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Parametri predittivi dell'outcome post-operatorio in chirurgia epatica Minor but Complex. Studio retrospettivo

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Indice

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 Riassunto analitico……….…1

 Introduzione………2

 Epidemiologia dei tumori epatici………...……4

 Diagnosi e prognosi………7

 Terapia………..10

 Complicanze generali delle epatoresezioni…………..17

 Classificazione resezioni………..22

 Parenchyma-sparing surgery………24

 Sistemi di monitoraggio………...36

 Altri sistemi di monitoraggio………...43

 Studio clinico………45

 Materiali e metodi………48

 Obiettivi dello studio ………...52

 Analisi statistica………...52

 Risultati………52

 Conclusioni………..54  Ringraziamenti.

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Riassunto analitico

La resezione epatica è una delle opzioni terapeutiche nel trattamento di lesioni maligne o benigne del fegato e consiste nella ablazione chirurgica del nodulo o dei foci multipli di neoplasia nel contesto di quest’organo parenchimatoso. Viene eseguita con approccio laparotomico o laparoscopico. I concetti di resecabilità e radicalità risiedono nella accessibilità della sede e nella rimozione integrale della malattia macroscopica con margini sani. L’operabilità di un paziente è deliberata dalle figure del chirurgo e dell’anestesista, mentre la terapia nel suo complesso è responsabilità di un team epatobiliare multidisciplinare con expertise e strutture adeguate a fornire le cure ottimali. La chirurgia riveste un ruolo prevalentemente citoriduttivo e la citoriduzione aumenta le probabilità di successo della chemioterapia sistemica. Da evidenze emerse da vari studi retrospettivi, risulta però, che la resezione rappresenta l’unico trattamento in grado di garantire una sopravvivenza a lungo termine. L’intervento presenta una serie di complicanze generali e specifiche tra cui spiccano l’insufficienza epatica e la mortalità. Le resezioni si classificano in maggiori e minori in base al numero di segmenti coinvolti e all’interessamento della confluenza epato-cavale. La resezione minore ma complessa consiste nell’asportazione di meno di 3 segmenti con esposizione della confluenza epato-cavale ed è un esempio di Sparing Surgery: una procedura conservativa volta a minimizzare il sacrificio parenchimale attraverso la visualizzazione ecografica

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dell’architettura vascolare epatica e l’esecuzione della manovra di clampaggio intermittente di Pringle, che sospende transitoriamente l’inflow, limitando il sanguinamento e al contempo ottenendo il precondizionamento tissutale. Ciò comporta l’aumento della tolleranza ischemica delle cellule epatiche. In letteratura i clampaggi superano raramente i 120’ di durata complessiva, mentre nella U.O. di Chirurgia Generale dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana sono piuttosto frequenti e su questi si è soffermata l’attenzione del seguente studio clinico. Da una popolazione di pazienti sottoposti a 231 resezioni eseguite tra il 2008 e il 2016 è stato raccolto retrospettivamente un database su un campione di 28 pazienti, composto da dati anagrafici, emogasanalitici, emocromocitometrici, relativi alla ventilazione e all’impiego di alcuni farmaci vasoattivi e diuretici. I clampaggi hanno tutti una durata media superiore a 120’. I parametri d’interesse nel monitoraggio intra e postoperatorio sono stati: il dosaggio sierico dei lattati, la durata di clampaggi e declampaggi e quelli relativi alla volemia e alla perfusione tissutale.

Introduzione

La resezione epatica è adottata nella gestione di molti tipi di patologia sia benigna che maligna1. Nella sua pianificazione si prendono in considerazione la natura e la localizzazione della lesione nel fegato, l’anatomia specifica del paziente, la qualità e la massa del tessuto epatico residuo post-resezione.

Gli outcomes postoperatori delle resezioni epatiche si sono perfezionati grazie a migliori tecniche chirurgiche basate sull’anatomia segmentale del parenchima, migliori tecniche emostatiche e migliori cure intensive. Le resezioni eseguite in

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centri ad alto volume di procedure da équipe epatobiliari specializzate si associano agli esiti più significativi.

Il fegato si suddivide in due lobi a loro volta suddivisibili in otto segmenti di Couinaud sulla base dell’approvvigionamento vascolare e della distribuzione dell’albero biliare.

Gli epatociti sono preposti a una serie di diverse funzioni tra cui: ➢ rimozione di prodotti del catabolismo, ormoni, farmaci e

tossine

➢ produzione di succhi biliari

➢ elaborazione di nutrienti assorbiti dal tratto digestivo ➢ deposito di glicogeno, vitamine e minerali

➢ regolazione della glicemia

➢ sintesi di proteine plasmatiche, albumina, fattori della coagulazione

➢ produzione di fattori immunitari e rimozione agenti batterici ➢ emocateresi.

Il volume di organo funzionante richiesto per il mantenimento di queste importanti attività dopo un’exeresi chirurgica dipende dalla qualità del tessuto rimanente e dalla sua capacità di rigenerarsi. La rigenerazione epatica risulta fondamentale in prospettiva di un ampliamento dell’ablazione parenchimale. I meccanismi responsabili di questa capacità sono un’area di ricerca particolarmente attiva. In un modello animale, gli inibitori dell’angiogenesi hanno determinato la soppressione della rigenerazione epatica. Ciò nonostante, l’importo esatto di tessuto rigenerato è mutevole tra i vari pazienti; fegati sani possono rigenerare quote consistenti di organo da poche settimane ad alcuni mesi dalla resezione. Dopo sei mesi, il volume rigenerato è

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Per il colangiocarcinoma la rapidità evolutiva è tale che i tassi di incidenza sono sostanzialmente sovrapponibili a quelli di mortalità; fortunatamente, confrontati ad altre forme neoplastiche, tali tassi si rivelano modesti, appena il 10-20% delle morti epatobiliari (100000-200000 decessi annui nel mondo).

Le metastasi epatiche hanno un'incidenza doppia rispetto alle lesioni primitive: 15000 nuovi casi annui (Italia) provenienti da colon-retto, mammella, pancreas, stomaco, rene, ovaio e utero. Il 10-15% degli impianti metastatici si manifestano sincronicamente con il primitivo, il 30-40% sono invece metacroni, ovvero clinicamente evidenti dopo almeno 6 mesi dalla sua ablazione. Oltre il 90% dei portatori di metastasi epatiche hanno impianti ripetitivi in altre sedi.

Il carcinoma del colon-retto è la più comune malattia maligna gastrointestinale e la seconda causa di morte per cancro. Sono diagnosticati ogni anno circa 32000 nuovi casi e sono attribuibili alla malattia 17000 decessi3.

Il fegato è il primo sito metastatico e perfino l'unica sede coinvolta in circa il 30–40% di pazienti con malattia avanzata. Tra i nuovi casi, il 20-25% dei pazienti avranno metastasi clinicamente manifeste al momento della diagnosi iniziale e oltre il 40-50% potranno svilupparle dopo la resezione del primitivo, più di frequente entro i primi 3 anni di follow up. Il principale percorso di disseminazione è il sistema portale e pertanto la resezione chirurgica di metastasi isolate di colon-retto, in una certa percentuale di casi, potrebbe addirittura riuscire a eradicare la malattia, se interviene prima dell’interessamento dell’asse portale.

