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Studio retrospettivo sull'efficacia dell'elettrochemioterapia come trattamento alternativo per il carcinoma squamocellulare della testa e del collo del gatto

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Academic year: 2021

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Dipartimento di Scienze Veterinarie

Corso di Laurea Magistrale in Medicina Veterinaria

Tesi di Laurea

Studio retrospettivo sull’efficacia dell’elettrochemioterapia come trattamento alternativo per il carcinoma squamocellulare della testa e del collo del gatto

Candidato

Francesco Roggiolani

Relatore Correlatore

Prof. George Lubas Dott.ssa Petra Simčič

(2)
(3)

Indice

Riassunto……….6

Abstract……….7

INTRODUZIONE………8

CAPITOLO 1: I tumori cutanei nel gatto……….9

1.1 Presentazione dei tumori cutanei……….……….……10

1.2 Diagnosi differenziali……….……..10

1.3 Classificazione dei tumori cutanei………..11

CAPITOLO 2: Il carcinoma squamocellulare del gatto………12

2.1 Aspetto macroscopico………12

2.2 Aspetto microscopico……….12

2.3 Epidemiologia………..12

2.4 Localizzazione………..13

2.5 Cause (mutazioni e agenti etiologici)………..…..15

2.6 Diagnosi……….………..16

2.7 Trattamenti……….………..17

CAPITOLO 3: Chirurgia del carcinoma squamocellulare nelle varie

sedi………..19

3.1 Chirurgia del SCC del padiglione auricolare: conchectomia………..19

3.2 Chirurgia del SCC cutaneo in sede nasale………..20

(4)

CAPITOLO 4: ECT……….24

4.1 Meccanismo di funzionamento……….24

4.1.1 Aghi e placche………..26

4.1.2 Parametri elettrici……….28

4.1.3 Trattamento di metastasi: effetti antivascolari……….…32

4.2 Chemioterapici impiegati……….35

4.3 Efficacia dell’ECT secondo i recenti studi..………..37

4.4 Vantaggi e svantaggi dell’ECT………39

4.5 Diverse possibilità di trattamento: solo ECT - chirurgia ed ECT - ECT post chirurgia………..………..41

CAPITOLO 5: Obiettivo dello studio………..46

CAPITOLO 6: Materiali e metodi……….47

6.1 Casistica clinica………..……….47

6.2 Procedura clinica………..……….48

6.3 Metrologia della casistica……….………..50

CAPITOLO 7: Risultati………52

7.1 Analisi generale……….………..52

7.2 ECT solo……….………...53

7.3 ECT pre……….……….55

7.4 ECT post……….………..56

7.5 Risultati dei gatti FIV+……….………..57

CAPITOLO 8: Discussioni………58

(5)

8.2 Analisi sui gruppi ricavati dalla popolazione esaminata..…..………..59

8.2.1 Analisi sul gruppo ECT solo………..…..………..59

8.2.2 Analisi sul gruppo ECT pre………..………..60

8.2.3 Analisi sul gruppo ECT post………..…………60

8.2.4 Analisi sul gruppo FIV+………..…….…….61

8.3 Limiti dello studio……….……….…61

CAPITOLO 9: Conclusioni………62

REPORT FOTOGRAFICO………..63

BIBLIOGRAFIA………67

(6)

Riassunto

Il carcinoma squamocellulare rappresenta il 15% di tutte le neoplasie cutanee del gatto. L’approccio terapeutico per il controllo di questa neoplasia prevede, tradizionalmente, la chirurgia con ampi margini. L’elettrochemioterapia è una tecnica ablativa locale impiegata nel trattamento di tumori localmente invasivi. Essa consente di impiegare farmaci chemioterapici generalmente non permeanti le cellule limitando drasticamente gli effetti collaterali sistemici.

Lo scopo di questo studio è stato quello di valutare l’efficacia di questa tecnica con la bleomicina somministrata per via endovenosa.

Sono stati inclusi 20 gatti affetti da carcinoma squamocellulare, uno dei quali è stato escluso dai risultati a causa di decesso prematuro per gravi complicazioni. Sono state valutate la localizzazione e la dimensione della lesione, il protocollo di elettrochemioterapia impiegato, la risposta alla terapia, la sopravvivenza e la tossicità locale.

La maggior parte delle lesioni (15/19) era localizzata sul piano nasale. La mediana della dimensione tumorale è risultata 0,8 cm, con un minimo rilevato di 0.3 cm ed un massimo di 4 cm. In tutti i casi è stata impiegata la bleomicina come chemioterapico. Per quanto riguarda le caratteristiche e i parametri elettrici dell’elettrochemioterapia, in 11/19 casi è stato utilizzato lo strumento Oncovet®, in 6/19 casi lo strumento Electrovet S13® e in 2/19 casi lo strumento Cliniporator®. Gli elettrodi impiegati sono stati sia aghi (con lunghezze variabili in funzione della lesione) sia placche. La frequenza degli impulsi è stata di 1 Hz in 17/19 casi e di 5000 Hz in 2/19 casi. Il voltaggio impiegato è stato di 1200 V in 12/19 casi, di 1300 V in 6/19 casi e di 1000 V in un caso. La maggior parte dei casi, 11/19, hanno subito un solo trattamento di elettrochemioterapia; 5/19 casi ne hanno subito 2 sedute, 1/19 ne ha subite 3 e 2/19 ne hanno subite 4. La remissione completa (CR) è stata osservata in 13/19 casi, mentre la remissione parziale (PR) in 6/19 casi. La mediana della sopravvivenza è risultata essere di 300 giorni. La tossicità registrata, impiegando una scala soggettiva con punteggi assegnati da 0 a 5, è stata in 2/19 casi di grado 0, in 2/19 casi di grado 1, in 10/19 casi di grado 2, in 2/19 casi di grado 3, in 2/19 casi di grado 4 e in 1/19 casi di grado 5. In conclusione, i risultati ottenuti suggeriscono che l’elettrochemioterapia accoppiata a bleomicina è un’ottima tecnica per il trattamento del SCC e merita di essere ulteriormente approfondita.

Parole chiave: elettrochemioterapia, carcinoma squamocellulare, bleomicina, gatto,

(7)

Abstract

Squamous cell carcinoma represents 15% of all feline skin tumours. The traditional therapeutic approach for the control of this neoplasm involves surgery with wide margins. Electrochemotherapy is a local ablative technique used in the treatment of locally invasive tumors. It allows to use non permeating chemotherapic drugs, drastically limiting systemic side effects.

The purpose of this study was to evaluate the efficacy of this technique with intravenously administered bleomycin.

We included 20 cats affected by squamous cell carcinoma, however one of them was excluded from the results because of premature death due to serious complications. We assessed the localization and size of the lesion, the electrochemotherapy protocol, the treatment response, the survival time and local toxicity.

Most lesions (15/19) were located on the nasal planum. The median tumor size was 0.8 cm, with a range from 0.3 cm to a maximum of 4 cm. In all cases bleomycin was used as a chemotherapeutic drug. The characteristics and electrical parameters of electrochemotherapy were as follows, Oncovet® device was used in 11/19 cases, Electrovet S13® device in 6/19 cases and Cliniporator® device in 2/19 cases. The electrodes used were both needles (with variable lengths depending on the lesion) and plates. The pulse frequency was 1 Hz in 17/19 cases and 5000 Hz in 2/19 cases. The voltage used was 1200 V/cm in 12/19 cases, 1300 V/cm in 6/19 cases and 1000 V/cm in one case. Most cases, 11/19, underwent only one electrochemotherapy treatment; 5/19 cases underwent 2 sessions, 1/19 underwent 3 and 2/19 underwent 4 sessions. Complete remission (CR) was observed in 13/19 cases, while partial remission (PR) in 6 / 19 cases. The median survival time was 300 days. The toxicity was graded, using a subjective scale from 0 to 5. The outcome was the following: in 2/19 cases of grade 0, in 2/19 cases grade 1, in 10/19 cases grade 2, in 2/19 cases grade 3, in 2/19 grade 4 cases and in 1/19 grade 5.

In conclusion, the results obtained suggest that electrochemotherapy coupled with bleomycin is an excellent technique for the treatment of SCC and deserves to be further investigated.

Key words: electrochemotherapy, squamocellular carcinoma, bleomycin, cat,

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INTRODUZIONE

Lo scopo di questo lavoro è di analizzare i risultati che si ottengono trattando il carcinoma squamocellulare (SCC: squamous cell carcinoma) del gatto con l’elettrochemioterapia associata alla bleomicina.

In medicina veterinaria è fondamentale tenere a mente che la terapia impostata non deve essere troppo costosa né troppo impegnativa per il proprietario, e al contempo deve essere il meno invasiva possibile.

