e IL-6; il TNF-α è tra le principali citochine coinvolte nella genesi dei processi infiammatori: aumenta l’espressione di molecole di adesione sulle cellule endoteliali quali ICAM e VCAM, favorendo l’adesione dei neutrofili e la loro successiva migrazione dal circolo all’interno del cavo articolare, stimola l’angiogenesi, sensibilizza i recettori dolorifici e stimola la distruzione del tessuto osseo attivando gli osteoclasti. Le metalloproteasi della matrice (MMP) liberate dai fibroblasti sono inoltre causa della degradazione della cartilagine articolare.

L’artrite erosiva si sviluppa quando al processo infiammatorio si associa attivazione degli osteoclasti. I precursori degli osteoclasti stimolati da GM-CSF esprimono RANK che lega il RANKL espresso dai sinoviociti e dai linfociti T stimolati da TNF-α, IL-1 e IL-6 e IL-17: il legame RANK-RANKL induce la differenziazione dei precursori ad osteoclasti maturi che rilasciano catepsina K che lisa il collagene del tessuto osseo; la contemporanea inibizione dell’attività osteoblastica operata da vie di segnale legate al TNF-α favorisce la progressiva perdita di tessuto osseo.

Figura 2.2 Meccanismi patogenetici che determinano la produzione di FR,

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2.1.4 ANATOMIA PATOLOGICA

2.1.4.1 Articolazioni

L’artrite reumatoide causa un ampio spettro di alterazioni morfologiche, le più gravi delle quali a livello delle articolazioni, interessate da processi infiammatori che interessano dapprima la membrana sinoviale, per poi coinvolgere l’osso subcondrale, i legamenti, i tendini e i tessuti molli circostanti.

Le articolazioni interessate in questa patologia sono tipicamente diartrosi, o articolazioni sinoviali. Questa tipologia di articolazione, definita anche “articolazione mobile”, si caratterizza per la presenza di:

- superfici articolari delle ossa coinvolte, ricoperte di cartilagine articolare costituita da collagene, in particolare collagene di tipo II - cavità articolare, situata tra le due

porzioni ossee è rivestita di membrana sinoviale che riveste anche i legamenti interarticolari e i tendini. All’interno della cavità è contenuto il liquido sinoviale che lubrifica le giunzioni e nutre i tessuti, composto da acido ialuronico e glicoproteine

- capsula articolare di connettivo fibroso, che circonda la diartrosi stabilizzandola.

Nei pazienti con artrite reumatoide la membrana sinoviale, che in condizioni normali è costituita da un sottile strato di tessuto connettivo, diviene dapprima edematosa, poi si fa ispessita ed iperplastica, con la superficie che da liscia si fa ricoperta di villi ipertrofici [2]; le alterazioni della sinovia si associano a processi angiogenetici e alla presenza di un esteso infiltrato infiammatorio formato da leucociti neutrofili, linfociti T e plasmacellule.

Le caratteristiche istologiche a livello del cavo articolare comprendono:

Figura 2.3 Struttura dell’articolazione

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1. infiltrazione dello stroma sinoviale da parte di un infiltrato costituito da linfociti TH1, linfociti B, plasmacellule, cellule dendritiche, granulociti neutrofili e macrofagi; tipicamente le cellule infiammatorie diffondono omogeneamente tra le cellule normali, ma in alcuni pazienti si riscontra anche la presenza di follicoli linfatici o di strutture simili a centri germinativi

2. aumento della vascolarizzazione, con processi di angiogenesi e vasodilatazione causati dalla liberazione di fattori di crescita da parte dei macrofagi e dei fibroblasti sinoviali

3. accumulo di fibrina organizzata, che in parte va a rivestire porzioni di membrana sinoviale e in parte fluttua libera nella cavità articolare 4. accumulo di neutrofili nel liquido

sinoviale e sulla superficie della membrana sinoviale

5. attivazione degli osteoclasti dell’osso sottostante, con distruzione di tessuto osseo e formazioni di lacune ossee, erosioni iuxtarticolari e cisti subcondrali 6. formazione del panno sinoviale, costituito da una massa di membrana sinoviale

e stroma, con cellule infiammatorie, fibroblasti e tessuto di granulazione; il panno origina al confine tra sinovia e osso subcondrale, cresce sulla superficie articolare causandone l’ulteriore erosione e dopo che la cartilagine è stata distrutta crea ponti tra le due superfici articolari causando anchilosi fibrosa, che può ossificare dando luogo ad anchilosi ossea [2].

2.1.4.2 Cute

Le lesioni cutanee più comuni e caratteristiche dell’artrite reumatoide, presenti nel 20-25% dei pazienti, sono i noduli reumatoidi.

Figura 2.4 Alterazioni dell'articolazione in corso di

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Macroscopicamente si presentano come lesioni fisse, di forma rotonda od ovalare e di consistenza dura. Nella cute si sviluppano nel tessuto sottocutaneo, meno comunemente si possono localizzare a livello viscerale interessando polmoni, pleura, milza, peritoneo, pericardio, miocardio, valvole cardiache, aorta [2].

Microscopicamente le lesioni presentano una zona centrale di necrosi fibrinoide, circondata da istiociti epitelioidi disposti a palizzata e una zona periferica con numerosi linfociti e plasmacellule [2].

2.1.4.3 Vasi

L’interessamento dei vasi sanguigni in corso di artrite reumatoide è di due tipi: aterosclerotico e vasculitico.

I processi aterosclerotici interessano i vasi di piccolo e medio calibro e l’aterosclerosi accelerata sembra essere la causa dell’aumentata mortalità vascolare nei pazienti con artrite reumatoide. Le placche aterosclerotiche si formano precocemente nei pazienti con AR, e tra le cause riconosciute sembrano esserci i processi infiammatori cronici tipici della malattia, il fumo, che è quindi un fattore di rischio comune alle due condizioni, e la presenza di elevati livelli sierici di ACPA [17].

La vasculite reumatoide è una complicanza grave e potenzialmente fatale dell’artrite reumatoide; si manifesta più frequentemente nei pazienti con artrite erosiva, noduli reumatoidi ed elevati livelli di Fattore Reumatoide, ma nel complesso la sua incidenza non è superiore all’1% dei pazienti con AR [1].

Sono interessati dal processo vasculitico le arterie di medie e piccole dimensioni; si hanno inoltre processi di endoarterite obliterante a carico dei vasa nervorum e delle arterie digitali con insorgenza di neuropatia periferica, ulcere e gangrena, e processi di venulite leucocitoclastica con sviluppo di porpora, ulcere cutanee e infarto del letto ungueale [2].

