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La pianificazione finanziaria di breve periodo: problematiche contabili e di rappresentazione in bilancio. Un caso pratico.

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PISA

DIPARTIMENTO DI ECONOMIA E MANAGEMENT

CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN

STRATEGIA, MANAGEMENT E CONTROLLO

Tesi di laurea

La pianificazione finanziaria di breve periodo: problematiche contabili e di rappresentazione in bilancio.

Un caso pratico

Candidata: Relatore:

Armela Cizmja Prof. Alessandro Capodaglio

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La pianificazione finanziaria di breve periodo:

problematiche contabili e di rappresentazione in bilancio.

Un caso pratico

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Sommario

SOMMARIO 4

INTRODUZIONE 6

1. IL FABBISOGNO FINANZIARIO 7

1.1. LIQUIDITÀ E FABBISOGNO FINANZIARIO 7 1.2. LE MODALITÀ DI COPERTURA DEL FABBISOGNO FINANZIARIO 12

1.3. LA POSIZIONE FINANZIARIA NETTA 17

2. IL CONTROLLO DELLA LIQUIDITÀ 28

2.1. GLI STRUMENTI PER IL CONTROLLO 28

2.2. IL CONTROLLO DEI FLUSSI DI CASSA 30

2.3. GLI STRUMENTI PER MONITORARE LA LIQUIDITÀ AZIENDALE 33 2.4. ANALISI STATICA ED ANALISI DINAMICA 38 2.5. IL RENDICONTO FINANZIARIO COME STRUMENTO CONSUNTIVO 47 2.6. L’ANALISI DELLE VARIABILI CHE INCIDONO SULL’ANDAMENTO DELLA LIQUIDITÀ 52

3. LA CONTABILIZZAZIONE DEI DEBITI DI FINANZIAMENTO DI BREVE PERIODO:

CONSIDERAZIONI IN MERITO AGLI STRUMENTI DI FINANCIAL PLANNING 65

3.1. LA PIANIFICAZIONE FINANZIARIA 65

3.2. IL RUOLO DEI BUDGET FINANZIARI IN UN’OTTICA DI PROGRAMMAZIONE 67

3.3. IL BUDGET DI TESORERIA 72

3.4. LE FORME TECNICHE DEI PRESTITI PER CASSA 77

3.5. UN FREQUENTE FRAINTENDIMENTO CONTABILE 86

CONCLUSIONI 98

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Introduzione

Le forme tecniche di prestito per cassa rappresentano gli strumenti più diffusi nell’ambito del finanziamento di breve periodo per le aziende.

Mediante l’analisi dei flussi di cassa è possibile giungere ad instaurare un’armonia tra scadenza dei pagamenti ed incassi dei crediti, definire il momento per intraprendere azioni di investimento, valutare il livello degli affidamenti bancari, individuare, dunque, le strategie da porre in essere per gestire in modo adeguato, preventivo e proattivo il rischio liquidità connesso alle scelte aziendali. Nel brevissimo periodo, la reportistica che viene prodotta – cash flow forecast - ha lo scopo principale di monitorare le dinamiche di cassa ed il rischio di liquidità. Alla luce del ruolo strategico rivestito dalla pianificazione finanziaria di breve, il presente lavoro mira a evidenziare come la rappresentazione contabile e di bilancio degli strumenti citati possa nascondere criticità e fraintendimenti a livello di prassi aziendale, anche in funzione dell’utilizzo di procedure informatiche automatizzate.

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1. Il fabbisogno finanziario

1.1.Liquidità e fabbisogno finanziario

Con “gestione aziendale” si intende l’insieme di tutte le operazioni svolte, nell’ambito di una determinata realtà aziendale, dalle risorse ad essa facenti parte: tali operazioni avranno ad oggetto aspetti tecnico o tecnologici relativi ai processi, rapporti umani, rapporti di natura esclusivamente economica o giuridica e così via. Tale complessità porta ad una intrinseca difficoltà nell’interpretazione e comparazione dei risultati ottenuti a seguito dell’analisi condotta su dette operazioni. Come noto, gli ambiti di analisi di maggiore rilevanza in merito alla gestione aziendale possono essere individuati in:

• Tecnico: rileva gli aspetti fisici, qualitativi e quantitativi non monetari connessi con i processi aziendali;

• Economico: evidenza le componenti positive e negative di reddito che derivano da ciascuna attività di cui i processi si sostanziano;

• Finanziario – Monetario: riguarda la traduzione degli aspetti precedenti in partite finanziarie (di credito e debito) e monetarie (collegate quindi a variazioni delle disponibilità liquide aziendali). È chiaro che ogni operazione di gestione, sia essa diretta (di natura esterna) o indiretta (di natura interna che assumerà una valenza esterna solo a conclusione di un processo interno), troverà in prima istanza una propria manifestazione finanziaria e solo successivamente quella monetaria.

Con liquidità si suole rappresentare l'insieme dei valori monetari movimentati nell’ambito dell’attività di impresa; tramite tale grandezza, l’azienda è in grado di:

• costituire una riserva monetaria atta a sopperire alla distorsione temporale che si viene a creare tra il momento del pagamento per l’acquisizione dei fattori della produzione e quello di incasso a seguito della vendita dei prodotti finiti, quest’ultimo tipicamente successivo rispetto al primo;

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• costituire una leva per la riduzione e l’ottimizzazione dell’esposizione creditizia, con conseguente riduzione del costo dell'indebitamento e della leva finanziaria;

• avere possibilità di investimento in operazioni tali da generare, tramite la propria realizzazione, ulteriore liquidità.

Per meglio comprendere il concetto di liquidità, risulta opportuno che esso venga collocato nel contesto del più ampio processo di reperimento delle fonti di finanziamento da parte dell’impresa, al fine di mettere in evidenza quali possano essere le modalità con cui essa si approvvigiona di denaro.

Il concetto di liquidità trova un proprio completamento nel concetto di fabbisogno finanziario, con esso intendendosi l’ammontare di mezzi monetari necessari all’azienda per far fronte ai propri impegni di pagamento. Come riportato in dottrina, “il fabbisogno finanziario è espresso dalla grandezza dei mezzi monetari che l’azienda deve acquisire mediante i processi di finanziamento per il conveniente svolgimento della gestione economica1”. Le circostanze che conducono all’emersione del fabbisogno finanziario vanno ricercate fondamentalmente nella conformazione tipica del ciclo operativo aziendale, il quale, come detto, si caratterizza per il fatto di imporre uscite monetarie, a seguito dell’acquisizione dei fattori della produzione, antecedenti rispetto alle entrate monetarie, derivanti dalla vendita dei prodotti finiti ottenuti.

Di assoluta rilevanza in fase di comprensione della genesi del fabbisogno finanziario aziendale risulta essere altresì l’analisi dello sfalsamento temporalmente esistente tra i valori economici e quelli monetari. In particolare, i valori economici vengono misurati dalle variazioni finanziarie (tipicamente non monetarie), risultando quindi ad esse concomitanti; le variazioni monetarie rappresentano la conclusione delle vicende inerenti al credito e sono connesse alla durata della riscossione o

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pagamento dei crediti o debiti (unica eccezione è rappresentata dal caso in cui la variazione finanziaria e quella monetaria siano coincidenti).

Intendendo quindi con variazione finanziaria il sorgere di un credito o di un debito, nel caso di regolamento in contanti di ogni operazione, l’analisi della gestione aziendale si ridurrebbe ad un confronto tra la dinamica economica e quella monetaria. Il tempo della dilazione incide sull’andamento della dinamica monetaria al punto da rendersi necessario il calcolo di un interesse sulle somme in attesa di essere riscosse; tale interesse, qualora non venga espressamente pattuito e definito nell’ammontare, viene a definirsi “implicito” e rappresenta, come detto, il compenso spettante al creditore per il fatto di aver rinunciato temporaneamente alla disponibilità di una somma di denaro. Si tratta evidentemente di componente negativo di reddito avente natura di onere finanziario, in particolare nel caso in cui le politiche aziendali siano orientate alla concessione di dilazioni di incasso alla clientela.

