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Caratteristiche organolettiche e nutraceutiche di frutti, erbe e fiori fitoalimurgici della Garfagnana (LU)

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Academic year: 2021

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Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e

Agro-ambientali

Corso di Laurea Magistrale in Produzioni Agroalimentari e

Gestione degli Agroecosistemi

Tesi di laurea magistrale

Caratteristiche organolettiche e

nutraceutiche di frutti, erbe e fiori

fitoalimugici della Garfagnana (LU)

Relatore

Candidata

Prof.ssa Lucia Guidi

Irene Bettinelli

Correlatore

Prof. Alberto Pardossi

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2 INDICE 1.INTRODUZIONE ... 4 1.1. LA FITOALIMURGIA ... 4 1.2. I FITOCHIMICI ... 5 1.2.1. ALCALOIDI ... 10 1.2.3. TERPENI ... 19 1.2.4. COMPOSTI FENOLICI ... 28 1.3. CIBO E SALUTE ... 39 2. SCOPO TESI ... 53 3. MATERIALI E METODI ... 54 3.1. Le specie vegetali ... 54 3.2. Le aziende agricole ... 54 3.3. Campionamento ... 55 3.4. Caratterizzazione organolettica ... 56

3.4.1. Peso fresco e secco ……… .... 57

3.4.2. Altezza, larghezza e ……… ... 57

3.4.3. Gradi Brix ……… ... 57

3.4.5. Acidità titolabile ……… ... 57

3.5. CARATTERIZZAZIONE NUTRACEUTICA……… . 57

3.5.1. Determinazione del contenuto in clorofilla (a e b) e carotenoidi ..………….……57

3.5.2. Determinazione del contenuto in antociani ... 59

3.5.3. Determinazione del contenuto in fenoli totali ... 60

3.5.4. Determinazione del contenuto in flavonoidi totali ... 61

3.5.5. Determinazione della capacità antiossidante ... 61

3.5.6. Determinazione del contenuto in acido ascorbico ... 62

3.6 ANALISI STATISTICA DE DATI ... 63

4. RISULTATI ... 64 4.1. FRUTTI ... 64 4.1.1. Nocciola ... 64 4.1.2. Mora ... 65 4.2. ERBE ... 67 4.2.1. Borragine ... 67 4.2.2. Cicoria ... 69 4.2.3. Ortica ... 71 4.2.4. Silene ... 72 4.2.5. Tarassaco ... 73 4.3. FIORI ... 75 4.3.1. Borragine ... 75 4.3.2. Sambuco ... 76 4.3.3. Tarassaco ... 78 5. DISCUSSIONE ... 80 5.1. FRUTTI ... 80 5.1.1. Nocciola ... 80 5.1.2. Mora ... 81 5.2. ERBE ... 83 5.2.1. Borragine ... 83 5.2.2. Cicoria ... 86

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3 5.2.3. Ortica ... 88 5.2.4. Silene ... 91 5.2.5. Tarassaco ... 93 5.3. FIORI ... 96 5.3.1. Borragine... 96 5.3.2. Sambuco ... 98 5.3.3 Tarassaco ...101 6. CONCLUSIONI ...103

APPENDICE I-Le specie vegetali ...106

7.BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA ...121

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1.INTRODUZIONE

1.1. LA FITOALIMURGIA

La fitoalimurgia è una disciplina scientifica che ha per oggetto l’identificazione e l’uso delle piante selvatiche commestibili e le relative preparazioni culinarie nonché la caratterizzazione dei livelli nutrizionali. Il termine Fitoalimurgia deriva da phyto = pianta e alimurgia= alimentia urgentia= alimento in caso di urgenza, indica quindi vegetali da usare in caso di carestie alimentari. La parola alimurgia fu coniata da Giovanni Targioni Tozzetti nel 1767 anno di pubblicazione del suo “De alimenti urgentia”, ossia il modo per rendere meno gravi le carestie proposto per il sollievo dei popoli. Successivamente, nel 1918, Oreste Mattirolo pubblicò “Phytoalimurgia Pedemontana”, aggiungendo il prefisso phyto alla parola alimurgia volle specificare meglio il campo d’interesse nelle piante. In questo lavoro l’autore raccoglie il censimento delle specie vegetali alimentari della flora spontanea del Piemonte, per aiutare i piemontesi a combattere la fame nel primo dopoguerra.

Dall’analisi etimologica si evince come, in passato, la fitoalimurgia fosse un’attività strettamente legata alla sopravvivenza. Le piante spontanee hanno sempre rappresentato una fonte di sostentamento indispensabile per l’uomo, sia come alimento che come medicamento. Nelle tradizioni popolari di tutte le aree del mondo possiamo ritrovare numerose ricette e preparazioni erboristiche a base di erbe. Questo sapere si è tramandato oralmente nei secoli fino al secondo dopoguerra, da quel momento in poi la fitoalimurgia è stata dimenticata proprio perché legata a momenti di povertà che si volevano dimenticare. Negli ultimi anni, però, si sta osservando un ritrovato interesse per le erbe selvatiche, dovuto a molteplici fattori. L’uomo moderno sente il bisogno di riconnettersi con la natura e di stare nel verde; è sempre più interessato alla salute; consapevole sull’importanza della biodiversità e sulla conservazione del patrimonio storico-culturale, tutte tematiche centrali nella fitoalimurgia che ridiventa, quindi, più che mai attuale. Oggi il foraging (termine inglese usato per indicare la pratica della raccolta di specie spontanee) sta diventando una moda. Le erbe selvatiche arrivano nelle cucine stellate, nei cocktail bar e nelle produzioni agroalimentari, come ingredienti innovativi. Oltre all’aspetto gastronomico ci sono anche riscontri scientifici che ne

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evidenziano la valenza salutistica. Numerosi studi dimostrano che molte di queste erbe sono particolarmente ricche di sostanze nutritive e che se consumate quotidianamente, svolgono un’azione preventiva e curativa nei confronti delle più comuni malattie.

1.2. I FITOCHIMICI

Tutti gli esseri viventi sono dotati di un metabolismo primario, un complesso sistema di reazioni biochimiche che porta alla sintesi e quindi alla degradazione dei metaboliti primari, composti essenziali per la vita degli organismi quali lipidi, proteine, carboidrati, vitamine ecc. Le piante, tuttavia, sono dotate anche di un metabolismo secondario, grazie al quale trasformano intermedi di reazione o prodotti finali del metabolismo primario in metaboliti secondari. Questi metaboliti, anche detti fitochimici (phytochemicals), sono un ampio ed eterogeneo gruppo di composti appartenenti a varie classi chimiche, tra cui le principali sono fenoli, terpeni e alcaloidi.

Dato che i vegetali sono organismi pressoché immobili, nel corso dell’evoluzione, hanno sviluppato un metabolismo secondario che permette loro di sintetizzare un’ampia gamma di composti chimici come mezzi di difesa e comunicazione, aumentando così la loro capacità di sopravvivenza nell’ambiente. A riprova di quanto essenziale sia la sintesi di questi composti per le piante dobbiamo considerare l’energia spesa per la loro sintesi, superiore persino a quella richiesta per produrre i metaboliti primari (Gershenzon, 1994). I metaboliti secondari, a differenza dei primari, sono caratterizzati da una grande variabilità di strutture chimiche e alcuni composti sono caratteristici non solo nell’ambito del genere ma anche della singola specie o, addirittura, della cultivar o genotipo. Il metabolismo secondario in parte è costitutivo, sempre attivo nella pianta, e porta alla produzione di livelli normali di fitochimici, ma in parte è indotto (Capasso et al., 2011), attivato quindi da stimoli esterni come l’attacco di un patogeno o uno stress ambientale (Reymond et al., 2000; Hermsmeier et al., 2001).

I fitochimici nella pianta possono svolgere un’azione di difesa dall’attacco di patogeni ed erbivori, un ruolo protettivo nei confronti di agenti abiotici ed intervengono anche nelle complesse relazioni tra piante e tra piante e animali

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(Kennedy e Wightman, 2010). In un’accezione più generica, i metaboliti secondari sono definiti i composti che svolgono un ruolo chiave nell’interazione che la pianta ha con l’ambiente in cui vive.