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2.1.5 DECORSO DELLA MALATTIA E QUADRO CLINICO

L’esordio della malattia può essere più o meno insidioso. Frequentemente le manifestazioni artritiche sono precedute da manifestazioni generali aspecifiche, quali astenia, inappetenza, senso di malessere e perdita di peso; frequente la presenza di febbricola, più raro l’esordio con febbre elevata resistente alle terapie antipiretiche.

Successivamente compare l’interessamento articolare, che si estrinseca a livello delle piccole articolazioni delle mani e/o dei piedi, con la comparsa di dolore, tumefazione e rigidità mattutina; più raro è l'esordio definito “palindromico”, con singoli episodi acuti di artrite monoarticolare spesso a carico delle grandi articolazioni, che durano pochi giorni e vano incontro, almeno inizialmente, a regressione spontanea senza esiti. In alcuni pazienti le prime manifestazioni di malattia sono legate alla comparsa di tenosinovite o borsite.

Dopo il primo episodio di interessamento articolare il 10% dei pazienti va incontro a remissione spontanea entro sei mesi, soprattutto se si tratta di pazienti sieronegativi. La maggior parte dei pazienti svilupperà mostrerà invece un quadro di malattia persistente, con andamento recidivante-remittente, con periodi di benessere alternati a recidive di malattia di differente intensità; il decorso nel lungo periodo si caratterizza per un progressivo coinvolgimento di nuove articolazioni, tipicamente con andamento centripeto, dalle piccole articolazioni periferiche fino alle articolazioni dei cingoli. Costante è la comparsa di deformità che si associano ad un peggioramento della qualità di vita e allo sviluppo di inabilità al lavoro. Alcuni pazienti, spesso positivi ai marker sierologici, sviluppano manifestazioni extrarticolari, tipicamente a livello cutaneo, cardiaco, e polmonare. Una ridotta quota di pazienti manifesterà una forma erosiva rapidamente progressiva.

La storia naturale della malattia è complessa ed è influenzata da fattori quali l’età di insorgenza, il sesso, la positività alla ricerca di autoanticorpi, la presenza o meno di interessamento extrarticolare e di eventuali malattie associate. La mortalità, che nei pazienti con AR è 2 volte superiore rispetto alla popolazione generale, è legata

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prevalentemente ad eventi cardiovascolari o all’instaurarsi di patologie polmonari, renali o infettive.

L’interessamento articolare è la principale manifestazione dell’artrite reumatoide, ma sono presenti anche numerose manifestazioni extrarticolari, quali astenia, noduli sottocutanei, pericardite, interessamento polmonare di vario genere, neuropatia periferica, vasculite e alterazioni ematologiche [1].

2.1.5.1 Quadro articolare

La principale manifestazione di malattia è la poliartrite, erosiva o meno, bilaterale a distribuzione simmetrica, a carattere aggiuntivo con andamento centripeto, con l’interessamento progressivo di nuove articolazioni che si aggiungono a quelle inizialmente coinvolte.

In fase iniziale di malattia sono interessate prevalentemente le articolazioni della mano, quali le metacarpofalangee (MCF) e le interfalangee prossimali (IFP); possono essere interessate anche le articolazioni interfalangee distali (IFD) ma questo è spesso segno di una concomitante osteoartrosi. Oltre alle articolazioni delle mani (MCF, IFP, polsi) sono colpite l’articolazione interfalangea del pollice e la seconda-quinta metatarsofalangea (MTF). Col progredire della malattia sono colpite anche le grandi articolazioni quali le articolazioni delle spalle, gomiti, anche, ginocchia e caviglie, e non sono escluse l’articolazione temporo-mandibolare e la colonna cervicale, in particolare con interessamento del segmento atlantoassiale C1-C2.

Le manifestazioni cliniche di interessamento articolare sono: dolore, presente anche a riposo e accentuato dalla palpazione, gonfiore dell’articolazione e dei tessuti molli

Figura 2.5 Principali articolazioni

interessate dalla malattia. Quelle in rosso sono considerate per definire l’indice di attività di malattia DAS-28.

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circostanti con presenza di tumefazione calda, rigidità articolare mattutina di durata superiore a 1 ora; nel lungo periodo si sviluppano impotenza funzionale, deformità e disabilità.

Le deformità caratteristiche dell’artrite reumatoide compaiono a seguito delle della distruzione delle superfici articolari, delle lesioni dei tendini e dei legamenti e delle alterazioni dei tessuti molli circostanti.

Tra le deformità più frequenti si ricordano la deformità “a collo di cigno”, causata da iperestensione dell’articolazione IFP e flessione della IFD, la deformità “a boutonnière”, causata da flessione della IFP con iperestensione della IFD e la deformità “a Z”, causata sublussazione della prima articolazione MCF con iperestensione della prima IF; la “mano a colpo di vento” o “mano reumatoide” compare a seguito della sublussazione delle articolazioni MCF, con deviazione ulnare delle falangi prossimali.

La tenosinovite dei tendini flessori delle dita, in associazione all’eventuale

presenza di processi erosivi articolari, causa riduzione della mobilità articolare, riduzione della forza della presa e dita “a scatto”; la tenosinovite dell’estensore ulnare del carpo è invece causa di sublussazione dell’ulna, con movimento “a tasto di pianoforte” del processo stiloideo dell’epifisi distale dell’ulna.

A livello dell’arto inferiore i processi erosivi a carico dell’articolazione coxofemorale possono richiedere la sostituzione protesica. L’interessamento dell’articolazione del ginocchio è molto frequente: tipico è lo sviluppo di versamento articolare; in alcuni

Figura 2.6 Deformità caratteristiche dell'artrite

reumatoide: dita a collo di cigno, mano a colpo di vento e deformità a boutonnière.

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pazienti si può verificare erniazione posteriore della capsula e formazione di cisti di Baker. I pazienti possono sviluppare piede valgo a seguito dell’interessamento dell’articolazione della caviglia e della regione metatarsale.

Come detto in precedenza la colonna vertebrale è interessata solo nel tratto cervicale con risparmio dei tratti dorsale e lombare. Il coinvolgimento dell’articolazione atlantoassiale e la tenosinovite del legamento trasverso può essere causa di progressiva instabilità del tratto C1-C2 con sviluppo di sublussazione o rottura del dente dell’epistrofeo con conseguente mielopatia da compressione nel 10% dei pazienti con malattia in stadio avanzato [1].