Il trattamento chirurgico è il più utilizzato, ma la sede dove si presenta il tumore non sempre è ben aggredibile e quindi non sempre è possibile praticare l’asportazione dei tessuti coinvolti. Inoltre, si ha quasi sempre una deformazione estetica dell’area coinvolta, quindi a livello psicologico è difficile da accettare per il proprietario, e non tutti acconsentono al trattamento.

Il trattamento con elettrochemioterapia consiste nell’applicazione di impulsi elettrici ad alto voltaggio sui tessuti interessati dalla neoplasia per consentire ad un chemioterapico poco permeante di trapassare la membrana cellulare e di entrare entro la cellula e distruggerla. Tale fenomeno prende il nome di elettroporazione (EP) ed è reversibile e limitato solo ai tessuti che hanno subito gli impulsi. In questo modo la tossicità sistemica del farmaco è drasticamente ridotta, risultando in una qualità della vita senz’altro migliore rispetto alle classiche chemioterapie. Ci sono ottimi risultati al riguardo, e spesso è sufficiente un solo trattamento. Non è ancora molto impiegata a causa della scarsità di centri specializzati che la praticano.

Altre terapie (chemioterapia sistemica, radioterapia, utilizzo di stronzio) comportano effetti collaterali notevoli o sono di difficile realizzazione, sono poco diffuse e richiedono strutture specialistiche.

La prima parte di questa tesi illustrerà le caratteristiche del SCC comprensive di sviluppo ed epidemiologia, le tecniche utilizzate per la rimozione chirurgica della neoplasia, e il funzionamento dell’elettrochemioterapia. Nella successiva parte sperimentale verranno analizzati i risultati ottenuti con l’elettrochemioterapia, alla luce delle differenze osservate nella casistica raccolta.

(9)

CAPITOLO 1: I tumori cutanei nel gatto

Le neoplasie a carico della cute e dei suoi annessi sono le più frequenti in assoluto, sebbene presentino una ricorrenza maggiore nel maschio che nella femmina (fig. 1 e 2). Generalmente esse sono di natura maligna (quasi 9 su 10), e tra quelle benigne la neoformazione più comune risulta essere il lipoma (1).

Fig. 1: distribuzione dei tumori della cute riscontrati nel maschio, (1)

Fig. 2: distribuzione dei tumori della cute riscontrati nella femmina, (1)

(10)

In più della metà dei casi, si assiste a neoformazioni che derivano dal tessuto fibroso (fig. 3) (1)

Fig. 3: distribuzione delle neoplasie cutanee nello studio di Bacci su 161 gatti, (1)

Generalmente queste neoplasie si manifestano in animali anziani o adulti, e si possono presentare in fasi già avanzate se il proprietario non è molto meticoloso. Non è infrequente trovare che gli animali interessati siano di mantello bianco o con pigmento chiaro, poiché la carenza di melanina espone maggiormente la cute ai raggi UV, i quali sono accertati agenti mutageni e cancerogeni(2).

Inoltre, un altro fattore predisponente sembra essere l’infezione da papilloma virus(3).

1.1 Presentazione dei tumori cutanei

La porzione di superficie interessata dalla neoformazione può avere estensione da focale a miliare, ed è bene monitorare sempre la dimensione dei rilievi: questi possono crescere anche di pochi millimetri, pertanto è importante tenerne traccia ed effettuare controlli periodici. La forma può variare da ulcerativa come nel caso del carcinoma squamoso, a nodulare come nel caso del sarcoma. Il dolore può essere presente alla palpazione o meno; talvolta l’animale può mostrare segni come zoppia ma non rivelare particolare disagio sulla lesione specifica. È possibile che ci siano aree alopeciche o che mostrano ipotricosi, sia per causa legata alla malattia che per autotraumatismo associato a prurito, il quale può talvolta essere presente. Oltre alle regolari misurazioni, è opportuno effettuare prelievi citologici mediante ago aspirato ed osservare le cellule al microscopio, ed eventualmente fare una biopsia tissutale per avere un riscontro istopatologico. Queste informazioni sono fondamentali per impostare un adeguato trattamento(4).

1.2 Diagnosi differenziali

È importante non confondere neoformazioni cistiche con neoplasie, dato l’aspetto esteriore che talvolta può essere simile. Esse sono tondeggianti ma non adese al sottocute, generalmente ripiene di un materiale caseoso. Queste non hanno significato patologico, ma la conferma è comunque necessaria tramite istopatologia (2).

(11)

1.3 Classificazione dei tumori cutanei

Secondo l’OMS, organizzazione mondiale della sanità, è possibile suddividere i tumori cutanei secondo l’istopatologia nelle seguenti categorie:

- Tumori epiteliali senza differenziazione squamosa o annessiale - Tumori con differenziazione annessiale

- Tumori melanocitici - Tumori del tessuto fibroso - Tumori del tessuto adiposo - Tumori della muscolatura liscia - Tumori della muscolatura striata - Tumori vascolari

- Tumori dei nervi periferici - Tumori sinoviali - Mastocitomi - Tumori istiocitici - Tumori linfoidi - Tumori inclassificabili - Lesioni pseudotumorali - Amartomi

- Tumori metastatici della cute

(12)

CAPITOLO 2: Il carcinoma squamocellulare del gatto

2.1 Aspetto macroscopico

Si presenta come una zona crostosa o ulcerata, a margini non netti e rosei; di solito la lesione è singola. L’area interna al perimetro genera un essudato vischioso, e può essere sia rilevata che concava. Può essere invasiva a livello locale quando trascurato, ma la metastatizzazione è lenta, e si verifica quando la neoplasia ha raggiunto il linfonodo tributario(6).

2.2 Aspetto microscopico

Istologicamente è caratterizzato da nidi, isole e cordoni di cellule epiteliali a vari gradi di differenziazione squamosa che prendono origine dall’epidermide ed invadono il derma e l’ipoderma. Le cellule hanno nuclei grossi ed ipercromatici, nucleoli voluminosi, in genere singoli e citoplasma ampio ed eosinofilo, come si vede in fig. 4 (7).

Fig. 4: SCC invasivo. Si notano numerose mitosi e isole di cellule neoplastiche che invadono il derma (7)

2.3 Epidemiologia

Secondo uno studio su un campione di 3564 gatti consistente nel campionamento tramite biopsia di neoformazioni, è emerso che i tipi di tumore più frequenti sono 4, i quali coprono il 77% dei casi oncologici riscontrati, a fronte di 18 diverse malattie neoplastiche diagnosticate. Di questi, la porzione rappresentata dal SCC è davvero consistente, e corrisponde al 15%. La testa è la regione anatomica maggiormente interessata da questo tipo di patologia (8).

Non si conoscono predisposizioni di razza, però è stato notato che il gatto Siamese presenta la malattia solo in un terzo dei casi rispetto alle altre razze. Questo potrebbe essere attribuibile alla caratteristica pigmentazione nera delle estremità e del muso, poiché uno dei principali fattori predisponenti è l’azione dei raggi ultravioletti solari, infatti i gatti bianchi risultano spesso colpiti, come nel caso della figura 5(8).

(13)

Fig. 5: un carcinoma squamocellulare cutaneo localizzato sul naso di un gatto bianco, foto presa da Google Immagini nel giugno 2019 (9)

2.4 Localizzazione

Le principali regioni topografiche dove questa neoplasia si manifesta sono multiple: palpebrale, orale, nasale, auricolare.

- Palpebrale: il SCC è appunto la neoplasia più comunemente rinvenuta in questa regione, e si può presentare in qualsiasi area della palpebra. A volte può non risultare semplice accorgersi della malattia, che con il protrarsi del tempo può dare problemi alla vista e alla corretta funzionalità della palpebra. I sintomi sono principalmente arrossamento, scolo anche sanguinolento, gonfiore e disagio. Le cause non sono ancora state completamente chiarite, ma sembra ci sia un mix tra ereditarietà e fattori ambientali tra cui l’esposizione ai raggi UVA: questa patologia è più frequente in gatti bianchi. La diagnosi certa è possibile solo con lo studio istopatologico, tuttavia nell’esame è importante escludere altre patologie oculari che possano giustificare gli stessi sintomi, pertanto è consigliabile fare un completo esame dell’occhio (10). Secondo un articolo di Spugnini, è possibile impiegare l’elettrochemioterapia (ECT) anche per questa localizzazione, argomento di questa tesi, evitando interventi invasivi (11). - Orale: anche in questa localizzazione, la malattia neoplastica più comune è il SCC.

