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Studio di macchine per prove di fatica in regime VHCF

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÁ DI PISA

Dipartimento di Ingegneria Civile e Industriale

Corso di Laurea Magistrale in Ingegneria Aerospaziale

TESI DI LAUREA

STUDIO DI MACCHINE PER PROVE DI FATICA

IN REGIME VHCF

Relatori: Candidato:

Prof. Ing. Francesco Frendo Edoardo Morelli

Prof. Ing. Leonardo Bertini

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5

Sommario ... 9

PARTE I: VHCF: Conoscenze attuali e Prospettive future ... 11

1.1 Introduzione ... 13

1.2 Metodo di studio del fenomeno ... 15

1.3 Meccanismo di rottura in VHCF regime ... 19

1.4 Analisi cristallografica della superficie di frattura ... 25

1.5 Curve S-N degli acciai ... 29

1.5.1 Acciai alto-resistenziali ... 29

1.5.2 Acciai convenzionali ... 31

1.6 Curve S-N delle leghe non ferrose ... 32

1.7 Influenza delle caratteristiche meccaniche e microstrutturali sulla resistenza in VHCF regime ... 34

1.7.1 Influenza della microstruttura ... 34

1.7.2 Influenza della dimensione, tipologia e profondità dell’inclusione ... 36

1.7.3 Influenza della carica di idrogeno ... 37

1.7.4 Influenza dell’ambiente ... 37

1.7.5 Influenza della resistenza statica a trazione ... 38

1.7.6 Influenza delle tensioni residue ... 39

1.8 Influenza delle condizioni di carico sulla resistenza in VHCF regime ... 40

1.8.1 Influenza della frequenza di carico e del “risk volume” ... 40

1.8.2 Influenza del rapporto di asimmetria e della tipologia di carico... 42

1.8.3 Influenza delle tecniche di prova ... 45

1.9 Prove con ampiezza variabile in VHCF regime ... 46

1.9.1 Influenza di sequenze di carico di ampiezza variabile... 46

1.9.2 Stima della velocità di propagazione della cricca ... 50

(6)

6

PARTE II: Stato dell’Arte delle Macchine a Ultrasuoni ... 57

2.1 Introduzione Parte II ... 59

2.2 Macchina per prove di Trazione-Compressione 𝑹 = −𝟏 ... 63

2.3 Macchina per prove di Flessione ... 69

2.4 Macchina per prove di Trazione con Ampiezza Variabile ... 72

2.5 Macchina per prove a Torsione ... 76

2.5.1 Macchina di prova a torsione indiretta ... 76

2.5.2 Macchina di prova a torsione diretta ... 78

2.6 Macchine per prove con stato biassiale di tensione ... 80

2.6.1 Macchina di prova per Flessione Biassiale ... 80

2.6.2 Macchina di prova per Trazione-Torsione ... 83

2.7 Considerazioni conclusive Parte II ... 91

PARTE III: Studio di macchine a ultrasuoni attraverso FEM ... 93

3.1 Introduzione Parte III... 95

3.2 Studio della macchina per prove di trazione-compressione 𝑹 = −𝟏 ... 96

3.2.1 Geometria di sonotrodo e provino ... 96

3.2.2 Convergenza ... 100

3.2.3 Analisi modale ... 102

3.2.4 Risposta armonica... 104

3.2.5 Confronto dei risultati ottenuti ... 106

3.3 Studio della macchina per prove biassiali ... 107

3.3.1 Geometria di sonotrodo e provino ... 107

3.3.2 Convergenza ... 111

3.3.3 Analisi modale ... 112

3.3.4 Risposta armonica... 115

3.3.5 Confronto dei risultati ... 119

(7)

7

3.3.7 Effetto della variazione della profondità dei due gruppi di cave ... 127

3.3.8 Effetto della variazione della larghezza dei due gruppi di cave ... 133

Considerazioni conclusive del Lavoro di Tesi ... 139

(8)
(9)

9

Sommario

La richiesta di prestazioni sempre più spinte in ambito aerospaziale e industriale di componenti meccanici e l’opportunità di estensione della vita operativa hanno portato alla scoperta di nuovi meccanismi di rottura a fatica, denominata VHCF (Very High Cycle Fatigue). La rottura dei componenti avviene dopo il limite convenzionale di “vita infinita”, convenzionalmente fissato tra 106 e 107 cicli per gli acciai. Per poter

caratterizzare questo fenomeno sono necessarie macchine di prova che riescano a effettuare un numero di cicli anche mille volte superiore a quello standard in tempi ragionevoli. La VHCF è pertanto un campo d’indagine di crescente interesse e rappresenta la nuova frontiera progettuale di molti componenti meccanici.

Questo lavoro di tesi è suddiviso in tre parti.

Inizialmente viene presentato il concetto di VHCF, il metodo di studio, il caratteristico meccanismo di rottura, i risultati attuali ottenuti dai gruppi di ricerca ed infine i fattori che influenzano il fenomeno.

Nella seconda parte viene illustrato lo stato dell’arte delle macchine di prova e delle geometrie di provini attualmente presenti per la caratterizzazione del fenomeno della VHCF.

Infine nella terza parte è affrontato lo studio, attraverso FEM, della condizione operativa di due delle macchine di prova a ultrasuoni discusse nella Parte II. Le simulazioni sono state condotte attraverso ANSYS, mentre per la modellazione dei componenti è stato utilizzato il software CATIA.

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PARTE I

VHCF:

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1.1 Introduzione

Spesso uno dei requisiti più stringenti riguardante il progetto di un componente meccanico è la durabilità. La durabilità consiste nell’attitudine a conservare le caratteristiche fisiche e le proprietà meccaniche originarie. Essa è limitata dall’usura, dalla corrosione, da varie forme di invecchiamento, dal creep e dal fenomeno della fatica.

Con fatica è da intendersi il fenomeno secondo il quale sollecitazioni periodiche tendono a far nucleare e propagare, ciclo dopo ciclo, una o più microfessure in componenti, apparentemente integri, fino a determinarne la frattura completa.

In base al numero di cicli di carico richiesti per arrivare a rottura, è possibile definire tre categorie di fatica:

- fatica a basso numero di cicli (𝑁𝑓 < 104, Low cycle fatigue, LCF);

- fatica ad alto numero di cicli, anche detta megaciclica, (104 < 𝑁

𝑓 < 107, High

cycle fatigue, HCF);

- fatica gigaciclica (𝑁𝑓 > 107, Very High Cycle Fatigue, VHCF) .

Con fatica gigaciclica si intendono i fenomeni di fatica caratterizzati da un ciclaggio del componente superiore a 107 cicli.

Per molti anni, la progettazione di compenti meccanici si è basata su dati di fatica ottenuti sollecitando i provini fino ad un numero massimo di cicli generalmente inferiore a 107 cicli.

Sino dai primi studi condotti da Wöhler e in accordo con la maggior parte delle normative internazionali di prova, si è ammesso che, oltre tale valore di durata, i provini (in particolare quelli in acciaio) fossero in grado di vivere indefinitamente (Fig.1).

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Fig. 1 Tipica curva S-N di un acciaio in HCF

Tale idealizzazione è stata però posta in forte discussione dai risultati sperimentali ottenuti da alcuni gruppi di ricerca. Uno dei pionieri di tale concetto è il Professor Claude Bathias [1].

L’esperienza ha dimostrato che andando oltre tale limite si assiste comunque a rottura. Infatti, è stato osservato che la resistenza a fatica effettiva nel dominio gigaciclico, ottenuta per via sperimentale, è spesso inferiore al limite di fatica ottenibile spostandosi di 3.2 deviazioni standard.

Ne consegue che le tecniche di progettazione per durate molto elevate devono essere riviste e per far ciò l’unica strada percorribile è quella sperimentale.

In effetti, la crescente richiesta di componenti meccanici con durate ampiamente superiori ai 107 cicli, come ad esempio componenti di treni ad alta velocità e di motori

aeronautici, e il forte interesse per la caratterizzazione del comportamento dei materiali per numeri di cicli di affaticamento superiori a quelli generalmente esaminati hanno portato allo sviluppo e alla diffusione di macchine di prova in grado raggiungere 1010

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1.2 Metodo di studio del fenomeno

La necessità tipica di alcuni settori dell’industria manifatturiera di realizzare componenti strutturali caratterizzati da una vita a fatica sempre maggiore, finanche a 10 miliardi di cicli, ha richiesto lo sviluppo di metodologie sperimentali per lo studio e la valutazione delle proprietà meccaniche dei materiali adeguate dal punto di vista dell’impiego temporale ed economico.