I vegetali sono dotati di meccanismi di difesa passivi e attivi. Quando una pianta viene attaccata da un agente biotico, si innescano vari livelli di difesa indotta, attivati da molecole segnale, la cui sintesi è stimolata da elicitori, solitamente costituenti chimici dei microorganismi o, ad esempio, della saliva del fitofago. In genere, il sistema segnale JA-ET (acido jasmonico e suoi derivati metil-jasmonato e jasmonil-L-leucine ed etilene) è indotto in seguito al contatto tra la pianta ed erbivori o patogeni necrotrofi, innescando la resistenza sistemica indotta (ISR) mentre, se l’attacco avviene da parte di patogeni biotrofi o virus, la molecola segnale sintetizzata è l’acido salicilico (SA) che innesca la resistenza sistemica acquisita (SAR). Sia la ISR che la SAR inducono nella pianta vari meccanismi di difesa, tra cui la produzione di metaboliti secondari con azione protettiva come terpenoidi, fenilpropanoidi, glicosidi, alcaloidi, fitoalessine e anche alcune proteine (PR; Pathogenesis-related protein; Hermsmeier et al., 2001; Cipollini e Hell, 2009; Reymond et al., 2000).

Alcune piante per proteggersi dalla predazione degli erbivori accumulano nelle foglie anti-feedants, sostanze amare e/o tossiche che hanno un’azione diretta sui recettori sensoriali del gusto, modificando il comportamento dei potenziali predatori. Altri composti, invece, evitano la predazione erbivora agendo sul sistema nervoso centrale (SNC) dopo essere stati ingeriti e assorbiti, oppure hanno un effetto tossico sub-letale (Hassan Adeyemi, 2010). I fitochimici possono agire da agonisti o antagonisti del sistema di neurotrasmissione, o avere molecole con strutture analoghe a quella degli ormoni endogeni prodotti dagli insetti. Le sostanze anti-feedants sono oggetto di studio per la loro possibile applicazione in agricoltura come insetticidi, in sostituzione ai prodotti di sintesi di cui, ormai, sono noti gli effetti negativi su ambiente e salute degli animali. Oltre all’olio di Neem (Azadiractha indica) già impiegato in agricoltura biologica, ci sono vari altri composti che presentano buone proprietà anti-feedants che sono oggetto di analisi per una possibile applicazione in campo. Nella classe dei terpeni alcuni triterpenoidi (azadirachtina in Melia azederach; limonina in Citrus spp.), diterpeni (abietani e clerodani), sesquiterpeni (drimani e lattoni) e monoterpeni (principali costituenti degli oli

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essenziali). Nella classe dei fenoli furanocumarine e neolignani e tra gli alcalodi alcuni indoli e glicoalcalodi presenti, per esempio, nelle Solanaceae (Hassan Adeyemi, 2010).

Il rapporto pianta insetto è molto più articolato della sola difesa dalla predazione di insetti fitofagi; infatti, questi organismi si sono coevoluti per milioni di anni tessendo un’intricata rete di relazioni. Da una parte le piante sviluppano meccanismi di difesa ma dall’altra cercano di instaurare relazioni di simbiosi con gli insetti per loro indispensabili. Queste complesse relazioni sono possibili grazie al dialogo esistente tra questi due Regni, che si affida ad un linguaggio evoluto basato sui colori e soprattutto sugli odori, più precisamente sui VOCs (Volatile Organic Coumpounds). I VOCs sono un ampio gruppo di molecole organiche che hanno in comune il fatto di essere volatili; ne fanno parte soprattutto isoprenoidi (isoprene e monoterpeni) alcuni sesquiterpeni ed anche alcani, alcheni, carbonili, alcol, esteri, eteri e acidi. Un esempio è il geraniolo prodotto da alcune piante per richiamare gli insetti impollinatori che allo stesso tempo funge anche da repellente per Schistocerca americana, una dannosa cavalletta. Nicotiana attenuata, invece, produce una sostanza che oltre ad agire come repellente per il lepidottero fitofago Manduca quinquemaculata, richiama il Geocoris pallens, un predatore che si nutre delle uova del fitofago (Baldwin, 1999; Kessler e Baldwin, 2004).

Così come le piante hanno elaborato sistemi di difesa anche gli insetti hanno evoluto meccanismi finalizzati ad aggirare i suddetti sistemi di difesa. Alcuni insetti sono in grado di riconoscere la pianta ospite proprio grazie alle sostanze che emette, altri usano fitochimici a loro servizio come feromoni sessuali o loro precursori, altri ancora sembra che siano stati selezionati per la capacità di sequestrare all’interno del loro corpo i composti tossici prodotti dai vegetali (Cipollini e Hell, 2009).

I VOCs vengono prodotti dalle piante anche in risposta ad uno stress abiotico come calore, stress idrico, salinità, ozono o agenti inquinanti. É stato verificato che le foglie verdi, quando esposte all’ozono, emettono monoterpeni [(E)-βocimene e β-miricene], monoterpenoidi [linalolo e 1,8-cineol (sMT)], sesquiterpeni e sesquiterpenodi, benzoidi come metil-salicilato e composti volatili della via della lipossigenasi (Green Leaf Volatiles, GLVs; Ghirardo et al., 2016).

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Un’altra sostanza appartenente ai VOC e che viene emessa frequentemente dai vegetali è l’isoprene, capace di proteggere le foglie dall’inquinamento atmosferico distruggendo i radicali liberi prima che raggiungano i tessuti vegetali più sensibili (Oikawa e Lerdau, 2013).

Recentemente è stato scoperto che un altro mezzo di difesa innescato dall’emissione dei VOCs è il richiamo di microorganismi utili nella rizosfera delle specie emittenti in seguito ad uno stress ambientale o all’attacco di un patogeno (Fitzpatrick et al., 2018). Sembra che le piante abbiano evoluto una strategia ‘crying-for-help’, grazie alla quale, attraverso l’emissione di essudati radicali, richiamano microbi benefici presenti nell’ambiente, nel loro olobioma (unità ecologica formata da pianta ospite e microbiota) per superare gli stress e favorire l’adattamento. Vari studi, infatti, hanno dimostrato che questi microbi provocano un aumento dell’assorbimento di nutrienti e un potenziamento dell’immunità (Bakker et al., 2018). Il pomodoro attaccato da Psuedomonas siryngae aumenta la secrezione di acido L-malico nella rizosfera, che richiama il Bacillus subtilis FB17, un batterio benefico che induce la resistenza sistemica indotta (ISR) (Rudrappa et al., 2008). I VOCs emessi dalle radici sono dotati di buone proprietà di traslocazione, in modo da richiamare i microorganismi utili presenti nelle vicinanze della rizosfera e di arrivare anche alle radici delle piante vicine rafforzandone il microbioma in modo che queste siano pronte a rispondere all’attacco del patogeno. Questo è un esempio di allelopatia positiva che serve alle piante emittenti per creare un ulteriore barriera difensiva (Liu e Brettell, 2019).

L’allelopatia è un fenomeno oramai ben noto che regola i rapporti tra piante. Fitochimici, soprattutto fenoli, flavonoidi, terpenoidi, glucosinolati, benzochinoni e composti cianogenici (Soltys et al., 2013) vengono prodotti da una specie emittente nei confronti di altre riceventi, con lo scopo di conquistare l’ambiente di crescita attraverso l’inibizione della germinazione o di alcuni processi del ciclo vitale delle specie che li ricevono. Gli allelopatici possono essere trasferiti come essudati radicali, come sostanze volatili attraverso l’aria o come composti formati dalla degradazione batterica di residui vegetali (Carrubba et al., 2020). La sola produzione di sostanze allelopatiche non è tuttavia sufficiente per garantire la loro efficacia; bisogna, infatti, considerare anche le condizioni abiotiche e biotiche dell’ambiente in cui vengono

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rilasciate, visto che queste sostanze interagiscono con la materia organica del suolo e i microorganismi in esso presenti. Studi in ambito ecologico hanno evidenziato come l’attuale composizione delle comunità vegetali sia stata determinata proprio dall’adattamento di certe specie nei confronti delle sostanze allelopatiche emesse da altre specie (Inderjit et al., 2011).

I fitochimici sono spesso dotati di una spiccata attività biologica, così potente da poter essere definita farmacologica o al contrario risultare tossica. L’attività di questi composti anche sull’uomo potrebbe essere dovuta o alla somiglianza del SNC tra insetti e mammiferi oppure al fatto che tra piante e animali sono conservate vie metaboliche e biochimiche in comune (Kennedy e Wightman, 2010). È ben noto che fino all’avvento delle medicine di sintesi le piante hanno rappresentato l’unico medicamento disponibile per l’uomo proprio in virtù dei principi attivi in esse contenuti. Anche al giorno d’oggi, circa il 40% dei farmaci monomolecolari moderni deriva, direttamente o indirettamente, ancora dalle piante. Classi importanti di farmaci di origine vegetale sono quelle degli antiinfiammatori non steroidei derivate dall’acido salicilico, degli antitumorali (vincristina, vinblastina, irinotecan e topotecan, etoposide e teniposide, tassoli), degli stimolanti del sistema nervoso centrale (caffeina, cocaina), dei cardiostimolanti (digitale), degli anestetici locali (procainamide), degli antiaritmici (chinidina), dei narcotici analgesici (morfina, codeina), dei miotici e antiglaucoma (atropina, pilocarpina), dei bloccanti neuromuscolari (tubocurarina, vecuronio), degli antimalarici (chinina, clorochina, derivati dell’artemisinina) e degli anticoagulanti orali (warfarin, acenocumarolo; Giacchetti et al., 2014).