2.1.5.2 Quadro extrarticolare

Oltre alle tipiche manifestazioni articolari possono essere presenti manifestazioni extrarticolari, che possono comparire prima dell’artrite o dopo la comparsa di questa. I pazienti con interessamento extrarticolare sono tipicamente fumatori e presentano un elevato titolo di FR [18].

Tra le manifestazioni extrarticolari si ricordano:

• manifestazioni generali quali senso di malessere, astenia, febbricola, perdita di peso.

• noduli, tipicamente cutanei, posso localizzarsi anche a livello viscerale; interessano il 30-40% dei pazienti, tipicamente positivi al Fattore Reumatoide.

Figura 2.7 Principali manifestazioni

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Duri alla palpazione, non dolenti, si localizzano più frequentemente nelle regioni sottoposte a pressione, traumi o irritazione: il versante ulnare dell’avambraccio, i gomiti, l’occipite, la regione lombosacrale e il tendine di Achille. Tipicamente benigni, possono però ulcerarsi con sviluppo di infezione localizzata o andare incontro a gangrena.

• Sindrome di Sjögren secondaria; interessa il 10% dei pazienti.

Caratterizzata dalla presenza di cheratocongiuntivite secca e/o xerostomia.

• manifestazioni polmonari.

Il più frequente quadro di interessamento polmonare è legato allo sviluppo di infiammazione a carico della pleura, con conseguente comparsa di dolore pleuritico e/o dispnea, eventualmente associati all’insorgenza di versamento polmonare. Il versamento è di tipo essudativo, con elevato numero di monociti e neutrofili.

Meno frequenti ma più gravi sono le manifestazioni di malattia interstiziale polmonare (MIP o RA-ILD), il cui quadro clinico è caratterizzato da tosse secca e progressiva mancanza di fiato. La diagnosi viene posta attraverso il riscontro di un quadro di tipo restrittivo alle Prove di Funzionalità Polmonare, associato a riduzione della capacità di diffusione del monossido di carbonio e alla positività delle indagini con tomografia computerizzata ad alta risoluzione (HRCT). La prognosi in questi pazienti è peggiore rispetto a coloro i quali non sviluppano interessamento polmonare, ma la MIP secondaria ad AR risponde meglio alla terapia immunosoppressiva rispetto alla forma idiopatica [1].

Altri quadri di interessamento polmonare comprendono bronchiectasie, patologie ostruttive delle piccole vie aeree e la sindrome di Caplan, caratterizzata dalla comparsa di noduli e pneumoconiosi, secondaria alla esposizione alla silice.

• manifestazioni cardiache e aumento del rischio di mortalità per eventi cardiovascolari.

I soggetti con artrite reumatoide presentano un rischio di infarto miocardico e di scompenso cardiaco congestizio maggiore rispetto alla popolazione generale

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[19], sia in relazione ad una maggiore incidenza di coronaropatia ed aterosclerosi rispetto alla popolazione generale, sia in relazione all’uso di corticosteroidi che spesso fanno questi pazienti. Gli eventi cardiovascolari sono la principale causa di morte nei pazienti con artrite reumatoide [1].

La metà dei pazienti con artrite reumatoide manifesta interessamento pericardico in corso di ecografia o a seguito di studio autoptico, ma solo un quinto di questi manifesta effettivamente segni e sintomi di pericardite [1]. Più raramente soggetti con artrite reumatoide manifestano miocardite o alterazione della diastole; ancora più raramente il muscolo può essere presentare noduli reumatoidi o accumuli di sostanza amiloide.

Frequente invece l’interessamento valvolare, con una frequenza di insufficienza mitralica maggiore rispetto alla popolazione generale.

• vasculite reumatoide, una complicanza grave e potenzialmente fatale dell’artrite reumatoide. Si osserva più spesso in pazienti con malattia di lunga durata, artrite erosiva, noduli reumatoidi, valori elevati di FR e ridotta complementemia; l’incidenza totale si attesta intorno all’1% dei casi [1].

I segni cutanei variano da paziente a paziente, comprendendo uno spettro di manifestazioni che vanno dalla comparsa di livedo reticularis, petecchie o porpora, a quadri più gravi come infarti digitali o del letto ungueale, gangrena e ulcere degli arti inferiori. In quest’ultimo caso la diagnosi differenziale con ulcere da insufficienza venosa può essere complessa, ma la risposta al trattamento con agenti immunosoppressivi è caratteristica delle ulcere vasculitiche.

A causa dell’interessamento dei vasi trofici dei nervi periferici, si possono sviluppare anche polineuropatie sensitivo-motorie.

• manifestazioni ematologiche, la più comune delle quali è l’anemia ipoproliferativa da malattia cronica, caratterizzata da riduzione del numero dei globuli rossi e dell’ematocrito, in presenza di Mean Cell Volume (MCV) normale o solo lievemente ridotto e riduzione della sideremia in presenza di ferritinemia normale o aumentata.

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Il grado di anemia correla col grado di infiammazione: la conta dei globuli rossi scende di pari passo con l’aumento della Velocità di eritrosedimentazione (VES) e dei livelli di Proteina C Reattiva (PCR) [1].

In alcuni pazienti si può riscontrare presenza di leucocitosi e/o piastrinosi. Manifestazione ematologica meno frequente è invece la neutropenia; si definisce Sindrome di Felty la triade clinica di neutropenia, splenomegalia e noduli reumatoidi, presente nell’1% dei pazienti.

I pazienti con artrite reumatoide sono più a rischio della popolazione generale di sviluppare linfoma, in particolare linfoma diffuso a grandi cellule B [20].

• manifestazioni oculari. Le più frequenti sono xeroftalmia e cheratocongiuntivite secca legate alla ridotta produzione del film lacrimale, ma si possono manifestare anche processi infiammatori delle tonache esterne dell’occhio, con sclerite o episclerite.

• manifestazioni neurologiche, tipicamente sindromi da intrappolamento e neuropatie periferiche.

Le sindromi da intrappolamento sono secondarie all’iperplasia del tessuto sinoviale e all’edema da flogosi che si accumula, soprattutto nella notte, a livello dei tunnel carpale e dorsale, con conseguente compressione dei nervi mediano (sindrome del tunnel carpale), tibiale (sindrome del tunnel tarsale) o del nervo ulnare; tra le neuropatie periferiche, causate dalla vasculite che colpisce i vasa nervorum, la forma più grave è la mononeurite multipla, con lo sviluppo di disturbi sensitivo-motori a carico dei territori di innervazione di numerosi nervi [1].