Il fabbisogno finanziario nasce quindi dall’esigenza, in capo all’impresa, di finanziare la realizzazione del prodotto destinato alla vendita a partire dal momento dell’acquisizione di tutti i fattori della produzione a ciò necessari. Ovviamente sono le caratteristiche del ciclo operativo aziendale a definire l’entità di questo fabbisogno, in relazione al quale l’azienda potrà definire le opportune azioni da mettere in atto per il reperimento della necessaria liquidità.

Da un punto di vista statico, il fabbisogno finanziario in un certo istante di tempo corrisponde alla somma degli investimenti in attesa di realizzo, ovvero sostenuti per l’attivazione dei cicli operativi ed in attesa quindi di contribuire alla generazione dei ricavi di vendita; detti costi riguardano genericamente il processo di acquisizione dei fattori produttivi, siano essi a realizzo diretto o a realizzo indiretto (circostanza che investe prevalentemente l’aspetto finanziario e monetario e meno quello economico). Tale acquisizione, che di solito precede la riscossione dei ricavi (eccezion fatta, per esempio, per aziende che producono su commessa), genera un fabbisogno di capitale, il quale verrà ridotto o annullato proprio nel momento in cui i corrispettivi,

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legati alla conclusione dei cicli operativi attivati con quei fattori, verranno definitivamente incassati. Gli investimenti altro non sono che elementi del patrimonio impiegato nella gestione, cioè quel capitale monetario che è divenuto capitale tecnico e poi capitale commerciale, ed è in attesa di ritornare sotto forma di denaro.

Il vantaggio della visione statica appena fornita risiede nel fatto che i diversi elementi che sono in attesa di realizzazione – principalmente immobilizzazioni, rimanenze e crediti – sono visibili nello stato patrimoniale di ogni azienda, rendendone con ciò più agevole l’interpretazione. Al fine di determinare l’entità del fabbisogno finanziario, risulta necessario analizzarne le principali caratteristiche, riassumibili in “altezza”, “durata” e “composizione”.

Per “altezza” del fabbisogno si intende il suo ammontare, determinato in funzione della dimensione dell’impresa sia in termini di struttura organizzativa, sia in termini di composizione del fatturato e dei corrispondenti costi.

Al fine di chiarire quanto ora esposto, risulta opportuno notare come la struttura aziendale generi costi, il cui sostenimento va ad alimentare l’ammontare del fabbisogno finanziario; la distribuzione nel tempo (ovvero la “durata”) di quest’ultimo varierà in funzione sia del processo caratteristico aziendale sia della presenza o meno di immobilizzazioni soggette a rinnovo (momento nel quale il fabbisogno subisce un nuovo innalzamento); il fatturato e le condizioni per la sua traduzione in denaro influiscono ovviamente sul volume delle entrate provocando la variazione del fabbisogno complessivo; eventuali variazioni nel tempo della capacità dell’impresa di aumentare il divario tra componenti positivi e negativi di reddito inducono variazioni sia nelle entrate che nelle uscite

In merito alla “composizione” del fabbisogno finanziario, si individuano tre aspetti principalmente, tutti analizzabili in un’ottica prospettica ed in quanto tali influenzati dai programmi strategici in un arco temporale mutevole in funzione delle

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caratteristiche dell’attività svolta: si individua quindi una componente costante del fabbisogno finanziario, una variabile e una fluttuante.

Il fabbisogno costante trae origine da investimenti a lento rigiro, costituiti in genere da immobilizzazioni e da un livello minimo di scorte indispensabile per evitare rotture di stock; esso quindi dipende dal grado di rigidità (o elasticità) degli investimenti, ovvero dalla presenza più o meno marcata nel patrimonio aziendale di fattori produttivi a fecondità ripetuta. Il fabbisogno variabile invece è riconducibile ad investimenti a breve ciclo di realizzo, che scaturiscono dallo svolgimento dei cicli operativi: esso trova la propria rappresentazione nel capitale circolante lordo, ovvero in tutti quegli impieghi di capitale la cui trasformazione in moneta è prevista entro l’anno. La costanza e la variabilità si riconnettono al tipo di investimento che ha generato il fabbisogno, mentre l’andamento complessivo di tale grandezza varia in funzione dei piani di sviluppo dell’azienda. Il fabbisogno fluttuante presenta infine delle oscillazioni, più o meno marcate a seconda delle circostanze, dovute in generale all’insorgenza improvvisa di entrate o uscite legate a variazioni occasionali degli acquisti o delle vendite, che producono un temporaneo abbassamento o innalzamento del livello del fabbisogno.

Le tre circostanze suddette agiscono in modo combinato fra loro. Le variabili che maggiormente condizionano le suddette componenti sono le condizioni di efficacia ed efficienza che caratterizzano la gestione nel suo complesso, la tipologia di impresa esaminata e la stagionalità che eventualmente colpisce l’attività svolta.

L’efficacia, ovvero la capacità di conseguire gli obiettivi fissati, influisce prevalentemente sulla misura dei ricavi di vendita e quindi, data una certa velocità di incasso, anche sull’entità del fabbisogno, contribuendo a diminuirlo laddove si raggiungano i fini gestionali e ad accrescerlo, qualora ciò non avvenga; lo svolgimento dei cicli operativi in modo efficace, infatti, produce un afflusso di ricavi che, conformemente a quanto previsto, consente l’attuazione di nuovi programmi di produzione e vendita, favorendo lo sviluppo dell’impresa.

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L’efficienza, ovvero la capacità di ottimizzare l’uso dei fattori produttivi, incide sui costi e sui tempi necessari ad effettuare le produzioni e dunque sull’altezza, sulla durata e sulla composizione del fabbisogno di capitale. Infatti, all’incremento della produttività corrisponde uno sfruttamento sempre migliore delle risorse disponibili, al quale segue sia la riduzione dei costi che l’aumento della velocità di compimento dei cicli operativi. Inoltre, perseguendo condizioni di efficienza nella gestione delle vendite, si potrà accrescere la massa dei ricavi incassati, riducendo conseguentemente il fabbisogno; quanto agli approvvigionamenti, una loro efficiente conduzione porterà alla razionalizzazione degli acquisti, sia per quantità che per tempi di attesa, producendo una diminuzione dei costi e un aumento della velocità di esecuzione dei rifornimenti.

Il tipo di attività esercitata conduce senza dubbio alla determinazione di fabbisogni diversi per altezza, durata e composizione; nell’ambito di una generica classificazione delle imprese, è possibile supporre che imprese industriali, soprattutto se dotate di ingenti immobilizzazioni, presentino un fabbisogno finanziario prevalentemente costante, ma di altezza e durata variabili in dipendenza delle dimensioni strutturali e dei tempi di rinnovo di detti investimenti. Le imprese commerciali invece presenteranno un fabbisogno tendenzialmente variabile, indotto dalla scarsa incidenza sugli investimenti totali dei capitali fissi, ma di durata inferiore rispetto alla categoria precedente, data la completa assenza dell’attività di trasformazione fisico tecnica. Meno definibile a priori risulta, a parere di chi scrive, il fabbisogno finanziario di imprese di servizi, a causa della molteplicità di attività in cui si possono sostanziare la produzione di servizi.

1.2.Le modalità di copertura del fabbisogno finanziario

La quantificazione del fabbisogno finanziario permette di individuare e selezionare le più adeguate modalità di copertura, ovvero le fonti di finanziamento che consentano di reperire le risorse monetarie necessarie alla gestione garantendo

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quindi una situazione di equilibrio monetario, senza per questo influenzare negativamente quello economico.

Ai fini della determinazione delle corrette modalità di copertura del fabbisogno finanziario, risulta di fondamentale importanza procedere ad una attenta analisi degli elementi che vanno a comporre il fabbisogno finanziario medesimo. Un elemento di particolare interesse risulta essere, tra gli altri, la velocità di realizzo dei diversi investimenti compiuti e da compiere, dal momento che, proprio in funzione di detto parametro, l’impresa sarà in grado di rigenerare (sotto forma di moneta) il capitale impiegato.

La determinazione della velocità di realizzo degli investimenti può dare quindi tendenzialmente la misura della velocità di estinzione delle fonti di finanziamento che dovranno essere reperite, senza per questo istituire alcuna correlazione tra singole fonti e singoli impieghi; tale correlazione, seppure talvolta venga tecnicamente realizzata, di fatto non può essere sostenuta sul piano metodologico perché così facendo si verrebbe a negare l’unitarietà dei processi di finanziamento all’impresa.

