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Le modalità di risalita delle lave dell'Etna: vincoli tessiturali

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Academic year: 2021

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(1)UNIVERSITA’ DI PISA Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali Corso di Laurea in Scienze Geologiche. Tesi di Laurea:. Modelli di risalita delle lave dell’Etna: vincoli tessiturali. Relatore:. Candidato:. Prof. Pietro Armienti. Andrea Gambini. Controrelatore: Prof. Alessandro Sbrana. Anno Accademico: 2005-2006.

(2) ….ai miei genitori…. e a Silvia…..

(3) Indice. INTRODUZIONE. 1.. INQUADRAMENTO GEOLOGICO…………………………………2. 1.1. Inquadramento geologico-strutturale della Sicilia orientale……………..2 1.1.1. Quadro geodinamico regionale…………………………………..3 1.1.2. Le unità strutturali della Sicilia orientale………………………...6 1.1.3. Campo di stress tettonico, strutture locali e comportamento cinematica……………………………………………………….............9 1.2. Stratigrafia generale e geocronologia dell’area etnea…………………..10 1.2.1. Evoluzione storica dell’Etna……………………………………10 1.2.2. La Valle del Bove: unità stratigrafiche e stratigrafia…………...17 2.. MAGMATISMO DEL Mt. ETNA……………………………………21. 2.1. Magmatismo vs contesto geodinamico…………………………………21 2.2. Geochimica delle lave etnee ed implicazioni geodinamiche…………...25 2.3. Sistema d’alimentazione ed evoluzione magmatica……………………27 3.. PETROGENESI DELLE LAVE DELL’ETNA: MODELLI TERMODINAMICI……………………………………………………..30 3.1. Modelli d’attività……………………………………………………….30 3.2. Griglia petrogenetica: reazione 2En = Fo + SiO2………………………31 3.3. Profondità d’origine delle lave etnee: lave primitive…………………..37 4.. CAMPIONAMENTO………………………………………………....43. 4.1. Introduzione…………………………………………………………….43 4.2. Cenni storici………………………………………………………….....44 4.2.1. Eruzione del 1669………………………………………………44 4.2.2. Eruzione del 1843………………………………………………50.

(4) Indice. 4.2.3. Eruzione del 1981……………………………………………..52 4.3. Campionamento s.s……………………………………………………54 4.3.1. Campioni relativi alla colata del 1669………………………...54 4.3.2. Campioni relativi alla colata del 1843………………………...65 4.3.3. Campioni relativi alla colata del 1981………………………...71 5.. METODOLOGIE ANALITICHE………………………………….82. 5.1. Introduzione…………………………………………………………...82 5.2. Preparazione dei campioni: granulati e polveri……………………….82 5.3. Misure delle L.O.I. (Loss on ignition)……………………...………....83 5.4. Analisi chimiche………………………………………………………85 5.4.1. Analisi degli elementi maggiori………………………………85 5.4.2. Analisi degli elementi in traccia………………………….......86 5.5. Microscopia ottica……………………………………………………87 5.6. Analisi al microscopio elettronico a scansione (SEM)……....………88 5.7. L’analisi d’immagine………………………………………………...90 5.7.1. Preparazione dei campioni a mano…………………………..90 5.7.2. Linee essenziali della procedura per l’analisi d’immagine......93 6.. PETROGRAFIA E CHIMISMO DELLE LAVE ETNEE CAMPIONATE……………………………………………………….…96. 6.1. Caratteristiche petrografiche e geochimiche delle lave etnee……………96 6.2. Petrografia dei prodotti dell’eruzione etnea del Marzo-Luglio 1669…….99 6.2.1. Caratteristiche generali e chimica delle fasi……………………..102 6.2.1.1. Il plagioclasio (plg)……………………………………….102 6.2.1.2. Il clinopirosseno (cpx)……………………………………105 6.2.1.3. L’olivina (ol)……………………………...………………108 6.2.2. Classificazione e chimismo……………………........……………109.

(5) Indice. 6.3. Petrografia e chimismo delle colate del 1843 e del 1981……………….117 6.3.1. Campioni del 1843………………………………………………117 6.3.2. Campioni del 1981……………………………………………..119 6.4. Profondità d’origine delle colate campionate……………………………123 7.. ACQUISIZIONE ED ELABORAZIONE DELLE IMMAGINI……126. 7.1. Acquisizione dell’immagine (Image Procurement)……………………..127 7.2. Trattamento dell’immagine (Image Processing)…………..…………….129 7.3. Elaborazione dell’immagine…………………………….………………132 7.3.1. Visilog 5.2: comandi e procedura per le lave etnee….…………135 7.3.2. Misure…………………………………………………………..148 7.4. Manipolazione delle misure: ottenimento delle CSD…………………150 7.4.1. Il metodo degli scarti……………………………………………152 7.4.2. La conversione stereografica…………………………………….156 7.5. Risultati ottenuti e considerazioni……………………………………….158 8.. INTERPRETAZIONE DELLE CSD…………………………………166. 8.1. Introduzione…………………………………………………………….166 8.2. Teoria: approccio termodinamico e cinetico……………………………167 8.2.1. La nucleazione dei cristalli…………………………………….167 8.2.2. La crescita cristallina………………………………………….170 8.2.3. Crystal Size Distribution (CSD)………………………………173 8.3. Le CSD delle fasi principali rinvenute nelle lave campionate………….185 8.3.1. CSD campioni 1669……………………………………………185 8.3.2. CSD campioni 1981……………………………………………195 8.4. Discussione dei dati ottenuti…………………………………………..201 8.5. Velocità di risalita…………………………………………………….212.

(6) Indice. CONCLUSIONI……………………………………………………………215. BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA………………………………………218 APPENDICE A: Modelli termodinamici 1.. Energia libera di Gibbs, potenziale chimico e soluzioni regolari. 2.. Modello d’attività: calcolo dell’attività di SiO2 2.1.. Calcolo dell’attività di SiO2: Ghiorso et al., 1983. 2.2.. Calcolo dell’attività di SiO2: Ghiorso et al., 1995. 3. Costruzione della griglia petrogenetica 3.1.. Calcolo dell’energia libera di formazione per le fasi solide. 3.2.. Calcolo dell’energia libera di formazione per la fase liquida. 4. Modello di massimo frazionamento di olivina 5. Tabelle termodinamiche e grafici tetraedrici APPENDICE B: Analisi chimiche - Campioni del 1669 - Campioni del 1843 - Campioni del 1981 - Esempi di frazionamento.

(7) Introduzione e scopo della tesi. INTRODUZIONE E SCOPO DELLA TESI. La tessitura di una roccia è strettamente legata alla cinetica di cristallizzazione ed alle modalità di risalita dei magmi. Uno dei caratteri principali per interpretare i fenomeni petrologici che influenzano l’evoluzione dei sistemi magmatici, sono le Crystal Size Distribution (CSD). Esse, sulla base della distribuzioni dei cristalli nell’unità di taglia e nell’unità di volume, sono in grado di registrare la storia tessiturale di una roccia e i fenomeni che hanno contribuito alla sua formazione. Il lavoro qui presentato, si pone come obbiettivo l’interpretazione cinetica degli andamenti delle CSD delle fasi mineralogiche principali, nel caso dell’Etna, i plagioclasi ed i pirosseni per giungere ad una stima dei tempi di cristallizzazione e le relative velocità di risalita dei magmi. Per avere un idea generale dei meccanismi legati all’attività eruttiva dell’Etna, presentiamo uno studio relativo a colate laviche appartenenti ad eventi eruttivi diversi. Uno studio preliminare, basato sui modelli termodinamici di Ghiorso, fornisce informazioni relative alla regione sorgente dei magmi eruttati nel corso dell’attività magmatica etnea. Tale indagine è utile per avere un quadro generale sull’evoluzione del sistema d’alimentazione del vulcano e capire quali siano i motivi della variazione chimica dei magmi eruttati nel corso degli anni..

(8) Inquadramento geologico. 1.. INQUADRAMENTO GEOLOGICO. 1.1.. Inquadramento geologico-strutturale della Sicilia orientale Il Mt. Etna, il vulcano attivo più grande d’Europa, è situato nella Sicilia. orientale e raggiunge un’altezza di circa 3300 m s.l.m.. La sua base ellittica copre una superficie di circa 1786 km2, con l’asse maggiore di 47 km e l’asse minore di 38 km (Chester et al., 1985; Kieffer e Tanguy, 1993). Nella Sicilia orientale sismicità e magmatismo. sono. associati. all’attività trascorrente lungo la scarpata di Malta (Fig. 1), la quale rappresenta la riattivazione di un margine. continentale. Mesozoico. (Scandone. passivo et. al.,. 1981). L’Etna sorge sul bordo dell’avanpaese, sovrapponendosi al. prisma. Appenninico. d’accrescimento (Bianchi. et. al.,. 1987), in una posizione esterna anomala Fig. 1 - Mappa della Sicilia Orientale che mostra la collocazione dell’Etna e altri importanti elementi strutturali della geologia della regione. Le faglie sono mostrate in nero, il vulcanismo della Placca Iblea (Monti Iblei) in rosa (www.vulcanoetna.it).. rispetto. all’arco. magmatico e alla zona di retroarco associate Appenninica.. alla Il. subduzione Mt.. Etna. rappresenta la manifestazione più settentrionale e recente del magmatismo che ha interessato dal Trias superiore la. 2.