L’interessamento della articolazione atlanto-assiale in alcuni soggetti può portare allo sviluppo di sindromi neurologiche conseguenti alla sublussazione dell’articolazione con sviluppo di compressione midollare; nei casi più gravi si ha distacco del dente dell’epistrofeo con migrazione verso l’alto e compressione diretta del tronco cerebrale o dei suoi vasi afferenti.

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2.1.6 DIAGNOSI

2.1.6.1 Criteri diagnostici di Artrite Reumatoide

I primi criteri diagnostici e classificativi dell’artrite reumatoide furono elaborati nel 1958 dalla American Rheumatism Association (ARA).

Criteri ARA del 1958:

1. rigidità mattutina 2. dolore articolare

3. tumefazione a carico di una articolazione 4. tumefazione a carico di due articolazioni

5. tumefazione simmetrica della stessa articolazione 6. presenza di noduli reumatoidi

7. positività per la ricerca di Fattore Reumatoide nel siero 8. mucin clot

9. biopsia sinoviale positiva

10. biopsia del nodulo cutaneo positiva 11. segni radiografici caratteristici

La diagnosi di artrite reumatoide era “definita” se il paziente soddisfaceva cinque criteri su undici con una durata della sintomatologia articolare di almeno sei settimane; la diagnosi era invece “probabile” in pazienti che soddisfacevano tre criteri con una durata dei sintomi di quattro settimane. Nel 1958, per semplificare la diagnosi e aumentare la specificità della classificazione, fu aggiunta la categoria “classica” per pazienti che soddisfacevano sette criteri su undici e per la categoria “probabile” la durata dei sintomi fu aumentata da quattro a sei settimane.

A seguito dell’emergere di nuove conoscenze in merito alle malattie infiammatorie e reumatiche, per aumentare l’accuratezza diagnostica degli originali criteri ARA, nel 1987 questi furono rivisti e modificati in parte, conservando e uniformando alcuni dei criteri originali del 1958 e alcuni dei criteri di New York del 1966, eliminando i criteri diagnostici

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che richiedevano procedure invasive che si erano rivelati molto sensibili ma troppo poco specifici e cancellando le distinzioni tra le forme “classica”, “definita” e “probabile”.

Criteri ARA/ACR del 1987:

1. Rigidità mattutina, presente per almeno 6 settimane.

Rigidità articolare mattutina che persista per almeno un’ora prima del massimo miglioramento

2. Artrite di tre o più articolazioni, presente per almeno 6 settimane.

Riscontro da parte di un medico di contemporaneo interessamento artritico (rigonfiamento dei tessuti e/o versamento) di tre o più articolazioni tra le quattordici possibili (interfalangee prossimali, metacarpofalangee, polso, gomito, ginocchio, tibiotarsica, metatarsofalangee)

3. Artrite delle articolazioni delle mani.

Almeno una delle articolazioni interessate deve essere l’articolazione del polso, o l’articolazione metacarpofalangea, o l’articolazione interfalangea prossimale

4. Artrite simmetrica.

Presenza di contemporaneo interessamento bilaterale delle stesse articolazioni; è ammessa una simmetria non assoluta per le IFP, le MCF e le MTF

5. Presenza di noduli reumatoidi.

Riscontro da parte di un medico della presenza di noduli sottocutanei a livello delle prominenze ossee o sulle superfici estensorie degli arti o in regioni iuxta-articolari

6. Positività per la ricerca di Fattore Reumatoide nel siero.

Riscontro della presenza di Fattore Reumatoide a titolo significativo, con qualsiasi metodica che rilevi tale attività in meno del 5% di soggetti normali di controllo

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Segni radiografici tipici di artrite reumatoide in una radiografia postero-anteriore di mani e polsi, che devono includere erosioni o sicura osteoporosi localizzata, o più marcata, in sede vicina alle articolazioni interessate (i segni di artrosi non sono qualificanti se isolati)

La diagnosi di artrite reumatoide viene fatta in pazienti che soddisfano almeno quattro criteri sui sette totali.

Nel 2010 l’American College of Rheumatology (ACR) e la European League Against Rheumatism (EULAR) definiscono un nuovo set di criteri per la diagnosi di artrite reumatoide, allo scopo soprattutto di identificare i pazienti con malattia in stadio iniziale, quando manifestazioni gravi e avanzate di malattie come le erosioni o i noduli reumatoidi spesso non si sono ancora presentate; un’importante aggiunta ai criteri diagnostici è il rilievo della positività per gli Anticorpi anti peptidi citrullinati (ACPA) come marker sierologico alternativo alla sola ricerca di Fattore Reumatoide, spesso gravata da specificità non particolarmente elevata.

Criteri ACR/EULAR del 2010:

Definizione della popolazione obiettivo da testare:

1. pazienti che hanno almeno una articolazione con sinovite clinica sicura (tumefazione)

2. pazienti con sinovite non meglio spiegata da altra malattia

Criteri classificativi per AR - algoritmo a punteggio: sommare lo score delle categorie A-D; per classificare un paziente come AR definita è necessario un punteggio totale ≥6

A. Coinvolgimento articolare (articolazione dolente, tumefatta) Una grande articolazione: 0

2-10 grandi articolazioni: 1

1-3 piccole articolazioni (con o senza coinvolgimento di grandi articolazioni): 2 4-10 piccole articolazioni (con o senza coinvolgimento di grandi articolazioni): 3 >10 articolazioni (almeno 1 piccola articolazione): 5

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B. Sierologia

FR negativo e ACPA negativi: 0

FR a basso titolo o ACPA a basso titolo: 2 FR ad alto titolo o ACPA ad alto titolo: 3

C. Indici di flogosi

PCR normale e VES normale: 0 PCR elevata o VES elevata: 1

D. Durata dei sintomi <6 settimane: 0 ≥6 settimane: 1

I criteri sono disegnati per la classificazione di pazienti alla prima valutazione. Dovrebbero essere classificati come AR anche pazienti con malattia erosiva tipica per artrite reumatoide con una anamnesi compatibile con pregresso soddisfacimento dei criteri 2010. Dovrebbero essere classificati come AR anche i pazienti con malattia di lunga durata, compresi quelli con malattia inattiva (con o senza trattamento), che, sulla base di dati retrospettivi, abbiano precedentemente soddisfatto i criteri 2010.

2.1.6.2 Diagnostica di laboratorio

Come la maggior parte delle malattie autoimmuni, anche l’artrite reumatoide si caratterizza per la presenza di autoanticorpi nel sangue dei pazienti diretti contro antigeni self dell’organismo, la cui ricerca è un criterio diagnostico per la diagnosi di malattia.