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Il decorso naturale del cancro metastatico colorettale è molto variabile. La sopravvivenza mediana senza trattamento non supera gli otto mesi dalla presentazione clinica e la prognosi è più favorevole per quei pazienti con noduli metastatici isolati, piuttosto che in pazienti con diffuso interessamento del parenchima epatico. Pazienti con un numero limitato di metastasi o quelli con malattia confinata a un solo lobo epatico presentano una sopravvivenza più lunga rispetto a quelli con malattia più avanzata. Comunque, perfino nel gruppo di pazienti con malattia circoscritta, la sopravvivenza a cinque anni è rara.

Circa il 20–30% di pazienti con cancro colorettale metastatico hanno una malattia confinata al fegato e potenzialmente resecabile. Alcune serie recenti estese sulla resezione di ColoRectal Liver Metastases (CRLM) hanno riportato un range di sopravvivenza a cinque anni tra 25 e 44%, con mortalità intraoperatoria di 0-6,6%. Recentemente, accanto alla terapia standard, è aumentato l'interesse in regimi chemioterapici innovativi, come la terapia interstiziale, e altre nuove modalità che consentono un'ablazione sicura delle metastasi epatiche3.

Diagnosi e prognosi

I pazienti con sospetto e/o fattori di rischio (area geografica, ereditarietà, epatiti virali) per HCC dovrebbero intraprendere un programma di screening, finalizzato a intercettare la malattia nel suo periodo di latenza clinica, basato sull’ecografia dell’addome e il dosaggio dell'aFP (v.n. 10-20ng/mL); il secondo livello diagnostico, che si caratterizza per un più alto grado di risoluzione, è rappresentato da TC e RM caratterizzate da una validità stadiativa; inoltre giocano un ruolo importante l’esecuzione di scan

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PET con fluorodesossiglucosio (FDG) e l’ecografia laparoscopica. La diagnosi di malattia metastatica presenta un percorso quasi analogo, con la differenza che è meno frequente riscontrarla prima della diagnosi di un tumore del colon-retto con MTS epatiche sincrone. In generale la diagnosi di MTS viene effettuata in fase di stadiazione, perché difficilmente la malattia epatica è sintomatica al contrario del tumore del colon-retto: sangue nelle feci, astenia, subocclusione.

La biopsia delle lesioni epatiche (a prescindere dall’origine primitiva o secondaria) è adottata solo in caso di dati strumentali discordanti o dubbi diagnostici. Le principali diagnosi differenziali sono le seguenti: noduli rigenerativi di cirrosi, metastasi, colangiocarcinoma.

Gli attuali sistemi di stadiazione in uso per HCC, che tengono in considerazione stadio della cirrosi, stadio neoplastico e quadro clinico, sono essenzialmente due: BCLC4 (Barcelona Clinic Liver Cancer) e CLIP5 (Cancer of the Liver Italian Program). Per il carcinoma metastatico del colon-retto si segue la stadiazione TNM6.

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Terapia

La terapia dei tumori epatici può essere chirurgica e medica, ma generalmente segue protocolli polimodali e integrati.

Per l’HCC:

• resezione, l'exeresi chirurgica del nodulo; nei cirrotici vige una maggior incidenza di insufficienza d'organo postoperatoria e di recidiva a cinque anni: 50-60%;

• termoablazione con radiofrequenze, inizialmente riservata a tumori primitivi inoperabili, poi divenuta una diffusa alternativa alla terapia chirurgica, in stadio non avanzato; consiste nella somministrazione di calore al nodulo neoplastico attraverso uno o più aghi posizionati sotto guida ecografica o TC con induzione di necrosi coagulativa;

chemio-embolizzazione transarteriosa, TACE, è la

somministrazione intrarteriosa di un chemioterapico e di una sostanza che occlude l'arteria afferente al nodulo (per noduli < 5-6cm, pazienti inoperabili, oppure preliminare a resezione o trapianto);

• radio-embolizzazione, TARE, è l'infusione di sferule radioattive citotossiche nel torrente ematico arterioso (Ittrio-90, Therasphere*), nei portatori di HCC medio-avanzato, con trombosi della vena porta, non candidabili a TACE; la candidatura alla metodica è stabilita attraverso un’angiografia esplorativa seguita da un’eventuale angiografia terapeutica;

• farmaci, l'inibitore di Tirosin Kinasi Sorafenib, Nexavar*, i cui principali eventi avversi sono diarrea, hand-foot reaction, affaticamento, calo ponderale;

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• trapianto di fegato, limitato al 5% dei pz con HCC, vista la modesta disponibilità di donatori, in osservanza dei Criteri di Milano 1996 (singola lesione < 5 cm o meno di 3 lesioni < 3 cm). Un’ulteriore metodica è la crioterapia7

che si basa sull’uso di basse temperature che inducono la morte cellulare attraverso la formazione di cristalli di ghiaccio. Sono stati realizzati strumenti in grado di veicolare nitrogeno liquido in maniera controllata sino a raggiungere temperature di –196 °C attraverso sonde inserite nella lesione epatica da trattare. Le sonde possono essere introdotte nel fegato in laparotomia, per via transcutanea ed ultimamente anche in laparoscopia; il trattamento viene condotto su guida ecografica allo scopo di controllare il posizionamento della sonda nella lesione ed il diametro della zona di congelamento ottenuta. Cicli ripetuti di congelamento e riscaldamento nella stessa seduta sono più efficaci del trattamento singolo in quanto si è in grado di ottenere una zona sferica di congelamento centrata sulla punta della sonda. Questa terapia viene indicata in caso di lesioni superiori a 5 cm di diametro, di numero non superiore a 4. La zona necrotica risultante è più demarcata e controllabile rispetto al trattamento con alcolizzazione, sebbene la tecnica sia molto più costosa e gravata di complicanze di ordine generale (riduzione della temperatura corporea). La criochirurgia ha il vantaggio di poter essere utilizzata per il trattamento di lesioni tumorali anche di diametro elevato (anche superiore ai 5 cm); la maggior limitazione attuale è il fatto di essere una procedura invasiva, che richiede una laparotomia ed anestesia generale per le dimensioni delle sonde criogeniche.

Per le Metastasi da Colon-Retto: • resezione chirurgica;

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• chemioterapia, protocollo FOLFOXIRI (acido folinico, 5-fluorouracile, oxaliplatino, irinotecan) associato a Bevacizumab; • TARE, secondo studi in corso potrebbe conoscere un'estensione di indicazione anche ai tumori neuroendocrini (NET).

Le resezioni epatiche o epatoresezioni sono interventi chirurgici di ablazione parziale o totale del parenchima epatico che si eseguono in anestesia generale e ad addome aperto; un'alternativa innovativa è la metodica laparoscopica, introdotta solo recentemente in limitate indicazioni, sebbene non abbia ancora raccolto consensi unanimi nella comunità chirurgica.

Le resezioni trovano impiego prevalentemente nella terapia dei tumori maligni primitivi e secondari del fegato e delle vie biliari, più precisamente di:

1. carcinoma epatocellulare 2. colangiocarcinoma

3. tumori metastatici, di origine colon-rettale, l'indicazione più frequente.

Indicazioni minori sono neoplasie epatiche benigne, neoplasie della colecisti, periampollari, pancreatiche, calcolosi biliare, patologie congenite dell'albero biliare ed cisti idatidee. Le principali controindicazioni alla resezione sono invece rappresentate da tumore primitivo intrattabile (relativa), malattia polmonare diffusa, recidiva locoregionale, malattia peritoneale, malattia linfonodale estesa (nodi retroperitoneali, mediastinici e portali), metastasi ossee e cerebrali.