Le attrezzature sperimentali utilizzate nelle prove di fatica convenzionali (HCF), le quali lavorano generalmente nel range dei 10-100 Hz, richiederebbero tempi di prova troppo elevati.

Una soluzione comunemente adottata è quella di aumentare la frequenza del ciclo di sollecitazione realizzando attrezzature di prova operanti in condizioni di risonanza in grado di raggiungere frequenza pari a 20 kHz; da cui la denominazione classica di macchine a ultrasuoni [3],[4]. La prima macchina ad ultrasuoni con frequenza di lavoro di 20 kHz fu sviluppata da Mason nel 1950. Successivamente furono disegnate anche macchine ad ultrasuoni in grado di raggiungere frequenze ancora più elevate, per esempio 92 kHz (Girard, 1959) e 199 kHz (Kikukawa, 1965), tuttavia ancor oggi tutte le macchine a ultrasuoni sono progettate per lavorare a 20 kHz. Il motivo per il quale non è conveniente passare a frequenze troppo elevate sarà chiaro alla fine del capitolo dopo aver introdotto alcune relazioni derivanti dalla teoria delle onde.

Per dare un’idea dei notevoli vantaggi temporali introdotti dalle machine a ultrasuoni rispetto ad una macchina di prova convenzionale, sono riportati in Tab.1 i tempi impiegati dalle due tipologie di macchina per raggiungere un determinato numero di cicli di carico, assumendo rispettivamente come frequenze di lavoro 20 kHz e 100 Hz.

Numero cicli di carico Macchina convenzionale (100 Hz) Macchina a ultrasuoni (20 kHz) 10^7 27.77 ore 9 minuti 10^8 277.77 (11.5 giorni) 1.38 ore 10^9 115 giorni 14 ore 10^10 3 anni 6 giorni

Tab. 1 Confronto dei tempi di prova necessari per le due tipologie di macchina di prova per

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Il principio base di funzionamento delle macchine a ultrasuoni è quello di produrre una vibrazione stabile in condizioni di risonanza all’interno del provino, perciò il fenomeno fisico di base è quello della trasmissione delle onde sonore in un mezzo.

Generalmente, il funzionamento di queste tipologie di macchina è ottenuto attraverso un generatore elettrico di ultrasuoni in serie ad un traduttore piezoelettrico, il quale trasforma l’oscillazione elettrica in oscillazione meccanica di pari frequenza. Quest’ultimo è collegato ad un sonotrodo, un elemento che ha il compito di amplificare l’oscillazione che altrimenti sarebbe troppo piccola per danneggiare il provino, a cui a sua volta è collegato il provino. (Maggiori dettagli delle macchine a ultrasuoni esistenti, dei loro componenti e del loro funzionamento saranno illustrati nella seconda parte della Tesi).

Perciò se gli elementi costituenti il sistema vibrante presentano tutti la stessa frequenza naturale (20 kHz), è possibile ottenere una vibrazione di elevata ampiezza con poca energia e un’onda stabile all’interno del sistema.

Per una migliore comprensione del fenomeno, sono richiamati alcuni concetti della teoria delle onde. Andando a scrivere l’equazione delle onde in un materiale elastico a sezione variabile ed assumendo le seguenti ipotesi:

- metallo omogeneo e isotropo; - metallo in dominio elastico;

- onda longitudinale, ovvero il problema può essere pensato unidimensionale (ipotesi verificata da Bathias [4]);

si ottiene la seguente equazione:

𝜌𝑆(𝑥)𝜕2𝑢(𝑥,𝑡)𝜕𝑡2 +𝜕𝑥𝜕 (𝐸𝑑𝑆(𝑥)𝜕𝑢(𝑥,𝑡)𝜕𝑥 ) = 0 (1)

dove 𝜌 densità del materiale, 𝐸𝑑 è il modulo di Young dinamico, 𝑆(𝑥) la sezione del materiale lungo la coordinata assiale 𝑥 e 𝑢(𝑥, 𝑡) il relativo spostamento, funzione in generale anche del tempo. La soluzione di tale equazione alle derivate parziali è un’onda stazionaria 𝑈(𝑥) che soddisfa la seguente equazione:

(17)

17 𝑈′′(𝑥) +𝑆′(𝑥)

𝑆(𝑥) 𝑈′(𝑥) + (2𝜋𝑓√𝜌 𝐸⁄ )𝑑 2

𝑈(𝑥) = 0 (2)

dove 𝑓 la frequenza di risonanza voluta. Questa espressione ha soluzione chiusa solamente per geometrie semplici (cilindro, tronco di cono, iperbole) e in prima approssimazione può essere usata sia per il calcolo dello stato di tensione di sonotrodo e provino, sia per il calcolo del fattore di amplificazione dell’ampiezza di oscillazione dato dal sonotrodo, nel caso di configurazioni del problema semplice ovvero considerando provino isolato e sonotrodo isolato. Infatti, il collegamento dei due non solo cambia le condizioni al contorno ma anche la frequenza di risonanza del sistema.

Dalla teoria delle onde, sotto le ipotesi sopra introdotte, è possibile ricavare la seguente espressione che lega la prima frequenza naturale 𝑓 e la lunghezza 𝑙 del provino:

𝑙 =2𝑓1 √𝐸𝑑

𝜌 (3)

Il legame inversamente proporzionale che sussiste fra queste due grandezze permette di capire come mai non sia possibile aumentare liberamente la frequenza di lavoro delle macchine a ultrasuoni.

Per esempio, nel caso di un provino in acciaio di sezione uniforme con 𝐸 = 200 𝐺𝑃𝑎, 𝜌 = 7800 𝑘𝑔 𝑚 3, si ottiene i risultati riportati in Tab.2.

𝑙 ≃2.5∙10𝑓 6 𝑚𝑚 (4)

𝑓 [𝑘𝐻𝑧] 𝑙 [𝑚𝑚]

20 127

92 27.5

199 13.2

Tab. 2 Confronto delle diverse lunghezze che deve assumere il provino per raggiungere la

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Le ultime due lunghezze ottenute portano a difficolta di lavorazioni alle macchine utensili, di misura degli spostamenti, di misura delle deformazioni, e soprattutto di dissipazione del calore generato internamente al provino durante la prova.

Si fa notare inoltre che nelle prove di fatica convenzionale la frequenza è imposta dal carico esterno generato dalla macchina di prova, che differisce dalla frequenza naturale del provino. In altre parole, il provino è in vibrazione forzata. Mentre nelle prove di fatica effettuate con macchina a ultrasuoni, la frequenza esterna del carico generato dalla macchina deve essere pari ad una delle frequenze naturali del sistema sonotrodo-provino. Il provino è in condizioni di risonanza [4] .

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1.3 Meccanismo di rottura in VHCF regime

È noto che la rottura per fatica è il risultato di due meccanismi: l’innesco e la propagazione di una cricca. Generalmente, gli ingegneri operano trattamenti superficiali per aumentare la resistenza a fatica in quanto solitamente, in HCF, l’innesco della cricca si manifesta sulla superficie del componente. Al contempo il volume di materiale interno deve rimanere duttile per offrire una migliore resistenza alla propagazione della cricca.

Tuttavia, nel VHCF regime, la maggior parte delle cricche si innescano all’interno del componente. Sembra che i cicli di deformazione plastica sulla superficie (stato piano di tensione) siano così ridotti che il sito di nucleazione delle cricche si sposti altrove.

Inoltre, è necessario specificare che tutte le osservazioni che sono affrontate nel seguente paragrafo sono da ritenersi valide solamente per gli acciai alto-resistenziali (“high strength steels”, tensione di rottura superiore ai 1100 Mpa), mentre è osservato [15] che per gli acciai convenzionali l’innesco delle cricche, in VHCF regime, è sempre superficiale. Le cause d’innesco sono identiche a quelle HCF, ovvero sono legate al moto delle dislocazioni.

Adesso i difetti interni giocano un ruolo chiave; è perciò ridotta, in particolare per rugosità superficiali molto basse ed in assenza di ambiente aggressivo, l’importanza della superficie.

In accordo con Grad and Kerscher [5], il ruolo critico dei difetti interni nella VHCF, rispetto ai difetti superficiali, è legato alla riduzione del rateo di propagazione delle cricche superficiali rispetto a quello dei difetti situati internamente al componente. I siti d’innesco possono essere in corrispondenza d’inclusioni, di “supergrain” (mancanze di omogeneità microstrutturale) e di porosità. Nelle Fig.2, Fig.3 e Fig.4 sono riportate delle foto, ottenute attraverso microscopio elettronico (SEM), illustranti le tre diverse cause d’innesco [6].