I principali marker sierologici indagati nei pazienti con artrite reumatoide sono due: il Fattore Reumatoide (FR) e gli Anticorpi Anti Peptidi Citrullinati (ACPA), per la cui ricerca esiste un’ampia gamma di test diagnostici. I pazienti vengono distinti in “sieropositivi” e “sieronegativi” a seconda rispettivamente della presenza di uno od entrambi i marker o dell’assenza di essi.

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2.1.6.2.1 Fattore Reumatoide

Il test storicamente più utilizzato per la diagnosi di artrite reumatoide è la ricerca del Fattore Reumatoide (FR) nel siero dei pazienti.

Il primo test per indagare la presenza di Fattore Reumatoide fu elaborato da Erik Waaler, che aveva osservato nel 1937 l’agglutinazione di emazie di pecora da parte di sieri di pazienti con artrite reumatoide [21]: il fattore agglutinante presente nel sangue fu successivamente denominato Fattore Reumatoide.

Ulteriori studi hanno dimostrato che il Fattore Reumatoide è una immunoglobulina, più frequentemente di isotipo IgM, ma anche IgG, IgA [22], che lega il frammento Fc delle IgG. È prodotto dalle plasmacellule sotto lo stimolo dei linfociti TH1 presenti a livello della sinovia infiammata [23].

La presenza di Fattore Reumatoide nel siero può essere indagata attraverso diverse metodiche:

- Reazione di Waaler Rose, test di emoagglutinazione. Emazie di pecora a cui sono adese IgG di coniglio vengono messe a contatto con il siero del paziente; il verificarsi dell’emoagglutinazione è la spia della presenza di FR.

- Reuma Test, test di agglutinazione su particelle di lattice. Alle particelle di lattice sono adese IgG umane o parti di esse; a contatto col siero del paziente si valuta la presenza di agglutinazione, spia della presenza di FR. La capacità del fattore reumatoide di aggregare particelle rivestite di IgG può essere evidenziata anche mediante nefelometria. In quest’ultima metodica di misurazione ottica il siero del paziente è attraversato da un fascio luminoso di data intensità; viene quindi misurata l’intensità del fascio luminoso diffuso per effetto Tyndall, in questo modo è possibile quantificare il contenuto sierico di FR.

- Test ELISA. In questo caso sul fondo dei pozzetti sono adese IgG di coniglio, o Fc di immunoglobuline G umane, a cui si lega il FR se presente; la presenza del FR è quindi indagata con un anticorpo monoclonale che lega componenti del Fattore Reumatoide (ad esempio, le catene leggere). È possibile, attraverso l’uso di

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differenti anticorpi monoclonali, discriminare l’isotipo del Fattore Reumatoide eventualmente presente.

La positività per FR, più tipicamente IgM ma anche degli isotipi IgG e IgA, è prossima al 60-70% dei pazienti con artrite reumatoide, e questo è tanto più vero nei pazienti con lunga storia di malattia [24]. La positività per la ricerca nel siero del Fattore Reumatoide, fu inserita nei criteri diagnostici dell’American College of Rheumatology nel 1987. Numerosi studi hanno dimostrato che la presenza di Fattore Reumatoide correla con la comparsa di artrite erosiva e con un peggior outcome globale di malattia, anche se la sieronegatività non è garanzia di malattia meno grave [25].

Il Fattore Reumatoide è prodotto da linfociti B localizzati in cavità articolare: si ritiene che nei pazienti positivi al FR le cellule sinoviali (synovial intimal fibroblasts) agiscano come cellule follicolari dendritiche, producendo molecole di adesione quali VCAM-1 e fattori inattivanti il complemento come DAF, promuovendo così la sopravvivenza delle cellule B [26]. Il Fattore Reumatoide, legando il frammento Fc delle altre immunoglobuline, forma immunocomplessi riconosciuti dai recettori FcγRIIIa dei macrofagi, con attivazione di questi ultimi e produzione di citochine infiammatorie quali TNF-alfa, con sviluppo di infiammazione e sinovite [27].

Il Fattore Reumatoide ha un’elevata sensibilità per quanto riguarda la diagnosi e la previsione sul decorso della malattia: la presenza di FR sierico correla infatti con lo sviluppo di artrite erosiva, con la presenza di manifestazioni extra-articolari e con un decorso di malattia più aggressivo, soprattutto in caso sia presente l’isotipo IgA [28].

L’elevata sensibilità non si associa ad una altrettanto elevata specificità: il FR è presente in numerose malattie autoimmuni, quali LES [29] e Sindrome di Sjögren, ma anche in altre patologie infettive: tipica la presenza di FR nei pazienti con epatite C, nel 30-70% di essi [30]; il 2-10% della popolazione sana presenta positività al Fattore Reumatoide, soprattutto anziani.

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2.1.6.2.2 Anticorpi anti peptidi citrullinati (ACPA)

La seconda metodica laboratoristica più utilizzata per la diagnosi di artrite reumatoide è la ricerca degli Anticorpi anti peptidi citrullinati (ACPA) nel siero dei pazienti.

Gli ACPA sono una famiglia di autoanticorpi diretti contro una serie di proteine citrullinate, nelle quali una Arginina all’interno della catena polipeptidica viene convertita in Citrullina per deiminazione, spontanea o operata dall’enzima PAD (Peptidilarginina Deiminasi), con liberazione di una molecola di ammoniaca. Gli ACPA comprendono quindi anticorpi diretti contro fibrina, vimentina, fibronectina, Antigene Nucleare di Epstein Barr 1 (EBNA-1), α-enolasi, collagene tipo I e II; si parla anche di “citrullinoma” per indicare questo gruppo di proteine citrullinate presenti nella sinovia in corso di flogosi cronica [31].

Il primo test ELISA messo a punto nel 1998 sfruttava filaggrina umana estratta dall’epidermide per la ricerca degli ACPA sierici [32], ma era gravato da bassa sensibilità e specificità, per cui negli anni successivi venne elaborata una nuova metodica basata sull’utilizzo di un peptide citrullinato ciclico sintetico, CCP. Definita “Anti-CCP Test”, la nuova metodica dimostrò una migliore accuratezza diagnostica rispetto al test precedente, con una sensibilità del 68% e una specificità del 98% [33].