Vari studi epidemiologici hanno appurato che diete ricche di vegetali contribuiscono a prevenire molte patologie come malattie cardiovascolari, malattie metaboliche, malattie neurovegetative e patologie infiammatorie (Carratú e Sanzini, 2005). Il valore aggiunto dei vegetali risiede proprio nel contenuto di fitochimici, le cui principali attività sull’organismo umano sono: l’attività antiossidante, la modulazione degli enzimi detossificanti, la stimolazione del sistema immunitario, la riduzione dell’aggregazione piastrinica, la modulazione del metabolismo ormonale, la riduzione della pressione sanguigna, l’attività antibatterica e antivirale (Carratú e Sanzini, 2005).

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Sebbene nel nostro Paese non ci siano problemi legati alla malnutrizione, per molti fitochimici l’apporto è comunque inferiore ai livelli raccomandati per garantire l’effetto salutare. Ciò in parte è dovuto alle scorrette abitudini alimentari ed in parte al fatto che generalmente la biodisponibilità di questi composti è bassa perché vengono poco assorbiti, largamente metabolizzati e rapidamente eliminati. Per beneficiare degli effetti positivi dei metaboliti secondari bisogna, quindi, consumarli con regolarità.

Proprio per queste carenze, rilevate soprattutto nei Paesi in via di sviluppo, l’ingegneria genetica si sta concentrando per aumentare il contenuto di fitochimici all’interno degli alimenti, obiettivo complicato perché la loro sintesi è regolata da numerosi geni. Oltretutto nel metabolismo vegetale ci sono molti intermedi di reazione in comune al metabolismo primario, per cui la modifica di alcuni geni si potrebbe ripercuotere anche sulla sintesi di altri composti (Grusak, 2002).

1.2.1 ALCALOIDI

Gli alcaloidi sono un gruppo di oltre 12000 sostanze chimiche che presentano un’ampia variabilità strutturale e funzionale, accumunate dall’avere nella loro struttura chimica un azoto amminico eterociclico. Se, invece, l’azoto amminico è extraciclico avremo i protoalcaloidi, o amine alcaloidee, come efedrina e mescalina. Questi composti sono presenti in oltre il 20% delle specie vegetali, soprattutto nelle angiosperme dicotiledoni ed in particolare nelle famiglie di Solanaceae e Papaveraceae, ma possono essere sintetizzati anche da alcuni funghi e animali. Il termine alcaloidi fu coniato dal chimico tedesco, Carl F.W. Meissner nel 1819, la parola deriva dall’arabo al-qali che è la pianta da cui fu estratta per la prima volta la soda, questi composti, infatti, generalmente sono dotati di proprietà basiche (Kaur e Arora, 2015).

Solitamente gli alcaloidi si trovano all’interno della pianta sotto forma di sali, distribuiti in tutti gli organi, in particolare in semi, foglie, corteccia e radici, dove sono localizzati nel vacuolo o in tessuti specializzati come i canali latticiferi (i.e., canali laticiferi della capsula del papavero da oppio; Morelli et al., 2005).

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Questa classe di composti rappresenta un gruppo di prodotti naturali che nel corso della storia ha avuto, ed ha tutt’ora, un grande impatto su economia, medicina, politica e società. Questo è dovuto al fatto che gli alcaloidi hanno un potente effetto sui sistemi biologici dei mammiferi, agendo in particolare sul sistema nervoso centrale (Shamsa et al., 2008). Agli alcaloidi, infatti, appartengono veleni, sostanze psicoattive, allucinogeni e droghe sociali come caffeina e nicotina ma anche importanti principi attivi per la cura di malattie come il cancro e la malaria (Kennedy

e Wightman, 2010).

Per le piante che li producono sono un potente mezzo di difesa contro insetti e animali agendo da sostanze anti-feedants e come protezione nei confronti dei microorganismi. Gli alcaloidi sono tossici sia per gli erbivori che per gli insetti, nella maggior parte dei casi grazie all’interazione diretta con target molecolari del SNC (Kennedy e Wightman, 2010). Le piante li producono anche come prodotti di rifiuto attraverso i quali viene fissata una parte dell’azoto nel ricambio, come prodotti intermedi della formazione del protoplasma, e come ormoni, cioè eccitanti il ricambio (Morelli et al., 2005).

Gli alcaloidi sono attivi come insetticidi anche a basse concentrazioni. Il modo d’azione varia ma molti interferiscono con i recettori dell’acetilcolina nel sistema nervoso, come ad esempio la nicotina, o interferiscono con le membrane dei canali di sodio dei nervi (veratrine di Veratrum spp.). La fisostigmina, un alcaloide estratto dalla fava del calabar (Physostigma venenosum Balf.) serve come modello per lo sviluppo degli insetticidi carbammati (Rattan, 2010).

Gli alcaloidi si possono classificare in base a diversi criteri come la famiglia botanica in cui sono presenti (i.e., alcalodi delle Solanaceae, alcalodi delle Papaveraceae ecc.), la struttura chimica dell’anello contenente azoto (alcaloidi indolici, alcaloidi purinici, alcaloidi piperidinici ecc.) oppure secondo la via biogenetica che porta alla loro formazione. Secondo quest’ultima classificazione avremmo alcaloidi derivati da aminoacidi, da basi puriniche, da terpeni amminati e alcaloidi polichetidici (Morelli et al., 2005).

Gli alcaloidi che derivano da aminoacidi possono avere come precursore ornitina e arginina trasformate in putrescina, dalla quale si originano gli alcaloidi

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nicotinici e gli alcaloidi tropanici. I nicotinici sono ad esempio la nicotina e nornicotina (Figura 1) contenuti in Nicotiana spp., hanno forti proprietà antimicrobiche e sono impiegati proprio per questo scopo (Kaur e Arora, 2015). I tropanici si trovano maggiormente nelle famiglie botaniche di Erythroxylaceae, Convolvulaceae e Solanaceae; composti importanti di questo gruppo sono scopolamina (sedativo), cocaina (stimolante), iosciamina e atropina con attività anticolinergica (Figura 2; Ziegler e Facchini, 2008).

Figura 1. Struttura molecolare della nicotina (a sinistra) e nornicontina (a destra) Fonte: Wikimedia).

scopolamina cocaina

iosciamina atropina

Figura 2. Struttura molecolare dei principali alcaloidi tropanici.

Un altro aminoacido precursore è la lisina, omologo dell’ornitina, e il suo prodotto decarbossilato cadaverina, che portano alla formazione degli alcaloidi

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piperidinici. Questo gruppo è ricorrente nel regno vegetale e anche animale, vi appartengono composti noti per la loro tossicità come quelli contenuti nella Cicuta (Conium maculatum L.) coniina, lobelina (Figura 3) e cinapina, ma anche per le loro proprietà antibatteriche, antistaminiche, anticancro, stimolanti o sedative del sistema nervoso centrale; sono anche attivi come erbicidi, insetticidi e fungicidi (Singh et al., 2012; Kaur e Arora, 2015).

Figura 3. Struttura molecolare della coniina (a sinistra) e della lobelina (a destra).

Dalla fusione della lisina con la putrescina si forma il nucleo della chinolizidina, una struttura composta da due cicloesani che condividono un azoto, appartengono a questa categoria la lupinina, lupanina, citisina e sparteina (Figura 4), questi composti sono presenti solo nella famiglia delle Fabaceae ed in particolare nel genere Lupinus. Hanno proprietà antimicrobiche nei confronti di un ampio spettro di microorganismi. (Morelli et al., 2005).

lupinina lupanina

citisina sparteina

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Vari alcaloidi hanno come precursori la fenilalanina e la tirosina tra cui quelli isochinolinici e benzilisochinolinici. Questi composti tendenzialmente hanno potenti proprietà farmacologiche come analgesici o narcotici (morfina), soppressori della tosse (codeina), rilassanti muscolari (papaverina), antimicrobici (berberina e sanguinarina) (Figura 5). Sono più frequenti nelle famiglie delle Papaveraceae, Ranunculaceae, Berberidacea e Menispermaceae (Ziegler e Facchini, 2008). Questa classe è conosciuta anche per avere attività anti-iperglicemica, antitumorale e antibatterica (Nassiri, 2013).

morfina codeina

papaverina berberina

Sanguinarina

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L’aminoacido istidina, invece, è precursore della pilocarpina (Figura 6) il principale alcaloide di Pilocarpus jaborandi Holmes, usato in oftalmica e nel trattamento di disturbi agli occhi come il glaucoma (Cronemberger et al., 2012).