(9) Inquadramento geologico. Sicilia orientale. Quindi la crosta continentale sulla quale è posto l’Etna rappresenta il margine meridionale di una cintura orogenica deformata durante il tardo Cenozoico, la quale delimita a sud la crosta oceanica della Piana Abissale Tirrenica. Ad est dell’Etna la piana abissale dello Ionio è ciò che rimane dell’Oceano della Neotetide (Abouin et al., 1986). I sedimenti derivanti dall’erosione della catena orogenica, hanno trovato posto sia sulla crosta continentale siciliana che sulla crosta oceanica del bacino ionico, formando così un prisma d’accrescimento; tale prisma è stato corrugato dalla spinta verso sud della catena. Tutto ciò ha provocato un rigonfiamento periferico nel Plateau Ibleo (Roure et al., 1990; Barrier, 1992). Da questo quadro si ha che l’alta velocità di sprofondamento della crosta oceanica ionica, dovuta sia al carico del prisma in accrescimento (Scandone et al., 1981) che alla subduzione passiva verso nord-ovest (Malinverno & Ryan, 1986; Scandone, 1979), ha riattivato il margine passivo Mesozoico che segna la separazione tra crosta continentale e quella oceanica (Rasà et al., 1994) in corrispondenza della scarpata ibleomaltese.. 1.1.1. Quadro geodinamico regionale L’Etna trova la sua collocazione in un contesto geodinamico rappresentato da un’area di distensione (Fig. 2), la quale si trova vicino alla zona di collisione tra la placca europea e la placca africana (Barberi et al., 1974a, b), in prossimità quindi di un sistema analogo ad un “punto triplo” (Ferrari, 1991), dove l’Avampaese africano (Plateau Ibleo) e la crosta oceanica ionica si immergono al di sotto della catena Appenninico-Maghrebide. Possiamo intuire che l’area su cui è sorto il vulcano dell’Etna è interessata dall’intersezione di importanti lineamenti strutturali distensivi (Frazzettta e Villari, 1981; Lo Giudice et al., 1982).. 3.

(10) Inquadramento geologico. Fig. 2 - Quadro geodinamico della Sicilia e delle aree circostanti il Mediterraneo centrale. E' visibile il fronte della catena Appenninico-Maghrebide. L'area con le crocette indica le rocce metamorfiche e cristalline Alpine, mentre l'area puntinata indica la crosta oceanica ionica (Rasà et al., 1994).. Tali lineamenti (Fig. 3) li possiamo osservare direttamente sul campo e comprendono vari sistemi di faglie: - il sistema di faglie con orientazione NO-SE che interessa il fianco orientale etneo, si prolunga a nord-ovest fino alle isole Eolie e continua a sud nella Scarpata di Malta (faglie distensive della scarpata IbleoMaltese); - il sistema di faglie Comiso-Etna-Messina-Capo Vaticano, con direttrici prevalenti NE-SO; - il sistema di faglie Monte Kumeta-Alcantara con orientazione E-O che interseca i due sistemi precedenti in direzione ONO-ESE sul fianco settentrionale dell’Etna. Possiamo evidentemente dire che la zona su cui si erge l’Etna, è una zona di debolezza crostale (Cristofolini et al., 1979a; Lo Giudice et al., 1982).. 4.

(11) Inquadramento geologico. Fig. 3 – Schema geologico strutturale della Sicilia orientale. 1) Depositi continentali e marini del Quaternario; 2)Vulcaniti basiche dell’Etna e degli Iblei; 3) Depositi clastici del Pliocene medio-sup.; 4) Formazione Terravecchia, Serie Evaporitica e Trubi (Miocene sup.-Pliocene inf.); 5) Unità Antisicilide (Cretaceo) e Calcareniti di Floresta (Miocene medio); 6) Flysch di Capo d’Orlando (Miocene inf.); 7)Unità dell’Aspromonte; 8) Unità di Mandanici; 9) Unità cristalline di basso grado (MI, MII e MIII) e relative a coperture sedimentarie meso-cenozoiche; 10) Flysch di Reitano (Miocene inf.-medio); 11) Flysch di Monte Soro (Cretaceo?); 12) Argille Scagliose sicilidi e Formazione di Polizzi s.s., Flysch Numidico (Unità di Nicosia) e Flysch di Troina-Tusa (Cretaceo-Miocene inf.); 13) Flysch Numidico poggiante su termini imeresi e panormide (Oligocene-Miocene medio); 14) Flysch Numidico: Unità Serra del Bosco, ad “affinità sicana” (Oligocene-Miocene medio sup.); 15) Unità mesozoiche di piattaforma carbonatica del Complesso Panormide; 16) Unità mesozoiche di bacino del Complesso Imerese; 17) Copertura oligo-miocenica dell’Unità di M. Judica; 18) Successione mesozoica dell’Unità di M. Judica; 19) Avampaese Ibleo: a) successione occidentale (Cretaceo-Miocene sup.), b) successione orientale (Cretaceo sup.-Miocene sup.); 20) Fronte sepolto della Falda di Gela.. 5.

(12) Inquadramento geologico. 1.1.2. Le unità strutturali della Sicilia orientale Prendendo in esame il lavoro svolto dai ricercatori dell’Istituto di Scienze della Terra dell’Università di Catania e geologi dell’Agip S.p.A. pubblicato nel 1987, dove è stato elaborato un profilo geologico-strutturale della Sicilia orientale con andamento N-S, possiamo distinguere tre principali elementi o unità strutturali (Fig. 4):. Fig. 4 – Schema tettonico delle principali strutture del Plateau Ibleo, dell’Avanfossa Gela-Catania e dei “thrusts” dell’area di M. Judica. La schematizzazione delle strutture e loro rappresentazione sono relative agli elementi menzionati lungo la traccia del profilo (Bianchi et al., 1987).. I. L’avampaese africano (Plateau Ibleo) costituito da una potente successione prevalentemente carbonatica mesozoico-terziaria, interessata da ripetute intercalazioni vulcaniche;. 6.

(13) Inquadramento geologico. II. La Catena Appenninico-Maghrebide (la catena settentrionale), che rappresenta un complicato sistema di falde e di scaglie tettoniche generalmente sud vergenti; III. L’Avanfossa Gela-Catania, originatasi dal collasso del margine dell’avampaese, che tende ad incunearsi al di sotto delle falde della catena.. AVAMPAESE AFRICANO (PLATEAU IBLEO). Il margine settentrionale della crosta africana è l’avampaese autoctono, che sta sotto le falde appenniniche su cui poggia il Mt. Etna. Esso costituisce parte del “Blocco Pelagiano” (Burollet et al., 1978), una zona stabile a crosta continentale, estesa dalla Scarpata Ibleo-Maltese attraverso gran parte del Canale di Sicilia fino alle coste africane. Nel suo complesso il Plateau Ibleo mostra giaciture decisamente tabulari o lievemente ondulate ed è intersecato da sistemi di faglie distensive di diversa età. Si tratta di una potentissima sequenza meso-cenozoica. prevalentemente. carbonatica,. interessata. da. ripetute. intercalazioni di vulcaniti basiche (Patacca et al., 1979; Lentini, 1982; Bianchi et al., 1987), ed affiorante estesamente nella parte sud-orientale dell’isola a SE della congiungente Gela-Catania (Bianchi et al., 1987). La zona centrale si presenta come un horst calcareo allungato in senso NE-SO e complessivamente troncato nella sua terminazione orientale da sistemi ad orientazione NO-SE (Carbone et al., 1982). Lo spessore di questa unità carbonatica può raggiungere e a volte superare i 5000 m (Cristofolini et al., 1979b). L’Avampaese Ibleo ha subito una deformazione rigida durante lo sviluppo Cenozoico della catena, causando la formazione di numerosi sistemi di faglie, tra cui i più evidenti sono quello con andamento NE-SO, che prevale nel settore occidentale e determina un progressivo abbassamento a gradinata verso NO (lentini, 1982); mentre l’altro sistema con andamento NO-SE, assume maggiore 7.

