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L'eroe nel fantasy contemporaneo: trasformazioni del protagonista nella narrativa di genere per ragazzi

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Academic year: 2021

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Indice

Introduzione ... 1

1- Il fantasy: storia e sviluppo di un genere ... 5

1.1 La storia ... 5

1.2 Gli studi ... 43

2- La trasformazione dell’eroe ... 62

2.1 Eroi: fra mito, letteratura e fantasy ... 62

2.2 I nuovi eroi del fantasy contemporaneo per ragazzi ... 113

2.3 Gli antieroi in Vicious di V.E. Schwab ... 148

3- L’eroe nero fra le sfumature: Raivo nel Millennio di fuoco di Cecilia Randall ... 166

4- In un mondo senza eroi: Game of thrones di George R.R. Martin ... 197

5- Mondi e personaggi fantasy: un triplice punto di vista ... 235

Conclusioni ... 245

Appendice ... 247

Intervista all’autrice: Cecilia Randall ... 247

Intervista all’editore: Marco Rana ... 256

Questionario al pubblico ... 263

Bibliografia ... 269

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Introduzione

Alla base di questo lavoro di tesi vi è la mia grande passione per la letteratura fantasy e per ciò che essa ha da offrire al pubblico. Durante i miei anni da accanita lettrice del genere ho notato sempre più di frequente quanto il ruolo dell’eroe fantasy fosse differente rispetto a ciò che, usualmente, si pensa quando ci si immagina tale figura e come i mondi fantasy siano imprescindibilmente legati alla realtà.

Le motivazioni che mi hanno spinta ad affrontare tale argomento sono duplici: non solo la mia passione per il genere ma anche la volontà di identificare come il fantasy, sebbene sia considerato dalla maggioranza come genere di evasione, riservi uno sguardo critico e attento al mondo moderno, rappresentandolo con i propri elementi e caratteri distintivi all’interno delle opere che rientrano nella categoria.

L’obiettivo della presente tesi è dunque quello di dimostrare, attraverso l’analisi di varie opere fantasy della letteratura per ragazzi, come il ruolo dell’eroe sia cambiato rispetto al passato in cui era considerato uomo dall’alta morale, inarrivabile, insostituibile ed invincibile. Gli eroi riscontrati nelle opere fantasy di oggi sono infatti eroi imperfetti, in alcuni casi antieroi, in altri eroi neri, ma tutti, ciascuno a suo modo, regalano un’analisi sulla vita umana e sulla realtà.

La tesi è strutturata in cinque capitoli.

Nel primo capitolo, per inquadrare in modo più chiaro possibile il fantasy e le sue origini, sono state analizzate le basi del genere, partendo dalla mitologia, passando dai poemi epico-cavallereschi, arrivando al fantastico e al suo diretto discendente, appunto, il fantasy. Successivamente l’attenzione è stata focalizzata su alcuni dei principali studi dedicati al

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fantastico e fantasy, iniziando da quello sviluppato dal padre del genere, J.R.R. Tolkien in On fairy stories, affiancato dall’altrettanto importante saggio di C.S. Lewis, Of other worlds. Gli ultimi due studi presentati sono stati quelli di Tzvetan Todorov con il saggio Introduction a la littèrature

fantastique e di Remo Ceserani con il suo Il fantastico.

Il secondo capitolo è stato interamente dedicato alla figura dell’eroe e alla sua evoluzione. Riscontrati nella parola polisemica tre valori distinti, quello storico-religioso, quello morale, e quello narrativo, sono stati analizzati ognuno di essi più nello specifico. Riguardo il ruolo storico-religioso, è stato presentato l’eroe dal punto di vista mitico e cavalleresco, accennandone le differenze con l’eroe in quanto personaggio letterario moderno, dal momento che, pur abbandonando l’altezza morale, eredita, modificandola, qualche caratteristica del suo antenato. Successivamente è stato affrontato il ruolo morale dell’eroe, identificandone il valore in quello che è chiamato l’individuo eroico reale. Infine, ci si è focalizzati sull’eroe nel suo ruolo narrativo, distinguendo l’identificazione di costui solo e soltanto in quanto protagonista del racconto/romanzo e quella che prende d’esempio l’eroicità dell’individuo reale e fa al contempo sue alcune delle caratteristiche dell’eroe nella sua accezione mitico-religiosa.

Dopo aver determinato le caratteristiche del ruolo eroe e di come esso sia cambiato nel corso del tempo, si è proposta l’analisi di alcune opere di letteratura di genere, partendo dai romanzi apripista del genere, Lord of the

rings di J.R.R. Tolkien ed Harry Potter di J.K. Rowling. Successivamente

ci si è focalizzato su alcuni fra i personaggi fantasy della narrativa contemporanea per ragazzi, con qualche accenno al mondo del cinema, tutti accomunati da una tendenza all’imperfezione e, in alcuni casi, all’antieroismo.

Il terzo capitolo è stato interamente dedicato al dittico fantasy Millennio

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personaggio maschile principale, l’eroe nero Raivo e a come egli – ma anche in generale gli eroi del fantasy moderno - si muova fra le sfumature, i punti di vista, le debolezze ed imperfezioni umane e come il passato influenzi le azioni ed intenzioni presenti.

Il quarto capitolo si è proposta l’analisi di una delle serie televisive più famose degli ultimi anni, Game of thrones, e dei personaggi che vi prendono vita. Focalizzandomi sulla storia narrata in GOT ed in particolar modo sulla fragilità ed interscambiabilità degli eroi in esso, si è cercato di dimostrare come non solo il ruolo dell’eroe fantasy si sia umanizzato per permettere l’immedesimazione, ma anche come nessuno, compresi i cosiddetti eroi, siano fondamentali e speciali ai fini della storia. Analizzando alcuni fra i personaggi principali e secondari dello show, si è voluto porre l’attenzione sul fatto che le distinzioni manichee fra bene e male non sono più valide perché, in nome della verosimiglianza, l’eroe fantasy moderno sia un personaggio “difettato”, umano, ambiguo, con delle debolezze, a volte egoista e vendicativo, a suo modo oscuro e sicuramente non perfetto, e, in definitiva, sostituibile.

Infine, il quinto e ultimo capitolo ha visto la collaborazione dell’autrice Cecilia Randall e dell’editore Mondadori Marco Rana, ai quali sono state rivolte delle domande sul fantasy, sui suoi personaggi e sui suoi mondi. Alle loro opinioni sono state affiancate poi quelle del pubblico, rappresentato dai lettori, miei followers presenti sulle piattaforme social Instagram e YouTube su cui svolgo il mio lavoro di bookstagrammer e booktuber, parlando e recensendo libri di genere prevalentemente fantasy. Anche a costoro è stato chiesto di esprimere la loro opinione sul fantasy, sui personaggi rappresentati e sulle implicazioni del genere. Le risposte di tutte e tre le parti sono poi state analizzate dalla sottoscritta.

Grazie a tale lavoro si è dunque cercato di riconoscere al fantasy una valenza che non è solo quella di escapismo e divertimento, e soprattutto si è

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tentato di identificare come gli eroi fantasy moderni non siano più incorruttibili e perfetti ma più umani, verosimili e rapportabili all’uomo comune.

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1- Il fantasy: storia e sviluppo di un genere

1.1 La storia

Il genere fantasy in voga sia in letteratura che nei prodotti veicolati dai mass media, può essere interpretato come uno sviluppo del fantastico classico1 e del fiabesco e prevede un’ambientazione di fantasia o legata al

mondo reale con la presenza di un’atmosfera di magia in cui possono essere presenti riferimenti alla mitologia classica, all’immaginario medioevale o fiabesco, alle saghe nordiche o al ciclo arturiano.

Quando si pensa al fantasy e al suo pubblico di riferimento è quasi immediato pensare a bambini e ragazzi, orientativamente dai 10 ai 19 anni d’età, i quali vengono identificati come i principali ricettori di questo tipo di romanzi. La letteratura per ragazzi, infatti, è stata soprattutto negli ultimi anni grande fonte di guadagno per il genere, che ha acquistato sempre maggiore importanza con saghe famosissime come ad esempio Harry Potter.

