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1- Il fantasy: storia e sviluppo di un genere

1.2 Gli studi

Molti critici e altrettanti autori, soprattutto negli ultimi anni, si sono imbarcati in una definizione e classificazione del genere fantastico, inizialmente non particolarmente riconosciuto dalla letteratura. Soltanto ultimamente, infatti, il genere ha acquistato gloria e contorni ben definiti, venendo riconosciuto e apprezzato dalla critica nonostante in alcuni casi sia ancora vittima di qualche pregiudizio.

Nella modernità, fra i primi a pronunciarsi sul fantastico è stato proprio il padre dell’high fantasy, J.R.R. Tolkien, inizialmente durante una conferenza in memoria di Andrew Lang, tenutasi l’8 marzo 1939 all’Università di St. Andrews in Scozia. Nel 1947 è stata pubblicata poi all’interno di un’opera contenente vari saggi dell’autore, intitolata Essays

presented to Charles Williams, e nel 1964 in Leaf and Niggle, portata in

Italia con il titolo di Albero e foglia (1976).

On fairy-stories, così è chiamata l’edizione attuale del saggio, contiene la

spiegazione dell’autore riguardo la sua idea di fantasy e fantastico e vari pensieri sulla mitopoiesi; è una delle analisi sulla letteratura di genere ad oggi considerate più significative proprio perché provenienti dal fondatore del fantasy moderno.

Lo scopo che Tolkien si prefigge è doppio: da una parte vuole chiarire la sua forte convinzione che la speculative fiction – fantasy, sci-fi, horror, supernatural o distopia che sia – non è esclusivamente destinata ad un pubblico giovane ma, anzi, è universale e dall’altra è determinato a difendere il mondo della fiabe e a distinguerlo dai romanzi onirici, di animali, di viaggio e di fantascienza, con i quali comunque il mondo delle fiabe e del fantasy ha indubbi punti in comune.

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L’autore comincia dando una definizione della fiaba, desunta dall’Oxford English Dictionary: la fiaba è identificata come un racconto su esseri fatati, una storia irreale. Già la classificazione delle fairy-tales come false provoca in Tolkien una reazione contrariata, dal momento che sottolinea spesso all’interno del saggio come i racconti fantastici possano veicolare l’immaginazione del lettore catapultandolo in mondi che hanno regole diverse della realtà ma che sono comunque coerenti e razionali.

L’argomentazione è molto serrata e tocca alcuni punti nevralgici: subito dopo aver trattato della definizione della fiaba, Tolkien passa ad analizzare l’origine dell’elemento fiabesco contraddicendo gli studiosi di folklore i quali sostenevano che le storie che contengono topoi simili fossero “le stesse storie” e non racconti differenti. A questo Tolkien ribatte che:

sono precisamente il colorito, l’atmosfera, gli inclassificabili dettagli individuali di una storia, e soprattutto il significato generale che infondono vita allo scheletro disseccato della trama, ciò che contano realmente.24

Riconosce inoltre che l’origine delle fiabe è molto antica e largamente diffusa fin dalle origini in qualsiasi popolazione adottasse linguaggio. A questo punto è impossibile per l’autore non creare un punto di contatto fra fantasy e mitologia, dal momento che, come Tolkien stesso tiene a precisare nel saggio e poi dimostra all’interno della saga di Lord of the rings, le due sono effettivamente legate. Per quanto il mito possa avere dei fondamenti storici, è sempre la rappresentazione di un sentimento artistico e della sua necessità di venire alla luce e recuperarlo significa ricordare un primo processo creativo umano. La caratteristica del mito, poi tramandata anche al fantasy, sarebbe allora una interpretazione delle bellezze e delle brutture del

24 J.R.R. Tolkien, V. Flieger e D.A. Aderson (a cura di), On fairy stories [2014], trad. it. Sulle

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mondo tramite quella che l’autore chiama sub-creazione. È una visione umanista, tutta fondata sulla volontà artistica dell’uomo, capace di creare al fianco del mondo Primario, quello reale in cui vive, un mondo Secondario, che null’altro è se non quello popolato dai Faërie. Tale mondo potrà anche essere appartenente al fantastico, ma verrà percepito come reale e costituirà una verità a tutti gli effetti poiché percepita come vera dal lettore e dal creatore.

