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Efficacia e sicurezza dell'ablazione della Fibrillazione Atriale: follow up a lungo termine in un centro ad alto volume di procedure

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Academic year: 2021

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DIPARTIMENTO DI RICERCA TRASLAZIONALE E DELLE NUOVE TECNOLOGIE IN MEDICINA E CHIRURGIA

Corso di Laurea Magistrale in Medicina e Chirurgia

Tesi di Laurea Magistrale

Efficacia e sicurezza dell'ablazione della Fibrillazione Atriale:

follow up a lungo termine in un centro ad alto volume di procedure

RELATORE:

Dott.ssa Maria Grazia Bongiorni

TUTOR:

Dott. Giulio Zucchelli

CANDIDATO:

Matteo Parollo

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Background

La Fibrillazione Atriale è una aritmia ad elevata prevalenza e incidenza, con una significativa morbidità e mortalità. L’introduzione dell’ablazione transcatetere ha permesso di migliorare la cura dei pazienti affetti rispetto alla terapia farmacologica, e negli ultimi anni abbiamo assistito a un progressivo miglioramento dei risultati di tale trattamento interventistico.

Obiettivi

Lo studio si propone di valutare l’efficacia e la sicurezza dell’ablazione transcatetere della Fibrillazione Atriale presso un singolo centro ad alto volume di procedure. Abbiamo definito come end point primario l’efficacia a lungo termine e la sicurezza a 30 giorni, valutando i fattori preoperatori e intraoperatori predittivi sull’efficacia della procedura stessa. Mentre come end point secondari sono stati valutati l’efficacia a 12 mesi, dopo procedure multiple, l’impatto delle procedure redo sul successo a lungo termine e l’impatto di eventuali lesioni aggiuntive extrapolmonari sull’efficacia dell’ablazione delle forme persistenti di aritmia.

Materiali e metodi

Sono stati arruolati 669 pazienti consecutivi (489 uomini, 180 donne; età media di 59,12±10,47) sottoposti a procedura di ablazione transcatetere di Fibrillazione Atriale da Gennaio 2010 a Dicembre 2015. Il follow up (media di 958 giorni) è disponibile per 503 pazienti (75%). La valutazione dell’outcome procedurale è stata effettuata esclusivamente sui pazienti sottoposti a prima procedura nella vita (pazienti naive), escludendo le recidive comparse nel periodo di 90 giorni dopo l’intervento (blanking period).

Risultati

L’efficacia globale della procedura è stata del 72,84% a 12 mesi e del 55,58% a lungo termine, con un risultato migliore nelle forme parossistiche rispetto alle forme persistenti (efficacia a 12 mesi: 77,24% vs. 65,60%, p=0,0013; efficacia a lungo termine: 60,96% vs. 45,32%, p=0,002). Abbiamo osservato un trend di progressivo miglioramento

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nell’efficacia procedurale con, nell’ultimo anno di osservazione un risultato pari all’81,72% di efficacia globale e dell’85,48% per le forme parossistiche. L’1,5% dei pazienti ha sviluppato complicanze maggiori, decesso correlato alla procedura caso di mortalità (fistola atrioesofagea; 0,15%).

Sono risultati predittivi di efficacia a lungo termine: l’assenza di comorbidità (p=0,002), la presenza di ritmo sinusale a inizio procedura (p=0,002), l’uso di un catetere con sensore di contatto (p<0,001), la risoluzione dell’aritmia durante l’ablazione (p=0,03) l’esecuzione di lesioni aggiuntive in istmo destro nelle forme parossistiche (p=0,001). Predittori di inefficacia sono risultati: l’ipertensione arteriosa (p=0,007), la dilatazione atriale sinistra (p<0,001), l’esecuzione di cardioversione elettrica intraprocedurale (p<0,001).

Conclusioni

L’ablazione transcatetere della Fibrillazione Atriale è una procedura sicura e complessivamente efficace, specialmente per le forme parossistiche. Una singola procedura risulta sufficiente nella maggior parte di tali pazienti (successo di circa l’80% a 12 mesi se utilizzati cateteri a sensore di contatto), con ulteriore aumento del 10% di efficacia con la prima procedura di redo. L’ablazione delle forme persistenti, e in particolare long standing, presenta ancora risultati non soddisfacenti, sebbene l’evoluzione tecnologica dei sistemi di mappaggio e di ablazione potrebbe in futuro garantire un’efficacia maggiore anche in queste forme di aritmia.

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Sommario

Abbreviazioni ... 7 1. Introduzione ... 8 1.1 Epidemiologia ... 8 1.2 Classificazione ... 8 1.3 Impatto clinico ... 9

1.4 Prevenzione del tromboembolismo ...10

1.5 Patogenesi e meccanismi elettrofisiologici ...13

1.5.1 Attività ectopica ... 13

1.5.2 Rientro ... 14

1.5.3 Vene Polmonari ... 15

1.5.4 Il sistema nervoso autonomo ... 16

1.5.5 Mantenimento ... 16

1.5.6 Progressione ... 20

1.6 Fattori di rischio ...21

1.7 Razionale della procedura ablativa ...22

1.7.1 Obiettivi ... 22

1.7.2 Controllo del ritmo e controllo della frequenza ... 23

1.7.3 L’ablazione come strategia di controllo del ritmo ... 24

1.8 Indicazioni terapeutiche ...25

1.9 Substrati ...26

1.9.1 Vene Polmonari ... 26

1.9.2 Lesioni lineari in atrio sinistro ... 27

1.9.3 Complessi frazionati (CFAEs) ... 28

1.9.4 Plessi ganglionati ... 30

1.9.5 Vena cava superiore e altri trigger ... 31

1.10 Energie, materiali e tecniche ...32

1.10.1 Radiofrequenza118 ... 32

1.10.2 Crioablazione... 37

1.10.3 Imaging ... 40

1.10.4 Sistemi di mapping elettroanatomico ... 41

1.11 Gestione procedurale del paziente ...43

1.11.1 Sedazione e anestesia ... 43 1.11.2 Accessi vascolari ... 44 1.11.3 Terapia anticoagulante ... 44 1.12 Complicanze ...45 1.12.1 Embolizzazione ... 45 1.12.2 Tamponamento cardiaco ... 45

1.12.3 Stenosi delle vene polmonari ... 47

1.12.4 Lesioni esofagee ... 48

1.12.5 Lesioni del nervo frenico ... 49

1.12.6 Lesioni vagali ... 49

1.12.7 Dolore e cefalea durante l’ablazione ... 50

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1.14 Dati in letteratura ...51

1.14.1 Efficacia a lungo termine ... 51

1.14.2 STAR AF II ... 51

1.14.3 The FIRE AND ICE trial ... 52

2. Scopo dello studio ... 52

3. Materiali e metodi ... 53

3.1 Disegno dello studio ...53

3.2 Popolazione dello studio ...53

3.3 Definizioni ...53

3.4 Procedura di ablazione ...55

3.4.1 Generalità ... 55

3.4.2 Radiofrequenza ... 56

3.4.3 Crioablazione... 57

3.4.4 Termine procedura e follow up ... 57

3.5 Raccolta dati ...58

3.6 Analisi statistica ...58

4. Risultati ... 59

4.1 Caratteristiche della popolazione ...59

4.2 Caratteristiche ecocardiografiche ed imaging preprocedurale ...61

4.3 Materiali utilizzati ...67

4.4 Dati procedurali ...69

4.5 End point primario ...72

4.5.1 Efficacia a lungo termine ... 72

4.5.2 Sicurezza ... 78

4.6 End point secondari ...80

4.6.1 Redo: efficacia e sicurezza ... 80

4.6.2 Benefici dell’esecuzione di linee aggiuntive nella FA persistente ... 81

4.6.3 Follow up a medio termine ... 82

4.6.4 Efficacia dopo procedure multiple ... 83

4.6.5 Terapia anticoagulante orale ... 85

4.6.6 Terapia antiaritmica ... 87

5. Discussione ... 87

6. Conclusioni ... 93

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Abbreviazioni

ACEi: Inibitori dell’ACE ACT: Activated clotting time ARB: Antagonisti del recettore

dell’angiotensina

AS: Atrio sinistro

BMI: Indice di massa corporea CAD: Coronary artery disease

CFAEs: Elettrogrammi atriali frazionati

complessi

CPU: Central Processing Unit DAD: Delayed afterdepolarization DHP: Diidropiridinico

DOAC: Direct oral anticoagulants EAD: Early afterdepolarization ECG: Elettrocardiogramma EF: Frazione d’eiezione