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Fig. 2 Sito d’innesco di una cricca con un’inclusione nella ODA. (bearing steel 100Cr6, 𝝈𝒚=

𝟏𝟑𝟎𝟎 𝑴𝑷𝒂) (SEM)

Fig. 3 Sito d’innesco di una cricca con un “supergrain” nella ODA. (bearing steel 100Cr6, 𝝈𝒚=

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Fig. 4 Sito d’innesco di una cricca con una porosità nella ODA. (Al-Si-Cu Alloy) (SEM)

Quando il sito di nucleazione della cricca è interno, la superficie di rottura appare completamente diversa da quella che ci si aspetterebbe nel caso di rottura per fatica in HCF. Dovuto alla particolare forma assunta dalle zone d’innesco e di propagazione, si parla di formazioni di “fish-eye”. Con fish-eye è da intendersi la porzione di superficie di frattura interessata dalla zona d’innesco e di propagazione della cricca.

In quasi tutti i casi fino ad oggi osservati il fish-eye appare circolare con un’”area

scura” (dark area) al centro, all’interno della quale è presente il sito di innesco della

cricca.

Su scala macroscopica il fish-eye appare bianco, mentre la restante porzione della sezione di rottura appare grigia. Un esempio di fish-eye è osservabile in Fig.5, riportata da Huang e collaboratori [6].

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Fig. 5 Tipica superficie di frattura in VHCF regime osservabile attraverso microscopio ottico. (bearing

steel 100Cr6, 𝝈𝒚= 𝟔𝟎𝟎 𝑴𝑷𝒂)

Il dibattito sulle origini della dark aera è ancora aperto tutt’oggi. In letteratura è possibile trovarla sotto ben tre nomi diversi, attribuitili dai diversi ricercatori che ne hanno affrontato lo studio: “optically dark area” (ODA) da Murakami [7],“fine

granular area” (FGA) da Sakai [8], “granular bright facet” (GBF) da Shiozawa [9].

Molte spiegazioni sono state proposte. Secondo Murakami, il meccanismo di formazione della ODA è legato alla creazione di microfratture per fatica causate da cicli di stress accoppiati con idrogeno intrappolato nelle inclusioni non metalliche; ed una volta raggiunto il ΔK𝑡ℎ del materiale, la cricca può propagare anche in assenza di idrogeno. Secondo Sakai, il meccanismo di formazione della FGA è dovuto ad un’intensiva ricristallizzazione indotta attorno all’inclusione, seguita da micro-distaccamenti, i quali possono coalescere, pordando alla FGA. Infine Shiozawa e collaborati propongono che la formazione della GBF è legata alla frattura del contatto fra carburi e matrice.

Tuttavia c’è comune accordo da parte di tutti i ricercatori nell’ambito della fatica gigaciclica che la crescita della cricca, dalla ODA fino a rottura, possa essere descritta attraverso la legge di Paris.

Attraverso l’integrazione della legge di Paris, è possibile predire il numero di cicli necessari alla crescita del fish-eye ed ottenere per sottrazione il numero di cicli necessario alla formazione della ODA. Tuttavia, per quanto riguarda il numero di cicli

(23)

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necessari all’innesco, ovvero la formazione della ODA, molti modelli sono stati proposti, più o meno soddisfacenti. Quello di maggior successo è attributo a Wagner [10], il quale propone un approccio termo-meccanico, andando a registrare la temperatura superficiale del provino durante il test.

I risultati, sperimentali e matematici, confermano che nel dominio gigaciclico più del 90% della vita del provino è spesa per la formazione della ODA. Quest’ultimo risultato è in accordo con quanto avviene nella fatica convenzionale; infatti nella HCF la maggior parte della vita per fatica è spesa durante la propagazione della cricca, mentre la frazione di vita spesa durante l’innesco è solitamente molto minore.

Recentemente, Pineau e Forest [11] hanno mostrato che le deformazioni plastiche, introdotte ciclo dopo ciclo, attorno alle inclusioni sono molto dipendenti sia dalle differenze di proprietà elastiche di matrice e inclusione sia dalle tensioni residue attorno all’inclusione dovute ai differenti coefficienti di dilatazione termica dell’inclusione e della matrice.

Mughrabi [12] propone di classificare tutti i materiali caratterizzati da difetti interni come del “Tipo 2”, mentre i materiali e le leghe pure del “Tipo 1”.

Secondo Mughrabi l’innesco di cricche, in materiali del Tipo 1, è nuovamente superficiale, ed è legato all’interazione delle dislocazioni che come nella HCF, ciclo dopo ciclo, portano alla formazione di scorrimenti plastici. Questi scorrimenti continuano fino a che il fattore di concentrazione degli sforzi è tale da innescare la cricca.

Recentemente, Stanzl Tschegg [13] ha mostrato rotture di fatica in VHCF con siti d’innesco interni anche per materiali del Tipo 1. Questa tipologia di rottura è stata osservata in acciai multifase bainite-martensite e acciai multifase ferrite-martensite. La cricca non inizia dalle inclusioni ma all’interno della matrice. Chai [14], studiando un acciaio multifase ferrite-martensite, ha riportato questo fenomeno con il nome di SNDFCO (subsurface non-defect fatigue crack origins). Secondo Chai, il fenomeno del SNDFCO è un processo di danneggiamento del materiale caratterizzato da deformazioni plastiche cicliche della fase più dolce (come ferrite o austenite) dovute alle diverse deformazioni delle due fasi.

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Perciò, per quanto riguarda materiali del Tipo 1 e materiali multifase, la complessità della microstruttura (in termini di anisotropia elastica dei grani, di tensioni di snervamento e comportamento ciclico differenti per ogni fase, di morfologia dei grani) è fortemente legata al meccanismo di innesco e di propagazione delle cricche che portano alla formazione dell’ODA, dette anche “short cracks”.

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1.4 Analisi cristallografica della superficie di frattura

È interessante osservare che qualsiasi sia il sito d’innesco della cricca (inclusione, porosità, supergrain), la superficie di frattura alla fine diventa circolare, detta appunto

“penny-shaped”, attorno al sito d’innesco [6]. Ad esempio, la “penny-shaped zone”

relativa alla cricca nucleatasi in corrispondenza di un supergrain, come riportato in

Fig.3, è osservabile in Fig.6.

Fig. 6 Penny-shaped zone corrispondente alla Fig.3.

Quanto appena osservato è estendibile anche nel caso d’innesco in corrispondenza d’inclusioni e porosità. Qualsiasi sia la forma iniziale del difetto, in seguito ad una breve propagazione, la cricca assume una forma circolare, in accordo con il modello di predizione sviluppato da Wagner (Fig.7).

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Fig. 7 Osservazione al microscopio ottico della penny-shaped zone della superficie di frattura di un

acciaio C-Mn.

Generalmente, alla fine della penny-shaped area c’è una zona di transizione caratterizzata da piccole creste radiali concentriche. Oltre tale zona di transizione è possibile osservare delle creste di maggiori dimensioni; in letteratura quest’ultima zona è detta “large radial ridges zone”.

Perciò il fish-eye è composto dalla ODA, dalla penny-shaped, da una zona di transizione e dalla large radial ridges zone. Un schematizzazione esplicativa è riportata in Fig.8.

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Fig. 8 Identificazione delle diverse zone di propagazione di una cricca in VHCF regime.

Dove 𝑎𝑖𝑛𝑡 è il raggio del difetto causante l’innesco della cricca, 𝑎0 è il raggio della

ODA, 𝑎𝑖−1 è il raggio della penny-shaped zone, 𝑎𝑖−2 è la fine della zona di transizione, ed infine 𝑎 è la dimensione del fish-eye.

Valori tipici di tali grandezze [6]: • 7 𝜇𝑚 < 𝑎𝑖𝑛𝑡 < 19 𝜇𝑚;

• 15 𝜇𝑚 < 𝑎0 < 25 𝜇𝑚; • 30 𝜇𝑚 < 𝑎𝑖−1 < 70 𝜇𝑚; • 40 𝜇𝑚 < 𝑎𝑖−2 < 140 𝜇𝑚.

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La dimensione 𝑎0 (ODA) è la più difficile da misurare. L’incertezza sul valore misurato di 𝑎0 è del 15%, mentre per la dispersione su 𝑎𝑖−1 e su 𝑎𝑖−2 è del 10%.