(14) Inquadramento geologico. importanza nel settore orientale (Cristofolini et al., 1979b; Carbone et al., 1982). Nella parte orientale il Plateau Ibleo è interessato da un insieme di faglie a gradino che costituiscono la Scarpata di Malta, la quale separa la Sicilia orientale dalla Piana Abissale Ionica.. LA CATENA APPENNINICO MAGHREBIDE. La catena settentrionale costituisce un sistema orogenico derivante dalla deformazione di unità appartenenti a differenti domini paleogeografici impostati sul paleomargine africano. Questa catena rappresenta la connessione fra l’Appennino e le catene montuose del Nord-Africa. Le strutture hanno vergenza meridionale (Cristofolini et al., 1979b; Lentini, 1982; Bianchi et al., 1987) e sono formate da sedimenti deposti sul margine settentrionale del continente africano. La catena è costituita da unità esterne, quella di M. Judica e quella Imerese, caratterizzate da sequenze mesozoiche prevalentemente pelagiche con coperture terrigene oligomioceniche e da unità intermedie o ancora più interne costituite dalla Piattaforma Carbonatica Panormide e dalle Unità Sicilidi in falda su tutte le precedenti. Le unità stratigrafico-strutturali, deposte in distinti bacini sedimentari, sono oggi il risultato di fasi di sovrapposizione e deformazione succedute dall’Eocene al Quaternario (Lentini, 1982) con un progressivo spostamento del fronte di compressione da nord verso sud.. L’AVANFOSSA GELA-CATANIA. Essa rappresenta una depressione tettonica interposta fra il Plateau Ibleo e la Catena Settentrionale, il suo allungamento ha una direzione NE-SO e costituisce la parte più esterna della Fossa di Caltanisetta (Lentini, 1982). Essa in un certo senso appartiene ad ambedue gli elementi principali sopra elencati, in quanto nella porzione più esterna (avanfossa esterna) essa ricade nell’area. 8.

(15) Inquadramento geologico. indeformata (avanpaese), mentre in quella più interna (avanfossa interna) è ricoperta dal fronte delle falde ed in sottosuolo è interessata da strutture compressive, entrando pertanto a far parte integrante della catena s.s. (Bianchi et al., 1987). L’avanfossa esterna è la zona in cui il substrato carbonatico ibleo inizia a collassare ed è ricoperto da sedimenti Plio-Quaternari; l’avanfossa interna (o avanfossa s.s.) invece di avere sedimenti Plio-Quaternari al di sopra del substrato ibleo, ha le scaglie tettoniche frontali della catena (Falda di Gela e Unità di M. Judica). La Falda di Gela costituisce il fronte più avanzato delle coltri della Catena Appenninico-Maghrebide (Ogniben, 1969). È una falda costituita in prevalenza da unità mioceniche e plioceniche disposte in scaglie sud-vergenti e traslate lungo una superficie di scollamento (Bianchi et al., 1987).. 1.1.3. Campo di stress tettonico, strutture locali e comportamento cinematico Per ricostruire il campo di stress che governa il vulcanismo etneo, sono state eseguite misure di stress in situ, osservazioni neotettoniche sull’Etna e studi dei meccanismi focali dei terremoti avvenuti nell’area etnea (Bousquet et al., 1988). L’analisi dei meccanismi focali indica l’esistenza in superficie di un regime di sforzi di tipo distensivo, successivo ad un regime compressivo ancora attivo in profondità. Le misure di stress in situ hanno del resto rivelato che la Sicilia centro-orientale è sottoposta a due campi di sforzi. Il primo è in compressione, ha un orientazione N-S ed è limitato alla porzione settentrionale dell’area etnea, mentre verso sud, fino ai Monti Iblei, esso viene sostituito da un campo si stress distensivo, che ha un orientazione ONO-ESE. Osservazioni neotettoniche danno come risultato la presenza di deformazioni distensive (faglie, lineazioni, dicchi, fratture eruttive aperte negli ultimi secoli) e di sforzi di compressione, con orientamento circa N-S, a carico. 9.

(16) Inquadramento geologico. di sedimenti pleistocenici nell’immediato substrato e periferia dell’Etna. Questi sedimenti contengono intercalazioni di vulcaniti delle prime eruzioni etnee. In definitiva il campo di stress nella regione etnea è molto complesso (Bousquet et al., 1988). Infatti sembra che ci sia una lenta sostituzione dell’antico regime compressivo, con un regime distensivo più recente. Questa sostituzione sembra avanzare dal settore sud verso quello nord e dalla superficie ai livelli più profondi della crosta. Le faglie che interessano il vulcano non hanno una distribuzione omogenea, infatti il fianco orientale risulta più frammentato di quello occidentale. Questi piani di debolezza seguono alcune direzioni principali ENE-OSO, NNO-SSE, ONO-ESE. A causare un campo di stress inusuale nell’area etnea è probabilmente il quadro geodinamico regionale, che è di tipo trascorrente impostato su un vecchio margine passivo. La distribuzione dei coni parassiti (più di 260) è regolata dal quadro tettonico, infatti il gruppo di coni meridionali ha distribuzione arcuata ed evidenzia distensione con componenti di taglio, mentre il gruppo di coni del settore settentrionale è sviluppato su un sistema di fratture eruttive con direzione N 30° E ed ha essenzialmente caratteristiche distensive (Villari et al., 1988).. 1.2.. Stratigrafia generale e geocronologia dell’area etnea. 1.2.1. Evoluzione storica dell’Etna L’attività vulcanica dell’Etna è stata interpretata come la più recente manifestazione del magmatismo basaltico della Sicilia orientale dal Trias medio al Pleistocene (Burri, 1961; Rittmann, 1963). Gli studi cronostratigrafici hanno utilizzato vari metodi di datazione, come ad esempio quello U238-Th230 (Condomines & Tangui, 1976; Condomines et al., 1982), il metodo del radio carbonio (Ducan et al., 1984; Kieffer, 1975; 1979; 1985; Cortesi et al., 1988) ed. 10.

(17) Inquadramento geologico. il metodo K-Ar (Romano & Gillot et al., 1994). Anche se esistono delle discrepanze dal punto di vista stratigrafico e geocronologico nei dati riportati nell’abbondante letteratura al riguardo dell’Etna, l’intera evoluzione del Mt. Etna può essere divisa in quattro periodi (Gillot et al., 1994): - Primo periodo (500.000-200.000 anni fa); - Secondo periodo (200.000-100.000 anni fa); - Terzo periodo (80.000-40.000 anni fa); - Quarto periodo (ultimi 40.000 anni).. Fig. 5 – Mappa geologica e sezione verticale semplificata del Mt. Etna; 1) terreni sedimentari non differenziati; 2) vulcaniti basali da subalcaline a transizionali; 3) antiche vulcaniti Na-alcaline; 4) vulcaniti Na-alcaline differenziate appartenenti al Trifoglietto ed ai relativi centri eruttivi; 5) deposito del Chiancone; 6) vulcaniti del Mongibello Antico; 7) vulcaniti del Mongibello Recente. Per quanto riguarda la sezione abbiamo, a) Plateau Ibleo; b)Falde della Catena Appeninico-Maghrebide; c) sedimenti quaternari dell’avanfossa Gela-Catania; 4) Edificio vulcanico (modificata da Cristofolini et al., 1979b; Lo Giudice & Rasà, 1992).. 11.

(18) Inquadramento geologico. Nel vulcano sono state riconosciute due principali serie magmatiche (Cristofolini & Romano, 1982) e possono essere associate ai vari periodi d’evoluzione dell’Etna. La prima serie ha prodotto lave transizionali e subalcaline, eruttate nel primo periodo e che quindi costituiscono la base del vulcano; la seconda serie è caratterizzata da lave Na-alcaline spesso differenziate i cui prodotti formano la massa centrale del vulcano composito e sono state eruttate a partire dal secondo periodo fino al quarto. Ma vediamo adesso più in dettaglio le caratteristiche dei quattro periodi in cui è avvenuta l’evoluzione strutturale e geologica del Mt. Etna.. PRIMO PERIODO: magmatismo da subalcalino a transizionale. Attività fissurale.. L’attività eruttiva in quest’area comincia più di 500.000 anni fa (Gillot et al., 1994) con l’emissione di lave sottomarine ad affinità tholeiitica (Tanguy, 1967). Queste prime eruzioni interessavano l’ampio settore settentrionale, caratterizzato da un ambiente marino poco profondo (golfo pre-Etneo). Il golfo pre-Etneo Pleistocenico (Francaviglia, 1960), che occupava la maggior parte dell’area dove ora sorge il vulcano, in seguito ha dato origine ad un’ampia piana alluvionale (Piana di Catania), nella quale si trovano sparsi i resti di queste antiche eruzioni. Le vulcaniti appartenenti a questo periodo affiorano lungo la costa di Aci castello, Aci Trezza e Ficarazzi. Sono rappresentate da pillows lava, brecce ialoclastitiche e da corpi subvulcanici superficiali che intrudono le argille marnose pleistoceniche, le quali formano il basamento sedimentario del vulcano nel settore orientale. Le lave a pillow di Aci Castello hanno una composizione intermedia tra olivin-tholeiite e alcali basalto (Clocchiatti et al., 1992).In seguito si è verificato un rapido innalzamento regionale che ha interessato l’intera area; questo è documentato dall’affioramento delle argille pleistoceniche a 700 m s. l. m. sul fianco nord-orientale del vulcano e dall’esistenza di differenti ordini di. 12.