EGDS: Esofagogastroduodenoscopia EHRA: European Heart Rhythm

Association

ESC: Società Europea di Cardiologia FA: Fibrillazione Atriale

HF: Heart failure

ICE: Ecografia intracardiaca

INR: International normalized ratio IQR: Interquartile range

LAD: Diametro atriale sinistro LI/LS/RI/RS-PV: Vena polmonare

inferiore sinistra, superiore sinistra, inferiore destra, superiore destra

NAO: Nuovi anticoagulanti orali

OSAS: Sindrome delle apnee ostruttive del

sonno

PDA: Potenziale d’azione PG: Plesso/i ganglionato/i RF: Radiofrequenza

RMI/RM: Imaging a risonanza magnetica RS: Ritmo sinusale

SNA: Sistema nervoso autonomo SVC: Vena cava superiore

TAO: Terapia anticoagulante orale TC: Tomografia computerizzata TIA: Attacco ischemico transitorio TTR: Time in therapeutic range UFH: Eparina non frazionata VKA: Antagonisti della vitamina K VP: Vena/e polmonare/i

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1. Introduzione

1.1 Epidemiologia

La Fibrillazione Atriale colpisce 20,9 milioni di uomini e 12,6 milioni di donne1, con una

prevalenza globale rispettivamente di 596,2/100.000 abitanti e 373,1/100.000 abitanti2.

L’incidenza media globale è di 77,5/100.000 abitanti/anno nell’uomo e 59,5/100.000 abitanti/anno nella donna2. La fibrillazione atriale colpisce prevalentemente il sesso

maschile con un rapporto approssimativamente di 1,2:13. Sia la prevalenza che

l’incidenza risultano superiori nei paesi sviluppati rispetto alle nazioni in via di sviluppo1,2. Tra in primi, i paesi nordamericani spiccano nettamente, con una prevalenza

media corretta per età di 700-775/100.000 ab. rispetto ai 400-475/100.000 ab. della media europea2. Con un tasso di 120.000-215.000 nuove diagnosi annuali si attende per

il 2030 un numero di pazienti affetti nell’Unione Europea di 14-17 milioni1,3,4.

Sia la prevalenza che l’incidenza di FA variano sensibilmente con l’età. È presente nello 0,12-0,16% dei soggetti sotto i 49 anni, nel 3,7-4,2% fra 60 e 70 anni e nel 10-17% degli over 803. Complessivamente il rischio di sviluppare FA è del 25% dopo i 40 anni5.

1.2 Classificazione

In base alla modalità di presentazione, alla durata degli episodi aritmici, alla strategia di gestione clinica e all’eventuale modalità e tempistica di ritorno al ritmo sinusale è possibile riconoscere diversi pattern di FA. La Società Europea di Cardiologia, nelle linee guida 2016 ne identifica cinque1:

1. FA di nuova insorgenza: comprende ogni forma di FA documentata per la prima volta, indipendentemente dalla durata e dalla sintomatologia associata;

2. FA parossistica: condizione caratterizzata da episodi di durata inferiore ai 7 giorni; 3. FA persistente: episodi di durata superiore a 7 giorni, con risoluzione spontanea

o tramite cardioversione elettrica o farmacologica;

4. FA long standing persistent: FA sostenuta per almeno 1 anno e gestita mediante controllo del ritmo;

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5. FA permanente: malattia accettata sia dal medico che dal paziente, senza attuazione di strategie di controllo del ritmo.

1.3 Impatto clinico

La FA è una condizione associata ad una significativa mortalità e morbilità. Il rischio relativo di morte è quantificato in 1,5 per il sesso maschile e 2 per il sesso femminile1,6,7.

Le principali morbidità FA-correlate sono: ictus e tromboembolismo, insufficienza cardiaca e scompenso, declino cognitivo e demenza vascolare, un maggiore tasso di ospedalizzazione e un decremento della qualità della vita1,6-8.

Tra le complicanze tromboemboliche della FA riveste fondamentale importanza l’ictus. Il 20-30% degli ictus è correlato a FA1, ed è tipicamente più grave rispetto alle altre forme

eziologiche8. È inoltre frequentemente spia di diagnosi per forme di FA altrimenti

silenti1,8. L’ictus associato a FA è di natura cardioembolica, e la principale fonte di tale

embolismo è l’auricola sinistra8,9. Gli episodi ischemici tromboembolici correlati

all’aritmia possono essere causa di demenza vascolare, alterazioni della sostanza bianca, disfunzione cognitiva e, ovviamente, ospedalizzazione1,8,10.

Scompenso cardiaco e FA coesistono frequentemente, e si evidenzia un meccanismo di interdipendenza fra le due condizioni11,12. In una coorte del Framingham Study, su 382

pazienti con entrambi i disturbi, il 38% sviluppava prima la FA ed il 41% prima lo scompenso; la diagnosi era invece simultanea nel 21% dei casi11,12. Si ritiene che ciò sia

legato alla comunanza di molti fattori di rischio per i due fenomeni e alla mutua capacità delle condizioni fisiopatologiche di entrambe le malattie di contribuire alla loro progressione.11 Pertanto è stato proposto il termine di “AF-HF Complex”11. I

presupposti fisiopatologici che giustificano lo sviluppo di scompenso nel paziente con FA comprendono11:

La perdita della pompa atriale e del relativo contributo al riempimento ventricolare sinistro, condizione accentuata in pazienti con disfunzione diastolica; La tachicardiomiopatia;

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Alterazioni strutturali: dilatazione ventricolare sinistra, assottigliamento parietale del ventricolo sinistro;

I sintomi associati a FA contribuiscono alla riduzione della qualità della vita e comprendono: astenia, palpitazioni, dispnea, oppressione toracica, insonnia e distress psicosociale1,13. È stata proposta e validata dalla European Heart Rythm Association, ed

è tutt’ora in uso in una versione modificata da Wynn et al.14, una scala di valutazione

dell’entità del quadro sintomatologico.

EHRA SCORE SINTOMI DESCRIZIONE

1 Nessuno Nessun sintomo

2a Lievi Attività quotidiana non compromessa dai sintomi

relativi ad FA

2b Moderati Come sopra, ma il paziente è turbato dai sintomi

3 Gravi Attività quotidiana influenzata dai sintomi relativi ad FA

4 Invalidanti Abbandono di una normale attività quotidiana

Tabella 1: Classificazione EHRA dell'impatto sintomatologico della FA

È dimostrata inoltre l’efficacia dei trattamenti farmacologici ed interventistici nel ridurre l’impatto sintomatologico della malattia.1

1.4 Prevenzione del tromboembolismo

Il tromboembolismo arterioso correlato alla FA, secondo la teoria eziopatogenetica prevalente in letteratura, è determinato dalla formazione di trombi intracavitari prevalentemente determinati dalla perdita della contrazione atriale e dalla dilatazione della stessa cavità15-17.

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Considerato l’impatto clinico dell’ictus nella storia del paziente affetto da FA, la prevenzione degli eventi tromboembolici tramite trattamento anticoagulante rappresenta un cardine della strategia terapeutica.

Al fine di individuare i pazienti candidati a tale trattamento, è raccomandato l’uso dello score CHA2DS2-VASc1, i cui item sono:

Scompenso cardiaco congestizio Ipertensione arteriosa Età (65-74 o > 75) Diabete mellito Ictus/TIA/tromboembolismo Malattie vascolari Sesso femminile

Tale score (da 0 a 9) consente di individuare il rischio percentuale annuale di sviluppare ictus, dallo 0% (score 0) al 15,2% (score 9), e deve essere accompagnato da una valutazione del rischio emorragico mediante utilizzo dello score HAS-BLED. Uno score HAS-BLED elevato non rappresenta un criterio assoluto di esclusione dalla terapia anticoagulante, quanto piuttosto un motivo di maggiore attenzione e più stretto monitoraggio1.

L’indicazione alla terapia anticoagulante è forte per uno score di almeno 2 nel maschio e 3 nella femmina (evidenza 1A), mentre è discussa la possibilità di estendere tale trattamento anche a maschi con score 1 e femmine con score 2 (evidenza 2aB), per i quali è consigliata un’attenta valutazione delle caratteristiche individuali del paziente.1

I farmaci a disposizione per la terapia anticoagulante orale comprendono:

Antagonisti della Vitamina K: es. Warfarin. (Indicati sia nella FA valvolare che nella FA non valvolare)

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Nuovi Anticoagulanti Orali o Anticoagulanti Orali Diretti: es. Rivaroxaban, Apixaban, Edoxaban, Dabigatran. (Indicati nella sola FA non valvolare)

I concetti di “valvolare” e “non-valvolare”, di non omogenea definizione, si riferiscono alla presenza o meno di determinate forme di malattia valvolare in associazione a FA, ed acquistano un significato clinico prevalentemente nell’ottica della scelta del farmaco da utilizzare nella terapia anticoagulante orale. Per semplificare, possiamo considerare come “valvolari” quelle forme di FA associate a stenosi mitralica severa o moderata o in portatori di protesi valvolare meccanica18,19.