Essendosi però ormai espanso, il fantasy non è riscontrabile solo all’interno di romanzi middle-grade o young adult, come vengono definiti dall’editoria moderna, ma è riscontrabile ormai anche in videogiochi, giochi di ruolo e fumetti. Questi sono sempre beni di fruizione giovanile ma sempre di più, nella contemporaneità, tali interessi vengono coltivati anche

1 Quando si parla del fantastico classico, ad oggi, si intende quel genere letterario che

comprende opere uscite fra l’Ottocento e la prima metà del Novecento, trattanti materia che esula dalla realtà o dalla quotidianità. I protagonisti del fantastico classico sono caratterizzati in modo ben netto e distinti fra eroi e malvagi. Le situazioni che vivono sono sempre votate a favorire il bene piuttosto che il male, nonostante le difficoltà che gli eroi possono affrontare e la risoluzione dell’intreccio vede sempre trionfare il bene.

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dagli adulti che, fra collezionismo e lettura/gaming vorace, hanno fatto del fantasy il loro pane quotidiano.

Grazie inoltre a produzioni cinematografiche e serie televisive con le quali il pubblico di riferimento si è maggiormente ampliato, il genere continua a riscuotere sempre più successo. Ad oggi sono tantissime le persone, fra bambini ragazzi e adulti, che si recano in libreria per comprare serie come l’acclamatissimo Harry Potter di J.K. Rowling, che continua ad essere frequentemente ristampato e venduto a distanza di vent’anni rispetto alla prima uscita, ma anche A song of ice and fire di George R.R. Martin, forse meno adatta a un pubblico troppo giovanile ma profondamente amata da adolescenti e adulti a causa dell’immensità tematica che riserva. E sempre persone con un range d’età molto ampio si dirigono ogni anno al cinema in attesa del nuovo film del Marvel Cinematic Universe sugli Avengers o del nuovo capitolo della saga di Star Wars, serie intramontabile che vede dalla sua parte affezionati fan cresciuti con lei fin dagli anni ’80 e nuovi fan appassionatisi nel corso degli ultimi anni.

Sebbene venga identificato come un genere relativamente nuovo, le radici del fantasy affondano molto indietro nei secoli, fino ad arrivare alla civiltà prima greca e poi latina. Opere di mitologia classica come l’Odissea (800-700 a.C.), ma anche le Argonautiche (III sec. a.C.) e alcune fra le tragedie della triade di tragediografi Eschilo, Sofocle ed Euripide portano i segni di un mondo reale popolato da eroi, guerrieri, re e regine in cui si diffonde un alone di magia governato dalle profezie e dagli dei dell’Olimpo e da creature mostruose.

Per quanto le vicende narrate da Omero o dai grandi scrittori classici fossero dunque caratterizzate da valenza storica (come avviene per la guerra di Troia) esse si espandono in un mondo fantastico che fa notare la sua presenza e che era esibito spesso, grazie al canto degli aedi, davanti a re, regine e nobili di vario genere.

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L’Odissea è infatti considerata da Denys Page come un’opera in cui “la trama è […] basata sul racconto folklorico, ma su un racconto folklorico adatto a personaggi ritenuti storici. Di conseguenza esso viene collocato nel mondo reale e fuso con elementi reali passati e presenti. Gli elementi immaginari sono, per la maggior parte, eliminati o modificati in modo da essere resi credibili”2.

Le avventure che vive Odisseo durante il viaggio atto a riportarlo a casa sono raccontate come se fossero reali, creando un’illusione organica alla linea narrativa principale in cui Omero veicola così bene i personaggi ed il folklore intorno ad essi. E:

I personaggi sono realistici e così la maggior parte dei fatti narrati; e quelli che non lo sono, vengono “trattati” dal poeta in modo da essere resi accettabili o perlomeno non incredibili per l’ascoltatore greco dei “secoli bui”, ed oltre. questa illusione si sarebbe potuta spezzare molto facilmente se si fosse introdotta nel poema una lunga sfilza di figure ben note per essere state tratte dai racconti folkloristici, come i giganti con un occhio solo o le streghe che trasformano gli uomini in porci con un tocco di bacchetta3.

La magia di Circe nell’Odissea, le sirene nelle Argonautiche di Apollonio Rodio e ancora l’infinita maledizione di Prometeo narrata da Eschilo nel Prometeo incatenato (460 a.C.), il carro alato guidato da Medea nell’omonima tragedia di Euripide e tantissimi altri elementi delle grandi opere greche o semplicemente delle credenze mitologiche vengono poi rimaneggiate e rielaborate nel corso degli anni per trovare un loro posto nel fantasy.

Non spetta comunque solo alla mitologia greca ispirare il genere, dal momento che anche la mitologia latina gioca un enorme ruolo in ciò ed è largamente apprezzata. Le leggende che popolano i racconti della mitologia

2 D.L. Page, Folktales in Homer’s Odyssey [1973], trad. it. Racconti popolari nell’Odissea,

Napoli, Liguori, 1983, p. 16.

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romana sono spesso condivise dalla sua parente greca, dato che il mondo latino e il mondo ellenistico condividono tradizioni di base simili tra loro; già anche solo la presenza degli dei dell’Olimpo, che nell’epica romana mutano i loro nomi, bastano per poter fare da fondamenta alle opere fantastiche e soprattutto ai fantasy contemporanei. In particolar modo all’interno dei cosiddetti retellings, cioè la rielaborazione di situazioni, personaggi e vicende del mito rapportate però nel mondo moderno, l’epica trova una nuova moderna vita.

Nonostante, infatti, la sua impostazione più rigida che prevede più opere di matrice storiografica rispetto ad opere epiche, la letteratura latina fornisce una grande varietà di idee al fantastico e al fantasy, idee riscontrabili non soltanto all’interno della più grande opera epica romana scritta da Virgilio, l’Eneide (29-19 a.C), ma anche grazie a spunti forniti ad esempio dalle Heroides (25-16 a.C) di Ovidio, dalle Metamorfosi (II sec. d.C) di Apuleio o dalle favole di Fedro, ispirate per altro dalle corrispettive greche di Esopo.

A subire l’influenza del mito non è solo la struttura narrativa di un’opera e i suoi personaggi umani e divini, ma anche la fisionomia di creature più o meno mostruose; in alcuni casi, come quello del calamaro gigante, la base è reale, ma per altri tantissimi casi le figure animalesche presenti nei fantasy derivano proprio dal mito. Quello greco ma anche quello latino hanno contribuito alla creazione di figure come i draghi, gli ippogrifi, gli incubi e tanti altri, oltre naturalmente alle creature già presenti nei racconti dell’epoca come le arpie, le furie, i centauri, le sirene e così via, i quali compaiono nelle opere fantastiche e fantasy in tutto il loro antico e spesso crudele splendore.

Sempre il mito, questa volta norreno, ha donato al fantasy creature come i folletti, troll, nani e il temibile kraken, e ancora ai miti orientali si deve la presenza nel genere degli unicorni (poi largamente utilizzati

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dall’immaginario medioevale) e della kitsune, una tipologia di volpe a nove code. La stessa ispirazione che dà l’antichità occidentale al fantastico la concedono le altre tradizioni globali, come accade, fra le tante, con la mitologia egizia, a cui il fantasy deve la rappresentazione della fenice.

Questa presenza conclamata di figure umane e non imprescindibilmente legate all’ambiente fantastico all’interno della mitologia dimostra che fin dall’antichità l’uomo ha cercato il modo di straripare al di là dei confini della ragione. Non che Omero o gli aedi, Virgilio e i cantori romani avessero dato vita a racconti e opere di questo genere con lo scopo premeditato di creare qualcosa di irreale, anzi, per loro gli dei, le premonizioni e tutto ciò che ne conseguiva era quanto mai reale e apparteneva al loro culto e religione, ma ad oggi è impossibile non considerare quelle stesse situazioni che secoli fa dovevano apparire verosimili come frutto della fantasia. Una fantasia enorme, ribollente di spunti, riflessioni e insegnamenti, ma pur sempre fantasia. Una fantasia a cui oggi si attinge largamente per creare opere fantasy che ogni anno conquistano milioni di lettori.

L’utilizzo del fantastico o di topoi che appartengono a un ambiente non totalmente razionale, poi, non si ferma solo all’antichità e al mito, ma avvolge le proprie spire anche all’interno della letteratura italiana e straniera, fin dalle origini con le leggende medievali e le prime opere letterarie.

