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Disturbi della memoria dopo esposizione a lungo termine a dosi medio-basse di radiazioni ionizzanti: studio su una popolazione di medici e infermieri operanti in cardiologia interventistica

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U

N I V E R S I T À D I

P

I S A

DI P A R T I M E N T O D I ME D I C I N A CL I N I C A E SP E R I M E N T A L E

T e s i d i L a u r e a

D

ISTURBI DELLA MEMORIA DOPO ESPOSIZIONE A LUNGO

TERMINE A DOSI MEDIO

-

BASSE DI RADIAZIONI IONIZZANTI

:

STUDIO SU UNA POPOLAZIONE DI MEDICI E INFERMIERI

OPERANTI IN CARDIOLOGIA INTERVENTISTICA

Relatore

Chiar.ma Prof.ssa Liliana Dell'Osso Candidato

Federico Mucci

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Indice

RIASSUNTO ... 2

ABSTRACT ... 3

1. LE RADIAZIONI IONIZZANTI: INTRODUZIONE ... 5

1.1. INTERAZIONE DELLE RADIAZIONI IONIZZANTI CON LA MATERIA ... 5

1.2. RADIOSENSIBILITÀ ED EFFETTI BIOLOGICI DELLE RADIAZIONI IONIZZANTI ... 14

2. ESPOSIZIONE A RADIAZIONI IONIZZANTI NELLA POPOLAZIONE GENERALE E NEGLI OPERATORI SANITARI ... 22

2.1. PRINCIPI E NORME DI RADIOPROTEZIONE MEDICA ... 22

2.2. MISURE DI PREVENZIONE E PROTEZIONE PER GLI OPERATORI ... 29

3. EFFETTI COGNITIVI, PSICOLOGICI E PSICHIATRICI DELL’ESPOSIZIONE A RADIAZIONI IONIZZANTI ... 36

3.1. EFFETTI DELLA RADIOTERAPIA CRANIALE ... 36

3.2. EFFETTI DELLE RADIAZIONI IONIZZANTI AD ALTE DOSI ... 41

3.3. EFFETTI DELLE RADIAZIONI IONIZZANTI A DOSI MEDIO-BASSE, COMPRESE LE ESPOSIZIONI OCCUPAZIONALI... 45

4. STUDIO ... 51

4.1. SCOPO DELLA RICERCA ... 51

4.2. SOGGETTI E METODI ... 53 4.3. RISULTATI... 59 4.4. DISCUSSIONE ... 62 4.5. CONCLUSIONI ... 65 BIBLIOGRAFIA ... 68 RINGRAZIAMENTI ... 77

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Riassunto

L'esposizione a radiazioni ionizzanti (RI) conduce ad un aumentato rischio di sviluppo di cancro e, forse, ad un ulteriore rischio di malattie non neoplastiche, comprendenti effetti neurodegenerativi, cerebrovascolari, cardiovascolari e aterosclerotici. Studi sull'irradiazione cerebrale in animali e umani hanno fornito evidenza di apoptosi, infiammazione neuronale, perdita di precursori di oligodendrociti e guaine mieliniche, danno irreversibile al compartimento staminale neuronale con indebolimento, a lungo termine, della neurogenesi adulta.

Nella presente Tesi viene effettuata un’analisi globale degli effetti cerebrali dell'esposizione a RI, con particolare attenzione all'impatto sui processi cognitivi e sulle funzioni fisiologiche, così come sul loro possibile ruolo nella fisiopatologia di diverse malattie psichiatriche. I dati sugli effetti cerebrali dell’esposizione occupazionale o accidentale alle RI sono limitati, frammentari e alquanto contraddittori, anche se di grande potenziale interesse, dal momento che sono coinvolti molti individui, non solo i sopravvissuti ai bombardamenti atomici, all’incidente di Chernobyl e i lavoratori di centrali nucleari, ma anche i lavoratori del comparto sanitario.

Sulla base di quanto emerso dalla letteratura e in considerazione della necessità di dati sugli effetti cognitivi dell’esposizione a dosi medio/basse di RI, con la nostra ricerca ci siamo proposti di valutare e confrontare i risultati di una batteria di test («Esame Neuropsicologico Breve», ENB) in 50 operatori (cardiologi e infermieri) di un laboratorio di cateterizzazione cardiaca, e in un gruppo simile e corrispondente di 50 soggetti di controllo in salute.

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Confrontando i punteggi dei diversi test della batteria ENB tra i due gruppi, sono state rilevate alcune differenze significative soprattutto a livello delle

performance mnemoniche e un deficit di attenzione correlato alla durata di

esposizione. Questi risultati evidenziano che esiste una grande necessità di aumentare la consapevolezza dei problemi collegati alle RI tra i cardiologi e, più in generale, tra i tutti gli operatori sanitari. Nel frattempo, l’adozione di un’attenta politica finalizzata all’aumento della consapevolezza, all’ottimizzazione della dose e alla protezione mirata della testa rappresenterebbe certamente un modus

operandi intelligente e vantaggioso per tutti i professionisti della salute che sono

occupati nei laboratori di cateterizzazione cardiaca e in altri ambiti in cui vi è un rischio di esposizione a RI.

Abstract

Exposure to ionizing radiations (IR) leads to an increased risk for cancer and, possibly, additional ill-defined non-cancer risk, including atherosclerotic, cardiovascular, cerebro-vascular and neurodegenerative effects. Studies of brain irradiation in animals and humans provide evidence of apoptosis, neuro-inflammation, loss of oligo-dendrocytes precursors and myelin sheaths, and irreversible damage to the neural stem compartment with long-term impairment of adult neurogenesis.

In the present dissertation we present a comprehensive review on brain effects of IR exposure, with a special focus on its impact on cognitive processes and psychological functions, as well as on their possible role in the pathophysiology of different psychiatric disorders. Data on the brain effects

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on occupational or accidental exposures to IR are limited, fragmentary, and somewhat conflicting, although of great potential interest, as it involves several individuals, not only atomic bomb survivors, Chernobyl blast and nuclear power plant workers, but at increasing rate also healthcare professionals.

On the basis of the literature and considering the need for data about cognitive effects of exposure to low/moderate doses of IR, the aim of the present research was to assess and compare the scores of a battery of tests («Esame Neuropsicologico Breve», ENB battery) in 50 healthcare professionals (cardiologists and nurses) working in a cardiac catheterization laboratory, and in a similar and matched group of 50 healthy control subjects.

When comparing the different test scores of the ENB battery between the two groups, some significant differences were detected mainly at the level of memory performances and an attention deficit being related to the length of exposure. These findings highlights the fact that there is a great need of increasing awareness of IR-related problems amongst cardiologists and, more general, amongst healthcare professionals. In the meantime, a careful policy of increased awareness, dose optimization and targeted head protection id certainly a wise and convenient policy for all health professionals working in a cardiac catheterization laboratory and in other occupational contexts where there is a risk of exposure to IR.

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1. Le radiazioni ionizzanti: introduzione

1.1. Interazione delle radiazioni ionizzanti con la materia

La radiazione è il trasferimento nello spazio di energia trasportata da onde o particelle. Nel campo specifico la radiazione è un flusso di energia elettromagnetica o di particelle, generato da processi fisici che si producono nell'atomo o nel nucleo atomico. La radiazione associata a particelle dotate di massa viene detta radiazione corpuscolata, mentre quella trasferita con onde viene denominata radiazione elettromagnetica. L'energia trasportata viene ceduta in tutto o in parte quando la radiazione incontra la materia [1].

Si definiscono radiazioni ionizzanti (RI) quei tipi di radiazioni che, interagendo con un atomo, possiedono abbastanza energia per poter rimuovere elettroni strettamente legati alla loro orbita atomica, rendendo l'atomo carico o ionizzato. La radiazione può allontanare l’elettrone dall’atomo in maniera diretta oppure in modo mediato dalla generazione di altra radiazione. Si parla, rispettivamente, di radiazione direttamente ionizzante (particelle alfa e beta, protoni) e di radiazione indirettamente ionizzante (neutroni, raggi X e gamma) (Tabella 1-1) [1, 2]. Radiazioni direttamente ionizzanti Particelle α Corpuscolari dotate di carica Particelle β -Particelle β+ Protoni Radiazioni indirettamente ionizzanti Raggi X

Raggi γ Elettromagnetiche prive di carica Neutroni prive di carica Corpuscolari

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6

Si definiscono, invece, radiazioni non ionizzanti (RNI) quei tipi di radiazioni che trasferiscono alla materia una quantità di energia non sufficiente a indurre ionizzazione (ultravioletto, visibile, infrarosso, microonde e onde radio) [1, 2].