Nessun fattore sembra scatenante, ma tra i predisponenti troviamo il fumo di sigaretta in ambiente domestico, lo smodato uso dei cibi in scatola e l’impiego del collare antipulci. La localizzazione è in tutto il cavo orale, dalla lingua, alla mascella e mandibola. L’animale manifesta sofferenza non mangiando a sufficienza o per nulla, e può avere scoli di sangue oltre a non effettuare il consueto grooming(12).

(14)

Data la conformazione della bocca è spesso difficile riuscire ad eliminare tutte le cellule nonostante i trattamenti. Questo può complicare le probabilità di sopravvivenza dell’animale (3-6 mesi di solito), sebbene spesso il post-operatorio sia seguito da radioterapia (più indicata rispetto alla chemio in questo caso). Le speranze aumentano in caso di malattia localizzata alla mandibola(12).

- Nasale: si sviluppa in concomitanza di fattori quali il fumo di sigaretta in ambienti chiusi, utilizzo di carbonella, uso di deodoranti per ambiente ed esposizione a raggi UVA (specialmente in soggetti poco pigmentati). Si assiste ad un progressivo restringimento del lume delle vie nasali, con aspetto crostoso ed ulcerato. Questo può causare difficoltà respiratoria con conseguente comparsa di starnuti, starnuti inversi, possibile epistassi, epifora ed addirittura segni neurologici in casi avanzati (13).

In base alla profondità della lesione, che come in tutti i casi deve essere confermata dai laboratori di istopatologia come di natura tumorale, deve essere asportato più o meno tessuto (14). Può tornare molto utile in questo caso l’uso della ECT, argomento di questa tesi fra gli altri, poiché assicura ottimi risultati senza risultare invasiva (15). In assenza di metastasi la prognosi è favorevole, sebbene il decorso post-operatorio possa essere doloroso e faticoso per l’animale, che deve essere supportato con degli analgesici e degli antinfiammatori. Può essere utile cercare di evitare l’esposizione ai raggi solari del proprio gatto quando questi sono particolarmente intensi. Alcuni animali hanno l’abitudine a stare in prossimità delle finestre, che in tal caso sarebbe consigliato schermare con dei tessuti o dispositivi (14).

- Auricolare: generalmente il SCC in questa regione compare dopo la manifestazione di dermatite attinica, e le due cose possono coesistere. Gli animali più frequentemente colpiti presentano mantello bianco o parzialmente bianco, e nel 50% dei casi sono entrambe le orecchie ad essere interessate dalle lesioni. Si assiste alla malattia quando c’è una sovraesposizione ai raggi solari, protratta anche dopo la comparsa dei sintomi di dermatite attinica. Le lesioni hanno aspetto tipico del SCC con erosione, ispessimento dell’area, ulcerazione e produzione di croste. Basta un piccolo trauma per provocare sanguinamento. Questo tumore, una volta appurato che è tale con l’esame istopatologico, ha bassissima probabilità di metastatizzare, ma può recidivare se non correttamente trattato. Oggigiorno alcune tecniche in perfezionamento permettono la conservazione della zona e non richiedono l’anestesia generale, che in alcuni casi può risultare non del tutto scevra da rischi (16).

- Subungueale: nel gatto questo tumore rappresenta la causa di circa un quarto delle amputazioni digitali (24%), dato in crescita rispetto alle precedenti rilevazioni(17). Inoltre, il 23,8% di tutti i tumori digitali del gatto è rappresentato dal SCC subungueale. Nel 66% dei casi, la zampa affetta risulta la anteriore, mentre le altre dita interessate sono eque in proporzione. In circa un quarto dei casi di SCC subungueale erano interessate più dita, sia nelle zampe anteriori che anteriori e posteriori. L’età media di insorgenza della malattia è di 11.1 anni, con una proporzione sbilanciata del doppio verso le femmine. Non è chiara

(15)

l’eziologia, ma si pensa che la lesione si sviluppi in zona subungueale a seguito di traumi ripetuti, vascolarizzazione molto sviluppata ed alta temperatura(18). Oltre ad essere localmente invasivo, il SCC presente in questa sede si espande facilmente ai linfonodi tributari e metastatizza senza difficoltà, soprattutto a livello polmonare (si parla infatti di sindrome digito-polmonare). L’animale affetto mostra segni di zoppia ed intolleranza ad alcuni comportamenti tipici dell’etogramma del gatto, come il farsi le unghie. Generalmente, l’exeresi di un dito o più non interferisce con la corretta condotta di vita del gatto, pertanto i padroni si mostrano meno riluttanti rispetto ad altre amputazioni più invasive (per esempio le conchectomie) (17).

2.5 Cause (mutazioni e agenti etiologici)

La mutazione nel tumore avviene quando il fattore cancerogeno (o più di uno) interferisce con il DNA, annullando la capacità riparativa della cellula stessa. A questo punto la cellula tumorale presenterà una sua autonomia proliferativa. Queste cellule tumorali avranno un ciclo vitale e di morte alterato, che porterà all'accumulo di cellule alterate e alla proliferazione della massa neoplastica(19).

In generale, ci sono molti cofattori che contribuiscono allo sviluppo del SCC nel gatto. Tra questi, è stata rilevata la presenza di DNA di papillomavirus umano, il cui ruolo non è ancora ben definito, ma è un dato di fatto che esso sia presente in questo tipo di lesioni, soprattutto in quelle cutanee(20).

Sicuramente un altro fattore importante è rappresentato dalle radiazioni solari, in particolare in quei gatti che hanno poco o nullo pigmento protettivo. Come è noto, i raggi UVA destabilizzano e danneggiano il DNA delle cellule in modo diretto, e spesso il proprietario non pensa a questa possibilità. Non è raro infatti che anche i gatti casalinghi sviluppino questa patologia: basta la banale abitudine a stare nei pressi di una finestra(10).

Quanto conta la predisposizione genetica non è ancora certo, ma analizzando importanti proteine che regolano il ciclo cellulare e ne indicano specifiche fasi è possibile capirne di più. Gli indicatori più importanti sono la proteina p53, p27, ciclina A e ciclina D1. La p53 è un fattore di trascrizione regolatore del ciclo cellulare, in grado di sopprimere le mutazioni e quindi di prevenire i tumori. Quando questa proteina viene rinvenuta con l’immunoistochimica, significa che è mutata anch’essa, in quanto altrimenti non sarebbe rilevabile a causa della sua scarsa emivita. (21) Questa molecola mutata è stata riscontrata in circa la metà (47,5%) dei SCC dei gatti in uno studio pubblicato nel 2009. Peraltro, anche in diversi casi di cheratosi attinica (11 casi su 14 presi in esame) fu osservata tale mutazione (22).

La p27 invece è ritenuta importante per mantenere le cellule nella fase di G0, cioè la prima fase di una nuova cellula dove essa non si prepara alla mitosi ma rimane stabile. Svariati studi hanno rilevato un livello minore del normale di questa proteina nel SCC(23).

(16)

Per quanto riguarda le cicline A e D1, la loro importanza è tale nelle cellule tumorali, poiché ne regolano il ciclo. Se in questo tipo di tumore cutaneo in esame l’espressione della A è del 90%, la presenza della D1 invece è occasionale(24).

Un’altra causa è ascrivibile all’uso di alcuni chemioterapici, come ad esempio il Sorafenib, il quale ha attività di inibizione di recettori chinasici (VEGF, vascular endothelial growth factor e PDGF, platelet derived growth factor) e delle rafchinasi. Trattamenti con questo farmaco sono stati associati all’insorgenza della cheratosi attinica e dell’infiltrazione di SCC in umana(25).

Affinché un tumore si sviluppi, sono necessari più cofattori: capacità di crescita autonoma, insensibilità a stimoli antiproliferativi, capacità di evadere l’apoptosi, capacità replicativa illimitata e neoangiogenesi(2). In seguito, si formerà il SCC in situ, ovvero la neoplasia si sviluppa senza infiltrare la membrana basale e il tessuto circostante. Poi il tumore diventa invasivo, e istologicamente si notano di solito numerose mitosi e isole di cellule neoplastiche che invadono il derma. All'ultimo stadio il carcinoma squamoso metastatizza. Per cui, in caso di SCC è consigliabile fare un esame dei linfonodi regionali con relativa citologia, e una radiografia del torace e addome per rilevare eventuali metastasi non in loco già evidenti(26).

