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2- La trasformazione dell’eroe

2.1 Eroi: fra mito, letteratura e fantasy

Il ruolo letterario dell’eroe ha catalizzato su di sé l’attenzione, in letteratura e poi anche nel mondo cinematografico, grazie alla sua evoluzione e al suo essere cangiante. Prima di analizzare, però, come il ruolo dell’eroe sia mutato in base ai tempi e ai generi e di come ad oggi si presenti nel romanzo fantasy, è necessario, comprendere come l’eroe venisse identificato in passato ed individuare il significato ed il valore della parola. Il termine eroe, infatti, ha proprietà polisemiche: ad esso vengono così attribuiti tre valori differenti, legati a tre ambiti differenti, quello storico-religioso, quello morale e quello narrativo.

La prima accezione del termine si rifà al ruolo storico-religioso tipico della mitologia e, sebbene sia stato reso iconico dalla letteratura greca e poi latina, è presente in ogni mitologia, poiché l’eroe incarnava il connubio perfetto fra l’individuo umano e il dio, all’interno del quale si canalizzavano le aspirazioni morali, sociali e culturali del mondo in cui era inserito.

L’etimologia della parola è da ricondursi al greco ἥρως (èros), il cui significato era riconducibile a “signore, principe, sire”, termine di cortesia rivolto agli eroi omerici di qualsiasi grado. La parola veniva attribuita non solo agli eroi ma anche agli dei e molto spesso ad esseri umani divinizzati e, dunque, in questa doppia accezione, l’eroe era chi compiva imprese degne di gloria ma anche un personaggio sacro50. Tale capacità degli eroi di

50 Cfr. P. Chantraine, Dictionnaire étymologique de la langue grecque. Histoire des mots,

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ergersi al di là di uomini comuni, per Hegel, era strettamente legata al periodo in cui costoro si sviluppano e prosperano. All’interno della sua

Ästhetik51, il filosofo idealista affermava che i caratteri eroici dei miti greci

e romani erano figure solide solo perché agenti in un’epoca pre-legale in cui il giudizio non era affidato a tribunali ma ad entità divine, le quali governavano i destini di tali personalità. In tal senso, questi personaggi rappresentavano individualità universali concepibili solo sulla base di leggi in cui la scissione fra l’individuo e la totalità non era ancora avvenuta ed in cui le possibilità di scelta erano pressoché infinite; ciò avveniva poiché negli eroi classici non era ancora stata risvegliata la consapevolezza dei limiti e dei rapporti sociali che, invece, sono ben conosciuti all’eroe nella sua accezione narrativa. Ecco perché gli eroi erano considerati figure civilizzanti, con la capacità di cambiare il mondo non solo grazie alla loro forza in battaglia e alla capacità ammaliatrice della loro retorica, ma anche a causa della creazione e scoperta di nuove città, invenzioni, usi e costumi. Eumolpo52 (uno dei fondatori dei Misteri Eleusini), Diomede53 (eroe della

navigazione e della diffusione della civiltà greca) ed Orione54 (cacciatore

smodato che liberò Chio dai serpenti), diventano quindi eroi culturali, incarnanti la forza civilizzatrice e, contemporaneamente, l’aspirazione del popolo di veder compiuta la propria grandezza.

All’eroe mitico venivano attribuite caratteristiche positive ed universali, con qualche debolezza che non intaccava in alcun modo la sua collocazione

51 Cfr. in G.W.F. Hegel, Vorlesungen über die Ästhetik, 1835, trad. it. N. Merker e N. Vaccaro,

Milano, Feltrinelli, 1963.

52 A. Brelich, Gli eroi greci. Un problema storico-religioso, Roma, Edizioni dell’Ateneo, 1958,

p. 122.