Radiazioni ionizzanti: tipi e caratteristiche

Si distinguono RI corpuscolari (particelle alfa, particelle beta, protoni, neutroni) e RI elettromagnetiche (fotoni X e gamma) (Tabella 1-1).

Le particelle α (alfa) (nuclei di elio), emesse da radioelementi naturali, sono dotate di elevata energia e sono molto ionizzanti. Possiedono una forte carica positiva (+2) e una massa di 4; una particella alfa è in grado di ionizzare 10.000 atomi. Tuttavia, le particelle alfa impiegano tutta la propria energia nella ionizzazione di altri atomi e, perciò, essa si esaurisce molto rapidamente. La loro velocità è un ventesimo di quella della luce e il loro percorso nell'aria è breve (3-11 cm). La capacità di penetrazione è scarsa: possono essere arrestate da un foglio di carta o di alluminio; per tale motivo, mentre sono pericolose quando emesse da radionuclidi all'interno dell'organismo, sono trascurabili quando emesse da sorgenti esterne, poiché vengono arrestate dallo strato superficiale della cute [2, 3].

Le particelle β (beta) possono avere carica elettrica negativa (elettroni), di origine naturale o artificiale, oppure carica elettrica positiva (positroni), di sola generazione artificiale. Sono così denominate per indicare che prendono origine dal nucleo dell'atomo. La loro velocità è prossima a quella della luce; hanno capacità di penetrazione maggiore rispetto alle particelle alfa (alcuni metri in aria, 1 cm a livello cutaneo), ma possono essere arrestate da un foglio di alluminio di

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4 mm di spessore. L'azione biologica per irradiazione interna è meno dannosa di quella delle particelle alfa, in virtù della massa molto inferiore e della minore capacità di ionizzazione (si ritiene che una particella beta possa causare 100 ionizzazioni) [2, 3].

I neutroni sono particelle subatomiche con massa unitaria e prive di carica. Si ottengono artificialmente, sono dotati di elevato potere penetrante e possono essere fermati solo per urto diretto contro i nuclei della materia attraversata. La lesività biologica da irradiazione esterna può essere superiore a 10 volte quella dei raggi gamma [3].

I protoni sono particelle subatomiche con carica positiva. Rappresentano i principali costituenti della radiazione cosmica presente al di fuori dell’atmosfera terrestre. La capacità di penetrazione è leggermente superiore a quella delle particelle alfa [1].

I raggi γ (gamma) hanno origine dal decadimento del nucleo atomico attraverso emissioni alfa o beta. Poiché sono prive di massa e di carica elettrica, non sono deviate da campi elettrici o magnetici. La loro velocità è pari a quella della luce e il percorso medio nell'aria è circa 1.000 metri. I raggi gamma producono scarsa ionizzazione (circa 1 a 1), ma sono difficili da arrestare e sono molto penetranti [2, 3].

I raggi X sono fotoni generati nel riassestamento dei livelli elettronici dell'atomo mediante salti energetici orbitali. La loro produzione può essere spontanea (disintegrazione nucleare di radioisotopi) o artificiale (per esempio nei tubi radiogeni). I rischi da esposizione a raggi X, analogamente ai raggi gamma, sono connessi alla loro elevata capacità di penetrazione nei tessuti [3].

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A titolo indicativo, nella Tabella 1-2, è riportato il percorso in aria e nei tessuti delle radiazioni alfa, beta e gamma di pari energia (1 MeV); poiché la radiazione gamma non viene completamente assorbita, è riportato il percorso che riduce del 90% l’energia della radiazione [1].

Tipo di radiazione Percorso in aria nel tessuto Percorso

alfa 0,7 cm 0,006 cm

beta 2,32 m 0,43 cm

gamma 12,58 m 1,51 cm

Tabella 1-2. Distanze medie percorse dai vari tipi di RI di 1 MeV [1].

Una rappresentazione grafica degli spessori di assorbimento, ancorché approssimativa, è riportata in Figura 1-1.

Figura 1-1. Spessori di assorbimento dei vari tipi di RI.

Grandezze e unità di misura fisiche e radioprotezionistiche

In radiobiologia, radiologia clinica e radioprotezione la grandezza fisica di base, utilizzata per tutti i tipi di radiazione ionizzante e qualsiasi geometria di

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irradiazione, è la dose assorbita (D), definita come l'energia media (dε) depositata dalla radiazione ionizzante in un volume di massa (dm), cioè:

Da questo concetto deriva quello di dose media assorbita (DT,R) nel volume

di un organo o di un tessuto (T), dovuta a una radiazione (R), sia incidente sul corpo sia emessa da radionuclidi all'interno del corpo. L'unità di misura per la dose assorbita è pari a un joule per chilogrammo ed è denominata gray (1 Gy = 1 J·Kg-1).

Ai fini radioprotezionistici, la dose media assorbita deve essere ponderata per il fattore wR, che dipende dal tipo e dall'energia di radiazione e ne riflette

l'efficacia biologica. Si ottiene così, estendendo il calcolo alla somma di tutte le RI in causa, la dose equivalente (HT) in un tessuto o in un organo (T).

Attraverso la somma ponderata delle dosi equivalenti per i vari organi o tessuti, si ottiene la dose efficace (E):

dove wT è il fattore di ponderazione che rende conto del contributo relativo dello

specifico tessuto o organo al detrimento complessivo dell'organismo.

La dose di energia deposta nell'organismo da un radioelemento in seguito a ingestione, inalazione o assorbimento cutaneo è definita dose impegnata ed è

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espressa come dose equivalente impegnata a livello di singolo organo o tessuto e come dose efficace impegnata a livello di organismo.

L'unità di misura per la dose equivalente e la dose efficace è pari a un joule per chilogrammo ed è denominata sievert (1 Sv = 1 J·Kg-1). Risulta evidente che

l'unità di misura utilizzata per la dose assorbita e per le dosi equivalente ed efficace è quindi, di fatto, la stessa. Va tuttavia sottolineato che, mentre la dose assorbita in un determinato organo o tessuto è una grandezza fisica, la dose equivalente e la dose efficace incorporano i fattori di radioprotezione, ottenuti sulla base di informazioni di tipo radiobiologico ed epidemiologico [3, 4].

Per soggetti sottoposti a situazioni di esposizione programmata, come pure per la popolazione generale, sono stabiliti limiti di dose efficace e limiti di dose

equivalente (per specifici tessuti e organi), i cui valori non devono essere superati

[5].

Le grandezze radioprotezionistiche relative al corpo umano, in termini di dose efficace e dose equivalente, non sono misurabili in pratica e non sono direttamente utilizzabili nel monitoraggio. Per la valutazione della dose efficace o della dose equivalente sono quindi utilizzati diversi tipi di grandezze operative, mediante rilevazioni dosimetriche (per il monitoraggio ambientale e individuale) e rilevazioni delle concentrazioni in aria o all'interno del corpo (per stimare l'incorporazione di sostanze radioattive). Da tali grandezze operative è quindi possibile derivare, mediante formule di conversione, le dosi efficaci e le dosi equivalenti [3, 4].

Il numero di ioni prodotti dalla RI per unità di percorso nella materia si definisce ionizzazione specifica e il suo equivalente energetico costituisce il

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trasferimento lineare di energia (LET, linear energy transfer); esso corrisponde

alla quantità di energia trasferita alla materia per unità di percorso e viene misurato in keV/µ. Radiazioni ad alto LET sono le particelle alfa e i protoni; radiazioni a basso LET sono le particelle beta (ad eccezione degli elettroni Auger). I neutroni e i fotoni X e gamma, radiazioni indirettamente ionizzanti, cedendo la loro energia a particelle cariche danno, a loro volta, luogo a radiazioni di alto o basso LET [1].

Fonti di esposizione per l’uomo

L’organismo umano è esposto inevitabilmente a sorgenti di RI da sempre presenti sulla Terra e per questo denominate radiazioni naturali [1].