Nel corso degli ultimi anni, l'approccio laparotomico (j-shaped) tradizionale è stato affiancato da quelli laparoscopico e robotico. Questi ultimi non hanno ancora raggiunto il grado di diffusione e standardizzazione di altri ambiti della chirurgia generale a causa di

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peculiari caratteristiche, ad esempio difficoltà tecniche di mobilizzazione e transezione, complicanze emorragiche intraoperatorie. Ciò nonostante, in alcune metanalisi la laparoscopia ha già dimostrato vantaggi rispetto alla chirurgia open in termini di entità del sanguinamento, durata delle degenze post-operatorie, incidenza di morbidità complessiva. Accanto alla prassi chirurgica si abbina un'intensa attività ecografica epato-biliare sia intra che post-operatoria, in seguito ambulatoriale nel follow up. Secondo Minagawa et al.8 l'embolizzazione portale preoperatoria e l'US intraoperatoria hanno contribuito notevolmente ad estendere le indicazioni: la prima è una procedura di radiologia interventistica che consiste nell'occlusione selettiva dei vasi afferenti al nodulo grazie all'introduzione di emboli, la seconda contribuisce a ottimizzare la strategia chirurgica sulla base della precisa localizzazione e del delimitazione della lesione; entrambe permettono al chirurgo di isolarla, migliorare la gestione perioperatoria e l’outcome del paziente, perfino in presenza di cirrosi epatica o di tumori metastatici avanzati. Lo studio di Minagawa8, che reclutò 254 pazienti sottoposti a resezione di metastasi colorettali, dimostra l'impatto prognostico non trascurabile della metodica la cui radicalità è motivo di alta percentuale di non recidività (27,3%) e importante percentuale di sopravvivenza a 15 anni (100%). I parametri considerati nello studio comprendono: sesso, età, sito primitivo, stadio (secondo Dukes), intervallo tra il trattamento del primitivo e la resezione epatica, diametro lesionale massimo, numero di lesioni, invasione extraepatica diretta, infiltrazione vasculo-biliare, metastasi a distanza e linfonodali, tipo della resezione epatica, margini liberi da tumore, livello plasmatico preoperatorio di CEA.

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Minagawa e Yasui9 dimostrano che il trattamento chirurgico è tassativo anche in caso di metastasi multiple per salvaguardare il più possibile l'aspettativa di vita; non dovrebbe essere scartato a priori in caso di infiltrazione biliare e vascolare mentre risulterebbe degno di considerazione nelle recidive post-chirurgiche.

I concetti di resecabilità e radicalità risiedono nella rimozione integrale della malattia macroscopica con margini sani, una malattia che può essere nodulare, multifocale e bilobare, dopo trattamento del tumore primitivo; l'idoneità al trattamento chirurgico è valutata dalle figure del chirurgo e dell’anestesista; i pazienti con malattia extraepatica da tenere in considerazione per la resezione possono esibire metastasi polmonari, spleniche, surrenali, locali (diaframma).

Il trattamento chirurgico delle CRLM dovrebbe essere responsabilità di un team multidisciplinare epatobiliare specializzato con expertise e strutture idonei per fornire ai pazienti le cure ottimali.

Vari studi hanno riportato l'abbassamento della mortalità intraoperatoria rispetto alle ultime decadi e un effetto importante sull'outcome, in particolare per le resezioni gastrointestinali superiori maggiori. Il team dovrebbe comprendere due chirurghi altamente specializzati, un anestesista, un oncologo, un radiologo interventista epatobiliare, un patologo e un infermiere specializzato3.

La morbidità e la mortalità sono il risultato dell'insufficienza epatica, funzione dell'estensione della resezione e della concomitanza di epatopatie. La durata della sopravvivenza è accorciata dalla presenza di margini di resezione inappropriati: ad esempio, secondo il Registry of Hepatic Metastases10, un database britannico delle resezioni epatiche, una resezione superiore a 1cm è

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associata al 45% di sopravvivenza a cinque anni, una inferiore al 23%. Secondo altri studi anche resezioni subcentrimetriche potrebbero essere accettabili purché la dissezione comprenda la pseudocapsula tumorale.

Diversi gruppi scientifici hanno dimostrato che la sopravvivenza a lungo termine è stata ottenuta in quei pazienti nei quali la neoplasia primitiva è stata gestita con una resezione radicale accompagnata da un regime adiuvante locale appropriato. Si è discusso sul fatto che il fattore limitante al numero di lesioni resecabili fosse la possibilità tecnica di rimuovere tutti i tumori. La sopravvivenza a lungo termine potrebbe essere influenzata negativamente dalla presenza di più di tre metastasi, sebbene gli studi non l'abbiano ancora definitivamente dimostrato.

La resecabilità richiede la valutazione congiunta di un radiologo e di un chirurgo esperto per definire la eventuale funzionalità del volume epatico residuo. E' una valutazione difficoltosa da fare nel singolo paziente. Il volume residuo accettabile è pari a 1/3 del volume epatico standard o l'equivalente di almeno due segmenti con adeguati inflow e outflow vascolare e intatto drenaggio biliare, pari a un volume di fegato residuo > 20% del volume di fegato sano. Essenzialmente, il fegato rimanente è tale da consentire la sopravvivenza al paziente resecato. Tali decisioni sono da attribuirsi al team epatobiliare multidisciplinare di cui sopra.

Come per la maggioranza delle procedure chirurgiche, il chirurgo e l'anestesista sono invece le figure più indicate nel determinare la candidabilità del paziente all'intervento (ASA e POSSUM score). Il margine di resezione chirurgico rappresenta un forte fattore prognostico di sopravvivenza e recidiva epatica di malattia. In precedenza la definizione di resecabilità e di radicalità resettiva si fondava su un margine di almeno 1 cm. Vari autori nel corso degli

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anni hanno suggerito che tale limite può essere ridotto. Infatti mentre lo spessore del margine, purché positivo non influenza né sopravvivenza, né tasso o sede di recidiva, un margine positivo è associato a incremento del rischio di recidiva locale e riduzione della sopravvivenza a 5 anni11 (64% -> 17%).

L'esperienza del team ha un verosimile impatto sull'outcome: si è dimostrato che pazienti sottoposti a resezioni in ospedali con un piccolo volume di queste procedure hanno un rischio di eventi postoperatori e morte più alti di coloro che ricevono lo stesso trattamento in ospedali con un alto volume.

Per i pazienti giudicati non idonei alla chirurgia, l'ablazione con radiofrequenza si è dimostrata un’alternativa sicura ed efficace. Storicamente, i tassi di resecabilità ammontavano al 5-10%, con gli attuali progressi tecnologici sono aumentati del 20-25%, mentre con le resezioni le sopravvivenze a 5 e 10 anni sono cresciute rispettivamente da 36% a 58% e da 23% a 36%.

Le linee guida delle resezioni sono volte a determinare: • i criteri di gestione dei pazienti con metastasi epatiche

• quali pazienti sottoposti a chirurgia del tumore colorettale primitivo dovrebbero essere soggetti a sorveglianza

• quali indagini sono richieste per effettuare una gestione appropriata

• quale modalità di trattamento è la più consona in un dato quadro clinico.