L’efficacia del trattamento con Warfarin nella prevenzione degli eventi tromboembolici correla con il raggiungimento di un INR nel range tra 2 e 3 e col mantenimento di un adeguato Time in Therapeutic Range, e rappresenta inoltre l’unica possibilità di terapia orale in pazienti affetti da FA valvolare1.

L’introduzione dei c.d. NAO in seguito ai risultati degli studi di fase 3 ARISTOTLE20

(Apixaban), RE-LY21 (Dabigatran), ENGAGE-AF22 (Edoxaban), ROCKET-AF23

(Rivaroxaban) ha rappresentato una svolta nella gestione del paziente affetto da FA in relazione agli indubbi vantaggi offerti da tali molecole: effetto prevedibile dose-dipendente, assenza della necessità di controlli periodici dello stato coagulativo, minor rischio di sanguinamento maggiore (Dabigatran, Apixaban)1,20,21, non-inferiorità

dell’efficacia nella profilassi degli eventi tromboembolici1,20-23.

L’auricola sinistra, una struttura vestigiale localizzata a livello postero-laterale atriale sinistro, è sin dal 1940 individuata come importante sede dello sviluppo delle conseguenze, prima trombotiche, poi trombo-emboliche, della FA. Sin dalla prima metà del ‘900 sono stati effettuati studi circa la possibilità di una sua chiusura chirurgica a scopo profilattico, in gran parte accantonati grazie all’efficacia dei trattamenti medici già citati. L’introduzione delle tecniche percutanee di chiusura dell’auricola mediante l’uso di plug come PLAATO, WATCHMEN, Amplatzer ha permesso un nuovo approccio a questa tecnica profilattica. Studi, come il PROTECT-AF e il PREVAIL (device WATCHMEN) hanno dimostrato la non inferiorità del trattamento di chiusura percutanea dell’auricola sinistra nella prevenzione delle complicanze tromboemboliche

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rispetto alla terapia con Warfarin15,24-26. Le linee guida ESC 2016, con una

raccomandazione IIb ed evidenza B suggeriscono di considerare questa procedura in pazienti con controindicazione alla terapia anticoagulante a lungo termine1.

1.5 Patogenesi e meccanismi elettrofisiologici

Figura 1: Modello di patogenesi27

Nella trattazione delle basi elettrofisiologiche della FA è possibile individuare 3 principali componenti: innesco dell’aritmia, mantenimento dell’aritmia e progressione verso forme maggiormente sostenute (ad esempio l’evoluzione di una FA parossistica in FA persistente o long-standing). È possibile quindi affermare che la FA è una malattia dall’andamento progressivo28.

I principali meccanismi aritmogeni responsabili di FA sono l’attività ectopica ed il rientro.

1.5.1 Attività ectopica

La prima è relativa a fenomeni di Early Afterdepolarization e Delayed Afterdepolarization. L’EAD si realizza nel caso in cui un eccessivo prolungamento del PDA generi una post-depolarizzazione tramite meccanismi Ca2+-dipendenti29. Il DAD,

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oggi considerato come componente principale dell’attività ectopica atriale, consiste in post-depolarizzazioni causate da rilascio diastolico spontaneo di Ca2+ dal reticolo

sarcoplasmatico, a sua volta determinato da sovraccarico del reticolo stesso o da alterazioni a carico dei canali al Ca2+ ivi localizzati28,30-33; la depolarizzazione risultante

deriva dall’attività dello scambiatore Na+-Ca2+ (ratio 1:3), che determina un flusso

cationico netto in entrata27.

1.5.2 Rientro

È possibile considerare due diversi modelli di rientro: il “leading circle” e lo “spiral wave”.

Figura 2: Leading circle (A) e Spiral wave (B)34

Nel primo si individua un disequilibrio fra la velocità di conduzione e la refrattarietà cellulare: è favorito nel caso in cui il periodo refrattario sia troppo lungo o la conduzione troppo lenta, e può essere terminato mediante un’accelerazione della velocità di conduzione o un allungamento del periodo refrattario (ad esempio mediante allungamento del PDA). È possibile rappresentare il modello del leading circle come un circuito dal quale possono partire sia onde centrifughe sia onde centripete (frecce piccole). Le prime sono responsabili dell’attivazione del miocardio circostante, le seconde incontrano tessuto refrattario, non eccitabile. Gli impulsi centrifughi avrebbero

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teoricamente la facoltà di generare circuiti più grandi, ma ciò è impedito dall’attività più rapida del più corto circuito possibile: il leading circle34.

Il modello della spiral wave introduce invece il concetto di “rotore”: un circuito in cui l’onda di depolarizzazione presenta un andamento a spirale, attorno ad un core di tessuto eccitabile ma non eccitato. L’attività di tale onda spirale interessa il miocardio dall’interno verso l’esterno, con una morfologia curva caratteristica del fonte d’onda. La curvatura del fronte d’onda modula la velocità di propagazione: maggiore in caso di concavità e minore in caso di convessità. Il fronte di ripolarizzazione segue e ricalca quello di attivazione, generando punti in cui essi coincidono: le “singolarità di fase”. Unendo tutti i punti corrispondenti alle singolarità è possibile descrivere un “cerchio” (tratteggiato in figura), all’interno del quale il tessuto miocardico è eccitabile, ma non viene attivato, una sorta di occhio del ciclone.

La genesi della spiral wave è legata ad un evento spontaneo in grado di generare una singolarità di fase, ad esempio una attività ectopica che genera un fronte d’onda che attraversa il fronte di refrattarietà di un precedente impulso sinusale34.

1.5.3 Vene Polmonari

Le vene polmonari svolgono un ruolo importante nell’iniziazione e nel mantenimento dell’FA, dato corroborato dall’evidenza: l’isolamento delle VP è in grado di prevenire la recidiva di aritmia in alte percentuali di pazienti affetti da FA parossistica28,35.

È possibile individuare sia cause strutturali che funzionali36. Innanzitutto, dal punto di

vista istologico, l’architettura tissutale è caratterizzata dalla presenza di fibre dotate di brusche variazioni nella disposizione, fattore che facilita la genesi di attività ectopiche. Il gene PITX2 presenta una elevata espressione a livello del miocardio limitrofo al tessuto venoso, ed ha un ruolo cruciale nella downregulation di geni “nodali”, impedendo la genesi di potenziali spontanei ectopici in tale sede37. Di conseguenza, riduzioni

nell’espressione di questo gene sono state associate a maggiore suscettibilità alla genesi di attività ectopiche38.

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Un altro fattore che amplia il contributo delle VP all’aritmia è la generalizzata minore durata del periodo refrattario in questa sede28.

Sono stati inoltre individuati siti alternativi alle VP frequentemente coinvolti nella genesi di attività ectopica, come la vena cava superiore, la componente muscolare del seno coronarico, il tetto dell’atrio sinistro, la vena cava superiore39,40.

1.5.4 Il sistema nervoso autonomo

L’innervazione autonoma cardiaca ha un ruolo cruciale nel garantire le condizioni elettrofisiologiche necessarie all’innesco e al mantenimento dell’aritmia. Sono coinvolte sia componenti relative ai plessi ganglionati che al sistema nervoso autonomo pre-ganglionare. I primi sono classificabili in atriale superiore destro, atriale superiore sinistro, atriale posteriore destro, atriale posteromediale, atriale posterolaterale, del margine ottuso, discendente posteriore41,42.

Esistono numerose interconnessioni fra PG e SNA, tramite neuroni pregangliari e neuroni postgangliari orto e parasimpatici, nonché numerosi collegamenti tra gli stessi plessi42. Le descritte strutture, se stimolate, sia artificialmente sia nel contesto di un

quadro tachiaritmico43,44, sono in grado di indurre attività elettrica a livello delle VP e

dell’atrio sinistro, tramite stimolazione parasimpatica e ortosimpatica. La prima tramite accorciamento del potenziale d’azione e del periodo refrattario; la seconda mediante l’aumento del carico di Ca2+ intracellulare, dell’automatismo, e la riduzione della durata

del PDA40.

