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DAL FENOMENO DEL JUDICIAL BORROWING AL DIALOGO TRANSNAZIONALE FRA CORTI. I NUOVI ORIZZONTI DEL DIBATTITO DOTTRINALE.

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(1)UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PISA DIPARTIMENTO DI DIRITTO PUBBLICO. SCUOLA DI DOTTORATO GIUSTIZIA COSTITUZIONALE E DIRITTI FONDAMENTALI XXIII Ciclo TESI DI DOTTORATO. I. DAL FENOMENO DEL JUDICIAL BORROWING AL DIALOGO TRANSNAZIONALE FRA CORTI. NUOVI ORIZZONTI DEL DIBATTITO DOTTRINALE.. SETTORE SCIENTIFICO DISCIPLINARE Filosofia del diritto - IUS 20. Relatore Prof. Emilio Santoro. Candidata dott. Sofia Ciuffoletti (matricola 431564). Anno Accademico 2010/2011.

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(3) “...in the mysterious East as in the pellucid West, constitutions, however detailed, are no better than the institutions they are written into.” CLIFFORD GEERTZ, Local Knowledge (1983). “Wenn ein Löwe sprechen könnte, wir könnten ihn nicht verstehen” LUDWIG WITTGENSTEIN, Philosophischen Untersuchungen (1953).

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(5) DAL FENOMENO DEL JUDICIAL BORROWING AL DIALOGO TRANSNAZIONALE TRA LE CORTI. I NUOVI ORIZZONTI DEL DIBATTITO DOTTRINALE.. INDICE. INTRODUZIONE. i. Definizioni terminologiche. vi. CAPITOLO I PROFILO STORICO DEL FENOMENO DEL JUDICIAL BORROWING 1. Il contesto di common law. 1 1. 3. L’età del colonialismo. 17. 3.1 Il modello di common law. 18. 3.2 Il modello europeo-continentale. 35. 4. 1945-1990: l’età della primazia costituzionale statunitense. 47. 5. La pratica recettizia a livello europeo. 57. CAPITOLO II I. MODELLI. DIALOGICI. ALL’INTERNO. DELLE. TRADIZIONI. GIURISPRUDENZIALI. NAZIONALI: IL CASE-STUDY DEL PRIMATO COSTITUZIONALE DELLA GIURISPRUDENZA DELLA CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO.. 75. 1. Il modello statunitense. 75. 2. Il modello sudafricano. 85. 3. Il modello canadese. 102. 4. Il modello indiano. 110. 5. Il modello dell’America Latina: le esperienze di Argentina e Messico 122 6. Il modello di autorità persuasiva della CEDU. 131. 7. CGE e CEDU: prospettive di dialogi fra i due giudici europei. 146.

(6) INDICE. CAPITOLO III DAL. JUDICIAL BORROWING AL DIALOGO COSTITUZIONALE: LINEE DI EVOLUZIONE. INTERPRETATIVA DEL FENOMENO. 151. 1. Introduzione. 151. 2. Le teorie del costituzionalismo contemporaneo. 152. 3. La costruzione del paradigma dialogico: dal judicial borrowing al dialogo fra corti. 173. 4. La tendenza universalistica del paradigma: dalla pratica dialogica al diritto cosmopolitico. 185. 5. Critiche e limiti del paradigma dialogico. 187. 6. Oltre le critiche. 196. 7. Proposta interpretativa del paradigma dialogico. 199. 8. Perché dialogare?. 210. CONCLUSIONI. 214. BIBLIOGRAFIA. 221. SITOGRAFIA. 244.

(7) INTRODUZIONE. L’influenza della giurisprudenza straniera all’interno del processo argomentativo dei giudici, in particolare dei giudici costituzionali, riassunta recentemente nell’efficace espressione judicial borrowing, è un fenomeno che si manifesta storicamente, pur con caratteristiche e significati multiformi, fin dai primordi della modernità giuridica. Possiamo dire che la tendenza a comparare e a utilizzare strumenti argomentativi appartenenti a tradizioni giuridiche straniere al contesto di riferimento risponda all’intrinseca esigenza di autorità persuasiva a cui aspira il giudice nell’atto di emanare una sentenza. L’argomento extra-sistemico, riferito a esperienze giuridiche diverse, lontane, straniere mira a un tipo di persuasività discorsiva ben diversa dalla specifica legittimità fornita dalle fonti formali di diritto. Il giudice nel costruire la particolare interpretazione del diritto, all’interno dell’argomentare di una sentenza, si avvale di questo strumento per influenzare il giudizio sulla giustezza e auspicabilità della propria decisione, in base all’idea secondo cui un’affermazione di diritto acquista verità e ragionevolezza se supportata dal ragionamento di un altro operatore del diritto. D’altra parte la pratica del recepimento di giurisprudenza straniera ha conseguito, nel tracciato storico del fenomeno, altri risultati e obiettivi, strategici, politici, culturali che si impongono alla riflessione teorica. Nel contesto del ragionare argomentativo l’inserimento di citazioni straniere acquista, quindi, un significato notevole, che sarà analizzato nel presente lavoro. A fronte della rilevazione storica del fenomeno e dell’analisi dei mutamenti qualitativi e quantitativi della pratica recettizia, parte della dottrina, in particolare i teorici del costituzionalismo, si sono impegnati in un acceso dibattito interpretativo. La teoria costituzionale, infatti, ha attraversato i secoli della modernità giuridica ritagliandosi un campo di indagine duttile, allo stesso tempo, pratico e filosofico. Il costituzionalismo, come teoretica del diritto, ha rappresentato un luogo ove le idee giuridiche della modernità hanno potuto rinnovarsi e hanno trovato nuova linfa. i.

(8) INTRODUZIONE. attraverso il fatto giuridico delle costituzioni e la loro dimensione vitale, costituita dalla pratica dell’ermeneutica costituzionale. In questo senso la teoria costituzionale si è imposta come autentica rappresentazione dell’attualità giuridica, come nuova semantica del linguaggio del diritto. In particolare, a partire dalla sistematica della stufenbautheorie kelseniana, abbiamo assistito alla costruzione di un modello architettonico-giuridico che presentava in nuce i germi di un paradigma teoretico e di una ideologia costituzionale che non ha tardato a manifestarsi come schema interpretativo della realtà, modulandosi, talvolta, in una rimoralizzazione del diritto attraverso il concetto dei principles costituzionali, talaltra, in un completamento, o meglio in una rifondazione del normativismo e del giuspositivsmo contemporaneo; infine la stessa costituzionalizzazione del panorama giuridico globale è stata oggetto di una versione giusrealista e antiformalista dello stato di diritto. Lo scenario politico, economico, sociale della contemporaneità, inserito nella categoria interpretativa, varia e mutevole, della globalizzazione, contribuisce a dare spessore a una lettura in chiave costituzionale del pensiero giuridico. In anni recenti si è imposto all’osservazione dei teorici del costituzionalismo contemporaneo un fenomeno che ha aperto nuovi scenari di riflessione teoretica, spingendo la dottrina a spiegazioni ermeneutiche contrapposte. Intendiamo, qui, riferirci al fenomeno del “dialogo” tra corti, che si manifesta come atteggiamento recettivo e interattivo di varie corti costituzionali, supreme, internazionali che, in tempi recenti e progressivamente, sono passate da un generale modello di judicial borrowing, mera importazione di giurisprudenza straniera, caratterizzato dalla passiva dipendenza epistemica da categorie giuridiche e costituzionali di pochi paesi esportatori, a una consapevole e aperta ricerca di modelli giurisprudenziali avanzati di protezione dei diritti a livello globale. Il primo sintomo di questo passaggio storico è costituito dall’allargarsi dello spazio giuridico globale e dall’indebolimento progressivo delle categorie di centro e periferia, tipiche della semplificazione del mondo in blocchi contrapposti. Se, infatti, la pratica del judicial borrowing si esplica in contesti più o meno formalizzati (come sarà analizzato nel capitolo primo), in cui è ben chiara la distinzione tra tanti paesi importatori e poche giurisdizioni-simbolo, esportatrici di giurisprudenza. ii.