(19) Inquadramento geologico. terrazzamenti sia marini che fluviali sui pendii sud-orientali e sud-occidentali (Kieffer, 1971). Grazie a questo “uplift” regionale l’attività eruttiva diviene gradatamente subaerea, ma non si hanno ancora apprezzabili cambi nella composizione petrochimica dei prodotti emessi (Attori, 1966; Cristofolini, 1972). Le prime lave subaeree, che hanno caratteri superficiali di tipo pahoehoe, affiorano ampiamente nella zona bassa del fianco sud-occidentale del vulcano, in particolare lungo i lati della Valle del Simeto ad altitudini che vanno dai 300 m a 600 m s. l. m. ed assumono un aspetto terrazzato (Cristofolini, 1967). Quindi, in generale, questo periodo era caratterizzato da un’attività vulcanica sporadica ed alternata a lunghi periodi di quiescenza, la quale ha emesso lave basaltiche da subalcaline a transizionali e le vulcaniti che ne sono derivate sono tendenzialmente afiriche o oligofiriche, rara olivina (Fo80-70) e occasionali fenocristalli di plagioclasio labradoritico; pigeonite (Cristofolini et al., 1975) e magnetite sono nella massa di fondo.. SECONDO PERIODO: vulcanismo Na-alcalino antico. Primi edifici centrali.. Un lungo periodo di quiescenza separa il primo ed il secondo periodo. Le lave alcaline etnee più antiche sono state eruttate circa 168.000 anni fa, ed affiorano nel settore meridionale come resti di piccoli edifici vulcanici (neck di Paternò e neck di Motta). Questi prodotti rappresentano la transizione tra le vulcaniti subalcaline e quelle alcaline, e rappresentano pure un passaggio dell’attività vulcanica da fissurale a centrale. Durante questo periodo, sull’area etnea, si ha la costruzione di un primo complesso strutturale vulcanico composito (Antichi Centri Alcalini di Romano, 1982) e ciò è stato attribuito all’attività da parte di una struttura vulcanica centrale (Etna Primordiale di Kieffer, 1985) o da parte di piccoli centri eruttivi (Klerkx, 1968; 1970). Le costruzioni vulcaniche nord-orientali di questo periodo (litosoma di Rocca. 13.

(20) Inquadramento geologico. Capra), affiorano nel settore nord-orientale della caldera a forma di ferro di cavallo di origine poligenica, la Valle del Bove, che taglia il fianco orientale del vulcano (Ferrari et al., 1989; Coltelli et al., 1994b). I più vecchi prodotti vulcanici che appartengono a questo periodo, affiorano nella Valle del Bove (Klerkx, 1968; Romano & Sturiale, 1975; Romano & Guest, 1978). Nella Valle del Bove gli studiosi Romano (1982) e McGuire (1982) hanno individuato due degli antichi centri eruttivi (Romano, 1982), denominati Calanna e Trifoglietto I. il centro eruttivo Calanna era situato nell’omonima area della Valle del Bove meridionale ed i suoi prodotti sono costituiti da livelli di lava, banchi massivi di scorie e dicchi fortemente alterati e tettonizzati. I resti del centro eruttivo Trifoglietto I affiorano invece nella zona Rocca Capra-Rocca Palombe, nella parte nord orientale della Valle del Bove. L’evoluzione spaziale e temporale del vulcanismo alcalino di questo periodo è molto più complessa di quella del primo periodo, e le rocce della serie alcalina mostrano una più pronunciata variazione composizionale. Tuttavia, l’intera serie può essere considerata come un singolo gruppo, senza significative lacune tra varietà petrografia e/o chimica (Cristofolini & Romano, 1982). I prodotti appartenenti alla fase alcalina di questo periodo sono basici e rappresentati principalmente da basalti ed hawaiiti.. TERZO PERIODO: lo strato-vulcano Trifoglietto ed i relativi centri differenziati.. L’attività del primo grande complesso vulcanico poligenico, ha inizio circa 80.000 anni fa, dando origine al “vulcano Trifoglietto” (Lyell, 1859), che si trova nel settore sud-occidentale della Valle del Bove. Diversi articoli (Klerkx, 1968; 1970; Cristofolini & Lo Giudice, 1969; Lo Giudice, 1970; Lo Giudice et al., 1974; Romano & sturiale, 1975; Romano & Guest, 1979; McGuire, 1982) sono stati dedicati all’enigmatica ricostruzione storico-geologica dei centri del. 14.

(21) Inquadramento geologico. Trifoglietto. Tutti i centri del Trifoglietto (Trifoglietto, Salifizio, Giannicola Grande e Cuvigghiuni, in accordo con Calvari et al., 1994) erano caratterizzati da eruzioni di magmi con composizione intermedia, cioè caratterizzati da prodotti alcalini con prevalenza di termini relativamente evoluti, quali mugeariti e benmoreiti. Kieffer (1985) attribuisce la distruzione di questo centro eruttivo a violente esplosione freatiche e freatomagmatiche, accompagnate da ripetuti collassi calderici e da “slides” gravitativi. Proprio durante questa fase, in cui si ha il collasso del centro vulcanico del Trifoglietto, avviene l’iniziale apertura della Valle del Bove. I materiali vulcanoclastici prodotti dalla progressiva distruzione del vulcano Trifoglietto e dai centri eruttivi post-Trifoglietto, hanno formato un deposito sedimentario, il Chiancone, che riempie una depressione strutturale sul basso fianco orientale dell’edificio Etneo. L’intera formazione, che in alcuni punti raggiunge uno spessore di 400 m, era stata precedentemente interpretata da Mayer (1929) e Vagliasindi (1947, 1949) come il risultato di una glaciazione; gli stessi autori consideravano la morfologia della Valle del Bove come il risultato di un erosione glaciale. Tuttavia, l’ipotesi glaciale è stata poi abbandonata per la mancanza di chiare evidenze, e quindi questo deposito è stato interpretato come legato sia a processi vulcanici che fluviali (Cassinis et al., 1971). Morfologicamente, il Chiancone, è un ventaglio alluvionale a basso angolo costituito da conglomerati sabbiosi scarsamente selezionati e stratificati, esclusivamente fatto da rocce vulcaniche, generatosi da attività di tipo lahar. Gli altri centri proposti dai vari autori sono il Vavalaci (Lo Giudice, 1970), il Belvedere ed il Serra Giannicola Piccola (Lo Giudice et al., 1974), lo Zoccolaro (Romano & Sturiale, 1975) e il Cuvigghiuni (McGuire, 1980). Le datazioni K-Ar eseguite sui prodotti appartenenti al Trifoglietto hanno dato età intorno ad 80.000 anni (Gillot et al., 1994), mentre precedentemente il Condomines (1982) ottenne un’età di circa 60.000 anni.. 15.

(22) Inquadramento geologico. QUARTO PERIODO: lo strato-vulcano Mongibello.. Durante le fasi finali dell’attività del Trifoglietto, il principale sistema eruttivo migrava verso nord-ovest e un nuovo grande stratovulcano, chiamato Mongibello (Lyell, 1859; Gemellaro, 1860), cominciava a crescere, ricoprendo parzialmente i precedenti centri eruttivi, mentre ricopriva completamente le sequenze laviche emesse dai Centri Alcalini Antichi nel settore occidentale. Due principali fasi sono state distinte nell’evoluzione dello stratovulcano Mongibello e ciò grazie ad evidenze stratigrafiche (Romano & Guest, 1979; Kieffer, 1985; Coltelli et al., 1994). La prima fase è quella del Mongibello Antico (o sintema delle Concazze), la seconda è quella del Mongibello Recente (o sintema del Piano). Le due fasi sono separate da un collasso calderico avvenuto circa 15.000 anni fa (Condomines, 1982; Gillot et al., 1994). I prodotti emessi durante questo periodo ricoprono l’intero range composizionale della serie alcalina, variando dagli alcali-basalti alle trachiti. Nel sintema delle Concazze, il principale centro eruttivo, l’Ellittico, produceva principalmente flussi lavici con intercalati strati piroclastici. Questo centro cessò la sua attività a causa di un’intensa attività esplosiva, che eruttò magmi trachitici (emissione dell’ignimbrite di Biancavilla) e originò un enorme depressione calderica (Cratere dell’Ellittico di Waltershausen, 1980). I resti del margine di questa caldera, che raggiunse un diametro massimo di circa 4,5 km, affiorano a NO (Punta Lucia) e a NE dell’attuale cratere sommatale. L’attività eruttiva degli ultimi 15.000 anni, a partire dal riempimento della caldera dell’Ellittico da parte dei prodotti emessi dal sintema del Piano, appartiene alla fase del Mongibello Recente (Chester et al., 1985). Durante questa seconda fase la composizione petrochimica delle lave emesse ritorna lentamente verso prodotti meno differenziati, il magma eruttato durante questo secondo periodo fu piuttosto basico, variando in composizione da hawaiiti a mugeariti basiche. Principalmente la fase del Mongibello Recente era. 16.