A confermare il contributo della componente autonomica è la riduzione dell’entità delle alterazioni neuromediate, come l’accorciamento del periodo refrattario, dopo procedure ablative eseguite a livello gangliare44.

1.5.5 Mantenimento

È possibile individuare due attori in grado di promuovere le condizioni elettrofisiologiche necessarie al mantenimento dell’aritmia:

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Meccanismi correlati alla stessa Fibrillazione Atriale

Riguardo al primo aspetto, esperimenti su modello animale con induzione di scompenso mediante pacing ventricolare prolungato hanno evidenziato un incremento dell’incidenza di DAD, probabilmente a causa di un incremento della concentrazione intracellulare di Ca2+, e un decremento della durata del potenziale d’azione atriale28,45.

Anche il traffico ionico del Ca2+ risulta influenzato in caso di scompenso, con aumento

della concentrazione intracellulare di Ca2+, del carico sarcoplasmatico di Ca2+ e aumento

del transiente; tutto ciò promuove rilasci spontanei di Ca2+ dal sarcoplasma e, di

conseguenza, l’attività ectopica28,46; alterazioni mediate da una aumentata attività della

Proteina Fosfatasi di tipo 1 (PP1), del CaMKII, da una riduzione dell’espressione del RyR2 e da un’aumentata attività della calsequestrina46.

Un ruolo centrale è sicuramente svolto dalla fibrosi e dalla dilatazione atriale, evidenziate sia nello scompenso pacing-indotto sia nel sovraccarico volumetrico cronico, nell’esercizio fisico prolungato, nell’infarto atriale e nell’invecchiamento47-50. Le

alterazioni anatomopatologiche fibrosi-indotte sono in grado di promuovere i meccanismi di rientro, e con essi l’aritmia51, principalmente mediante la genesi di

discontinuità nella trama muscolare atriale28. La fibrosi atriale è determinata dalla

secrezione di collagene da parte di fibroblasti differenziati in miofibroblasti, dietro stimoli citochinici e ormonali mediati, ad esempio, dall’Angiotensina II, TGFβ1 e dal PDGF52.

Il ruolo dell’Angiotensina II ovviamente rimanda al contributo dello scompenso nel processo di remodeling atriale, sebbene l’uso di farmaci antagonizzanti nel modello sperimentale dia soltanto un effetto parziale, suggerendo un meccanismo patogenetico largamente multifattoriale, composto da pathway Angiotensina II dipendenti e pathway indipendenti53. Il ruolo dei fibroblasti non è limitato alla fibrosi ed alle conseguenze

anatomopatologiche della stessa, sono stati individuati meccanismi di interazione paracrina fibroblasto-miocita mediati dal TGFβ1, dall’Angiotensina II e dal TNFα e meccanismi elettrici diretti permessi dalle gap junctions presenti tra i due tipi cellulari54,55.

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Figura 3: Alterazioni aritmogene mediate dai fibroblasti28

Nel contesto delle malattie cardiache potenzialmente in grado di promuovere il mantenimento dell’aritmia, sicuramente deve essere citata la stenosi mitralica, principalmente per il contributo che essa fornisce alla dilatazione atriale sinistra, alla quale contribuiscono anche l’ipertensione arteriosa e lo scompenso28,56.

Come anticipato, tra i fenomeni in grado di garantire il mantenimento dell’aritmia figurano anche meccanismi indotti dalla stessa Fibrillazione Atriale. Numerosi studi hanno dimostrato specifiche differenze fra cardiomiociti atriali di pazienti affetti da FA parossistica e miociti di cuori in FA long standing persistent (v. classificazione ESC). Tra queste citiamo innanzitutto una riduzione della corrente depolarizzante ICa,L57-59, che

contribuisce all’accorciamento del PDA atriale, promuovendo fenomeni di rientro, probabilmente intesa come meccanismo protettivo di adattamento allo scopo di ridurre

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il sovraccarico tossico di Ca2+, ma anche in grado di ridurre la contrattilità atriale.

L’accorciamento del PDA è mediato anche da un aumento della corrente IKs60. Un

aumento della corrente rettificante al K+ (IK1) è in grado di contribuire all’accorciamento

del PDA, causato da un aumento dell’espressione delle subunità Kir2.161,62 e da un

aumento della probabilità di apertura del singolo canale. Se in condizioni fisiologiche la corrente IK,Ach è maggiore a livello dell’atrio destro rispetto al sinistro, una riduzione

nell’espressione di Kir3.1 e Kir3.4 tipica della FA di lunga data determina una riduzione di tale corrente a livello dell’atrio destro; IK,Ach è regolata dalla concentrazione

intracellulare di Na+ mediante Kir3.4, regolazione perduta nella FA cronica a causa della

riduzione dell’espressione della subunità Kir3.463.

Si riscontra inoltre una attivazione costitutiva64 (indipendente dal ligando) di IK,Ach

mediata dalla fosforilazione di nuove isoforme di proteine kinasi C65. Complessivamente,

l’aumento della corrente rettificante K+ è uno dei principali fattori di stabilizzazione dei

meccanismi di rientro (rotori) assieme all’incremento della corrente INa e ICa,L.66.

Anche nel trasporto del Ca2+ è possibile trovare differenze fra FA di recente insorgenza

e FA cronica. È stato evidenziato un aumento dell’attività di CaMKII accoppiato a un aumento dello stress ossidativo (che, riferendosi nuovamente a meccanismi disease-dependent, è tipico di anche condizioni come lo scompenso, valvulopatie e CAD). CaMKII ossidato è associato ad anormalità aritmogene del traffico ionico al Ca2+67. Gli

eventi spontanei di rilascio del Ca2+ sono inoltre aumentati di entità a causa della

maggiore attività del trasportatore NCX, anche se il carico sarcoplasmatico non cambia tra diverse forme di FA, presumibilmente per una contestuale aumentata attivazione della SERCA2a68,69.

Molteplici meccanismi FA correlati contribuiscono al rimodellamento strutturale e ad anomalie di conduzione. Una ridotta corrente INa di picco causa un rallentamento di

conduzione capace di promuovere il rientro. Il rientro è inoltre mantenuto da un coinvolgimento delle connessine 40 e 43, secondo alcuni studi la loro espressione sarebbe ridotta, secondo altri ne sarebbe alterata la sede di membrana. Anche la già citata fibrosi è coinvolta nei meccanismi di promozione del rientro direttamente FA correlati,

(20)

20

specificamente a causa del rallentamento della conduzione, identificato da studi di mapping elettroanatomico intracavitario28.

La FA è reputata direttamente capace di promuovere l’attività fibroblastica70, con il

contributo anche del reclutamento di fibrociti midollari, evidenziato dal riscontro di cellule esprimenti marker fibrocitici a livello atriale e direttamente in circolo, caratterizzati da una aumentata espressione di α-SMA e Col I71.

1.5.6 Progressione

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21

La progressione dell’aritmia da forme parossistiche a forme persistenti e long standing persistent è promossa sia da meccanismi correlati all’invecchiamento e patologie cardiovascolari sia da fenomeni direttamente FA-correlati, entrambi già descritti nell’analisi dei processi di mantenimento. Sono quindi coinvolti meccanismi di remodeling elettroanatomico come modificazioni della durata del PDA e del periodo refrattario, alterazione nell’espressione delle connessine, riduzione della corrente al Na+,

fibrosi, traffico del Ca2+, ed è degno di nota nel contesto delle patologie CV implicate, il

ruolo dello scompenso cardiaco, alla luce del complesso HF-AF, come già illustrato28.

È necessario tuttavia chiarire che la progressione dell’FA verso forme maggiormente sostenute non è la regola, alcune forme restano parossistiche anche per decenni. Questa eterogeneità fenotipica rimane, ad oggi, in gran parte inspiegata28.

1.6 Fattori di rischio

Numerosi sono i fattori di rischio di natura cardiovascolare, metabolica e di stile di vita correlabili con la promozione dello sviluppo e del mantenimento della FA.

Il ruolo dello scompenso cardiaco come fattore promuovente e come conseguenza stessa della FA è stato già descritto nella trattazione del modello patogenetico e fisiopatologico. L’ipertensione arteriosa ha un ruolo importante e pleiotropico. È in grado di promuovere alterazioni strutturali, neuroumorali, la fibrosi e l’aterosclerosi. Inoltre, come fattore di rischio cardio e cerebrovascolare indipendente, incrementa il rischio di ictus, complicanza stessa della FA. Il controllo antipertensivo è quindi essenziale nella prevenzione primaria della FA, con evidenze di migliori risultati di terapie a base di ACEi, ARBs e beta-bloccanti72.