(9) INTRODUZIONE. costituzionale, il paradigma dialogico evidenzia un’apertura alla cross-fertilization transnazionale che travalica i confini e costringe al ripensamento teorico delle categorie giuridiche correlate. Il fenomeno è stato, da parte della dottrina (Anne Marie Slaughter in primis e, a livello italiano, Maria Rosaria Ferarrese), descritto come una “interazione dialogica fra corti” che riconoscono la reciproca legittimità e intessono, su un piano paritario, relazioni giurisprudenziali a livello globale. Nello specifico il primo capitolo si pone come il sostrato in cui verificare le manifestazioni storiche del fenomeno. La pratica meramente recettizia del judicial borrowing, che si presentata all’analisi empirica come la tendenza di alcune corti a importare. spontaneamente,. all’interno. del. proprio. ordinamento,. specifica. giurisprudenza straniera, attraverso la citazione, nel corpus argomentativo, di precedenti riferibili a differenti esperienze giuridiche, si è manifestata nel tempo in particolari contesti, caratterizzati da una precisa gerarchia, estrinsecantesi nell’unidirezionalità della pratica, da una corte (donor) dotata di autorità persuasiva esterna ad altre corti (borrowers), meramente recettive. In tal senso possiamo suddividere il tracciato storico del fenomeno secondo contesti rilevanti per la manifestazione della pratica di judicial borrowing, come l’ambito del Commonwealth, il sistema giuridico coloniale, il primato costituzionale della giurisprudenza della Corte suprema statunitense (che va dal secondo dopoguerra fino agli anni Novanta del XX secolo), lo spazio giuridico europeo. In tali ambiti, infatti, troviamo in azione meccanismi, più o meno pronunciati, di recezione giurisprudenziale caratterizzata da una precisa geografia di “donatori” di giurisprudenza e “beneficiari” della stessa, in un sistema chiuso e definito di relazioni. La particolare caratteristica che accomuna tali esperienze consiste nello spazio strategico all’interno del quale si svolge la relazione recettizia: stiamo infatti parlando di spazi giuridici che formano un sistema relativamente chiuso di scambio, spazi, in cui la relazione tra donors e borrowers appare, in vario modo, giustificata, anche se non formalmente imposta. Utilizzeremo, quindi, il metodo dell’indagine storico-giuridica, tenendo sempre lo sguardo rivolto all’analisi teorica dei risultati, alla luce del paradigma da verificare.. iii.

(10) INTRODUZIONE. Nel secondo capitolo il fenomeno dell’interazione giurisprudenziale sarà studiato, nelle sue manifestazioni empiriche, all’interno di alcune esperienze costituzionali caratterizzate da un peculiare approccio alla pratica in esame; affrontando in particolare il comportamento di corti a giurisprudenza costituzionale antica e consolidata, come la Corte suprema degli Stati Uniti, considerata, lungo tutto il corso del Ventesimo secolo, il polo dell’attenzione globale e la fucina della dottrina e giurisprudenza costituzionali contemporanee. Parallelamente analizzeremo la giurisprudenza e l’approccio dialogico di quelle corti, di recente formazione e a giurisprudenza costituzionale in via di costruzione, che hanno dato l’abbrivio alla pratica dialogica. Il particolare case-study, attraverso cui si è scelto di leggere la tendenza recettizia e interattiva delle corti in esame, è costituito dal ruolo che, all’interno dello spazio giurisprudenziale globale, ha assunto nel tempo la giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU). La fisionomia di questo giudice lo rende particolarmente adatto a un’indagine relativa al paradigma dialogico. La CEDU, infatti, si presenta come una corte internazionale che unisce l’attrattiva giuridica dell’astrazione rispetto a un contesto statale di riferimento con la peculiarità di esprimersi su un territorio regionale informato sul pluralismo giuridico delle multiformi esperienze che costituiscono lo spazio della “grande Europa”. D’altra parte a tale estesa giurisdizione corrisponde un’attitudine altamente prolifica della Corte europea, in materia di protezione dei diritti, tale da offrire all’esterno uno spettro ampio di questioni trattate e una giurisprudenza pragmatica e fortemente attrattiva. Verificare il paradigma dialogico sulla base della giurisprudenza di questo particolare giudice permette un doppio ordine di indagine: in primo luogo l’analisi relativa alla effettiva capacità di questo giudice di influire sulla dottrina costituzionale della protezione dei diritti a livello globale (in tal senso prenderemo in esame una serie di giudici nazionali e verificheremo la tendenza a citare giurisprudenza della Corte europea); in secondo luogo il case-study in esame ci permette di studiare la tendenza recettiva della stessa CEDU nell’arco temporale dello sviluppo della sua giurisprudenza.. iv.

(11) INTRODUZIONE. In particolare la ricerca si è avvalsa dell’analisi quantitativa svolta sulle banche dati delle singole corti supreme, costituzionali, sovranazionali e internazionali considerate, per arrivare poi all’analisi qualitativa dei casi rilevanti per tracciare un profilo per modelli delle specifiche tradizioni e tendenze giurisprudenziali delle diverse giurisdizioni considerate. Infine analizzeremo, nel terzo capitolo del presente lavoro, le interpretazioni teoriche e i precipitati giusfilosofici impliciti nelle prime interpretazioni dottrinali del fenomeno. Nello specifico individueremo due dimensioni, parallele e in dialettica fra loro, di interpretazione del fenomeno. Da una parte si situano, infatti, le teorie neo-costituzionaliste informate dalle tesi habermasiane, che vedono, nella pratica del dialogo fra corti, l’inveramento del modello della ragione comunicativa, capace di creare, a livello globale, uno spazio di consenso universale su una serie di valori comuni; dall’altra si posizionano le tesi nel neopositivismo di stampo costituzionale che assolutizzano la supremazia del testo costituzionale, ancorandosi al paradigma montesquieiano-rousseauiano del “giudice bocca della legge”, per negare valore teorico e metodologico alla pratica dialogica di creazione giurisprudenziale di diritto. Al di là di questa dialettica binaria ci si propone di individuare una linea interpretativa del fenomeno in esame che prende le mosse da un’interpretazione della realtà giuridica di stampo giusrealista e antiformalista. In tale prospettiva teorica, infatti, la tendenza all’utilizzo di fonti extra-sistemiche da parte della giurisprudenza contemporanea può essere registrata nelle sue manifestazioni e interpretata nel quadro di una pratica volta a “sviluppare una rete di riferimenti giurisprudenziali che prescindono da ogni rinvio alle varie gerarchie delle fonti del diritto per svilupparsi su un piano paritario”1.. 1. E. SANTORO, Diritto e Diritti: lo stato di diritto nell’era della globalizzazione, Giappichelli, Torino, 2008, p. 116.. v.

(12) INTRODUZIONE. Definizioni terminologiche A titolo preliminare e chiarificatore occorre distinguere cosa si intende per uso del diritto straniero da parte delle corti. Con tale espressione e ai fini del presente lavoro, si intende l’utilizzo “non necessitato” di giurisprudenza straniera non cogente, a fini comparativi e argomentativi, nell’ambito di una decisione giudiziale, di una concurring opinion o di una dissenting opinion. In particolare si parla di “comparazione necessaria” quando la controversia presenta elementi di estraneità tali da coinvolgere necessariamente il diritto straniero, a cui il giudice deve, quindi, fare obbligato rinvio. In tal caso il mancato rinvio al diritto straniero si tradurrà necessariamente in una sanzione ai danni della decisione resa, che potrà essere annullata secondo le regole dei singoli ordinamenti. Sono questi i casi delle norme nazionali in tema di diritto internazionale privato, oltre che dei principi generali di diritto pubblico internazionale, delle convenzioni internazionali o delle convenzioni di diritto uniforme2 per gli stati che vi hanno aderito. La nostra analisi si svolge, invece, nell’ambito, multiforme e non regolato, della “comparazione volontaria” che si ha ogniqualvolta l’interprete, pur non essendovi costretto, ricorre ad argomentazioni giuridiche basate su elementi di diritto estranei all’ordinamento di appartenenza. In questo senso la dottrina, prevalentemente comparatistica, ha introdotto, all’interno dell’uso volontario di giurisprudenza straniera, l’ulteriore categoria dell’ “uso facoltativo consigliabile”, tra cui rientrano i casi in cui, in ambito di una convenzione di diritto uniforme, il giudice decide di spingersi fino a richiamare gli indirizzi interpretativi degli altri stati aderenti, come succede tra le giurisprudenze dei paesi aderenti alla Convenzione di Vienna sui contratti di vendita internazionale di merci. Vi si comprendono, inoltre, i casi di richiamo al diritto internazionale nell’interpretazione di disposizioni interne derivanti dall’attuazione di obblighi internazionali. Stiamo. 2. Le convenzioni di diritto uniforme sono accordi internazionali volti a sostituire, almeno in parte, le diverse discipline nazionali con un regime unitario. Un esempio è costituito dalla Convenzione di Vienna 19.4.1980 (D.N.U.) sui contratti di vendita internazionale di merci.. vi.

(13) INTRODUZIONE. parlando, a esempio, del caso dell’attuazione in paesi di civil law della Convenzione dell’Aja sul riconoscimento del trust, ambito in cui i giudici hanno fatto ricorso alle esperienze di common law per interpretare e attuare la Convenzione alla luce del contesto giurisprudenziale in cui l’istituto è nato e si è sviluppato. D’altra parte siamo ancora nell’ambito della comparazione non necessaria, dato che, nel caso dell’ “uso facoltativo consigliato”, non sono previste sanzioni a fronte del mancato richiamo alla giurisprudenza straniera. Tale distinzione ci interessa nella misura in cui ci consente di prendere le misure di un fenomeno che, come vedremo, si è storicamente attestato in alcuni ambiti senza dar luogo ad alcuna analisi dottrinale, ma a semplici rilevazioni, rispetto a una pratica innovativa e completamente slegata da ogni riferimento di cogenza, di necessità o di auspicabilità, come quella dialogica. Interessante appare, infine, la distinzione, proposta da June Paper3, tra i casi in cui l’origine di un istituto o di una dottrina è da ritrovarsi nell’ordinamento di un altro stato e quelli in cui l’origine di una regola può essere tracciata a partire da radici comuni. Di questa seconda categoria fa certamente parte l’esperienza del Commonwealth of the Nations, l’ex British Commonwealth, in cui è diffusa la pratica dei giudici dei paesi membri di fare esplicito riferimento, nella risoluzione delle controversie, alla giurisprudenza delle corti inglesi, in particolare del Privy Council, sulla base di un “formante”4 tipico di common law5. Il primo caso, in cui l’origine della norma interna si rinviene nella tradizione giuridica di un altro stato, rimanda al concetto di “trapianto giuridico”. Ci riferiamo con questo termine al fenomeno per cui un paese recettore importa nel proprio ordinamento. 3. J. PAPER, The use of comparative jurisprudence as a tool of legal transition, European University Institute – Department of Law, 2007. 4 Secondo la distinzione di Rodolfo Sacco un “formante” è la base giuridica su cui si sviluppa l'ordinamento giuridico di una società. Secondo Sacco è possibile individuare tre principali tipi di formanti giuridici: giurisprudenziale, tipico dei paesi di common law; legislativo, negli ordinamenti di civil law; dottrinale. Sono, inoltre, presenti dei formanti non enunciati, regole esistenti, ma non espresse, definite criptotipi, tra cui si situa il materiale giurisprudenziale straniero. 5 Cfr. sul punto A. LOLLINI, “La circolazione degli argomenti: metodo comparato e parametri interpretativi extra-sistemici nella giurisprudenza costituzionale sudafricana”, Diritto Pubblico Comparato ed Europeo, Fascicolo 2007-1.. vii.