(23) Inquadramento geologico. caratterizzata da attività effusiva, ma spesso si verificavano anche eruzioni di tipo esplosivo, le quali hanno ampiamente interessato i fianchi del vulcano con depositi di tephra. Uno degli aspetti principali durante la fase del Mongibello Recente è la struttura chiamata Caldera del Piano, un’ampia piattaforma a circa 2500 m s.l.m. , sopra la quale si è formato il cono sommatale. La sua formazione è stata attribuita recentemente all’eruzione pliniana avvenuta nel 122 a.C. (Coltelli et al., 1994). Le principali eruzioni dal 2500 a.C. in poi sono ben documentate ed è a disposizione una testimonianza completa di eruzioni laterali per gli ultimi 500 anni. Tutto questo ha permesso un’accurata ricostruzione dell’attività storica. L’attività eruttiva avvenuta durante questo ultimo breve periodo di tempo, può essere raggruppata in tre diverse categorie (Rittmann, 1973; Guest, 1973): 8 Attività persistente; quasi continuo degassamento dai crateri sommatali, con fasi di più vigorosa attività stromboliana e sporadiche fontane di lava; 8 Eruzioni terminali e sub-terminali; effusioni laviche a bassa velocità dalla sommità del vulcano o nelle vicinanze; 8 Eruzioni dai fianchi; eruzioni laterali ed eccentriche. Durante l’attività del quarto periodo, la Valle del Bove ha continuato il suo sviluppo e in modo particolare negli ultimi 10.000 anni l’erosione ha contribuito ad allargarla.. 1.2.2. La Valle del Bove: unità stratigrafiche e stratigrafia La Valle del Bove rappresenta l’elemento morfo-strutturale più importante di tutto l’apparato etneo, infatti i prodotti vulcanici più antichi affiorano lungo le sue pareti e sono visibili come in nessun altra parte del vulcano. Quindi in questa zona si ha un’importante chiave di lettura per quanto riguarda. 17.

(24) Inquadramento geologico. l’evoluzione geologica dell’Etna. Essa non è altro che una profonda depressione con forma a ferro di cavallo, situata sul fianco orientale del vulcano, allungata in direzione ESE-ONO, che si apre verso il Mar Ionio. La sua lunghezza raggiunge i 7 km, ha una larghezza di 5 km ed una profondità di circa 1 km. Il fondovalle ha una pendenza topografica del 40-55% con locali zone sub-verticali ed è completamente ricoperto dalla colata del 1993, mentre lungo le sue pareti affiorano i prodotti degli apparati più antichi. Il punto più alto del contorno è Pizzi Deneri (2842 m s.l.m.), il punto più basso è situato alla base del Monte Cerasa (1300 m s.l.m.). Sulla genesi della Valle del Bove ci sono varie ipotesi, infatti alcuni autori come Kieffer (1970) associano l’apertura della Valle del Bove come legata all’attività esplosiva terminale del Trifoglietto ed allo svuotamento della sua camera magmatica; altri autori come Romano & Sturiale (1975) dicono che la formazione della valle sia legata a uno o più collassi calderici coalescenti, provocati sempre dall’attività esplosiva terminale del Trifoglietto e l’erosione esogena successiva ne ha modellato la forma. McGuire (1982) dice che la Valle del Bove si è generata in seguito ad esplosioni freatomagmatiche avvenute sul fianco orientale del Trifoglietto. Un’altra ipotesi mette in relazione la formazione della Valle del Bove con l’attività tettonica della scarpata Ibleo-Maltese, che avrebbe provocato o accentuato fenomeni di collasso gravitativi del fianco orientale del vulcano (Kieffer, 1983; ferito & Cristofolini, 1988). Da quanto detto si capisce che il fianco orientale del vulcano è interessato da movimenti tettonici, ed alcuni autori hanno proposto vari modelli per rappresentare tali movimenti. Neri et al. (1991) hanno individuato un settore nord-orientale interessato da dislocazioni transtensive sinistre e un settore sud-orientale con dislocazioni transtensive destre; le direzioni d’estensione individuate per i singoli settori indicano un movimento generalizzato verso est di tutto il fianco orientale etneo. Grazie agli studi effettuati sui meccanismi focali degli eventi sismici, è stato. 18.

(25) Inquadramento geologico. possibile ipotizzare uno scollamento dell’intera copertura vulcanica verso est per scivolamento sul substrato sedimentario, lungo piani di faglie listriche (Lo Giudice & Rasà, 1992). I prodotti affioranti nella Valle del Bove sono stati dettagliatamente studiati da Coltelli et al., 1994 e da Calvari et al., 1994 basandosi sui criteri suggeriti da Pasquarè et al. (1991; 1992), che ha utilizzato Unità Litostratigrafiche, suddivise in formazioni e membri, sia formali che informali; Unità Litosomatiche, corpi geometricamente riconoscibili come prodotti di singoli centri eruttivi (litosomi semplici) o interdigitazioni di depositi che provengono da più centri eruttivi contemporaneamente (litosomi complessi); e Unità Sintemiche (UBSU ovvero Unconformity Bounded Stratigraphic Unit) che definiscono successioni di prodotti racchiuse alla base e al tetto da limiti inconformi, individuabili in modo chiaro. La successione dal basso verso l’alto delle UBSU corrisponde alla successione cronologica, mentre nelle Unità Litostratigrafiche e Litosomatiche non necessariamente si verifica. Seguendo questi criteri è stata effettuata la ricostruzione stratigrafica della parete settentrionale della Valle del Bove (Coltelli et al., 1994), in cui affiorano i prodotti emessi durante il secondo e il quarto periodo dell’evoluzione del Mt. Etna. La successione stratigrafica, dal basso verso l’alto, del settore settentrionale della Valle del Bove è così descritta: ¾. Litosoma di Rocca Capra. Costituito da prodotti vulcanici in corrispondenza degli speroni rocciosi di Rocca capra, Rocca Palombe e Rocca Innominata, che rappresentano i relitti di antichi centri eruttivi di limitata estensione localizzati internamente alla Valle del Bove; sono le rocce più vecchie e affiorano lungo la parete nord della valle.. ¾. Litosoma Trifoglietto. È il centro eruttivo successivo, i cui prodotti non presentano contatti basali riconoscibili in affioramento (Calvari et al., 1994). I resti sono ben visibili nel settore sud-occidentale della valle.. 19.

(26) Inquadramento geologico. ¾. Supersistema Mongibello. È rappresentato dai prodotti emessi negli ultimi 35.000-40.000 anni. Il centro eruttivo da cui derivano tali prodotti era più spostato verso ONO, rispetto ai centri precedenti. Questo Supersistema è stato suddiviso in due Unità Sintemiche: 1) il Sintema Concazze ed 2) il Sintema del Piano, il cui limite è dato dalla discordanza angolare creata dallo sprofondamento calderico sommatale dell’Ellittico. o Sintema Concazze. È racchiuso da due superfici discordanti, quella inferiore è la superficie che delimita il Supersistema Mongibello, mentre quella superiore è la struttura calderica. In questo sintema si ha in grande litosoma, l’Ellittico, e due litosomi più piccoli, che sono i centri eruttivi del Tripodo e del Pomiciaro (Calvari et al., 1994). Essi affiorano lungo la parete meridionale della valle e sono stati interpretati come coni avventizi dell’Ellittico. o Sintema del Piano. È costituito da prodotti eruttati dopo la formazione della caldera dell’Ellittico ed hanno riempito la depressione stessa (Coltelli et al., 1994) e poi hanno superato i suoi bordi. In questo sintema è collocato l’attuale vulcano attivo.. 20.

(27) Magmatismo del Mt. Etna. 2.. MAGMATISMO DEL MT. ETNA. 2.1.. Magmatismo vs contesto geodinamico Lo sviluppo dell’apparato vulcanico Etneo e la genesi del magmatismo. associato , è ancora oggi un argomento molto dibattuto. Diversi autori hanno proposto differenti scenari per quanto riguarda la formazione del Mt. Etna. Tali ipotesi includono l’origine da hot spot (Tanguy et al., 1997), da un processo di rifting asimmetrico (Continisio et al., 1997), da una dislocazione in atto tra il blocco Siculo-Maltese e il bacino Ionico (Gillot et al., 1994) e da altri elementi tettonici che s’intersecano nell’area Etnea (Lanzafame et al., 1997; McGuire et al., 1997). Come già è stato detto nel capitolo precedente, nella Sicilia orientale, l’attività tettonica ed il magmatismo sono associati principalmente alla scarpata Ibleo-Maltese. (Scandone. et al.,. 1981; Casero et al., 1984). L’Etna, infatti, sorge in corrispondenza di un punto. triplo. (Fig.. 1),. dove. l’avampaese africano (Plateau Ibleo) e. la. crosta. oceanica. Ionica. s’immergono con un diverso angolo d’immersione. sotto. Appenninco-Maghrebide Fig. 1: Mappa tettonica dell’area Etnea. Sono visibili i principali lineamenti tettonici e sono indicate le sezioni (A,B, C, D) lungo le quali vengono riportati gli angoli d’immersione dell’avampaese (Doglioni et al., 2001).. la. catena (Ferrari,. 1991). L’attività ignea dell’Etna è pertanto attribuita alla presenza di una slab-window tra la placca Sicula. 21.