Parte della dottrina richiama, a tal proposito, il concetto di finanziamento di scopo, secondo cui gli oneri finanziari possono essere imputati ai beni esclusivamente se è stato stipulato un apposito contratto di finanziamento destinato alla produzione di quel determinato bene. Altri, invece, sostengono l’inesistenza di un rapporto biunivoco che leghi il finanziamento all’investimento, poiché normalmente nell’azienda vengono finanziati indistintamente tutti gli investimenti con tutte le fonti di finanziamento.

In conseguenza di ciò, i sostenitori della prima impostazione considerano gli oneri finanziari come costi diretti, ipotizzando quindi una relazione di causa-effetto tra l’acquisizione o la fabbricazione del bene il cui costo va determinato ed il finanziamento cui gli interessi passivi si riferiscono. I sostenitori della seconda tesi, invece, non ritenendo esistenti dette correlazioni, affermano che i flussi di mezzi finanziari che provengono dal capitale proprio così come da quello di terzi alimentano

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in modo indistinto l’intera gestione aziendale attraverso l’insieme degli impieghi esposti nelle poste attive del bilancio.

A sostegno di questa seconda impostazione, lo stesso Gino Zappa affermava come “sarebbe superfluo ripetere che i finanziamenti offrono il tanto vario ausilio del credito non a operazioni singole, e nemmeno a singoli processi, ma alla generale produzione d’impresa. La continua unità dell’economia d’impresa impone l’indagine dei bisogni finanziari di azienda e della varia convenienza di soddisfarli con un dato sistema finanziario, non rispetto a singoli elementi o a singoli momenti della produzione, ma invece rispetto alla generale gestione produttiva considerata nelle sue coerenze e nella sua continuità. L’unità della gestione economica di impresa non consente mai di affermare che le produzioni procedono dai finanziamenti o che i finanziamenti seguitano dal volgere delle produzioni. Le correlazioni, delle quali sovente si dice, tra operazioni finanziarie e processi produttivi di frequente sono irreali e non possono tradursi in concrete determinazioni di convenienza. Come supporto con fondamento che il ricavo di un prestito sia destinato a questa o a quell’operazione, a questo o a quel processo economico? Come, nell’unico fondo delle disponibilità liquidi d’impresa, si potrebbero percepire consapevolmente particolari correlazioni tra alcune delle numerose fonti economiche e finanziarie delle entrate, e alcuni dei non meno numerosi fini economici e finanziari ai quali sono rivolte le uscite? Come sapere, ad esempio, se una negoziazione di vendita è attuata per devolvere il ricavo al sostenimento di un acquisto di materie, o al sostenimento di un altro costo speciale o generale di produzione, o all’estinzione di un debito, o all’accensione di un credito? Come ancora avvertire, ad esempio, se un acquisto è attuato con mezzi monetari provenienti dall’intenso succedersi delle vendite, o dall’estinzione di crediti antichi, o dall’accensione di nuovi debiti? Senza dubbio alcune forme di credito sono particolarmente legate a singole operazioni o a singoli gruppi di operazioni: esempi notevoli di questi speciali collegamenti si hanno nel credito documentato rispetto a operazioni di commercio marittimo, soprattutto di importazione e di esportazione, e

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nelle operazioni di riporto di borsa rispetto alle posizioni speculative in titoli. Ma anche gli accennati legami particolari si dissolvono, e finanziamenti e operazioni economiche ben presto partecipano in solidale unità al generale sistema di condizioni di necessità esistente in ogni impresa validamente esercitata.”

Oltre alla correlazione tra tempo di liquidabilità degli impieghi ed esigibilità delle fonti, risulta opportuno procedere alla valutazione di due ulteriori variabili attinenti alla provvista di fonti di finanziamento, ovvero la loro stabilità e il loro costo. Con stabilità si intende la possibilità che una fonte di finanziamento venga meno, ovvero possa essere revocata o possa subire restrizioni da parte del soggetto concedente, il che può accadere soprattutto col capitale di credito, sia che venga erogato da un ente finanziatore, il quale può decidere di negare il rinnovo, sia che venga accordato da soggetti diversi (come i fornitori) che possono decidere di cambiare, all’occorrenza, le condizioni che ne avevano determinato inizialmente la concessione. La stabilità di una fonte, in genere, è inversamente proporzionale alla possibilità di sostituirla con un’altra, il che riduce il potere contrattuale del finanziatore e attenua il pericolo che essa possa venire a mancare.

Ai fini della copertura del fabbisogno finanziario è importante tener conto del costo delle fonti selezionate, ovvero dal loro impatto sul conto economico e sul processo di creazione di valore in generale. Il peggioramento della redditività del capitale impiegato nell’impresa può denotare una diminuita capacità prospettica di creare ricchezza in grado di mantenere una condizione di equilibrio economico. Dato che, a fronte di una determinata composizione del fabbisogno finanziario corrisponde una particolare struttura finanziaria, in grado di sincronizzare le uscite per il rimborso dei prestiti e la distribuzione dei, è altrettanto vero che la quantità relativa di capitale di credito incide sulla struttura finanziaria in termini di rigidità e quindi di rischio generale. Maggiori sono i prestiti attinti, infatti, più elevati saranno gli oneri finanziari sostenuti per la loro remunerazione, con conseguente maggiore rigidità nella struttura dei costi, il che, a sua volta, si tradurrà in un incremento della rischiosità dell’impresa

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che produrrà probabilmente un innalzamento del costo del denaro, coerente con l’aumentata probabilità di mancata restituzione dei capitali presi a prestito.

Si comprende quindi come il modello della leva finanziaria possa risultare fallibile laddove non si tenga conto del fatto che un aumento del capitale di credito porta di frequente ad una crescita del suo costo medio, proprio perché quel costo si determina sulla base della solvibilità dell’azienda, la quale dipende principalmente dalla capacità di conseguire un flusso di ricavi - e quindi di entrate – superiore a quello dei costi. A ciò si aggiunga che lo stesso costo medio del denaro non contempla di solito i debiti di fornitura, comunque di frequente gravati da interessi impliciti, la cui quantificazione appare aleatoria al punto da giustificare il fatto che essi non vengano presi in considerazione nel suddetto calcolo.

In merito alla relazione tra capitale proprio e di credito, risulta in questa sede opportuno svolgere alcune considerazioni in merito alla migliore combinazione tra le due fonti di finanziamento. Un primo tipo di analisi è finalizzata alla verifica del grado di capitalizzazione dell’azienda, ovvero al fatto che il capitale sia presente in misura adeguata: esso è infatti individuato dai terzi finanziatori quale elemento probante per la valutazione del livello di rischiosità dell’azienda, rappresentando esso di frequente l’unica forma di garanzia per le obbligazioni assunte. D’altro lato, l’esame del grado di indebitamento dell’azienda (complementare al grado di capitalizzazione) porta i finanziatori ad emettere un giudizio sulla solvibilità del richiedente, ossia – di converso - sulla sua rischiosità; poiché il rischio connesso ad un investimento si misura in termini di tasso d’interesse, quanto più rischiosa è ritenuta l’azienda, tanto più alto sarà il tasso applicato, cioè il costo del denaro prestato. Ciò porta a chiarire quindi la correlazione che unisce la struttura dei costi ed il loro ammontare alla struttura delle fonti di finanziamento: più l’azienda è rischiosa, più costoso diventa il denaro, più rigida diviene la struttura dei costi.

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In precedenza, si è detto che il capitale proprio deve essere presente in azienda in “misura adeguata”: risulta chiaro che il livello del capitale proprio detta essere esaminato principalmente in relazione agli investimenti finanziati, sulla base della complessiva correlazione fra rimborsi e realizzi. Non risulta quindi possibile valutare l’adeguatezza del peso che il capitale proprio assume sul totale delle fonti se non in relazione agli impieghi che esso, insieme a tutte le altre fonti di finanziamento indistintamente va a finanziarie. Una situazione apparentemente di sottocapitalizzazione potrebbe quindi risultare fisiologica laddove non sia necessario un ingente ammontare di fonti di medio / lungo termine, in quanto tali fonti dovrebbero garantire la copertura degli investimenti strutturali mentre al finanziamento delle operazioni di gestione corrente dovrebbe essere destinato l’indebitamento di breve.