2.6 Diagnosi

La stadiazione deve prevedere innanzi tutto l’accertamento diagnostico. Spesso la citologia non è diagnostica, specialmente se la malattia è nella fase precoce. L’esame citologico per scarificazione di solito rivela soltanto un processo infiammatorio locale. La biopsia tramite punch o bisturi invece generalmente offre maggiori informazioni. È necessario palpare sempre i linfonodi regionali in modo attento, anche se di solito non si rilevano metastasi in questo caso, e in caso di aumento di volume va preso un campione bioptico tramite ago sottile. Se la lesione interessa la regione ungueale, una radiografia è necessaria per valutare eventuale coinvolgimento osseo. La radiografia al torace permette di escludere rare metastasi polmonari, e l’ecografia dell’addome permette di indagare i linfonodi sottolombari. Particolare attenzione va prestata all’RX toracica in caso di manifestazione subungueale nel gatto, in quanto questa potrebbe essere una metastasi di un SCC primitivo del polmone. Per una completa stadiazione si effettua routinariamente l’esame ematobiochimico e emocromocitometrico completo, l’esame delle urine e la sierologia per FIV e FELV. Con le informazioni ottenute da questi esami è possibile impostare la terapia più adeguata(13).

(17)

2.7 Trattamenti

Per il SCC del gatto, specialmente quello del naso, sono state proposte varie soluzioni, le quali adattate al singolo caso forniscono risultati soddisfacenti. Gli stadi più precoci rispondono bene a terapie conservative, mentre stadi più avanzati richiedono trattamenti più aggressivi(13).

- Chirurgia: viene scelta la terapia escissionale en bloc sia per le forme attiniche sia per la localizzazione digitale e per la malattia di Bowen (lesione cutanea pre-maligna presente nelle zone fotoesposte; può evolvere in carcinoma). Per queste ultime due, sembra che questo sia l’unico trattamento disponibile. Siccome questo tumore è localmente infiltrativo ma scarsamente metastatizzante, se l’asportazione è stata fatta con ampio margine e la citologia lo conferma, spesso non si associano altre terapie post-chirurgiche (ad eccezione della terapia antibiotica di copertura e la terapia del dolore). Nel caso dell’interessamento del padiglione auricolare è consigliata la conchectomia completa, anche se la lesione è periferica. Nel caso del naso, la nasectomia è generalmente ben tollerata anche a livello di cosmesi. Per le palpebre, se rimossa una soltanto è possibile una ricostruzione plastica, mentre se la rimozione è di entrambe bisogna procedere all’enucleazione. Per il SCC del letto ungueale si effettua l’escissione en bloc del dito interessato. Se i linfonodi tributari sono ingrossati, occorre asportarli(13). - Radioterapia: utilizzata con buoni risultati sia con apparecchi a ortovoltaggio

(raggi X di bassa energia da macchine di circa 50-500 kV) che a megavoltaggio (raggi gamma o meglio raggi X a partire da 4 MV). A volte associata alla chirurgia(13).

- Terapia fotodinamica (tecnica che impiega una sostanza fotosensibile e luce: la sostanza fotosensibile viene applicata ed assorbita selettivamente dalle cellule tumorali, poi si somministra la luce tramite una fibra ottica alla lunghezza d’onda ottimale, in modo da arrecare danno alle cellule tumorali con la sostanza fotosensibile ma non a quelle sane circostanti, se non in misura minima) e criochirurgia (tecnica che utilizza temperature estremamente basse per rendere necrotiche piccole porzioni di tessuto anomalo, senza la necessità di anestesia; solitamente viene utilizzato l’azoto liquido alla temperatura di 196°C): in caso di lesioni superficiali inferiori ad 1 cm, forniscono risultati migliori della chemioterapia sistemica. Gli effetti collaterali sono di solito lievi(13).

- Chemioterapia sistemica: i risultati ottenuti con vari farmaci non sono molto soddisfacenti, poiché nonostante la parziale regressione della malattia poi si presentano spesso recidive. Si impiega quindi a scopo palliativo(13).

- Chemioterapia intralesionale: nelle lesioni in stadi precoci ha dato soddisfacenti risultati. Il principio su cui si basa è di concentrare i farmaci a livello locale e di evitare gli effetti delle terapie sistemiche. Cisplatino e carboplatino sono quindi inoculati miscelati a siero autologo, olio di sesamo o collagene bovino, per aumentare l’assorbimento e la permanenza a livello locale. Possono essere impiegati anche i vasocostrittori. Gli effetti collaterali quindi sono contenuti, in

(18)

genere limitati a infiammazione locale (con l’olio di sesamo più che con il siero autologo). Si può associare la radioterapia per una maggiore riuscita(13).

- ECT: impiegata per il suo particolare funzionamento, ovvero l’elettropermeabilizzazione delle cellule target del tumore, impiego di farmaci che normalmente non penetrano nelle cellule, come la bleomicina, effetti vascolari sulla zona interessata, azione coadiuvante del sistema immunitario dell’ospite. Questa tecnica è abbastanza recente e presenta risultati assolutamente degni di nota, con guarigioni spesso complete. La procedura e il funzionamento verranno dettagliatamente spiegati in questa tesi(27).

(19)

CAPITOLO 3: Chirurgia del carcinoma squamocellulare nelle varie sedi

Quando si effettuano chirurgie del SCC si devono rispettare le comuni regole di chirurgia dei tessuti molli.

I principi sono i seguenti:

- Rispettare una rigorosa asepsi nella preparazione del personale, sala e strumenti chirurgici durante la procedura chirurgica;

- Manipolazione delicata dei tessuti;

- Preservare il più possibile la vascolarizzazione; - Rimozione dei tessuti necrotici;

- Effettuare l’emostasi;

- Giustapposizione dei margini da effettuarsi in maniera anatomica, in assenza di tensione;

- Obliterazione di spazi morti;

- Utilizzo di materiale da sutura e di innesti appropriati.(28)

Per quanto riguarda le suture, è noto che le suture profonde riducono in modo significativo il numero di batteri necessari per causare infezione. Se possibile è quindi consigliabile farle, anche se non sempre per quanto riguarda i SCC è fattibile. (28) In ognuna delle chirurgie presentate si dà per assunta la procedura radiografica del torace ante operazione, per escludere metastasi. Pertanto, è sottointesa nella fase preoperatoria e non verrà ripetuta ogni volta. Stesso discorso vale per il campionamento dei linfonodi drenanti, se ingrossati alla palpazione.

3.1 Chirurgia del SCC del padiglione auricolare: conchectomia

- Cenni preoperatori: anche se la presentazione è abbastanza tipica, dopo la resezione, che va fatta con più margine possibile, è importante la conferma patologica.(28)

- Cenni di anatomia chirurgica: l’orecchio esterno è costituito da una lamina cartilaginea cribrata ricoperta di cute. Questa cribratura consente il passaggio di molteplici vasi e rende l’emostasi abbastanza lunga. Diversi punti di riferimento importanti sono situati alla base del padiglione auricolare: trago, croce laterale dell’elice, incisura pretragica e incisura intertragica. (28)Inserire foto se si trova - Tecnica chirurgica: la conchectomia completa permette di rimuovere ampio

materiale intorno al tumore. Per effettuarla, è necessario tagliare la parte di padiglione interessata e suturare la rimanente cute sulla cartilagine esposta. Se il tumore è sulla porzione centrale superficie convessa del padiglione, asportare il tumore e mobilizzare la cute circostante la soluzione di continuo scollandola dalla cartilagine. Si può suturare i margini oppure lasciare guarire per seconda intenzione. Per i tumori piccoli della superficie concava, si solleva un lembo di

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cute e si ruota sopra alla zona rimossa, suturandolo ai margini della ferita. Dopo 10 giorni, si isola il lembo e si sutura alla ferita. Poi si chiude con dei punti il sito donatore (28).

- Prognosi: il SCC del margine auricolare ha una prognosi fausta con l’amputazione del padiglione auricolare, previo ottenimento dei margini ampi. Per questo si effettua una conchectomia completa (28).

3.2 Chirurgia del SCC cutaneo in sede nasale

- Cenni preoperatori: l’istologia non conferma di solito la neoplasia, in quanto descrive un quadro infiammatorio generico che non fa diagnosi per il SCC. Una biopsia profonda è utile solo se la lesione è proliferativa. L’analgesia perioperatoria con FANS e oppioidi può essere coadiuvata da un blocco bilaterale dei nervi infraorbitari con Bupivacaina (29).

- Cenni di anatomia chirurgica: disegnare i margini con pennarello sterile ad almeno 5 mm dalla lesione (ampio margine). Il punto ideale per incidere è la giunzione tra tessuto cartilagineo ed osseo al lato del naso (29).