Esami preoperatori:

TC con m.d.c. Addome e pelvi RX torace

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Dosaggio plasmatico CEA, CA19.9

Follow up post-operatorio: TC torace e addome, CEA per 5-7 anni. La chirurgia riveste un ruolo citoriduttivo: il passaggio da una massa di 1 Kg a una di 1 mg riduce il numero di cellule da 1012 a 109. La citoriduzione aumenta le probabilità di successo dei trattamenti sistemici (sopravvivenza a 5 anni: 3% senza chirurgia -> 30-40% con chirurgia). Evidenze basate su numerosi studi retrospettivi e comparativi indicano cha la resezione epatica è però l’unico trattamento che consente una sopravvivenza a lungo termine.

Complicanze delle epatoresezioni

12

Le resezioni epatiche sono interventi chirurgici gravati da complicanze di varie entità e che possono essere distinte in chirurgiche come la “banale” infezione della ferita chirurgica, l’emorragia, la fistola biliare e in mediche come l’insufficienza epatica, la MOF (insufficienza multiorgano), la sepsi sino alla morte.

La comparsa di complicanze comporta il prolungamento della malattia, della degenza e maggiori oneri del trattamento; pertanto, risultano necessarie opportune misure di prevenzione.

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COMPLICANZE GENERALI COMPLICANZE SPECIFICHE

Complicanze di ferita Insufficienza epatica Complicanze respiratorie Fistole biliari Alterata funzionalità G.I. Edemi declivi

IRA Ascite Complicanze urinarie Cedimento parete addominale

Febbre postoperatoria Mortalità

MOF Embolia adiposa

Complicanze cardiache Emorragie postoperatorie Pancreatite acuta

Complicanze terapia infusionale e monitoraggi Complicanze psichiche

La complicanza generale di maggior impatto sulla gestione intensivistica dell’operando è l’insufficienza renale acuta12, che si definisce come una rapida diminuzione della funzionalità renale, caratterizzata da riduzione della clearance della creatinina e/o da aumento della concentrazione sierica della creatinina e dell’urea; nella maggior parte dei casi l’IRA si manifesta clinicamente con oliguria grave o anuria. L’ipoperfusione del parenchima renale è per lo più dovuta a ipovolemia, riduzione della gittata cardiaca, sepsi, shock neurogeno, occlusione spontanea o iatrogena delle arterie renali o aumento del tono arteriolare renale.

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parenchimale rispetto alla riserva funzionale sia nei pazienti cirrotici che non cirrotici; si rendono necessarie sofisticate misurazioni della funzione residua per prevenire l'esaurimento funzionale; i suoi principali segni sono: ittero, ascite e alterazioni coagulative;

• fistole biliari: soluzioni di continuità dell’albero biliare o della superficie epatica che determinano perdite di succhi biliari in sede di sezione e sutura, non danno problemi se si applicano drenaggi o eventualmente ERCP; per lo più si autorisolvono, è raro il reintervento;

• ascite: raccolta di acqua libera nella cavità peritoneale; si deve all’alterazione dell’albumino-sintesi nel corso dell’intervento; si tratta con la somministrazione di albumina EV e diuretici, in certi casi paracentesi;

• edemi declivi: hanno lo stesso trattamento dell'ascite e calzature elastiche;

• versamento pleurico: raccolta di liquido nel cavo pleurico; tipico degli interventi epatobiliari; è provocato dall'irritazione del muscolo diaframma durante le manovre chirurgiche; anche in questo caso si somministrano albumina e diuretici ed eventualmente si pratica toracentesi;

• menomazioni: mentre il tessuto epatico ha la intrinseca tendenza a rigenerarsi, sequele permanenti possono registrarsi a carico della cicatrice chirurgica (cheloide, esuberante e rilevata), che generalmente occupa il quadrante superiore destro addominale (j-shaped laparotomy);

• cedimento della parete addominale: gonfiore e dolore gravativo dovuto a ernie o laparocele, talvolta si ricorre a ricostruzione chirurgica;

• mortalità: è stato stimato che solo il 5% dei pazienti con tumore del colon-retto13 ha metastasi epatiche resecabili al

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momento della diagnosi. In questi pazienti la resezione delle metastasi può rappresentare il solo metodo per raggiungere un risultato curativo o per aumentarne significativamente la sopravvivenza. La sopravvivenza di pazienti con metastasi epatiche non sottoposti ad alcun tipo di terapia varia dai 6 ai 18 mesi, a seconda della quantità di parenchima epatico sostituito dal tumore. Pazienti con metastasi epatiche resecate chirurgicamente hanno una sopravvivenza dell’80% ad un anno, del 50% a due anni, del 20% a tre anni ed alcuni di essi sono ancora vivi a cinque anni dall’intervento. Anche la resezione di una recidiva metastatica al fegato (chirurgia epatica reiterativa) sembra in grado di aumentare la sopravvivenza.

L’ormai lunga esperienza nel settore delle resezioni epatiche per metastasi ha chiarito i criteri di identificazione dei pazienti da sottoporre all’intervento con una ragionevole aspettativa di vita. I migliori risultati si ottengono nei casi di lesione unica, di piccole dimensioni, limitata ad un lobo epatico, con resezione condotta ad una distanza superiore a 1 cm dal tessuto tumorale inferiore all'1% nei pazienti con fegato sano e senza comorbidità con resezione inferiore al 60-70% del totale; variabile dal 3 al 20% nei pazienti con cirrosi o resezioni subtotali (>70%) e in base allo stadio tumorale e all’esperienza dell’équipe chirurgica.

(25)

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(cirrosi, dopo una chemioterapia), un’ischemia protratta può seriamente danneggiare il parenchima e ciò è evitabile alternando 15-20 minuti di clampaggio a 5 minuti di declampaggio raggiungendo tempi di ischemia complessiva anche fino a 140 minuti13. Il sanguinamento operatorio è stato significativamente ridotto da un più raffinato approccio chirurgico, dallo sviluppo di strumenti di dissezione ed emostasi più avanzati (elettrobisturi monopolare) e dal mantenimento della PVC < 5 cmH2O,

sollevando la questione del reale contributo del clampaggio del peduncolo epatico al miglioramento dell’outcome.

Torzilli et al.14 sostengono l'importanza della limitazione di perdite ematiche intraoperatorie e conseguentemente delle trasfusioni, tra le principali complicanze che compromettono l'outcome; le metodiche volte a questo scopo sono il clamping intermittente, l'occlusione vascolare emiepatica e l'esclusione vascolare totale; quest'ultima è gravata essenzialmente da due problemi: l'invasività e il conseguente squilibrio emodinamico.

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correlazione tra il volume epatico residuo e la prognosi tumorale. A differenza delle resezioni maggiori, la resezione minore ma complessa presenta alcuni vantaggi: minor mortalità, minor incidenza di complicanze maggiori, superior risparmio parenchimale e più ampia recrutabilità di pazienti con sopravvivenze più elevate.

I limiti della procedura risultano invece essere la durata complessiva dell’intervento e della manovra di Pringle, compreso il suo impatto sulla perfusione renale, oltre naturalmente al sanguinamento. L’onere dell’anestesista consiste proprio nella gestione di queste complicanze, specialmente nella stabilizzazione emodinamica ed è un ruolo cruciale nella facilitazione del lavoro del chirurgo e nel raggiungimento dell’outcome, ovvero un sensibile accorciamento del decorso postoperatorio, in particolar modo della degenza in UTI.