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1.5 Curve S-N degli acciai

Per molti anni, la progettazione di compenti meccanici si è basata su dati di fatica ottenuti sollecitando i provini fino ad un numero massimo di cicli generalmente inferiore a 107 cicli.

Data la tendenza ad un asintoto orizzontale della curva di Wohler, nel caso di acciai, fu accettato il concetto di “limite di fatica”: carico alternato sotto il quale non è possibile la rottura per fatica (Fig.1). L’esperienza ha dimostrato che andando oltre tale limite si assiste comunque a rottura.

Negli ultimi trenta anni sono state così sviluppate macchine a ultrasuoni ed ottenuti molti risultati sperimentali. Una prima descrizione delle curve S-N degli acciai può essere data in relazione alla loro “forma”. Perciò, nel seguito, distingueremo fra acciai alto-resistenziali e acciai convenzionali.

Infatti, le curve S-N di alcuni acciai convenzionali possono mostrare un asintoto orizzontale, analogamente al limite di fatica della HCF, concludendo la prova (𝑁𝑓 =

1010) senza rottura. Ciò nonostante, non è possibile garantire che prolungando la prova

a 1011 cicli non si manifesti la rottura. Mentre, le curve S-N degli acciai alto-resistenziali non presentano un chiaro asintoto orizzontale; alla fine, aumentando il numero di cicli, si manifesta sempre la rottura.

1.5.1 Acciai alto-resistenziali

In accordo con molte prove condotte in regime gigaciclico, le curve S-N degli acciai alto-resistenziali sono caratterizzate da due ginocchi. Una prima parte decrescente fino a circa 105 cicli, un tratto costante, ed infine oltre i 107 cicli una seconda parte decrescente [16] (Fig.9).

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Fig. 9 Doppio andamento della curva S-N del JIS SUJ2 (acciaio alto-resistenziale) ottenuta nel caso

di flessione rotante, R=-1, 52 Hz.

Tale andamento caratteristico delle curve S-N è attribuibile ai differenti meccanismi d’innesco a cui può essere soggetto un provino liscio (“Smooth specimen”). Infatti, il primo tratto è caratterizzato da cricche nucleate superficialmente, mentre le superfici di frattura del secondo tratto decrescente presentato l’innesco internamente al materiale ed il caratteristico fish-eye. Invece, il tratto orizzontale rappresenta una tensione di transizione per la quale l’innesco della cricca si sposta dalla superficie all’interno del provino. Questo tratto orizzontale non è altro che il classico limite di fatica idealizzato quando ancora non venivano condotte prove in regime gigaciclico.

Ovviamente quanto detto è valido solamente per provini lisci. Nel caso provini intagliati o quando la rugosità superficiale è elevata, pochi provini superano i 107 cicli.

In generale, per acciai alto-resistenziali sottoposti a prove di tensione-compressione a 20 kHz, il limite convenzionale di vita infinita, in termini di tensione alternata equivalente, varia dai 600 ai 1000 MPa, a seconda del trattamento termico a cui è sottoposto il materiale.

Infine, diversi studi [1] mostrano che per gli acciai alto-resistenziali il calo della resistenza a fatica, passando da 106 a 109 cicli, può calare dai 50 ai 200 MPa.

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1.5.2 Acciai convenzionali

Molti studi hanno osservato che nel caso di acciai convenzionali (tensione massima di rottura inferiore ai 1100 MPa), l’innesco di cricche per fatica si manifesta principalmente in prossimità della superficie del provino e tipicamente le curve S-N presentano un asintoto orizzontale[16] (Fig.10). Adesso la differenza del limite di fatica

ai 106 cicli ed ai 109 cicli è inferiore ai 50 Mpa, e perciò ricade all’interno della tipica

dispersione dei dati sperimentali [17].

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1.6 Curve S-N delle leghe non ferrose

In VHCF regime, le leghe di titanio presentano un comportamento analogo agli acciai. Per esempio, in Fig.11 sono riportate le curve S-N, ottenute con prove fino a 109 cicli, a

20 kHz, 300 K e R=-1, della lega forgiata Ti6246 per tre differenti trattamenti termici [18].

Fig. 11 Curve S-N della lega Ti6246 al variare del trattamento termico, a 20 kHz, R=-1, T=300 K.

Osservando tali curve, possono essere fatte seguenti osservazioni:

• In alcuni casi non si manifesta rottura nemmeno raggiungendo i 109 cicli;

• Non esiste il limite di fatica;

• La resistenza a fatica a 109 cicli è molto inferiore, dai 100 MPa ai 200 MPa,

della resistenza a fatica a 106 cicli;

• I processi di forgiatura e la microstruttura hanno una notevole influenza sulla resistenza in VHCF regime, infatti, la resistenza a fatica a 109 cicli varia dai 325

MPa ai 490 MPa.

Le leghe di nickel sono utilizzate nei motori a turbina e perciò devono essere caratterizzate nel VHCF regime. Esse non sono esenti dalla rottura per fatica ed al netto calo della resistenza a fatica passando dal HCF regime al VHCF regime [19]. Nel caso della lega Udimet 500 è possibile notare un calo di 200 MPa della resistenza a fatica, passando da 106 cicli a 109 cicli, come riportato in Fig.12.

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Fig. 12 Curva S-N della lega Udimet 500 fra 10^5 e 10^10 cicli, R=-1.

È interessante notare la lieve influenza delle frequenza sulla resistenza del Udimet 500. Comunque, come atteso, la resistenza a fatica aumenta all’aumentare della frequenza dei cicli di carico.

Infine, anche le leghe di alluminio presentano rotture in VHCF regime [3], manifestando differenze anche di 100 Mpa fra la resistenza a fatica a 106 cicli e quella a

109 cicli (Fig.13).

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1.7 Influenza delle caratteristiche meccaniche e microstrutturali sulla

resistenza in VHCF regime

In questa sezione è discussa l’influenza delle caratteristiche meccaniche e microstrutturali sulla resistenza a fatica in VHCF regime. I fattori presi in considerazione e che saranno discussi sono i seguenti:

• microstruttura;

• dimensione, tipologia e profondità dell’inclusione; • carica d’idrogeno;

• ambiente;

• resistenza a rottura in trazione; • tensioni residue.

1.7.1 Influenza della microstruttura

Nel dominio dell’HCF è noto che la microstruttura ha notevole influenza sulla resistenza a fatica. Infatti, generalmente gli ingegneri operano opportuni trattamenti al fine di ottenere un’elevata resistenza sulla superficie e conservare la tenacità all’interno del componente.

Dovuto al fatto che nel dominio dell’HCF le cricche nucleano dalla superficie, aumentando la resistenza della superficie del componente, a parità di vita, è possibile incrementare la resistenza a fatica. Al contempo, conservando la tenacità all’interno del componente, è garantita un’adeguata resistenza alla propagazione delle cricche.

Molti studi indicano che anche nel dominio della VHCF la microstruttura ha notevole influenza sulla resistenza a fatica del provino. A titolo di esempio, l’influenza della microstruttura risulta evidente dallo studio condotto da Bach e collaboratori [20] su tre acciai con differente rapporto perlite-ferrite. Infatti, lo studio mostra che aumentando il contenuto di perlite le curve S-N traslano verso vite maggiori (Fig.14).

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Fig. 14 Effetto sulle curve S-N dell’aumento del contenuto di perlite dal C15E al C60E nel caso di

prove tensione-compressione, R=-1, 20 kHz.

Tuttavia, nel dominio gigaciclico, nel quale l’innesco delle cricche ha spesso luogo all’interno del componente, i trattamenti superficiali rivestono un ruolo secondario.

Perdipiù, l’elevata frequenza di applicazione del carico, tipica delle macchine ad ultrasuoni, può complicare l’interpretazione dei risultati sperimentali. Infatti, un provino caricato a 20 kHz può presentare un aumento di temperatura, e conseguentemente, questo può influenzare la stabilità delle differenti fasi costituenti la microstruttura [21]. In generale, l’aumento di temperatura ha un notevole effetto sulla forma e sulla dispersione delle curve S-N, come mostrato da Bathias [22]. Ad oggi, ulteriori studi risultano dunque necessari per una migliore comprensione del legame esistente fra l’aumento di temperatura e la resistenza fatica degli acciai.