La radiazione naturale viene suddivisa, a seconda delle fonti di provenienza, in radiazione primordiale, radiazione cosmica e radiazione cosmogenica. La radiazione primordiale è dovuta ai radionuclidi presenti sulla crosta terrestre, che hanno lunghi periodi di dimezzamento. Tra questi ricordiamo il 40K, il 232Th, il 87Rb, il 238U o i radionuclidi che derivano dal decadimento di

questi ultimi, come il radon, che è presente in forma gassosa o nel sottosuolo e si libera da molti materiali da costruzione. La dose efficace media annua dovuta alla radiazione primordiale è valutata in circa 2 mSv [1, 4].

La radiazione cosmica proviene sia dagli spazi intergalattici che dal sole, ed è costituita prevalentemente da protoni e da particelle alfa di energia estremamente elevata, che colpiscono violentemente le molecole d'aria dell'atmosfera e determinano una valanga di altre particelle costituenti la radiazione secondaria, in cui sono presenti anche neutroni. A livello del suolo la dose efficace media annua dovuta a questa radiazione è valutata in 0,36 mSv [1, 4].

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La radiazione cosmogenica proviene dai radionuclidi a seguito della cattura, da parte dei loro nuclei, di neutroni presenti nella radiazione cosmica secondaria. Quelli che interessano l'esposizione dell'uomo sono per lo più radionuclidi leggeri quali il trizio ed il 14C che, entrando nel ciclo biologico, vanno

ad interessare il metabolismo umano dando luogo ad una contaminazione interna. La dose efficace media annua è comunque minima, ed è valutata in circa 0,015 mSv [1, 4].

Secondo le più recenti stime dello United Nations Scientific Committee on

the Effects of Atomic Radiation (UNSCEAR) la popolazione mondiale è in media

esposta ad una dose efficace annua di circa 2,4 mSv (Figura 1-2) [1].

Figura 1-2. Distribuzione della dose efficace annua da fondo naturale [1].

Il termine che viene impiegato per indicare le dosi derivanti dalle sorgenti naturali è quello di fondo naturale di radiazione, molto variabile nelle diverse regioni della Terra.

Secondo valutazioni dell’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA), la dose media annua da fondo naturale per la popolazione

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italiana è di 3,28 mSv [1]. Come è evidente dalla Figura 1-3, al di fuori del fondo naturale, l’esposizione maggiore è dovuta alle pratiche sanitarie. Ne è soprattutto responsabile la radiodiagnostica per la sua ampia diffusione; la medicina nucleare contribuisce per circa un decimo; la radioterapia dà dosi elevate ai singoli pazienti ma modeste se mediate su tutta la popolazione.

Figura 1-3. Contributo alla dose efficace media individuale annua alla popolazione italiana dalle

varie sorgenti di RI [1].

Nel secolo scorso il progresso, la ricerca scientifica e le applicazioni conseguenti hanno portato l’uomo a realizzare fonti radianti o sostanze radioattive artificiali [1, 4]. Le principali attività antropiche ove esiste un rischio di esposizione alle radiazioni ionizzanti sono:

- estrazione e trattamento di minerali radioattivi; - produzione, stoccaggio e trasporto di radioisotopi;

- usi industriali per i controlli dei processi di saldatura e di fusione;

- impieghi medici (radiodiagnostica, radioterapia, medicina nucleare, etc.);

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- impieghi industriali (indicatori di livello, produzione di fertilizzanti, di coloranti, ecc.);

- produzione di beni di consumo (tubi catodici, quadranti luminescenti, rilevatori);

- utilizzo di radioisotopi e raggi X per l'analisi chimica (analisi radiochimiche);

- sterilizzazione con radiazioni di presidi medici, alimenti, liquami biologici.

1.2. Radiosensibilità ed effetti biologici delle radiazioni

ionizzanti

Radiosensibilità tissutale e meccanismi d'azione delle RI

L’esposizione a RI può essere causa di danno biologico a livello cellulare che, a seconda della quantità di cellule interessate, può diventare anche tissutale. Gli effetti prodotti dalle RI nelle cellule eucariote sono dovuti alla cessione di energia alla materia attraversata: eccitazioni e ionizzazioni innescano una complessa catena di modificazioni di natura biochimica, enzimatica e metabolica che si compiono in tempi assai variabili (da frazioni di secondo ad anni) [2, 3].

In generale, gli effetti biologici delle RI dipendono dalle condizioni ambientali che si verificano durante la riparazione del DNA, così come dalle caratteristiche genetiche e fisiologiche degli apparati biologici [2, 6]. A parità di dose totale, inoltre, una somministrazione in tempi concentrati produce effetti maggiori di una diluita nel tempo, poiché non consente l'intervento dei possibili processi riparativi. A livello cellulare, per esempio, la lesione della membrana può

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indurre alterazioni della sua permeabilità, mentre nel citoplasma gli effetti possono interessare strutture complesse come mitocondri e ribosomi. Il nucleo costituisce il sistema più sensibile all'azione delle RI; l'interazione con il DNA può determinare, infatti, l'insorgenza di mutazioni stabili o instabili: nel primo caso (delezioni, traslocazioni, trisomie) la mutazione può trasmettersi alle cellule figlie, nel secondo (frammenti acentrici, dicentrici, anelli) può provocare un’incapacità di sopravvivenza della cellula stessa. Va comunque ricordato che le aberrazioni cromosomiche possono essere ricondotte anche ad altre cause (esposizione a fumo di sigaretta, alcol, farmaci, virus, solventi, metalli, etc.) [3].

Molto importante è, inoltre, la cosiddetta legge di J. Bergonie e L.

Tribondeau, risalente al 1906, secondo la quale la radiosensibilità di un tessuto o

organo è inversamente proporzionale al suo grado di differenziazione e direttamente proporzionale all’attività mitotica in quanto sono radiosensibili le cellule ad elevato ritmo mitotico, morfologicamente e funzionalmente indifferenziate. Pertanto, nei mammiferi, sono relativamente radioresistenti fegato, reni, muscoli, cervello, ossa, cartilagini mature, tessuti connettivali, mentre sono relativamente radiosensibili midollo osseo, linee germinali di ovaie e testicoli, epitelio intestinale e cute [7].

Il danno può verificarsi in modo diretto, quando la struttura è direttamente colpita dalla radiazione, oppure in modo indiretto, quando l'azione lesiva avviene attraverso le modificazioni indotte su un mezzo solvente che, a sua volta, modifica chimicamente il soluto. Per l'organismo umano, il cui patrimonio idrico è pari al 70% circa della massa corporea, quest'ultimo aspetto è particolarmente rilevante: le molecole d'acqua sottoposte a irradiazione generano, infatti, una serie di

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radicali liberi che interagiscono con le principali macromolecole critiche (quali proteine, lipidi e DNA) (Figura 1-4) [2, 3].

Figura 1-4. Meccanismi di danno diretto e indiretto delle RI.

Secondo studi di radiobiologia, inoltre, le RI sarebbero in grado di indurre effetti biologici rilevanti, comprese alterazioni cromosomiche e mutazioni geniche, anche nella frazione di cellule non direttamente attraversata dall'energia radiante (cosiddetto effetto bystander). I dati sperimentali evidenziano, infatti, che l'esposizione anche a basse dosi può comportate effetti di entità maggiore rispetto a quelli prevedibili in base all'ipotesi di effetto circoscritto alle sole cellule direttamente attraversate dalla radiazione. Tale effetto sarebbe mediato dalla diffusione, dalle cellule irradiate alle cellule circostanti, di uno o più fattori, quali calcio, cAMP, eicosanoidi o prodotti derivanti dalla perossidazione lipidica, monossido di azoto, radicali liberi e, più in generale, specie molecolari dell'ossigeno e dell'azoto [8].

Effetti biologici delle radiazioni ionizzanti

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determinano un trasferimento di energia che dà avvio ad alterazioni atomiche e molecolari prima e cellulari poi a causa delle eccitazioni, delle ionizzazioni e della rottura di legami chimici che producono [9]. Ne deriva il rischio di effetti biologici che possono essere distinti in tre categorie principali: effetti somatici

deterministici, effetti somatici stocastici (o probabilistici), effetti genetici stocastici (Tabella 1-3) [1, 4].

Tabella 1-3. Classificazione degli effetti delle RI [1].

Gli effetti somatici deterministici (reazioni tissutali) sono prodotti da lesioni di un numero molto elevato di cellule per livelli di dosi medio-alti e alti e sono così caratterizzati [4, 9]:

- Compaiono solo al superamento di una dose-soglia, caratteristica per ogni effetto (Figura 1-5).

- Il superamento della dose-soglia comporta l’insorgenza dell’effetto in tutti i soggetti irradiati, sia pure nell’ambito della variabilità interindividuale.