Figura 6. Struttura molecolare della pilocarpina.

Gli alcaloidi pirrolizidinici (PAs; Figura 7) hanno come nucleo di base la niacina, la cui sintesi si ha dalla condensazione tra spermidina e putrescina, a cui si aggiungono uno o più acidi niacinici (Zieglere Facchini, 2008).

Figura 7. Struttura molecolare di base degli alcaloidi pirrolizidinici.

Questi composti risultano tossici per l’uomo così come per gli animali, sono epatotossici, carcinogeni, genotossici, teratogenici e a volte pneumotossici. Solo alcune piante appartenenti alle famiglie botaniche Boraginaceae, Asteraceae e Fabaceae sono in grado di sintetizzarli a scopo di difesa. Sono frequenti le intossicazioni, disturbi cronici e acuti causati dall’ingestione dei PAs, la cui maggiore fonte di intossicazione sono i cereali contaminati e, nei Paesi in via di sviluppo, anche le erbe medicinali. Le tossine possono essere trasmesse all’uomo anche attraverso latte, uova e miele provenienti da animali che si nutrono di piante che contengono

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PAs o nel caso delle api se raccolgono il polline di queste specie (Wiedenfeld, 2010). D’altra parte, però, l’attività inibitoria della glicosidasi, rende questi composti dei candidati interessanti come nuovi farmaci nel trattamento del cancro, di malattie virali, del diabete e non solo (Majik e Tilve, 2012).

Gli alcaloidi purinici sono ottenuti da purine come adenina e guanina. Caffeina, teobromina, teofillina e aminofillina sono i composti più importanti di questo gruppo (Figura 8). Hanno molte proprietà benefiche come sostanze antiossidanti e antinfiammatorie, proteggono dal diabete, dall’ iperlipidemia e dall’obesità (Li et al., 2013).

caffeina teobromina

teofillina aminofillina

Figura 8. Struttura molecolare di base degli alcaloidi purinici.

La caffeina è la sostanza psicoattiva più consumata al mondo, oltre che nel caffè, ottenuto da Coffea arabica L. è presente anche in altri alimenti come tè (Camellia sinensis L.), guaranà (Paulinia cupana Kunth.), mate (Ilex paraguariensis A. St. Hill.), e cacao (Theobroma cacao L.). Le piante la sintetizzano per difendersi dall’attacco di patogeni ed erbivori, negli insetti la caffeina aumenta l’eccitazione,

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riduce il sonno e diminuisce la tonicità muscolare statica ed è anche un agente allelopatico che inibisce la fertilità e la crescita delle specie competitrici (Kennedy e Wightman, 2010).

Gli alcaloidi indolici derivano dalla condensazione del triptofano con isoprenoidi. Sono approssimativamente 2000 composti usati come veleni (stricnina) ma anche nei medicinali anticancro come vincamina, vincristina e vinblastina abbondanti in Catharanthus roseus (Figura 9; Kainsa et al., 2012).

vincamina vincristina

vinblastina

Figura 9. Struttura molecolare di base degli alcaloidi indolici.

Sempre dal triptofano derivano anche gli alcaloidi chinolici formati dalla fusione di un anello benzenico con un anello piridinico, conosciuti anche come benzopiridine. Fanno parte di questo gruppo chinina, chinidina (Figura 10) e cinconina, estratti dalla corteccia della china Cinchona spp., usati nella cura contro la

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malaria. Questa classe di composti ha importanti attività biologiche come quella antibatterica, antifungina, antielmintica, cardiotonica, anticonvulsiva, antiinfiammatoria e analgesica (Marella et al., 2013).

chinina chinidina

Figura 10. Struttura molecolare della chinina e chinidina.

Gli ergot-alcaloidi come caratteristica strutturale hanno il sistema tetraciclico chiamato ergolina (Figura 11), sono sintetizzati sia dalle piante che dai funghi; i composti più importanti sono quelli prodotti dal fungo patogeno della segale (Claviceps purpurea (Fries.) Tul.) ma sono abbondanti anche nei semi di Ipomea tricolor Cav. (Morelli et al., 2005).

Figura 11. Struttura molecolare dell’ergolina, struttura base degli ergot-alcaloidi.

Gli alcaloidi sono quindi noti per esercitare varie attività biologiche sull’uomo, ognuna con il suo specifico meccanismo d’azione, molti dei quali sono stati provati ma alcuni solo ipotizzati. Le principali attività di questi composti sull’uomo sono:

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stimolanti o sedativi del SNC; rilassanti muscolari; antiossidanti; anticancerogeni; antibatterici; amebicidi e in qualche caso antidiabetici (Kaur e Arora, 2015).

Data l’importanza degli alcaloidi è d’interesse comune trovare un metodo economico per produrli. Attualmente si estraggono direttamente dal materiale vegetale con basse rese, perché questi composti sono accumulati in piccole quantità. Inoltre data la loro complessità strutturale è difficile e costoso ottenerli attraverso la sintesi chimica o l’ingegneria genetica e molecolare. Un gruppo di ricercatori è stato però in grado di ottenere (s)-reticulina, un alcaloide benzilisochinolico, dalla fermentazione batterica di un ceppo di Escherichia coli geneticamente modificato, partendo da un substrato semplice (glicerolo). La produzione della (s)-reticulina è interessante perché questo composto è un intermedio chiave nella sintesi di molti alcaloidi benzilisochinolici, per cui lo sviluppo di questo sistema potrebbe portare alla produzione di vari alcaloidi a basso costo (Nakagawa et al., 2011).

1.2.3 TERPENI

I terpeni sono la più ampia classe di prodotti di origine naturale, di cui fanno parte oltre 30.000 composti (Kennedy e Wightman, 2010) presenti in tutti i Regni degli organismi viventi ma soprattutto nei vegetali come costituenti principali degli oli essenziali (Saxena et al., 2013).

In questa classe di composti sono inclusi metaboliti primari come ormoni (acido abscissico, gibberelline); pigmenti fotosintetici (fitolo, carotenoidi), trasportatori di elettroni (ubichinone, plastochinone), componenti strutturali di membrane (fitosterolo; McGarvey e Croteau, 1999) ma soprattutto metaboliti secondari coinvolti nella comunicazione e difesa dei vegetali la cui sintesi, spesso, aumenta in conseguenza a stress di vario tipo (Rhomer, 1999). Questi metaboliti secondari possono essere sostanze anti-feedants, fitotossine, antibiotici o repellenti che proteggono le piante che li sintetizzano dall’attacco di erbivori e patogeni di vario tipo (Rhomer,1999; McGarvey e Croteau, 1999), oppure sostanze allelopatiche che inibiscono la crescita di specie competitrici (De Almeida et al., 2010), ma anche semiochimici, messaggeri intra o inter specifici che, ad esempio, servono per richiamare gli impollinatori o per la comunicazione con le specie vegetali circostanti

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(Parè e Tumlinsos., 1999) ed infine i terpeni volatili possono anche reagire con le specie reattive dell’atmosfera modificandone la composizione (Langheneim, 1994).

Questa classe di composti è di grande interesse anche per l’industria; infatti, ne fanno parte oli essenziali, resine e cere impiegati nella produzione di vari prodotti come solventi, aromi, fragranze, collanti, vernici e intermedi sintetici, ma anche utili polimeri industriali come gomma e lattice, vari farmaci (artemisina, taxolo) e agrochimici (piretrine, azadiractina; McGarvey e Croteau, 1999).

I terpeni sono quasi sempre liposolubili, possono essere volatili o non volatili (Rattan, 2010) e spesso vengono conservati all’interno della pianta in strutture specializzate come dotti resiniferi, cellule oleifere o tricomi ghiandolari (Wink e Schimmer, 1999) in modo da non interferire con il metabolismo primario dei vegetali che li sintetizzano (Langheneim, 1994).

Essendo un gruppo molto vasto il range di tossicità è molto ampio e va dalla mortalità all’innocuità (Kennedy e Wightman, 2010). È interessante notare comunque che la maggior parte dei terpeni è tossica per gli insetti ma non per i mammiferi (Rattan, 2010). Questi composti, infatti, fanno parte della nostra dieta sia per aumentare la sapidità dei piatti (spezie ed erbe aromatiche) che come componenti salutari, come per esempio i carotenoidi (tetraterpeni) convertiti dal nostro organismo in vitamina A (Kennedy e Wightman, 2010).