Le leggende popolari e le credenze medievali hanno generato quel folklore da cui poi emergono storie di streghe e fantasmi ma anche di piante con proprietà magico-curative che hanno caratterizzato i racconti di generazioni intere. Sebbene infatti fosse considerata una cultura inferiore ed erroneamente associata a pregiudizi e superstizioni, i miti familiari e i racconti folkloristici rimangono parte integrante delle culture dei popoli con

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i loro elementi sovrannaturali e le loro creature, le quali hanno molto in comune con le loro parenti mitologiche.

Per quanto riguarda i poemi epico-cavallereschi tipici del Basso Medioevo, l’esempio forse più immediato è quello della materia di Bretagna, detta anche ciclo bretone o arturiano, sviluppatasi in Francia nel XII secolo, che tratta dell’insieme di leggende celtiche della Bretagna e delle isole britanniche, con un focus particolare su Re Artù e i suoi cavalieri della tavola rotonda.4

La storia di base prevede l’utilizzo nella materia romanzesca di tematiche amorose, magiche e di avventura e annovera fra i suoi rappresentativi autori Chrétien de Troyes, le cui opere si diffusero nelle corti feudali francesi. Ad oggi la materia bretone può considerarsi non ancora conclusa poiché sono tantissimi gli autori che danno il loro contribuito nell’ampliamento del ciclo narrativo di cui il protagonista spesso è Re Artù, identificato come un valente condottiero che sconfigge il male e le sue forze; altri eroi trovano peraltro il loro posto in questi versi, fino a trasformare le varie narrazioni in un corpo di miti patriottici in cui però non si rinuncia mai ad elementi fantastici. I mondi in cui si muovono i cavalieri sono infatti più ideali che non reali e le azioni che costoro compiono per salvare la donna amata risultano essere quasi sovraumane. Spesso, poi, vengono aiutati da personaggi che hanno a che fare con la magia o interagiscono con oggetti magici che vengono utilizzati dai cavalieri per portare a termine la loro impresa.

Le storie del ciclo arturiano nascono in poesia per agevolare la divulgazione orale grazie a rime e ritmo, ma nel corso degli anni vengono trascritte anche in prosa e il pubblico interessato a tali racconti risulta essere

4 Cfr. M. Villoresi, La letteratura cavalleresca: dai cicli medievali all'Ariosto, Roma, Carocci,

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fin da subito vastissimo; le vicende di Re Artù con i suoi Cavalieri della Tavola Rotonda, mago Merlino e dei loro nemici come Fata Morgana hanno da sempre appassionato i più piccini e anche gli adulti dell’ambiente cortese, principale destinatario delle rime arturiane a causa dell’interesse di costoro in vicende d’amore e d’avventura5.

In questo, il ciclo arturiano si discosta da quello carolingio.

Se infatti le gesta di Artù e Lancillotto interessavano a causa dei loro risvolti individuali, le opere epico-medievali del ciclo carolingio hanno come scopo quello di focalizzarsi sulla lotta contro gli infedeli, anche se non rinunciano mai ad inserti fantastici all’interno delle varie avventure che cavalieri ed eroi vivono nel corso delle loro quête.

Sviluppatosi immediatamente dopo l’anno 1000, il ciclo carolingio ottiene successo dal XI-XII secolo a causa della divulgazione orale, favorita da giullari di corte e cantori e, scritta, dovuta invece all’opera dei chierici. Esattamente come il ciclo bretone, anche la materia di Francia, così è chiamato il ciclo carolingio, ha dunque immensa diffusione in ogni ceto sociale, dal più alto al più basso. Le avventure di cui si canta non sono più quelle di Artù bensì quelle di Carlo Magno e dei suoi paladini, i quali rappresentano i più alti valori della società aristocratica del tempo.6

Ancora una volta le mirabolanti gesta dei cavalieri francesi finiscono con l’avere punti di contatto con il fantastico, anche se i toni assunti sono visibilmente viranti verso il cattolicesimo. In ogni caso, nelle varie chanson

de geste, fra cui la più importante ricordata è la Chanson de Roland, la

forza, le situazioni e le imprese considerate impossibili portate a

5 Cfr. Luca Beltrami et al., M. Lecco (a cura di), Studi sulla letteratura cavalleresca in Francia

e in Italia: secoli XIII-XVI, Alessandria, Edizioni Dell’Orso, 2017.

6 Cfr. F. Strologo, La “Spagna” nella letteratura cavalleresca italiana, Roma Padova,

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compimento dai valenti paladini di Carlo, primo fra tutti Orlando, ispireranno poi più avanti nei secoli altre opere di questo genere in cui il fantastico eromperà con molta più forza, quando Orlando diventerà protagonista dei due poemi che portano il suo nome, l’Orlando innamorato (1483) di Matteo Maria Boiardo e l’Orlando furioso (1516) di Ludovico Ariosto.

Prima di trovar realizzazione nelle avventure del paladino di Carlo Magno, però, tematiche e immagini derivanti dal fantastico possono ritrovarsi anche all’interno della letteratura italiana della seconda metà del Duecento con Dante, il quale fra l’altro riteneva Chrétien de Troyes uno dei più illustri poeti del Medioevo.

La Commedia (1321) dantesca e in particolar modo l’Inferno potrebbero prestarsi bene a un confronto con il fantastico, a causa di alcuni elementi profondamente immaginativi che caratterizzano la narrazione del padre della letteratura e che hanno inevitabili punti di contatto con il genere.

Sicuramente l’opera nasce come profetica, modellata sui libri profetici della Bibbia, allo scopo di evidenziare le negatività del mondo contemporaneo di Dante, visto come corrotto e violento, e auspicare un futuro pacifico all’insegna della virtù ma i modelli che l’autore si propone di utilizzare e poi soprattutto alcune delle immagini presenti in particolar modo nell’Inferno potrebbero richiamare alla memoria elementi del genere fantastico.

I primi canti dell’Inferno affrontano infatti un modello largamente utilizzato già nel mito7 e che poi trova riscontro anche nel fantasy moderno,

7 Esempio di catabasi nel mito greco, oltre a quelli più famosi di Odisseo, Orfeo e d Eracle, è

quello di Teseo. Secondo alcune versioni del mito, Piritoo e Teseo, entrambi vedovi, si accordarono per rapire la giovane Elena – che entrambi desideravano - di modo che uno dei due potesse sposarla, per poi rapire, per chi dei due fosse rimasto senza donna da sposare, un’altra figlia di Zeus. La sorte favorì Teseo, e Piritoo, quando Elena fu in età da marito, chiese

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cioè la discesa negli inferi. La catabasi è infatti un topos letterario già presente nel libro XI dell’Odissea8, sebbene Odisseo si fermi soltanto sulla

soglia dell’Aldilà piuttosto che entrare, e tantissimi sono i personaggi che affrontano un vero e proprio viaggio nel regno dei morti: basti pensare ad Orfeo che pur di recuperare la sua Euridice scende negli inferi accompagnato solo dalla sua lira e ad Ercole, che è costretto ad affrontare la discesa durante la sua ultima fatica.

Il fenomeno è presente poi anche nell’epica latina, nel libro VI dell’Eneide, quando Enea incontra negli inferi Didone e poi nei Campi Elisi suo padre Anchise, il quale gli mostra, sotto forma di vera predizione, il suo futuro retaggio, offrendogli uno sguardo storico da Romolo ad Augusto.

Dante dunque riprende un tema che era già stato molto esplorato secoli prima rispetto alla scrittura della Commedia e che aveva portato con sé elementi legati al sovrannaturale, agli dei e alla magia.

all’amico di prestar fede al giuramento fatto e trovare una fanciulla per lui. Teseo così si rivolse all’oracolo di Apollo e la Pizia consigliò a Piritoo, ironicamente, di chiedere la mano di Persefone, moglie di Ade. Convinto Teseo, scesero dunque entrambi nel Tartaro, rimanendovi intrappolati fino all’arrivo di Eracle.

Altro esempio di catabasi greca riguarda nuovamente Eracle che, intento in una delle sue celebri dodici fatiche, arriva nel regno di Admeto, a Fere, in cui si piange il lutto della regina Alcesti, sacrificatasi per permettere al marito di sfuggire alla morte. Eracle, venuto a conoscenza della situazione, decide di scendere nell’Ade per riportare in vita la donna, restituendola così ai suoi cari.