53 A. Ferrari, Dizionario di mitologia greca e latina, Torino, Utet, 2015, p. 235.

54 Ivi, p. 140 e 171-172. Ed anche: C. Kerènyi, Gli dei e gli eroi della Grecia, Milano, Il

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nella dimensione intermedia fra gli dei e gli uomini; era forte più di un essere umano, capace di imprese incredibili, dimostrava caratteristiche al di là della concezione umana, spesso era quasi invulnerabile (basti pensare ad Achille e al suo unico punto debole, il tallone) e godeva spesso del favore degli dei ma soprattutto degli uomini, i quali erano portati a divinizzarlo e a rendergli gloria non come un pari ma come un superiore. Considerato un essere quasi sovrannaturale, spesso era un semidio e vantava legami stretti con gli dei, tanto da esser generato da uno di loro o avere con loro relazioni, conversazioni o incontri sull’Olimpo, l’eroe diventava inavvicinabile per l’uomo comune. Tale ruolo, nell’antichità, era dunque associato prevalentemente a un uomo che, coraggiosamente, difendeva combattendo la propria terra e i propri ideali e, nel caso in cui fosse stato necessario, si sacrificava per il bene comune perdendo la propria vita ma venendo ricordato nei secoli. Gli eroi rappresentavano dunque il divino e il guerriero, le imprese gloriose e i culti verso ciò che era sacro ed eterno, tanto che le loro tombe, gli ἡρῷα (heròa), erano considerate templi55.

Gli eroi erano uomini, ma così inarrivabili che l’uomo comune, pur riconoscendosi in esso, lo riteneva sempre distante, troppo impareggiabile per poter creare un paragone. In questo più simile a un dio, l’eroe possedeva sicuramente qualità, motivazioni ed emozioni universali ma rimaneva superiore, capace di compiere imprese oltre la sua forza fisica o età umana. Il suo primo scopo era dunque proteggere la patria e gli ideali di essa, anche se ciò doveva richiederne la morte; ed anzi, gli eroi mitici che cadevano in battaglia venivano ancor più glorificati di coloro i quali ne riemergevano vittoriosi, poiché in tal modo spesso erano sublimati a condizione divina. Quello faceva sì che molti non guardassero alla morte come a una chimera

55 Riguardo l‛Ηρῷον (herōon) greco cfr. G. Campbell, The grove encyclopedia of classical art

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ma quasi anelassero ad essa, poiché consapevoli che avrebbe consegnato i loro nomi ai posteri. Ne è l’esempio perfetto Achille il quale, avvertito da sua madre Teti della morte che avrebbe trovato a Troia, ma dell’eterna gloria di cui sarebbe stato ammantato, partecipò ugualmente alla guerra. Achille, consapevole del suo destino e del ruolo che gli dei hanno in questo, abbracciò la sua morte con la fierezza di ogni eroe che sa che, una volta perito, rimarrà nella memoria comune.56

Eva Cantarella, antropologa dell’antichità, all’interno del suo saggio sulla mitologia greca L’amore è un dio, riconosce che:

Come tutti gli eroi omerici, anche lui (Achille, ndr.) accetta di morire per la Grecia: ma lo fa perché, grazie a quella morte, “gloria di lui sarebbe giunta ai tardi nipoti”. Come tutti gli eroi omerici, Achille muore per se stesso, perché il suo nome individuale non sia dimenticato.57

Dunque questi super-uomini destinati a morire in imprese gloriose, predette loro e riconosciute dagli dei, ricercavano la τιμή καὶ κλέος (timè kai klèos), l’onore e la fama, per le quali ottenevano un posto d’onore nei ricordi dei posteri. Nascono così l’Iliade, l’Odissea e tutte quelle epopee che risaltano il valore di tali grandi uomini presi d’esempio e modello ma contemporaneamente allontanati al mondo mortale proprio a causa della loro incorruttibile ἀρετή (aretè), la virtù, e il γῆρας (geras), l’onore militare. Stanziati sull’olimpo degli eroi, mentre in mitologia latina costoro erano portatori del mos maiorum - letteralmente “costume degli antenati” - quell’insieme di tradizioni e valori fondamentali per la costituzione della società e cultura romana58, gli uomini di tradizione omerica come Achille59,

56 Cfr. in M. Nucci, Le lacrime degli eroi, Milano, Einaudi, 2014. 57 E. Cantarella, L’amore è un dio, Milano, Feltrinelli, 2007, p. 91.

58 Ne è l’esempio perfetto Enea, protagonista dell’Eneide virgiliana che, approdato a Cartagine

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Ettore, Aiace Telamonio, Teseo, Eracle rappresentavano i valori della kalokagathìa, la formula tipicamente greca del καλός καὶ ἀγαθός (kalòs kai agathòs), il guerriero “buono e bello”. Il termine racchiudeva in sé la prestanza fisica e il possesso di tutte le virtù positive, sulla base della quale venivano educati tutti gli uomini eccellenti i cui nomi erano destinati a protrarsi nei secoli.60 Inoltre, favoriti dalle Moire, a tali guerrieri veniva

anche concesso un aspetto così attraente che i cantori non riuscivano a rappresentare in modo esauriente la loro bellezza, se non descrivendoli marginalmente. Ben lungi dall’essere solo uomini possenti, comunque, gli eroi greci possedevano anche uno spiccato senso del dovere ed arguzia, e potevano essere uomini comuni. Il famoso Odisseo, ad esempio, pur non incarnando l’aspetto di un adone, era l’eroe della parola, il πολύτροπος (polytropos) omerico, cioè l’uomo “dal multiforme ingegno”, colui che vantava una grande maturità riflessiva ed una versatile astuzia.