(14) INTRODUZIONE. elementi normativi propri all’ordinamento giuridico di un paese esportatore. In questo caso, però, i materiali importati consistono, principalmente, in norme o intere leggi, istituti che verranno impiantati nel paese recettore in maniera formalizzata attraverso lo strumento della legislazione. Il legal transplant risulta essere una risorsa importante in fasi di passaggio da un regime politico a un altro; si tratta, quindi, di una tecnica impiegata storicamente dagli stati ex-coloniali6 o dai paesi dell’ex blocco sovietico al fine di porre le basi per la costruzione di un ordinamento giuridico. In questo senso la pratica esula dall’ambito di analisi del presente lavoro, anche se una ricerca comparata sull’utilizzo del legal transplant e del parallelo fenomeno del judicial borrowing o del dialogo fra corti risulterebbe interessante al fine di individuare eventuali sviluppi paralleli di queste due distinte tendenze.. 6. Si ricordi il Law and Development Movement (Movimento di Legge e Sviluppo) degli anni Sessanta, era così denominata, infatti, la tendenza dei paesi occidentali a offrire modelli legislativi ai paesi liberati dal giogo coloniale, prevalentemente in America Latina e Africa.. viii.

(15) CAPITOLO I PROFILO STORICO DEL FENOMENO DEL JUDICIAL BORROWING. 1. Il contesto di common law In primo luogo occorre riflettere su alcune caratteristiche peculiari che informano il sistema di common law e che appaiono utili ai fini della nostra analisi: il principio del precedente vincolante, la costruzione della regola dello stare decisis et non quieta movere e il concetto di autorità persuasiva. L’analisi di tali categorie sistematiche, infatti, offre uno strumento epistemologico fondante per l’interpretazione della prassi giurisprudenziale nel contesto del Commonwealth ed è alla base della ricostruzione degli antesignani storici e teorici della pratica del judicial borrowing. La storia della formalizzazione della regola del precedente vincolante nell’area di common law appare molto più frastagliata e complessa di quanto possiamo essere portati a pensare, a partire dalla logica dei modelli contrapposti civil law/common law. L’attitudine a seguire la ratio di decisioni precedenti appare, nel contesto inglese, intrinsecamente legata alla pratica giurisprudenziale come scoperta e dichiarazione di ciò che il diritto è: antica consuetudine spontanea ab immemorabilia. Il precedente giudiziario diventa, quindi, l’unica autentica prova della consuetudine, la incarna e ne diventa il simulacro. Acquista, in breve, un profondo carattere di vincolatività, perché in esso si traduce il diritto; ne consegue che ogni successiva decisione che si discosti dal precedente, così inteso, sarà da considerare resa ab iniuria. A questo primo precipitato logico della teoria classica di common law, segue, però un ulteriore corollario, elaborato successivamente e reso celebre da Blackstone, ma implicito nella prassi delle corti inglesi di common law: il precedente, essendo solo prova del diritto, potrebbe essere esso stesso “errato”; ne deriva la possibilità, per il. 1.

(16) CAPITOLO I PROFILO STORICO DEL FENOMENO DEL JUDICIAL BORROWING. giudice successivo, di correggere il precedente attraverso una decisione che si dimostri “migliore prova di ciò che il diritto è”7. Dall’unione delle due componenti del principio del precedente vincolante e del potere giurisprudenziale di modificarlo, in nome di una migliore interpretazione, discende l’alto rilievo attribuito, in contesti di common law, al valore persuasivo della decisione. Nella prassi giurisprudenziale inglese, infatti, fino alla riforma della metà del Diciannovesimo secolo, non è raro imbattersi in decisioni contraddittorie rese da diversi ordini di corti. D’altra parte nei primi scrittori come Fleta, Hengham, Britton, Fortescue le citazioni di precedenti furono scarsissime, così come non se ne trovano negli Year Book (1290-1530), le famose pubblicazioni delle decisioni giurisprudenziali inglesi. Solo Bracton, intorno alla metà del Tredicesimo secolo, proclamava l’importanza della decisione giurisprudenziale come fonte del diritto e portava a esempio delle proprie affermazioni una serie di citazioni di precedenti8. Bracton enuncia chiaramente la regola per cui i casi uguali dovrebbero essere decisi in maniera analoga (secondo la massima: treating like cases alike), tuttavia non siamo ancora di fronte alla fissazione di un principio di salda vincolatività. Si pensi alla formulazione del principio del precedente vincolante in Littleton9; attraverso tale teoria, infatti, l’autore, dopo aver riaffermato la regola del precedente, distingue tra precedenti “buoni” e precedenti “cattivi”, affermando chiaramente che solo i primi meritano l’applicazione della regola della vincolatività. Precedente non è, quindi, ancora ogni decisione giudiziale, ma solo quella “decisa bene”. La storia della formalizzazione moderna della regola del precedente vincolante è strettamente connessa alla pratica della pubblicazione delle decisioni giurisprudenziali in appositi reports sistematici, che sono alla base dell’autorevolezza dei precedenti giurisprudenziali10. In particolare la figura di Coke svolge un ruolo di primo piano in tale sviluppo, con i suoi reports altamente selettivi. L’opera di Coke, infatti, tende a. 7. W. BLACKSTONE, Commentaries on the Laws of England, I, Fac. V ed., Chicago, 1979, 70-71. 8 Cfr. E. LEWIS, “The History of judicial precedent” 46, L.Q. Rev., 1930, pp. 212214. 9 LITTLETON’s, Tenures in French and English, London, 1961. 10 J.P. DAWSON, The oracles of the law, Greenwood Press, Westport, 1968.. 2.

(17) CAPITOLO I PROFILO STORICO DEL FENOMENO DEL JUDICIAL BORROWING. dare unità al materiale giurisprudenziale, organizzandolo secondo una linea di evoluzione sistematica, unendo, quindi, al metodo storico il metodo teorico della sistematizzazione per categorie e tendenze evolutive. A quest’opera pratica corrisponde, quindi, una vocazione teorica, volta a illuminare il sistema di common law, dotando di nuovo slancio la dottrina del precedente. L’adesione al precedente, in Coke, assume il senso di adesione alla decisione sostanziale, piuttosto che ripetizione di forme processuali, da cui si ritiene più opportuno e utile non discostarsi. Si veda il famoso Slade’s Case11 in cui si afferma che una decisione presa sub silentio, ossia senza una precisa discussione in punto di diritto, non è un precedente “so authentic”. In questo contesto, di particolare importanza, ai fini della nostra analisi, appare la contrapposizione, destinata a diventare classica in ambito di common law, tra ratio decidenti e obiter dicta. L’authority giurisprudenziale, infatti, si distacca dal mero valore persuasivo della dottrina e degli obiter: un’opinione data in corte, non necessaria per la decisione, non è Judicial opinion più di qualsiasi gratis dictum. Ma un’opinione, anche se sbagliata, che tuttavia sia conclusiva del giudizio è una Judicial opinion, perché resa dopo un giuramento del giudice che garantisce il suo valore di decisione giudiziaria12. Si intravede, qui, quella distinzione tra autorità formale della Judicial opinion e autorità persuasiva dei dicta che costituisce uno dei punti cardine nell’analisi della sistematica del judicial borrowing in area di common law. La definitiva formalizzazione della regola dello stare decisis in senso verticale (secondo cui i precedenti di una corte superiore vincolano le decisioni delle corti inferiori) avviene con la sua cristallizzazione, nell’epoca delle grandi riforme giudiziarie (18731875), all’interno dei Judicature Act (1873).. 11. 4 Coke Rep., 93, 94. Manby v. Scott, 1659 (Ex. Ch.) 1 Sid., citata in U. MATTEI, Stare Decisis, Giuffrè, Milano, 1988.. 12. 3.