- Sono “graduati” in quanto i sintomi diventano progressivamente più gravi al crescere della dose; il valore della dose-soglia è anche funzione della distribuzione temporale della dose (in caso di esposizioni

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protratte la soglia si eleva secondo un “fattore di protrazione”).

- Si manifestano precocemente, con tempi di latenza variabili da qualche ora a qualche settimana al massimo.

Esempi significativi di effetto deterministico sono l’eritema cutaneo postattinico (tale effetto, aumentando per gradi l’esposizione, consiste dapprima in epidermite secca, poi in epidermite essudativa e infine in necrosi) e le lesioni ematologiche in funzione della dose di RI assorbita nell’esposizione unica del corpo intero [3, 9]. Queste ultime sono state osservate nei sopravvissuti di Hiroshima e Nagasaki nei quali si sono riscontrate anemia per dosi di 1-2 Gy, agranulocitosi per dosi di 2,5-5 Gy, aplasia midollare letale per dosi di 9-10 Gy [9].

Gli effetti somatici stocastici (cancro ed effetti ereditari), al contrario, sono associati a livelli di dosi medio-bassi e bassi e sono così caratterizzati [4, 9]:

- Non richiedono il superamento di un valore soglia di dose per la loro comparsa (Figura 1-5).

- Hanno carattere probabilistico.

- Sono dimostrati da sperimentazione radiobiologica e da evidenza epidemiologica ad alte dosi.

- La probabilità di comparsa cresce linearmente con il crescere della dose (ipotesi lineare senza soglia, LNT).

- Si manifestano dopo anni, talora decenni, dall’irradiazione. - Non mostrano gradualità di manifestazioni con la dose ricevuta.

Altra caratteristica è rappresentata dal fatto che i tumori radioindotti, come del resto per la maggior parte delle patologie occupazionali, non sono differenziabili da quelli determinati da altri agenti cancerogeni.

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19 Figura 1-5. Relazione dose-soglia per gli effetti deterministici (rosso) e rischio stocastico con la

dose e sua estrapolazione (verde) [1].

Le differenze, in sintesi, tra il rischio di natura deterministica e quello di natura stocastica sono riportate nella Tabella 1-4 [10].

Rischio

deterministico stocastico Rischio Livello di dose Medio-alto Basso

Periodo di latenza Breve Lungo

Dose-soglia Sì No

Biologia Morte cellulare Danno sub-letale del DNA

Effetto clinico dell’emopoiesi Caduta Cancro

Tabella 1-4. Caratteristiche del rischio deterministico e di quello stocastico [10].

Molte delle informazioni oggi disponibili sul rischio oncogeno provengono dal follow-up dei superstiti delle esplosioni delle bombe atomiche a Hiroshima e Nagasaki in Giappone nel 1945 (RERF, Life Span Study), altre da studi più recenti dopo esposizione medica, lavorativa e ambientale che hanno consentito di

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dedurre delle stime di rischio oncogeno per dosi medio-alte (tra 100 e 3.000 mSv); in questo intervallo di valori l’andamento del rischio, che in Figura 1-5 è rappresentato da punti di significato indicativo, è ben interpolabile con una retta [1].

La situazione non è altrettanto soddisfacente per le basse dosi, per le quali le indagini e gli studi effettuati, per mancanza di effetti chiaramente ed univocamente correlabili alle RI, non sono riusciti a fornire indicazioni statisticamente significative di un aumento del rischio oncogeno tra gli esposti. L’andamento dei punti indicativi del rischio nella regione delle basse dosi si sovrappone, infatti, alle fluttuazioni statistiche dell’incidenza “spontanea” delle neoplasie, rappresentata nella Figura 1-5 dall’area tratteggiata. A questi valori di dose, infatti, qualora vi fosse un rischio attribuibile alle RI, questo sarebbe “mascherato” dal rischio oncogeno “naturale” [1]. Non solo, ma in corrispondenza di bassi livelli espositivi i normali meccanismi di riparazione cellulare sarebbero in grado di porre rimedio agli eventuali danni radioindotti a carico di macromolecole critiche (DNA, RNA, proteine) [3]. La già citata ipotesi lineare senza

soglia (LNT) è stata, dunque, introdotta in una prospettiva di cautela ovverosia

assumendo che quel rapporto di linearità certamente riscontrato alle dosi medio-alte tra incidenza neoplastica e dose, possa esser estrapolato anche alle piccole dosi fino alla dose zero, senza quindi una soglia al di sotto della quale considerare assenti gli effetti neoplastici [11]. Chiaramente, questa ipotesi ha una valenza esclusivamente radioprotezionistica [1, 4].

Gli effetti genetici stocastici sono connessi a mutazioni occorse nel DNA dalle cellule germinali che, se trasmesse con la riproduzione, si manifesteranno

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nelle successive generazioni sotto forma di difetto genetico: occorre sottolineare che, ad oggi, tale possibilità è stata confermata solo in esperimenti di laboratorio su animali [3, 4].

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22

2. Esposizione a radiazioni ionizzanti nella

popolazione generale e negli operatori sanitari

2.1. Principi e norme di radioprotezione medica

L’assunto fondamentale della radioprotezione, emanato dalla International

Commission on Radiological Protection (IRCP) nel 1978, si basa sulla convinzione

che è necessario ridurre quanto ragionevolmente possibile i livelli di esposizione a radiazioni ionizzanti (As Low As Reasonably Achievable o principio ALARA). Questo concetto è stato successivamente ampliato con le Raccomandazioni ICRP n. 60 del 1990 e n. 103 del 2007 nei tre principi fondamentali costituenti il sistema di

radioprotezione [5].

I primi due principi sono relativi alla sorgente e si applicano in tutte le

situazioni di esposizione.

- Principio di giustificazione. Qualsiasi decisione che cambi la situazione di esposizione alle radiazioni dovrebbe produrre più beneficio che danno.

Questo significa che, introducendo una nuova sorgente di radiazione, riducendo l’esposizione esistente, o riducendo il rischio di esposizione potenziale, si dovrebbe ottenere un beneficio individuale o sociale sufficiente a controbilanciare il detrimento causato.

- Principio di ottimizzazione della protezione. La probabilità di incorrere in esposizioni, il numero di persone esposte e l’entità delle loro dosi individuali dovrebbero essere tenute tanto basse quanto ragionevolmente ottenibile, in considerazione dei fattori economici e

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sociali.

Questo significa che il livello di protezione dovrebbe essere il migliore ottenibile nelle circostanze considerate, ampliando al massimo il margine di benefico rispetto al danno. L’ottimizzazione della protezione non è la minimizzazione della dose; la protezione ottimizzata è, piuttosto, il risultato di una valutazione che accuratamente equilibra il detrimento con l’esposizione e le risorse disponibili per la tutela degli individui. Pertanto l’opzione migliore non è necessariamente quella che comporta la dose più bassa.

Il terzo principio è riferito all’individuo e si applica alle situazioni di

esposizione programmata.

- Principio di applicazione dei limiti di dose. La dose totale ad ogni individuo da sorgenti regolamentate in situazioni di esposizione programmata, all’infuori dell’esposizione medica di pazienti, non dovrebbe superare gli appropriati limiti raccomandati dalla Commissione.

In Italia esistono due disposizioni legislative fondamentali che regolamentano la radioprotezione, entrambe formulate a seguito del recepimento di Direttive comunitarie:

- D.Lgs. 230/1995 e s.m.i., che disciplina la protezione dei lavoratori e degli individui della popolazione contro i rischi derivanti dalle RI. - D.Lgs. 187/2000 e s.m.i., che disciplina la protezione delle persone

contro i pericoli delle RI connesse ad esposizioni mediche.

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fondata anche su tre strumenti operativi previsti espressamente dalla legislazione: la sorveglianza fisica, la sorveglianza medica e la vigilanza [3, 4].

La sorveglianza fisica della radioprotezione è definita come l'insieme dei dispositivi adottati, delle valutazioni, delle misure e degli esami effettuati, delle indicazioni fornite e dei provvedimenti attuati al fine di garantire la prevenzione sanitaria dei lavoratori e della popolazione. Essa pertanto è finalizzata:

- All'analisi e alla valutazione dei rischi radiologici nell'ambiente lavorativo e alla successiva classificazione delle aree lavorative.

- Alla valutazione dei rischi individuali per le attività specifiche assegnate al lavoratore dal datore di lavoro, e quindi alla classificazione dei lavoratori stessi.