Per giunta, recentemente è stato osservato che la microstruttura può andare incontro a trasformazioni di fase anche se la temperatura non eccede i 60°C. Infatti, per esempio, in un acciaio multifase austenite-martensite, come riportato da Gao e collaboratori [23] l’austenite può trasformarsi in martensite in seguito a locali deformazioni plastiche presenti durante i cicli di carico. Tale trasformazione di fase, come mostrato da Zhao e collaboratori [24] può portare al “distaccamento”, dell’originaria austenite trasformata in martensite, dalla circostante martensite e quindi rappresentare una causa d’innesco di micro-cricche. Perciò l’instabilità della microstruttura, sottoposta a cicli di carico, non è esclusivamente governata dall’aumento di temperatura. Tutto ciò rende ancora più

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complessa la comprensione del legame esistente fra microstruttura e resistenza a fatica in VHCF regime. Ulteriori prove sperimentali sono dunque necessarie.

1.7.2 Influenza della dimensione, tipologia e profondità dell’inclusione

Nel regime gigaciclico, gli acciai alto-resistenziali mostrano tipicamente una superficie di frattura con il caratteristico fish-eye.

Murakami e collaboratori [25] hanno trovato una relazione empirica che lega la resistenza a fatica 𝜎𝑤, per acciai alto-resistenziali, alla durezza Vickers della matrice

(𝐻𝑉), alle dimensioni dell’inclusione, al rapporto di asimmetria (𝑅=rapporto fra la tensione minima e la tensione massima del ciclo di carico) e al numero di cicli (𝑁𝑓). Tale relazione è la seguente:

𝜎𝑤 =𝛽 (𝐻𝑉+120)(√𝑎𝑟𝑒𝑎)1/6 [

(1−𝑅) 2 ]

𝛼

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dove la costante 𝛼 = 0.226 + 𝐻𝑉 ∙ 10−4, mentre 𝛽 = 3.09 − 0.12 𝑙𝑜𝑔 𝑁

𝑓 oppure

𝛽 = 2.79 − 0.108 𝑙𝑜𝑔 𝑁𝑓 rispettivamente per inclusioni interne o inclusioni e difetti superficiali. Mentre √𝑎𝑟𝑒𝑎 è espressa in 𝜇𝑚 e rappresenta la dimensione dell’inclusione misurata all’origine della frattura sul piano perpendicolare alla massima tensione principale. La 𝐻𝑉 è espressa in 𝑘𝑔/𝑚𝑚2.

Murakami mette perciò in evidenza come una riduzione delle dimensioni e ampiezza della distribuzione delle inclusioni e dei difetti, risulti fondamentale per aumentare la resistenza delle leghe metalliche nel regime della VHCF.

D’altro canto, diversi ricercatori [26],[27] hanno osservato che la vita operativa attesa dipende maggiormente dalle dimensioni della FGA attorno all’inclusione, quando quest’ultima esiste, piuttosto che dalle dimensioni dell’inclusione stessa.

Tuttavia, secondo quanto ottenuto dai risultati sperimentali condotti fino ad oggi, può considerarsi vera la regola generale secondo la quale al diminuire delle dimensioni del difetto corrisponde, a parità di vita, un aumento della resistenza in VHCF.

Inoltre, altri ricercatori [28] hanno evidenziato che nel caso in cui il diametro delle inclusioni all’interno del materiale abbia una ridotta dispersione, la vita a fatica dipende

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principalmente dalla profondità dell’inclusione dalla superficie. In particolare, il numero di cicli necessari per arrivare a rottura aumenta all’aumentare della profondità delle inclusioni.

Infine, secondo Furuya [29] gli acciai con inclusioni minori di una certa dimensione soglia, che nello studio affrontato da Furuya risulta di 15 𝜇𝑚, la resistenza a fatica in VHCF, a parità di vita, dipende anche dalla tipologia di inclusione, ovvero dalla sua natura chimica.

1.7.3 Influenza della carica di idrogeno

Come precedentemente detto nella sezione 1.3, per gli acciai alto-resistenziali, l’idrogeno è una delle possibili cause della formazione di FGA. Infatti, l’idrogeno intrappolato nelle inclusioni può amplificare il rateo di crescita delle micro-cricche formatesi attorno all’inclusione.

Dati sperimentali [30] evidenziano che i provini contenenti idrogeno presentano una resistenza a fatica inferiore ai provini senza contenuto di idrogeno, in particolare questa diminuzione di resistenza è tanto maggiore quanto più è elevata la quantità di idrogeno intrappolata nelle inclusioni.

1.7.4 Influenza dell’ambiente

In letteratura sono presenti molti studi riguardanti l’influenza dell’ambiente sulla resistenza in VHCF delle leghe metalliche. I primi studi in questo senso furono svolti da Endo e Ebara. Per primi evidenziarono come la corrosione localizzata, come la vaiolatura (“pitting”), potesse significativamente alterare la resistenza a fatica in regime gigaciclico persino in prove condotte a frequenza ultrasonica. In particolare, la resistenza a fatica in presenza di un ambiente corrosivo tende a diminuire [31]. Inoltre, in presenza di ambiente chimicamente aggressivo, l’innesco delle cricche tende a spostarsi in corrispondenza delle cavità generatesi per corrosione, i “pits”; ovvero sulla superficie del provino. Tale fenomenologia è possibile spiegarla considerando un’interazione fra le micro-plasticizzazioni cicliche presenti sulla superficie del provino e gli agenti corrosivi.

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1.7.5 Influenza della resistenza statica a trazione

Molti esperimenti sono stati condotti per cercare di capire il legame che sussiste fra la resistenza a fatica nel VHCF regime e la resistenza a rottura.

A partire dai risultati sperimentali, sono stati perciò costruiti dei diagrammi che riportano rispettivamente tali grandezze in ascisse ed ordinate. Un esempio di quando detto è riportato in Fig.15.

Fig. 15 Valore medio della resistenza a fatica a 𝟏𝟎𝟗cicli vs tensione di rottura a trazione, ottenuto

per un provino in acciaio sottoposto a trazione-compressione, R=-1, 20 kHz. La linea continua è il valore medio, mentre le due linee tratteggiate rappresentano i confini dell’intervallo all’interno del quale sono contenuti il 68% dei dati sperimentali.

Considerando i dati sperimentali ottenuti fino ad oggi, nel caso di acciai alto-resistenziali (𝑅𝑚 > 1100 MPa), una relazione empirica che lega la tensione di rottura al valore medio della resistenza a fatica a 109 cicli, può essere ricavata. Tale relazione,

proposta da Brand e collaboratori [32], è la seguente:

log(𝜎𝑎) = 6.0461 ∙ 10−5 𝑅

𝑚+ 2.77 (𝑅𝑚 > 1100 𝑀𝑃𝑎) (6)

dalla quale si evince che all’aumentare della tensione di snervamento si manifesta anche un aumento di resistenza a fatica.

Comunque, considerando l’elevata dispersione dei risultati sperimentali, tale relazione deve essere utilizzata con molta cautela. Infatti, a causa della complessità dei

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meccanismi responsabili della rottura in VHCF regime degli acciai, una semplice relazione non è in grado di garantire un valore affidabile della resistenza a fatica.

1.7.6 Influenza delle tensioni residue

Nel HCF regime, le tensioni residue sono viste come tensioni medie, il cui effetto sulla resistenza a fatica è riassunto nel diagramma di Haigh: una tensione media di tensione riduce la resistenza a fatica mentre una tensione media di compressione aumenta la resistenza a fatica. In generale, in HCF regime, gli ingegneri cercano di indurre tensioni residue di compressione sulla superficie del componente. Tuttavia, nel regime gigaciclico, l’influenza delle tensioni residue sulla resistenza a fatica non è così ovvia. In quanto, l’innesco di cricca non si manifesta solitamente sulla superficie del provino, in particolare per acciai alto-resistenziali caricati assialmente.

Perdipiù, in VHCF regime, le tensioni residue, durante il ciclo di carico, tendono a modificarsi. A tal proposito, si può parlare di rilassamento delle tensioni residue, come riportato da Jeddi, Sidhom e Ghiglione. Infatti, come evidenziato anche da Mayer [33], nel caso di un acciaio per molle VDSiCr sottoposto a pallinatura (“shot peening”) e successivamente sottoposto a cicli di carico di torsione, si verifica un netto calo delle tensioni residue di compressione in seguito all’applicazione di un ciclo di carico di torsione.

Rimane dunque evidente che ulteriori studi devono essere condotti al fine di ottenere una migliore comprensione della stabilità o instabilità delle tensioni residue in seguito all’applicazione di cicli di carico di piccola ampiezza, tipici del VHCF regime, e della loro influenza sulla resistenza a fatica.