I vantaggi della chirurgia conservativa rispetto alla chirurgia tradizionale più in dettaglio sono:

• l’estensione dell’indicazione anche alla malattia diffusa ad entrambi i lobi in caso contrario inoperabile;

• la ridotta incidenza di insufficienza epatica grazie al ridimensionamento dei margini resettivi e al risparmio considerevole di massa epatocitaria sana;

• la possibilità di procedere a un secondo atto chirurgico in caso di recidiva che risulta problematico se la precedente resezione è già ampia (per esempio una resezione epatica destra per metastasi che interessano in maniera circoscritta il lobo);

• la possibilità se non di guarire almeno di cronicizzare malattie maligne altrimenti gravate da prognosi

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sfavorevole ritardando di anni l’exitus e salvaguardando quanto più possibile la Quality of Life (QoL);

• la stessa probabilità di recidiva delle asportazioni maggiori.

Pertanto, il primo aspetto critico delle metodiche parenchyma-sparing è quello della durata, talora anche superiore alle 24h. Nella fase di clampaggio l’organo va in ischemia, nel declampaggio viene riperfuso. La ripetizione della manovra di Pringle può instaurare gravi conseguenze cardiocircolatorie e renali anche fatali laddove non prevenute o trattate. L'identificazione dei pazienti a rischio di sviluppare insufficienza epatica o renale post-operatoria è importante e, idealmente, coinvolge molte discipline come la chirurgia, l’anestesia e la terapia intensiva.

Tuttavia il management anestesiologico di questo tipo di chirurgia è molto complesso per motivazioni di ordine medico e chirurgico. Infatti il trattamento chemioterapico neoadiuvante, finalizzato ad aumentare la resecabilità delle lesioni, contribuisce allo sviluppo dell’insufficienza epatica post-operatoria. Oxaliplatino e Irinotecano sono responsabili di alterazioni della vascolarizzazione (sindrome da ostruzione dei sinusoidi - SOS) e di steatoepatite associata a chemioterapia (CASH). La sindrome da ostruzione dei sinusoidi aumenta la morbilità dopo resezioni maggiori, specialmente dopo più di sei cicli di chemioterapia neoadiuvante; la steatoepatite aumenta i livelli di morbilità e mortalità dopo resezione. Studi preliminari hanno dimostrato che, nonostante i benefici clinici, cicli multipli di Bevacizumab possono rallentare la replicazione del parenchima rimanente, pertanto la rigenerazione epatica, senza contare gli ingenti effetti emodinamici. Quanto alle possibili complicanze intraoperatorie della chemioterapia,

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Oxaliplatino può indurre pancitopenia, esponendo il paziente a infezioni ed emorragie, Irinotecano leucopenia e Bevacizumab ipertensione, sanguinamento, tromboembolismo soprattutto venoso e più raramente perforazioni del tratto gastrointestinale.

Inoltre sia l’aumento in generale dell’età media che l’aumento dei pazienti che sopravvivono al tumore del colon-retto fa si che i pazienti candidati a chirurgia presentino importanti comorbidità che possono intralciare il decorso intra e post-operatorio.

Quanto alla complessità determinata dalla chirurgia, difficile da gestire è il bilanciamento tra l’emorragia e l’ischemia. I metodi per il controllo dell’afflusso vascolare epatico possono essere classificati in due categorie:

1) esclusione dell’inflow vascolare: A) occlusione del peduncolo epatico: - manovra continua Pringle (CPM), - manovra intermittente Pringle (IPM). B) occlusione afflusso selettivo.

2) esclusione dell’inflow e dell’outflow vascolare A) totale esclusione vascolare epatica (THVE)

B) esclusione vascolare epatica selettiva (SHVE, principali vene sovraepatiche).

La manovra di Pringle rappresenta il metodo più utilizzato. Durante la resezione del parenchima la principale criticità che si può verificare è il sanguinamento persistente, per un incompleto clampaggio dell’inflow o più spesso per sanguinamento retrogrado attraverso le vene sovraepatiche. Una bassa PVC (inferiore a 5 cmH2O) può ridurre il sanguinamento ma pone a rischio di embolia,

in particolare, quando l’inflow è ripristinato mobilizza le bolle d’aria intrappolate in alcune vene aperte.

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In alcuni studi, mortalità e morbidità del Pringle continuo o del Pringle intermittente si equivalgono, in altri, la tolleranza del fegato all’ischemia risulta maggiore nella seconda manovra. Al fegato è normalmente destinato circa il 30% della gittata cardiaca (1,5 L/min) suddiviso in un 20% che proviene dall’arteria epatica e in un 80% dalla vena porta. Eseguire la manovra di Pringle in modo intermittente consente una riduzione del danno da riperfusione grazie al fenomeno del precondizionamento.

Il meccanismo di ischemia e riperfusione porta all’attivazione del sistema immune innato reclutando e attivando le cellule di Kupffer, le cellule endoteliali e il sistema del complemento. Questi inducono la produzione di proteine pro-infiammatorie, radicali dell’ossigeno, chemochine, fattori del complemento e molecole che favoriscono l’adesione alle cellule endoteliali. Successivamente si attivano i neutrofili con un aggravamento del danno cellulare. Sebbene questi meccanismi dovrebbero servire per mantenere l’omeostasi, la loro attivazione potrebbe diventare dannosa. Il precondizionamento ischemico (un breve periodo di ischemia seguito da riperfusione prima di un periodo prolungato di clampaggio) e la tecnica di clampaggio intermittente hanno dimostrato un effetto protettivo sul parenchima epatico. Questo processo è dovuto all’azione di sistemi citoprotettivi che possono inibire la progressione di danni parenchimali irreversibili, ridurre l’infiammazione e promuovere la rigenerazione cellulare.

Inevitabilmente un prolungato insulto ischemico porta a una iperlattacidemia che si ripercuote sull’intero-organismo. Il lattato è un marker di insufficiente ossigenazione tissutale, in quanto prodotto dai tessuti ipossici, misurabile attraverso prelievo emogasanalitico. Secondo un recente studio di Vibert et al.15 potrebbe considerarsi un parametro efficiente di predizione

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dell’outcome precoce delle epatoresezioni, più di quanto non possano esserlo transaminasi, tempo di protrombina, bilirubinemia e altri parametri biochimici classici. Il suo valore prognostico è stato riscontrato sia in terapia intensiva, che nella sepsi e nell’insufficienza epatica acuta.

Lo studio di Vibert ha interessato due coorti di pazienti, la prima di training costituita da 519 individui, sottoposti a epatectomia, e nei quali il dosaggio dei lattati era effettuato di routine, la seconda di validazione costituita da 466 pazienti appartenenti a tre centri ospedalieri differenti in cui il dosaggio era deciso dall’anestesista in base alla complessità della chirurgia, allo status clinico del paziente e a particolari eventi intraoperatori. Il follow up minimo era stato di 3 mesi dall’intervento.

Gli endpoints ricercati sono stati: indicatore globale di complicazioni (CCI) nei primi 90 giorni (primario), mortalità entro 90 giorni e morbidità severa (secondari). Le maggiori differenze tra i due campioni sono state l’epatopatia sottostante e la tecnica di occlusione dell’afflusso ematico impiegata.