Ancora al mito greco appartiene l’esempio di Castore e Polluce, gemelli che si divisero l’immortalità concessa da Zeus vivendo un giorno sull’Olimpo e uno nell’Ade, e l’eroe Protesilao, primo uomo ucciso a Troia a cui venne concesso un ultimo giorno al mondo per poter salutare l’amata prima di discendere definitivamente nell’Ade.

Infine, esempio di catabasi questa volta sumerica, è quella di Enkidu, il quale entrò nella “Grande Dimora”, gli inferi, per recuperare due oggetti di natura incerta appartenenti a Gilgamesh.

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Nel caso dell’Alighieri la discesa agli inferi assume un significato prettamente cattolico ma l’utilizzo del topos della catabasi e i nomi, le immagini di luoghi e le figure riprese dall’Eneide e presentate all’interno del viaggio di Dante-personaggio accompagnato da Virgilio sono elementi ripresi dal mito e, dunque, potrebbero essere considerati anche legati al fantastico. E nonostante Dante, dice Domenico Comparetti, avesse soltanto una conoscenza circoscritta alla tradizione scolastica medievale, e conoscesse un numero limitato di autori latini ed ignorasse il greco, aveva familiarità con i testi conosciuti dei grandi poeti latini. Questa capacità di destreggiarsi fra mito, opere storiche e racconti, gli consentirono di trarre da quei testi l’ispirazione per alcuni elementi della Commedia, sebbene l’opera vanti una profonda originalità:

Nella poesia dantesca si conosce quanto il poeta abbia familiari gli antichi e reminiscenze dello studio di questi s’incontrano numerosissime in fatti, in nomi, in talune formole; ma in generale il tipo dell’arte dantesca è interamente nuovo ed originale, ed intimamente diverso dall’arte antica.9

Si parla della stessa rappresentazione dell’Ade, dei suoi fiumi di sangue, dei suoi diavoli torturatori, delle spiagge di fiamme, dei peccatori trasformati in alberi, fino ad arrivare anche alle stravolte e repentinamente differenti condizioni climatiche del posto, in alcuni casi gelido, in altre ustionante; sono elementi non riscontrabili in un mondo reale che generano così un filo conduttore fra la Commedia e alcuni topoi fantastici. Non era ovviamente scopo di Dante creare un’opera che fosse considerata di tale genere, soprattutto considerando il tipo di letteratura e il tipo di credo tipici del Duecento e degli inizi del Trecento ma sarebbe ugualmente possibile cogliere delle affinità. Ciò è dovuto non solo a causa dell’ispirazione che

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Dante avrebbe potuto cogliere dalla materia mitologica, ma proprio a causa di personaggi e creature appartenenti non solo alla tradizione biblica ma anche al mito e che compaiono nella Commedia, come ad esempio demoni, semidei, giganti e divinità. Lo nota Arturo Graf, il quale scrive a proposito delle figure demoniache nell’inferno:

I demoni che Dante pone nel suo inferno si possono, avuto riguardo ai luoghi di loro provenienza, dividere in due classi, demoni biblici e demoni mitologici, secondochè sono tolti alla tradizione scritturale e patristica, o al mito pagano. Così è che, insieme con Satana, o Beelzebub, o Lucifero, troviamo nel doloroso regno Caronte, Minosse, Cerbero, Plutone, Flegias, le Furie, Medusa, Proserpina, il Minotauro, i Centauri, le Arpie, Gerione, Caco, i Giganti.10

Dante non si limita a porre queste figure all’interno della sua opera, ma l’importanza riconosciuta ai ruoli di tali creature è visibilmente di più peso rispetto a quella conferita alle creature bibliche; ecco dunque che Caronte traghetta le anime e Minosse le giudica mentre Cerbero è il guardiano.

Il mito in Dante non tramonta mai, così come, nel Trecento, era ancora vivo nella memoria popolare. Per quanto la Chiesa avesse rifiutato le divinità pagane - sebbene non negandole - cominciando a considerarle alla stregua dei mostri della mitologia, i nomi delle divinità e le avventure degli eroi continuarono ad essere ricordati, agevolando così la creazione di leggende e superstizioni, a volte legate ai racconti biblici11.

L’immaginazione di Dante è inoltre così immensa e così creativa, che porta i suoi lettori a riflettere su tutti gli aspetti della vita, caratteristica che poi verrà assunta dal fantastico stesso. Lo stesso Carlo Nodier, scrittore

10 A. Graf, Miti, leggende e superstizioni del medioevo, vol. 2, Torino, Loescher, 1893, p. 93. 11 All’interno della Legenda Aurea viene narrato dell’incontro di Sant’Antonio Abate, ormai

anziano, con un centauro, creatura appartenente al mito greco. L’animale, insieme ad un lupo e ad un satiro, altra creatura della mitologia greca, avrebbe guidato il santo nella grotta di un eremita ancora più vecchio di lui, Paolo.

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ottocentesco di rilievo per la creazione del movimento romantico, all’interno della sua opera Racconti fantastici, con un discorso intorno al

fantastico in letteratura12 esplora la possibilità che la tendenza fantastica sia

stata da sempre presente nel mondo letterario, difendendo un genere che all’epoca era considerato di seconda classe.

Nodier esamina quindi tale tendenza analizzando geograficamente e storicamente varie correnti di pensiero e opere e nominando, fra tanti autori, anche lo stesso Dante, che viene definito “il primo genio fantastico del rinascimento tanto pel tempo che per la sua superiorità”13 e colui il quale

“pose il teatro della sua terribile fantasmagoria sotto la protezione delle credenze del suo tempo”14.

Nonostante però il rinchiudere la fantasia contenuta nella Commedia nelle fila delle credenze dantesche, Nodier riconosce al fiorentino la capacità di aver veicolato l’immaginario comune sulla struttura degli inferi e del paradiso e di aver creato un inferno che non può esser paragonato a nessuno di quelli messi in rima da poeti precedenti a lui.

La sua grandezza sta nella sua libertà sfrenata, nel diritto conquistato di far riflettere incessantemente sullo specchio a mille facce dell'immaginazione tutti gli aspetti della vita, tutti i riflessi del pensiero, tutti i raggi dell'anima.15

Il fantastico dunque serpeggia fra i secoli, inizialmente supportato dalla mitologia, legandosi ad elementi specifici più che a un genere vero e proprio; nel Cinquecento, però, il fantastico che era stato tipico prima del mito e poi dei poemi epico cavallereschi riprende ad affascinare autori e

12 C. Nodier, Racconti fantastici, con un discorso intorno al fantastico in letteratura, Milano,

Sonzogno, 1891.

13 Ivi, p. 13. 14 Ivi, p. 14. 15 Ibidem.

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lettori grazie all’uso dei temi dell’esplorazione, del viaggio verso l’ignoto e dell’azione cavalleresca. Gli esempi maggiori in letteratura italiana sono l’Orlando innamorato di Matteo Maria Boiardo ma soprattutto l’Orlando

Furioso di Ludovico Ariosto, opere che ampliano nuovamente il ciclo

carolingio con i racconti di Orlando, primo paladino di Carlo Magno e degli altri suoi valenti cavalieri.

All’interno del Furioso epica e poema cavalleresco si mescolano in una serie di avventure che sono imprescindibilmente di genere fantastico e che portano i personaggi addirittura sulla Luna per recuperare il senno ormai perso di Orlando. Se da una parte la struttura del romanzo cavalleresco rimane aperta, così come lo era stata nei secoli in cui il ciclo carolingio si era sviluppato, all’intreccio si sostituisce la struttura del mito, che prevede una conclusione vera e propria. L’entrelacement, dalla seconda parte del poema in poi, si fa infatti più raro, soprattutto dopo che Orlando arriva al culmine della sua follia e contemporaneamente, con l’annullamento dell’incantesimo del palazzo del mago Atlante, il quale viene sconfitto, si risolvono anche gli inganni che fino alla metà del poema avevano proliferato.

La materia fantastica, però, non abbandona mai i versi del Furioso, avvolgendo le proprie spire sia nel filone narrativo che vede protagonista Orlando sia in quello che vede protagonisti Astolfo, Ruggiero e Bradamante.