(28) Magmatismo del Mt. Etna. e quella Ionica (Tonarini et al., 2001; Doglioni et al., 2001; Gvirtzman Z. & Nur A. 1999). Tale finestra si apre a causa del differente angolo d’immersione nelle litosfere dello Ionio e della Sicilia (Fig. 2). Questo fenomeno appare essere causato. dalla. composizione subduzione. della dove. differente litosfera quella. in. Ionica,. oceanica, risulta essere più pesante rispetto Fig. 2: Profili della massima immersione della placca in subduzione, due nel Plateau Ibleo (A, B) e due nel Mar Ionio (C, D). Si noti come l'angolo d'immersione sia maggiore nell'area Ionica (Doglioni et al., 2001).. a. quella. della. Sicilia,. continentale. Una simile idea di rollback differente era stata proposta da Doglioni et al. (1998) ed un. simile modello era stato confermato anche da Gvirtzman Z. & Nur A. nel 1999. In più Doglioni et al. (2001) hanno osservato che l’Etna si colloca in prossimità della parte settentrionale della scarpata di Malta, dove avviene una maggiore discontinuità tra la litosfera Ionica e Siciliana. In questo contesto, il diverso angolo d’immersione, permette la risalita passiva d’astenosfera. Nelle fasi iniziali di questo processo tale fenomeno si manifesta attraverso un magmatismo di tipo tholeiitico, poi, per la successiva contaminazione da parte di fluidi derivati dalla deidratazione della crosta oceanica Ionica, che permette bassi gradi di fusione parziale in livelli meno profondi, il magmatismo diviene di tipo alcalino. L’Etna si trova “nell’hanging wall” del prisma accrezionale Appenninico e perciò le sue sorgenti sono legate con l’avanzamento del prisma e il conseguente scollamento basale. Tale scollamento avviene con molta probabilità in corrispondenza dell’interfaccia basamento cristallino-copertura sedimentaria, a circa 5-15 km. La deformazione regionale nell’area Etnea è generalmente dominata da un regime compressivo con direzione N-S; tuttavia,. 22.

(29) Magmatismo del Mt. Etna. sul lato orientale del vulcano questo regime coesiste con un sistema di sforzi grossolanamente distensivo, con direzione E-O. Come si è visto in precedenza in questo quadro geodinamico complesso sorge l’Etna, in corrispondenza di un punto triplo e in posizione esterna anomala rispetto alla subduzione appenninica (Fig. 3).. Fig 3: Quadro schematico della subduzione in corrispondenza dell’area Etnea. L'Etna si colloca in zona anomala rispetto alla subduzione appenninica (Isole Eolie); quindi l'attività etnea non rientra nello schema classico del magmatismo d’arco, come per le Isole Eolie e neppure nel magmatismo dovuto alla risalita di astenosfera per assottigliamento crostale di retroarco (Doglioni et al., 2001).. Il magmatismo dell’Etna sembra essere associato, in definitiva, alla differente velocità d’arretramento flessurale delle superfici di subduzione delle due placche. Il motivo dominante che causa questo differente “rollback” è sempre l’alta densità della crosta oceanica ionica in confronto a quella del Plateau Ibleo, ma l’elemento strutturale, che ha permesso il verificarsi di questo diverso modo di suburre da parte delle due placche, è la Scarpata di Malta. Essa rappresenta un “confine” che dal Mesozoico separa la Sicilia continentale ad ovest da quel che resta dell’oceano ionico Mesozoico ad est.. 23.

(30) Magmatismo del Mt. Etna. Questo lineamento strutturale, dal Pleistocene, ha permesso alle due placche di suburre con caratteristiche diverse (Doglioni et al., 2001).. Fig. 4: Evoluzione tettonica del contatto tra la Sicilia orientale e il Mar Ionio. Viene indicata anche la conseguente risalita di magma lungo la faglia attiva transtensionale laterale destra e formazione dell’Etna (Doglioni et al., 2001).. Il maggiore arretramento del cuneo ionico in subduzione implica che la Scarpata di Malta è stata riattivata come una zona di faglia trasforme destra, permettendo così d’aggiustare la differente flessione dell’avampaese (Fig. 4). Tutto ciò potrebbe anche spiegare cinematicamente la sismicità presente nella Sicilia Orientale, la quale è caratterizzata da faglie di tipo strike-slip destre e meccanismi focali tensionali e da espressioni superficiali di questi indicatori cinematici (Azzarro e Barbano, 1996; Torelli et al., 1998; Azzarro, 1999). Il persistere della sismicità indica che il differente rollback e la subduzione sono ancora entrambi attivi. Chiare evidenze di faglie neogeniche legate ad attività sismica si hanno nello stretto di Messina (Ghisetti, 1992). Il sistema di faglie delle Timpe che si ha sul fianco orientale del Mt. Etna, rappresenta la prolungazione interna NNW della Scarpata di Malta, la quale mostra evidenze superficiali di attività. Lo scorrimento laterale destro lungo la scarpata, dovuto appunto alla diversa velocità d’immersione delle due placche, provoca l’apertura. 24.

(31) Magmatismo del Mt. Etna. di una finestra fra le due placche. Questo porta alla possibile decompressione e quindi alla fusione del mantello e la conseguente risalita dei magmi etnei, a partire da una zona compresa tra la bassa litosfera e l’alta litosfera. La risalita avviene attraverso una finestra verticale tra le due placche (slab window). 2.2.. Geochimica delle lave etnee ed implicazioni geodinamiche Il lavoro svolto da Tonarini et al. (2001) ha confermato il modello di. subduzione sopra esposto e il relativo magmatismo etneo. Questo è stato possibile grazie ai dati ottenuti dai rapporti isotopici sulla roccia totale di B, Sr, Nd e sul rapporto 87Sr/86Sr nei clinopirosseni. E’ stato studiato l’arricchimento in FMEs (Fluid Mobile Elements) osservato nelle vulcaniti dell’Etna. Tali vulcaniti comprendono quelle preistoriche, storiche (1851-1971) e recenti (1974-1998). I dati ricavati dal lavoro di Tonarini et al. (2001) e il modello proposto da Doglioni et al. (2001), consentono di spiegare il progressivo aumento del contenuto in alcali nei prodotti emessi dall’Etna durante gli ultimi secoli. Dai dati relativi ai rapporti isotopici di stronzio e neodimio, effettuati nella roccia totale e nei clinopirosseni, si può dedurre che un’evoluzione composizionale dei magmi avviene nel tempo in periodi diversi. Infatti, le lave preistoriche hanno bassi rapporti 87Sr/86Sr e alti per 143Nd/144Nd; le lave storiche, hanno rapporti più elevati rispetto al precedente tipo per quanto riguarda lo stronzio e più bassi per il neodimio; infine i prodotti emessi dopo il 1971 hanno rapporti dello stronzio più elevati e più bassi per il neodimio (vedi tabella). 87 Categoria lava Sr/86Sr 0,7032-0,7033 preistoriche 0,70340-0,70346 storiche 0,70355±2 recenti. 143. Nd/144Nd ~0,51293 0,51291-0,51288 ~0,51287. Periodo fase anteriore al Mongibello recente dal Mongibello recente fino al 1971 dopo il 1974. Tabella riguardante i dati sui rapporti isotopici dello stronzio e del neodimio, relativi alle vulcaniti dell’Etna e al corrispondente periodo d’emissione. I dati sono stati presi da Tonarini et al. (2001).. 25.