Nonostante i terpeni siano strutturalmente molto diversificati, hanno tutti in comune il fatto di essere costituiti da ripetizione di un‘unità base, l’isoprene, molecola lineare a 5 atomi di carbonio (Morelli et al., 2005). La classificazione dei terpeni viene fatta proprio in base al numero di atomi di carbonio, multiplo di 5, presenti nella struttura molecolare, secondo la quale avremo emiterpeni (C5, e.g. isoprene); monoterpeni (C10, e.g. α- e β-pinene, mentolo, canfora); sesquiterpeni (C15, e.g. cariofillene, acido abscissico); diterpeni (C20, e.g. gibberelline, fitolo, tocoferolo, retinolo); triterpeni (C30, e.g. steroli, saponine); tetraterpeni (C40, e.g. carotenoidi) e politerpeni (C<45, e.g plastochinone, ubichinone, gomma arabica; Kesselmeier e Staudt, 1999).

Da un punto di vista biogenetico l’unità base non è propriamente l’isoprene ma i suoi isomeri biologicamente attivi, isopentil pirofosfato (IPP) e dimetilallil pirofosfato (DMAPP; Morelli et al., 2005) (Figura 12). Nei vegetali IPP e DMAPP si

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formano attraverso due vie biosintetiche quella dell’acido mevalonico e quella del piruvato/gliceraldeide-3-fosfato, scoperta più recentemente (Rhomer, 1999).

Figura 12. Struttura molecolare dell’isoprene, dell’isopentil pirofosfato e del

dimetilallil pirofosfato.

La prima via biosintetica ha come intermedio obbligato l’acido mevalonico (MVA) che a sua volta ha come precursore 3 molecole di acetil CoA; le reazioni avvengono nel reticolo endoplasmatico e nel citosol, e portano principalmente alla sintesi di sesquiterpeni, triterpeni e politerpeni (Morelli et al., 2005; Rhomer, 1999;

Figura 13).

Figura 13. Rappresentazione della via dell’acido mevalonico.

Piruvato Gliceraldeide-3-fosfato

3X Acetil-CoA

Acido mevalonico Metileritrolo fosfato

Isopentil difosfato Dimetiallil difosfato

Via del

mevalonato Metieritrolo Via del fosfato

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La seconda via ha sede invece nei plastidi (cloroplasti) ed ha come precursori la gliceraldeide 3 fosfato e il piruvato, che danno come intermedio di reazione il metileritrolo fosfato (MEP), originando maggiormente isoprene, monoterpeni, diterpeni, tetraterpeni (Morelli et al., 2005; Rhomer, 1999) (Figura 14). Le due vie non sono separate ma anzi comunicanti attraverso cross talk, soprattutto dai plastidi verso il citosol (Schuhr et al., 2003; Laule et al., 2003).

Figura 14. Rappresentazione della via del piruvato/gliceraldeide 3 fosfato.

L’IPP formato, attraverso entrambe le vie biosintetiche, condensa con il suo isomero DMAPP per dare geranilpirofosfato (GPP) il precursore di tutti i monoterpeni (Figura 15); con la condensazione di un’altra unità di IPP si forma farnesilpirofosfato (FPP; Figura 16), precursore dei sesquiterpeni e con l’unione di un’altra unità il geranilgeranilpirofosfato (GGPP; Figura 17) il precursore dei diterpeni (Dudareva et al., 2004).

Queste reazioni sono catalizzate da enzimi a corta catena della famiglia delle preniltransferasi (Koyama e Ogura, 1999; Liang et al., 2002), che hanno la proprietà di dare più prodotti da un unico substrato (Dudareva et al., 2004).

GGPP e FPP possono anche dimerizzare, con una reazione riduttiva testa-testa, per dare origine rispettivamente allo squalene (precursore dei triterpeni e steroidi; Figura 18) e al fitoene (precursore dei tetraterpeni o carotenoidi; Morelli et al., 2005; Figura 19). Piruvato o 1-Deossi-xilulosio-5-fosfato 2-C-Metil-d-eritrolo-4-fosfato

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Figura 15. Rappresentazione della sintesi del geranil pirofosfato (GPP).

Figura 16. Rappresentazione della sintesi del farnesil pirofosfato (FPP).

Figura 17. Rappresentazione della sintesi del geranilgeranil pirofosfato (GGPP).

Gli scheletri dei terpeni così formati possono subire ulteriori modifiche con reazioni di ciclizzazione, ossidazioni dello scheletro carbonioso, riarrangiamenti strutturali, costituendo così la grande varietà di questa classe (Rhomer, 1999). Alcune

dimetilallil pirofosfato

(DMAPP) isopentil pirofosfato

(IPP) geranil pirofosfato

sintasi pirofosfato

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reazioni, ognuna catalizzata da uno o più gruppi di enzimi, possono modificare i composti rendendoli volatili, o aumentandone la volatilità e/o cambiandone le proprietà olfattive (Dudareva et al., 2004).

Figura 18. Rappresentazione della sintesi dello squalene.

Figura 19. Rappresentazione della sintesi del fitoene.

Un esempio è dato dall’idrossilazione del limonene da parte del Citrocromo P450 ossidasi che è il primo step per la biosintesi del mentolo (Lupien et al., 1999). Mentre un’altra idrossilazione del limonene, da parte di un altro enzima del citocromo P450, è il primo step per la biosintesi del carvone, uno dei costituenti dell’olio essenziale di Carum carvi L. (Bouwmeester, 1999).

testa testa

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Molti terpeni sono caratterizzati dal fatto di essere volatili, soprattutto monoterpeni, sesquiterpeni e alcuni diterpeni maggiori costituenti degli oli essenziali (Langheneim, 1994). Gli oli essenziali sono miscele complesse di idrocarburi volatili, sintetizzati come mezzo di difesa e di comunicazione da alcune specie di piante appartenenti soprattutto alle famiglie di Myrtaceae, Lauraceae, Lamiaceae, Asteraceae, Apiaceae e Abietaceae (Jiang et al., 2009). Queste miscele sono composte da 20 a 60 componenti presenti in diverse concentrazioni, di cui i maggiori costituenti, oltre ai terpeni, sono composti aromatici e alifatici, tutti caratterizzati dall’avere un basso peso molecolare. Tra i vari costituenti della miscela solitamente 2 o 3 composti sono quelli principali, con concentrazioni che variano dal 20 al 70 % e sono quelli che caratterizzano l’attività biologica dell’olio essenziale. Per esempio nell’o.e di Origanum compactum i costituenti principali sono carvacrolo (30%) e timolo (27%); in quello di Coriandrum sativum α- e β-tujone (57%); in quello di Artemisia herba-alba canfora (24%); in quello di Cinnamomum camphora 1,8-cineolo (50%) e in Mentha piperita mentolo (59%) e mentone (19%; Bakkali et al., 2008).

Gli oli essenziali sono i responsabili dell’aroma, odore e sapore di molte piante e sono anche dotati di proprietà antibatteriche, antifungine e antivirali, utili per le piante che li producono, ma anche per l’uomo che li usa in vari campi industriali (Bakkali et al., 2008). Negli ultimi anni vengono studiati anche per il loro impiego in agricoltura come erbicidi e insetticidi (Rolim de Almeida et al., 2010). Per questo scopo sono già stati usati gli oli essenziali di rosmarino, cedro, citronella, origano, limone, chiodi di garofano, cannella, aglio e menta (Jiang et al., 2009). Anche molte specie appartenenti alla famiglia Lamiaceae rilasciano moterpeni fitotossici ad azione allelopatica, tra cui i più comuni sono e α-pinene, camfene, limonene, R-fellandrene, p-cymene, 1,8-cineolo, borneolo, pulegone e canfora (Angelini et al., 2003). Sebbene sia nota l’attività allelopatica degli o.e non sono ancora ben noti i meccanismi d’azione per cui vari studi si concentrano in questa direzione. Per le applicazioni in campo serve un olio essenziale che oltre ad avere buone proprietà allelopatiche sia anche selettivo nei confronti delle infestanti. Da uno studio è risultato che l’olio essenziale di rosmarino con maggiore costituente 1,8-cineolo (47%) è efficace nell’inibire la crescita di specie infestanti come Chenopodium album

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L., Portulaca oleracea L., e Echinochloa crus-galli L. con effetti molto contenuti sulla coltura principale Capsicum annuum L. (Angelini et al., 2003).

I terpeni volatili assieme ad altri composti come isoprene, alcani, alcheni, alcol, esteri, carbonili e acidi costituiscono i VOCs, composti organici volatili che vengono emessi dalle piante come mezzo di difesa e di comunicazione (Parè e Tumlinson 1999).