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1.8 Influenza delle condizioni di carico sulla resistenza in VHCF

regime

Nel HCF regime, con condizioni di carico sono intesi la tipologia di carico (trazione, torsione e flessione) ed il rapporto di asimmetria del ciclo. Nel caso VHCF regime, la discussione è più complessa e diventa necessario prendere in considerazione anche l’influenza della frequenza del ciclo di carico e delle tecniche di prova.

1.8.1 Influenza della frequenza di carico e del “risk volume”

Ricerche recenti evidenziano che l’influenza della frequenza di carico (“loading

frequency”), quando è presente la formazione di fish-eye, deve essere accoppiata con

l’effetto scala (“size effect”).

Generalmente, le dimensioni dei provini utilizzati nelle prove di fatica gigaciclica differiscono, in termini di dimensioni, da quelli standard utilizzati nelle prove convenzionali di HCF. Tipicamente, i provini utilizzati nelle prove di fatica gigaciclica sono caratterizzati da una forma a clessidra (“hourglass-shaped”) con sezione minima di 3 mm, mentre, nelle prove di fatica convenzionali, i provini hanno un diametro minimo che può variare dai 6 mm ai 12 mm.

Perciò, le due differenti tipologie di prove presentano un diverso volume di materiale interessato da elevate tensioni. La regione interessata da elevate tensioni è nota in letteratura come “risk volume”.

Questa differenza di volume interessato da elevate tensioni, è stata la causa di molte incongruenze registrate fra i risultati ottenuti per via convenzionale e i risultati ottenuti attraverso macchine a ultrasuoni.

Tuttavia, è stato osservato che a parità di “risk volume” è verificata la congruenza dei risultati ottenuti dalle due tipologie di prove, come riportato da Furuya [34] (Fig.16).

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Fig. 16 Confronto risultati di prove di fatica di provini di JIS-SCM440 con quasi uguale risk volume

in tensione-compressione, R=-1, caricati rispettivamente a 20 kHz (ultrasuoni) e 20 Hz (servoidraulica).

Perciò, generalmente, elimindando altri possibili fattori di influenza della resistenza in VHCF (come l’effetto scala, le instabilità della microstruttura, l’aumento della temperatura, e l’ambiente operativo) la resistenza a fatica in regime gigaciclico, nel caso di acciai alto-resistenziali, non è influenzata dalla frequenza di applicazione del carico, ma solamente dalle dimensioni delle inclusioni.

Questo è il motivo per il quale Paolino [35] ha proposto una nuova tipologia di provino da utilizzare nelle macchine a ultrasuoni, chiamata “Gaussian specimen”, con geometria tale da massimizzare, a parità di dimensioni, il risk volume e perciò di aumentare la probabilità di trovare un’inclusione critica.

Tuttavia, per acciai convenzionali, il limite di fatica aumenta all’aumentare della frequenza di applicazione del carico [36],[37].

Una possibile spiegazione di tale fenomenologia è data da Takeuchi [38]. Infatti, propone di considerare che la velocità delle dislocazioni è molto inferire alla velocità del suono e che l’innesco e la propagazione di cricche per fatica è strettamente legato alle deformazioni plastiche locali; perciò, non riuscendo le deformazioni plastiche seguire la variazione di carico, si manifestano cambiamenti delle proprietà a fatica del materiale.

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42

Invece, Lee [39] da un’ulteriore possibile spiegazione di tale fenomeno. Secondo Lee aumentando la frequenza di carico, e di conseguenza il rateo di deformazione, le dislocazioni diminuiscono di dimensioni ed al contempo aumentano di numero. Un aumento della densità delle dislocazioni aumenta il grado di interazione fra le dislocazioni stesse, comportando una riduzione della loro mobilità e perciò un aumento della resistenza del materiale alle deformazioni plastiche cicliche.

Infine, Torabian [40] mostra come, in VHCF regime, nelle leghe metalliche sensibili al fenomeno del’invecchiameto, l’alto rateo di deformazione e l’aumento di temperatura presenti durante le prove possono portare a fenomeni di invecchiamento dinamico

(“dynamic strain aging phenomena”); con conseguente aumento della resistenza a

fatica gigaciclica. In particolare, Torabian osserva che in un acciaio mutifase ferrite-martensite lo strain aging, come risultato dell’aumento di temperatura durate una prova a ultrasuoni, aumenti la resistenza della matrice ferritica. Perciò, la zona plastica all’apice della cricca diminuisce e richiede maggiori livelli di tensione per propagare, portando ad un aumento nella resistenza a fatica per una data ampiezza di carico.

1.8.2 Influenza del rapporto di asimmetria e della tipologia di carico

Diversi studi sono stati condotti al fine di caratterizzare l’influenza di un carico medio sulla resistenza in VHCF regime [41] per rapporti di asimmetria pari a -1, 0.8 e 0.5. Le resistenze a fatica, ottenute per via sperimentale, per probabilità di sopravvivenza del 10%, 50% e 90% sono riportate nel diagramma di Haigh Fig.17 e confrontate con la relazione di Goodman, la parabola di Gerber e la relazione tenente conto della tensione media proposta dalla FKM-guideline [42].

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Fig. 17 Diagramma di Haigh. Confronto fra la resistenza a fatica in VHCF ottenuta per via

sperimentale e la relazione di Goodman, la parabola di Gerber e l’approccio della FKM-guideline.

È possibile osservare che l’effetto della tensione media in VHCF regime è di 0.52, a differenza delllo 0.32 riportato nella FKM-guideline nel caso di fatica convenzionale. Inoltre, come illustrato nella Fig.17, la differenza fra la resistenza a fatica in VHCF regime e HCF regime, determinate con le relazioni riportate nella FKM-guideline rispettivamente per 𝑀 = 0.52 e 𝑀 = 0.32 , aumenta all’aumentare del rapporto di asimmetria, ovvero del carico medio. Mentre per 𝑅 = −1 tale differenza non è così marcata. Quanto detto è osservabile per numeri di cicli a rottura superiori ai 108.

Quindi, in base ai risultati riportati in Fig.17, né la relazione di Goodman, né la parabola di Gerber risultano adatte a rappresentare i dati sperimentali in VHCF. Tuttavia, la relazione proposta dalla FKM guideline, al variare del rappporto di asimmetria R, risulta molto accurata nel caso di 𝑅 = 0 e 𝑅 = −1.

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L’influenza della tipologia di carico (trazione, flessione e torsione) è connessa al gradiente dello stress all’interno del materiale (“stress gradient effect”), poiché quando la tensione non è uniforme, il risk volume può essere sensibilmente ridotto. Un esempio di quando appena detto è riportato in Fig.18.

Fig. 18 Illustrazione schematica dell’influenza della tipologia di carico sul risk volume.

Ad una riduzione del volume di materiale soggetto ad elevate tensione, come riportato da Akiniwa [43], ovvero in mancanza di uniformità di tensione, come nel caso della torsione e della flessione, segue una riduzione della probabilità di trovare un difetto critico.

Perciò è possibile concludere che gli effetti in VHCF regime del carico medio e della tipologia di carico sulla resistenza, sono identici a quelli in HCF regime.

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1.8.3 Influenza delle tecniche di prova

Oltre alla frequenza di applicazione dei cicli di carico, le principali differenze fra le macchine di prova convenzionali ed a ultrasuoni sono le differenti forme dei provini, come già discusso nella sezione 1.8.1, e la possibilità di aumento della temperatura del provino durante la prova a ultrasuoni.

Per evitare un eccessivo aumento della temperatura durante le prove a ultrasuoni, in letteratura sono presenti due differenti tecniche. Una soluzione è quella di raffreddare continuativamente il provino con aria, senza interrompere la prova; si parla a tal proposito di “continuous regime”. L’alternativa è quella di interrompere periodicamente la prova in modo tale da dare tempo al provino per raffreddarsi; tale tecnica è nota in letteratura come “pulse and pause technique”. Generalmente, la lunghezza temporale della pulsazione varia fra i 25 e i 100 millisecondi (500 – 2000 cicli) e la pausa tra i 25 e i 1000 millisecondi; a seconda dello smorzamento del materiale costituente il provino.

Attualmente non sono ancora stati condotti studi che vanno a confrontare l’influenza delle due tipologie di prova a ultrasuoni sulla resistenza a fatica in VHCF regime per uno stesso acciaio. Comunque, dai risultati presenti in letteratura [17],[21],[38] , è chiaro che l’aumento di temperatura comporta lo sviluppo di deformazioni plastiche in alcune zone dei provini, e che tali deformazioni plastiche risultano essere necessari precursori di un rapido invecchiamento.