È sempre Nodier a investire Ariosto del ruolo di poeta mago e fondatore di una nuova mitologia basata su tradizioni oscure, quelle della tendenza fantastica. Nodier, inoltre, afferma con sicurezza che “dopo Ariosto e i suoi fiacchi imitatori, il fantastico non si mostra quasi più nella letteratura italiana; e ciò è spiegabilissimo; l’Ariosto l’aveva esaurito”16.

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In effetti, dopo Ariosto, in letteratura italiana è raro trovare autori che si lascino conquistare dal fantastico e dai suoi elementi, sebbene proliferi in quella straniera. Il periodo fra il Cinquecento e il Seicento è infatti il periodo di massimo successo di Shakespeare, autore nominato da Nodier, a cui bisogna aggiungere anche Edmund Spencer.

Faerie Queene (1590), il poema epico-cavalleresco lasciato incompiuto

da Spencer, assume tinte fortemente allegoriche a causa della bellissima regina delle fate, protagonista indiscussa della composizione poetica nonché rappresentazione della regina d’Inghilterra Elisabetta. Ancora una volta, con Spencer come con Dante, ci si ritrova davanti a un’opera che presenta elementi sì fantastici ma profondamente collegati alle credenze religiose, sebbene ciò non escluda il fatto che quella tendenza immaginativa di cui Nodier parlava e che riconosceva in tutte le letterature sia ancora una volta qui presente.

È sempre Nodier a definire Shakespeare la Poesia stessa ed è impossibile non legare all’autore una forte tendenza al fantastico. All’interno delle sue pièces teatrali il bardo presenta universi tragici tormentati da presenze sovrannaturali o, nel caso delle sue commedie, ambienti sovrannaturali che si nascondono all’occhio dei mortali ma allo stesso tempo convivono con essi.

A midsummer night’s dream (1595) è forse la prima commedia a

contenere elementi fino ad allora inediti nello scrivere di Shakespeare, come la magia e le fate, mescolati ancora una volta all’elemento mitico, all’epoca imprescindibilmente legato al fantastico e a temi del folclore britannico. La commedia da solo il via a questa tendenza che si fa nuovamente presente in The tempest (1610-1611) grazie al mago Prospero dei folletti che popolano la commedia e verrà esplorata largamente dall’autore soprattutto nelle sue tragedie. Sono proprio queste quelle che presentano elementi fantastici forse più legati al futuro gotico, come

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fantasmi, streghe, boschi incantati e maledizioni. Indimenticabile diventa dunque Amlet (1600-1602) con il suo spettro somigliante al re deceduto e

Macbeth (1605-1608) con le sue tre streghe, la loro profezia e gli spiriti da

loro invocati nel corso della narrazione.

Lo stile di Shakespeare prevede dunque anche una componente fantastica, che rappresenta in tal caso tutte le colpe e le angosce che tormentano l’animo dei vari personaggi: il destino assume le caratteristiche di un fenomeno sovrannaturale superiore anche agli dei, che manipola e riesce a determinare la vita degli uomini. Il fantastico shakespeariano è dunque altamente percepibile e rivela varie sfaccettature, dai suoi significati allegorici a un’atmosfera festosa e sperimentale e spinge i personaggi a muoversi a cavallo fra due mondi differenti ma che, in alcuni casi, si confondono.

Dopo il grande interesse verso il fantastico del Cinquecento, trascinatosi anche nel Seicento, il genere nel Settecento trova un ambiente ostile nei suoi confronti. È il secolo dei Lumi, della ragione, in cui mal si collocano opere che trattano di elementi poco razionalizzabili e in cui gli autori si dedicano per lo più ai romanzi d’avventura, come quelli di Defoe17 e

Fielding18, o romanzi realistici, dove, chi inserisce topic fantastici viene fortemente criticato. Tale stato di cose ha però permesso al fantastico di distinguersi completamente come genere e di essere dunque maggiormente definito negli anni a venire.

Nonostante il successo dei romanzi d’avventura, il XVIII secolo è anche il periodo perfetto per la proliferazione delle fiabe che, se da una parte venivano disprezzate poiché considerate fonti di bugie, dall’altra parte si diffondono a macchia d’olio. Saranno poi proprio queste fiabe letterarie a

17 D. Defoe, The Life and Strange Surprising Adventures of Robinson Crusoe, 1719. 18 H. Fielding, Tom Jones, The History of a Foundling, 1749.

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influenzare il genere fantastico anche e soprattutto in epoca moderna, momento in cui autrici e autori si stanno molto concentrando nella scrittura dei cosiddetti retellings, rielaborazione di fiabe o racconti epici che stanno conquistando lettori di ogni età.

Il Settecento, comunque, rimane sorgente preziosa e originaria delle più famose fairy tales, inizialmente chiamate da Madame d’Aulnoy “racconti di fata” (contes de fèe). I racconti di Charles Perrault, autore di Le Petit

chaperon rouge (1697), Cendrillon (1697) e La Belle au bois dormant

(1697), così come quelli di Gabrielle-Suzanne Barbot de Villeneuve, autrice della prima variante de La belle et la bête (1740), hanno come pubblico di riferimento i bambini, a cui si tentava di regalare degli insegnamenti nascondendoli nel meraviglioso19, cosa comune anche nelle fiabe

ottocentesche di Hans Christian Andersen, autore fra tante, anche di Den

lille Havfrue (1837) e Sneedronnigen (1844). Saranno poi proprio queste le fairy tales le quali a causa delle meraviglie e, in alcuni casi, anche delle

brutture narrate, ad essere considerate la base della letteratura per l’infanzia e questi stessi racconti trovano ad oggi spazio nei film di animazione di produzione Disney, casa cinematografica di enorme successo.

La vera svolta per il genere fantastico arriva nell’Ottocento.

Il Romanticismo, contrariamente all’Illuminismo, sviluppò ben presto gran fascino nei confronti del soprannaturale. E se in Italia questa corrente letteraria attirava dalla sua parte autori come Foscolo – sebbene più legato al Neoclassicismo -, Leopardi, Manzoni ed Alfieri, autori di opera in cui si esprimevano le esigenze di un nuovo patriottismo e le idee della borghesia,

19 Cfr. J. Zipes, When dreams come true: classical fairytales and their tradition, Londra,

Routledge, 1998.

Cfr. V.J. Propp, Morfologija skazki [1928], trad. it. Morfologia della fiaba, Torino, Einaudi, 2000.

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in Inghilterra ed anche in Germania provoca invece una fantasia sfrenata e visionaria ed una forte attrazione nei confronti del Medioevo, periodo in cui il folklore e le tradizioni popolari avevano subito influssi fantastici. È da queste fascinazioni che nasce il romanzo gotico, a cui si deve la presenza, nel fantasy, dell’introspezione dei personaggi e della presenza del tema amoroso di supporto al tema principale. Al gotico si deve inoltre la paternità del fantasy moderno e dell’horror a causa della componente orrida e magicamente tenebrosa che lo caratterizza; sebbene infatti non fosse necessario per la letteratura gotica l’utilizzo del sovrannaturale, esso era comunque largamente utilizzato, tanto che le caratteristiche principali di romanzi del genere sono castelli infestati, la presenza di fantasmi, la follia più o meno manifesta, strane morti, maledizioni che si tramandano e così via.

Così se in Germania Die Braut von Corinth (1797) di Goethe sfrutta il tema del vampirismo e, sempre dello stesso autore, il Faust (1831), modellato su un tema usato già nel Cinquecento da Christopher Marlowe, drammaturgo di una pièce quasi omonima - The Tragical History of Doctor

Faustus (1590) -, presenta al pubblico un dottore annoiato che si dedica alla

negromanzia, alla magia e a un invocato diavolo, l’Inghilterra diventa culla dei romanzi capo della letteratura di genere, grazie in primo luogo al romanzo The castle of Otranto (1764) di Horace Walpole con le sue ambientazioni angoscianti all’interno delle quali si muovono personaggi inquietanti.