Anche le armi utilizzate in battaglia da questi eroi venivano largamente ricordate nei poemi e nei racconti mitologici, caratteristica che si protrarrà poi nei secoli fino ad influenzare anche il fantasy moderno, il quale riconosce ai suoi eroi, classici o “difettati” che siano, l’utilizzo di un’arma distintiva o di un segno per il quale diventano riconoscibili e, in alcuni casi, guadagnano un appellativo61.

sua felicità (Eneide, 4, vv. 340-610). Cfr. in A. Ferrari, Dizionario di mitologia greca e latina, op. cit., p. 270.

59 Cfr. G. Paduano, La nascita dell’eroe: Achille, Odisseo, Enea le origini della cultura

occidentale, Milano, BUR, 2008.

60 Cfr. in L.R. Farnell, Greek hero cults and ideas of immortality, Oxford, Clarendon Press,

1921. Ed anche M. Bettini, Il grande racconto dei miti classici, Bologna, Il Mulino, 2018.

61 Basta pensare, in Harry Potter, alla cicatrice di Harry e al suo incantesimo distintivo,

l’Expelliarmus, attuato con la sua bacchetta, importante poiché creata con le stesse piume di fenice di quella di Voldemort; a Lungo artiglio, la spada di Jon Snow in Song of ice and fire; alla Mano Insanguinata di Raivo in Il millennio di fuoco; all’arco di Katniss Everdeen in

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E se la fama era preclusa a coloro i quali nascevano gracili e poco forti poiché le qualità fisiche e morali stavano alla base della creazione dell’eroe, tanto che uomini come Tersite62 e Dolone63 vengono identificati da Omero

come brutti, deformi e codardi, caratteristiche opposte agli eroi fulgidi e coraggiosi, nel fantasy di oggi non è più così; sono proprio gli uomini e i ragazzi più insospettabili ad essere protagonisti, a prescindere da quale sia la loro statura caratteriale, sebbene in alcuni casi sia prediletta un’attitudine all’antieroismo.

Possono essere considerati eroi, nel fantasy, anche quei personaggi senza morale, identificati come degli egoisti, dei vigliacchi o dalla morale deviata. A differenza dell’eroe mitologico, l’eroe fantasy nel suo ruolo narrativo abbandona il gradino centrale fra l’uomo e il dio per scendere completamente nel mondo degli uomini ed essere, in questo modo, avvicinabile in quanto individuo. Se gli eroi classici erano utilizzati come portatori di virtù universali e le loro storie servivano ad educare ed ispirare il pubblico, utilizzando gli antieroi per far comprendere come un uomo non dovesse essere e negando in questo modo la possibilità dell’errore e del difetto come innata nell’essere umano degno, nel caso del personaggio eroe fantasy di oggi non è più così; è un individuo in cui l’immedesimazione è possibile proprio perché non è lontano dalla quotidianità dell’essere umano, il quale, esattamente come l’eroe in tal caso, ammette l’errore perché fa

Hunger Games. Ancora, nel mondo del cinema: allo scudo di Capitan America, all’armatura di

Iron-man, alla spada laser di Anakin Skywalker in Star Wars.

62 Omero lo descrive come il peggiore dei guerrieri giunti per combattere contro Troia. Per

ulteriori approfondimenti: cfr. Omero, Iliade, libro II, vv. 274-290.

63 Protagonista del decimo canto dell’Iliade, chiamato per questo motivo Doloneide, Dolone fu

un guerriero troiano che tradì la sua patria. Per ulteriori approfondimenti: cfr. Omero, Iliade, libro X, vv. 403-569.

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parte della propria esistenza. L’eroe fantasy moderno è portatore di una universalità in senso differente rispetto a quella del mito, poiché il suo non è un ruolo storico-religioso quanto più narrativo, che consente la mimesis ad un livello più profondo, rappresentando al di sotto dell’elemento fantastico il mondo moderno e gli uomini che lo abitano, pregi ma soprattutto difetti compresi.