Un nuovo strumento diagnostico, che è oggi il riferimento per la ricerca degli ACPA nel siero dei pazienti, venne introdotto nel 2002: non più basato sull’uso di un singolo peptide citrullinato ma comunque definito come “Anti-CCP2 Test”, si tratta di un test ELISA in cui si ricercano anticorpi diretti contro un gruppo di diversi peptidi citrullinati. La ricerca degli anticorpi anti-CCP2 ha una sensibilità compresa tra il 55 e l’80% [34] e una specificità molto elevata, compresa tra il 96 e il 98% [35], contro una sensibilità del 69% e una specificità del 85% per il Fattore Reumatoide [35]. È stato inoltre dimostrato che gli anticorpi anti CCP-2 sono presenti nel 40% dei pazienti negativi per la ricerca del Fattore Reumatoide [36].

Di recente introduzione è un test che ricerca la presenza nel siero di anticorpi che legano la cosiddetta Vimentina Mutata Citrullinata (MCV), una forma modificata di Vimentina

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successivamente citrullinata [37]; il test ha dimostrato una sensibilità del 62-84% e una specificità del 83-95% [38].

Alla luce dei differenti valori di sensibilità e specificità, alcuni studi propongono una diagnostica in due step: in pazienti con un quadro clinico fortemente indicativo di artrite reumatoide o in presenza di FR sierico ad alto titolo, questo marker può essere considerato sufficiente per la diagnosi; in pazienti con manifestazioni articolari più sfumate o dubbie con titoli di FR basso o intermedio, ci può essere indicazione a eseguire la ricerca degli ACPA [39].

2.1.6.2.3 Anticorpi anti-collagene

Ad oggi l’esatta eziologia e patogenesi dell’artrite reumatoide non sono note, ma numerosi studi sono stati fatti per indagare il ruolo patogenetico di anticorpi diretti contro le componenti della cartilagine sinoviale, primo tra tutti il collagene di tipo II, la principale componente della cartilagine.

È stato dimostrato che anticorpi IgG anti-CII sono presenti nel siero e nel liquido sinoviale dei pazienti con AR, soprattutto in fase iniziale [40], e che la loro scomparsa correla con l’esordio delle manifestazione erosive della malattia [41], probabilmente a seguito del sequestro in immunocomplessi a livello del cavo articolare; la presenza di anticorpi anti-CII è legata alla positività per gli alleli DR7, DR1, DRB1*0404 e *0408, considerati marker di suscettibilità genetica alla malattia [42]. È stato successivamente dimostrato che la presenza di immunoglobuline dirette contro diversi epitopi di Collagene tipo II sono più frequenti in diverse fasi di malattia: nello specifico, anticorpi diretti contro l’epitopo C1 sono tipici delle fasi iniziali di malattia, mentre anticorpi contro l’epitopo U1 sono caratteristici delle fasi di ricaduta della malattia cronicizzata [43, 44]; questi due epitopi condividono la presenza di una regione idrofobica Arginina-Glicina.

La possibilità che la regione Arg-Gly condivisa dagli epitopi bersaglio degli anticorpi anti-CII portò successivamente ad ipotizzare che questa regione fosse bersaglio dell’attività degli enzimi PAD, e che gli anticorpi anti-CII fossero diretti contro antigeni citrullinati; le prove sperimentali in merito hanno dato però risultati contrastanti [23].

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Gli studi successivi si sono quindi concentrati nell’indagare la funzione e le specificità di anticorpi specifici per la forma citrullinata dell’epitopo C1. Questi anticorpi, prodotti da cellule B che presentano mutazioni somatiche e quindi risultato della stimolazione da parte di linfociti TH1, non hanno mostrato cross-reattività per la forma nativa di C1 [23].

2.1.6.2.4 Altri marker di laboratorio

Esistono poi alcuni indicatori per valutare l’attività di malattia: la misurazione della Velocità di eritrosedimentazione (VES), il dosaggio della Proteina C Reattiva (PCR) e del fibrinogeno sono degli indici semplici e poco costosi da utilizzare, così come la valutazione dell’anemia e dei depositi di ferro. La normalizzazione di questi indici indica la remissione della malattia e la risposta ad una eventuale terapia medica.

2.1.6.3 Analisi del liquido sinoviale

L’analisi del liquido sinoviale è uno strumento valido e di basso costo che permette di definire una diagnosi in maniera abbastanza rapida e precisa, utile anche nella diagnosi differenziale tra artriti infiammatorie e artriti da microcristalli; l’articolazione più frequentemente studiata, visto il suo frequente coinvolgimento e la relativa semplicità del prelievo ecoguidato di liquido sinoviale, è l’articolazione del ginocchio.

Nei pazienti con artrite reumatoide l’analisi del liquido sinoviale rileva valori di leucociti compresi tra 5.000 e 50.000/mm3; le cellule presenti sono prevalentemente neutrofili.

Si può riscontrare la presenza di FR, ACPA, prodotti di attivazione del complemento e immunocomplessi.

2.1.6.4 Diagnostica per immagini

Numerose tecniche di diagnostica per immagini possono essere d’aiuto nella conferma diagnostica di artrite reumatoide e nel monitoraggio delle articolazioni colpite nel lungo periodo.

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La radiologia convenzionale è lo strumento classicamente utilizzato per la diagnosi di artrite reumatoide, attraverso lo

studio delle articolazioni delle mani e dei piedi. Nelle fasi iniziali di malattia la radiologia tradizionale permette di evidenziare la riduzione dello spazio articolare, le erosioni sub condrali, l’osteoporosi iuxtaarticolare e l’edema dei tessuti molli; nelle fasi avanzate permette di visualizzare segni di distruzione diffusa e collasso articolare.

La risonanza magnetica nucleare

permette di studiare in maniera approfondita non solo l’osso ma anche i tessuti molli e i legamenti, dando informazioni anche sui processi sinovitici e sull’eventuale versamento articolare. Le alterazioni dei tessuti molli e l’edema del midollo osseo compaiono precocemente rispetto alle erosioni, e questo rende la RMN una metodica più sensibile rispetto alla radiologia per lo studio delle articolazioni in soggetti con sospetto di artrite reumatoide.

L’ecografia con tecnica power color Doppler è una metodica più sensibile rispetto alla radiologia convenzionale, ma è meno costosa rispetto alla risonanza magnetica, per quanto i risultati siano dipendenti dall’esperienza dell’operatore. Permette di evidenziare le erosioni in fase precoce, ma anche di valutare la presenza e la gravità della sinovite e dell’interessamento tendineo, costituendo un buon compromesso tra il basso costo della radiologia e la più elevata sensibilità della risonanza magnetica.