Nella coorte di training per quanto riguarda i tre endpoints, i migliori valori di cut off dei lattati misurati sono stati rispettivamente: 3.0, 3.0 e 2,8 mmol/L. Altre variabili indipendenti pre o intraoperatorie sono state correlate all’incremento di lattati: diabete mellito, BMI >28kg/m2, cirrosi, epatectomia maggiore e ripetuta, durata ischemica > 30 minuti, durata intervento > 300 minuti o tempo di transezione sopra 90 minuti, procedura maggiore concomitante, perdita ematica superiore a 500 mL e pertanto necessità di trasfusione.

Tra gli eventi predetti sulla base dei lattati e quelli effettivamente osservati nel postoperatorio si è dimostrata un’eccellente concordanza. Il valore predittivo della lattacidemia si è dimostrato

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valido anche nella chirurgia pancreatica, cardiaca, colorettale e nel trapianto di fegato.

Oltre a essere una fonte di lattato in condizioni di ipossia, il fegato è la principale sede del metabolismo lattico (60%, 30% ha sede renale). Conseguentemente, l’estensione della resezione e il grado di danno epatico ischemico altera il metabolismo e incrementa i livelli ematici. Lo studio ha anche rivelato una correlazione tra l’occlusione dell’afflusso e la lattacidemia. Inoltre i metodi di protezione del parenchima epatico possono attenuare il rilascio di lattato durante la resezione e il gradiente transepatico di lattato può essere uno strumento di monitoraggio dell’efficacia del precondizionamento ischemico. In conclusione, il lattato superiore a 3 mmol/L è sia indicatore delle condizioni intraoperatorie del paziente che dell’outcome postoperatorio (insulto ischemico e riduzione della clearance renale).

Le notevoli implicazioni pratiche di questo dosaggio sono essenzialmente: individuare i pazienti che necessitano di trattamenti intensivi, far operare i pazienti diabetici candidati a chirurgia complessa ad operatori esperti per ridurre i tempi di resezione, le perdite ematiche e la durata dell’ischemia e rappresentare prospettive future nello studio dell’impatto di interventi pre o intraoperatori sull’outcome.

Nel 2016 Vincent et al.16 hanno redatto una review relativa alla cinetica dei lattati nei pazienti critici. Secondo Vincent, l’andamento nel tempo della lattacidemia si rivela utile nella valutazione della risposta del paziente alle terapie. Sebbene il punto focale della maggior parte degli studi pubblicati sia stato prevalentemente la sepsi, molti altri studi hanno registrato i livelli ematici seriali di lattato in vari gruppi di pazienti critici. Un totale di 96 studi ha soddisfatto i criteri della review: 14 dedicati alla popolazione generale delle UTI, 5 ai ricoveri in UTI dopo chirurgia

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generale, 5 alla cardiochirurgia, 14 alla traumatologia, 39 alla sepsi, 4 allo shock cardiogeno, 8 all’arresto cardiaco, 3 all’insufficienza respiratoria e 4 ad altre condizioni. Un decremento nella lattacidemia è stato associato persistentemente a minori tassi di mortalità in tutti i sottogruppi di pazienti. L’osservazione di un outcome migliore associato al decremento dei lattati era costante attraverso gli studi clinici e non limitatamente ai casi di sepsi e shock settico. Sin dai primi studi (Broder17 et al., Weil18 et al., Peretz19 et al.), i valori di lattacidemia sono stati ampiamente impiegati come markers di alterata perfusione tissutale in pazienti critici. In condizioni fisiologiche, sono prodotte circa 1550 mmol di lattato al giorno da vari organi, inclusi i tessuti muscolari, l’intestino, le emazie, il cervello e la cute. La concentrazione ematica normale è intorno a 1mEq/L. Come vale per i livelli sierici di qualsiasi sostanza, elevati livelli di lattato possono derivare da aumentata produzione, ridotta eliminazione o entrambi. Una valutazione dinamica delle concentrazioni seriali di lattato può pertanto essere più informativa di un singolo valore. Molti studi hanno evidenziato che i cambiamenti oltre la prima ora di trattamento possono rappresentare un valido strumento di monitoraggio. Un certo numero di studiosi hanno usato il termine clearance per descrivere il decremento dei livelli sierici, ma questa definizione è errata per due motivi: i cambiamenti di concentrazione riflettono sia alterazioni della produzione che dell’eliminazione, inoltre il termine implica una progressiva normalizzazione della lattacidemia; le concentrazioni ematiche possono avere una complessa evoluzione e possono addirittura aumentare nel tempo, una situazione che dovrebbe allora prendere il nome di clearance negativa del lattato.

La review della letteratura supporta chiaramente il valore di misurazioni seriali nella valutazione dei pazienti critici e della loro

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risposta terapeutica. Questa osservazione era simile in tutti gli studi e in tutte le categorie di pazienti, senza restrizione ai casi di sepsi. Solo uno studio suggeriva che valutare l’andamento dei lattati dovesse limitarsi ai pazienti settici, e cinque che il decremento nei lattati non presentasse un effetto predittivo sulla mortalità, sebbene due di essi suggerivano eccome una correlazione con la morbidità. Le misurazioni ripetute possono anche facilitare la separazione dei pazienti con complicanze, come complicanze neurologiche dopo arresto cardiaco o intervento chirurgico. Una metanalisi di questi dati è complicata dall’eterogeneità delle popolazioni e delle tempistiche di misurazione, ma i dati collimano in maniera costante tra i vari studi. Le concentrazioni aumentate possono correlarsi a fattori diversi dall’ipossia cellulare, così il decremento potrebbe non esprimere unicamente miglioramenti nella disponibilità cellulare di ossigeno. Per esempio, la stimolazione -adrenergica potrebbe contribuire alla produzione di lattati. Uno studio recente indica il fenomeno opposto: l’incremento di lattati osservato in pazienti settici può essere ridotto in pazienti precedentemente trattati con -bloccanti. L’infusione EV di soluzioni contenenti lattato potrebbe anche complicare l’interpretazione delle concentrazioni di lattato endogeno, sebbene la quantità di fluido infuso deve essere molto elevata per produrre questo effetto. Un altro studio recente ha riportato che i livelli di lattato decrescono più lentamente in pazienti con un livello alcolemico positivo, complicando così la valutazione dei livelli ematici di lattato in questi pazienti. Dal momento che il lattato è metabolizzato soprattutto dal fegato, la disfunzione epatica può alterare la clearance. Kruse20 et al. hanno analizzato l’incidenza di iperlattacidemia in pazienti con epatopatia e illustrato che l’acidosi lattica era associata con evidenza clinica di shock e aumentata mortalità ospedaliera. In pazienti con scompenso epatico acuto

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indotto da paracetamolo, lattati più alti sono stati associati con scompenso più grave e mortalità.