L’obesità ha un ruolo nella genesi di disfunzione diastolica, stato proinfiammatorio sistemico73, alterazioni del tono autonomico74 e dilatazione atriale75, tutte condizioni

fisiopatologicamente correlabili alla genesi, al mantenimento e alla progressione di malattia52. Inoltre, l’incidenza di FA, la severità della stessa e l’outcome ablativo sono

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suggeriscono un incremento del rischio di sviluppare FA del 4-5% per ogni incremento del BMI di 1 unità77,78.

La sindrome delle apnee ostruttive del sonno è presente nel 32% dei pazienti affetti da FA. Essa agisce con meccanismi neurali, umorali emodinamici e metabolici in un ruolo aritmogenico evidenziato in numerosi studi, sia riguardo la FA che la morte cardiaca improvvisa. I meccanismi OSAS-correlati in grado di modificare la storia clinica della FA comprendono: l’ipossiemia, il coinvolgimento dell’orto e del parasimpatico, le variazioni nella pressione intratoracica, l’ingrandimento atriale sinistro e la disfunzione diastolica, la trombosi e il rischio di ictus79,80.

La malattia valvolare è associata ad incrementato rischio di FA e ictus e circa il 30% dei pazienti affetti da FA presenta alterazioni mono o multivalvolari. Così come per lo scompenso, sono stati suggeriti modelli in grado di descrivere una interdipendenza fra progressione aritmica e progressione del danno valvolare81,82.

Il controllo dei fattori di rischio è in grado di migliorare la storia a lungo termine del paziente con FA. Gli effetti positivi sono associati al rimodellamento strutturale, è stato riscontrato ad esempio un decremento dei volumi atriali e, nel contesto della terapia antipertensiva, dell’ipertrofia ventricolare sinistra. Il trattamento di condizioni come l’obesità e l’ipertensione, secondo recenti evidenze, modifica in modo significativo l’outcome post ablazione (studio ARREST-AF)83.

1.7 Razionale della procedura ablativa

1.7.1 Obiettivi

L’obiettivo delle procedure di ablazione è di rimuovere i substrati elettroanatomici necessari all’innesco e al mantenimento dell’aritmia. L’intervento di ablazione circonferenziale degli osti delle vene polmonari è in grado di agire su entrambi i meccanismi84-87. Le conseguenze di tale procedura comprendono la rimozione di tessuto

muscolare della giunzione veno-atriale, che rappresenta una sede d’innesco di eventi ectopici e di meccanismi di rientro; la riduzione della massa atriale, con effetti negativi sul meccanismo di rientro e la interruzione dell’innervazione autonoma ganglionare88.

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23

Sedi secondarie oggetto di procedura ablativa comprendono la vena cava superiore89, la

vena e il legamento di Marshall90, il tetto dell’atrio sinistro91, con risultati in letteratura

non univoci circa l’effettivo apporto in efficacia. 1.7.2 Controllo del ritmo e controllo della frequenza

Innanzitutto è necessario affrontare la procedura ablativa come metodica alternativa a quella farmacologica per ottenere un efficace controllo del ritmo. Il controllo del ritmo, contrapposto al controllo della frequenza, è una delle due possibili modalità di trattamento della FA, considerati da gran parte della letteratura, e dalle linee guida ESC 2016, come equivalenti circa gli end point di efficacia.

I vantaggi e i potenziali rischi delle due modalità terapeutiche sono di seguito illustrati92:

CONTROLLO DEL RITMO CONTROLLO FREQUENZA Potenziali benefici Miglioramento funzione ventricolare

sinistra Nessun sintomo

Riduzione rischio tromboembolico Minori ospedalizzazioni Riduzione del ricorso a terapia

anticoagulante Miglioramento dei sintomi Miglioramento dell’emodinamica

Migliore sopravvivenza

Potenziali rischi Reazioni avverse antiaritmici Rischi da terapia anticoagulante Rischi da ridotta anticoagulazione Tachicardiomiopatia

Tabella 2: Confronto fra controllo del ritmo e controllo della frequenza nella terapia della FA

L’equivalenza circa gli end point di sicurezza non è invece considerata analoga da vari autori.

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Lo studio AFFIRM ha confrontato le due strategie terapeutiche evidenziando equipollenza circa l’efficacia, ma al contempo segnalando, nel gruppo di pazienti con assegnata terapia antiaritmica (Classe Ia, Ic, III) un maggior numero di ospedalizzazioni e un maggior rischio di morte anche dopo correzione per età, fattori di rischio e comorbidità cardiovascolari93.

Lo studio RACE ha analogamente constatato una lieve prevalenza degli eventi di ospedalizzazione e morte in terapia antiaritmica rispetto al trattamento con controllo della frequenza94.

Complessivamente in letteratura si possono riscontrare diverse criticità relative alla strategia farmacologica di controllo del ritmo, sia di efficacia che di sicurezza. Innanzitutto è dimostrato che dopo un anno di trattamento è raramente possibile ottenere un controllo farmacologico che permetta di mantenere il paziente con ritmo sinusale per più del 50% del tempo; i farmaci antiaritmici hanno un ruolo nel determinare un aumento dell’ospedalizzazione, anche in relazione agli effetti pro-aritmogeni degli stessi o alla capacità di esacerbare patologie del sistema di conduzione94.

1.7.3 L’ablazione come strategia di controllo del ritmo

Il motivo principale che giustifica il ricorso a tecniche alternative a quella farmacologica per il controllo a lungo termine dell’aritmia è rappresentato dalla risoluzione della sintomatologia e dal miglioramento della qualità della vita. Alcune meta-analisi hanno evidenziato come la strategia ablativa sia globalmente superiore rispetto a quella farmacologica nella riduzione della recidiva, di conseguenza della sintomatologia e, di conseguenza nel miglioramento della qualità della vita95. Il mantenimento del ritmo

sinusale è associato a un miglioramento del tasso di sopravvivenza e alla riduzione di eventi cerebrovascolari.

È dimostrato che il trattamento ablativo è una strategia di controllo del ritmo superiore a quella farmacologica dal punto di vista dell’efficacia, con minor tasso di recidive aritmiche96.

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La logica associazione fra la capacità del trattamento ablativo di garantire un minor tasso di recidive aritmiche e la correlazione fra riduzione di tali recidive e il rischio di complicanze tromboemboliche suggerirebbe di considerare la terapia interventistica superiore a quella farmacologica circa i principali end point di efficacia per prevenzione della mortalità e degli eventi ischemici. Non esistono, però, al momento, elementi in letteratura che confermano questa ipotesi, se non studi osservazionali come quello di Pappone et al87.

In tale studio osservazionale del 2003 su 1171 pazienti gli autori concludevano che “l’ablazione delle vene polmonari migliora la mortalità, la morbidità e la qualità della vita rispetto alla terapia medica”, auspicando ulteriori sviluppi in letteratura ottenibili da trial randomizzati87.

A questo proposito lo studio CABANA (Catheter Ablation Versus Anti-arrhythmic Drug Therapy for Atrial Fibrillation Trial) (ClinicalTrials.gov NCT00911508) ha l’obiettivo di stabilire regole appropriate circa il ruolo del trattamento medico e interventistico per il controllo del ritmo nella FA. L’ipotesi di partenza prevede una superiorità del trattamento ablativo nei confronti della terapia medica di controllo del ritmo e della frequenza nella riduzione dell’incidenza di mortalità, ictus con disabilità, emorragie gravi o arresto cardiaco. La tecnica ablativa oggetto dello studio è l’ablazione circonferenziale dell’ostio delle vene polmonari, mentre il trattamento farmacologico prevede l’uso di beta-bloccanti, calcio-antagonisti non DHP, digossina per il controllo della frequenza ed antiaritmici di classe Ia, Ic e III nel controllo del ritmo97.

1.8 Indicazioni terapeutiche

Le linee guida ESC 2016 considerano l’ablazione transcatetere metodo efficace nel ripristino e nel mantenimento del ritmo sinusale in pazienti con Fibrillazione Atriale sintomatica parossistica, persistente o long-standing persistent in caso di fallimento o intolleranza al trattamento farmacologico con antiaritmici1.