(18) CAPITOLO I PROFILO STORICO DEL FENOMENO DEL JUDICIAL BORROWING. Lo stare decisis in senso orizzontale (ossia il vincolo di una corte a seguire i propri precedenti), invece, si stabilizza a opera di alcune importanti sentenze13 della fine del Diciottesimo secolo, per arrivare nell’età contemporanea ad affievolirsi a tale grado che, nel 1966, con un Practice Statement, la stessa House of Lords si libera da tale vincolo affermando che: too rigid adherence to precedent may lead to injustice in a particolar case and also unduly restrict the proper development of the law.14 A partire dalla seconda metà del Diciannovesimo secolo, dunque, si struttura una sostanziale distinzione tra vincolo formale di stare decisis e decisioni dotate di autorità persuasiva. Il concetto di persuasive authority nel mondo di common law appare centrale e nello stesso tempo di difficile definizione pratica. Se quasi tutti i dizionari legali concordano per la definizione di persuasive authority come : Sources of law, such as related cases or legal encyclopedias, that the court consults in deciding a case, but which, unlike binding authority, the court need not apply in reaching its conclusion.15 una precisa indicazione di tali fonti risulta impossibile, per l’intrinseca libertà riconosciuta al giudice nella ricerca di argomenti di persuasione. 13. In primo luogo viene affermato dalla House of Lords con London Street Tramways Co. Ltd v. London County Council (1898). 14 Dal testo del Practice Statement (1966) 3 All ER 77: “Their Lordships regard the use of precedent as an indispensabile foundation upon which to decide what is the law and its applicaion to individual cases. It provides at least some degree of certainty upon which individuals can rely in the conduct of their affairs, as well as a basis for orderly development of legal rules. Their Lordship nevertheless recognise that too rigid adherence to precedent may lead to injustice in a particolar case and also unduly restrict the proper development of the law. They propose therefore to modify their present practice and, while treating former decisions of this House as normally binding, to depart from a previous decision when it appears right to do so.” 15 West's Encyclopedia of American Law.. 4.

(19) CAPITOLO I PROFILO STORICO DEL FENOMENO DEL JUDICIAL BORROWING. La principale caratteristica dell’autorità persuasiva viene, quindi, definita in negativo rispetto alla nozione di binding authority. L’autorità persuasiva, infatti, non ha alcuna forza vincolante in sé. Prendendo in prestito l’analisi di Ernest Young16 (a sua volta mutuata da Raz17) sul concetto di autorità, possiamo dire che casi dotati di binding authority sono autoritativi puramente in virtù di “ciò che sono”, piuttosto che in virtù di “ciò che dicono”. Per ciò che concerne l’autorità persuasiva sembra essere vero il contrario: se il giudice riconosce, in una fonte non vincolante, un argomento convincente, persuasivo, ecco che la fonte suddetta acquista un’autorità su quel giudice. Da questo punto di vista l’analisi teoretica si domanda: il grado di persuasività coincide con un livello di intrinseca ragionevolezza, per dirla con Habermas: la forza dell’autorità persuasiva è l’intrinseca forza dell’ “argomento migliore”? Vedremo come l’analisi dei casi concreti di utilizzo da parte delle corti di fonti di autorità persuasiva non coincida con la definizione habermasiana e come molteplici variabili entrino in gioco quando di tratta di attribuire un peso autoritativo a fonti non formalmente vincolanti. Ciò che è interessante notare, qui, è come sia nato, in ambito anglosassone, accanto alla dottrina del precedente vincolante e dello stare decisis, un precipuo utilizzo, legittimato e incoraggiato, di fonti non vincolanti e non formali. Poste le basi per la comprensione del contesto di riferimento, vediamo adesso come si sviluppa il peculiare modello recettivo, all’interno del mondo di common law. In particolare, in questo senso, si distingue, rispetto al sistema delle corti anglosassoni, il Judicial Committee of the Privy Council, l’organo di ultima istanza per le questioni costituzionali sorte all’interno delle corti coloniali dell’Impero britannico prima e del British Commonwealth poi.. 16. E. A. YOUNG, “Foreign Law and the Denominator Problem”, 119 Harv. L. Rev., 2005 (“The Court thus chooses to treat foreign law as authoritative in Joseph Raz’s sense: It treats the mere fact that foreign jurisdictions condemn the juvenile death penalty as a reason to condemn that practice in the United States.”); si veda anche H.L.A. HART, Essays On Bentham: Jurisprudence And Political Theory, Oxford University Press, Oxford, 1982. 17 J. RAZ, The Morality of Freedom, Clarendon Press, Chicago, 1986.. 5.

(20) CAPITOLO I PROFILO STORICO DEL FENOMENO DEL JUDICIAL BORROWING. Possiamo dire, infatti, che un peculiare modello storico per la pratica del judicial borrowing sia rinvenibile proprio nella prassi giurisprudenziale costruitasi nel vecchio British Commonwealth, oggi denominato Commonwealth of Nations 18. In questo contesto, infatti, i tribunali degli stati membri facevano costante riferimento alle corti inglesi superiori nel decidere su questioni costituzionali interne, pur non essendo formalmente vincolate all’autorità decisionale delle stesse. Siamo qui di fronte a una prospettiva storica multiforme; si incrociano, infatti, all’interno della stessa fucina inglese, un contesto coloniale, rappresentato dal British Empire, con la massiccia esportazione dell’english common law, governato dall’organo di chiusura del sistema, il Judicial Committee of the Privy Council e un contesto comunitario, il British Commonwealth, che si sovrappone, in termini temporali, all’Impero. Possiamo dire che tra i due sistemi di organizzazione istituzionale non esista una vera cesura, una soluzione di continuità precisa, il British Commonwealth, infatti, resta sostanzialmente identico al British Empire, in termini di governance, ma costituisce il punto di partenza per una ridefinizione simbolica dello spazio comune, che diventa spazio giuridico dominato dallo universal common law, così come interpretato dallo stesso Judicial Committee of the Privy Council (JCPC). Vale la pena tracciare un breve profilo storico delle origini del Commonwealth; dal punto di vista meramente definitorio, l’espressione cominciò a essere utilizzata nella seconda metà del XIX secolo per descrivere la realtà dell’impero coloniale come una “comunità di componenti”. L’artificio retorico non si limitava a un abbellimento linguistico rispetto alla nozione di “impero”, bensì comportava una precisa politica e un riposizionamento in funzione auto-conservativa dell’Impero stesso. Lord Rosebery, spesso indicato come il coniatore del termine, in un discorso pubblico, ad Adelaide, dichiara:. 18. Cfr. D. MCCLEAN, “A common Inheritance? An Examination of the Private International Law Tradition of the Commonwealth”, in Recueil des Cours 1996, Collected Courses of the Hague Academy of International Law 9-98 (Académie de Droit International ed.1997).. 6.

(21) CAPITOLO I PROFILO STORICO DEL FENOMENO DEL JUDICIAL BORROWING. There is no need for any nation, however great, leaving the Empire, because the Empire is a commonwealth of the nations19. L’essenza di questo mutamento nominalistico consisteva nella trasformazione della nozione di “impero” e nella conseguente evoluzione: dalla subordinazione all’uguaglianza, dalla sovranità o dal protettorato britannico alla libera associazione, dall’Imperial Commonwealth al Commonwealth of Nations. D’altra parte, come alcuni storici hanno notato20, per molto tempo le nozioni di impero e Commonwealth hanno convissuto, con una forte prevalenza dell’Impero, almeno fino agli anni Quaranta del Ventesimo secolo. Il fenomeno del judicial borrowing, da parte delle colonie nei confronti della giurisprudenza delle corti britanniche, si situa proprio in ambito di Commonwealth e si sostanzia nella previsione del ruolo del Judicial Commitee del Privy Council come cardine della giurisdizione comunitaria. Mentre attraversava la piana del Rajputana, in India, un viaggiatore del XIX secolo, notò un gruppo di contadini locali che stava offrendo sacrifici a una divinità straniera, per ringraziarla di averli reintegrati nel possesso delle terre confiscate tempo prima da un malvagio raja. Interrogati sulla natura della divinità in questione, i contadini risposero: “Non sappiamo nulla di questo dio, solo che è buono e che il suo nome è Judicial Committee of the Privy Council”21. Questo aneddoto serve a mostrare quale fosse l’opinione dei giuristi tardo-vittoriani inglesi riguardo al supremo tribunale d’appello per il British Commonwealth, considerato una delle “più onorevoli istituzioni mai create dall’uomo” e forse, ma questo rimaneva nel dominio dell’implicito, anche una delle più utili ai fini del mantenimento del British Empire.. 19. Citato in MARQUESS OF CREWE, Lord Rosebury, Murray, London, 1931 vol.1 p. 186. Si noti la lettera maiuscola usata per la sola parola Empire. 20 Ci si riferisce in particolar modo a N. MANSERGH, The Commonwealth Experience, Weidenfeld and Nicolson, London, 1971. 21 Ci sono molte versioni di questa storiella, si veda per tutte N.W. HOYLES, “The origin and present position of the Privy Council”, 10, Queen’s Quarterly, 1903.. 7.