E se in Walpole e in The mysteries of Udolpho (1794) di Ann Radcliffe il fantastico è presente ma non plateale, con Bram Stoker e il suo Dracula (1897) le cose cambiano radicalmente. Stavolta i protagonisti condividono la scena con un vero e proprio mostro, il Conte Dracula, che non solo si rivela essere un vampiro ma trasforma in una creatura della notte anche la protagonista principale, Lucy Westenra. Con Dracula ci si ritrova quindi

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davanti a un vero e proprio romanzo fantastico, in cui il sovrannaturale non è solo accennato ma ruba la scena e terrorizza il lettore. Stoker utilizza il mito del vampiro, appartenente al folklore transilvano, ed elementi storici che servono ad inserire l’elemento mostruoso all’interno di un mondo quanto mai simile a quello di fine Ottocento, funzionale al coinvolgimento del lettore.

Stoker non è il solo, in quel periodo, a rendere il mostro l’inusuale protagonista. In The picture of Dorian Gray (1890) di Oscar Wilde l’elemento fantastico assume un’altra sfumatura ma rimane il punto focale su cui tutto il romanzo è costruito. Non sarebbe infatti possibile per Dorian vivere in eterno come un bel giovane se non avesse rinchiuso la sua anima in un quadro, e cosa c’è di più fantastico se non la possibilità di utilizzare un oggetto per contenere qualcosa di così etereo come la propria essenza in modo che non si invecchi mai? Wilde sfrutta la paura più recondita del genere umano, quella del diventare vecchi e del morire, e la inserisce all’interno di un romanzo ce non è solo manifesto della filosofia estetica di cui Wilde si faceva promotore, ma che viene ad oggi annoverato fra i primi romanzi di genere.

Di grande ricchezza sono inoltre i Tales (1845) di Edgar Allan Poe o anche, in traduzione italiana, I racconti dell’incubo e del terrore, che si focalizzano sul gotico e sul fantastico ma anche sulle paure più angoscianti dell’animo umano anticipando così la forte introspezione che poi prenderà piede nella letteratura novecentesca, e Strange case of Dr Jekyll and Mr

Hyde (1886) di Robert Louis Stevenson in cui il fantastico si manifesta nel

tema dello sdoppiamento dell’individuo, contemporaneamente uomo e mostro.

Di immensa importanza per il genere è però il romanzo di Mary Shelley,

Frankenstein; or, the modern Prometheus (1818), il quale non è soltanto

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che oltre ad essere considerato il più grande mito gotico gli viene anche attribuito il titolo di primo romanzo di fantascienza. Victor, protagonista scenziato che dà vita al famoso mostro senza nome, sfugge ai limiti della natura creando qualcosa di aberrante da cui poi viene perseguitato e che perseguita, in un susseguirsi di ambientazioni angoscianti e cupe senza via d’uscita. Il romanzo, inoltre, a causa del suo titolo, si lega anche al mito, conclamata fonte del fantastico, sia nella grecità che romanità. Mary Shelley utilizzando il nome di Prometeo plasma una doppia visione del mito: quella greca, in cui il titano è stato condannato a rimanere incatenato per l’eternità ad una roccia mentre un’aquila gli divora il fegato per aver rubato il fuoco dall’Olimpo e averlo portato agli umani; e quella romana, dove il Prometeo delle Metamorfosi (8 d.C.) di Ovidio plasma gli uomini dalla creta. In entrambi i casi Shelley vuole porre l’attenzione sull’aspirazione scientifica di poter sperimentare fino ai limiti del possibile e fare anche l’impossibile e lo fa rappresentando Victor e il suo mostro, in un connubio di fantastico e fantascientifico ancora oggi inarrivabile.

L’Ottocento non è, però, soltanto il secolo del gotico, poiché il fantastico non tramonta ma, anzi, prende una strada che da una parte si avvicina nuovamente al mito e dall’altra si approccia alla letteratura per ragazzi.

Nel primo caso, esponente del genere è A Christmas carol (1843) di Charles Dickens. Romanzo breve di genere prettamente fantastico, vede il protagonista Scrooge vittima di alcuni sogni dal sapore profetico guidati da tre spiriti differenti ma con uno scopo affine: quello di mostrargli la sua vita dando uno sguardo al passato, attraversando il presente e vaticinando il futuro spingendolo ad apprezzare ciò che ha. Il canto ha dunque un’affinità con il mito e le sue profezie, poiché in particolare il Ghost of Christmas yet

to come, che nient’altri è se non la Morte personificata, assume un po’ i

caratteri di una Sibilla, fluttuando su una Londra futura in cui Scrooge non esisterà più. Mito e fantastico dunque si rimescolano insieme sulla base

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della passione per le atmosfere macabre tipiche del genere gotico, di cui Dickens era appassionato.

Quello che ha in comune Dickens con Shelley e, più in generale, con gli autori gotici del tempo è la volontà di celare dietro i propri racconti delle critiche alla società dell’epoca. Il fantastico, mai come nell’Ottocento, serve ad evidenziare le brutture del mondo cittadino tramite elementi sovrannaturali che rivelano un’attinenza profonda con la realtà, abitudine che non perderà nemmeno il fantasy moderno.

Al secondo caso, quello della letteratura per ragazzi, appartiene Alice in

Wonderland (1865) e il suo seguito Through the looking-glass, and what Alice found there (1871) di Lewis Carroll. Per la prima volta i lettori si

trovano di fronte ad un mondo assurdo e paradossale, che anticipa le storie per ragazzi che tanto successo riscuoteranno nel Novecento. Così, la piccola Alice cade nella tana del bianconiglio e si ritrova in un mondo pazzesco in cui i fiori parlano, i gatti hanno sorrisi inquietanti e scompaiono ed in cui ci si può ingrandire e rimpicciolire a piacimento. Wonderland, in cui Alice viene catapultata, è il tripudio del fantastico, dove la ragione viene completamente abbandonata in virtù del paradosso ma, nonostante questo, la bambina matura e ricava insegnamenti.

E se nell’epoca vittoriana questa tendenza al fantastico si affaccia prepotentemente nella mente di vari autori, nel Novecento essa si espande in tutta la sua gloria e prende soprattutto forma ben definita nel fantasy.

È nei primi anni del XIX secolo che nasce il fantastico dedicato all’infanzia, il cui scopo era quello di trasmettere insegnamenti pedagogici tramite le fiabe dedicate ai bambini. Romanzi come Le avventure di

Pinocchio (1881) di Carlo Collodi, Peter Pan (1902) di James Matthew

Barrie e The wonderful wizard of Oz (1900) di Lyman Frank Baum sono tutte storie fantastiche, ambientate in mondi surreali quasi alter-ego di quello moderno, in cui i bambini vivono avventure al di là del possibile che

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li portano a crescere e maturare. Così ecco Pinocchio, burattino che prende vita a causa di un desiderio, che si ritrova ad assistere a metamorfosi e ad interagire con una Fata madrina e animali parlanti. Esperienza simile accade a Dorothy, trasportata da un tornado in un mondo che non è il Kansas, la quale nella sua avventura contro streghe cattive e magie viene accompagnata da un uomo di latta e uno spaventapasseri animati e da un leone parlante. Per non parlare poi di Peter Pan, eterno bambino capace di volare e staccare la propria ombra dai suoi piedi, il quale vive le sue avventure insieme a un gruppo di bambini che, come lui, si rifiutano di crescere, pirati, sirene, indiani e fate.

L’interesse verso il genere fantastico potrà anche esser veicolato dalla letteratura per l’infanzia ma in realtà tutti i campi della cultura cominciano a manifestare un occhio di riguardo nei suoi confronti. È così che nel 1923 nasce negli USA la prima rivista interamente dedicata a quello che, dal XX secolo in poi, si chiamerà fantasy: Weird Tales. La rivista si proponeva di pubblicare racconti horror e fantastici in perfetto stile pulp magazine ed ebbe grande successo fino al 1954, anno in cui uscì l’ultimo numero, per poi essere riesumata nel 1988 fino al 2012, anno in cui scompare definitivamente. Più in generale, le riviste che si proponevano di pubblicare racconti in questo arco temporale ottennero molto successo e lanciarono vari autori acclamati, come H.P. Lovecraft e Ray Bradbury.

Proprio negli anni Cinquanta, ancora una volta in America, esplode il genio creativo di Shirley Jackson, autrice dei romanzi gotico-horror fra i più celebri del ventesimo secolo e di vari racconti dello stesso genere che hanno ispirato autori come Stephen King. Il Re dell’horror moderno apre addirittura il suo romanzo Firestarter (1980) con una dedica all’autrice: “In

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ricordo di Shirley Jackson, che non ha mai avuto bisogno di alzare la voce”20.