- Alla predisposizione di norme comportamentali generali cui i lavoratori devono attenersi nelle diverse aree degli impianti.

- Alla misura e alla valutazione delle dosi assorbite dai lavoratori e dalla popolazione generale per le attività con sorgenti radiologiche.

La sorveglianza fisica è affidata ad una figura denominata Esperto

Qualificato (EQ), con laurea in fisica, ingegneria, chimica o chimica industriale,

iscritto in un apposito elenco istituito presso il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, dopo superamento di specifico esame nazionale (sono previsti tre gradi di abilitazione).

La normativa in vigore sancisce l'obbligo di classificare e sottoporre a regolamentazione gli ambienti di lavoro ove vi sia impiego di radiazioni ionizzanti. È classificata zona controllata ogni area di lavoro, ove sussista il rischio di superamento di uno qualsiasi dei seguenti valori:

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- 6 mSv/anno di dose efficace;

- 45 mSv/anno di dose equivalente per il cristallino;

- 150 mSv/anno di dose equivalente per la pelle e le estremità (mani, avambracci, piedi, caviglie).

È classificata zona sorvegliata ogni area di lavoro, che non debba essere classificata come zona controllata, ove sussista il rischio di superamento di uno qualsiasi dei seguenti valori:

- 1 mSv/anno di dose efficace;

- 15 mSv/anno di dose equivalente per il cristallino;

- 50 mSv/anno di dose equivalente per la pelle e le estremità.

Dal punto di vista operativo esistono anche zone interdette, cioè aree ove i livelli di dose potrebbero raggiungere valori particolarmente elevati e per le quali occorre istituire appropriate procedure di accesso. Le zone controllate, sorvegliate e interdette sono segnalate da appositi cartelli posti in corrispondenza degli accessi.

Per quanto concerne la protezione dei lavoratori, la normativa definisce precisi limiti di esposizione che hanno l'obiettivo di prevenire gli effetti deterministici e di limitare le probabilità di accadimento di quelli stocastici. Questi limiti non tengono conto né delle irradiazioni ricevute per esami e cure mediche, né di quelle provenienti dal fondo naturale. Ai fini della radioprotezione i lavoratori vengono distinti in due categorie: non esposti ed esposti.

Sono definiti lavoratori non esposti quei soggetti sottoposti, in ragione dell'attività lavorativa svolta per conto del datore di lavoro, ad un'esposizione che non sia suscettibile di superare uno qualsiasi dei limiti fissati per le persone del

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pubblico (che corrispondono ai limiti indicati per la classificazione di una zona sorvegliata).

Sono definiti lavoratori esposti quei soggetti che, in ragione dell'attività lavorativa svolta per conto del datore di lavoro, sono suscettibili di superare in un anno solare uno o più dei seguenti valori:

- 1 mSv di dose efficace;

- 15 mSv di dose equivalente per il cristallino;

- 50 mSv di dose equivalente per la pelle e le estremità (mani, avambracci, piedi, caviglie).

I lavoratori esposti sono ulteriormente suddivisi in due categorie, A e B, a seconda dei livelli espositivi che sono suscettibili di ricevere in un anno (Tabella 2-1).

Tipo di esposizione Categoria A Categoria B Non esposti

Dose efficace 6-20 1-6 <1

Dose equivalente

per il cristallino 45-100 15-45 <15 Dose equivalente

per la pelle e le estremità 150-500 50-150 <50

Tabella 2-1. Limiti di riferimento di dose (mSv/anno) per la classificazione dei lavoratori.

La sorveglianza medica della radioprotezione è finalizzata alla verifica della compatibilità dello stato di salute del lavoratore con le specifiche condizioni di lavoro, all'acquisizione di dati di riferimento utili in caso di sovraesposizione accidentale, alla diagnosi precoce di malattie professionali, alla messa in atto di interventi diagnostici e terapeutici per esposizioni accidentali all'attuazione di interventi medico-legali connessi con i rischi dell'attività lavorativa.

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La sorveglianza medica consiste nell'insieme delle visite mediche, delle indagini specialistiche e di laboratorio e delle misure e disposizioni sanitarie adottate al fine di garantire la protezione sanitaria dei lavoratori. Per i lavoratori di categoria A la frequenza della sorveglianza medica deve essere almeno semestrale, mentre per i lavoratori di categoria B deve essere almeno annuale.

Per gli esposti di categoria A, essa è obbligatoriamente effettuata dal

Medico Autorizzato (MA) ai sensi del D.Lgs. 230/1995 e s.m.i., un medico

specialista in Medicina del Lavoro iscritto in un apposito elenco istituito presso il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, dopo superamento di specifico esame nazionale (non sono previsti gradi di abilitazione). Per gli esposti di categoria B può essere affidata, oltre che al MA, anche al Medico Competente (MC) ai sensi del D.Lgs. 81/2008 e s.m.i., un medico specialista in Medicina del Lavoro o che abbia seguito un percorso universitario equipollente.

In situazioni eccezionali i lavoratori classificati in categoria A possono essere sottoposti a esposizioni superiori ai limiti di dose indicati in Tabella 2-1; è il caso delle esposizioni soggette ad autorizzazione speciale e delle esposizioni di emergenza. I lavoratori suscettibili di tali esposizioni sono scelti dal datore di lavoro tra quelli preventivamente indicati dal MA sulla base dell’età e dello stato di salute.

La Tabella 2-2 riporta le patologie correlate all’esposizione occupazionale a

RI per le quali è obbligatoria la denuncia/segnalazione ai sensi dell’Art. 139 del

D.P.R. 1124/1965 e s.m.i. da parte di qualsiasi medico. Tali patologie sono tutte incluse nelle Lista I (malattie la cui origine lavorativa è di elevata probabilità), secondo la classificazione dell'Allegato al D.M. 11 dicembre 2009.

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Agenti Malattie

Radiazioni ionizzanti

Radiodermite Opacità del cristallino Anemia iporigenerativa

Pancitopenia, piastrinopenia, leucopenia Infertilità temporanea o permanente maschile

Tumori solidi

Tumori del sistema emolinfopoietico

Tabella 2-2. Patologie correlate all’esposizione occupazionale a RI per le quali vige l’obbligo di

denuncia.

Per vigilanza si intende l'insieme delle azioni, delle valutazioni, degli interventi e dei controlli affidati a strutture pubbliche intesi all’acquisizione di elementi a fini istruttori e autorizzativi e alla verifica sul rispetto formale e sostanziale delle disposizioni di legge, delle condizioni o prescrizioni di esercizio, degli standard e dei criteri di buona tecnica [4].

In sintesi, mentre la sorveglianza (fisica e medica) è il risultato di un obbligo che lo Stato impone al datore di lavoro, il quale lo attua attraverso l’opera di EQ e MA (o MC) a tutela della salute dei lavoratori, la vigilanza rappresenta la via attraverso la quale lo Stato garantisce, in maniera pubblica, al lavoratore e alla popolazione il formale e sostanziale rispetto dei relativi interessi sanitari [4].

Gli organismi pubblici individuati dal D.Lgs. 230/1995 e s.m.i. per i compiti di vigilanza nelle attività di impiego delle radiazioni ionizzanti sono la Direzione Generale delle Relazioni Industriali e dei Rapporti di Lavoro (Div. VI) del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, l'Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA), le Direzioni Territoriali del Lavoro (DTL) e le Aziende Sanitarie Locali competenti per territorio.

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2.2. Misure di prevenzione e protezione per gli operatori

Fonti di esposizione a RI in ambito sanitario

L'esposizione a RI nella popolazione generale e negli operatori sanitari, a livelli elevati e senza precedenti, rappresenta un problema scientifico e sociale di grande attualità [2, 12].

Le RI sono utilizzate a fini diagnostici e terapeutici principalmente in tre discipline mediche:

- radiologia (convenzionale e interventistica); - radioterapia e curie-terapia;

- medicina nucleare;

Non deve essere tuttavia trascurato l'impiego delle radiazioni ionizzanti in cardiologia, ortopedia, e neurochirurgia: il personale sanitario che lavora in tali servizi risulta, infatti, esposto a rischio di irraggiamento esterno a volte in misura anche maggiore rispetto a radiodiagnostica e radioterapia convenzionali [1, 2].