2.1.7 TERAPIA

Essendo l’infiammazione articolare alla base della genesi della sintomatologia articolare e dello sviluppo di deformità e disabilità, il cardine della terapia contro l’artrite reumatoide erano i farmaci antinfiammatori, tra cui FANS e glucocorticoidi.

Figura 2.8 Radiografia delle mani di un soggetto con

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L’introduzione del metotrexato, capostipite della classe dei DMARDs (Disease Modifying Antirheumatic Drugs), farmaci di fondo in grado di modificare il corso della malattia e il successivo sviluppo dei cosiddetti DMARDs biologici, ha ridotto moltissimo l’utilizzo dei FANS, gravati da effetti collaterali in caso di utilizzo cronico, mentre i glucocorticoidi sono utilizzati prevalentemente per ottenere un controllo rapido della malattia o in associazione ai DMARDs.

• FANS: hanno effetto antinfiammatorio e analgesico, inibendo in maniera non selettiva le ciclossigenasi COX-1 e COX-2; sono gravati da effetti collaterali quali gastrite, ulcera peptica e alterazione della funzione renale, e non hanno effetto sul controllo della malattia nel lungo periodo.

Dopo l’introduzione dei DMARDs oggi vengono utilizzati solo in pazienti che non rispondono ad altre terapie.

• Glucocorticoidi: hanno effetto antinfiammatorio e immunosoppressivo, riducendo la liberazione di prostaglandine, leucotrieni e chemochine, riducendo la diapedesi leucocitaria e inibendo la produzione di anticorpi. Tra gli effetti collaterali dell’uso cronico di corticosteroidi, si ricordano l’osteoporosi, per cui in questi pazienti si consiglia prevenzione primaria con bifosfonati, e il rischio di ulcera peptica soprattutto se utilizzati in concomitanza con FANS. I farmaci di questa classe più utilizzati sono il prednisone, prednisolone e metilprednisolone. I glucocorticoidi possono essere utilizzati in modi differenti: a dosi basse o medie per ottenere un controllo rapido di attività di malattia mentre si aspetta la comparsa dell’effetto della terapia di fondo con DMARDs, a dosi medie o elevate per un breve periodo per il controllo delle riacutizzazioni, oppure si può instaurare una terapia di fondo a basse dosi in pazienti con insufficiente risposta ai DMARDs.

• Farmaci antireumatici modificatori di malattia (DMARDs): questi farmaci sono così chiamati per la capacità di prevenire o rallentare la progressione strutturale della malattia; utilizzati inizialmente per il trattamento dell’artrite reumatoide, oggi sono di comune utilizzo in una serie di malattie infiammatorie e autoimmuni, tra cui il Morbo di Crohn, il Lupus Eritematoso Sistemico, la

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sarcoidosi e il morbo di Sjögren. A differenza dei farmaci antinfiammatori il cui effetto si estrinseca nel giro di ore o giorni, i DMARDs richiedono da 6 settimane a 6 mesi prima che i loro effetti divengano evidenti [45].

I DMARDs sono una classe eterogenea di farmaci che comprende:

- Metotrexato; molecola antagonista della sintesi dell'acido folico, utilizzato originariamente come antitumorale. Viene utilizzato nell’AR a dosi molto più basse di quelle antitumorali, ed è il più utilizzato tra i DMARDs; stimola il rilascio di adenosina dalle cellule con effetto antinfiammatorio. È stato introdotto nella pratica clinica nel 1986, e ad oggi è tra i più utilizzati dei DMARDs, sia in monoterapia che in associazione con altri farmaci. Tra gli effetti collaterali, nausea, ulcere mucose e epatotossicità.

- Leflunomide; inibisce la sintesi di ribonucleotidi, bloccando la proliferazione dei linfociti T e la produzione anticorpale dei linfociti B, oltre a bloccare il fattore di trascrizione nucleare NF-κB. È utilizzato in monoterapia o in associazione con metotrexate. Tra gli effetti collaterali diarrea, lieve alopecia e incremento del peso corporeo; è controindicato in gravidanza.

- Sulfasalazina; la molecola si scinde nei due precursori, sulfapiridina e acido 5-amminosalicilico, e la sulfapiridina così prodotta riduce la produzione di IgM e IgA. Un terzo dei pazienti sospende il trattamento per l’insorgenza di vomito, cefalea ed eruzioni cutanee [45].

- Idrossiclorochina; farmaco antimalarico come la clorochina, si concentra nelle vescicole endosomiali e influenza probabilmente processazione e presentazione dell'antigene e funzionalità dei TLR endosomiali. Ha effetto sulla sintomatologia ma non sembra avere un impatto sulla storia naturale della malattia, per cui è usata in fase iniziale di malattia o in associazione ad altri farmaci. Gli effetti collaterali comprendono tossicità oculare, disturbi gastrointestinali ed eruzioni cutanee.

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• Farmaci biologici: di recente introduzione nella pratica clinica, hanno come bersaglio citochine o loro recettori e alcune molecole di membrana delle cellule del sistema immunitario. Comprendono i farmaci anti TNF-α, farmaci diretti contro citochine proinfiammatorie quali IL-1 e IL-6, farmaci che inibiscono la costimolazione tra linfocita T e le cellule presentanti l’antigene (APC) e farmaci antiproliferativi che bloccano il recettore CD20, riducendo la proliferazione e la sopravvivenza dei linfociti B. Tutti questi farmaci hanno effetto immunosoppressivo e risultano estremamente efficaci nel trattamento dell’artrite reumatoide; il loro effetto sul sistema immunitario rende però il soggetto più vulnerabile allo sviluppo di infezioni opportunistiche, inclusa la riattivazione di tubercolosi latente.