La mente geniale di Jackson elabora una fra le storie di fantasmi più suggestive di sempre, The haunting of Hill House (1959), che presenta elementi tipici della letteratura horror, una casa stregata e strane presenze, elaborati in modo così sublime che è impossibile non lasciarsi travolgere ed immaginare ciò a cui l’autrice accenna soltanto. Hill House è una casa piena di orrori in cui si ritrovano per un breve lasso di tempo a scopo di ricerca quattro persone più o meno esperte di sovrannaturale. Ciò che le aspetta però non è il tipico fantasma della letteratura di genere, ma un terrore più strisciante che si serve dell’ansia provata nell’attesa di qualcosa di inusuale, che dà vita ad un fantastico diverso dalla massa poiché molto raffinato ed elegante, scritto in uno stile sempre allusivo. È un romanzo in cui la Jackson concede pieno sfogo al sovrannaturale ma contemporaneamente lascia aperto uno spiraglio per una spiegazione più razionale, che è plausibile esattamente quanto quella fantastica.

L’autrice, però, sembra preferire l’interpretazione irrazionale confermando che la casa fosse davvero stregata, come dimostra nello scritto

How I write, contenuto in Let me tell you: new stories, essays and other writings (2015):

Il romanzo parla di una casa stregata e di un gruppo di persone che vanno ad abitare lì per osservare i fenomeni paranormali ai quali vengono esposti. Ora, nessuno può mettersi a scrivere un romanzo su una casa stregata senza andare a sbattere contro la questione della realtà; bisogna credere ai fantasmi, come me, o altrimenti cambiare completamente argomento. Mi ritrovo immersa ancora più del solito in un mondo stravagante, che però in questo momento è anche pieno di fantasmi.21

20 S. King, Firestarter [1890], trad. it. L’incendiaria, Milano, Pickwick, 2005, dedica.

21 S. Jackson, L.J. Hyman e S.H. DeWitt (a cura di), Let me tell you: new stories, essays and

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Ed è proprio per questo estro che all’autrice va riconosciuta una mente geniale, votata ad un fantastico sui generis ma memorabile.

Mentre in America si espandeva il successo di Shirley Jackson in Italia, che dal Cinquecento in poi si era dedicata più al genere realistico che non al fantastico, si recupera il gusto per la magia.

Contini, all’interno della sua antologia Italia Magica (pubblicata per la prima volta nel 1946 e in Italia solo nel 1988) tenta di cogliere la sensibilità magica in letteratura italiana affermando che in Italia, differentemente da altre nazioni come l’Inghilterra, l’interesse per il fantastico, il magico e l’irreale non si era mai risolto nella ricerca dell’irrazionale ma si traduce in un inflessibile controllo di composizione.

In quegli anni il gusto per il fantastico nella penisola si risolve in modo diverso per vari autori, fra cui spicca Massimo Bontempelli. Le sue sperimentazioni surrealistiche, da lui nominate “realismo magico”, vengono espresse all’interno della rivista letteraria internazionale 900, Cahiers

d’Italie et d’Europe, dove Bontempelli spiega il gusto per l’inconscio e

l’imprevedibile nascosti sotto le normalità della vita comune. Al fianco di Bontempelli anche Tommaso Landolfi dimostra una curiosità verso il genere che, con lui, assume più i connotati della perdita di contatto con la quotidianità in virtù di un fantastico più tradizionale votato al mistero e al paranormale, il quale provoca reazioni di terrore e paura che sconvolgono i personaggi delle sue opere.

Principalmente, però, la letteratura di genere in Italia trova la sua dimora in opere antirealiste in cui non solo vengono messi in scena elementi non riscontrabili nella realtà ma in cui anche le stesse strutture narrative risentono di una mancanza di logica. È il caso, per quanto riguarda la la letteratura straniera, di Kafka con Die Verwandlung (1915) ma anche di

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Dino Buzzati, narratore di una realtà sfaldata a causa della mancanza del rapporto causa-effetto.

Quando però si pensa al fantastico novecentesco in Italia, è impossibile non pensare ad Italo Calvino, scrittore da sempre attratto dalle fiabe popolari. Spinto da Vittorini, Calvino, dal 1952, con la pubblicazione de Il

visconte dimezzato (1952) apre la porta al suo periodo fantastico, ampliato

poi dagli altri due romanzi contenuti nella trilogia I nostri antenati: Il

barone rampante (1957) e Il cavaliere inesistente (1959). L’impianto dei

romanzi è fiabesco e sono tutti collocati in un passato vago che rimane comunque connesso al presente reale a causa del titolo della trilogia che sottolinea quanto, per Calvino, il fantastico sia un genere di evasione ma comunque connesso alla realtà, con la quale i personaggi e lettori sono sempre costretti a misurarsi. Lo dimostra, ad esempio, Cosimo Piovasco di Rondò, protagonista sui generis de Il barone rampante, il quale passa tutta la sua vita sugli alberi, rifiutandosi di scendere a terra; quella stessa terra a cui, comunque, gli arbusti sono collegati. Anche al termine della sua vita Cosimo si rifiuterà di banalizzarsi e, mantenendo fede alla sua promessa, si arrampicherà addirittura sulla cima più alta di un noce per poi lasciarsi trasportare e morire nel cielo da una mongolfiera.

Calvino inoltre era un accanito lettore di racconti di fantascienza e ciò, mescolato al suo interesse verso le scienze generò i suoi esperimenti nel campo della science-fiction con la raccolta di racconti Le cosmicomiche (1865) e Ti con zero (1967). Le cosmicomiche si focalizzano sulla nascita e l’evoluzione di un cosmo non abitato da uomini quanto piuttosto da entità che, in base agli accadimenti quotidiani, assumono contorni umanizzati tramite le fisionomie più varie. L’originalità di Calvino sta, in questo caso, nel fatto che la science-fiction aveva come epoca d’interesse il futuro, mentre l’autore si focalizza su un passato indefinito, che ha a suo modo molto in comune con il mito delle origini.

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È infine proprio Italo Calvino ad azzardare una definizione e classificazione del genere proponendo una bipartizione del fantastico tra fantastico visionario e fantastico mentale o quotidiano. Il primo caso prevede, secondo l’autore, l’utilizzo di elementi sovrannaturali classici come fantasmi, mostri, streghe e così via, a differenza del secondo caso in cui l’angoscia è totalmente realizzata sul livello interiore, come ad esempio accade nel Marcovaldo (1963).

E mentre dunque in Italia si cavalca l’onda di un fantastico surreale e alienante, altrove è il fantasy ad avere la meglio e ad erompere. Dalla seconda metà del XX secolo in poi vedono la luce le opere fantasy più grandi dell’epoca moderna, nate dalla penna di J.R.R. Tolkien, C.S. Lewis e, quasi a fine secolo, da J.K. Rowling e George R.R. Martin. Il genere, con loro, assume tratti ben definiti, in cui mito, sovrannaturale, folklore e una enorme fantasia sono i topoi dominanti.

Apripista del fantasy moderno, colui che è considerato il padre dell’high fantasy, è J.R.R. Tolkien, professore di Oxford e creatore di una delle saghe più famose al mondo, Lord of the rings (1954-55), preceduta dal suo prequel The hobbit (1937).

La trilogia ha un’ambientazione più ampia rispetto a The hobbit, sicuramente più fiabesco, ma le opere sono collegate poiché entrambe facenti parte di uno pseudobiblium scritto a quattro mani dal protagonista di

Lord of the rings e da quello di The hobbit, Frodo e Bilbo Baggins.

L’opera di Tolkien è magistrale, poiché l’autore crea un mondo di ispirazione medievale completamente fantastico, Arda, conferendogli una storia, dei miti, e addirittura anche una lingua letteraria, e affidandogli il compito di rappresentare metaforicamente l’orrore delle guerre mondiali in un’ottica cristiana.