In accordo la letteratura e con i dati già citati, anche secondo le linee guida, non sussistono ad oggi elementi di efficacia e sicurezza in grado di supportare la procedura come terapia di prima linea in senso assoluto. Ciò nonostante, per le forme parossistiche,

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26

specialmente in pazienti giovani e privi di cardiopatie strutturali98 la sicurezza del

trattamento ablativo eseguito presso centri a sufficiente volume di procedure è paragonabile a quella della terapia medica, suggerendo come ulteriore indicazione la preferenza personale del paziente verso un approccio interventistico. Lo stesso non si può affermare per le forme persistenti e long-standing persistent, sebbene i dati ad oggi disponibili comunque suggeriscano un minor tasso di recidiva anche in questi pazienti1,99.

La procedura di ablazione non è in ogni caso da intendersi né come trattamento atto a ridurre il tasso di ospedalizzazione, né come mezzo per giungere alla sospensione del trattamento anticoagulante. A questo proposito sono stati eseguiti numerosi studi retrospettivi con risultati incoraggianti, che hanno evidenziato vantaggi circa il rischio di eventi cerebrovascolari post ablazione ed hanno documentato un frequente ricorso alla sospensione del trattamento anticoagulante (nonostante la debole letteratura a supporto al momento) dopo la procedura; rimane l’eventualità futura di trial randomizzati prospettici a riguardo1,100,101.

1.9 Substrati

1.9.1 Vene Polmonari

L’isolamento antrale delle vene polmonari rappresenta la pietra angolare di questo tipo di trattamento, in virtù del ruolo che queste strutture hanno nei meccanismi elettrofisiologici dell’aritmia, già proposti102. La scelta della sede antrale deriva da

numerosi fattori.

In primis dal fatto che, data l’oggettiva difficoltà di identificare nel contesto del tessuto della giunzione veno-atriale le specifiche focalità aritmogene, viene eseguito un isolamento elettroanatomico di tale tessuto nei confronti del resto del tessuto atriale circostante tramite applicazione di energia a livello del punto di più precoce attivazione rispetto all’ostio delle vene polmonari103.

In secondo luogo, l’applicazione di energia direttamente a livello del lume venoso, oltre ad essere meno efficace, può indurre fenomeni di stenosi, una delle più importanti complicanze procedurali104.

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27

L’applicazione di energia può essere effettuata sia tramite tecniche punto-punto tese a delineare una lesione circonferenziale sia tramite l’uso di strumenti circolari con tecniche one-shot105.

1.9.2 Lesioni lineari in atrio sinistro

A livello atriale sinistro è possibile realizzare lesioni in corrispondenza del tetto congiungendo con linee aggiuntive quella già realizzate nel processo di ablazione antrale circonferenziale degli osti delle vene polmonari106.

Figura 5: rappresentazione schematica dell'ablazione con linee a livello del tetto dell'atrio sinistro106.

Altre sedi di erogazioni aggiuntive possono essere rappresentate dall’istmo mitralico e da linee anteriori congiungenti la linea sul tetto a l’anulus mitralico anteriore107.

Nelle forme parossistiche di FA le evidenze suggeriscono di non procedere ad ablazione di linee aggiuntive, sia per l’assenza di benefici in termini di efficacia, sia per l’evidenza di un più alto rischio di recidive aritmiche di Flutter Atriale a sede perimitrale, suggerendo un ruolo specifico di tali lesioni nell’eziopatogenesi di quest’ultimo108.

Un piccolo numero di studi a livello locale ha dimostrato dei benefici apportati da questa tecnica all’outcome nei pazienti con FA persistente. Meta-analisi e studi recenti tuttavia ridimensionano tali risultati109. Lo studio STAR AF II, pubblicato nel 2015, non

(28)

28

di Fibrillazione Atriale è associata alla realizzazione di lesioni aggiuntive o all’ablazione dei CFAEs110.

1.9.3 Complessi frazionati (CFAEs)

I CFAEs sono aree all’interno degli atri contenenti elettrogrammi anormali che si ritiene siano in grado di degenerare verso la FA e che siano in grado di mantenere tale ritmo. Vengono definiti come111:

1. Elettrogrammi con almeno 2 deflessioni e/o perturbazione della baseline con continue deflessioni di un complesso di attivazione prolungata durante un periodo di rilevazione elettrocardiografica di 10 s.

2. Elettrogrammi con un ciclo medio molto corto (≤ 120 ms) in un periodo di registrazione di 10 s.

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29

Figura 6: esempio di CFAEs. (A) complessi frazionati con complesso di attivazione prolungata continua a livello settale posteriore. (B) complesso a livello del tetto dell'atrio sinistro a ciclo molto breve rispetto al resto

dell'attività atriale111

Evidenze sperimentali e cliniche dimostrano il ruolo di tali complessi nella genesi e nella perpetrazione dell’aritmia. Ad esempio, in un paziente con FA permanente e trattato mediante ablazione del nodo atrioventricolare (ablate and pace) si evidenziavano CFAEs localizzati a livello settale, con ciclo ≤ 120 ms. La sola applicazione di radiofrequenza a livello settale, bilaterale, permetteva di interrompere l’aritmia fino a 2 anni dopo

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30

l’ablazione. Si notava inoltre prima dell’interruzione dell’aritmia un incremento del ciclo del ritmo atriale da 235-280 ms a 325 ms.

Lo stesso studio propone una classificazione dei CFAEs in 3 diversi tipi:

Tipo I: complessi localizzati in singola area, con il resto dell’atrio caratterizzato da attività organizzata. Il ciclo rilevato nell’area interessata da CFAEs era più breve del resto degli atri. L’applicazione di RF a livello dei complessi permetteva il ripristino del RS.

Tipo II: complessi localizzati in 2 diverse aree, con necessità di ablazione di entrambe le aree per raggiungere il RS.

Tipo III: complessi localizzati in 3 o più aree con necessità di ablazioni multiple e conversione, prima in tachicardia atriale, poi in RS dopo diverse applicazioni. La conversione del ritmo atriale verso il RS o aritmie non fibrillanti suggerisce quindi un ruolo importante di tali complessi nel mantenimento dell’aritmia111.

Al contempo meta-analisi eseguite su studi inerenti il ruolo dei CFAEs nel miglioramento dell’outcome post ablativo non dimostrano un reale beneficio, lo stesso conclude il già citato STAR AF II110. Questo suggerisce ulteriori studi a riguardo112.

1.9.4 Plessi ganglionati

L’ablazione dei plessi ganglionati viene proposta in virtù del ruolo che l’innervazione autonomica ha nell’innesco e nel mantenimento del ritmo fibrillante. Studi a riguardo si focalizzano prevalentemente su questa metodica come alternativa all’ablazione di altri substrati (CFAEs, linee in atrio sinistro) rispetto agli antri delle VP nella FA persistente113.

I modelli di intervento proposti prevedono l’ablazione dei PG localizzati in atrio sinistro previa localizzazione degli stessi tramite stimolazione ad alta frequenza o l’ablazione anatomica previa identificazione TC. Il successo della procedura ablativa è validato dal riscontro della scomparsa di risposta vagale alla stimolazione elettrica39. Studi e

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meta-31

analisi dimostrano la superiorità del trattamento con ablazione dei PG rispetto alla sola ablazione circonferenziale delle VP114-117.

1.9.5 Vena cava superiore e altri trigger

La vena cava superiore può essere sede di trigger esterni rispetto alle VP, così come la parete posteriore dell’atrio sinistro, la vena cava inferiore, la crista terminalis, la fossa ovale, il legamento di Marshall. L’ablazione in queste sedi può essere indicata in caso di riscontro di firing locale, sebbene un subset di operatori estenda il trattamento di default anche alla VCS. L’identificazione dei trigger extra VP può essere migliorata mediante la somministrazione di isoproterenolo e/o la cardioversione della FA. In pazienti selezionati l’eliminazione dei soli trigger extra VP permette la terminazione dell’aritmia39.

Figura 7: Principali sedi di ablazione. (A) Lesioni circonferenziali all'antro delle VP. (B) Lesioni lineari al tetto e all'istmo mitralico. (C) Lesioni aggiuntive per l'isolamento della parete posteriore e della VCS. (D) Comuni sedi

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32

1.10 Energie, materiali e tecniche

1.10.1 Radiofrequenza118

Essa rappresenta la forma di energia ad oggi prevalentemente utilizzata in tutte le procedure ablative, inclusa quella della FA. La RF è tipicamente trasferita al tessuto target tramite l’uso di un catetere mono o bipolare. Nel caso del catetere monopolare viene sfruttata una corrente realizzata tra la punta dello strumento e un elettrodo di terra di dimensioni molto maggiori in contatto con la cute del paziente, prevalentemente a livello addominale o dell’arto inferiore.