- Farmaci anti-TNF. Una delle citochine maggiormente coinvolte nei processi infiammatori in corso di artrite reumatoide è il TNF-α: prodotto da macrofagi e linfociti TH1, si lega al proprio recettore attivando le vie di signaling dipendenti da NF-κB e dalle MAP chinasi. I farmaci biologici disponibili per bloccare il TNF-α sono molteplici e comprendono Infliximab, anticorpo monoclonale chimerico, Adalimumab e Golimumab, anticorpi monoclonali umani, Certolizumab, un frammento di anticorpo monoclonale umanizzato privato del frammento Fc, ed Etanercept, che è una proteina solubile di fusione ottenuta da due frammenti del recettore per TNF-α uniti alla porzione Fc di una IgG. Tutte queste molecole agiscono andando a impedire il legame del TNF-α con il proprio recettore, riducendo così segni e sintomi di malattia, rallentandone la progressione e migliorando la qualità di vita dei pazienti. Adalimumab, Golimumab, Certolizumab ed Etanercept sono somministrati sottocute mentre Infliximab è somministrato per via endovenosa; possono essere utilizzati in monoterapia o in associazione, tipicamente con metotrexate. Tra gli effetti collaterali, possibili reazioni nel sito di inoculazione, aumento di frequenza dei processi infettivi e in particolare riattivazione di tubercolosi latente, comparsa o esacerbazioni di lesioni demielinizzanti inclusa la sclerosi multipla. Nei soggetti che iniziano terapia con anti-TNF, e

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periodicamente durante la terapia, viene eseguita intradermoreazione di Mantoux e dosata la produzione di IFN dopo stimolo con peptidi derivati dal bacillo tubercolare (Quantiferon), per verificare una pregressa esposizione alla tubercolosi o una possibile infezione in atto. Se si documenta l'una o l'altra di queste possibilità la terapia con anti-TNF deve essere associata oppure preceduta da terapia antitubercolare. - Abatacept è un modulatore della co-stimolazione che si verifica tra il

linfocita T e la APC attraverso il legame CD28-CD80/86; il farmaco lega le molecole CD80 e CD86, impedendone il legame con CD28, riducendo l’attivazione dei linfociti T. Infuso per via endovenosa, è utilizzato in monoterapia o con metotrexate. L'aumento di frequenza delle infezioni è anche in questo caso l'effetto collaterale principale.

- Rituximab è un anticorpo monoclonale il cui bersaglio è la proteina CD20, espressa da linfociti B maturi, che produce una deplezione di cellule B e quindi viene utilizzato prevalentemente nel trattamento del Linfoma non Hodgkin e nelle leucemie a cellule B. La sua efficacia nell’AR è legata alla deplezione di cellule B e alla conseguente riduzione della produzione anticorpale, per cui la sua efficacia è maggiore nelle forme sieropositive rispetto a quelle sieronegative. È utilizzato in associazione al metotrexato nelle AR refrattarie al trattamento con altri farmaci. In seguito a terapia con Rituximab, si osservano spesso ipogammaglobulinemie in alcuni casi anche sintomatiche. In assenza di ipogammaglobulinemia, la frequenza di fatti infettivi non è particolarmente elevata e non sono riportati casi di riattivazione della tubercolosi, ma sono stati descritti invece casi di leucoencefalopatia multifocale progressiva, malattia spesso mortale. - Tocilizumab è un anticorpo monoclonale umanizzato diretto contro la

forma solubile e di membrana di IL-6R; IL-6 è una citochina che, oltre ad essere coinvolta nella genesi dell’infiammazione, è responsabile dell’attivazione degli osteoclasti e quindi coinvolta nella formazione delle erosioni ossee. Viene usato in monoterapia, o in associazione con metotrexato o altri DMARDs. Oltre agli effetti collaterali tipici degli altri farmaci, sembra che causi diverticolite ed aumento delle LDL.

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- Anankira è una forma ricombinante dell’antagonista del recettore di IL-1. È meno efficace degli altri farmaci nel trattamento dell’artrite reumatoide, raramente causa di fatti infettivi (accade se utilizzato in associazione a farmaci anti-TNF) ma spesso causa di reazioni avverse in sede di iniezione.

La disponibilità di queste diverse tipologie di farmaci permette oggi ai medici di avere un’ampia possibilità di scelta nell'impostare il trattamento dell’artrite reumatoide. Il farmaco più utilizzato, almeno nelle fasi iniziali, è sicuramente il metotrexato, eventualmente associato in fase iniziale ad un corticosteroide che riduca infiammazione e sintomatologia nelle settimane-mesi necessari al metotrexato per manifestare i suoi effetti; in casi in cui il metotrexato da solo non sia sufficiente, è possibile instaurare una terapia di associazione con altri farmaci. Tra le associazioni più utilizzate, la tripla terapia metotrexato/sulfasalazina/idrossiclorochina, duplice terapia metotrexato/leflunomide o una terapia di associazione metotrexato/anti TNF. Pazienti che non rispondono alla terapia con anti TNF in monoterapia o in associazione a metotrexate o che non ne tollerano gli effetti collaterali possono beneficiare della sostituzione con un altro farmaco anti TNF in quanto è stato osservato che la risposta a questa classe di farmaci varia nel singolo paziente da un farmaco all’altro; in pazienti refrattari anche alle terapie di associazione, può essere inserito Rituximab o Abatacept.

Lo scopo della terapia farmacologica è ottenere una remissione completa di malattia, valutabile secondo i criteri ACR/EULAR:

1. Numero di articolazioni dolenti ≤ 1 2. Numero di articolazioni tumefatte ≤ 1 3. Proteina C Reattiva ≤ 1mg/dL

4. Valutazione globale da parte del paziente ≤ 1

oppure il paziente deve avere un punteggio ≤ 3,3 al Simplified Disease Activity Index, che si ottiene sommando il numero di articolazioni dolenti (0-28), il numero di articolazioni tumefatte (0-28), il valore della Proteina C Reattiva e la valutazione globale di malattia in una scala da 0 a 10 da parte del paziente e del medico.

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2.2 GLI ANTICORPI ANTI PEPTIDI CITRULLINATI

2.2.1 LA CITRULLINAZIONE DELLE PROTEINE E ALTRE MODIFICHE

POST-TRADUZIONALI

Si definiscono modifiche post-traduzionali (PTMs) delle proteine quei processi biologici, regolati o meno da enzimi, che producono una trasformazione della catena amminoacidica ottenuta al termine della traduzione proteica operata dai ribosomi. Attraverso questi processi si possono ottenere fino a 140 diversi aminoacidi a partire dagli 20 amminoacidi primari [46].

Le modifiche post-traduzionali possono essere operate da enzimi che aggiungono gruppi funzionali specifici o intere molecole in determinate sedi della catena polipeptidica, come nel caso della glicosilazione (aggiunta di un polisaccaride o di un singolo carboidrato), fosforilazione (aggiunta di un gruppo fosfato), metilazione (aggiunta di un gruppo metilico), acetilazione (aggiunta di un gruppo acetile). Le PTMs non enzimatiche avvengono invece spontaneamente in condizioni di stress quali infiammazione, trauma, malattia acuta o cronica, in cui si liberano radicali liberi dell’ossigeno e agenti ossidanti che catalizzano reazioni che modificano gli aminoacidi delle proteine [23].

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