- Tecnica chirurgica: si esegue un’incisione profonda con il bisturi sui margini segnati in precedenza, tagliando la cartilagine dei turbinati a livello delle ossa nasali e incisive. L’emorragia notevole che si originerà potrà essere cauterizzata prudentemente oppure tamponata con garze. Si può decidere di rimuovere le cartilagini (o pieghe?) alari, al fine di facilitare la respirazione postoperatoria del paziente, aumentando il diametro delle vie. In seguito, la sutura può essere fatta sia a borsa che tra cute e mucosa nasale in modo continuo. I fili usati sono non assorbibili di dimensione 4-0 o 5-0 (29).

- Prognosi: fausta, l’unico problema che si può verificare è la stenosi delle narici, prevenibile comunque con la sutura tra cute e mucosa nasale (29).

3.3 Chirurgia del SCC in sede palpebrale

- Cenni preoperatori: nel gatto, la massa tumorale deve essere inferiore al 20-25% della palpebra per essere rimossa senza necessità di una blefaroplastica. La funzionalità della palpebra superiore è più difficile da mantenere. Se la palpebra interessata è la inferiore, i punti lacrimali andrebbero mantenuti. Un intervento tempestivo per la risoluzione di questa patologia è importante per tentare di salvare l’occhio da eventuali danni (es. alla cornea). Un intervento tardivo, quando la neoplasia è già grande, potrebbe richiedere l’esenterazione (29). - Cenni di anatomia chirurgica delle palpebre superiore e inferiore: le palpebre,

insieme all’orbita, accolgono il globo oculare. Le palpebre sono pieghe di cute che proteggono la cornea da eccessiva luce e insulti ambientali. La palpebra superiore è lievemente più grande e mobile dell’inferiore, da qui la maggior difficoltà per le chirurgie. Le palpebre si congiungono a livello dei canti palpebrali mediale e laterale (importanti punti di repere in chirurgia oftalmica) e sono

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stabilizzate dalle relative strutture ligamentose palpebrali. I muscoli orbicolare, elevatore della palpebra superiore, parte palpebrale dello sfintere colli profundis (nome corretto???), e i muscoli lisci periorbitali regolano l’ampiezza dell’apertura delle palpebre. A circa 2-5 mm dal canto mediale, sono presenti i punti lacrimali superiore e inferiore, deputati al drenaggio delle lacrime in eccesso tramite il dotto nasolacrimale: quando possibile si cerca di non rimuovere queste strutture. La palpebra superiore è provvista di peli modificati protettivi detti ciglia. A questo livello possiamo trovare ghiandole sebacee, mentre in entrambe le palpebre ci sono le ghiandole del Meibomio o tarsali, delle sebacee modificate, i cui dotti sono in prossimità delle giunzioni mucocutanee. Esse producono parte della miscela che compone le lacrime. Sul margine palpebrale inoltre si trovano le ghiandole ciliari, che secernono mucina, un altro componente delle lacrime (28).

Fig. 6: anatomia chirurgica delle palpebre, immagine tratta da (28)

- Tecnica chirurgica: a seconda della grandezza della massa, comunque inferiore al 25% della palpebra, si effettua o una escissione a V oppure una escissione con incisione a quattro lati, se la massa non è piccolissima. Poi si sutura su due piani l’apertura (29).

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Se la massa è invece più grande sono necessarie tecniche di blefaroplastica più avanzate, che richiedono una certa dimestichezza. Le più praticate sono quelle a lembi di scorrimento, lembi di rotazione (flap lip to lid), flap semicircolare, manico di secchio (29).

Fig. 8: tecnica di blefaroplastica con lembi di scorrimento, foto da (29)

Fig. 9,10,11: tecnica di blefaroplastica con lembo di rotazione “lip to lid”, ovvero la cute mancante dalla palpebra viene presa da un lembo di cute che si prolunga fino al labbro, ottenendo bassa tensione della ferita. Foto da (29)

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Fig. 12: tecnica del flap semicircolare per distribuire la tensione dalla palpebra. Foto da (29)

Fig. 13: tecnica a manico di secchio. Una parte di cute viene ricavata dalla palpebra opposta. Foto da (29)

Queste considerazioni sono valide per una massa tumorale che interessi una sola palpebra. Qualora questa neoplasia venisse trascurata e si presentasse su entrambe le palpebre in stadio avanzato, non sarebbe possibile salvare la funzionalità palpebrale, rendendo necessaria l’esenterazione. Essa viene performata con diverse tecniche a seconda della scelta del chirurgo: transcongiuntivale o transpalpebrale (28).

- Prognosi: generalmente fausta, ma attenzione particolare va posta ai tumori di media o grande dimensione, che se non rimossi con i dovuti margini possono recidivare complicando il quadro generale. Pertanto, una scelta più drastica come l’esenterazione può essere presa a ragion veduta (29).

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CAPITOLO 4: ECT

L’ECT è una recente terapia che permette il trasporto endocellulare di alcuni farmaci altrimenti non permeanti la parete cellulare. È un sistema basato sull’applicazione in loco di pulsazioni elettriche di breve durata ed intense, che rendono la membrana cellulare dei tessuti interessati transitoriamente permeabile. Per ottenere un effetto ottimale, all’impulso elettrico si associa la somministrazione con diverse vie di farmaci chemioterapici con elevata citotossicità intrinseca. Oltre la bleomicina, che è il farmaco generalmente utilizzato, sono stati fatti anche degli studi utilizzando il cisplatino (27).

4.1 Meccanismo di funzionamento

L’efficacia di questo nuovo metodo si basa su 4 meccanismi: 1. elettropermeabilizzazione delle cellule del tessuto;

2. utilizzo di farmaci non permeanti la membrana cellulare aventi intrinseca citotossicità;

3. effetti vascolari seguenti la permeabilizzazione elettrica;

4. ruolo complementare del sistema immunitario dell’ospite (27).

Sono stati fatti studi che dimostrano l’efficacia di questo metodo, sia in modelli sperimentali che in vivo. Questa tecnica è valida anche in medicina umana (30).

1. Ci sono 2 principi teorici che indicano come questo fenomeno possa avvenire: potenziale transmembrana indotto e trasporto attraverso la membrana permeabilizzata (30).

Per quanto riguarda l’induzione del potenziale transmembrana, esso si ha quando la cellula viene sottoposta al campo elettrico. Se questo eccede una determinata soglia, la conducibilità elettrica e la permeabilità della membrana aumentano notevolmente. Questo stato di aumentata permeabilità susseguente la somministrazione di impulsi elettrici viene chiamato elettroporazione (EP) o elettropermeabilizzazione. L’impulso deve essere applicato per un tempo limitato e ad un’intensità ragionevole, così da ottenere una condizione reversibile: infatti dopo la fine della stimolazione elettrica, la membrana torna ad essere non permeabile alle sostanze interessate (EP transitoria). Tuttavia, se si protrae troppo nel tempo l’esposizione al campo elettrico o l’impulso ha un voltaggio troppo elevato, la membrana non si risigilla, portando le cellule a morte (EP permanente)(31).

Il trasporto attraverso la membrana permeabilizzata che interessa le molecole inferiori a 4 kDa è principalmente regolato dalla differenza di concentrazione, con il meccanismo di diffusione semplice. Il tempo che è necessario ai farmaci somministrati per entrare nella cellula, la cui funzionalità di membrana si ripristina con un normale metabolismo, è relativamente lungo (30).

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In conclusione, la forza che guida la permeabilizzazione della membrana e la conseguente diffusione del farmaco è rappresentata dal campo elettrico. Va sottolineato poi che un fattore che limita la diffusione del farmaco nella massa interessata è lo spazio ristretto tra le cellule (30).

2. I farmaci più comunemente utilizzati sono la bleomicina e il cisplatino. Possono essere usati sia per via sistemica (EV) mentre si applica la corrente in situ, che iniettati direttamente nella massa tumorale, sempre durante il trattamento elettrico. Naturalmente, con l’iniezione in situ si evitano gli effetti sistemici, e questo procedimento viene sovente usato in concomitanza di chirurgie. Ad ogni modo, sia il tipo di chemioterapico che il momento di procedimento (prima, durante o dopo la chirurgia, o a sé) verranno discussi più avanti in questo capitolo (30).

La caratteristica di questi farmaci è che non sono permeanti la membrana cellulare, per cui l’EP è di fondamentale importanza. Permette di utilizzarne una quantità inferiore rispetto al trattamento classico, diminuendo di netto gli effetti collaterali della terapia (30).