Un terzo aspetto da tenere in considerazione riguarda gli effetti che la presenza di capitale di credito produce sulla redditività dell’impresa, dal momento che i debiti, a fronte di un possibile peggioramento della struttura dei costi, evidenziano tuttavia una onerosità generalmente inferiore rispetto al capitale proprio, il che dipende dal fatto che la remunerazione di questo capitale, in quanto eventuale e postergata, deve essere maggiore rispetto ad un semplice prestito (magari assistito da garanzie).

1.3.La posizione finanziaria netta

La posizione finanziaria netta individua l’indebitamento netto aziendale ed esprime, in maniera sintetica, il saldo tra fonti ed investimenti di natura finanziaria. In funzione dell’arco temporale preso in considerazione per la sua determinazione, è possibile parlare di posizione finanziaria netta di breve termine, di medio-lungo termine e complessiva. Nel caso del breve termine, vengono analizzate solo le voci finanziarie con scadenza entro l’anno; nel secondo, solo quelle a medio-lungo termine, mentre quella complessiva rappresenta la sintesi delle prime due. La posizione finanziaria netta sta assumendo sempre più un rilievo crescente in una pluralità di

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contesti e di impieghi, andando a porre, d’altro lato, problemi interpretativi, legati alla possibile incidenza delle diverse applicazioni concrete della stessa sulle finalità sottese alla sua individuazione ed ai connessi criteri di calcolo.

Il significato assunto della grandezza in parola, al pari delle sue modalità di determinazione e rappresentazione, non può prescindere dalla finalità in funzione della quale essa viene determinata: si fa riferimento, in alternativa, ad esigenze di comunicazione economico-finanziaria o di valutazione aziendale.

Nell’ambito della comunicazione economico-finanziaria rivolta all’esterno, la posizione finanziaria netta ha la natura di “indicatore alternativo di performance”, che può essere elaborato e interpretato tanto da solo, quanto in correlazione con altre grandezze (p.e. fatturato e patrimonio netto), al fine di valutare:

• il livello di indebitamento della società, ove considerato isolatamente; • la solidità della struttura patrimoniale, allorché confrontato con i mezzi

propri. Viene determinato il cosiddetto rapporto di indebitamento finanziario (Posizione finanziaria netta / Mezzi propri): tale indice individua una modalità specifica di calcolo del rapporto di indebitamento finanziario e mette in evidenza la relazione tra l’esposizione netta verso il sistema finanziario ed i mezzi propri; a conferma di quanto già ampiamente illustrato in precedenza, al crescere dell’indicatore peggiora, a parità di tutte le altre condizioni, la solidità aziendale. In questo caso, per il corretto calcolo dell’indicatore risulta necessario utilizzare la posizione finanziaria netta complessiva, in quanto unica grandezza logicamente correlabile ai mezzi propri, essendo esposizione dell’esposizione finanziaria totale;

• la capacità di restituzione dei debiti, quando rapportato al fatturato. In quest’eventualità, l’indice utilizzato è il cosiddetto tasso di assorbimento dell’indebitamento (Posizione finanziaria netta / Vendite): le vendite rappresentano, nell’ambito della gestione caratteristica, la fonte primaria

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di liquidità, necessaria per la copertura delle uscite connesse ai costi operativi e per la produzione di surplus monetari da utilizzare in altre gestioni. Appare evidente che tanto più l’indicatore cresce di valore, tanto maggiore sarà la criticità finanziaria dell’impresa, cioè l’incapacità di assorbire l’indebitamento attraverso la produzione di flussi di cassa adeguati. Inoltre, al crescere dell’indicatore, peggiora l’incidenza degli oneri finanziari (sulle vendite) in conto economico, con effetti negativi sugli indicatori di redditività.

Nel caso, invece, di utilizzo della posizione finanziaria netta ai fini della valutazione economica di impresa, essa viene presa in considerazione solo nel caso di applicazione di criteri cosiddetti unlevered, in forza dei quali, una volta operata una valutazione degli “asset”, ad essa deve essere sommata algebricamente la struttura finanziaria per pervenire al valore finale dell’azienda. In questa circostanza, perdono di rilievo le finalità conoscitive prima segnalate e la grandezza ha la funzione di catturare la componente residua del valore aziendale. Non è detto che la grandezza coincida nelle due fattispecie né che ad esse si associno gli stessi significati. Infatti, nella comunicazione esterna:

• prevalgono le regole e/o convenzioni inevitabilmente presenti nella contabilità e nei processi di informazione esterna. Di fatto, i valori contabili rappresentano qui un vincolo difficilmente eludibile: si impongono, salvo che per le imprese IAS Adopter, convenzioni quali il valore nominale per le passività finanziarie (anche se superiore a quello di estinzione) e l’impossibilità, sovente, di superare l’originario valore di scambio per le attività finanziarie. Pertanto, nel calcolo dell’indicatore le attività finanziarie verranno incluse per tale ultimo importo, ancorché meno significativo dell’effettiva capacità di realizzo finanziario, e da analoga limitazione saranno affette le passività;

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• contenuto e modalità di calcolo sono strettamente funzionali alle attese conoscitive. Pertanto, se si vuole conoscere l’esposizione finanziaria nel breve termine, andranno prese in esame tutte le grandezze aventi scadenza entro l’anno. È superfluo rimarcare come una simile configurazione, in sé e per sé, abbia scarso significato nel contesto valutativo. Se, invece, si privilegia una valutazione complessiva dell’indebitamento, estendendo le prospettive al medio termine, vanno introdotte le passività finanziarie oltre l’esercizio e, secondo non pochi autori – come si vedrà successivamente – anche le attività finanziarie immobilizzate.

A differenza di quanto appena rimarcato, nel contesto della valutazione del capitale economico:

• i valori contabili vanno disattesi e adottati, al contrario, quelli di mercato; • prevale l’esigenza di una “stretta coerenza fra le scelte compiute nella

determinazione dei flussi di cassa e la posizione debitoria”, anche a scapito dell’autonomia del concetto, cui viene assegnato un ruolo chiaramente residuale.

La grandezza, pertanto, più che rispondere a specifiche finalità conoscitive, evidenzia componenti estranee all’area operativa (già incluse nella determinazione asset side) e riconducibili, in senso lato, alla struttura finanziaria aziendale.

Nella determinazione della posizione finanziaria netta, è di fondamentale importanza che le componenti risultino, oltre che per natura, anche temporalmente omogenee e reciprocamente funzionali, legate cioè da relazioni di mutuo collegamento; in pratica, sono necessarie una loro scadenza coerente e l’esistenza di legami di interdipendenza o correlazione tra le rispettive dinamiche economico - finanziarie.

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Si tratta di condizioni che giustificano il confronto tra voci diverse e tra loro parzialmente autonome, il cui mancato rispetto comporterebbe il raggiungimento di un risultato finale di scarso significato economico. La differenza tra attività e passività finanziarie correnti (che definisce la posizione finanziaria netta a breve) non crea generalmente problemi ed individua la capacità delle prime di contribuire (invero assieme ai cash flow operativi) all’adempimento delle seconde. Nel caso di analisi della situazione finanziaria nei successivi esercizi, saranno i flussi di cassa derivanti dalla realizzazione delle attività immobilizzate, insieme a quelli da gestione operativa, a provvedere alla copertura delle passività a medio-lungo termine. Di conseguenza, la valutazione dell’indebitamento netto complessivo, la cui copertura è da ricercarsi nella futura dinamica operativa, non potrà prescindere da quelle voci che avranno un realizzo temporalmente successivo all’esercizio.