Già da tempo è noto come alcune specie di piante, in seguito all’attacco di un erbivoro o di un patogeno, emettano una miscela di composti volatili, in grado di richiamare predatori o parassitoidi dei fitofagi e di indurre uno stato di allerta nelle piante vicine (Baldwin et al., 2002). Questi composti in parte sono già presenti nella pianta e vengono liberati proprio dall’azione meccanica che rompe le cellule in cui sono contenuti, ed in parte invece vengono sintetizzati al momento dell’attacco (Baldwin et al., 2002). Proprio per questo, normalmente, i volatili vengono prodotti nelle cellule dell’epidermide o in strutture secretrici come i tricomi ghiandolari dalle quali possono disperdersi più facilmente (Dudareva et al, 1996). La sintesi dei VOCs aumenta non solo nel sito d’attacco ma anche nei tessuti più lontani e sani della pianta inducendo una risposta sistemica (Parè e Tumlinson, 1999).

I composti volatili vengono emessi anche in conseguenza ad un taglio meccanico, sebbene la composizione della miscela sia diversa da quella emessa dopo predazione erbivora (Baldwin et al.,2002). Isoprene, monoterpeni e sesquiterpeni rilasciati nella troposfera possono reagire con le specie reattive di gas in essa presenti, formando ozono, monossido di carbonio, metano, aumentando l’acidità e la produzione di aerosol, contribuiscono all’inquinamento atmosferico e all’effetto serra (Kesselmeier e Staudt, 1999). D’altra parte l’emissione di VOCs potrebbe proteggere il vegetale da danni ossidativi interni (Delfine et al., 2000; Loreto et al., 2004). Le piante emettono VOCs anche in risposta a stress termici, anche se le funzioni dei terpeni non sono ancora ben definite, sembra che sia una strategia attuata per rispondere alle alte temperature (Mlot, 1995). Un’ipotesi è che i terpeni liposolubili si dissolvano nelle membrane dei tilacoidi preservando il cloroplasto dalla degradazione, quando le temperature superano l’optimum biologico (Parè e Tumlinson, 1999).

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La produzione di composti volatili è un grande dispendio energetico per la pianta; infatti, richiede più energia rispetto a quella necessaria per la sintesi di molti metaboliti primari e secondari (Gershenzon, 1994). Questo costo può essere giustificato con i vantaggi apportati alla pianta in termini di resistenza, visto che una minor quantità di terpeni accumulata può rendere una singola pianta più vulnerabile ad attacchi di insetti o parassiti e agli stress termici. Pare inoltre che i VOCs possano in parte essere riciclati in metaboliti primari durante stadi più avanzati di sviluppo delle foglie; quel che non è rimetabolizzato è infine emesso nell’ambiente: volatilizzato, lisciviato e decomposto (Lengheneim, 1999).

Uno degli aspetti più affascinanti dei terpeni è che alcuni fitochimici possono agire allo stesso tempo da deterrenti e da attrattivi. Ne è un esempio l’1,8-cineolo, monoterpene presente negli estratti di Salvia divinorum Epling et Jàtiva e Melissa officinalis L., è una tossina per i coleotteri e per alcune specie di mosche, è totalmente innocuo per altre specie, mentre per altre, come le api, è addirittura attrattivo (Kennedy e Wightman, 2010).

Un’altra caratteristica dei terpeni è quella di essere spesso presenti in miscele (Kennedy e Wightman, 2010) come per oli essenziali e resine.

Nelle miscele i singoli composti interagiscono tra loro; in molti casi si verifica una sinergia tra i principi attivi che va a potenziare l’effetto della miscela rispetto ai singoli (Nerio et al., 2010). Questo sinergismo è stato dimostrato per l’olio essenziale di Artemisia annua L. Infatti da uno studio è risultato più efficace nel repellere alcune specie di insetti rispetto ai singoli componenti principali (canfora, eucaliptolo, α e β pinene; Barney e Weston, 2005). Un altro studio invece ha testato l’attività insetticida dell’olio essenziale di Litsea pungens Hemsl. (principali costituenti 1,8-cineolo, carvone e limonene) e Litsea cubeba (Lour.) Pers. (γ-terpinene, (R) limonene e β-pinene) confrontandoli con l’attività di miscele dei componenti principali nel repellere larve di Trichoplusia ni (Lepidoptera: Noctuidae). L’efficacia è risultata discreta per gli oli essenziali mentre i blend artificiali dei principali costituenti sono risultati meno efficaci, ciò evidenzia il sinergismo esistente nella miscela naturale, dove anche composti presenti in tracce contribuiscono all’attività e alle proprietà repellenti (Jiang et al., 2009).

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Un altro esempio ancora è dato dalla resina delle conifere, dove i monoterpeni ad azione tossica fungono da barriera chimica mentre i diterpeni fanno da barriera fisica (Langheneim, 1999).

In alcuni casi può venire potenziato l’effetto tossico di alcuni principi attivi proprio grazie ai terpeni presenti nella miscela, ed in particolare, grazie alla loro liposolubilità. Infatti, si dissolvono nelle membrane, ne aumentano la permeabilità e fungono da solventi, facilitando così la diffusione delle tossine (Wink, 2003).

Da un punto di vista strettamente ecologico le miscele possono servire per confondere gli erbivori rendendo più difficile lo sviluppo di resistenza (Langheneim, 1999).

A parte i composti volatili, altri terpeni difendono direttamente la pianta repellendo o intossicando insetti patogeni, come ad esempio il limonene che ha effetto anti-feedants. Alcuni vegetali, invece, sintetizzano ecdisteroidi, analoghi strutturali degli ormoni degli insetti, che possono interferire con il corso della vita e il comportamento di quest’ultimi per esempio ritardando l’impupamento, la metamorfosi e la muta (Céspedes et al., 2005).

1.2.4 COMPOSTI FENOLICI

I fenoli con circa 10.000 molecole identificate fino ad ora sono una delle principali classi di metaboliti secondari (Kennedy e Wightman, 2010), sono distribuiti in tutto il Regno Vegetale ma con composti differenti a seconda dei Phylum (Lattanzio et al., 2006).

Secondo la definizione proposta da Harborne (1989) i fenoli o polifenoli sono quei composti che possiedono un anello aromatico a cui sono legati uno (fenolo) o più (polifenolo) gruppi idrossilici sostituenti, inclusi i loro derivati funzionali (come esteri, metil esteri glicosidi ecc.) che sono sintetizzati principalmente attraverso la via metabolica dello scichimato e dal metabolismo dei fenilpropanoidi ed in qualche rara eccezione anche attraverso la via polichetidica dell’acetato/malonato (Lattanzio, 2013). In questa classe sono compresi metaboliti primari, costituenti essenziali della parete cellulare, ma soprattutto metaboliti secondari che vanno da composti a basso peso molecolare, come i semplici fenilpropanoidi, cumarine, acidi benzoici a

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composti strutturalmente più complessi come flavonoidi, lignani, stilbeni, tannini e lignina (Rattan, 2010).

Il metabolismo fenolico è stato selezionato e potenziato nel corso dell’evoluzione; sembra, infatti, che questi composti siano stati particolarmente determinanti nell’adattamento delle piante sulla terra ferma. Con la transizione dall’ambiente acquatico, relativamente stabile, a quello terrestre, molto più instabile, le piante si sono dovute confrontare con nuove sfide e pericoli ed in primo luogo con la radiazione solare che, non essendo più filtrata dall’acqua, aveva un’intensità tale da poter causare danni ai tessuti vegetali. Sembra che i composti fenolici siano stati particolarmente importanti in questa transizione perché hanno protetto le piante dalla disidratazione e dal danneggiamento dei tessuti grazie alle loro proprietà assorbenti dei raggi solari, in particolar modo di quelli UV.

Tutti i composti fenolici, infatti, sono dotati di proprietà assorbenti nella regione dell’ultravioletto e quelli colorati hanno anche un forte assorbimento nello spettro del visibile; proprio per questo sono abbondanti nelle foglie, sia nelle strutture più esterne come cuticola e appendici epidermiche (tricomi), nelle pareti cellulari delle cellule di guardia ed anche in tessuti più interni come l’epidermide, il mesofillo e specifici compartimenti subcellulari (Lattanzio et al., 2006; Cheynier et al., 2013; Karabourniotis et al., 2014).

La struttura chimica del fenolo, composto dall’anello aromatico, idrofobico, e dal gruppo idrossile, idrofilo, determina le caratteristiche redox di questa classe di composti che sono in grado di reagire sia da antiossidanti che da pro-ossidanti (Quideau et al., 2011). Il comportamento redox dipende da vari fattori come le condizioni fisiologiche; il livello dei radicali liberi, in particolare delle specie reattive dell’ossigeno (ROS); l’integrità delle cellule e dei tessuti; la presenza di enzimi e di metalli favorevoli (Sakihama et al., 2002). Nei tessuti integri questi composti si comportano da antiossidanti proteggendo le cellule dai danni dello stress ossidativo grazie all’alta reattività del gruppo idrossilico, in grado di donare un idrogeno ed un elettrone ai radicali idrossile, perossido e fenossile generando un radicale fenolo relativamente stabile (Rice-Evans et al., 1996; Heim et al., 2002). Nei tessuti danneggiati o in un ambiente favorevole come quello degli organi digestivi degli insetti, i fenoli delle foglie (fenoli radicalici prodotti da reazioni ossidative) possono

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comportarsi da pro-ossidanti generando stress ossidativo nei tessuti dell’insetto (Apel e Hirt, 2004; Barbehenn e Constable, 2011).