Si fa notare inoltre che anche se la tensione ciclica fosse interrotta subito dopo un picco di temperatura, come nella pulse and pause technique, l’invecchiamento continuerebbe anche durante il periodo di riposo. Perciò, nel caso di materiali sensibili al fenomeno del

dynamic strain aging, particolari considerazioni devono essere fatte quando i risultati

sono ottenuti utilizzando una macchina ad ultrasuoni, anche nel caso di pulse and pause

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46

1.9 Prove con ampiezza variabile in VHCF regime

La maggior parte delle indagini svolte fino ad oggi sono state condotte con cicli di carico di ampiezza costante (CA). Tuttavia i componenti durante l’assemblaggio, il trasporto e la vita operativa, sono soggetti a carichi di ampiezza variabile con differenti tensioni medie. Risulta dunque necessario caratterizzare il comportamento dei materiali in VHCF regime in presenza di storie di carico di ampiezza variabile (VA).

Recentemente è stata sviluppata dal BOKU (Vienna) una macchina a ultrasuoni in grado di applicare più blocchi di cicli di carico, dove ogni blocco è caratterizzato in ampiezza e durata, in modo da realizzare prove VA. L’unica limitazione di tale macchina a ultrasuoni è legata all’impossibilità di applicare singoli sovraccarichi e perciò di riprodurre l’effettiva storia di carico; la ragione di tale limitazione sarà discussa nella seconda parte del presente lavoro di tesi. Tuttavia tale macchina presenta un apposito algoritmo per ovviare a tale inconveniente, infatti tale algoritmo permette di creare una sequenza di blocchi di carico di uguale severità dell’effettivo spettro di carico a cui sarà soggetto il componente.

1.9.1 Influenza di sequenze di carico di ampiezza variabile

Al fine di investigare l’influenza dei carichi di ampiezza variabile ed in particolare dei carichi al disotto della resistenza a fatica ottenuta per un determinato numero di cicli nelle prove CA, sono stati condotti diversi esperimenti [41] in cui la storia di carico è composta da sequenze ripetute di due blocchi di carico (“two-step block loading”),

Fig.19(a).

Fig. 19 Sequenze di ampiezza variabile investigate. (a) two-step block loading. (b) Felix, R=-1. (c)

WISPER, R=0.

Dove il livello di carico 𝜎̅𝑎𝑖 dei blocchi più gravosi (“High blocks”) è esprimibile in relazione alla resistenza a fatica 𝜎𝐷, ottenuta per un determinato numero di cicli nelle

(47)

47 𝑅𝐻𝐿 =𝜎̅𝜎𝑎𝑖

𝐷 (7) Mentre generalmente il livello di carico dei blocchi meno gravosi (“Low blocks”) è uguale al 90% della resistenza a fatica 𝜎𝐷.

In queste prove, oltre al rapporto delle ampiezze dei cicli di carico, è presente un secondo parametro, ovvero la lunghezza 𝑛2 dei blocchi meno gravosi. Tale lunghezza è

esprimibile attraverso il seguente rapporto:

𝑅𝐵𝐿 =𝑛2

𝑛1 (8) dove 𝑛1 è la lunghezza del blocco più gravoso e generalmente fissata pari a 10,000 cicli. Nelle prove VA, una volta selezionati i due parametri 𝑅𝐻𝐿 e 𝑅𝐵𝐿, la sequenza dei blocchi viene ripetuta fino a rottura del provino o fino a che non viene raggiunto il numero di cicli corrispondente alla 𝜎𝐷 considerata.

Alcuni dei risultati, ottenuti nelle prove two-step block loading per 𝜎𝐷 relativa a 109

cicli, sono illustrati in Fig.20.

Fig. 20 Risultati di prove two-step block loading. Cicli a rottura in funzione di 𝑹𝑩𝑳 e 𝑹𝑯𝑳.

Per 𝑅𝐵𝐿 ≤ 10 i numeri di cicli a rottura sono inferiori ai 107 cicli e pressoché indipendenti dal rapporto 𝑅𝐻𝐿. Mentre aumentando il rapporto 𝑅𝐵𝐿 il numero di cicli a

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Andando a stimare i cicli di carico per arrivare a rottura 𝑁𝑓,𝑐𝑎𝑙𝑐, attraverso la regola di Miner considerando solamente i cicli di carico più gravosi, e comparandoli con i cicli di carico a rottura misurati sperimentalmente 𝑁𝑓,𝑡𝑜𝑡𝑎𝑙, sono stati ottenuti i risultati riassunti in Fig.21.

Fig. 21 Risultati di prove two-step block loading confrontati con i numeri a rottura stimati con la

regola di Miner. (a) 𝑹𝑯𝑳= 𝟏. 𝟏. (b) 𝑹𝑯𝑳= 𝟏. 𝟐.

Per 𝜎̅𝑎1 = 1.1 𝜎𝐷 (Fig.21a) la regola di Miner risulta una relazione adeguata per il calcolo della vita per ogni rapporto 𝑅𝐵𝐿 investigato, in quanto tutti i risultati ricadono

all’interno della dispersione delle prove CA. Perciò in questo caso non c’è evidenza di come i cicli meno gravosi contribuiscano al danno per fatica. Mentre per 𝜎̅𝑎2 = 1.2 𝜎𝐷 (Fig.21b) la relazione di Miner fornisce risultati soddisfacenti solamente nel caso di 𝑅𝐵𝐿 = 1 . Nei rimanenti due casi la vita calcolata con Miner risulta ampiamente sovrastimata, non ricadendo all’interno della tipica dispersione dei risultati CA.

Dunque è possibile concludere che i cicli di carico meno gravosi, ovvero al disotto della resistenza a fatica ottenuta in prove CA, contribuiscono al danno per fatica e questo è tanto più vero all’aumentare dei rapporti 𝑅𝐻𝐿 e 𝑅𝐵𝐿.

Al fine di studiare l’influenza di sequenze di carico più complesse sulle curve S-N, sono state condotte prove facenti rifermento alle storie di carico standard Felix/28 (Fig.19b) e WISPER (Fig.19c). Innanzitutto attraverso la relazione fornita dalla FKM-guideline che

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49

permette di tenere conto dell’influenza della tensione media, dove 𝑀 = 0.52 per prove in VHCF regime, la storia di carico Felix è stata trasformata in 𝑅 = −1 e la storia di carico WISPER in 𝑅 = 0. In seguito, poiché nelle prove a ultrasuoni VA è possibile applicare solamente blocchi di carico composti da un numero minimo di cicli, le storie di carico standard sono state divise in 8 e 6 blocchi rispettivamente, attraverso il metodo

rainflow. Inoltre per lo studio dell’influenza della sequenza dei blocchi di carico sulla

vita a fatica, la storia Felix è stata ricostruita con tre differenti successioni dei blocchi. Il Felix 10 parte con il blocco più gravoso e termina con il blocco meno gravoso, il Felix 11 invece è costruito in ordine crescente di carico ed infine il Felix 12 è ottenuto randomizzando i blocchi. Ognuno degli spettri di carico è stato ripetuto fino a rottura o fino a 109 cicli.

I risultati dei differenti esperimenti con spettri Felix ricostruiti sono mostrati in Fig.22a a confronto con i risultati ottenuti da prove CA con 𝑅 = −1, in termini di curve S-N modificate ovvero con tensione rapportata alla tensione ottenibile attraverso la relazione di Murakami (5).

Fig. 22 (a) Curve S-N modificate e (b) confronto della dimensione del difetto fra Felix e prova CA

con R=-1.

In base a tali risultati risulta che le differenti ricostruzioni delle sequenze dei blocchi costituenti la storia di carico hanno scarsa influenza, mentre le curve S-N modificate tendono a spostarsi verso vite maggiori rispetto a quelle registrate nelle prove CA. Mentre, dai risultati riportati in Fig.22b, le dimensioni delle inclusioni, per le quali si verifica l’innesco della cricca in prove CA, necessitano di un numero maggiore di cicli per arrivare a rottura nel caso di prove VA.

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Infine, in Fig.23 le curve S-N e le curve S-N modificate ottenute con la sequenza di carico WISPER sono confrontate con i risultati ottenuti in prove CA per 𝑅 = 0. La curva S-N ottenuta in prove VA risulta traslata verso vite maggiori, mentre le curve S-N modificate ottenute in prove CA e prove VA tendono a collassare in un’unica curva.