(22) CAPITOLO I PROFILO STORICO DEL FENOMENO DEL JUDICIAL BORROWING. Tale giurisdizione ha la sua genesi nella teoria per cui il re veniva considerato la fonte ultima della giustizia all’interno dei suoi domini e di conseguenza residuava in capo a questo un potere di appello contro ogni sentenza delle corti del Regno. D’altra parte il re esercitava tale giurisdizione in Consiglio. Con il passare del tempo e con l’attestarsi del Parlamento al di fuori del Consiglio del re, fu la stessa House of Lords a posizionarsi come tribunale di ultima istanza nel regno d’Inghilterra. Il Consiglio del re, denominato Privy Council a partire dall’era di Enrico IV22, conservò, però, giurisdizione d’appello per i regni d’oltremare, come le Channels Islands; giurisdizione che, susseguentemente, fu estesa a tutte le colonie, nel periodo dell’Impero. Il Consiglio del re continuò, così, a esercitare il potere di ricevere petizioni da parte dei differenti possedimenti coloniali. Con l’espandersi dell’Impero britannico, il crescente benessere di alcune colonie e l’intervento del Navigation Act23, il numero di petizioni crebbe esponenzialmente. Tuttavia il Consiglio e il particolare Appeals Committee all’interno di esso, non si svilupparono parallelamente al numero dei ricorsi e la fragile struttura dell’organo finì per collassare su sé stessa. Verso la fine del 1832 venne, quindi, approntato un vero e proprio piano di riforma volto a ricostituire la giurisdizione d’appello del Privy Council secondo basi più solide e capaci di servire i bisogni dei vasti territori dell’Impero24. La riforma, completata nel 1833, conseguì un risultato fondamentale per gli ulteriori sviluppi della giurisdizione, trasferendo interamente i poteri di appello dal Re in Consiglio all’organo giudiziario del Privy Council, il Judicial Committee. A partire dal 1833, quindi, il Judicial Committee of the Privy Council (JCPC) fu considerato a tutti gli effetti un tribunale indipendente. Il suo ruolo all’interno del British Commonwealth fu consistente e la sua giurisdizione varia e caratterizzata da un pluralismo di fonti giuridiche che andavano, per il diritto 22. A.V. DICEY, The Privy Council, The Arnold Prize Essay, London 1860. Vanno sotto il nome di Navigation Acts alcuni atti legislativi inglesi, emanati a partire dal 1651, tesi a limitare l'attracco del naviglio estero presso tutti i porti britannici, compresi quelli delle colonie. Le controversie e le questioni sorte a partire da questi atti legislative furono numerose, in particolare nel contesto coloniale. 24 Con il Judicial Committee Act del 1833. 23. 8.

(23) CAPITOLO I PROFILO STORICO DEL FENOMENO DEL JUDICIAL BORROWING. civile, dal common law inglese, al diritto danese (per la Guyana inglese, Ceylon e il Capo), dal diritto spagnolo (per gli appelli provenienti da Trinidad), alle leggi della Repubblica Veneziana (negli appelli dalle Isole Ioniche), dal diritto olandese (per gli appelli provenienti da Heligoland), al diritto medievale sardo (per Malta), dalle leggi normanne (per le Isole del Canale), al diritto pre-rivoluzionario di Parigi (per il Québec) e al diritto francese napoleonico (per le Mauritius), tutto ciò in aggiunta alle fonti del diritto penale contenute nei vari codici penali coloniali25. Nel portare avanti il difficile compito di interpretare diritti di così varia origine, il Judicial Committee sviluppò la propria giurisprudenza ben al di là dell’ambito dei singoli giudizi e si impose come corte di riferimento, nello spazio giuridico del Commonwealth, per tutte le corti coloniali. Dal punto di vista del sistema di common law, il JCPC, si situava come una corte sovranazionale a giurisdizione vasta, che si posizionava, all’interno dello spazio giuridico del British Commonwealth, come il fattore di implementazione del concetto dello universal common law, la cui fons et origo, invero, risiedeva sempre nell’ english law. Da ciò derivava l’idea, portata avanti dal JCPC attraverso una giurisprudenza costante, per cui le corti coloniali erano legate all’interpretazione del common law resa dalle corti inglesi, a partire da quella della Court of Appeal. Successivamente il JCPC cambiò tale indirizzo, indicando nella sola House of Lords, la depositaria ultima del potere di affermare il diritto inglese: That is the supreme tribunal to settle English Law, and that being settled, the Colonial Court, which is bound by English law, is bound to follow it.26. 25. Anche i critici del potere britannico non potevano fare a meno di riconoscere l’immenso lavoro del JCPC. In un memorandum scritto per il governo nazionalista dell’Irish Free State si leggeva: “In the variety of the suitors and the laws between and upon which it adjudicated and in the extent of the jurisdiction which it exercised it stood unique amongst the appellate tribunals of which history has any record” National Archives of Ireland (NAI), Department of the Taoiseach, S5340/2, undated memorandum on “The Judicial Committee Act, 1833 and after”. 26 Robins v. National Trust Co. Ltd. (1927) AC 515.. 9.

(24) CAPITOLO I PROFILO STORICO DEL FENOMENO DEL JUDICIAL BORROWING. D’altra parte l’unica diretta autorità cui le corti coloniali erano chiamate formalmente ad aderire era quella del JCPC e solo per traslato e per il tramite di questo, si poteva giungere alla vincolatività rispetto alle decisioni della House of Lords. In tale prospettiva, in effetti, la concreta formulazione di una regola di stare decisis di tipo verticale e relativo ai precedenti inglesi, non si affermerà mai nel sistema di Commonwealth. E’ inoltre da notare che lo stesso JCPC ha sempre rifiutato di vincolarsi, attraverso il principio dello stare decisis di tipo orizzontale, ai propri precedenti27, rimanendo, quindi un satellite nel sistema delle corti inglesi, giurisdizione strettamente connessa e allo stesso tempo autonoma. La stessa giurisprudenza del JCPC non veniva (e non viene a tutt’oggi) ricompresa nella regola dello stare decisis di tipo verticale all’interno dell’ordinamento inglese. I precedenti del Judicial Committee of the Privy Council, in pratica, non sono vincolanti per le corti inglesi inferiori, pur rimanendo forte l’autorità persuasiva delle decisioni rese da tale organo. D’altra parte, immediatamente, si affermò, nel contesto coloniale, l’autorità vincolante dei precedenti del JCPC per le corti coloniali (legate a questo da un rapporto di stare decisis di tipo verticale). Il particolare carattere del JCPC e il costante rifiuto di aderire alla formalizzazione di uno stare decisis di tipo orizzontale devono essere letti in relazione a un panorama vasto e variegato di giurisdizioni e di contesti territoriali che imponevano una forte libertà di giudizio e una concreta agilità interpretativa rispetto alla propria tradizione giurisprudenziale. Con il tempo, infatti, e per motivi di pragmatica amministrativa, il Judicial Committee of the Privy Council comincia a delineare una politica giurisprudenziale improntata alla divergent view of common law, ossia alla necessità di adattare il common law allo specifico contesto territoriale del paese di riferimento.. 27. Per giurisprudenza costante; si veda, in tal senso: Read v. Bishop of Lincoln (1892) AC 644: “Whilst fully sensible of the weight to be attached to such decisions, their Lordships are at the same time bound to examine the reasons upon which the decision rest, and t ogive effect to their own view of the law.”. 10.

(25) CAPITOLO I PROFILO STORICO DEL FENOMENO DEL JUDICIAL BORROWING. In tale prospettiva il carattere che si andò rafforzando fu piuttosto quello dell’autorità persuasiva dei precedenti delle corti inglesi, delle decisioni del JCPC relative a giurisdizioni diverse e delle sentenze delle differenti corti coloniali. La trama che si crea, per forza di autorità persuasiva e mediante l’opera del JCPC, permette alle corti coloniali di conoscere e utilizzare materiale giurisprudenziale inglese o proveniente da altre parti del Commonwealth, sfruttando nominalmente la mitologia giuridica dello universal common law e pragmaticamente la prassi concreta del divergent view of common law, portata avanti dalla giurisprudenza del Privy Council. In particolare il recepimento della giurisprudenza del Privy Council e, attraverso questo, della stessa giurisprudenza delle corti inglesi, si attestò, nelle colonie del Nordamerica (degli Stati Uniti prima dell’indipendenza e del Canada), come del resto in Australia e Nuova Zelanda, come un processo complesso portato avanti da settlers britannici28. In questi particolari contesti coloniali il comportamento recettivo si caratterizzava per un alto grado di spontaneità e volontarietà, spesso indicato come “reception as alliance”29.. 28. I settlers britannici sono i coloni inglesi che, in particolare in Nordamerica e Australia, fondarono il nucleo portante della nuova società coloniale, in primo luogo attraverso la conquista delle terre indigene e l’avvio di coltivazioni e manifatture. Il primo Impero britannico prese forma all’inizio XVII secolo, con la fondazione delle tredici colonie in Nord America, che sarebbero in seguito diventate gli Stati Uniti, delle province atlantiche del Canada e con la colonizzazione di isole più piccole nei Caraibi come Giamaica e Barbados. Le colonie produttrici di zucchero dei Caraibi, dove la base dell'economia divenne schiavistica, furono agli inizi le colonie più importanti e lucrative. Le colonie americane, invece, producendo tabacco, cotone e riso nel sud e materiale navale e pellicce nel nord avevano meno successo commerciale, ma disponevano di ampie aree di terra coltivabile e attrassero un maggior numero di colonizzatori inglesi. L’Impero in America fu lentamente ampliato attraverso la guerra e la colonizzazione. L’Inghilterra prese possesso di Nuova Amsterdam (in seguito New York) nelle guerre anglo-olandesi. Le colonie americane in crescita spingevano ad ovest in cerca di nuove terre coltivabili. Durante la Guerra dei 7 anni i francesi furono sconfitti nelle pianure di Abraham e persero tutta la Nuova Francia nel 1760, dando all’Inghilterra il potere sulla maggior parte dell’America del Nord. In seguito, con la colonizzazione dell’Australia (nata come colonia penale inglese dal 1788) e della Nuova Zelanda (dal 1840) si costituì un’ampia zona di nuova immigrazione britannica. Cfr. B. PIERS, The decline and Fall of the British Empire, Random House Group Ltd, London, 2007. 29 Si veda H.P. GLENN, “Persuasive Authority”, 32, McGill Law Journal, 1987.. 11.