3. Un altro effetto osservato seguente la permeabilizzazione elettrica è la vasocostrizione, di durata breve ma che comunque comporta una riduzione della perfusione dei vasi interessati dalla carica. Il cosiddetto blocco vascolare ha una durata massima di 10 minuti. All’esame istologico, la porzione di cute interessata mostra stravaso di eritrociti e infiltrazione leucocitaria, insieme a danni cutanei reversibili. Questi dati danno dimostrazione diretta dei meccanismi connessi alla modificazione del flusso sanguigno osservata dopo applicazione di campi elettrici a tessuti sani. Tuttavia, ancora non vi è evidenza che i tessuti tumorali abbiano la stessa risposta in termini di flusso ematico in rapporto ai sani, una volta sottoposti alle cariche (32).

Secondo uno studio di Sersa et al., un ulteriore effetto sui vasi è la distruzione delle cellule endoteliali. Essa si verifica essenzialmente per due motivi: la ridotta ossigenazione dovuta alla scarsa perfusione transitoria, e l’accumulo di farmaci chemioterapici in sede vasale senza che vengano portati via dal normale flusso ematico, dato che è momentaneamente ridotto, con conseguente danno diretto alle cellule endoteliali(33).

4. È stato dimostrato il coinvolgimento del sistema immunitario nell’efficacia antitumorale dell’ECT. Inoltre, è possibile indurre immunità sistemica ed up regulation antigenica con un trattamento aggiuntivo con modificatori di risposta biologica, come IL 2, IL 12, fattori stimolanti i granulociti e le colonie macrofagiche, e il TNF alfa. Questo è utile alla luce del fatto che il tumore tende a nascondere gli antigeni in modo massiccio, per eludere la risposta immunitaria (30).

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4.1.1 Aghi e placche

Nonostante ci siano svariati tipi di elettrodi disponibili sul mercato, in ECT ne vengono utilizzati principalmente due tipi: placche e aghi (34).

- Le placche vengono utilizzate per il trattamento di lesioni cutanee o superficiali, come si vede in fig. 14. La profondità di penetrazione effettiva del campo elettrico è piuttosto scarsa, e dipende dalla distanza tra gli elettrodi: tanto maggiore è, tanto più profonda è la penetrazione del campo elettrico nel tessuto (è necessario un voltaggio maggiore su entrambi gli elettrodi).

- Gli aghi invece possono essere organizzati in due modi diversi: in due file parallele o a disposizione esagonale. Diversamente dalle piastre, gli aghi vanno inseriti attraverso tutto il tumore nel suo spessore, fino ai suoi margini profondi, come evidenziato in fig. 14. Indipendentemente dal tipo di elettrodo, il campo elettrico è più intenso intorno all’elettrodo e tra gli elettrodi stessi, e decresce rapidamente fuori dal loro spazio delimitato (visibile in fig. 14). Quindi, se il tumore è più grande della distanza tra gli elettrodi, sarà sufficiente spostarli ad ogni applicazione di campo elettrico (34).

Non è semplice calcolare l’ampiezza del campo da applicare, in quanto i vari tessuti hanno strutture diverse tra loro, specialmente se si parla di tumori. Non sempre quindi le indicazioni sull’ampiezza del voltaggio da applicare da parte del produttore vanno prese alla lettera (34).

In una sola seduta è possibile trattare anche 100 noduli, ed è possibile osservare remissioni anche con un solo trattamento, il quale può essere ripetuto se il risultato non è ritenuto soddisfacente. Tumori più grandi di 3 cm possono essere trattati con successo, fino ad una profondità di 2 cm usando gli aghi come elettrodi (34).

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Fig. 14: tipi di elettrodi, distribuzione del campo elettrico e applicazione dell’impulso elettrico ai tumori. Le placche (a sinistra) o gli aghi (a destra) sono ritenuti rispettivamente non invasivi e invasivi. L’applicazione di impulsi elettrici a voltaggio elevato ha una diversa distribuzione elettrica tra i due tipi di elettrodi. Le placche sono più appropriate per tumori di superficie, mentre l’area di distribuzione elettrica degli aghi è concentrata sotto di essi ed intorno alle loro punte, quindi questi vanno inseriti fino in fondo alla massa. Con entrambe le tecniche è possibile spostare gli elettrodi per trattare tutta la massa interessata, compatibilmente con le premesse già descritte. Foto da (34).

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4.1.2 Parametri elettrici

In un articolo di Sersa et al., sono stati applicati otto impulsi elettrici con onde quadrate di 100 µs, ampiezza di 910 V, frequenza di 1 Hz a dei noduli tumorali. Le piastre di acciaio utilizzate avevano spessore di 1 mm, ampiezza di 7 mm, lunghezza di 14 mm, con margini arrotondati distanti 7 mm tra di loro; l’elettropulsatore usato era il Jouan GHT 1287, di produzione francese. I parametri elettrici sono stati controllati utilizzando un oscilloscopio HM 205-3 della Hameg Instruments, di produzione tedesca. Ogni scarica elettrica è stata somministrata in due volte con quattro impulsi l’una, con intervallo di 1 secondo, in direzione perpendicolare. Tra la cute e le piastre è stato applicato del gel per migliorare la conduzione. I noduli più grandi di 7 mm sono stati trattati più volte in varie posizioni per essere sicuri di aver elettroporato tutta l’area. Prima di ogni applicazione della carica è stata applicata qualche spruzzata di lidocaina. I risultati, comparati a trattamento con cisplatino associato ad immunoterapia senza ECT, sono stati davvero notevoli: solo 3 noduli su 27 non hanno risposto alla terapia (35).

In un altro articolo di Sersa et al., sono stati definiti i parametri utilizzati per gli studi in vivo. È stato determinato che le cariche possono essere applicate entro due minuti dalla somministrazione intramurale o endovenosa. Le cariche applicate sono state 8 con ampiezza oltre 1300 V/cm, durata di 100 m/s e frequenza di 1 Hz. I risultati sono stati assolutamente soddisfacenti, tanto che le quantità di chemioterapico impiegato erano talmente basse da non dare effetti collaterali (34).

Mir et al. hanno descritto invece l’uso si frequenze a 1 Hz, che è ottimale, ma nel caso di impiego di elettrodi di tipo III (aghi esagonali) hanno sostenuto la necessità dell’uso di 5 kHz come frequenza, la quale inoltre riduce le contrazioni muscolari ad una (36). Sono stati effettuati studi da Miklavcic et al. circa i parametri dell’EP. Esiste una soglia di ampiezza del campo elettrico oltre la quale la percentuale di cellule elettroporate sale, ma scende anche la percentuale di cellule che sopravvivono al trattamento. Gli esperimenti condotti mostrano che l’ampiezza critica di soglia dell’EP si abbassa se il numero e/o la durata degli impulsi aumenta. Se i valori di questi due parametri non sono eccessivamente ampi, anche il valore medio delle molecole introdotte nella cellula aumenta con l’aumento del numero degli impulsi. Si ottiene un importante picco di ingresso molecolare nella cellula utilizzando 4 o più impulsi (31).

Diversi studi hanno dimostrato che nel caso delle macromolecole, l'elettroforesi (uno dei 3 meccanismi mediante i quali funziona il trasporto transmembrana attraverso membrane elettroporate, oltre a diffusione ed osmosi; in questo caso il passaggio è guidato dalla differenza di potenziale elettrico transmembrana) svolge un ruolo importante nel trasporto di molecole attraverso la membrana, e impulsi elettrici di durata sufficientemente lunga sono cruciali per un adeguato assorbimento. In genere, la durata dell'impulso per l'assorbimento di molecole più piccole è nell'ordine di centinaia di microsecondi, mentre per le macromolecole la durata varia da diversi millisecondi a diverse decine di millisecondi(31).

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In uno studio che utilizza un'ampia gamma di parametri rettangolari di impulsi, Maèek-Lebar et al. hanno dimostrato che l'energia totale di un treno di impulsi non è un parametro cruciale per l’ingresso del farmaco né per la sopravvivenza cellulare. Al contrario, è stata osservata una differenza di assorbimento significativa indotto da diversi impulsi della stessa energia totale (31).

Fig. 15. Sopra: percentuale di cellule elettroporate (diamanti) e non (cerchi) in funzione dell’ampiezza dell’impulso elettrico.

Sotto: ingresso di farmaco in cellule elettroporate con 8 impulsi rettangolari di 100 µs somministrati in intervalli di 1 secondo. P50% e D50% indicano le ampiezze di pulsazione che portano alla porazione e alla morte rispettivamente del 50% delle cellule. La concentrazione extracellulare del farmaco era di 1 mM.

Immagine tratta da (31)

Sono stati fatti pochi studi circa la forma delle pulsazioni, poiché i dispositivi commerciali utilizzano più o meno le stesse caratteristiche. Chang et al. hanno riportato che l’efficienza della porazione migliorava quando un’onda di ampiezza 30-200 kHz veniva impostata in forma rettangolare(31).