Mentre in radiodiagnostica e radioterapia convenzionali (oltre che in radiologia interventistica) il rischio radiologico è esclusivamente per esposizione esterna (irraggiamento esterno), in medicina nucleare il rischio prevalente è quello di contaminazione radioattiva conseguente all'utilizzo di radioisotopi in forma non sigillata (99mTc; 123I; 131I; etc.); il paziente, dopo la somministrazione del

radiofarmaco, può divenire esso stesso un'ulteriore sorgente di radiazioni in grado di determinare irraggiamento del personale. La contaminazione radioattiva può essere esterna (contaminazione superficiale, cutanea) o interna (penetrazione dei radioisotopi all'interno dell'organismo per via respiratoria, digestiva o cutanea) [1].

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Infine, per quanto riguarda le attività di laboratorio, in diverse tecniche analitiche in campo clinico e biologico (analisi RIA a scopi diagnostici o di ricerca) vengono utilizzate sorgenti non sigillate di RI.

Nelle tabella 2-3 sono riportate le principali fonti di radiazioni ionizzanti in ambito sanitario.

Radiologia

diagnostica Radiologia tradizionale e TC Radiologia interventistica Angiografia TC interventistica Rx in sala operatoria Radioterapia

Con sorgenti esterne Con sorgenti interne

- endocavitaria - endoluminale - endovascolare - interstiziale - da contatto Medicina Nucleare Diagnostica In vitro (RIA)

Con sorgenti esterne (MOC)

Con contatori, gamma camera, SPECT, etc.

Medicina Nucleare a fini terapeutici

Terapia radiometabolica con 131I

Terapia palliativa per metastasi ossee Chirurgia radio-immuno-guidata Altre applicazioni terapeutiche

(stereotassi, infusione endoarteriosa, etc.)

Tabella 2-3. Principali fonti di radiazioni ionizzanti in ambito sanitario [1].

Per una valutazione dei livelli di rischio biologico per dosi basse e bassissime di RI (anche meno di 10 mSv) si può far riferimento ad alcune procedure diagnostiche, riportate in Tabella 2-4. Negli impieghi sanitari, infatti, può verificare che non di rado possano essere assorbite dai pazienti basse quantità di radiazioni in rapporto all’attività clinica, in particolare di diagnostica radiologica e medico-nucleare [9, 10].

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Esame in mSv attorno Dose efficace al valore di

Periodo equivalente di esposizione alle RI del fondo

naturale Rischio di cancro su tutta la vita Perdita di aspettativa di vita

Rx torace 0,01 pochi giorni trascurabile rischio 2 minuti

Rx cranio 0,1 poche settimane rischio minimo 20 minuti

Mammografia 1 da pochi mesi a un anno

rischio bassissimo da 1 su 100.000 a 1 su 10.000 3 ore Scintigrafia

cardiaca 10 pochi anni

rischio basso da 1 su 10.000

a 1 su 1.000 2 giorni

Tabella 2-4. Livelli di rischio di effetti biologici per dosi basse e bassissime di radiazioni ionizzanti

[10].

Strategie di prevenzione e protezione

Il sistema di prevenzione e protezione vigente si basa su interventi di tipo ambientale e organizzativo (utilizzo di opportune barriere o schermature isolanti, distanza tra sorgente e operatore) e su interventi individuali (particolari tipi di abbigliamento, riduzione dell'esposizione, rispetto di limiti espositivi) [3].

Nell’individuazione delle potenziali fonti di rischio è opportuno operare alcune distinzioni di carattere generale. Nell’impiego di sorgenti sigillate (sostanze radioattive incorporate in un involucro inerte, atto a impedire dispersione o contaminazione; per esempio le apparecchiature radiologiche utilizzate nei reparti di radiodiagnostica), il rischio per gli addetti riguarda l’esposizione al fascio diretto e/o al campo diffuso dal paziente o dai materiali irradiati. Le esposizioni accidentali sono improbabili, in considerazione delle condizioni operative solitamente ben protette. Nell’impiego di sorgenti non sigillate (per

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esempio i traccianti utilizzati in medicina nucleare e in immunologia) esiste, per gli addetti, il rischio di contaminazione esterna e interna soprattutto per via cutanea o per inalazione. La protezione si attua attraverso l’impiego di guanti impermeabili e piombati, barriere e cappe schermate per la manipolazione [3].

Procedure radiografiche tradizionali. In radiodiagnostica si impiegano

apparecchiature (macchine o tubi radiogeni) che generano RI di natura elettromagnetica (raggi X), fasci delle quali, opportunamente collimanti, vengono impiegati per generare immagini utili a fini diagnostici.

Dato che il rischio potenziale per gli operatori sanitari nelle procedure radiodiagnostiche tradizionali ed in radioterapia è esclusivamente rappresentato dall'esposizione esterna al RI generate dalle apparecchiature radiogene, tre sono gli elementi fondamentali per la sua valutazione e quantificazione, nonché i parametri su cui agire per un efficace controllo e contenimento dell'esposizione:

1. Tempo (durata dell'esposizione): determina in maniera lineare, a parità di condizioni, l'intensità dell'esposizione e di conseguenza il rischio radiologico.

2. Distanza (dalla sorgente di radiazioni): la dose di radiazioni segue la legge dell'inverso del quadrato delle distanze rispetto al punto di emissione.

3. Schermature: la quantità ed il tipo di materiale necessario ad attenuare la radiazione dipende dal tipo di radiazione. Ad esempio, l'uso di un grembiule di gomma piombifera di spessore equivalente 0,25 mm riduce da 10 a 20 volte la dose assorbita e così l'uso di occhiali anti-X porta a livelli trascurabili la dose assorbita dal cristallino.

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Radiodiagnostica tradizionale. Il personale sanitario (TSRM, medico

radiologo) staziona normalmente in un box-comandi schermato: un progetto ottimizzato di una sala radiologica garantisce che la dose efficace assorbita dall'operatore sia mediamente dell'ordine di 0,1 µSv per radiogramma (quindi 1 mSv ogni 10.000 radiogrammi).

Anche utilizzando apparecchiature Rx portatili per esami su pazienti a letto si può stimare un campo di radiazioni dovuto a radiazione diffusa variabile da 0,4 a 1 µSv per radiogramma a un metro.

Negli esami mammografici eseguiti con apparecchiature dedicate e procedure ottimizzate le esposizioni lavorative risultano irrilevanti dal punto di vista radioprotezionistico. Lo stesso si può affermare per la radiologia odontoiatrica endorale.

Fluoroscopia. L'uso di apparecchiature con intensificatore di brillanza

rappresenta la principale fonte di esposizione professionale in ambiente sanitario; infatti se da un lato i tempi di scopia possono risultare elevati, dall'altro è quasi sempre necessaria la presenza di uno o più operatori in sala durante l'erogazione delle RI.

I campi di radiazioni cui sono esposti gli operatori in prossimità del paziente possono risultare dell'ordine di 20-30 µGy/min. L'uso di apparecchiature telecomandate può ridurre a livelli trascurabili le esposizioni per il personale nel box-comandi.

Di frequente utilizzo, specie in camera operatoria, sono gli apparecchi radiologici ad arco, dotati di intensificatore di brillanza. I livelli di esposizione ed il conseguente rischio dipendono fortemente dalla posizione del tubo radiogeno:

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geometrie con tubo radiogeno al di sopra del tavolo portano ad un incremento della dose assorbita dal personale di un fattore 3, oltre ad aumentare la possibilità di esposizione delle estremità al fascio diretto.

Le procedure speciali (esami angiografici, applicazioni in cardiologia interventistica e in neuroradiologia) sono caratterizzate da tempi di esposizione considerevoli (anche decine di minuti per singola procedura), da campi di radiazioni in prossimità del paziente dell'ordine di 10-30 µGy/m, dalla difficoltà di utilizzo di barriere mobili da parte di tutto il personale presente in sala.

In relazione ai carichi di lavoro radiologici individuali spesso elevati è estremamente importante la disponibilità e l'utilizzo di grembiuli di gomma piombifera di spessore equivalente 0,25-0,35 mm di Pb e l'uso di occhiali anti-X a protezione del cristallino.

Tomografia computerizzata. Nella TC le dosi al paziente possono essere

significative (alcuni mSv) mentre le dosi assorbite dal personale in sala comandi risultano estremamente basse. Solo in esami particolari, per cui è necessario lo stazionamento nelle vicinanze del gantry, il personale può essere interessato da campi di radiazioni rilevanti (5-10 µGy/strato).