(26) CAPITOLO I PROFILO STORICO DEL FENOMENO DEL JUDICIAL BORROWING. I settlers, infatti, non soltanto erano animati da un forte senso di lealtà per la Corona inglese e per l’Impero, ma, soprattutto, consideravano il common law inglese come il “diritto ideale” a cui guardare e a cui ispirarsi. D’altra parte e questo è un punto non sufficientemente sottolineato negli studi storici sul tema, sia il common law che lo statute law inglese venivano importati e utilizzati dalle corti coloniali, non tanto per il loro valore simbolico (questo costituiva infatti la legittimazione della pratica del judicial borrowing, ma era lungi dal costituirne la ragione), bensì per la loro suitability, ossia per la loro utilità e precipua persuasività. Come abbiamo detto, infatti, il diretto valore vincolante del precedente per le corti coloniali esisteva solo nella misura delle decisioni del JCPC, ma attraverso la giurisprudenza di quest’organo i giuristi coloniali venivano a conoscenza delle evoluzioni giurisprudenziali delle corti inglesi (in particolare della House of Lords), utilizzando le decisioni della madrepatria volontariamente e pragmaticamente, adattandole e rendendole utili al contesto coloniale attraverso l’artificio retorico della deferenza verso lo universal common law. In realtà in questi contesti siamo di fronte a un fenomeno ibrido, non ancora judicial borrowing nel precipuo senso di adozione di precedenti giurisprudenziali totalmente stranieri, dato il valore sistematico dell’operazione di recezione giurisprudenziale, ma già dotato di quel carattere di volontarietà e pragmaticità che caratterizzerà gli sviluppi futuri della pratica. Il valore dell’autorità persuasiva delle decisioni giudiziali nel contesto di common law e nel Commonwealth in generale costituisce uno dei cardini principali, nella disamina del fenomeno del judicial borrowing. Dal punto di vista teorico, l’ambito giuridico del Commonwealth, può essere descritto come un contesto in cui, secondo la classificazione di Louis Henkin30, le costituzioni e il costituzionalismo, termini da intendersi à la Dicey, ovvero come enunciazione di diritti e non come organizzazione dei poteri, appaiono “genetically related” all’interno di una comunità vasta, a partire da un modello culturale comune, costituito, nel caso del British Commonwealth, dal common law inglese.. 30. L. HENKIN, “A New Birth of Constitutionalism: Genetic Influences and Genetic Defects”, 14, Cardozo L. Re. 533, 534, 1994.. 12.

(27) CAPITOLO I PROFILO STORICO DEL FENOMENO DEL JUDICIAL BORROWING. Le relazioni “genetiche” che Henkin descrive costruiscono una comunità giuridica che si riconosce, pur nell’indipendenza delle varie parti, interrelata e costantemente interagente sulla base di un minimo comun denominatore. In questo senso il fenomeno del judicial borrowing si spiega a partire dall’autorità sostanziale, persuasiva delle decisioni di corti straniere, autonome, ma reciprocamente interrelate nell’ambito del contesto comunitario, oltre che dall’autorità formale di organi che si pongono al vertice del sistema comunitario con funzioni di ultima istanza su questioni di particolare rilevanza costituzionale (è questo il ruolo rivestito dal Privy Council nell’arco della storia del Commonwealth). Da questo modello di costruzione costituzionale si distinguono le “relazioni genealogiche” descritte da Sujit Choudhry31. In queste, infatti, una costituzione nasce per filiazione diretta rispetto a un’altra, precedente, dalla quale si traggono le premesse logico-giuridiche per un ordinamento giuridico indipendente, che, però, non mantiene legami formali con il contesto costituzionale del “donatore”. La pratica del nation-building delle singole nazioni facenti parte del sistema del Commonwealth, è stata portata avanti secondo una tecnica che, per riprendere l’espressione di Okoth-Ogendo32, assomiglia a una “power map”, ossia a un modello costituzionale che si è strutturato in relazione e non in reazione a un contesto esterno, configurato come comunità all’interno della quale si costruisce un percorso comune. Il common law è servito da artificio culturale e giuridico per la creazione di un sistema, di una comunità vasta e nello stesso tempo interrelata. Si tratta, in ultima analisi, di una difesa comune nei confronti dell’alterità, l’altro rispetto alla comunità, ciò che non partecipa al dialogo infra-comunitario. La definizione dei caratteri comuni, che risiedono nel common law, corrisponde alla delimitazione di uno spazio comunitario vitale e interattivo che rispetta l’autonomia dei singoli membri e allo stesso tempo fornisce uno scudo identitario nei confronti dell’esterno.. 31. S. CHOUDHRY, “Globalization in search of Justification: Torward a Theory of Comparative Constitutional Interpretation”, 74, Ind. L.J., 1999. 32 OKOTH-OGENDO, H.W.O, “Constitutions Without Constitutionalism: Reflections on an African Political Paradox” in I.G SHIVJI, (ed.) State and Constitutionalism: An African Debate on Democracy, Human Rights and Constitutionalism, Series No.1 Southern African Political Economy Series, (SAPES) Trust, Harare, 1991.. 13.

(28) CAPITOLO I PROFILO STORICO DEL FENOMENO DEL JUDICIAL BORROWING. All’interno di tale comunità troviamo in azione il modello recettizio che si sviluppa come fenomeno legittimato dalla comune appartenenza alla tradizione di common law. In questo senso la pratica viene progressivamente sviluppata e formalizzata. In effetti il punto cruciale di questo modello è costituito dalla previsione di una formalizzazione dell’uso di giurisprudenza straniera “comunitaria” da parte delle corti degli stati membri attraverso lo strumento del Judicial Committee of the Privy Council33, nella sua costante attività di judicial review su questioni costituzionali sorte all’interno degli Stati membri. Inoltre il movimento che porta alla formalizzazione del ruolo del JCPC non si arresta e genera l’ulteriore conseguenza di rendere consueta e accettata la pratica della citazione di giurisprudenza straniera. Il reiterato riferimento ad argomenti tratti da molteplici giurisdizioni, la necessità di destreggiarsi tra fonti plurali, ha, infatti, nel tempo, modellato e reso ordinaria, comprensibile,. accettata. e. successivamente. promossa. la. comparazione. nell’interpretazione costituzionale34. Questa prassi interpretativa ha poi incentivato, ed è questo un passaggio fondamentale, le corti nazionali del Commonwealth e gli avvocati che peroravano le cause di fronte a queste, a essere aperte a esperienze diverse e quindi coscienti delle decisioni delle corti, all’interno del Commonwealth e talvolta all’esterno di esso. Interessante, in questo. 33. Attualmente nel Regno Unito e in alcuni stati del Commonwealth delle Nazioni che riconoscono il monarca britannico come capo dello stato, il Privy Council svolge ancora funzioni di un certo rilievo, ad esempio consigliando il monarca o, rispettivamente, il governatore generale in merito all'esercizio del potere di grazia; sono inoltre formalmente adottati dal capo dello stato sentito il consiglio privato, ma in realtà predisposti dal gabinetto, i cosiddetti Order-in-Council, atti con i quali sono tra l'altro emanati i regolamenti. All'interno del consiglio privato britannico (la cui denominazione ufficiale è Her/His Majesty's Most Honourable Privy Council e che conta attualmente svariate centinaia di membri), attualmente il Judicial Committee funge da giudice di ultima istanza, con un ruolo quindi analogo alla corte suprema, per la Gran Bretagna (limitatamente ad alcune materie), per i territori britannici d'oltremare, ma anche per molti stati indipendenti del Commonwealth (Giamaica, Bahamas, Belize, Trinidad e Tobago, Mauritius ecc.). Cfr. O. GAY – Y. REES, "The Privy Council" House of Commons Library Standard Note, SN/PC/2708, consultabile presso: http://www.parliament.uk/documents/commons/lib/research/briefings/snpc3708.pdf. 34 Cfr. sul punto W. DALE, “The Making and Remaking of Commonwealth Constitution”, 42, Int’l & co L.Q, 1993.. 14.