Uno dei contesti nei quali il livello della posizione finanziaria netta è presa come riferimento è quello della costruzione dei covenant finanziari. I covenant sono clausole contrattuali sottoscritte tra un’impresa e i suoi finanziatori (tipicamente banche), finalizzate a tutelare questi ultimi dai possibili danni derivanti da una gestione eccessivamente rischiosa dei finanziamenti concessi al debitore. L’accordo, generalmente, prevede clausole vincolanti per l’impresa, pena il ritiro dei finanziamenti (affidamenti) o la loro rinegoziazione a condizioni meno favorevoli. Dal punto di vista del finanziatore, il covenant, serve ad adeguare il proprio rischio di credito, cioè a ridurre il rischio di esposizione in caso di insolvenza del soggetto finanziato. I covenant di natura patrimoniale sono costituiti da clausole che mirano a contenere l’utilizzo della leva finanziaria da parte dell’impresa, prevedendo l’obbligo del mantenimento del rapporto tra l’indebitamento finanziario netto e il totale delle fonti o del patrimonio netto al di sotto di una determinata soglia. Altri covenant mettono invece in relazione il livello del debito, rappresentato dalla posizione finanziaria netta, con la redditività dell’azienda. Alcuni esempi di covenant finanziari,

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che possono essere variamente combinati tra loro e che prendono come riferimento il livello della posizione finanziaria netta sono:

– il rapporto tra PFN ed EBITDA normalizzato, inferiore o uguale rispetto a determinati parametri di riferimento;

– il rapporto tra la PFN e il patrimonio netto, minore di un certo valore e il rapporto tra PFN ed oneri finanziari, superiore ad un determinato valore di riferimento; – il rapporto tra PFN ed EBITDA, minore di un determinato valore e il rapporto tra PFN e patrimonio netto, inferiore ad un determinato parametro di riferimento.

Spesso tali covenant vengono anche associati ad un DSCR (Dest Service Converge Ratio) maggiore di un determinato valore di riferimento. Alla luce della rilevanza attribuita a detti indicatori, risulta indubbiamente necessario che il contratto di finanziamento riporti una chiara indicazione delle modalità di calcolo della posizione finanziaria netta e degli altri parametri che contribuiscono alla definizione del rapporto (si tratta, infatti, essenzialmente di quozienti utilizzati, come vedremo, nell’analisi di bilancio) da confrontare con il limite previsto dallo stesso covenant.

Benché, come detto in precedenza, la posizione finanziaria netta sia definita come un indicatore ‘‘alternativo’’ di performance, essa non fornisce particolari informazioni circa le performance aziendali qualora sia preso singolarmente, ovvero se non rapportato ad altri aggregati, al di là del raffronto intertemporale sulla sua evoluzione (che è ciò che è richiesto dall’OIC 6). In particolare, la posizione finanziaria netta può anche essere vista come elemento di riferimento nella costruzione del rendiconto finanziario gestionale, sia consuntivo che preventivo. Il saldo finale della dinamica finanziaria trova infatti corrispondenza nella variazione della posizione finanziaria netta, alla quale è demandato il compito di illustrare al lettore come detto saldo sia venuto a costituirsi nel corso dell’esercizio: un accumulo di liquidità potrebbe, ad esempio, non derivare dalla capacità della gestione corrente di generare cassa, ma semplicemente dall’accensione di nuovo debito. La posizione finanziaria

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netta, che rappresenta un indicatore per margini evidenziante la differenza tra liquidità e debiti finanziari, è frequentemente utilizzata nell’analisi di bilancio e nella costruzione degli indici (rapporti). Di seguito si commentano alcuni di questi indicatori.

Il primo rapporto, assimilabile all’indice di indebitamento o leverage, rappresenta un significativo parametro per la valutazione della solidità patrimoniale aziendale, alla luce del grado di dipendenza da terzi:

PFN / mezzi propri

La PFN entra, pertanto, anche nella formula della cosiddetta ‘‘equazione della leva finanziaria’’:

ROE = ROCE + [(ROCE – i) x (PFN / mezzi propri)] dove:

• ROE (Return On Equity) è l’indice di redditività del capitale proprio, i • ROCE (Return On Capital Employed) - a volte anche chiamato ROIC

(Return On Invested Capital) - rappresenta l’indice di redditività della gestione operativa misurata sul capitale investito ed i è il costo del debito finanziario. L’effetto della leva finanziaria è, infatti, legato all’entità dello spread ROCE (ROCE - i) ed alla struttura finanziaria adottata in termini di rapporto tra PFN e mezzi propri.

Un altro indicatore, che non fornisce informazioni molto dissimili da quello precedente è rappresentato dal rapporto tra la PFN e il capitale investito netto.

Altri indicatori molto diffusi sono:

PFN / Fatturato e

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Il primo, definito anche ‘‘tasso di assorbimento dell’esposizione finanziaria netta’’, consente di valutare la capacità di copertura del debito mediante i flussi finanziari derivanti dalle vendite. Il secondo esprime, in via approssimata, la capacità e i tempi di rimborso dell’indebitamento finanziario netto attraverso il flusso di cassa derivante dalla gestione caratteristica, rappresentato dall’EBITDA.

Il principale indicatore per valutare la sostenibilità del debito attraverso i flussi di cassa correnti resta tuttavia il DSCR, la cui formulazione più diffusa è, con riferimento ad un generico esercizio t), la seguente:

DSCRt = flussi di cassa della gestione correntet / (oneri finanziarit + quote capitalet)

Come detto in precedenza, gli indicatori presentati coincidono anche con i principali covenant aventi ad oggetto la posizione finanziaria netta.

Appare a tal punto necessario illustrare il criterio utilizzato nell’esposizione del ‘‘segno’’ della posizione finanziaria netta, al fine di evitare errate letture del risultato che deriva da ognuno di questi indicatori.

L’impiego della posizione finanziaria netta è previsto, oltre che nella definizione di indicatori espressi sotto forma di indici, anche a supporto della lettura e interpretazione di margini, in particolare per quanto riguarda la relazione che intercorre tra posizione finanziaria netta e capitale circolante netto, margine di tesoreria e margine di struttura. Partendo dalla rappresentazione grafica dello stato patrimoniale riclassificato con criterio finanziario a liquidità decrescente appare evidente come il Capitale Circolante Netto (CCN) sia determinato dalla differenza tra Capitale Circolante Lordo, a sua volta determinato dalla somma tra liquidità immediate e differite e le rimanenze, e le passività correnti.

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Una differenza di segno positivo evidenzia la capacità dell’azienda di produrre, attraverso lo smobilizzo delle componenti attive, la liquidità necessaria alla copertura delle passività correnti. Benché ciò rappresenti una condizione necessaria alla prospettiva di equilibrio finanziario di breve termine, non si tratta altrettanto di condizione sufficiente a garantire la capacità di perseguire tale equilibrio. Limitando infatti l’analisi alla sola componente operativa del CCN, potrebbero verificarsi situazioni nelle quali, ad esempio, il maggior credito vantato nei confronti dei propri clienti rispetto al debito in essere verso fornitori, derivi dal seguente fattore: la presenza, tra i primi, di crediti per i quali è previsto un incasso in un momento abbondantemente successivo a quello in cui è previsto il pagamento dei fornitori. In questo caso, da una semplice lettura del CCN operativo, si otterrebbe un’indicazione

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positiva dell’equilibro finanziario aziendale, a fronte di un effettivo disallineamento tra attività e passività derivante dallo svolgimento del ciclo operativo aziendale. La tavola di seguito esposta rappresenta graficamente la riclassificazione dello stato patrimoniale secondo il criterio finanziario con evidenza della PFN.

Questo schema evidenzia la possibilità che si verifichino situazioni nelle quali, a fronte di un CCN e di un margine di tesoreria (MT) positivi, la posizione finanziaria netta risulti comunque negativa (qui si adotta la convenzione per la quale la posizione finanziaria netta con saldo avere è da intendersi negativa). Le medesime considerazioni devono essere estese alle componenti di medio e lungo periodo della posizione finanziaria netta e del capitale fisso (CF). Così come riporta la Fondazione Nazionale dei Commercialisti, ‘‘in un’analisi sulla PFN potrebbe, ad esempio, emergere una PFN di breve positiva, rispetto a quella di medio e lungo invece negativa. Ciò in quanto la PFN di m/l ha assorbito per intero la liquidità prodotta nel breve periodo (PFN di breve positiva), non essendosi tradotto in liquidità operativa e

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successivamente finanziaria, il rendimento degli investimenti d’impresa. Pertanto, gli investimenti finanziati con i debiti a m/l non avrebbero prodotto redditività e, conseguentemente, non si sarebbero monetizzati a tal punto da comportare una difficoltà nel rimborso dei finanziamenti, che è maggiormente evidente nella determinazione della PFN complessiva, in cui sono presenti i mezzi di terzi con scadenza medio-lunga’’.