Questo nuovo atteggiamento dell’eroe moderno, comunque, non implica che l’eroe nella sua accezione storico-religiosa non avesse qualche difetto, soprattutto considerando che rimaneva un essere mortale.; i loro difetti, come i loro pregi, si stanziavano però ad un livello superiore rispetto quello meramente umano.

Essendo stati da sempre elevati a super-uomini capaci di imprese non comuni, chiamati semidei e riconosciuto loro un posto più vicino all’Olimpo di quanto spetta a un normale guerriero o cittadino, gli eroi mitici sviluppavano una profonda consapevolezza della loro immagine e dei loro compiti. Ciò, sia nell’epica che, poi, nella tragedia, comportò il tentativo da parte di costoro di sfondare i limiti umani, prediligendo il caos, la superbia e la prevaricazione, rompendo le leggi naturali del cosmo e macchiandosi in questo modo di ὕβϱις (hybris). Tale peccato nient’altro è se non la tracotanza umana, un oltraggio, un superamento di soglia di fronte agli dei, agli uomini e alla natura. In tal senso Achille diventa famoso per la sua ira64 e per le conseguenze che portò all’interno della guerra di Troia65, e

Odisseo, pur non macchiandosi mai di hybris, potrebbe essere identificato come un imbroglione dai mille volti per la capacità di stravolgere le carte degli eventi66. In contrapposizione ai due eroi di spicco della guerra ma

64 Omero, Iliade, libro I, vv.175-468. 65 Omero, Iliade, libri XXI e XXII.

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comunque ricordato come tale nonostante la vigliaccheria67, è Paride.

Anche Giasone, infine, pur essendo considerato un eroe a tutti gli effetti possiede delle caratteristiche che lo rendono meno smaccatamente superiore agli uomini a causa del suo bisogno di Medea per riconquistare il vello d’oro68.

Nell’epica però, con ancor più decisione rispetto alla tragedia, la superbia dell’eroe o quelle caratteristiche che, per la mentalità greca, causavano uno scompenso nell’equilibrio delle cose, sembrano essere comunque funzionali al carattere dell’eroe e al compimento del suo destino. Fu l’ira di Achille a portare, fra le conseguenze, alla morte di Ettore; Odisseo, grazie al suo mellifluo intelletto poté ideare il raggiro del cavallo di Troia. Paride, nonostante il suo timore di combattere contro Menelao, era considerato un ottimo arciere incapace di sbagliare colpo e Giasone, nonostante la necessità di Medea per conquistare il vello, era identificato come un eroe civile sempre disposto al contatto con culture barbare.

È in questo, più di tutto, che gli eroi “difettati” del fantasy moderno si distinguono dal topos classico di tale figura: se in mitologia anche la hybris – la quale non era tratto fondamentale del carattere ma sopraggiungeva solo in seguito - aveva uno scopo ed era funzionale alla rappresentazione dell’eroe, che rimaneva comunque positiva, nel fantasy moderno gli eroi nascono già a loro modo “difettati”, squilibrati nell’ordine delle cose, e si trovano solo per caso ad essere dei grandi. Non esistendo, a differenza del mito, l’idea del destino e della predestinazione, questi eroi sono costretti a creare per sé il cammino che percorreranno e, nel farlo, in quanto uomini, sarà per loro inevitabile sbagliare, cadere in tentazione e, altrettanto spesso,

67 Omero, Iliade, libro III, vv. 20-54 e 340 ss..

68 A. Rodio, Le argonautiche, libro III, vv. 442-1407. Ed anche: A. Rodio, Le argonautiche,

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portare dentro di loro una ambivalenza che non permette di definirli come completamente giusti o completamente sbagliati.

È chiaro però che, questi eroi fantasy, siano discendenti degli eroi tradizionali non solo del mito ma anche dei poemi epico-cavallereschi, con i quali condividono caratteristiche e riconoscono differenze. Pur rimanendo nella classificazione storico-religiosa dell’eroe, nel caso dei poemi cavallereschi non era più il semidio posto sul gradino a metà fra il genere umano e gli dei immortali; combattendo ed incarnando le massime virtù sociali ed individuali continuava a mantenere la sua eccellenza fisica ed intellettuale, pur non venendo particolarmente caratterizzato psicologicamente, ma votava tutti i suoi pregi alla cristianità e alla morale religiosa:

I cavalieri della Tavola Rotonda rappresentano l’ideale della cavalleria, sono i portatori di un modello aristocratico fondato sul coraggio e sulla gentilezza d’animo. Riuniscono in se stessi la forza, l’arte delle armi e l’amore cortese per una dama; la fedeltà al proprio signore, al re, e l’amore per il bello. Che si tratti di uccidere un avversario o trovare il Santo Graal, l’eroe arturiano si confronta con un’avventura, una quest, che ha spesso valore universale, per un’intera comunità o per l’umanità.69