Lord of the rings nasce anche a causa della passione di Tolkiem nei

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norreni, finlandesi e germanici influenzano molto la produzione dell’autore: alla mitologia norrena Tolkien prende in prestito le figure degli elfi, degli hobbit e dei nani, i nomi propri provengono dalla mitologia scandinava e la mitologia finlandese ha influenzato la trilogia grazie al poema epico

Kalevala (1835) di Elias Lönnrot ed anche la lingua ufficiale di Arda, il

quenya, che è basato proprio sul finlandese. Di grande contributo sono state, poi, le fiabe europee e le ballate popolari, su cui vengono modellati i nomi e le storie di Middle-earth. Anche la mitologia greca gioca un ruolo fondamentale nell’universo fantasy di Tolkien, in particolare il mito dell’anello di Gige, oggetto magico nominato all’interno della Repubblica (IV sec. a.C.) di Platone, che può essere ricollegato al temibile anello di Sauron. Infine, è l’infanzia dell’autore a ispirargli paesaggi e ambientazioni, e il suo ruolo all’interno della Prima guerra mondiale e quella del figlio durante la seconda a fornirgli le basi militari e l’ispirazione per le battaglie e le guerre. Moltissimi sono anche i riferimenti e le ispirazioni letterarie alle spalle di Lord of the rings, come il poema epico inglese Beowulf (VIII sec. d.C.), la tragedia shakesperiana Macbeth, le leggende, i romanzi medievali, quelli cavallereschi ed anche alcune fiabe moderne.

L’opera viene ad oggi considerata il fantasy per eccellenza, quello in cui viene creato un mondo di completa immaginazione in cui si muovono personaggi che devono sconfiggere un’entità malvagia e magica e, per farlo, attingono a tutta la loro eroicità. I significati dietro Lord of the rings sono sicuramente allegorici con temi teologici molto presenti, trattati in modo alternativo, che hanno fatto a tutti gli effetti la storia. Fin dal principio la saga di Tolkien è stata recensita sia positivamente che negativamente, ma rimane il capostipite della letteratura fantasy moderna e l’opera che ha espanso vertiginosamente l’interesse dei lettori di tutto il mondo al genere. Dagli anni Sessanta in poi vennero infatti pubblicati molti libri di simile argomento, fra cui la saga Shannara (1977-2018) di Terry

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Brooks, o vennero riscoperti titoli che in un primo momento erano passati inosservati, come nel caso della serie Gormenghast (1946-59) di Mervyn Peake. L’influenza di Tolkien non si è fermata alla letteratura ma si è poi ampliata anche nell’ambito dei giochi di ruolo, che negli anni Settanta spopolò grazie a Dungeon&Dragons, e continua ancora oggi ad influenzare autori e registi, come nel caso di George Lucas, creatore della saga cinematografica di Star Wars.

Al fianco di Tolkien, portatore della fiaccola del fantasy, questa volta per ragazzi, è ancora una volta un docente di Oxford nonché amico di Tolkien, cioè C.S. Lewis, autore della serie di sette libri The chronicles of Narnia (1950-56).

Ancora una volta, il fantasy prende in prestito idee alla mitologia greca e latina per rappresentare un mondo intero al di là di un iconico armadio, con delle supposizioni – termine preferito dallo stesso Lewis rispetto ad “allegoria” – nuovamente legate alla dottrina cristiana. L’eptalogia è destinata a un pubblico giovanile ma a una lettura più attenta affrontano, esattamente come Lord of the rings, temi complessi che sono stati studiati a fondo. Lewis si affida alla filosofia classica a cui viene tra l’altro fatto riferimento all’interno della storia e l’opera intera risulta facilmente essere allegoria del cristianesimo. Come Tolkien, anche Lewis prende ispirazione da varie mitologie e oltre a quella classica greca e romana, fra le fonti di

The chronicles of Narnia possono essere annoverate la mitologia norrena,

quella celtica, egizia, germanica ed islamica; ma l’opera fa l’occhiolino anche alla tradizione orientale e alle fiabe de Le mille e una notte: in particolar modo all’interno di The horse and his boy, terzo libro della serie, le ambientazioni, gli usi e i costumi sono orientaleggianti. Anche le opere di Tolkien stesso e della letteratura per bambini influenzarono Lewis, così come avviene per Amlet di Shakespeare, ispirazione per The silver chair, quarto libro nella serie, ed il personaggio del principe Rilian. Infine, ruolo

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fondamentale lo gioca il Medioevo con le sue leggende e tradizioni, i suoi miti e le sue creature sovrannaturali come i draghi, i centauri, gli gnomi e i giganti.

Esattamente come Lord of the rings, dunque, The chronicles of Narnia esplorano un mondo completamente fantastico, fatto di storie e mitiche gli forniscono base solida e che, contemporaneamente, forniscono insegnamento a bambini e adulti.

Anche nel caso di Lewis, l’autore ha ispirato poi altre opere di genere fantasy di letteratura e non: in particolare J.K. Rowling, autrice di Harry Potter (1997-2007), ha dichiarato di essersi ispirata in parte all’autore inglese in particolare nella caratterizzazione delle sue creature magiche nella saga del maghetto con la cicatrice, e il videogioco degli anni 90 Simon

the Sorcerer II: the lion, the wizard and the wardrobe è considerato un

chiaro richiamo alla serie.

Dopo Lewis e Tolkien la strada del fantasy è tutta in discesa, poiché l’attenzione e l’interesse per il genere esplode e con esso le varie pubblicazioni: tantissimi sono i romanzi usciti fra il XX e il XXI secolo destinati ad un pubblico giovane ma anche adulto.

Al filone della letteratura fantasy per ragazzi appartiene la serie di Harry

Potter di J.K. Rowling, uscita dal 1997 in poi ed ambientata nella scuola di

magia e stregoneria di Hogwarts. I propositi di Rowling erano quelli di creare una serie di romanzi di formazione basati sui valori del cristianesimo e dell’amicizia, all’interno della quale si nascondono numerose citazioni estrapolate dalla mitologia greca e celtica, dall’alchimia e dalla criptozoologia.

Il fantastico all’interno della serie è, insieme a quello di Tolkien e Lewis, quello che sta più influenzando le nuove generazioni; il mondo all’interno del quale si colloca Hogwarts è quello reale, la Londra di fine Novecento, in cui il mondo dei maghi si nasconde in bella vista dai muggles, coloro i quali

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non possiedono capacità magiche. La realtà e l’irrealtà in Harry Potter convivono così vicine che non c’è più distanza fra le due dimensioni.

Quando un ragazzino o un adulto del passato leggeva Salgari, gli capitava di viaggiare per qualche ora tra i pirati dei Caraibi o i tigrotti di Mompracem; poi, chiuso il libro, tornava alle sue occupazioni quotidiane. Tra il mondo di Salgari e quello della vita dei suoi lettori non esisteva alcuna osmosi. Ma le avventure di Harry Potter e di analoghi personaggi del fantasy contemporaneo rendono talmente reale l’irrealtà e irreale la realtà da abolire la differenza e soprattutto la distanza tra le due dimensioni. La realtà si incanta e l’altrove si disincanta. O, se vogliamo usare i termini di Jesi, l’Aldiquà si mitizza, mentre l’Aldilà si demitizza, diventando pura macchina mitologica.22

L’abilità di Rowling è stata quella di creare un mondo che convive con il nostro, dando libero accesso adesso anche a chi non ne ha, realisticamente, abilità magiche, ma riesce almeno con la fantasia a prendere il treno per Hogwarts e vivere meravigliose esperienze da strega o mago, immerso in una storia colma di ambientazioni fantastiche dal sapore medievaleggiante in cui gli eroi crescono con i lettori.

A un filone più crudo con definizioni più labili tra bene e male appartiene invece la serie A song of ice and fire (1996) di George R.R. Martin, ancora in produzione. Anche in questo caso, come per Tolkien, ci si trova davanti ad un high fantasy o, ancor più distintivo, come lo preferisce lo stesso Martin, epic fantasy, con un’ambientazione medievaleggiante dotato di una struttura sociale feudale in cui temi trattati sono forse più adatto ad un pubblico adulto a causa della sessualità e della violenza presenti. Westeros, così è chiamato il mondo in cui Martin infonde vita, è il continente occidentale all'interno del quale le famiglie più potenti si sfidano e lottano per il potere rappresentato dal trono di spade, trono del re.

22 A. Dal Lago, Eroi e mostri. Il fantasy come macchina mitologica, Bologna, Il Mulino, 2017,

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