Radioterapia. Per la radioterapia si utilizzano più frequentemente fasci di

raggi X o elettroni di alta energia prodotti da acceleratori lineari (teleradioterapia) oppure fasci di radiazioni γ generati da sorgenti radioattive (ad esempio cobaltoterapia).

I locali in cui sono sistemate le apparecchiature per i trattamenti di radioterapia (bunker) hanno pareti schermate, realizzate con materiali e spessori diversi a seconda dell'energia delle radiazioni e del numero di pazienti trattati.

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L'accesso alla sala di trattamento è rigorosamente vietato durante i trattamenti. Gli accessi alla sala sono dotati di microswitch che impediscono il funzionamento della macchina radiogena e l'emissione di raggi se la porta non è perfettamente chiusa e interrompono l'erogazione del fascio in caso di apertura durante l'irradiazione.

È stato osservato che meno della metà della dose al personale è dovuta ai procedimenti di preparazione; gli acceleratori lineari non possono essere causa di esposizione agli operatori.

In brachiterapia vengono utilizzate sorgenti sigillate per somministrare una dose locale grazie ad applicazioni di contatto, interstiziali ed endocavitarie: è possibile, con questa tecnica, rilasciare una dose elevata al tumore con rapida diminuzione della dose al tessuto circostante. I radionuclidi più comunemente utilizzati sono 138Cs, 192Ir, 125I; le sorgenti vengono fornite incapsulate a formare

aghi o cilindretti. I controlli periodici effettuati sulle sorgenti garantiscono la conservazione della loro ermeticità. Le sorgenti non devono essere mai manipolate senza far uso di appositi mezzi di protezione e i preparati radioattivi in uso devono essere sempre riposti in contenitori schermati.

I pazienti portatori di impianti interstiziali sono ricoverati in camere di degenza protette, l'accesso alle quali è consentito solo al personale autorizzato che dovrà stazionarvi per il minor tempo possibile, mantenendosi alla massima distanza consentita compatibilmente con la necessità di assistenza.

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3. Effetti cognitivi, psicologici e psichiatrici

dell’esposizione a radiazioni ionizzanti

3.1. Effetti della radioterapia craniale

La radioterapia o terapia radiante (RT) è un efficace strumento terapeutico e/o palliativo per il trattamento di un'ampia varietà di tumori cerebrali primitivi e metastatici. Con il miglioramento della sopravvivenza è stata rivolta maggiore attenzione nei confronti della morbidità correlata a trattamenti a lungo termine. I neuroni completamente differenziati possiedono ridotta o nessuna capacità proliferativa, quindi non sono stati tradizionalmente considerati come bersagli critici dell'esposizione a RI [13]. Tuttavia, la tolleranza dei tessuti cerebrali alla radioterapia è molto limitata e le dosi di radiazioni devono essere frazionate per minimizzare gli effetti deleteri sul sistema nervoso centrale [13].

L'irradiazione craniale per i tumori cerebrali può avere effetti avversi sul sistema nervoso centrale e portare a disfunzioni cognitive ed emozionali accompagnate da danno cerebrale [14, 15]. L'utilizzo di raggi X per scopi medici rappresenta la via di esposizione alle RI più rilevante per il cervello umano. Oltretutto, gli strumenti di diagnostica per immagini (ad esempio gli esami TC), che espongono il cervello a basse dosi di RI, e la RT, usata frequentemente nel trattamento di tumori cerebrali, sono associati all'esposizione a RI più rilevante per il sistema nervoso centrale. A partire dal 1930 quando, per la prima volta, fu descritto un caso di necrosi cerebrale indotta da radiazioni [16], la RT è stata largamente studiata non solo relativamente ai suoi effetti sulla neoplasia, ma anche a quelli concernenti la neurofisiologia globale, così come alle funzioni

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cognitive e alle emozioni [17]. Nonostante che le dosi somministrate siano state progressivamente ridotte, conducendo così ad una più bassa incidenza di necrosi radioindotta, il rischio di leucoencefalopatia e deficit neurocognitivo continua ad essere un problema importante [17].

È comunemente accettato che gli effetti della RT siano maggiormente evidenti nei bambini, i quali possono perdere una gran parte delle proprie abilità cognitive con grave declino del quoziente di intelligenza (QI). Il declino del QI nei bambini sembra essere correlato al QI di partenza e all'età, nel senso che più bassi sono il QI e l’età, maggiore sarà il declino successivo. Da un punto di vista neurofisiologico è stato osservato che il declino del QI è collegato al danno della memoria di lavoro nei bambini di almeno 9 anni sottoposti a trattamento RT, senza effetti su altri processi cognitivi [18].

Negli adulti, i sintomi clinici e neurologici si manifestano a partire da alcuni minuti dopo l'irradiazione fino ad oltre 30 anni dalla fine del trattamento. Tra gli effetti collaterali acuti, che si verificano entro due settimane dall'inizio della RT, vi sono cefalea, nausea e sonnolenza. La fase precoce-ritardata, che si verifica tra la seconda settimana e il terzo-quarto mese, è considerata lieve e temporanea. In particolare, è stato proposto che la fase neurologica precoce-ritardata consista in un danno temporaneo ai circuiti della memoria semantico-associativa supportata dalla neocorteccia [17, 19]. Le due misure della memoria semantica risultate compromesse sono il recupero post-codifica della memoria a lungo termine di parole presentate uditivamente e il riconoscimento di un ampio insieme di immagini identificabili con un nome. Un’interruzione correlata alla RT delle mitosi gliali, specialmente degli oligodendrociti, potrebbe determinare una

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demielinizzazione temporanea e giocare un ruolo nel determinismo dei deficit neurocognitivi già menzionati [19-23]. Inoltre, durante la fase RT precoce-ritardata, è stato visto che la memoria di nuove relazioni configurazionali dissociata da altri cambiamenti cognitivi, è alterata.Questo tipo di deficit è stato messo in relazione con il danno ippocampale conseguente alla RT [19, 24]. Tuttavia, in 21 pazienti con tumori cerebrali di basso grado, non è stato rilevato alcun effetto significativo RT precoce-ritardato nell'ippocampo mediante l'impiego ripetuto di rapporti di trasferimento di magnetizzazione [17].

Il danno RT tardivo-ritardato, che inizia tipicamente dopo 6 mesi e più dal trattamento, è caratterizzato da un indebolimento cognitivo invalidante e da modificazioni neuropatologiche visibili radiologicamente; in genere è considerato irreversibile e progressivo. Un declino cognitivo si verifica in circa il 50% dei pazienti con tumori cerebrali a partire da 6 mesi dopo il trattamento [14, 25, 26]. Studi retrospettivi o case report hanno mostrato, in seguito a RT cerebrale, sintomi neurologici come atassia, perdita di memoria e, addirittura, demenza [14, 27-32]. Nel complesso, sembra che le funzioni di apprendimento, memoria ed elaborazione dell'informazione spaziale, collegate all’ippocampo, siano quelle più colpite nella fase tardiva-ritardata collegata alla RT [19, 33, 34]. Comunque, alcuni studi prospettici successivi riportano un miglioramento o, almeno, l'assenza di deficit significativi dei processi cognitivi nei 2-4 anni successivi al trattamento [35-37]. Al contrario, un deficit cognitivo più importante è stato descritto 5-7 anni dopo la terapia [37-39]. In un campione di 27 pazienti con tumore di basso grado di malignità non è stato osservato nessun declino dei punteggi ai test almeno fino al quinto anno successivo al trattamento, mentre è stato riscontrato

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nell'apprendimento di nuove immagini visive. Durante i primi 3 anni post-trattamento, esami RM hanno mostrato alcune aree di iperintensità ed atrofia nella sostanza bianca, che andavano stabilizzandosi a partire dal sesto anno [37].

Il danno cerebrale indotto da RT non si verifica come un evento singolo e immediato ma viene considerato un processo dinamico e multifasico che si verifica nel corso del tempo, caratterizzato da modificazioni patologiche dei vasi e della mielina, con conseguenti danno vascolare, lesioni della sostanza bianca e necrosi coagulativa [40-46]. Dal punto di vista fisiopatologico, risultati di studi in

vitro hanno mostrato che le RI possono portare a morte neuronale [47, 48].