Probabilmente, comunque, la scarsa caratterizzazione psicologica dell’eroe della tradizione storico-religiosa era funzionale a ciò che doveva rappresentare: possedendo una certa universalità agevolava la popolazione nell’immedesimazione e condivisione dei valori di cui era portatore, canalizzando in sé sia la figura di uomo sopra gli uomini per forza e coraggio sia l’ideale di uomo fra gli uomini, con cui può condividere credenze e moralità. Orlando, ad esempio, era il prototipo perfetto di cavaliere ed eroe: devoto, coraggioso, quasi invulnerabile70 – altra

69 Wu Ming 4, L’eroe imperfetto, Milano, Bompiani, 2010, p. 34.

70 D.D. Branca, L’Orlando furioso e il romanzo cavalleresco medievale, Firenze, Olschki

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caratteristica comune agli eroi del mito – e sempre con al fianco la sua arma distintiva71, Durlindana.

Le cose cambiarono però, con la scrittura dell’Orlando innamorato di Matteo Maria Boiardo prima e con l’Orlando furioso di Ludovico Ariosto poi. Con questi poemi cavallereschi pur mantenendo quella superiorità etica e quel legame verso il bene che lo caratterizza fin dall’epoca mitica, l’eroe si trovò a scontrarsi con la passione più umana fra tutte, l’amore, che lo rese addirittura folle. Nonostante quindi conservasse caratteristiche tradizionali – veniva descritto fisicamente solo in modo marginale, il futuro era pressoché già scritto ed il passato, soltanto accennato, non aveva particolare rilevanza nella sua caratterizzazione72 - è con Boiardo ed Ariosto che l’eroe scende un gradino verso la totale umanizzazione.

È qui che comincia la caduta verso l’umanità dell’eroe fantastico, una caduta lenta, inesorabile, che lo porterà poi, nel fantasy moderno, ad essere, nel suo valore narrativo, un personaggio completamente uomo, con pregi e soprattutto difetti e dunque corrotto e corruttibile, non più eroe nel senso classico del termine. È il fantasy moderno, inoltre, che abbonda nella descrizione fisica dei propri eroi i quali, spesso, hanno delle caratteristiche distintive senza cui sarebbero incompleti. Delineante diventa allora un determinato colore di capelli o di occhi, una cicatrice, una mutazione fisica o la mancanza di un arto, un tatuaggio, un neo o un potere paranormale73.

71 Cfr. Gerard J. Brault, The Song of Roland: An Analytical Introduction and Commentary,

Pennsylvania University, Penn State University, 1996.

72 A. Varvaro, La costruzione del personaggio nel XII secolo, in F. Fiorentino e L. Carcereri (a

cura di), Il personaggio romanzesco: teoria e storia di una categoria letteraria, Roma, Bulzoni Editore, 1998, p. 39.

73 Si pensi alla cicatrice a forma di fulmine di Harry Potter, all’iconica treccia che porta Katniss

Everdeen in Hunger Games, ai capelli bianchi di Zèlie in Figli di sangue e ossa, alla pelle blu dei figli degli dei nella duologia di Strange the dreamer, alla capacità di mutare in una creatura di pietra del simulacro Manente in Gens arcana e così via.

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Oltre a descrivere fisicamente i propri personaggi, il fantasy moderno li presenta dunque come individui unici e ben distinti. Il futuro di tali personaggi, inoltre, non è mai scritto come avviene per gli eroi epici o cavallereschi, perché la concezione di destino crolla e, con essa, l’idea di predestinazione. Nel fantasy è il passato a diventare fondamentale ai fini della caratterizzazione del personaggio, poiché a causa di esperienze vissute e traumi subiti questo tipo di eroe narrativo muta ed agisce; è così che la psicologia dell’eroe fantasy ottiene l’importanza ad essa dovuta.

Inoltre, ancora una volta a differenza di ciò che avveniva nella tradizione, nel fantasy moderno il personaggio dell’eroe non ha necessariamente caratteristiche positive ed universali, sono più che altro le sue debolezze a classificare le scelte che compie e le intenzioni che manifesta. Non è più superuomo a suo modo prevedibile, con qualche difetto funzionale alla riuscita della sua missione, ma un semplice essere umano che, costretto per forza di cose a stare in prima linea e ad affrontare i

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