(32) Magmatismo del Mt. Etna. Questa evoluzione temporale va di pari passo con il progressivo arricchimento in FME e con l’incremento di δ11B. Infatti, il boro come del resto Rb, Cs, Th, Nb, ha carattere residuale, quindi le variazioni Nb/B, Nb/Rb, Nb/Cs e così via, non possono essere attribuite a processi di fusione e cristallizzazione. Nello studio svolto da Tonarini et al. (2001) sono segnalati trend lineari ottenuti mettendo in relazione δ11B con Nb/B, Nb/Rb, Nb/Cs. La linearità viene spiegata ipotizzando un semplice mixing fra due componenti, di cui, uno fluido con bassi rapporti di Nb/B, Nb/Rb, Nb/Cs e alto δ11B, mentre l’altro componente di origine mantellica ha alti rapporti Nb/B, Nb/Rb, Nb/Cs e basso δ11B. I dati ha disposizione hanno permesso di scartare fenomeni di contaminazione, così è ipotizzabile che l’incremento in δ11B e la sua correlazione con un progressivo arricchimento in FME, sia da ricercare nella subduzione della crosta oceanica ionica (Fig. 6). In definitiva,. la. fonte. dei. fluidi. contaminanti la sorgente dei magmi etnei sarebbe la crosta oceanica ionica alterata e la sua copertura sedimentaria. Da ciò si deduce che i Fig. 5: Carta mostrante le zone di subduzione Ionica e della Sicilia. Il roll-back dello slab ionico è responsabile della risalita passiva dell’astenosfera, attraverso una finestra al di sotto del Mt. Etna (Tonarini et al., 2001).. magmi più antichi sono stati meno contaminati rispetto a quelli più recenti perché la sorgente di magma. che dà origine ai prodotti attuali è stata a contatto con questi fluidi più a lungo ed è stata quindi maggiormente metasomatizzata. Concludendo, la finestra dello slab provocata dal differente roll-back che si ha tra la placca ionica e quella sicula, permette la risalita passiva di astenosfera, e innesca la fusione parziale responsabile del magmatismo etneo, mentre i fluidi rilasciati dalla deidratazione. 26.

(33) Magmatismo del Mt. Etna. della placca ionica in subduzione, imprimono una progressivo arricchimento in FME alle lave Etnee. 2.3.. Sistema d’alimentazione ed evoluzione magmatica L’evoluzione magmatica del Mt. Etna può essere interpretata come la. combinazione di tre principali processi: • Continua trasformazione nel tempo della composizione dei magmi primari, inizialmente tholeiitici verso alcali basalti; • Permanente e limitato frazionamento di fasi mafiche a 8-10 kbar (2530 km di profondità), associato alla formazione di trachibasalti; • Occasionali differenziazioni che portano alla formazione di trachiandesiti e possibilmente trachiti, a causa di frazionamenti a bassa pressione, che coinvolgono principalmente il plagioclasio. In un lavoro del 1997di Tanguy et al. interpretano il cambiamento del sistema d’alimentazione etneo nel tempo e la variazione della composizione nelle vulcaniti. Questi autori riconoscono una prima fase di carattere tholeiitico, caratterizzata da un’intensa fusione nel nucleo del risalente diapiro astenosferico, risultante dalla segregazione del liquido vicino a 10 kbar (30 km di profondità), ad esempio in corrispondenza dell’interfaccia crosta-mantello. Quindi alcune caratteristiche suggeriscono che le prime lave emesse dal vulcano si erano formate in profondità, in un serbatoio subcrustale, in corrispondenza della segregazione dei liquidi basaltici (Tanguy, 1980). Le eruzioni durante questa fase avvenivano attraverso fratture che si formavano nella soprastante crosta a comportamento fragile, che era stressata e assottigliata a causa della risalita diapirica astenosferica (Fig. 6-1). Nel seconda fase il gradiente termico tra il diapiro astenosferico e le circostanti rocce andava diminuendo, causando. 27.

(34) Magmatismo del Mt. Etna. una generale uniformità termica nella zona. La diminuzione di temperatura all’interno del diapiro stesso e nel corrispondente serbatoio subcrustale, provoca la formazione di tessiture porfiriche e il frazionamento di cristalli, mentre il trasferimento del calore alle regioni circostanti genera una certa quantità di magma, coinvolgendo anche le zone superiori del mantello. L’aumento di magma alcalino generato in questo modo, veniva mescolato con le fasi mafiche formatesi durante la prima fase tholeiitica. Tracce di questo mixing sono gli inclusi gabbroidi nei primi basalti alcalini porfirici. Tutto ciò ha portato alla formazione di lave più evolute, sebbene fossero ancora presenti in larga misura fenocristalli di pirosseno. Un’intensificazione del processo di frazionamento di questi primi magmi alcalini, potrebbe aver portato così alla formazione dei primi alcali basalti appartenenti all’Etna antico (Fig. 6-2). Le fasi successive alle precedenti comprendono l’emissione di magmi trachiandesitici e trachitici, che richiedono una cristallizzazione a bassa pressione. Ciò è possibile con la formazione di temporanee camere magmatiche in alti livelli crostali. Evidenze morfologiche di tali strutture sono date da diversi bordi calderici direttamente osservabili nella Valle del Bove. Grazie a studi gravimetrici (Neumann et al., 1985) e alla tomografia sismica (Hirn et al., 1991; Cardaci et al., 1993) sono stati scoperti corpi ad alta densità e velocità, situati in corrispondenza delle regioni superficiali. Questi corpi sono stati interpretati come masse di magma “congelato”. Le strutture calderiche principalmente si sono formate al passaggio da un tipo di vulcanismo a un altro, a causa di eventi catastrofici come il collasso della sommità o del fianco del vulcano. È già stato presentato come la caldera dell’Ellittico si sia formata a causa dell’emissione di una notevole quantità di prodotti trachitici. Un tale sviluppo di strutture da collasso può essere anche il risultato di un particolare stato di stress presente nella crosta, la quale potrebbe essere stata “stirata” asimmetricamente verso est a causa della risalita del mantello (Fig. 6-3). L’ultima fase, che riguarda il presente, è sempre. 28.

(35) Magmatismo del Mt. Etna. alimentata da un serbatoio subcrustale permanente. In più le indagini geofisiche e geochimiche suggeriscono che il limite crosta-mantello si trova solo ad una profondità circa di 15 km al di sotto del cratere centrale (Fig. 6-4).. Fig. 6: Rappresentazione schematica dell’evoluzione magmatica e strutturale del Mt. Etna. Le frecce indicano i movimenti all’interno del mantello e gli stress tensionali all’interno della crosta (Tanguy e Patanè, 1996).. 29.

(36) Petrogenesi delle lave dell’Etna: modelli termodinamici. 3. PETROGENESI. DELLE. LAVE. DELL’ETNA:. MODELLI. TERMODINAMICI I vari processi magmatici come la differenziazione, l’assimilazione ed il frazionamento rappresentano concetti fondamentali per quanto concerne l’origine e la storia evolutiva delle rocce ignee. La composizione chimica dei minerali che coesistono in una roccia, fornisce informazioni al riguardo di questi fenomeni, in quanto documenta cambi delle variabili intensive termodinamiche (T, P e potenziale chimico), che si ripercuotono sulla cristallizzazione della roccia al di sotto della temperatura di liquidus (Ghiorso et al., 1983). Nella definizione dei processi petrogenetici che portano alla formazione delle lave eruttate, il primo passo è la determinazione delle condizioni di genesi dei magmi nella regione sorgente. Nel nostro caso, il mantello astenosferico che, fondendo, manda il suo segnale attraverso la slab window. 3.1.. Modelli d’attività Prendendo spunto dai lavori svolti da Ghiorso e Carmichael (vedi. bibliografia) è possibile, sulla base di modelli termodinamici, ricavare dalle analisi chimiche delle lave primitive e da ipotesi relative alla composizione della regione sorgente, una griglia petrogenetica da cui sarà possibile stimare la profondità d’origine delle lave etnee. Il modello di Ghiorso et al. (1983) utilizza le composizioni chimiche di un liquido silicatico multicomponente, dove sono presenti anche cristalli che coesistono con il liquido, ed attraverso l’equazione del bilancio di massa (ovvero dell’equilibrio solido/liquido) arriva a definire l’energia libera di Gibbs di mixing in funzione della temperatura e della composizione.. 30.

(37) Petrogenesi delle lave dell’Etna: modelli termodinamici. La maggior parte dei dati termodinamici riguardanti le fasi liquide è coerente con l’applicazione della teoria delle soluzioni regolari al modello dell’energia libera di mixing (Ghiorso et al., 1983). In conclusione, questo modello rappresenta il primo passo per valutare l’attività di un componente all’interno di un liquido silicatico. Nello specifico a noi interessa arrivare a definire l’attività della SiO2 nel liquido, perché tale parametro è rappresentativo dei fusi magmatici che si trovano nel mantello. Questo aspetto è ampiamente dibattuto nell’appendice A, in cui sono riportate tutte le equazioni necessarie per sviluppare il calcolo su Microsoft Excel e le relative assunzioni per quello che concerne i parametri termodinamici di Input. 3.2.. Griglia petrogenetica: reazione 2En = Fo + SiO2 Ammettendo che siano presenti alcuni parallelismi tra le soluzioni acquose. e i liquidi silicatici, allora possiamo dire che come nelle prime gioca un ruolo fondamentale il pH, nei fusi magmatici il suo equivalente è rappresentato dall’attività della silice (Ghiorso et al., 1983). In più, alcune relazioni tra i principali minerali delle rocce ignee, possono essere espresse tramite reazioni di silicizzazione, che hanno una forma generale del tipo (Ghiorso & Carmichael; 1988):. ∑υ r Mineraler = SiO2 + ∑υ p Minerale p r. p. dove Mineraler e Mineralep rappresentano rispettivamente i reagenti ed i prodotti (le fasi solide), mentre υ r e υ p sono i relativi coefficienti stechiometrici della reazione. Se i solidi coinvolti nella reazione coesistono e sono stabili, sotto una certa condizione standard, definita dall’attività unitaria per una sostanza. 31.