Probabilmente ogni scrittore, nel costruire un mondo secondario, una fantasia, ogni sub-creatore desidera in qualche misura essere un vero creatore, o spera di tracciare un disegno sulla realtà: spera che la peculiare qualità di questo mondo secondario (anche se non tutti i suoi particolari) siano derivati dalla Realtà, o confluiscano in essa. Se quindi egli consegue una qualità che può ben essere sintetizzata dalla definizione da dizionario «intima consistenza della realtà», è difficile concepire come questo possa accadere, se l’opera stessa non partecipa in qualche modo della realtà. La particolare qualità della «gioia» nella Fantasia ben riuscita può quindi essere spiegata come uno sguardo improvviso alla realtà, o verità, sottesa. Non è solo una «consolazione» per i dolori di questo mondo, ma una soddisfazione, e una risposta alla domanda: «È vero?» La risposta a questa domanda che io ho dato in primo tempo era (abbastanza giustamente): «Se hai costruito bene il tuo piccolo mondo, sì: è vero in quel mondo».25

Ciò concede al lettore l’occasione di ricodificare la realtà grazie alla prospettiva creata tramite la conoscenza di un mondo diverso da quello in cui si vive e dunque la storia diventa portatrice di un messaggio più ampio rispetto a quello percepito a primo impatto, che per Tolkien equivale alla trasmissione dei valori cristiani.

Prima di focalizzarsi su questo, però, il professore di Oxford va avanti nella sua trattazione domandandosi cosa possono offrire le fairy-stories, cioè quali sono le loro funzioni e, in ultimo, i loro valori.

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Dei valori si parlerà più avanti perché, come accennato, secondo Tolkien le storie fantastiche veicolano delle verità profonde riscontrabili nella fede, ma, prima di ciò, è necessario soffermarsi sulle funzioni delle storie basate sulla fantasia, le quali vengono schematizzate in tre parti: l’evasione, la consolazione e la riscoperta.

La fantasia, come già detto, è la prima missione del sub-creatore e dunque artista ma soprattutto è la capacità di conferire al mondo creato quella consistenza e coerenza dei valenti mondi Secondari che affascinano i lettori a causa della loro stranezza, che risulta però sempre fondata. Essa viene definita naturale attività umana e secondo Tolkien non si pone mai come avversaria del reale o della verità scientifica, quanto per lo più una sua abile alleata poiché “si fonda sulla dura consapevolezza che le cose sono proprio così nel mondo”26.

L’evasione è la prima delle funzioni della fantasia considerata nella sua accezione positiva e addirittura eroica. Ciò avviene perché Tolkien era ben consapevole dell’idea negativa di cui era permeato l’escapismo della cosiddetta letteratura d’evasione e afferma che l’uomo moderno può avere necessità di rifuggire dalle miserie del mondo moderno e che questo distogliere lo sguardo temporaneamente da ciò non provoca una perdita di realtà quanto per lo più un momento di tregua dell’occhio umano prima di ritornare a guardare orrori come la guerra, la povertà e la fame. A ciò è collegata la seconda funzione della fantasia, la consolazione, diretta conseguenza dell’evasione. Rifuggendo dal reale durante la lettura di opere fantastiche, queste offrono al lettore l’occasione di godere della gioia del lieto fine e contemporaneamente di realizzare il desiderio più profondo e antico dell’essere umano, quello di sfuggire alla morte; ciò viene chiamata

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la Grande Evasione, un vero e proprio spirito evasivo o, per meglio dire, fuggitivo. Dice Tolkien:

Dal momento che non mi sembra vi sia una parola per esprimere questo opposto lo chiamerò Eucatastrofe. Il racconto eucatastrofico è la vera forma della fiaba, e rappresenta la sua più elevata funzione.27

Infine, ultima funzione della fantasia è la riscoperta o il ristoro cioè la capacità di percepire le cose come davvero sono utilizzando la prospettiva di un mondo diverso che genera una visione più chiara della realtà. La riscoperta viene definita ri-acquisto ed è una riappropriazione delle cose familiari a cui l’uomo si è legato fisicamente e mentalmente.