Fig. 23 (a) Curve S-N e (b) curve S-N modificate per WISPER e prove CA con R=0.

1.9.2 Stima della velocità di propagazione della cricca

In Fig.24 è possibile osservare due superfici di frattura ottenute rispettivamente da una prova CA e da una prova two-step block loading. La superficie in Fig.24b è caratterizzata da delle linee circolari di arresto dell’avanzamento della cricca, dette “arrest marks”, all’interno del fish-eye. Le arrest marks sono dovute alla variazione del livello di ampiezza di carico che si manifesta passando dai blocchi più gravosi ai blocchi meno gravosi. Perciò le arrest marks indicano che esiste un’interazione fra i due blocchi di carico durante la crescita del fish-eye.

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In generale la dimensione delle arrest marks, la loro spaziatura e la zona in cui possono trovarsi, dipendono della sequenza di ricostruzione della storia di carico utilizzata. Un esempio è riportato in Fig.25.

Fig. 25 Superfici di frattura con arrest marks all’interno del fish-eye attorno ad un’inclusione non

metallica nel caso di (a) Felix 10 (b) Felix 11 e (c) Felix 12.

Perciò, conoscendo i numeri dei cicli di carico associati ad ogni blocco costituente la sequenza di carico, è possibile mettere in relazione le arrest marks con i cicli di carico applicati al provino.

Infatti, alla generica arrest mark i-esima è possibile associare una dimensione della cricca 𝑎𝑖 e una ampiezza della tensione agente, dunque calcolare la variazione del fattore di intensificazione degli sforzi Δ𝐾𝑖. Nel caso delle Fig.27, sono state misurate le

arrest marks e da essere ricavato un rateo di propagazione medio della cricca 𝑑𝑎 𝑑𝑁⁄ e messo in relazione alla variazione del fattore di intensificazione degli sforzi media Δ𝐾𝑖,𝑖+1; quest’ultima ottenuta prendendo la media pesata, con il numero di cicli costituenti ogni blocco d’interesse, delle due variazioni di fattore di intensificazione degli sforzi corrispondenti alle due arrest marks adiacenti.

𝑑𝑎 𝑑𝑁𝑖,𝑖+1 = 𝑎𝑖+1−𝑎𝑖 𝑁𝑖+1 (9) Δ𝐾𝑖,𝑖+1 =Δ𝐾𝑖+1𝑁𝑖+1+Δ𝐾𝑖𝑁𝑖 𝑁𝑖+1+𝑁𝑖 (10)

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Fig. 26 (a) Confronto della velocità di crescita delle long cracks con la velocità di crescita delle

short cracks calcolata analiticamente e per via sperimentale. (b) Esempio di misura del 𝚫𝒂 = 𝒂𝒊+𝟏− 𝒂𝒊.

Tutti i valori determinati sono ovviamente al disotto del Δ𝐾𝑡ℎ delle long cracks, mentre quasi tutti i risultati sono sopra i Δ𝐾𝑡ℎ delle short cracks calcolati con il metodo di

Newman/NASA e con il metodo di Shiozawa[41]. Inoltre, la curva della velocità di

propagazione può essere approssimata con una linea di regressione indipendentemente della sequenza di carico.

Attraverso queste curve costruite sperimentalmente è dunque possibile calcolare la vita nel caso di CA. Tuttavia, utilizzando la linea di regressione sopra illustrata, la vita viene sovrastimata e questo può essere spiegato con gli effetti di interazione esistenti fra i diversi blocchi di carico.

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1.10 Considerazioni conclusive Parte I

Per molti anni, la progettazione di compenti meccanici si è basata su dati di fatica ottenuti sollecitando i provini fino ad un numero massimo di cicli generalmente inferiore a 107 cicli. A partire da Wöhler e in accordo con la maggior parte delle

normative internazionali di prova, si è ammesso che, oltre tale valore di durata, i provini fossero in grado di vivere indefinitamente. Tale idealizzazione è stata però posta in forte discussione dai risultati sperimentali ottenuti da alcuni gruppi di ricerca, infatti l’esperienza ha dimostrato che andando oltre tale limite si assiste comunque a rottura. In effetti, la crescente richiesta di componenti meccanici con durate ampiamente superiori ai 107 cicli, come ad esempio componenti di treni ad alta velocità e di motori aeronautici, e il forte interesse per la caratterizzazione del comportamento dei materiali per numeri di cicli di affaticamento superiori a quelli generalmente esaminati hanno portato allo sviluppo e alla diffusione di macchine di prova in grado raggiungere 1010

cicli in meno di una settimana.

In questa prima parte del lavoro di tesi è stato innanzitutto presentato il principio di funzionamento delle macchine a ultrasuoni, per poi illustrare il caratteristico meccanismo di nucleazione e propagazione delle cricche in VHCF regime, un’analisi cristallografica della superficie di frattura, e i principali fattori d’influenza sulla resistenza in VHCF regime.

In base ai risultati ottenuti dai vari gruppi di ricerca che hanno affrontato lo studio della fatica gigaciclica sono state illustrate e discusse le seguenti conclusioni:

• Negli acciai alto-resistenziali, le cricche per fatica hanno origine all’interno del provino e più del 90% della vita a fatica è speso per la formazione della FGA. La presenza della FGA non dipende dalla frequenza di applicazione dei cicli di carico (prove convenzionali e prove a ultrasuoni).

• Per gli acciai convenzionali, l’innesco di cricche per fatica ha luogo principalmente sulla superficie del provino, le curve S-N continuano a presentare un asintoto orizzontale.

• Le leghe non ferrose manifestano rotture in VHCF.

• Per acciai multifase, l’innesco della cricca non avviene in prossimità di inclusioni ma all’interno della microstruttura della matrice (SNDFCO). Questo

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mostra perciò che l’innesco di cricche internamente al provino non è strettamente legato alla presenza di inclusioni. Tutto ciò è importante per capire perché il sito d’innesco delle cricche si sposta dalla superficie all’interno del materiale quando il carico esterno viene ridotto per aumentare la vita del provino (dalla HCF alla VHCF).

• La microstruttura, sottoposta a cicli di carico ad alta frequenza, può trasformarsi anche se la temperatura non eccede i 60°C. Questo permette di concludere che le instabilità della microstruttura, sottoposta a cicli di carico a 20 kHz, non sono esclusivamente governate della temperatura.

• Sulla base dei risultati raccolti in letteratura, una relazione empirica è stata proposta per la verifica della resistenza in VHCF nel caso di acciai alto-resistenziali in tensione (R=-1) a partire della resistenza statica in trazione. • A causa dell’instabilità delle tensioni residue durante le prove a ultrasuoni,

ulteriori studi devono essere condotti per caratterizzare la loro influenza sulla vita in VHCF regime.

• Eliminando altri parametri che potrebbero influenzare la resistenza in VHCF regime come il size effect, l’aumento di temperatura, l’instabilità della microstruttura e l’ambiente, la frequenza di applicazione dei cicli di carico non ha significativi effetti sulla resistenza in VHCF regime degli acciai alto-resistenziali. Tuttavia, per acciai basso-resistenziali, il limite di fatica aumenta all’aumentare della frequenza di prova.

• Per un corretto confronto dei risultati ottenuti da prove a ultrasuoni e prove convenzionali, è necessario tenere in considerazione il size effect.

• Nel caso di prove di fatica gigaciclica in trazione-compressione, l’influenza del rapporto di asimmetria può essere descritta attraverso il diagramma di Haigh, come in HCF regime. È però necessario corregge la legge proposta dalla FKM-guideline.

• Particolare attenzione deve essere posta sull’influenza o meno della pulse and

pause technique per evitare l’aumento di temperatura del provino durante la

prova. Attualmente non esistono studi che comparano l’influenza di questa tecnica con le prove continue (continuous regime) sulla resistenza in VHCF regime.

• Per prove VA le curve S-N traslano verso durate maggiori. I fattori d’influenza sono l’ampiezza dei blocchi più gravosi e il rapporto fra il numero di cicli del

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blocco meno gravoso e il numero di cicli del blocco più gravoso. Le arrest

marks evidenziano un’interazione fra i blocchi di carico di diversa ampiezza.

Quest’ultime possono essere utilizzate per calcolare la curva 𝑑𝑎 𝑑𝑁⁄ - Δ𝐾, con la quale è possibile stimare la vita nel caso di CA.

Il fenomeno della fatica gigaciclica, non essendo ancora completamente caratterizzato, è tutt’oggi uno dei principali argomenti di ricerca nell’ambito dell’ingegneria industriale.

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