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Schoenbach et al. hanno studiato l’elettropermeazione con impulsi ultrabrevi (60 ns). In uno studio che paragonava impulsi unipolari e bipolari, è stato dimostrato che con gli impulsi bipolari il voltaggio soglia per elettroporare è sensibilmente più basso, mentre la permeabilità della cellula è invariata, come si vede in figura(31).

Fig. 16: EP e sopravvivenza delle cellule (sopra) ed ingresso del farmaco (sotto) per 8 impulsi bipolari rettangolari 1 ms (500 µs + 500 µs) divisi in intervalli di 1 secondo. Immagine tratta da (31).

In più, è stato dimostrato che se si utilizzano impulsi bipolari, il rilascio di ioni metallici dagli elettrodi nella sospensione cellulare viene radicalmente ridotto, sia che il materiale sia alluminio che acciaio. La contaminazione elettrolitica della sospensione cellulare viene così ridotta, e si prolunga anche la vita degli elettrodi. Nessuna differenza è stata invece riscontrata paragonando i risultati ottenuti con gli impulsi di durata dell’ampiezza di 1 m/s, con un range variabile da 2 a 100 µs. Quindi, sembra che il cambiamento della tempistica degli impulsi non abbia un ruolo chiave nel determinare l’EP (31).

Frequenza di ripetizione dell'impulso: in generale, i pazienti trovano l'ECT tollerabile, nonostante le sensazioni spiacevoli associate alla contrazione dei muscoli situati sotto o

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in prossimità degli elettrodi. Queste contrazioni sono dovute all'intensità degli impulsi elettrici necessari per elettropermeabilizzare le membrane delle cellule tumorali. Dal momento che viene solitamente applicato ai tumori un treno di otto impulsi elettrici con la frequenza di 1 Hz, ogni impulso nel treno eccita i nervi sottostanti e provoca contrazioni muscolari. L'uso ripetuto di impulsi con una frequenza superiore alla frequenza della contrazione tetanica causerebbe quindi una riduzione del numero di contrazioni muscolari e sensazioni spiacevoli associate. Di recente è stato fatto uno studio che ha dimostrato che per frequenze di ripetizione che vanno da 1 Hz a 8,3 kHz, l'assorbimento di farmaco nelle cellule elettroporate in vitro rimane a livelli simili. Parte di questi risultati sono mostrati in fig. 17. In uno studio in corso, si stanno ottenendo risultati simili in

vivo. Ciò suggerisce che ci sono prospettive per un uso efficiente degli impulsi ripetuti con elevata frequenza anche in ECT clinica (31).

Fig. 17: assorbimento di farmaco per otto impulsi rettangolari unipolari di 100 µs erogati con frequenze di ripetizione di 1 Hz (tondo nero), 10 Hz (quadrato bianco), 1 kHz (tondo bianco), e 2.5 kHz (quadrato nero). Immagine tratta da (31)

Oltre ai parametri dell'impulso, l'efficienza della porzione dipende anche da molti fattori fisici e parametri chimici. Un ruolo importante è svolto dalle proprietà del mezzo extracellulare: forza ionica e composizione, pressione osmotica e

temperatura prima e dopo l’EP. Inoltre, per una EP di successo in vivo, anche l'uniformità del campo elettrico nel tessuto è

importante (31).

Sulla base degli studi discussi, possono essere formulati alcuni consigli generali per l’uso dell’ECT. L'ampiezza dell'impulso (rapporto tensione-distanza) dovrebbe trovarsi nell'intervallo da 200 V/cm a 2000 V/cm. La durata dell'impulso dovrebbe essere nell’intervallo di centinaia di microsecondi per molecole più piccole e da diversi millisecondi a diverse decine di millisecondi per macromolecole come frammenti di DNA (in quest'ultimo caso, a causa della durata dell'impulso molto lunga, l'ampiezza dell'impulso ottimale può anche essere inferiore a 100 V/cm). Se l'apparecchiatura lo consente, è necessario utilizzare gli impulsi bipolari anziché quelli unipolari. Gli impulsi bipolari producono una soglia di porosità inferiore, un assorbimento più elevato e una vitalità cellulare non influenzata rispetto agli impulsi unipolari della stessa ampiezza e durata. Tuttavia, i valori ottimali dei parametri da utilizzare per gli impulsi dipendono molto dal tipo di tessuto interessato, dalle caratteristiche della molecola da impiegare e dalle condizioni in cui il viene eseguito il trattamento (31).

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4.1.3 Trattamento di metastasi: effetti antivascolari

I tumori solidi di varie eziologie possono essere trattati efficacemente mediante ECT. L'EP da sola, e l'ECT in particolare, inducono una profonda riduzione del flusso sanguigno tumorale, che contribuisce all'effetto antitumorale. Dopo l’EP (e l’ECT), il decorso del flusso sanguigno cambia e segue lo stesso schema in due fasi. La prima fase di vasocostrizione rapida e di breve durata è seguita dalla seconda fase di durata molto più lunga risultante dalla disgregazione di strutture citoscheletriche e da una compromissione della funzione di barriera dell'endotelio microvascolare. Tuttavia, nel caso dell'ECT anche le cellule endoteliali vascolari tumorali sono influenzate dal farmaco chemioterapico, che porta a danni irreparabili ai vasi tumorali e ad un'ulteriore riduzione del flusso sanguigno tumorale entro poche ore dall'esecuzione della terapia. Le cellule tumorali che sopravvivono agli effetti diretti della terapia sono di conseguenza esposte alla mancanza di ossigeno e sostanze nutritive e vanno quindi in contro a morte cellulare. Clinicamente, l'efficacia antitumorale sulle metastasi dell’ECT è ampiamente dimostrata nel trattamento delle metastasi di melanoma, con il 70-80% di remissioni complete. Gli effetti antivascolari dell'ECT vengono anche sfruttati per il trattamento palliativo del sanguinamento delle metastasi in generale, con immediata cessazione del sanguinamento ed anche ottima efficacia antitumorale. L'effetto antivascolare è molto importante per l’impego di questa terapia nel trattamento di tumori profondi, specialmente in organi ben vascolarizzati, come il fegato, dove previene il sanguinamento dell'area trattata (37).

L'applicazione di ECT o anche della sola EP in assenza di farmaco è nota per indurre una diminuzione del flusso sanguigno locale. Questo effetto è stato osservato su tessuti esposti agli impulsi nei primi studi che coinvolgono EP ed ECT, ma il significato antitumorale non era ancora pienamente riconosciuto poiché contrariamente all’ECT, l'effetto antitumorale della sola EP senza il farmaco non era significativo, anche se la durata delle variazioni del flusso sanguigno osservate immediatamente dopo i due trattamenti (ovvero ECT o applicazione della solo EP) appariva molto simile. Le differenze tra gli effetti di EP ed ECT sul flusso ematico diventano evidenti solo diverse ore dopo il trattamento, suggerendo che EP ed ECT condividano una comune modifica del flusso sanguigno con un importante ulteriore meccanismo di disturbo vascolare presente solo nel caso dell’ECT(37).

Altri studi effettuati in seguito hanno evidenziato l’effetto antitumorale ed anche antivascolare dell’ECT, e che questo può essere critico per l'esito finale del trattamento(37).

Di seguito sono delineate le caratteristiche generali di vascolarizzazione del tumore e del suo flusso sanguigno. Segue la descrizione di modificazioni transitorie e reversibili del flusso sanguigno comuni a EP ed ECT, e modificazioni vascolari irreversibili esclusivamente dell’ECT. Viene contestualmente inserito un modello che mostra le modificazioni tumorali secondi, minuti, ore e giorni dopo l’applicazione di EP ed ECT. Caratteristiche generali del flusso sanguigno nei tumori solidi: in generale, la fisiologia del flusso sanguigno dei tumori è diversa da quella dei tessuti sani. I tumori sono generalmente scarsamente perfusi e ossigenati in confronto ai tessuti sani da cui originano. L’angiogenesi tumorale fa sì che i vasi risultino disposti in modo irregolare con