L’evidenza più convincente in favore del lattato come target terapeutico arriva dallo studio di Jansen21 et al., in cui gli outcome sono migliorati in pazienti trattati con un target di riduzione del 20% nella lattacidemia. Tuttavia, i relativamente lenti cambiamenti nel lattato rendono difficile interpretare questi risultati; l’analisi dell’andamento è più un marker di trattamento efficace che un target in sé e per sé. Sebbene i cambiamenti nella cinetica dei lattati erano chiaramente significativi dopo 6 ore in molti studi e 12 ore nella maggior parte, è attualmente impossibile definire l’intervallo ottimale tra le misurazioni di lattato. La riduzione normale nella concentrazione, quando l’iperproduzione improvvisamente cessa dopo attacchi di grande male epilettico è circa 50% in 1 ora. Il rate della riduzione dei lattati in condizioni di trattamento ottimale è piuttosto variabile. Nelle migliori condizioni, i lattati decrescono di più del 10% in un’ora in pazienti che rispondono rapidamente alla rianimazione o del 10-20% in 2 ore. Sebbene alcuni sistemi oggi consentano la misurazione semicontinua delle concentrazioni, determinazioni ogni 1-2 ore sono probabilmente sufficienti; anche se sono state suggerite concentrazioni seriali per guidare la terapia, la review sottolinea che i cambiamenti nell’andamento dei lattati sono piuttosto lenti, si verificano nell’arco di ore e potrebbero essere troppo lenti per guidare la terapia. Le misurazioni seriali dovrebbero costituire un controllo regolare. Se le concentrazioni non tendono a normalizzarsi, il bisogno di aggiustamenti terapeutici deve essere preso in considerazione.

La sistematica review della letteratura ha fornito essenzialmente quattro assunti importanti: primo, i lattati rivestono un ruolo prognostico; secondo, queste osservazioni sono applicabili in popolazioni eterogenee di pazienti, non solo settici; terzo, i

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cambiamenti sono abbastanza lenti ed è difficile fornire raccomandazioni circa la velocità di decremento delle concentrazioni nelle migliori condizioni, ripetere misurazioni ogni 12 ore può generalmente separare i pazienti che staranno bene da quelli che verosimilmente moriranno, ma intervalli più corti potrebbero essere utili. Sulla base delle osservazioni, sono consigliabili controlli ematici ogni 1-2 ore in condizioni acute. Quarto punto dimostrato è che lo studio appare valido indipendentemente dal valore iniziale e non solo in pazienti con iperlattacidemia grave.

Oltre ai lattati, un parametro intraoperatorio di notevole importanza per l’anestesista è la volemia. Il monitoraggio della PVC è divenuto la routine nei pazienti sottoposti ad interventi maggiori o ad elevato rischio di scompenso emodinamico. Le complicanze sono quelle legate all’incannulamento di una vena centrale. Il paziente, in gergo, si dice che deve essere “vuoto” abbastanza per evitare che sanguini, ma “pieno” a sufficienza per consentire un’adeguata perfusione e soprattutto un’adeguata diuresi oraria. Se non vengono osservate queste regole, difficili da realizzare se non vi è un adeguato training del personale anestesiologico, si può instaurare un vero e proprio circolo vizioso in un senso o nell’altro: oligoanuria e sanguinamento controllato oppure diuresi conservata ma sanguinamento cospicuo.

Altra problematica che andrebbe codificata per gestire il dilemma suddetto vuoto vs pieno è rappresentata dalla durata di ciascun clampaggio e di ciascun declampaggio, nonché la durata cumulativa dei clampaggi, dal momento che gli interventi più lunghi presentano periodi di ipoperfusione più protratti.

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La durata cumulativa della ischemia tollerata rimane ancora controversa13. Negli primi anni Sessanta, studi sperimentali suggerivano che il fegato umano tollerasse non più di 20 minuti consecutivi di ischemia. Il limite fu successivamente esteso a oltre un’ora. Allo scopo di migliorare la tolleranza epatica all’ischemia, la manovra di Pringle continua fu gradualmente sostituita da quella intermittente e vari autori riportarono che il clampaggio intermittente piuttosto che continuo consentisse al fegato di tollerare meglio ischemie prolungate, riducendo sia il rischio di sanguinamento massivo che di insufficienza epatica postoperatoria. Nel 1994 Kosuge22 et al. e nel 1996 Wu23 et al. applicarono clampaggio intermittente in pazienti cirrotici, raggiungendo una durata totale dell’ischemia di 195 e 204 minuti, rispettivamente. Nel 1999 Sakamoto24 et al. riportarono un caso in cui la durata cumulativa dell’ischemia epatica raggiunse un totale di 322 minuti. Ishizaki25 et al. hanno mostrato recentemente, nel 2006, come il limite possa estendersi a 325 minuti in un fegato normale senza complicanze maggiori. Il gruppo di Torzilli13, nel 2012, ha invece riportato 3 casi in cui un totale di 49, 33 e 46 metastasi epatiche su fegato steatosico sono state rimosse, durante una epatectomia 1-stage con una durata ischemica cumulativa rispettivamente di 348, 300 e 268 minuti. Tuttavia, tutti questi rapporti sono stati riferiti come aneddotici o esperienze molto limitate.

Nella prassi corrente della manovra di Pringle, il clampaggio dovrebbe durare 15-20 minuti al massimo, mentre il declampaggio è molto più breve, circa 5. La durata complessiva massima del clampaggio nell’intervento tradizionale non supera i 120 minuti, anche se svariati studi ne dimostrano la fattibilità con tempistiche molto maggiori13.

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Nella nostra esperienza, non si tratta di casi aneddotici perché la durata media degli interventi condotti nella nostra U.O. dall’incisione della cute alla chiusura dell’addome ammonta a 774 minuti pari a 13h (Workshop chirurgia epatica metastasi da colon-retto: multidisciplinarietà e risparmio parenchimale, 18 giugno 2015, Pisa) con clampaggi mediamente superiori a 120 minuti. L’obiettivo sarebbe accorciare il più possibile anestesia e intervento, se possibile svegliare il paziente sul tavolo operatorio.

Sistemi di monitoraggio

Nel monitoraggio perioperatorio delle procedure chirurgiche sono stati individuati parametri emodinamici molto più attendibili della PVC, (limitata ad esprimere un valore pressorio istantaneo fruibile prevalentemente all’inizio di un intervento), ricavabili con tecniche meno invasive del cateterismo dell’arteria polmonare e registrati da alcuni dispositivi (MostCare, PiCCO, Vigileo).

L’impiego del catetere di Swan-Ganz12 per interventi di chirurgia maggiore permette di avere in tempo reale le misurazioni della pressione polmonare media, sistolica e diastolica e la pressione di incuneamento polmonare, ma richiede un’expertise specifica. Tale catetere è provvisto di un palloncino nella sua parte terminale, che viene collegato ad un trasduttore di pressione. Il posizionamento viene effettuato tramite incannulamento della vena giugulare interna facendo scivolare il catetere attraverso le camere destre del cuore, sino all’arteria polmonare, controllando sul monitor il tracciato per verificare l’esatta ubicazione della punta. Gli svantaggi derivanti dall’invasività del cateterismo polmonare hanno recentemente incentivato lo sviluppo di tecnologie capaci di determinare la gittata cardiaca basandosi sull’analisi della morfologia dell’onda arteriosa periferica.

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 mini-invasività: richiede un solo segnale di pressione arteriosa ottenuto da un catetere periferico posizionato in arteria radiale o in arteria femorale;

 ampiezza delle indicazioni: non basandosi su valori sperimentali di riferimento, MostCare è applicabile su qualsiasi tipo di paziente, compresi i pediatrici e i pazienti con sistema emodinamico condizionato da supporti meccanici (contro pulsatore IABP, emofiltrazione, Ventricular assist device, VAD);

 nessun disposable dedicato: MostCare può funzionare con tutti i cateteri e i trasduttori di pressione normalmente in commercio o con segnali analogici provenienti da monitor già applicati al paziente;

 sistema plug and play: non richiedendo calibrazioni, è possibile visualizzare i valori dei parametri emodinamici immediatamente dopo aver fornito a MostCare un segnale di pressione.