Lo spettro di frequenze che vengono sfruttate va dai 500 ai 1000 kHz (lo spettro della RF si estende dai 3 kHz ai 300 GHz), erogate da un generatore che eroga una corrente alternata sinusale non modulata, caratterizzata da oscillazioni sufficientemente rapide per evitare depolarizzazioni miocardiche e, di conseguenza, aritmie.

Il passaggio della corrente tra il catetere ablativo e l’elettrodo di terra genera riscaldamento del tessuto e formazione della lesione desiderata. Ciò è permesso dal grande rapporto esistente fra l’area della punta del catetere ablativo e dell’elettrodo/patch di terra, che genera una densità di corrente molto elevata a livello del tessuto trattato. Con questa modalità vengono ottenuti due diversi tipi di riscaldamento: resistivo e conduttivo.

Nel riscaldamento resistivo l’energia dissipata per unità di tempo (W) è proporzionale alla corrente e al voltaggio, secondo l’equazione:

Dove V è il voltaggio, I è la corrente, R è la resistenza.

La corrente si disperde radialmente dalla punta dell’elettrodo ed è inversamente proporzionale al quadrato della distanza dalla punta stessa. Ciò è illustrato dall’equazione della densità di corrente espressa in ampere/cm2 (Q):

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Il calore generato per unità di volume di tessuto è inversamente proporzionale alla quarta potenza della distanza dalla punta del catetere, di conseguenza, un raddoppio della distanza fra la punta e il tessuto determina una riduzione del 94% del calore generato. Per questo motivo, solo una rima di tessuto di massimo 1-2 mm è riscaldata con successo dal riscaldamento resistivo, mentre la maggior parte del tessuto oggetto di lesione è scaldata dal riscaldamento conduttivo, che raggiunge maggiore profondità.

La distruzione del tessuto, obiettivo fondamentale della procedura, è ottenuta almeno a 50°C di temperatura. Oltre i 100°C non si ha alcun beneficio in termini di efficacia e compaiono rischi importanti di embolizzazione derivante dalla formazione di coaguli e di bolle. Quindi, per garantire efficacia e sicurezza, è necessario mantenere una temperatura ottimale fra i 50°C e i 70°C, tramite metodiche di monitoraggio indiretto a livello della punta del catetere e protocolli di applicazione di RF “temperature guided”. Elementi indiretti sfruttati per la stima della temperatura a livello della punta comprendono: il calo di impedenza, la riduzione dell’ampiezza dell’elettrogramma e la perdita di eccitabilità da pacing.

In ambito ablativo la lesione efficace e soprattutto duratura è una lesione transmurale e continua. Lesioni non transmurali e non contigue possono in acuto comunque dare un risultato elettrofisiologico apparentemente soddisfacente, ma solo grazie all’edema e al danno tissutale transitorio.

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Figura 8: Sezione di parete di atrio sinistro in tricromia di Masson. (A) Lesione transmurale. (B) e (C) lesione non transmurale. CN = coagulation necrosis. VM = viable myocardium119

Accanto ai cateteri tradizionali a punta solida oggi sono disponibili cateteri irrigati a circuito aperto o a circuito chiuso. Questi cateteri sono accoppiati a una pompa dedicata per garantire passaggio di soluzione salina eparinizzata a livello della punta del catetere con un flusso fino a 30 ml/min durante l’erogazione di RF. L’irrigazione consente di ridurre la temperatura a livello dell’interfaccia catetere-tessuto e di garantirne il mantenimento ben al di sotto della soglia necessaria allo sviluppo di complicanze come quelle emboliche. Una criticità da segnalare nell’ambito dei cateteri a circuito aperto è proprio la necessità di somministrare al paziente un volume di liquidi variabile, che in lunghe procedure può divenire significativo in termini emodinamici.

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Figura 9: Principali tipologie di catetere a singola punta disponibili per il trattamento ablativo con RF118

Un aspetto molto importante nell’ablazione a RF è il contatto. In assenza di contatto diretto fra punta del catetere e tessuto da trattare non si ha virtualmente alcuna efficacia terapeutica. Allo stesso tempo, un contatto eccessivo è correlato a maggiori complicanze quali embolia e perforazione. Metodiche indirette di verifica del contatto comprendono: variazioni di impedenza, di corrente, ecografia intracardiaca, tutte variabili utili ma incapaci di garantire una stima corretta di questo parametro. A questo scopo sono stati quindi sviluppati appositi cateteri dotati di sensori a fibre ottiche capaci di stimare la pressione di contatto (TactiCath, Endosense, Meyrin, Switzerland). In studi atti a verificare vantaggi in termini di efficacia e sicurezza, come TOCCASTAR120, la

quantificazione e il controllo della Contact Force hanno dimostrato non-inferiorità in entrambi gli endpoint ed il mantenimento di una Contact Force ottimale durante l’erogazione di RF risultava correlato con un isolamento delle VP di maggiore durata. Complessivamente, in ambito RF, le variabili in gioco nel determinare lesioni terapeuticamente efficaci sono: la forza di contatto, la temperatura raggiunta, la potenza utilizzata, la durata dell’erogazione, il raffreddamento da parte del circolo ematico, l’irrigazione e l’orientamento della punta del catetere rispetto al tessuto target.

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Pertanto, è stato sviluppato un sistema software (Biosense Webster VISITAG) in grado di coniugare i parametri di:

Stabilità del catetere misurata come tempo minimo speso in un’area e distanza massima percorsa

Forza di contatto Impedenza

Variazioni di temperatura

E di inferire l’efficacia complessiva della singola erogazione fornendo un feedback visuale nell’interfaccia software CARTO3 corrispondente a un “tag” di 34 mm di diametro. Questo è permesso dall’utilizzo del catetere ThermoCool SmartTouch, dotato di specifici sistemi di monitoraggio della Contact Force in tempo reale121.

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È in corso uno trial randomizzato multicentrico (VISITALY, ClinicalTrials.gov NCT02681926) per la valutazione dell’efficacia e della sicurezza di questa metodica nel trattamento mediante isolamento antrale delle VP della FA parossistica.

In alternativa alle tecniche ablative tradizionali punto-punto sono stati sviluppati cateteri circolari multi-elettrodo (Medtronic PVAC, Biosense Webster nMARQ) in grado di erogare simultaneamente RF in modo circonferenziale allo scopo di somministrare lesioni antrali con tecnica one-shot122.

PVAC è un catetere 9F a 10 elettrodi caratterizzato distalmente da una struttura spiraliforme di 25 mm di diametro, che può essere stretta dall’operatore all’interno della vena, capace di erogare RF con modalità uni e bipolare.

nMARQ è un catetere decapolare irrigato di 8,4F con spirale distale regolabile di 20-35 mm di diametro. È compatibile col sistema CARTO3 ed eroga energia con modalità monopolare e bipolare. È inoltre accoppiato alla tecnologia TissueConnect per la misurazione della prossimità catetere-tessuto.

Uno studio122 comparativo fra i due modelli di catetere non ha evidenziato sostanziali

differenze circa gli end point di efficacia. Studi comparativi fra le tecniche one-shot e point to point identificano una efficacia comparabile e minori tempi di procedura123,124,

ma in letteratura si evidenzia preoccupazione circa la maggiore frequenza di complicanze periprocedurali, quali lesioni esofagee (nMARQ) (fino al 33% delle procedure), che possono condurre a mortalità per fistola tracheo-esofagea125 o

trombo-embolizzazione126 (PVAC).

1.10.2 Crioablazione

Per crioablazione si intende l’applicazione di una temperatura estremamente bassa al fine di danneggiare o distruggere tessuto. È una metodica ad oggi eseguita tramite l’uso di cateteri raffreddabili. Il raffreddamento della superficie del catetere è ottenuto mediante l’erogazione di azoto liquido sotto pressione nel lume del device, e l’abbassamento di temperatura si ha grazie alla decompressione ed espansione del refrigerante, secondo

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l’effetto Joule-Thompson; la crioablazione dei tessuti circostanti avviene per assorbimento di calore da parte dell’estremità del catetere127.

Il processo di espansione e decompressione del refrigerante è determinato dalla presenza, nella porzione distale del catetere, di una struttura a forma di “pallone”, chiamata “cryoballoon”, che rappresenta l’effettiva superficie ablativa del device.

Le lesioni, nel processo crioablativo, sono ottenute mediante danno cellulare diretto e danno tissutale vascolo-mediato.