(29) CAPITOLO I PROFILO STORICO DEL FENOMENO DEL JUDICIAL BORROWING. senso, la metafora costruita proprio dalla giurisprudenza del Judicial Committee of the Privy Council35 delle tradizioni costituzionali nazionali come “living trees” il cui significato e contenuti possono evolvere con il tempo, pur affondando le radici nel common law, con questo argomento incoraggiando e legittimando la pratica dell’utilizzo di fonti straniere o internazionali. I mutamenti storici che hanno portato alla costruzione del modello di Commonwealth of Nations, che ha sostituito il vecchio British Commonwealth36, hanno spinto per un vero e proprio passaggio, nell’ottica della nostra analisi, da una pratica di judicial borrowing unidirezionale (che andava nel senso di importazione di giurisprudenza inglese nell’ambito comunitario) a un modello aperto, di tipo dialogico, che ha coinvolto attivamente le stesse corti inglesi, ormai impegnate in uno scambio biunivoco e paritario con la giurisprudenza delle ex-colonie. Oggi la giurisdizione del Judicial Committee, all’interno del Commonwealth, è stata fortemente ridimensionata, ma il suo ruolo di ponte fra le diverse giurisprudenze interne è stato ereditato dal Secretariat of the Commonwealth che continua con metodi informali l’azione di collante per l’intenso scambio di livelli di comunicazione tra i giudici delle corti delle diverse nazioni indipendenti del Commonwealth37.. 35. V. Edwards v. Attorney General for Canada (“The Persons case”), [1930] A.C. (P.C: 1929). 36 Cfr. sul punto: K.C. WHEARE, The Constitutional Structure of the Commonwealth, Clarendon Press, Oxford, 1960. Interessante ricordare come il cambiamento storico nella struttura del British Commonwealth sia avvenuta a seguito dell’indipendenza dell’India. Questa pose, infatti il problema di paesi con strutture costituzionali non operanti in base alla Corona ma che desideravano rimanere membri del Commonwealth. La questione fu risolta nell'aprile del 1949 a una riunione di primi ministri del Commonwealth a Londra. L'India acconsentì ad accettare il re come "simbolo della libera associazione dei membri delle sue nazioni indipendenti e come tale capo del Commonwealth", nel momento in cui sarebbe diventata una repubblica, nel gennaio del 1950. Gli altri paesi del Commonwealth a loro volta riconobbero all'India la facoltà di continuare ad appartenere all'associazione; su domanda del Pakistan si accettò che ad altri stati, in futuro, sarebbe stato concesso lo stesso trattamento. La Dichiarazione di Londra è vista spesso come punto d'inizio del moderno Commonwealth e, seguendo le orme dell'India, altre nazioni si mossero per divenire repubbliche, o monarchie costituzionali sotto la guida di una differente casa reale. 37 Il Commonwealth conta a oggi 53 paesi che vi aderiscono in maniera volontaria e sempre revocabile. Attualmente, a partire dal 1 settembre 2009, a partecipazione delle Isole Fiji è stata sospesa a causa del rifiuto del Commodoro Frank. 15.

(30) CAPITOLO I PROFILO STORICO DEL FENOMENO DEL JUDICIAL BORROWING. Un importante spunto di riflessione, nell’ottica del presente studio, è offerto, proprio attraverso l’osservazione della tecnica di dialogo giurisprudenziale interna al Commonwealth, dall’idea che l’analisi comparativa e l’uso di giurisprudenza straniera, siano coerenti con la nozione stessa di common law, proprio a partire dal concetto di persuasive authority. In particolare David Strauss38 ha mostrato come proprio il metodo argomentativo tipico delle corti di common law, basando la propria grammatica giuridica su elementi non positivi, dotati di precipua autorità persuasiva, non vincolanti ed extra-sistemici, come le decisioni di corti inferiori, gli argomenti ex auctoritate, la dottrina della comunità dei giuristi, scritti di accademici, oltrechè su strumenti propri della tradizione culturale39 di appartenenza, come le massime e le citazioni letterarie, abbia favorito l’uso dello strumento dialogico della comparazione volontaria. La tradizione di common law mostra in maniera chiara e senza bisogno di sotterfugi come il diritto viva nel metodo, come gioco linguistico interattivo, secondo un’interpretazione giusrealista del diritto. Da molti analisti40 l’odierno fenomeno dello scambio di giurisprudenza costituzionale in forma di dialogo è visto come sviluppo di un formante tipico di common law, risalente alle pratiche giuridiche dei paesi del Commonwealth.. Bainimarama di istituire libere elezioni dopo il colpo di stato del 2006. V. il sito del Commonwealth Secretariat, Legal and Constitutional Affairs Division, http://www.thecommonwealth.org (visitato il 17/08/2011). 38 D. STRAUSS, “Common Law Constitutional Interpretation”, 63, U.Chi.L.Rev. 1996. 39 Si usa il termine ‘tradizione culturale’ nel significato proprio attribuitogli da Ross in Id., Diritto e Giustizia, Einaudi, Torino, 2001, p. 94. 40 Oltre a Strauss, già cit., si veda A. LOLLINI, op. cit. e ancora D.E. CHILDRESS III, “Using Comparative Constitutional Law to resolve Domestic federal Questions”, 53, Duke L.J., 2003-2003; V. JACKSON, “Yes, Please, I’d love to talk with you”, Legal Affairs, luglio-agosto 2004.. 16.

(31) CAPITOLO I PROFILO STORICO DEL FENOMENO DEL JUDICIAL BORROWING. 2. L’età del colonialismo. Nella sua manifestazione esteriore tipica l’utilizzo dell’argomento tratto dalla giurisprudenza straniera a fini decisori ha, come abbiamo visto, origini risalenti. Come ricorda Slaughter41, infatti, si tratta di un fenomeno rintracciabile, come pratica riconosciuta, tra la giurisprudenza delle potenze coloniali e le colonie a questa sottoposte42, trattandosi però, in questo caso, di una pratica non volontaria, ma di una imposta dipendenza epistemica da un lessico giuridico considerato ontologicamente superiore. Inserita nel contesto coloniale, la pratica del judicial borrowing si attestò, nel tempo, come un’importante strumento per l’importazione forzata di categorie giuridiche dominanti, tali da creare un nuovo sapere giuridico soppiantando, così, gli istituti tradizionali indigeni e le rappresentazioni topiche del diritto. Significativamente ciò avvenne principalmente nell’ambito dei diritti di proprietà, del diritto del lavoro, del diritto commerciale e mercantile e di parte del diritto penale, fatta salva, dunque, la restante materia della protezione dei diritti e delle libertà individuali. Il diritto, d’altronde, rappresentava uno strumento centrale di politica coloniale; in primo luogo, leggi, tribunali, polizia, sistema carcerario costituivano elementi imprescindibili per il mantenimento della dominazione politica, in secondo luogo in materie come sanità, lavoro, istruzione, società civile, il diritto giocava un ruolo primario nell’implementazione dell’educazione morale e del disciplinamento. Infine la narrative coloniale propugnava l’idea di un dominio volto al bene comune della popolazione locale, in questo senso l’esportazione dello stato di diritto sembrava confermare questo assunto, legittimando intrinsecamente l’ordine coloniale.. 41. A.M. SLAUGHTER, “A Global Community of Courts”, 44, Harvard International Law Journal, 1, (2003), e Id., A New World Order, Princeton University Press, 2004, p. 71. 42 Sul punto si veda H.P. GLENN, op. cit.. 17.

(32) CAPITOLO I PROFILO STORICO DEL FENOMENO DEL JUDICIAL BORROWING. Durante il corso del Diciannovesimo secolo le potenze europee43 cominciarono progressivamente ad abbandonare l’informale imperialismo commerciale, fino ad allora dominante, per instaurare un ordine coloniale formalizzato. Tuttavia l’analisi comparata dei modelli di amministrazione coloniale permette di verificare l’uso espresso di giurisprudenza della madrepatria solo all’interno del contesto coloniale di common law (nella elaborazione giuridica del British Empire, quindi), mentre la portata recettiva si annulla quasi del tutto in ambito di gestione della giustizia da parte delle potenze coloniali europeo-continentali. Analizzeremo separatamente i due contesti per individuare i due modelli di dominio coloniale e verificare i luoghi di manifestazione del fenomeno recettizio. 2.1 Il modello di common law. Il modello coloniale britannico44, come abbiamo già visto, rappresenta un regime peculiare in cui la pratica di utilizzo di giurisprudenza della madrepatria appare al contempo operazione sistematica (nell’ambito della comune adesione allo universal common law) e volontaria. In tale contesto l’esempio del sistema coloniale inglese in India appare di particolare interesse e costruisce un modello paradigmatico nella storia della gestione coloniale. In base alle leggi sulla Foreign jurisdiction, sia le colonie, che altri territori dipendenti erano posti sotto la suprema autorità legislativa del Parlamento di Westminster, ma, di fatto, l’amministrazione corrente e il potere di emanare decreti risiedevano nelle mani dei potenti Ministero per le Colonie e Ministero per l’India. Attraverso questo sistema l’Inghilterra offriva un modello di amministrazione burocratica esercitata da funzionari britannici immigrati, efficiente in genere, ma fortemente autoritaria e volontariamente estranea ai contesti di riferimento. Il sistema dei funzionari britannici nelle colonie si caratterizzava, quindi, per il carattere di. 43. Si veda lo studio comparato di D.K. FIELDHOUSE, The colonial Empires, Weidenfeld & Nicolson, Londra, 1966. 44 Cfr. sul punto l’esaustiva Cambridge History of the British Empire, voll. III-VIII, Cambridge 1954-1963.. 18.