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2. Il controllo della liquidità

2.1.Gli strumenti per il controllo

L’attuale congiuntura economica, caratterizzata da un’elevata tensione in particolare finanziaria che grava sulle piccole e medie imprese impone un riassetto dei sistemi di controllo. Gli andamenti economici e finanziari delle aziende, infatti, risultano collegati in maniera imprescindibile all’evoluzione dell’ambiente esterno, con la conseguenza che i cambiamenti di quest’ultimo devono necessariamente portare alla modifica dell’attività aziendale.

Da tale considerazione discente l’esigenza, da parte delle aziende, di procedere alla ridefinizione delle strategie e delle nuove decisioni operative al fine di prevenire situazioni di crisi economico – finanziaria, in particolare tramite una vera e propria attività di pianificazione e di controllo direzionale.

Nell’ambito del quadro descritto, risulta evidente l’esigenza di disporre di un sistema informativo che risponda, in maniera esaustiva e tempestiva, alle necessità informative emerse in concomitanza con la modifica dell’ambiente esterno. I flussi di informazione rilevanti ai fini del controllo direzionale riguardano, tra gli altri, anche valori quantitativi non monetari e risultati qualitativi

Conseguentemente, anche nel caso di un contesto modificato rispetto al passato, a fronte del quale sono sorte nuove necessità informative, il sistema di controllo ha comunque il compito di supportare la gestione tramite la propria attività. Un sistema di controllo in linea con l’ambiente esterno garantisce infatti al management uno strumento informativo dinamico, puntuale e distintivo

Il controllo di gestione deve quindi rappresentare un sistema che si pone l’obiettivo di fornire ai manager le informazioni affinché possano gestire, in modo efficiente ed efficace, le risorse aziendali. Questo, quindi, costituisce l’elemento fondamentale in base al quale i manager possono ottenere le informazioni sulle varie aree di competenza e contemporaneamente possono valutare se le loro azioni sono adeguate rispetto gli obiettivi prefissati.

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Il sistema di controllo di gestione è composto da tre subsistemi:

1. il subsistema informativo, comprendente le informazioni necessarie al fine di mettere i manager nella situazione di assumere scelte in linea con gli obiettivi prestabiliti e di definire in termini quantitativi gli scopi ed i risultati perseguiti; 2. Il subsistema organizzativo, relativo all’attribuzione delle responsabilità ai diversi manager aziendali, connesse alla struttura organizzativa, anche se l’organigramma aziendale identifica solo la fase iniziale dello sviluppo dello stesso. Lo scopo di tale subsistema è quello di assegnare le responsabilità a ciascun manager in modo chiaro, fornendo quindi le opportune leve decisionali;

3. il subsistema dinamico di processo, connesso al meccanismo attraverso il quale il sistema di controllo può avviarsi ed implementarsi, viene definito come elemento centrale del sistema di controllo. Infatti, nel caso in cui non venga attivato in maniera corretta, ne deriva una produzione di informazioni inutili al fine di una efficace ed efficiente gestione delle risorse aziendali. Il sistema di controllo di gestione deve essere sviluppato integrando le metodologie tradizionali con i supporti innovativi senza per questo attuare uno stravolgimento radicale, bensì alimentando un processo evolutivo che gradualmente assorba i cambiamenti intervenuti. Il sistema informativo deve essere quindi integrato con strumenti dinamici ed in linea con l’analisi di bilancio.

Preme osservare come il sistema di controllo debba svolgere il ruolo di linea guida degli agenti decisori dell’ambito aziendale, nella misura in cui esso risulti aggiornato in considerazione delle nuove relazioni che l’azienda instaura con l’ambiente e tra gli elementi del sistema di controllo stesso. Risulta in questa sede quindi opportuno approfondire il concetto di “controllo”. Del termine “controllo” possono essere ravvisate due differenti origini: in un caso, il riferimento è al termine francese contrôle, che richiama a sua volta il concetto di “registro tenuto in partita doppia”; in un caso differente, si fa invece riferimento al termine inglese control. Nella

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prima accezione, l’attenzione è rivolta al concetto di verifica, ispezione e vigilanza mentre, utilizzando la terminologia anglosassone, viene esaltato il concetto di governo e di guida. Nella dottrina e nella prassi aziendale è sicuramente prevalente la seconda interpretazione del concetto in parola, tralasciando l’attività di ispezione e di verifica alla funziona di auditing, la quale si interessa di certificare il corretto svolgimento delle procedure di un processo aziendale.

Tra le diverse definizioni presenti nella dottrina del concetto di controllo si riporta quella che lo definisce come “un supporto e un insostituibile strumento di guida del quale il manager si serve nello svolgimento dell’attività decisionale”; oppure come quell’ “attività di governo, di guida per conseguire gli obiettivi economici prestabiliti con la pianificazione e programmazione”; oppure ancora come quell’ “attività con la quale la direzione aziendale ai vari livelli si accerta che la gestione si stia svolgendo in modo tale da permettere il raggiungimento degli obiettivi stabiliti in sede di pianificazione strategica”. Da quest’ultima definizione si evince come il concetto di controllo sia strettamente collegato a quello della pianificazione. Queste due attività, spesso, sono state apprezzate congiuntamente proprio per marcare il loro assoluto allacciamento. La principale differenza tra il controllo e l’auditing è l’orientamento verso cui gli operatori volgono la loro attenzione: in particolare, il controllo punta all’analisi e controllo dei risultati, intesi come la capacità di conseguire gli obiettivi nei quali sono scomponibili i fini aziendali, mentre l’auditing si focalizza sull’analisi e la verifica del rispetto dei comportamenti e delle procedure che devono essere rispettate nello svolgimento delle operazioni aziendali.

2.2.Il controllo dei flussi di cassa

La succitata crisi economico finanziaria ha comportato, come ovvia conseguenza, una sempre maggiore difficoltà nella gestione dei flussi di cassa dovuta all’andamento non regolare delle entrate e delle uscite correnti: in tale contesto il controllo di gestione rappresenta uno strumento efficiente per la gestione della liquidità

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aziendale, intesa sempre più come un fattore critico da cui ne discende qualsiasi iniziativa imprenditoriale di successo. Il controllo della liquidità aziendale, che costituisce una parte importante del controllo di gestione, ha quindi lo scopo di monitorare le variazioni intervenute sulle disponibilità liquide aziendali, al fine di prevenire situazioni di disequilibrio monetario, con particolare attenzione alle modalità con le quali tali disponibilità vengono reperite sul mercato dei capitali, nonché alla modalità di impiego di dette disponibilità da parte dell’azienda.

Gli strumenti per monitorare il controllo della liquidità possono essere molteplici e caratterizzati da crescente complessità, in funzione della specifica struttura amministrativa, delle esigenze informative vigenti al suo interno e del vincolo economico che da esso ne discende. Lo strumento implementato deve ovviamente essere conforme agli effettivi obblighi informativi dell’azienda senza trascurare eventuali obblighi informativi cui essa è soggetta: di fondamentale importanza risulta quindi la preliminare attività volta ad analizzare le necessità informative tali da consentire l’individuazione degli strumenti di controllo maggiormente adeguati.

Nella consapevolezza che la maggior parte delle piccole e medie imprese debba fare fronte alla scarsa disponibilità dei mezzi monetari, risulta ovvia, da parte del management, l’adozione di adeguati strumenti di programmazione e gestione della liquidità. in aggiunta ai tradizionali prospetti economico – patrimoniali.

Tale considerazione mira ad evidenziare il cambiamento di mentalità dell’imprenditore, volto ad una maggiore attenzione alla gestione monetaria. Affinché i benefici dello strumento utilizzato per il controllo della liquidità siano massimizzati, è necessario che non vengano utilizzati modelli generalizzati, bensì strumenti sviluppati ad hoc sulla base delle specificità dell’impresa ed avendo modo di considerare, in particolare, il settore di appartenenza, i modelli di produzione adottati e le caratteristiche delle imprese soggette a particolari andamenti della liquidità. Le caratteristiche delle specifiche aziende e le esigenze informative dell’analista influiscono nella scelta della frequenza di rilevazione dei flussi di cassa, in modo da

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ottenere le informazioni adeguate alla comprensione della dinamica monetaria dell’impresa.