Sebbene il contenuto dei composti fenolici sia considerato positivo per l’aspetto, le caratteristiche organolettiche ed il profilo nutrizionale di frutta e verdura (Rice-Evans et al., 1996), in particolari condizioni, questi possono comportarsi da proossidanti fornendo il substrato per le reazioni di imbrunimento, andando a modificare negativamente le proprietà degli alimenti e la loro shelf-life (Tomàs-Barberàn e Espìn, 2001). Questo fenomeno si può verificare con il danneggiamento meccanico di frutta e verdura provocato durante la raccolta o la conservazione dei prodotti, che espone i tessuti vegetali all’aria (Lattanzio et al., 1994). Anche le basse temperature di conservazione possono indurre l’imbrunimento, soprattutto quelle che coincidono con i valori soglia sotto i quali si verificano i danni da freddo nei vegetali; sotto queste temperature l’accumulo di composti fenolici, così come la produzione di enzimi coinvolti nel loro metabolismo, vengono stimolati ed i fenoli possono comportarsi da pro-ossidanti (Lattanzio et al., 1989). Molti composti di questa classe (ad esempio gli esteri dell’acido caffeico e le catechine) possono comportarsi in entrambi i modi, a basse concentrazioni funzionano da antiossidanti mentre ad alte concentrazioni da pro-antiossidanti (Tavarini, 2008).

Le proprietà antiossidanti dei vari fenoli dipendono dal numero di gruppi idrossilici sostituenti presenti nella struttura, dalla loro reciproca posizione e dalla posizione di legame all’anello aromatico (Quideau et al., 2011). Grazie all’attività antiossidante questa classe è preziosa per le piante, proteggendole ogni qualvolta fattori di stress come alta intensità luminosa, basse temperature, infezioni patogene, attacchi di erbivori e carenze nutritive portano ad un aumento della produzione di radicali liberi e specie ossidanti tra cui anche le specie reattive dell’ossigeno (ROS). In risposta a questi stress abiotici e biotici le piante aumentano la sintesi di composti fenolici (Sakihama et al., 2002; Lattanzio, 2013).

I fenoli sono importanti anche nella difesa delle piante da erbivori e patogeni; in parte sono sempre presenti nella pianta ed in parte vengono sintetizzati al momento dell’attacco come risposte di difesa in situ, che portano all’accumulo di fitolaessine, o nel corso di risposte di ipersensibilità (Karabourniotis et al., 2014). Alcune piante producono fitoestrogeni come isoflavoni, flavoni, stilbeni e lignani,

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ovvero molecole che simulano la struttura degli ormoni endogeni degli insetti, con lo scopo di interferire con le funzioni endocrine dei fitofagi modificandone il ciclo vitale (Kennedy e Wightman, 2010), sostanze antifeedants accumulate nelle foglie che riducono la palatabilità come acidi fenolici che danno un gusto acido, tannini che conferiscono astrigenza o alcuni flavonoidi che danno invece un gusto amaro (Bravo, 1998; Drewnowsky e Gomez-Carneros, 2000).

Alcuni fenoli possono essere anche molecole segnale che regolano le relazioni tra piante e altri organismi o la morfogenesi. Ne sono un esempio isoflavonoidi e flavonoidi come luteolina, apigenina e canferolo, composti prodotti dalle leguminose e rilasciati nella rizosfera per attirare i batteri rizobi e promuovere la formazione di noduli radicali (Subramanian et al., 2007).

I polifenoli (oligomeri o polimeri formati da più di un gruppo fenolico) sono coinvolti anche nel controllo del riciclo e della diponibilità dei nutrienti per le piante e per i microorganismi grazie alla loro azione di regolatori dei processi del suolo (Hättenschwiler e Vitousek, 2010).

I composti fenolici contribuiscono significativamente nel determinare caratteristiche organolettiche come colore, aroma e gusto di frutta, verdura, spezie e derivati. Ne sono un esempio la cannella e lo zenzero che devono il loro gusto e aroma ai cinnamati e derivati del gingerolo; i chiodi di garofano, il macis, la noce moscata agli allilfenoli; la vaniglia alla vannilina; il tè verde e nero alle epicatechine e a vari tannini; il caffè agli acidi caffeolchinici (in particolare all’acido caffeico) ed il cacao all’acido clorogenico (Croteau et al., 2000).

La formazione dei composti fenolici è energeticamente dispendiosa per le piante, inoltre, le fonti di carbonio impiegate nella loro sintesi sono le stesse usate per la produzione di metaboliti primari, per cui i vegetali devono trovare un equilibrio tra la massima crescita e la protezione/difesa (Croteau et al., 2000; Karabourniotis et al., 2014). A seconda del ciclo vitale le piante hanno adottato strategie diverse: quelle annuali puntano sul massimo accrescimento con sistemi di difesa bassi; al contrario quelle perenni hanno una bassa capacità fotosintetica e alte concentrazioni di composti fenolici necessari per avere livelli di protezione maggiori per fronteggiare avversità e stress di vario tipo con cui molto probabilmente si dovranno confrontare (Chapin et al., 2002).

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Visto che la sintesi dei fenoli richiede quantità notevoli di carbonio, le piante che li producono spesso non riescono a biosintetizzare altri metaboliti secondari ma dato che sono composti multifunzionali il loro accumulo rappresenta un risparmio considerevole di carbonio ed energia perché le stesse molecole sono efficienti sia nella difesa che nella protezione (Karabourniotis et al., 2014).

Il metabolismo dei fenoli è complesso e non ne sono ancora noti tutti i meccanismi d’azione. La maggior parte dei composti derivano dal metabolismo dell’acido scichimico o “via degli amino acidi aromatici”; con questa via infatti, si formano gli aminoacidi fenilalanina, tirosina e triptofano (Marchiosi et al., 2020). Due enzimi dirottano il carbonio dagli amino acidi aromatici alla sintesi del metabolismo dei fenilpropanoidi; questi enzimi sono la fenilalanina ammonio liasi (PAL) che converte la fenilalanina in acido cinnamico, e la tirosina ammonio liasi (TAL) che converte la tirosina in acido p-cumarico. Nella maggior parte delle piante vascolari la fenilalanina è il substrato preferenziale, mentre nelle monocotiledoni gli enzimi sono in grado di usare entrambi i substrati.

La PAL è l’enzima più studiato nel metabolismo dei fenilpropanoidi e probabilmente di tutto il metabolismo secondario. In alcune piante la PAL è codificata da un unico gene mentre in altre piante è il prodotto di più geni. Lo ione ammonio liberato dalle reazioni della PAL è riciclato nella via biochimica che porta alla sintesi della glutammina e del glutammato; una volta incorporato al glutammato, il gruppo amminico può essere donato al prefenato formando arogenato, il precursore sia della fenilalanina che della tirosina. Questo processo ciclico dell’azoto assicura un apporto stabile di amino acidi aromatici da cui derivano i fenoli vegetali (Croteau et al., 2000). I fenoli possono essere classificati in base al numero e agli arrangiamenti degli atomi di carbonio che ne compongono la struttura (Tabella 1). Esempi di fenoli semplici (C6) diffusi in varie specie vegetali sono cresolo, timolo, resorcinolo, orcinolo (Bravo, 1998). Catecolo e floroglucinolo sono spesso presenti nella struttura dei polifenoli ma raramente sono presenti nei tessuti vegetali come singoli composti (Van Sumere, 1989). L’arbutina è presente nelle foglie di Vacciunium spp. come i mirtilli, i mirtilli rossi ed anche nel prugnolo (Pyrus communis L., Rosaceae; Cheynier et al., 2013).

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Tabella 1. Rappresentazione delle diverse classi di fenoli in base allo scheletro di base

di alcuni composti tipici.