(33) CAPITOLO I PROFILO STORICO DEL FENOMENO DEL JUDICIAL BORROWING. “dominio diretto”, autoritario, efficiente e paternalistico, contrapposto al cd. “dominio indiretto” che lasciava ampi (ma controllati) spazi di potere alle autorità indigene tradizionali (il modello di dominio coloniale britannico tipico delle Figi, della Nigeria settentrionale e della prima fase della dipendenza indiana). Nel modello coloniale inglese del dominio diretto i tribunali coloniali istituiti erano composti da common lawyers britannici, come corpus indipendente e distinto. In questo vario panorama si rintracciano le esperienze più concrete di judicial borrowing di stampo coloniale, pratica che si imponeva ai giudici coloniali sia per formazione, che per specifica ideologia normativa, che, infine, per missione (l’esportazione dell’english common law). Il caso dell’India, per l’alta caratterizzazione paradigmatica, può servire a illustrare empiricamente il funzionamento del sistema di amministrazione della giustizia coloniale e la funzione politica che la giurisprudenza delle corti coloniali esercitò lungo il corso della storia del British Empire, attraverso l’introduzione surrettizia delle categorie giuridiche dell’ordinamento inglese mediante lo strumento del judicial borrowing. In particolare i colonizzatori britannici si trovarono, in India, di fronte a una situazione nuova e complessa, nondimeno bisognosa di gestione. Una delle prime istanze cui provvedere era, infatti, quella dell’organizzazione di un sistema civile e penale per i sudditi della Corona, ovvero per gli amministratori inglesi in India. La questione successiva era se e in quale misura il diritto inglese dovesse applicarsi alle popolazioni locali, ossia se gli indigeni potessero considerarsi sudditi britannici. Dopo il 1600 fu attribuito, in forza di atti regi (cd. royal charters), il potere alla Compagnia Britannica delle Indie Orientali di istituire proprie corti di giustizia nei territori controllati. Il problema di quale diritto dovesse applicarsi rimaneva, tuttavia, irrisolto. Nel corso del Settecento, d’altra parte, l’Inghilterra portò avanti le annessioni ed estese il proprio controllo su aree sempre più vaste fino a insediarsi nel Divano del Bengala, a Bihar e Orissa. La necessità di un’organizzazione generale della giustizia e di nuovi strumenti di governo in sintonia con i costumi locali si faceva sempre più pressante.. 19.

(34) CAPITOLO I PROFILO STORICO DEL FENOMENO DEL JUDICIAL BORROWING. In tale contesto i colonizzatori inglesi, alla ricerca di un “autentico diritto indù” per l’amministrazione della popolazione indigena, si convinsero che potessero essere i śāstra, i testi giuridici dell’induismo classico, a rivestire il ruolo di fonte primaria del diritto, cancellando totalmente la radicata tradizione consuetudinaria indiana45. In un primo momento, dunque, gli inglesi si affidarono ai paṇḍit46, nella loro qualità di esperti e interpreti dei śāstra, i testi sacri e giuridici della tradizione indiana classica47,. 45. Cfr. sul punto l’esaustivo J.D.M DERRET, Hindu Law, Past and Present, A. Mukherjee&Co, Calcutta, 1957 e Id., “Essays in classical and modern Hindu law”, in Journal of Asian Studies,Vol.I 97. 367-368, Leiden, 1977. 46 Pandit o pundit (IAST paṇḍit) è un titolo onorifico con cui, in India, si indica uno studioso o un insegnante della conoscenza. 47 In India il nucleo della legalità è costituito dall'autorità morale. Il diritto classico indiano non è caratterizzato dal diritto positivo e dalla legalità, quanto dall'autorità morale di ciò che è chiamato il dharma. Il dharma è concetto molto sfuggente per la nostra mentalità, occidentale e moderna; si pone nel campo semantico della religione, ma di quella religione che si struttura come ordinamento giuridico e si impone agli uomini come regola di comportamento. Si riferisce, dunque, alla totalità dei doveri che incombono sugli individui e indica le regole eterne che reggono il mondo. Nelle tradizioni classiche indiane il ‘governo della legge’, implicito nel governo del dharma, faceva parte di un contesto trascendente: Dio, o il Creatore, era considerato la fonte ultima del diritto. Ma il dharma era un punto di congiunzione fra il regno trascendente, il mondo della vita e il mondo sociale degli individui. Il fine del dharma era quello di creare un mondo migliore in cui gli individui e le società potessero conseguire l’autorealizzazione divina. Come ha sostenuto Robert Lingat, il diritto che ci comunicano i śāstra (testi sacri) non deriva, dunque, dalla volontà degli uomini: le regole di condotta e i doveri che enuncia sono precondizioni della realizzazione dell’ordine sociale in conformità con l'intendimento del Creatore. Queste regole esistevano già prima di essere espresse. Oltre, però, al diritto di origine divina nell'India classica esiste uno strumento molto più terreno e fecondo: la consuetudine. Nell’India classica, dunque, troviamo due fonti di diritto: le leggi scritte e la consuetudine. A differenza del diritto, la consuetudine è un fenomeno puramente umano, nel senso che si sviluppa al livello dei gruppi umani coinvolti. Tuttavia, contrariamente a ciò che avviene nell’esperienza giuridica romana, nell’India classica l’origine della consuetudine è attribuita ancora una volta non soltanto alla deliberazione umana e sociale: la sua origine sfugge alla memoria, le conferisce un carattere quasi sacrale e le dà una forza che non ha e non ha avuto nelle civiltà occidentali se non nella tradizione giuridica medievale. La relazione tra le leggi scritte dei śāstra e le consuetudini era, comunque, complessa. Evidentemente i śāstra si sviluppavano a partire dalle consuetudini non scritte, ma spesso le due fonti erano in contrasto, costringendo governanti e giudici a risolvere la controversia applicando piuttosto la consuetudine, come fondamento del diritto valido. E’ fondamentale, in ogni caso, capire il fatto che sia i śāstra che la consuetudine nascevano dall’idea universale di ordine oltre-umano, contesto che rendeva simili le due fonti e, a livello giuridico, entrambe partecipi dello spirito immutabile del dharma. E’ qui importante notare la. 20.

(35) CAPITOLO I PROFILO STORICO DEL FENOMENO DEL JUDICIAL BORROWING. per ottenere risposte ai quesiti di diritto. Successivamente si formò un sostrato di precedenti tale che si procedette, nell’amministrazione della giustizia, senza più l’aiuto di esperti. Da notare, però, che con il termine ‘śāstra’ si denominava il corpo delle fonti scritte del diritto indù, senza cognizione della natura variabile di questa letteratura. Non vi si comprendevano, d’altra parte, tutta una serie di testi tradizionali, autentici e antichi, quali la Manusmṛti48 e altri simili. Inoltre, per arginare lo strapotere dei paṇḍit, ci si avvalse di una forma di compilazione di nuovi digesti, raccolte di regole ordinate per materie, alla stregua delle classificazioni del diritto inglese del tempo. In sintesi, da parte britannica, si continuò a sopravvalutare l’autorità di tali compilazioni che snaturavano le fonti tradizionali. Questa nuova fonte giuridica, che incarnava non tanto il diritto indiano tradizionale, quanto l’idea inglese dello stesso49, incardinata nel principio importato dello stare decisis e diametralmente opposta ai fondamenti indigeni di giustizia, basati sulla valutazione caso per caso delle circostanze, acquistò progressivamente sempre più rilievo. D’altra parte tale diritto andava interpretato, fatto vivere e convivere con le altre fonti giuridiche che, nel sistema del British Commonwealth, come ricordato, erano costituite, principalmente, dalle importanti decisioni costituzionali rese, nelle sue vesti di giudice d’appello, dal Judicial Committee of the Privy Council. Tale compito fu affidato alle corti anglo-indiane, rette da common lawyers inglesi. In tale contesto, a partire dalla fine del Diciottesimo secolo, si sviluppò una importante giurisprudenza in tema di lacune di diritto (che si presentavano come uno dei principali problemi all’interno dell’esperimento giuridico del “nuovo diritto indiano”):. dimensione atemporale dell’ordine dharmico: anche se in realtà sia le leggi scritte che quelle non scritte variavano nel tempo, esse erano presentate dalla dottrina come stabili, eterne, immutabili. A paradigma di ogni diritto che cade dall’alto, la volontà superiore, anche in ambito normativo, è necessariamente pensata come eterna e circolare, in forza dell’assunto che la razionalità perfetta si pone solamente fuori dal tempo dell’uomo. Cfr. per una trattazione completa R. LINGAT, Les sources du droit dans le systéme traditionnel de l’Inde, La Haye: Mouton & co., Paris, 1967, tr.it., La tradizione giuridica dell’India. Dharma, diritto e interpretazione, presentazione di L.L. VALLAURI, Giuffrè, Milano, 2003. 48 Conosciute anche sotto il nome di “Leggi di Manu”, costituiscono il più importante e antico testo scritto della tradizione giuridica dei Dharmaśāstra. 49 Cfr., S. SULERI, The Rethoric of English India, University of Chicago Press, Chicago, 1992.. 21.

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