Non da ultimo, si deve considerare che, indipendentemente dalla dimensione aziendale e dall’ambito operativo all’interno del quale opera l’azienda, ogni strumento di controllo deve essere economico, ovvero deve avere un costo di gestione necessariamente inferiore rispetto ai benefici che esso genera. Gli strumenti generalmente implementati ai fini del controllo della liquidità richiedono l’impiego più o meno esclusivo di specifiche risorse tecniche ed umane. I costi connessi con l’implementazione degli strumenti di controllo (sia in generale sia con specifico riferimento alla gestione della liquidità) sono da ricercarsi, inoltre, non solo nell’ambito delle attività di implementazione del sistema medesimo, bensì anche all’interno dei percorsi intrapresi al fine di consentire correzioni organizzative e perfezionamenti dei processi sulla base delle inefficienze rilevate dal sistema. Frequente è l’idea che i costi sostenuti per attivare e gestire gli strumenti di controllo non siano ricompensati, specialmente nel breve periodo, da idonei benefici. Tale prospettiva non tiene in debita considerazione il fatto che i risultati dei sistemi di controllo, tesi ad accrescere gli equilibri aziendali, necessariamente richiedono tempi lunghi, legati all’esigenza di agire sull’organizzazione aziendale prima che sulle singole attività che generano i costi. Se il sistema è improntato a monitorare aspetti aziendali modificabili in tempi brevi, allora i benefici saranno quasi immediati. In caso contrario, si dovrà attendere che gli interventi adottati producano i risultati nel periodo che le operazioni interessate richiedono. Questo aspetto, unito dalla convinzione che nelle piccole e medie imprese la liquidità possa essere gestita solo dall’imprenditore, rappresentano le principali ragioni per cui il controllo di gestione (e dei flussi di cassa in particolare) non trova ampia diffusione.

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2.3.Gli strumenti per monitorare la liquidità aziendale

Nell’ambito dei sistemi di controllo di gestione delle imprese, in particolare di piccole e medie dimensioni, non sempre la dinamica monetaria viene valorizzata in maniera opportuna, in particolar modo per quanto attiene alle analisi che riguardano la contrapposizione tra flussi di cassa in entrata ed in uscita, ossia quella relazione che, se verificata, permette di salvaguardare l’equilibrio monetario e, al contempo, consente di preservare l’impresa da situazioni temporanee di crisi di liquidità che rischiano di sfociare nell’insolvenza e nel fallimento.

Alla luce della criticità del ruolo rivestito dalla dinamica monetaria dell’impresa, nonché a seguito delle frequenti variazioni che essa può subire per effetto delle operazioni di gestione, il bilancio d’esercizio non può essere considerato uno strumento adeguato per il monitoraggio di tale aspetto, sia per il ritardo rispetto all’istante in cui i flussi monetari si sono generati, sia per il fatto che gli indicatori che dal bilancio di esercizio (opportunamente riclassificato) possono scaturire non risultano adeguati all’interpretazione delle cause di modificazione dell’equilibrio monetario dell’azienda. Sicuramente di maggiore utilità al fine sopra dichiarato è il rendiconto finanziario, la cui redazione non è però obbligatoria per le imprese di piccole e medie dimensioni: per esse, ad eccezione dei casi in cui si scelga di redigere il bilancio seguendo i principi contabili internazionali, le informazioni inerenti i flussi finanziari sono rimandate alla volontà degli amministratori dell’azienda. La normativa nazionale, va sottolineato, risulta ancora inadeguata a concedere la giusta considerazione alla dinamica monetaria nonché al ruolo occupato dalla stessa nell’ambito creditizio in seguito all’entrata in vigore degli accordi di Basilea 2 e 3.

La redazione del rendiconto finanziario, tra i diversi scopi, permette di verificare l’eventuale equilibrio della struttura finanziaria, nonché il contributo offerto da ogni singola gestione aziendale nel generare od assorbire liquidità nel periodo di riferimento. Alla luce dell’evidente criticità delle informazioni or descritte, l’utilizzo del rendiconto finanziario deve prevedere la possibilità che venga redatto con frequenza

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infrannuale, quindi a prescindere dall’ottica tradizionale del bilancio di esercizio: il rendiconto finanziario redatto a fine esercizio, a consuntivo, è un ottimo strumento per rappresentare i flussi di cassa in entrata ed in uscita nella loro complessità ma, in esso, non si possono ottenere informazioni sulla tempistica con la quale i flussi si sono manifestati. Di contro, il rendiconto finanziario non può essere considerato l’unico strumento di gestione per il controllo della liquidità, in quanto non permette di conoscere i momenti in cui i flussi di cassa si sono generati o sono stati impiegati dall’azienda, non consentendo di individuare i periodi nei quali si verificano eventuali picchi o carenze di liquidità, alla luce dei quali l’impresa, nonostante abbia presentato a fine esercizio una situazione equilibrata tra le fonti e gli impieghi, può aver riscontrato gravi problemi nell’adempiere alle proprie obbligazioni nel corso dello stesso. La verifica dell’equilibrio monetario avviene quindi tramite l’analisi del trend dei flussi di cassa durante l’esercizio, in modo tale da osservare se si sono presentate situazioni di criticità dal punto di vista della solvibilità e, se necessario, intraprendere le adeguate azioni correttive. Tale impostazione comporterebbe un evidente miglioramento sia dal punto di vista interno aziendale, sia nella definizione del rapporto con gli istituti di credito. Per quanto riguarda il primo aspetto, l’azienda potrebbe predisporre eventuali rimedi tempestivamente, ovvero potrebbe agire direttamente sui piani di medio termine in modo tale da non compromettere l’equilibrio monetario. Nel caso di richiesta di un nuovo finanziamento ad un istituto di credito, la capacità dell’azienda di conoscere eventuali carenze di liquidità in anticipo aumenterebbe la credibilità e la trasparenza dell’azienda stessa e, di conseguenza, la probabilità di accesso al credito con migliori condizioni applicate sul costo del denaro. La rappresentazione veritiera della situazione in cui versa un’azienda in difficoltà può essere considerata un punto a favore rispetto a quelle realtà in cui la solvibilità è comunque compromessa, ma la mancata esposizione della criticità monetaria genera un diverso trattamento. In tale ambito, l’analisi di bilancio, per indici e per flussi è uno strumento indispensabile nell’ambito del sistema informativo

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aziendale a supporto delle decisioni dei manager, pur non potendosi considerare sufficiente per soddisfare pienamente tutte le esigenze conoscitive ai fini di un adeguato controllo della liquidità. La ragione di ciò è da ravvisarsi nel fatto che il rendiconto finanziario e gli indici di bilancio rappresentano strumenti di controllo susseguente, i quali nonostante si dimostrino molto utili per esprimere una valutazione sulla qualità, sull’efficienza e sull’efficacia delle politiche finanziarie dell’azienda, devono obbligatoriamente essere integrati e combinati con altri mezzi di controllo concomitante, in grado di monitorare i flussi monetari in tempo reale.

A partire dalle informazioni prodotte dal rendiconto finanziario, è possibile costruire alcuni indicatori utili per esprimere giudizi in merito alla buona gestione della liquidità dell’impresa durante l’esercizio; in particolare tramite il confronto di singoli aggregati del rendiconto finanziario con alcune grandezze economiche è possibile giungere alla determinazione dell’indice di capacità di creazione di flussi di liquidità e dell’indice di autofinanziamento sulle vendite. Tali indici hanno lo scopo di evidenziare la capacità dell’azienda di generare flussi monetari mediante la gestione caratteristica, attraverso il capitale investito ed i ricavi caratteristici; i risultati della dinamica monetaria vengono collegati con quelli di altre grandezze dell’azienda in modo da evidenziare i legami sistemici presenti tra le diverse gestioni aziendali.

L’andamento della liquidità può essere monitorato anche attraverso l’osservazione dei conti accesi alla liquidità: la cassa ed i conti correnti bancari. Data l’obbligatorietà della contabilità generale, gli strumenti in oggetto risultano quindi sempre disponibili e mediamente attendibili, se le scritture contabili vengono rilevate in modo ordinato e chiaro.