Scheletro di base Classificazione Esempi di composti

C6 Fenoli semplici

Benzochinoni

catecolo, idrochinone resorcinolo

C6-C1 Acidi Fenolici acido salicilico, acido

idrossibenzoico

C6-C2 Acidi fenilacetici p-idrossifenilacetico

C6-C3 Acidi idrossicinnamici Fenilpropani Cumarine Cromoni Caffeico, ferulico. Eugenolo, miristicina Umbelliferone Esculetina, scopolina, eugenia C6-C4 Naftochinoni Juglone

C6-C1-C6 Xantoni Mangostina, Mangiferina

C6-C2-C6 Stilbeni Antrachinoni Resveratrolo emodina C6-C3-C6 Flavonoidi Flavoni Flavonoli Flavonol glicosidi Flavanoni Flavanoni glicosidici Antocianine Flavanoli (catechine) Calconi Tangerina, sinensetina Quercetina, canferolo Rutina Esperitina, naringenina Esperidina, neoesperidina Cianidina glicoside, pelargodinina, deflinidina (+)-catechina, epicatechina, gallocatechina Arbutina (C6-C3-C6)2,3 Biflavonoidi Triflavonoidi (C6-C3)2 Lignani Neolignani Pinoresinolo, eusiderina (C6-C3)n Lignina (C6)n Melanine catecoliche (C6-C3-C6)n Tannini condensati (proantocianidine)

Esempi di acidi fenolici (C6-C1) sono quelli gallico, p-idrossibenzoico, protocatetico, vanillico, siringico e salicilico. Gli acidi fenolici sono solitamente presenti nella forma solubile coniugati con zuccheri o acidi organici e sono spesso costituenti di strutture complesse come la lignina e i tannini idrolizzabili (Lattanzio,

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2013). L’acido gallico è l’unità base costituente dei gallotannini, dalla sua dimerizzazione si ottiene acido ellagico subunità costituente degli ellagitannini (tannini condensati; Amakura et al., 2000).

L’acido salicilico ha un ruolo significativo nell’induzione di meccanismi di protezione contro stress biotici e abiotici, influenza le reazioni fotosintetiche facendo rallentare il fotosistema II di trasporto degli elettroni e induce anche la chiusura degli stomi.

I composti C6-C2 non sono molto comuni nel regno vegetali, in alcune specie si sono riscontrati dei chetoni fenolici derivati come la piceina presente negli aghi di abete rosso (Picea abies L.), Larix decidua Mill., Populus balsamifera L., e Salix spp. (Münzenberger et al., 1995).

I fenil propanoidi (C6-C3) sono molto frequenti e si ritrovano ubiquitariamente nelle piante; sono anche precursori di altre classi di fenoli. I composti più importanti di questo sottogruppo sono gli acidi idrossicinnamici (p-coumarico, caffeico, ferulico, sinapico, cicorico e clorogenico) e loro derivati e gli alcol cinnamici (coniferilico, sinapilico e p-cumarilico; Bravo, 1998).

Anche le cumarine derivano dai fenilpropanoidi, chimicamente sono lattoni ottenuti da ciclizzazione e chiusura dall’acido o-idrossicinnamico; sono accumulate soprattutto in frutti e fiori di piante delle famiglie Apiaceae, Asteraceae, Fabaceae, Moraceae, Rosaceae, Rubiaceae, e Solanaceae (Lattanzio, 2013). Sono di particolare interesse per le loro proprietà farmacologiche; in particolare, per le loro attività fisiologica, batteriostatica e antitumorale. I composti più diffusi di questo gruppo sono esculetina, umbelliferone e scopoletina. Cumarine e derivati sono usate anche in farmacologia, infatti, sono i principali anticoagulanti orali come il ben noto farmaco Warfarin (Jain e Joshi, 2016).

Fanno parte delle cumarine anche gli psoraleni, composti che possono causare fotodermatiti da contatti con successiva esposizione ai raggi solari (Croteau et al., 2000).

I naftochinoni (C6-C4) come juglone (Juglans spp.), plumbagina (Plumbago

zeylanica L.) e lawsone (Lawsonia alba) sono un gruppo di pigmenti chinonici diffusi in natura, soprattutto nelle famiglie Avicenniaceae, Bignoniaceae, Boraginaceae,

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Droseraceae, Ebenaceae, Juglandaceae, Nepenthaceae, e Plumbaginaceae (Babula et al., 2006).

Gli xantoni (C6—C1—C6) sono una classe di fenoli presenti in poche famiglie vegetali ma con un alto valore tassonomico (Gentianaceae, Guttiferae, Loganiaceae, Podostemaceae, Polygalaceae). La mangiferina è il composto più diffuso di questa classe (Cheynier et al., 2013).

Degli stilbeni (C6—C2—C6) fanno parte circa 300 molecole distribuite in tutto il regno Vegetale. Questi composti sono fondamentali nella difesa delle piante, sia costitutiva, che indotta, infatti hanno buone proprietà antifungine ma anche antibatteriche, nematocide, allelopatiche, possono essere tossici per gli erbivori ed avere proprietà antifeedants. Importanti composti di difesa appartenenti a questo gruppo sono le fitoalessine delle Vitaceae derivate dallo scheletro di base del trans-resveratrolo (Lattanzio et al., 2006; Lattanzio, 2013). Il trans-resveratrolo sembra contrastare anche la formazione di cancro nell’uomo.

Gli antrachinoni (C6—C2—C6) sono il maggiore gruppo di chinoni naturali, presenti, per più della metà, nei funghi minori e nei licheni, ma oltre 200 strutture sono state ritrovate anche nelle piante soprattutto nelle famiglie Leguminosae, Liliaceae, Polygonaceae, Rhamnaceae, Rubiaceae e Scrophulariaceae. Nei vegetali gli antrachinoni sono spesso presenti come glicosidi ma si possono trovare anche agliconi liberi, i più comuni sono emodina, reina, crisofanolo e aloemodina (Lattanzio, 2013).

I flavonoidi (C6-C3-C6) sono un ampio gruppo di metaboliti secondari diffusi nelle specie vegetali e contenuti in vari organi spesso come glicosidi (Heim et al., 2002). La loro struttura base è quella di due anelli a 6 termini di C uniti da un ponte a 3 atomi di C che solitamente forma un terzo anello (Bravo, 1998). Fanno parte di questa sottoclasse oltre 4500 composti che possono venire ulteriormente suddivisi a seconda dei gruppi sostituenti, il grado di ossidazione e di saturazione presenti nell’anello eterociclico (Lattanzio, 2013); i principali sottogruppi sono i flavoni, flavonoli, flavan-3-oli, isoflavoni, flavanoni ed antocianine mentre altri gruppi che in confronto sono quantitativamente componenti minori della dieta, sono i diidroflavonoli, i flavan-3,4-dioli, le cumarine, i calconi, idiidrocalconi e gli auroni (Tavarini, 2008).

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I flavonoidi danno il colore a molti fiori e frutti attraendo gli insetti impollinatori ed anche altri animali erbivori e sono quindi composti fondamentali nel regolare le relazioni piante-animali. La colorazione è data principalmente dalle antocianine presenti nel vacuolo, come la pelargonidina che dà il colore arancione, salmone, rosa e rosso; la cianidina che conferisce invece il colore magenta e cremisi e la malvidina che dà i colori viola, malva e blu. Anche altri flavonoidi come flavonoli, flavoni, calconi e auroni contribuiscono alla determinazione del colore (Croteau et al., 2000).

Questi composti determinano anche la colorazione rossastra delle foglie nel periodo autunnale, ma perché le foglie cambiano colore? L’argomento è tutt’ora controverso ma un’ipotesi sostiene che Il colore rosso potrebbe proteggere le foglie dai danni dell’intensità luminosa a basse temperature, consentendo un miglior assorbimento dell’azoto (teoria foto protettrice); un’altra ipotesi invece sostiene che il rosso potrebbe essere un segnale di avvertimento dello stato dell’albero (indicando alti livelli di difesa o bassa capacità nutritiva) agli animali, in particolare agli insetti fitofagi come gli afidi (teoria coevolutiva; Lee e Gould, 2002; Huges, 2011).

Alcuni flavonoidi come catechina, epicatechina e gallocatechina sono i principali monomeri costituenti dei tannini condensati (Bravo, 1998); altri come il canferolo, servono per proteggere le piante dalle radiazioni UV-B.; luteolina e apigenina sono coinvolte nel meccanismo di risposta nelle interazioni pianta-batterio e favoriscono l’assorbimento dell’azoto (Buchanan et al., 2003). Altri ancora possono essere feeding attractants come l’isoquercetina presente nei gelsi (attraente per il baco da seta); o al contrario essere antifeedants come le proantocianidine che rendono i tessuti vegetali amari o astringenti rendendoli poco appetibili (Croteau et al., 2000). Molti composti dei flavonoidi sono considerati anche particolarmente benefici per la salute umana. È, infatti, stato dimostrato che alcune di queste molecole presenti negli alimenti come canferolo, quercetina e miricetina riducano il rischio di cancro (Chu et al., 2000).

Lignani e neolignani (C6-C3)2 sono un ampio e variegato gruppo di composti fenolici prodotti dalla dimerizzazione ossidativa di due unità di fenilpropanoidi, come il lignano (+)-pinoresinolo che deriva dall’unione coda-coda di due residui di alcol coniferilico. Secoisolariciresinolo e matairesinolo sono lignani comuni in varie piante

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