Inoltre, studi in vivo, effettuati su animali, hanno riportato un significativo danno cerebrale conseguente all’esposizione a RI. Le modificazioni istologiche, così come le funzioni cognitive, sono state indagate nel cervello di 20 ratti Fischer-344 di 6 mesi di età, sottoposti a irradiazione panencefalica. Parallelamente ai deficit cognitivi, come evidenziato nel test del labirinto acquatico e nel test di evitamento passivo, è stato descritto un danno cerebrale significativo, in particolare demielinizzazione accompagnata, in alcuni casi, da necrosi del corpo calloso e della sostanza bianca adiacente. Le aree cerebrali prive di necrosi erano, tuttavia, caratterizzate da diminuzione delle proteine basiche della mielina, alterazioni dei neurofilamenti ed aumento delle proteine fibrillari acide gliali con gliosi. Queste alterazioni istologiche delle strutture cerebrali successive a esposizione a RI erano simili a quelle riscontrate in patologie neurodegenerative come la malattia di Alzheimer, la malattia di Binswanger e la sclerosi multipla [49].

Inoltre, diversi fenomeni neuroinfiammatori rappresentano una componente significativa della risposta cerebrale alle RI [40, 50]. Infatti, è stato

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osservato un aumento del numero di cellule della microglia attivate (ad esempio esprimenti CD68) dopo esposizione a RI, al punto che è stato ipotizzato che ciò potrebbe contribuire all'alterazione della neurogenesi e al danno ippocampale, spesso descritto in modelli animali. Lo strato di cellule granulari dell'ippocampo in grado di rigenerarsi è risultato essere danneggiato dalla RT, anche a dosi inferiori rispetto a quelle ritenute in grado di alterare cellule gliali o neuroni [50-52]. Oggi esistono evidenze che l'inibizione della neurogenesi adulta nel giro dentato dell'ippocampo alteri l’apprendimento e la memoria. In particolare, la memoria che collega gli eventi passati al contesto sembra essere molto sensibile ad una riduzione della neurogenesi [53-55]. In alcuni studi, gli effetti negativi della RT sulla neurogenesi ippocampale risultavano irreversibili [56], mentre in altri è stato osservato un recupero, probabilmente correlato alla replicazione dei precursori neurali [57-59]. Nel cervello dei ratti è stato riscontrato che gli effetti dell'irradiazione sono bimodali [52]: il danno da bassi dosaggi di RI è associato ad un’aumentata proliferazione compensatoria dei precursori, mentre in caso di alti dosaggi questo meccanismo è assente. In un altro studio su animali, dopo 12 mesi, l'irradiazione panencefalica frazionata non era associata a perdita di neuroni o a riduzione del volume ippocampale [60]. Oltre alla morte neuronale, sono state dimostrate alterazioni funzionali a seguito di irradiazioni massive. In particolare, le subunità del recettore NMDA-glutammato dell'ippocampo sono state trovate modificate dopo esposizione a RT [61].

Esistono dati limitati sul possibile danno alle strutture neuroanatomiche come conseguenze di un trattamento RT. In uno studio post-mortem comprendente 25 pazienti affetti da gliomi, sono stati riportati rilevanti danni

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cerebrali, variabili da radionecrosi tardiva-ritardata a demielinizzazione e lesioni del tessuto cerebrale in prossimità del tumore [35]. In un altro studio condotto su 33 adulti affetti da tumore cerebrale, trattati con RT per un periodo variabile da 6 a 25 anni, sono stati individuati diversi livelli di neurotossicità tardiva e disturbi neuroendocrini nella maggior parte dei pazienti, comprese modificazioni della sostanza bianca, atrofia e lesioni lacunari [26]. Inoltre, in due studi PET, è stata dimostrata, dopo diversi mesi dalla RT, una riduzione del metabolismo aminoacidico nella sostanza grigia a distanza dal tumore [62, 63].

3.2. Effetti delle radiazioni ionizzanti ad alte dosi

Negli studi sopracitati, in cui vengono valutati gli effetti della RT sulla cognitività e sulle emozioni, è stato dimostrato che le RI provocano deficit cognitivi nei soggetti esposti, in particolare nel corso di infanzia e adolescenza. Tuttavia, un follow-up relativamente breve (<10 anni) non ha consentito di esaminare la possibile associazione tra RT e demenza. In uno studio retrospettivo in cui è stata coinvolta la popolazione generale di Rochester, non è stata rilevata alcuna associazione tra RT e malattia di Alzheimer [64]. Un altro studio statunitense, effettuato su soggetti esposti a RT panencefalica, ha riportato un'incidenza di demenza variabile tra l’1,9% e il 5,1%, non dissimile da quella della popolazione generale [65].

Nei pochi studi indaganti la possibile insorgenza di depressione dopo RT non è stata riscontrata nessuna relazione in merito [37, 66]. Nella fase precoce-ritardata, le modificazioni cognitive correlate a RT non si accompagnavano a depressione [21, 37, 67]. Tuttavia, la depressione sembrava insorgere tra il quarto

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e il sesto anno dopo il trattamento, probabilmente correlata a stanchezza e indebolimento cognitivo [37]. In ogni caso, dati convergenti derivati da studi animali hanno mostrato che la RT può provocare un significativo danno delle aree ippocampali, le quali sono fondamentali per la plasticità neuronale così come per la memoria, l'apprendimento, le emozioni e la risposta allo stress [51, 52].

Alcuni autori hanno osservato un declino cognitivo in pazienti con alterazioni radiologiche (iperintensità della sostanza bianca e atrofia corticale globale) associato a dosi di radioterapia considerate sicure (< 2 Sv) [68]. Ci sono quattro possibili bersagli che possono essere colpiti dal danno radioindotto: le cellule endoteliali sensibili al danno da RI anche se, dopo un'iniziale riduzione del loro numero, possono recuperare [69]; le cellule staminali dell'oligodendroglia, che rappresentano il 75% delle cellule proliferanti nel cervello umano e sono distrutte definitivamente dopo alte dosi di RI, con conseguente demielinizzazione successiva [70]; le cellule della microglia, cellule mature che continuano a dividersi nel SNC e sono ridotte nel midollo spinale dei ratti irradiati[71]; le cellule staminali neuronali che danno origine a neuroni adulti [72].

È interessante notare che, nell'ultimo decennio, è stato ipotizzato che alcune malattie psichiatriche, come depressione, disturbo bipolare e schizofrenia, possano essere, in qualche modo, correlate a disturbi della neurogenesi, specialmente a livello ippocampale. Addirittura, alcune sostanze psicotrope, in particolare antidepressivi e stabilizzanti dell'umore, potrebbero esercitare parte dei loro effetti migliorando la sopravvivenza di alcune sottopopolazioni neuronali e la plasticità neuronale a livello ippocampale [73-77]. Pertanto, è plausibile che la riduzione della neurogenesi successiva a RT possa predisporre alcuni soggetti

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vulnerabili all'insorgenza di disturbi psichiatrici e condizionarne negativamente il decorso sintomatologico e gli esiti del trattamento. Ciò potrebbe risultare particolarmente vero per quanto riguarda la schizofrenia, la quale oggi è considerata una patologia neurodegenerativa multifattoriale ove una predisposizione genetica neurobiologica può essere scatenata da fattori ambientali (es. RI), con conseguente insorgenza della malattia.

Vi è evidenza di un’aumentata incidenza dei disturbi dello spettro schizofrenico in seguito ad esposizione a RI derivanti dai bombardamenti atomici, a RT o ad ambienti con elevati livelli naturali di RI [78]. Infatti, un aumento significativo della prevalenza di schizofrenia è stato descritto nei sopravvissuti ai bombardamenti di Nagasaki [79].

La prevalenza di schizofrenia era di circa il 6%, significativamente più alta rispetto a quella riscontrata nella popolazione generale, stimata attorno all’1% [80, 81]. Sfortunatamente questo studio ha parecchi limiti metodologici, dovuti al fatto che il Life Span Study (LSS), iniziato in Giappone dalla RERF (The Radiation

Effects Research Foundation), non abbia incluso i dati sui gravi disturbi mentali.

Inoltre, i risultati erano stati ottenuti combinando il registro della schizofrenia del Dipartimento di Neuropsichiatria della Scuola Universitaria di Medicina di Nagasaki con il registro LSS. Tuttavia, il registro della schizofrenia è stato operativo solo dal 1960 e, di conseguenza, non è stato possibile calcolare retrospettivamente i tassi annuali di incidenza a partire dal bombardamento del 1945 [82].

Quando sono state effettuate valutazioni tra i sopravvissuti di Chernobyl, è stato osservato un importante aumento dell'incidenza di schizofrenia nella zona di

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