Nell’espressione di tali idee Tolkien sviluppa dei punti di contatto con il formalista russo Viktor B. Šklovskij, formalista russo e autore del saggio

Teoria della prosa (1925). All’interno di ciò il critico riconosceva alle

opere letterarie la possibilità, secondo il principio di straniamento, di guardare alla realtà in modo nuovo, osservandone sfaccettature inedite su vari livelli. Ciò che egli chiamava ostranenie consente dunque di osservare oggetti, eventi, persone e situazioni in base ad una prospettiva originale, tramite due piani distinti: quello linguistico, descrivendo qualcosa in modo inusuale, e quello dei generi letterari, utilizzando schemi non consueti.28

Naturalmente, da ammiratore e partecipante del genere fantastico, Tolkien non può esimersi dall’analizzare forse il più grande pregiudizio di questo tipo di letteratura: il suo legame con i bambini e come essa, in realtà, possa essere apprezzata dagli adulti. Già negli anni ’50 infatti, Tolkien aveva tentato di far crollare il pregiudizio più diffuso sulla letteratura di

27 Ivi, 223.

28 Viktor B. Šklovskij, O teorii prozy [1925], trad. it. Teoria della prosa, Torino, Einaudi,

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genere, quello in base a cui le storie fantastiche non riservassero altri insegnamenti se non quelli pedagogici e dunque fossero inutili o stuzzicassero poca attrattiva negli adulti. Critica infatti il modo in cui la letteratura fantastica sia stata limitata solo ad essere qualcosa per bambini, relegata come un vecchio mobile in soffitta, quando in realtà le fiabe nascondono molto più di quel che a un primo sguardo possa sembrare. Le fiabe sono sicuramente state adattate al punto di vista dei bambini, ma questo, secondo l’autore, è un processo che potrebbe esser fatto anche nei confronti della storia, della musica, della poesia e così via; il valore delle fiabe “non lo si deve cercare pensando in particolare ai bambini”29. Per

Tolkien le fiabe, il fantastico, non hanno età e sono degne di essere scritte per e lette dagli adulti.

L’autore conclude il saggio affermando che le buone fiabe sono permeate dalla gioia e, a ciò, riporta in scena i famosi valori cristiani; vengono nominati infatti i Vangeli, definiti vera essenza delle fiabe poiché contengono una fiaba meravigliosa, commovente e mitica.

L’idea che il fantastico non sia un genere riservato ai più piccoli viene condivisa anche dal collega e amico di J.R.R. Tolkien, C.S. Lewis la cui idea è espressa all’interno della sua antologia di critica letteraria Of other

worlds (1966). La raccolta viene pubblicata postuma dai suoi esecutori

testamentari, proprietari dei suoi beni, e curata dal segretario del professore di Oxford. L’antologia, divisa in due parti, propone nella prima parte un insieme di piccoli saggi riguardanti le idee dell’autore a proposito della fantascienza e i destinatari del fantasy e la trascrizione di una conversazione fra C.S. Lewis e gli autori Brian Aldiss e Kingsley Amis; nella seconda parte, riporta tre storie di fantascienza scritte da Lewis, una delle quali non

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pubblicata, e l’incipit di un romanzo rimasto però incompiuto, After ten

years, riguardante la guerra di Troia.

La parte fondamentale è, ai fini dell’argomentazione, la prima ed in particolar modo i saggi On stories, On three ways of writing for children,

Sometimes fairy stories may say best what’s to be said ed On juvenile tastes, i quali non fanno che sostenere le idee già espresse da Tolkien

all’interno del suo On fairy stories.

Anche Lewis, come il suo collega, tratta del problema dilagante già all’epoca in base al quale qualsiasi storia che prevedesse l’utilizzo del meraviglioso o del soprannaturale era destinata ad un pubblico giovanissimo e porta d’esempio l’idea del dottor Dr Johnson il quale riteneva che i bambini apprezzassero il genere proprio perché ancora troppo ignoranti per saper distinguere ciò che è impossibile da ciò che non lo è. Lewis si contrappone a tale idea affermando che non tutti i bambini dimostrano un interesse verso il fantastico e che il genere on è sempre e solo apprezzato dai bambini; di conseguenza per apprezzare una buona favola o un buon racconto sovrannaturale non è condizione necessaria il credere alla magia o avere una determinata età: “No book is really worth reading at the age of ten which is not equally (and often far more) worth reading at the age of fifthy”30.