(38) Petrogenesi delle lave dell’Etna: modelli termodinamici. pura a determinate pressioni e temperature, allora la variazione dell’attività di silice nel fuso è data dalla seguente relazione:. ln a SiO2 = −. ΔG° RT. (1). Basandosi su questa semplice espressione è possibile costruire una griglia petrogenetica, che descrive le condizioni di equilibrio dei vari tipi di magma con una sorgente idealizzata del mantello. Una reazione di particolare interesse è la seguente: =. 2MgSiO3. (orthoenstatite). Mg2SiO4 (forsterite). +. SiO2 (liq). Tale reazione caratterizza i magmi di tipo tholeiitico e i suoi derivati (Carmichael et al., 1974). Un ulteriore condizione necessaria per costruire la griglia è che il magma risalga verso la superficie senza essere influenzato da fenomeni quali il trasferimento di massa o la cristallizzazione frazionata, cioè prendiamo le lave presenti sulla superficie (nel nostro caso le lave dell’Etna) come rappresentanti dei liquidi generati in profondità. Applicando alla reazione presa in esame le nostre conoscenze chimiche, possiamo rendere più esplicita l’espressione 1. Sappiamo che per una reazione qualsiasi vale la seguente relazione: 0. ΔGr = ΔGr + RT ln ∏ ai. ni. (2). dove il simbolo Π è la produttoria di tutte le attività, elevate ad una potenza corrispondente al coefficiente stechiometrico del componente i nella reazione. 32.

(39) Petrogenesi delle lave dell’Etna: modelli termodinamici. considerata e rappresenta la costante di equilibrio; ΔGr è la variazione di energia 0. libera della reazione, mentre ΔGr è la variazione di energia libera standard per la reazione, che avviene alla pressione ed alla temperatura di riferimento. Per le principali reazioni questi valori sono tabellati, ma in assenza di questo dato, è 0. possibile calcolare i ΔGr delle specie chimiche che compaiono nelle reazione e che prendono il nome di energia libera di formazione standard dei componenti 0. puri ( ΔG f ). Anche i dati di quest’ultimo parametro sono riferiti alla pressione e temperatura di riferimento (Pr = 1 atm; Tr =25° C), di conseguenza anche il 0. ΔG f . Da quest’ultima considerazione è possibile calcolare la variazione di. energia libera di formazione per una determinata specie chimica a pressione e temperatura non di riferimento, di modo che nell’equazione 2 non dipenderà solo dalla temperatura, ma anche dalla pressione. Siamo in grado adesso di definire meglio l’equazione 2, tenendo ben presente la reazione sotto esame: ⎡ (a olivina ⋅ a liquido ) ⎤ Mg 2 SiO4 SiO2 ⎥ → ln K = − ΔGreaz → ΔGreaz = − RT ln K eq = − RT ln ⎢ eq 2 opx ⎢ ⎥ RT ( ) a MgSiO3 ⎣⎢ ⎦⎥ ΔGreaz olivina liquido opx → ln a Mg 2 SiO4 + ln a SiO − 2 ln a MgSiO = − → 2 3 RT ΔGreaz opx olivina liquido → ln a SiO = − + 2 ln a MgSiO − ln a Mg 2 SiO4 2 3 RT. (3). È possibile, sotto una determinata condizione, trascurare i termini logaritmici presenti sul lato destro dell’equazione (7). Infatti, la componente forsteritica del mantello è circa 90 (Fo90) e la sua attività è approssimativamente pari a (XFo)2. Questa olivina, di solito, coesiste con un ortopirosseno di composizione En90. Assumendo che, sotto certe condizioni di pressione e temperatura corrispondenti alla genesi dei magmi mafici, la concentrazione di alluminio (Al) nel sito M1 dell’ortopirosseno è piccola, allora l’attività 33.

(40) Petrogenesi delle lave dell’Etna: modelli termodinamici. dell’enstatite nel pirosseno è pari alla sua frazione molare (Ghiorso e Carmichael, 1988). Quindi i due termini logaritmici riguardanti le fasi solide. (forsterite e ortoenstatite), si annullano tra di loro. A questo punto, per completare la nostra opera, è necessario calcolare la variazione di energia libera della reazione ( ΔGreaz ), a partire dall’energie libere di formazione ( ΔG f ) delle specie chimiche presenti nella reazione. Quindi avrò la seguente relazione:. ΔGreaz = ΔG f. forsterite. + ΔG f. − 2 ⋅ ΔG f. SiO2. enstatite. (4). Il calcolo e le assunzioni fatte per realizzare questa parte, sono riportati nell’appendice A. Giunti a questo punto e avendo fatto tutte le dovute considerazioni,. siamo. in. grado. di. 0,0. costruire la nostra griglia petrogenetica. -0,2. In definitiva, avremo un grafico del tipo. 0,5 GPa -0,4. 1,0 GPa. Log aSiO2 vs T, dove ad ogni pressione a. 1,5 GPa 2,0 GPa. -0,6. -0,8. cui si calcola il ΔG della reazione in. 3,0 GPa 4,0 GPa. esame, corrisponderà una curva a cui è. 5,0 GPa -1,0. legata la profondità di origine delle lave. -1,2. (fig. 1). Come riprova dei calcoli. -1,4. effettuati e dei dati termodinamici scelti. -1,6 1800. 1600. 1400. 1200. 1000. 800. Temperatura (°C). Figura 1: Griglia petrogenetica sulla base della reazione 2En = Fo + SiO2 (vedi Appendice A).. come parametri di input, è possibile confrontare la griglia qui a fianco con quella ottenuta da MELTS (fig. 2).. 34.

(41) Petrogenesi delle lave dell’Etna: modelli termodinamici. 0,0. 0,0. -0,2. -0,2. -0,4. 0,5 GPa. 0,5 GPa. 1,0 GPa. 1,0 GPa. -0,4. 1,5 GPa. 2,0 GPa. 2,0 GPa -0,6. -0,8. -0,6. 3,0 GPa 4,0 GPa. -0,8. -1,0. -1,0. -1,2. -1,2. -1,4. -1,4. 1600. 3,0 GPa 4,0 GPa 5,0 GPa. 5,0 GPa. -1,6 1800. 1,5 GPa. 1400. 1200. 1000. 800. Temperatura (°C). -1,6 1800. 1600. 1400. 1200. 1000. 800. Temperatura (°C). Figura 2: Griglia petrogenetica relativa alla reazione 2En = Fo + SiO2. A sinistra è rappresentata la griglia ottenuta mediante i calcoli effettuati con Excel, mentre a destra è riportata la griglia costruita sulla base dei dati forniti da MELTS.. Dalla figura notiamo che le differenze tra le due griglie sono minime e di conseguenza i valori termodinamici adottati in questa sede sono giusti. Per ovviare al problema che si presenta alla pressione di 1,5 GPa (15 Kbar) e alla temperatura di 1300°C, ho pensato di tracciare la curva omettendo questo punto (vedi Appendice A). Adesso possiamo inserire all’interno di essa i valori delle attività relative alle lave dell’Etna, ottenuti mediante il modello di attività di Ghiorso et al. (1983; 1995). Prima di fare ciò è utile riassumere, con un semplice schema, quanto abbiamo fatto sino ad ora (fig. 3):. 35.

(42) Petrogenesi delle lave dell’Etna: modelli termodinamici. 1) Dato di partenza = analisi chimica di una roccia (nel mio caso le lave dell’Etna), espressa in wt%.. a) Ricalcolo del ferro sulla base del rapporto Fe3+/Fe2+ impostato a 0,22. b) Ricalcolo dell’analisi chimica della roccia per ottenere la chiusura a 100.. 2) Calcolo dell’attività della silice (SiO2) sulla base di due possibili modelli d’attività (soluzione regolare).. a) Utilizzando il modello di Ghiorso et al. (1983).. b) Utilizzando il modello di Ghiorso et al. (1995).. 3) Costruzione della griglia petrogenetica, sulla base della reazione 2En = Fo + SiO2.. a) Calcolo del ΔG di formazione delle fasi solide (Enstatite e Forsterite) tramite i dati e le equazioni fornite da Berman & Brown (1988). b) Calcolo del ΔG di formazione della fase liquida (Silice) tramite i dati e le equazioni fornite da Richet et al. (1982). c) Calcolo del ΔG di reazione e successiva estrapolazione dell’attività della silice a varie pressioni e temperature.. Figura 3: Schema riassuntivo dei vari procedimenti riguardanti l’attività della silice nelle lave dell’Etna e la costruzione della griglia petrogenetica utilizzata per determinare la profondità d’origine delle lave.. 36.

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