P.R.A.M.26 procura le misure dei principali fattori emodinamici, come le pressioni sistemiche, lo stroke volume, la gittata cardiaca e le resistenze periferiche. Inoltre, gli indici dinamici di responsività ai fluidi sono continuamente visualizzati.

Il segnale di pressione proveniente dal trasduttore è un segnale analogico, cioè continuo. Al fine di essere analizzato, tale segnale necessita di una campionatura, ovvero di un processo di identificazione di punti consecutivi che servono a ricostruire il segnale di pressione. La frequenza di campionamento indica quanti punti della mia curva considero in 1 secondo. MostCare, a differenza di altri sistemi sul mercato, campiona il segnale analogico a 1000 Hz (anziché 100-200 Hz). Posso dunque ricostruire un profilo molto più fedele del mio segnale. In tal modo,

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ottengo una migliore stima dell'impedenza del sistema cardiovascolare e quindi, valori più precisi dei parametri emodinamici. Per fornire valori affidabili necessita di due cose:

1. poiché il P.R.A.M. basa il suo funzionamento sull'analisi della sola curva pressoria, il prerequisito per avere calcoli affidabili è senza dubbio quello di avere un segnale di pressione arteriosa di qualità elevata. Onde affette da under/over damping possono portare a valori errati del CO. Un P/t maggiore di 1,7 può essere indice di segnale risonante;

2. per ottenere lo Stroke Volume, si calcola un'area sotto la fase sistolica della curva di pressione e la si divide per l'impedenza del sistema cardiovascolare. L'area considerata si estende dal picco diastolico al punto di incisura dicrota: ecco perché è importante che l'incisura dicrota (barretta verticale verde) sia perfettamente riconosciuta. [Se la barretta verde coincide con l'effettiva incisura dicrota, i parametri visualizzati sono da considerarsi affidabili]. Anche in caso di moderata aritmia, fibrillazione e valvulopatie, in presenza di buon segnale arterioso e di dicrota riconosciuta correttamente, tutti i parametri emodinamici forniti dal sistema sono attendibili.

Ulteriore parametro ricavabile da MostCare è il CCE27, ovvero il Cardiac Cycle Efficiency; si può considerare un indice di stress, che descrive la performance del sistema cardiocircolatorio in termini di lavoro emodinamico effettuato in relazione al dispendio energetico; indica cioè lo sforzo che il cuore compie per mantenere l'omeostasi. Il CCE rappresenta il rapporto tra l'onda di pressione

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pazienti emodinamicamente instabili può esporli al grave di rischio di sviluppare edema polmonare. Il lavoro di Pala28 et al si è incentrato sulla responsività ai fluidi in corso di manovre di espansione del volume in terapia intensiva e chirurgia maggiore. Vari studi hanno raggiunto risultati contrastanti. Lo studio di Pala ha mirato al confronto delle performance di vari indici predittivi delle variazioni di GC in seguito a infusioni rapide di fluidi, in particolari tipi di chirurgia come il trapianto di fegato e le epatectomie. Il risultato ha mostrato che PPV ideale e PPV misurato dal sistema PiCCO sono sostanzialmente sovrapponibili. Anche il gruppo di Solus-Biguenet29 si è occupato dei parametri predittivi di responsività ai fluidi negli interventi di epatectomia maggiore. I parametri studiati sono stati le pressioni arteriose, ricavate dal cateterismo di arteria radiale e polmonare, includendo la misura diretta della variazione respiratoria nella pressione di polso arterioso (PPVart), l’ecocardiografia transesofagea, le stime non invasive della PPVart dalla forma dell’onda della fotopletismografia a infrarossi con tecnica Finapres (PPVfina) e la forma d’onda della pulsossimetria. PPVart e PPVfina predicono con la stessa probabilità la responsività ai fluidi nelle epatectomie; questo suggerisce che il monitoraggio potrebbe essere realizzato in modo semplice e non invasivo per ottimizzare la terapia idratante in chirurgia.

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U p e p V o m c fl v In d q M g S Un altro m permette emodinamic piattaforma Vigileo può ossimetria monitoragg con il senso flusso CCO variation/ s n chirurgia dimostrato quando co MostCare/P grado di Se usato co Figura monitor m il monit che essenz a con invas ò essere u PreSep e gio per la g ore FloTra O (continuo stroke vol a vascolare come un si nfrontata PRAM ha concordan on i cateter 9 http://biom molto cono toraggio ziali, forne sività minim usato con e PediaSa gestione em ac, Vigileo ous cardia lume), SV e30, mentre istema affi con la G dato prov nza con l ri per ossim medycle.com/ed osciuto è continu endo una r ma e facile il sensore at per for modinamic o misura e c output), VR (system il sistema idabile per GC deriva va di stim le misura metria PreS wards-lifescien il Vigileo uo delle apida pano e da utilizz FloTrac e rnire una ca avanzata visualizza SVV/SV ( mic vascul a FloTrac/V il monitor ante dall’e are la GC azioni eco Sep e Pedia nces-vigileo-m o; quest’ul informa oramica su zare. Il mo e i cateter soluzion ta. Se utiliz a i parame (stroke vo lar resista Vigileo non raggio della ecocardiogr C con un ocardiograf aSat, il mo monitor/ ltimo azioni u una onitor ri per ne di zzato tri di lume ance). n si è a GC rafia, buon fiche. onitor

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Vigileo misura e visualizza la ScvO2 (saturazione di ossigeno

venoso centrale).

Altri sistemi di monitoraggio

Dosaggio amine plasmatiche

La sepsi severa e lo shock settico sono le prime cause di morte nelle unità di terapia intensiva. La mortalità in corso di shock si approssima al 70%. Il ripristino dei fluidi è la pietra angolare della gestione dello shock settico. Dal momento che l’ipoperfusione potrebbe persistere anche con un adeguato recupero della volemia, spesso si rende necessaria la cosomministrazione di agenti inotropi per migliorare la portata cardiaca e i flussi regionali e microcircolatori. Sebbene Dobutamina incrementi sia la gittata che la distribuzione di ossigeno, ancora controversi sarebbero i suoi effetti sulla circolazione splancnica. Levosimendan potrebbe essere un’eccellente alternativa terapeutica, particolarmente per i pazienti refrattari a Dobutamina. Il monitoraggio della perfusione d’organo è cruciale nel trattamento di pazienti critici ed è fortemente raccomandato. Il trial di Dilek Memiş et al.31 è stato dedicato alla valutazione dell’impatto funzionale di queste amine plasmatiche. Lo studio ha reclutato 30 pazienti adulti con shock settico, escluse gravide, pazienti con insufficienza renale ed epatica, nota o sospetta morte cerebrale, li ha sottoposti alla somministrazione prima della sola Dopamina, poi in seguito a fallimento terapeutico (MAP <65mmHg) è stata programmata una concomitante infusione di 24h di una delle altre due amine e successivamente quella di 0,3mg/kg ICG in vena cubitale in bolo, per analizzarne gli effetti emodinamici. I parametri emodinamici sono stati ricavati con metodiche invasive e annotati. Durante il test sono state sospese

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