In merito alla frequenza dell’attività di monitoraggio, essa dipende dalle caratteristiche dell’impresa nonché dalla rapidità di cambiamento della dinamica monetaria a cui è soggetta la specifica azienda. La comprensione di tale dinamica deve essere funzionale al recepimento di informazioni corrette e puntuali e, soprattutto, deve fornire al management aziendale il supporto informativo necessario per

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intraprendere processi decisionali consapevoli. Considerato che un numero elevato di registrazioni non può che migliorare la precisione delle informazioni a disposizione dei manager, si può affermare, in linea generale, che più ravvicinate sono le rilevazioni dei movimenti della liquidità e maggiori sono i benefici che si possono ottenere. Questo tipo di controllo sulla liquidità si può definire di tipo concomitante e si dimostra uno strumento essenziale per accertare l’esistenza dell’equilibrio monetario.

Affinché il monitoraggio dei conti accessi alla liquidità produca resoconti tempestivi è necessario che la tenuta della contabilità generale non sia affidata a soggetti esterni all’impresa e, al tempo stesso, che le rilevazioni contabili siano registrate senza ritardi e non si accumulino nel tempo.

Alla luce di quanto detto, anche tramite il supporto degli strumenti ora descritti, l’obiettivo principe è quello di costruire un rendiconto finanziario dinamico in cui i flussi vengono calcolati nella loro evoluzione temporale, anziché con frequenza annuale, con cadenze richieste dalle caratteristiche della dinamica monetaria individuata dalla specifica impresa. Nonostante lo strumento descritto consenta di ottenere un elevato contenuto informativo, esso sconta una non indifferente complessità di elaborazione, soprattutto nel caso di mancanza di un software gestionale che faciliti l’estrazione dei dati contabili. Una possibile soluzione per abbassare l’onerosità del sistema di controllo può ravvisarsi nel limitare il monitoraggio dei flussi di cassa alla sola gestione caratteristica, ovvero quella in cui si possono manifestare maggiori difficoltà per l’impresa e che dovrebbe generare la liquidità necessaria per far fronte ai fabbisogni delle altre aree gestionali.

L’analisi dei flussi di cassa può essere osservata anche giornalmente, purché si desideri occupare un minimo tempo all’estrazione dei dati legati alla liquidità ed al loro inserimento in un rapporto definitivo, volto così a rappresentare graficamente l’andamento. La valutazione sul comportamento della variabile esaminata, è così molto più immediato di quanto risulterebbe analizzando i dati che costituiscono il

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grafico. Lo studio dei valori può essere approfondito in un momento successivo, una volta compreso il momento nel quale si è riscontrata una variazione apprezzabile.

Nonostante la modalità espositiva non venga di frequente presa in opportuna considerazione, preme evidenziare come la forma di comunicazione debba massimizzare la capacità dell’analista di conoscere di eventi che sono oggetto di analisi: a tal fine si ricorre a strumenti quali “cruscotti” o “dashboard”, all’interno dei quali vengono inclusi tutti gli indicatori oggetto di interesse al fine di seguire in maniera più agevole possibile l’impostazione data e per adottare le scelte più idonee secondo le varie situazioni. L’aspetto caratteristico di questa tipologia di strumenti è quello di essere tipicamente multidimensionali, ovvero permettere un’analisi (di frequente una vera a propria navigazione) dei dati trasversale a più grandezze di riferimento per le misure individuate. Le variabili che possono essere monitorate attraverso tale strumento devono essere misurabili quantitativamente in qualsiasi istante senza l’esigenza di assoggettarle ad un anticipato giudizio di stima.

In estrema sintesi, le analisi descritte fanno riferimento a due differenti tipologie di controllo: quello susseguente e quello concomitante. Per il primo sono stati sfruttati strumenti quali l’analisi di bilancio per indici e per flussi, mentre il secondo si perfeziona mediante report come il dashboard. Questi tipi di strumenti possono essere impiegati da qualsiasi impresa, in forza del fatto che traggono origina dalle scritture contabili obbligatorie.

Le condizioni di criticità che interessano tutt’oggi l’ambiente esterno, devono portare ad un cambio di rotta nell’approccio del management aziendale verso l’utilizzo di mezzi di controllo. Questi non devono essere interpretati come una minaccia alle capacità dei soggetti che governano l’impresa, ma si deve diffondere la consapevolezza che tali strumenti forniscono dei validi supporti informativi all’attività decisionale dei manager. Il controllo di gestione permette di seguire la strada tracciata in precedenza, controllando anche eventuali scostamenti da questa ed apportando gli opportuni accorgimenti per ristabilire il percorso precedentemente tracciato.

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È utile evidenziare in questa sede come un adeguato sistema di controllo di gestione non è in grado di assicurare dei buoni risultati se questo non viene affiancato da capacità e competenze manageriali: l’utilità della programmazione dei flussi monetari deve incentrarsi su una valutazione di convenienza nell’implementazione della stessa, esaminando gli aspetti economici e quelli organizzativi legati comunque al rischio di non ottenere informazioni attendibili sulle quali basare le proprie decisioni aziendali.

Il controllo di gestione non deve necessariamente essere visto come uno strumento complesso pervasivo sulla totalità della gestione, bensì può essere modulato in forme parziali e circoscritte a particolari aspetti critici di principale importanza come quello della liquidità. In tal modo, tramite l’analisi del grado di raggiungimento e di conservazione dell’equilibrio monetario, l’imprenditore è in grado di acquisisce dimestichezza con gli strumenti di base del controllo.

2.4.Analisi statica ed analisi dinamica

Il bilancio di esercizio, come noto, offre un quadro generale e analitico della situazione economica, patrimoniale e finanziaria dell’impresa: esigenze informative proprie dei fruitori di tale documento impongono che i dati in esso raccolti vengano successivamente riclassificati e interpretati mediante un sistema di analisi che, partendo da una diversa aggregazione dei dati nei due documenti principali, permetta un approfondimento sulle condizioni di equilibrio economico e finanziario dell’azienda.

Gli equilibri da salvaguardare nel tempo all’interno di un’azienda sono principalmente due:

- Equilibrio economico: mostra la capacità dell’impresa di far fronte ai costi generando un flusso di ricavi tale che riesca a coprirli, attraverso la creazione di un reddito normale che garantisca la remunerazione dei fattori produttivi lavoro e capitale;

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- Equilibrio finanziario: implica la totale e costante copertura delle uscite finanziarie attraverso le entrate. Perché ciò accada, l’impresa deve garantirsi una correlazione temporale tra il sistema delle fonti e degli impieghi, quindi la copertura del fabbisogno a breve termine attraverso fonti a breve, e analogamente la copertura di fabbisogni a medio/lungo termine mediante fonti della stessa durata.

I due equilibri sopra menzionati sono strettamente correlati, è impossibile infatti immaginare che le scelte economiche effettuate dalla direzione aziendale e dalle singole unità non abbiamo alcun riflesso sull’andamento finanziario dell’azienda. Ad ogni costo effettuato dall’azienda viene associato un relativo movimento finanziario, di debito o liquidità che sia, e lo stesso vale per i ricavi, che a seconda dei casi possono generare entrate liquide immediate o crediti verso clienti. Valori economici e valori monetari/finanziari si mostrano dunque strettamente interdipendenti e la necessità di salvaguardarne gli equilibri richiede che vengano fatte delle analisi più approfondite sui bilanci consuntivi delle società.

L’analisi di bilancio più frequentemente adottata è l’analisi per indici, o quozienti, e muove le sue basi dalla riclassificazione degli schemi di bilancio: gli schemi di Stato Patrimoniale e Conto Economico, così come previsti dalla normativa civile, non risultano infatti idonei a rappresentare gli equilibri aziendali. Nello Stato Patrimoniale civilistico le attività vengono aggregate secondo il criterio della destinazione. In base a tale criterio, gli amministratori hanno la facoltà di iscrivere un bene in una delle due macroclassi principali (attivo immobilizzato e attivo circolante) in base all’utilizzo durevole o meno che ne faranno. Di conseguenza, è possibile trovare fra le immobilizzazioni valori pluriennali il cui ciclo finanziario si sta concludendo e che diverranno perciò liquidi nel periodo successivo. Nel passivo, il legislatore ha dato peso invece alla natura delle fonti ivi riportate, distinguendo tra mezzi propri e mezzi di terzi. Anche in questo caso non viene presa in considerazione la durata delle fonti e quindi la classificazione proposta non segue alcun criterio finanziario.

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