Il danno cellulare diretto si verifica in seguito alla formazione di ghiaccio, con conseguente iperosmolarità e shrinking cellulare, con danno di membrana, oltre che durante la successiva fase di riscaldamento. Il danno è in massima parte definitivo se viene erogata una temperatura di almeno – 40°C per tempi sufficienti. Se una temperatura adeguata viene erogata per tempi troppo brevi per ottenere la morte cellulare è possibile riscontrare un danno transitorio con completo recupero. Questo effetto può essere sfruttato vantaggiosamente in alcuni setting ablativi allo scopo di valutare il risultato ipotetico di una serie di lesioni prima di renderle definitive, in una tecnica chiamata “cryomapping”. Un altro importante vantaggio esclusivo della tecnica crioablativa è la c.d. “crioadesione”, che permette una maggiore stabilità del catetere durante l’erogazione, con migliori risultati.

Il danno vascolare è determinato da una risposta vasocostrittiva all’applicazione della crioenergia, e ad una conseguente riduzione del flusso ematico a livello del territorio trattato, con necrosi ischemica e danno endoteliale, con aggregazione piastrinica e formazione di microtrombi. Al termine della risposta vasocostrittiva si ha iperemia riflessa con iper-permeabilità ed edema locale.

Alcuni dei vantaggi associati alla terapia crioablativa comprendono: la reversibilità iniziale del danno (permette sia le tecniche di cryomapping sia un maggiore controllo sul danno ablativo durante l’erogazione), stabilità del catetere (crioadesione), lesioni più omogenee (minor rischio aritmogenico), minore formazione di trombi e minor rischio di embolizzazione, minore dolore128.

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39

L’isolamento delle vene polmonari con tecnica crioablativa è, per definizione, eseguito con tecnica oneshot. Il criopallone viene gonfiato fuori dalla VP da trattare e avanzato fino alla sua occlusione, quindi, viene erogato il liquido refrigerante, e la superficie del pallone cede crioenergia al tessuto con cui entra il contatto. È essenziale ai fini dell’efficacia ablativa un contatto ottimale e completo del pallone con la parete venosa. Contatti incompleti sono la principale causa di fallimento procedurale e, di conseguenza, dell’eventuale necessità di una seconda procedura (redo)129.

Figura 11: Confronto fra un criopallone Medtronic Arctic Front di prima generazione (A) e di seconda generazione (B). In entrambi è possibile individuale le strutture principali, come il balloon e il catetere diagnostico octapolare spirale situato distalmente. Nel criopallone di seconda generazione (B) si nota una

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40 1.10.3 Imaging

L’ecocardiografia riveste un duplice ruolo. È indicata nel follow up del paziente con FA per il monitoraggio di patologie valvolari e di alterazioni dimensionali/volumetriche dell’AS. Inoltre, prima della procedura, è raccomandato eseguire un ecocardiogramma trans-esofageo per escludere la presenza di trombi in AS e per definire la morfologia del setto IA in previsione dell’accesso trans-settale e dell’eventualità di produrre lesioni ablative in tale sede118.

La TC preprocedurale può essere utilizzata per lo studio della morfologia dell’AS, per realizzare ricostruzioni 3D dell’anatomia camerale e delle VP. Le immagini ottenute possono essere poi importate, in un processo di “merging” negli applicativi di mapping tridimensionale per guidare il mappaggio e la procedura stessa. L’introduzione di queste metodiche ha di fatto ridotto quasi a zero il ricorso a tecniche venografiche, con tutti i vantaggi associati. Tramite l’imaging tomografico è possibile individuare varianti anatomiche più o meno comuni nella popolazione generale, tra cui il tronco comune delle VP di sinistra (30%), un ramo accessorio destro (18-29%) e condizioni più rare, come vene originanti dal tetto118.

La RM può essere utilizzata in alternativa alla TC per valutare la morfologia del substrato atriale e allo stesso modo i relativi DICOM possono essere importati e oggetto di “merging” nei software di mappaggio elettroanatomico. Essa può però fornire anche informazioni aggiuntive circa la presenza di fibrosi atriale come area di delayed enhancement contrastografico. La tecnica di Delayed Enhancement MRI (DE-MRI) consente di valutare l’entità del remodeling atriale sinistro e con esso, secondo uno studio della University of Utah School of Medicine, Salt Lake City, predire il successo del trattamento ablativo. In tale studio si evidenziava infatti una correlazione fra la “recurrence rate” di FA e l’entità di fibrosi atriale131. La RM è anche in grado di valutare

caratteristiche anatomiche del substrato atriale compatibili con la presenza di tal sede di CFAEs118.

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41 1.10.4 Sistemi di mapping elettroanatomico

Accanto alle tecniche di imaging tradizionali sono disponibili sistemi di mapping elettroanatomico navigazionali come Biosense Webster CARTO e St. Jude EnSite NavX.

Per principio, il mapping elettroanatomico si basa su 3 aspetti132:

1. La localizzazione nelle 3 dimensioni dei cateteri sfruttando la rilevazione remota della riduzione dell’intensità del campo magnetico o della riduzione in voltaggio del campo elettrico attraverso la superficie corporea del paziente.

2. La generazione computerizzata di una mappa virtuale dell’anatomia della/e camera/e cardiache oggetto d’esame tramite la sintesi di dati relativi al posizionamento punto-punto del catetere

3. Analisi, computazione e visualizzazione dei dati elettrofisiologici ottenuti durante il mapping punto-punto:

a. Activation mapping: visualizzazione della sequenza di attivazione tramite codice colore

b. Voltage mapping: visualizzazione, per ogni punto della superficie in esame, della magnitudine del voltaggio uni o bipolare dell’elettrogramma Possono inoltre essere visualizzate ulteriori informazioni, come la presenza di potenziali frazionati.

Il sistema di mappaggio tipo consiste di 6 diverse componenti132:

1. Strumenti di generazione di correnti elettriche o campi magnetici attraverso il torace del paziente

2. Cateteri intracardiaci manovrati dall’operatore dotati di elettrodi rilevatori ed emettitori di segnale, rilevabile dalla strumentazione esterna

3. Un’interfaccia che raccoglie gli input multicanale dagli elettrodi e li invia alla centrale di elaborazione

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4. Una unità di processing che filtra e amplifica i segnali

5. Una CPU che analizza gli input in modo da sintetizzare nello spazio i dati elettrofisiologici ottenuti

6. Un’interfaccia utente

CARTO è un sistema di mappaggio elettroanatomico magnetico tridimensionale estremamente diffuso nella pratica elettrofisiologica. Esso sfrutta un sensore magnetico localizzato all’estremità di un catetere di mappaggio/ablazione (come NaviStar o successori più avanzati) e di un emettitore di campo magnetico localizzato dietro il paziente. Il campo magnetico esterno è del tipo ultra-low-intensity (tra 5×10-6 e 5×10-5

T) e codificato nello spazio. Oltre alla posizione del catetere il sistema consente anche di ottenere informazioni circa l’orientamento dello stesso sui 3 assi. Il mappaggio elettroanatomico si realizza muovendo il catetere all’interno della camera atriale raccogliendo dati elettrofisiologici, che vengono accoppiati all’elettrocardiogramma di riferimento e alle informazioni spaziali del localizzatore. Il sistema CARTO 3 rappresenta un’evoluzione rispetto alla prima iterazione, oltre ad elaborare i dati derivanti dal mapping magnetico, esso necessita del posizionamento di 3 patch toracici anteriori e 3 patch toracici posteriori, in modo da rilevare le correnti a bassa potenza ed alta frequenza emesse dal catetere. Ogni patch è in grado di rilevare una diversa intensità di corrente in funzione della posizione del catetere, permettendone la localizzazione grazie ad algoritmi proprietari. Questo tipo di tecnologia consente di migliorare l’accuratezza della localizzazione e la visualizzazione della posizione del catetere nel range di 1 mm. Il modulo CartoMerge permette l’integrazione di immagini TC o RM precedentemente acquisite nel contesto della mappa elettroanatomica ottenuta col sistema Carto132.

EnSite NavX è un sistema di mappaggio elettroanatomico ad impedenza elettrica, originariamente nato e descritto per fornire assistenza navigazionale nelle procedure di ablazione di Flutter Atriale. Il sistema comprende 3 paia di elettrodi posti sulla superficie corporea, e si basa su una debole corrente elettrica alla frequenza di 5,68 Hz realizzata fra le diverse paia. Un elettrodo intracardiaco fisso, solitamente localizzato a livello del seno coronarico, o un elettrodo superficiale, fungono da riferimento. L’accuratezza

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