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Guarda Paris 1860. Eaux-fortes sur Paris & «Tableaux parisiens» di Meyron-Baudelaire

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Meryon-Baudelaire, Paris 1860. Eaux-fortes sur Paris & « Tableaux parisiens », Editions de la Bibliothèque, Paris, 2001.

« Le vieux Paris n’est plus (la forme d’une ville Change plus vite, hélas ! que le cœur d’un mortel)

Tableaux parisiens, LXXXIX - Le Cygne Il curatore di questo curioso e prezioso libro, Jacques Damade, riconosce di avere commesso forse un atto arbitrario nell’avere dato corpo ad un sogno accarezzato ma rimasto

malinconicamente incompiuto per il volere degli stessi autori, quello di unire le acqueforti di Charles Meryon a testi di Baudelaire. La scelta di accompagnare le vedute dell’artista con i Tableaux parisiens tratti da Les Fleurs du Mal è solo parzialmente conforme alle intenzioni di Baudelaire che intendeva comporre appositamente versi o brevi prose poetiche (motivi e titolo dei Tableaux sembrano ispirati all’opera dell’incisore: « Et, peintre fier de mon génie, / Je savourais dans mon tableau / l’enivrante monotonie/ du métal, du marbre et de l’eau. » CII - Rêve parisien), ma non corrisponde affatto alla richiesta di Meryon, il quale avendo composto alcune didascalie in versi tra il simbolico e il grottesco (pubblicate in appendice al volume), pretendeva dal poeta un commento storico archeologico: una tale divergenza negli intenti, e non mere difficoltà editoriali, provocò senz’altro la rinuncia al pur avviato progetto. Baudelaire era rimasto affascinato dalle acqueforti dell’artista tanto da manifestare fin dal febbraio del 1859 l’impaziente desiderio di procurarsele: pochi mesi dopo, nel Salon de 1859, egli evocava, con vibrante afflato poetico e appassionata partecipazione fantastica, l’acutezza pungente del disegno e il sottile slittamento visionario degli studi di quel singolare artista : un ufficiale di marina e disegnatore di paesaggi esotici, fattosi come lui osservatore meticoloso e sognatore esaltato di una Parigi minacciata di precipitare nella fossa aperta dall’offensiva demolitrice della modernità haussmanniana. « Il y a quelques années, un homme puissant et singulier, un officier de marine, dit-on, avait commencé une série d’études à l’eau-forte d’après les points de vue les plus pittoresques de Paris. Par l’âpreté, la finesse et la certitude de son dessin, M. Meryon rappelle ce qu’il y a de meilleur dans les anciens aquafortistes. Nous avons rarement vu, représentée avec plus de poésie, la solennité naturelle d’une grande capitale. Les majestés de la pierre accumulée, les clochers montrant du doigt le ciel, les obélisques de l’industrie vomissant contre le firmament leurs coalitions de fumée, les prodigieux échafaudages de monuments en réparation, appliquant sur le corps solide de l’architecture leur architecture à jour d’une beauté arachnéenne et paradoxale, le ciel brumeux, chargé de colère et de rancune, la profondeur des perspectives augmentées par la pensée des drames qui y sont contenus, aucun des éléments complexes dont se compose le douloureux et glorieux décor de la civilisation n’était oublié» (VIII - Le paysage). La visione penetrante ed onirica

dell’acquafortista - testimoniata dalle diciotto riproduzioni del volume - era

sorprendentemente consona a quella di Baudelaire (« Fourmillante cité, cité pleine de rêves, / Où le spectre en plein jour raccroche le passant ! » XC - Les sept Vieillards) : il « flâneur » (« Dans les plis sinueux des vielles capitales [...]Traversant dans Paris le fourmillant tableau, [...] A travers le chaos des vivantes cités »,XCI - Les Petites Vieilles), dotato d’« ingegno allegorico », « nutrito di malinconia », il cui sguardo è quello dell’« estraniato », tale e quale lo percepisce un altro malinconico flâneur, Walter Benjamin (Angelus Novus, Baudelaire e Parigi): « Paris change, mais rien dans ma malinconie / N’a bougé ! palais neufs,

échafaudages, blocs / Vieux faubourgs, tout pour moi devient allégorie » (Le Cygne). Se nella poesia di Baudelaire, Parigi è « una città sprofondata più sottomarina che

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vecchio letto abbandonato della Senna » hanno lasciato una impronta indelebile, lo spleen, nel chiaroscuro delle incisioni di Meryon la città stranamente spopolata sprigiona l’inquietante fermento di una disumanante metamorfosi: voli di corvi tra le ogive arabescate, grovigli di aquile serpentine nei cieli striati di nere fumate, sogni di fuga irretiti nella metallica fissità dell’incisione. Meryon nel suo delirio sfregerà con le sue mani le lastre di rame forse per salvare l’ « aura » delle proprie immagini, sottraendole alla indefinita riproduzione meccanica, a quella angosciosa coazione a ripetere dell’offerta di una merce, sempre uguale e sempre nuova, destinata alla folla amorfa ed anonima della indifferente metropoli: raptus di follia o di lucidità ? A fargli eco, Baudelaire celebrerà il crepuscolo della poesia lirica ( XCV - Le Le Crépuscule du Soir)), e ne intreccerà la corona mortuaria con le sue velenose Fleurs du Mal: « L’aurore grelottante en robe rose et verte / S’avançait lentement sur la Seine déserte / Et le sombre Paris, en se frottant les yeux, / Empoignait ses outils, vieillard laborieux. » ( CIII - Le Crépuscule du Matin ). Questa rara ed improbabile edizione porta quindi finalmente alla luce nel confronto/scontro tra testo e immagine la misteriosa corrispondenza tra la lontananza volutamente arcaica della visione di Meryon e il classicismo desueto del verso di Baudelaire, due voci strappate alla loro solitaria protesta contro l’arroganza trionfante della modernità.

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