L’autore riconosce inoltre, come Tolkien prima di lui, che il racconto fantastico non esaurisce mai il proprio significato allo svolgimento della trama ma, scavando più a fondo, si possono leggere in ogni storia elementi più profondi come ad esempio critiche alla società moderna e satire, significati che si ritrovano spesso nella letteratura di genere. La letteratura considerata per ragazzi è una delle forme d’arte migliore, dice Lewis, per dire ciò che si deve dire, per far ragionare su come il mondo è e su come

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dovrebbe essere, sulle cose positive ed anche su quelle negative del reale. Questo sarebbe il modo migliore per scrivere un libro che appartiene alla letteratura per ragazzi e che può essere ampiamente apprezzato anche dai non più giovani.

Il fantasy, inoltre, ha il grande vantaggio di presentare tutto un range di esperienze differenti fra loro e che sarebbero impraticabili per l’essere umano, bambino o adulto che sia; è per questo che è apprezzabile a tutte le età ed è proprio in questo rivolgersi ad un ampio pubblico che il genere viene accomunato dall’autore anche al mitico. Lewis ci tiene a specificare anche che, sebbene nella contemporaneità le fiabe vengano considerate perlopiù letteratura per bambini e ragazzi, in passato non era stato così, tanto che i racconti di genere erano particolarmente apprezzati presso la corte di Luigi XIV:

The Fantastic or Mythical is a mode available at all ages for some readers; for others, at none. At all ages, if it is well used by the author and meets the right reader, it has the same power: to generalize while remaining concrete, to present in palpable form not concepts or even experiences but whole classes of experience, and to throw off irrelevancies. But as its best it can do more; it can give us experiences we have never had and thus, instead of ‘commenting on life’ can add to it.31

A questo punto Lewis si pronuncia sulla pericolosità del fantasy, che si credeva potesse illudere bambini e ragazzi su ciò che è possibile e non è possibile fare, eliminando o comunque indebolendo i limiti dell’umanamente realizzabile. L’autore si oppone a questa idea affermando come egli stesso, da ragazzo, fosse stato deluso più da storie studiate a scuola che non da quelle fantastiche; il compito del fantastico non è indurre il lettore a disprezzare il reale per qualcosa di immaginario ma di portare un

31 C.S. Lewis, Sometimes fairy stories may say best what’s to be said, in Of other worlds,

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po’ di magia nel mondo reale. Sicuramente riconosce una certa pericolosità al genere, ma se sapientemente evitata il fantastico è un esercizio spirituale, ciò che viene chiamato da Lewis askesis, piuttosto che una malattia.

All stories in which children have adventures and success which are possible, in the sense that they do not break the laws of nature, but almost infinitely improbable, are in more danger than the fairy tales of raising false expectations […] (ndr, A child) does not despise the real woods because he has read of enchanted ones: the reading makes all real woods a little enchanted. This is a specal kind of longing. The boy reading the school story of the type I have in mind desired success and is unhappy (once the book is over) because he can’t get it: the boy reading the fairy tale desires and is happy in the very fact of desiring. For his mind has not been concentrated on himself, as it often is in the more realistic story.32

Infine, all’interno del saggio On science fiction, anch’esso contenuto all’interno dell’antologia Of other worlds, Lewis conferma ciò che aveva già affermato nei saggi precedenti riguardo le storie e la loro capacità di regalare sensazioni aggiunte a quelle della vita reale per cui ciò che ne consegue è che il mondo fantastico non è importante a causa del meraviglioso (che può generare comicità o stupore) ma lo è a causa della sua qualità, del suo sapore.

Quello che consegue dai saggi di J.R.R. Tolkien e C.S. Lewis è dunque una strenua difesa del genere fantasy, considerato non inferiore a quello realistico o a tutti gli altri generi letterari, bensì paritario, di valore e contenente enorme potenziale.