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la presenza di fitte reti microvascolari ramificate in modo contorto con forme e lunghezze difformi tra loro, non senza la presenza di vicoli ciechi, i quali contribuiscono ad aumentare la resistenza al flusso sanguigno. Ciò porta a ristagni di sangue all'interno del tumore ed il flusso risulta perciò inefficiente e lento. La scarsa velocità di perfusione e la struttura irregolare dei capillari contribuiscono allo sviluppo di regioni ipossiche nel tumore e nell'ambiente del tessuto. Diversamente dai tessuti normali, uniformemente vascolarizzati e ossigenati in tutta la loro struttura, molti tumori presentano una struttura in cui il bordo esterno è più efficacemente vascolarizzato e ossigenato rispetto al centro, tanto che spesso presentano necrosi al centro dovute al mancato apporto di ossigeno. Le pareti dei vasi sanguigni tumorali sono strutturalmente e funzionalmente anomale. Esse sono generalmente caratterizzati dalla scarsità di cellule muscolari lisce e da scarsa innervazione simpatica. Di conseguenza, la possibilità di regolazione locale del flusso sanguigno dei tumori è molto inferiore rispetto a quella di un tessuto normale. I capillari tumorali possono essere definiti permeabili, perché la membrana basale e il rivestimento endoteliale risultano fortemente alterati con connessioni intercellulari allentate o addirittura con aperture tra cellule endoteli, permettendo il passaggio di grandi molecole come le proteine plasmatiche. Anche la pressione del fluido interstiziale (IFP, interstitial fluid pression) risulta più alta nei tumori, a causa di un insufficiente drenaggio linfatico. Tutte queste caratteristiche possono rappresentare degli ostacoli per i trattamenti antitumorali. Ad esempio, l'ambiente ipossico rende i tumori resistenti alla radioterapia. Un ostacolo alla corretta penetrazione del farmaco all’interno del tumore è certamente l’elevata IPF. In ogni caso, l’inadeguata vascolarizzazione tumorale può essere utilizzata contro il tumore stesso: le terapie che prevedono un disturbo vascolare rappresentano un valido approccio terapeutico(37).

Gli effetti di EP ed ECT sul flusso sanguigno tumorale possono essere considerati fenomeni locali, nessun effetto sistemico è mai stato segnalato in nessuno degli studi condotti(37).

La Figura 18 riassume i principali cambiamenti del flusso sanguigno osservati nel fibrosarcoma Sa-1 sottocutaneo nei topi immunocompetenti A / J, un modello sperimentale molto utilizzato negli studi sugli effetti di EP ed ECT sul flusso sanguigno tumorale, per un tempo di 2 giorni dopo l'applicazione di EP ed ECT con bleomicina (1 mg/kg), a confronto con il flusso sanguigno nei tumori di controllo trattati solamente con bleomicina senza trattamenti adiuvanti la penetrazione cellulare(37).

Cambiamenti nel flusso ematico ad opera dell’EP: è stato dimostrato che l'applicazione di impulsi elettrici comunemente usati in ECT inducono una riduzione rapida e profonda del sangue localmente al tessuto trattato. La velocità del flusso si può misurare con il metodo flowmetry laser Doppler (LDF). Nella figura 18A si può vedere che la riduzione del flusso sanguigno inizia non appena viene dato il primo impulso. Sono bastati pochi secondi a raggiungere il livello di flusso ematico vicino allo zero. Un parziale recupero del microcircolo è iniziato circa 1-2 minuti dopo l’EP (Figura 18B); il flusso sanguigno è tornato ad essere circa il 40% del pretrattamento dopo 10–15 minuti, come mostrato nella figura 18C. A questo punto il processo di riperfusione è bloccato senza nessun

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significativo ulteriore miglioramento per almeno 2 ore. Alcune prove sperimentali suggeriscono che una lieve riduzione secondaria del flusso si è verificata entro la prima ora dopo la riperfusione iniziale (figura 18C). Tuttavia, su una scala temporale più ampia, il flusso sanguigno in realtà ha continuato a migliorare, anche se a un ritmo molto più lento ed è stato quasi completamente tornato alla normalità 24 ore dopo l'applicazione dell’EP, tanto che dopo 28 h era indistinguibile da quello nel controllo, come evidenziato dalla figura 18D(37).

Figura 18: cambiamenti nel flusso sanguigno tumorale dopo diversi trattamenti. (A) Un esempio di rapida riduzione del flusso sanguigno immediatamente dopo l'applicazione degli impulsi elettroporanti. B-D: effetti di diversi trattamenti sul flusso sanguigno in tre diversi intervalli di tempo. Tutti i dati sono stati misurati nei tumori Sa-1 sottocutanei in topi anestetizzati. Per l’ECT è stata impiegata bleomicina EV (1 mg/kg), iniettata 3 minuti prima dell'applicazione dell’EP. Al momento 0 è stata applicata l’EP (otto impulsi, ampiezza 1040 V, durata 100 µs, frequenza 1 Hz, elettrodi a piastra, distanza 8 mm). Nelle figure B e C i valori sono espressi in percentuale rispetto al valore di pretrattamento. Immagine tratta da (37).

Anche in altri studi effettuati con metodiche diverse, il flusso sanguigno nei tumori 1 h dopo l’EP era in media inferiore al 50% del valore di pretrattamento. Indagini con l'imaging ultrasonografico Power Doppler hanno confermato la differenza di distribuzione del flusso sanguigno nei tumori, con la periferia notevolmente vascolarizzata meglio rispetto al centro. Il ripetere l’EP 24 h dopo il primo trattamento ha indotto una riduzione del flusso sanguigno molto simile a quella ottenuta dopo la prima applicazione, ma il recupero vascolare 24 h dopo il secondo trattamento era inferiore rispetto a quello osservato dopo il primo. Il livello di riduzione del flusso sanguigno in tumori sottocutanei osservato 30 minuti dopo l’EP era direttamente proporzionale al numero di impulsi tra 1 e 10, ampiezza 1040 V e durata 100 μs (distanza

(35)

tra gli elettrodi di 8 mm). Tuttavia, va detto che anche un singolo impulso di EP era sufficiente a provocare la stessa rapida ed estrema diminuzione iniziale del flusso sanguigno come la riduzione seguente una sequenza regolare di otto impulsi, ma in totale la durata dell'effetto era molto più breve rispetto al trattamento con otto impulsi, scomparendo completamente nel giro di pochi minuti dopo(37).

La riduzione del flusso sanguigno tumorale sembrava dipendere dall'ampiezza degli impulsi, ed è stato infatti appurato che con otto impulsi di durata di 100 μs, 30 minuti dopo l’EP la diminuzione del flusso sanguigno è presente solo se l’ampiezza supera 640 V a distanza interelettrodo di 8 mm. Il livello di riduzione 30 minuti dopo il trattamento è risultato positivo fino all’ampiezza di 1040 V senza ulteriore riduzione a 1200 V. Sulla base delle considerazioni fatte finora, si può concludere che la diminuzione del flusso sanguigno tumorale dopo l'EP consiste in due fasi distinte, molto probabilmente collegate a due distinti meccanismi fisiologici. La prima fase è rapida (secondi), profonda (arresto del flusso sanguigno) e di breve durata (solo pochi minuti). La seconda fase è più lenta (minuti-decine di minuti) e relativamente di lunga durata (almeno 24 h, vedi figura 18). La durata e l'estensione effettive della seconda fase è direttamente proporzionale al numero, all'ampiezza e alla durata degli impulsi elettrici(37).

4.2 Chemioterapici impiegati

Sono numerose le pubblicazioni che descrivono l’utilizzo di chemioterapici per eseguire l’ECT, e tutte comparano due principali farmaci: la bleomicina ed il cisplatino(38). Naturalmente le premesse iniziali sono la chiave del funzionamento di questo trattamento: i farmaci in questione penetrano scarsamente dentro alle cellule, e per raggiungere le dosi di tossicità cellulare intrinseca richieste hanno bisogno di dosi davvero alte, causando effetti collaterali sistemici davvero elevati. Pertanto essi si sposano benissimo con questa terapia, che consente di usare dosi minime di farmaco avendo elettroporato la cellula, e quindi gli effetti sistemici risultano ridotti notevolmente quando non addirittura assenti(38).

Riguardo la bleomicina, è rilevante l'enorme citotossicità intrinseca che presenta: qualche centinaio di molecole di bleomicina all'interno della cellula è sufficiente per ucciderla. La bleomicina provoca rotture di DNA sia a singolo che doppio filamento, ed è stato dimostrato che quelle a doppio filamento sono 300 volte più tossiche delle rotture a singolo filamento. Le cellule vengono uccise perché alcune delle rotture a doppio filamento rimangono non riparate: la citotossicità del farmaco si esplicita quando le cellule tentano di dividersi, perché i loro cromosomi sono frammentati, mentre le cellule che non si dividono restano quiescenti (metabolicamente stabili) perché la probabilità che queste rotture del DNA influenzino l'espressione di un gene essenziale è quasi nulla. Questo processo di morte delle cellule mitotiche provoca un'uccisione selettiva delle cellule che si dividono (tumorali) che risparmia effettivamente le cellule non replicanti attorno al tumore trattato(38).

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