Uno studio fra i più approfonditi e importanti sul genere fantastico è quello di Tzvetan Todorov, Introduction a la littèrature fantastique, pubblicato per la prima volta a Parigi nel 1970 e tradotto in Italia nello stesso anno con il titolo La letteratura fantastica. Il saggio è diviso in dieci

32 C.S. Lewis, On three ways of writing for children, in Of other worlds, Harper One, San

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capitoli e si focalizza sul fantastico, lo strano e sul meraviglioso, dando di essi una definizione e rappresentandone le caratteristiche e i temi principali.

Il cuore del fantastico, che il critico bulgaro definisce in relazione ai concetti di immaginario e di reale, è per lui “un avvenimento che, appunto, non si può spiegare con le leggi del mondo che ci è familiare”33.

Di fronte a un evento non razionalizzabile il personaggio si troverebbe dunque davanti a due sole scelte: identificarlo come un prodotto dell’immaginazione che non devierebbe le leggi del mondo reale o riconoscerlo come un accadimento reale che sconvolgerebbe le leggi naturali fino ad allora conosciute.

Il fantastico occupa il lasso di tempo di questa incertezza; non appena si è scelta l’una o l’altra risposta, si abbandona la sfera del fantastico per entrare in quella di un genere simile, lo strano o il meraviglioso. Il fantastico, è l’esitazione provata da un essere il quale conosce soltanto le leggi naturali, di fronte a un avvenimento apparentemente soprannaturale.34

Posto che il fantastico corrisponde ad una incertezza il passaggio successivo è chiedersi a chi appartiene tale esitazione.

Per Todorov, ai fini di una riuscita opera di genere fantastico, l’esitazione del lettore è condizione fondamentale; seconda condizione, questa volta facoltativa ma comunque spesso rispettata, è l’esitazione del personaggio.

Il fantastico implica quindi l’integrazione del lettore in modo che percepisca in prima persona ciò di cui legge e sia definito proprio da questa percezione.

33 T. Todorov, Introduction à la littérature fantastique [1970], trad.it. La letteratura fantastica,

Milano, Garzanti, 1991, p. 28.

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La terza condizione riguarda, infine, l’interpretazione del testo in maniera “negativa”. È chiaro che, nel momento in cui si legge un racconto o romanzo fantastico, il lettore riesce a distinguere fra ciò che è dichiaratamente sovrannaturale e ciò che non lo è (in tal caso Todorov pone l’esempio degli animali parlanti, fenomeno del fantastico che il lettore non prenderebbe mai alla lettera), ma l’interpretazione dell’opera fantastica non va letta né poeticamente né allegoricamente, ed in ciò si risolve il suo sguardo particolare, come se si guardasse ad un negativo fotografico piuttosto che alla sua stampa.

Le prime due condizioni vengono poi riconosciute in tre aspetti differenti.

Alla prima condizione appartiene l’aspetto verbale, caratterizzato dalla visione ambigua delle cose. Alla seconda, invece, appartengono sia l’aspetto sintattico che quello semantico o tematico; il primo riferito alle reazioni, in opposizione alle azioni, dei personaggi, i quali valutano gli avvenimenti e il secondo riferito alle percezioni e alle notazioni.

Todorov ammette inoltre un’altra varietà di fantastico:

[…] in cui l’esitazione si situa tra il reale e l’immaginario. Nel primo caso dubitavamo non del fatto che gli avvenimenti fossero accaduti, ma dell’esattezza della nostra comprensione. Nel secondo caso ci chiediamo se ciò che crediamo di percepire non è in realtà frutto dell’immaginazione.35

Tale ambiguità può essere collocata fra: il reale e l’illusorio, in cui la spiegazione si basa su un errore o esitazione di percezione; o fra il reale e l’immaginario, in cui la percezione viene identificata come frutto dell’immaginazione dovuta a follia o ambiguità del testo. Nel secondo caso, essa può essere causata dall’utilizzo dell’imperfetto (es. mi sembrava, mi

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pareva, ero convinto, mi parve) e della modalizzazione, che prevede

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