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Il rischio sistemico: l'incidenza dei principali intermediari finanziari

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Academic year: 2021

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(1)

in Economia e Finanza

Prova finale di Laurea

Il rischio sistemico:

l’incidenza dei principali

intermediari finanziari

Relatore

Prof. Claudio Pizzi

Laureando

Dario Travagin

Matricola 833123

Anno Accademico

2014-2015

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Indice i

Elenco delle tabelle v

Elenco delle figure x

Introduzione xiii

1 Il Rischio Sistemico 1

1.1 Definizioni e componenti . . . 1

1.1.1 Definizioni . . . 1

1.1.2 Le componenti del rischio sistemico . . . 2

1.2 Meccanismi di propagazione del rischio sistemico . . . 3

1.2.1 Modelli di contagio nei mercati finanziari . . . 4

1.2.2 Modelli di contagio nel mercato interbancario . . . 6

1.3 Misure tradizionali di rischio sistemico . . . 8

1.4 I tre settori (Assicurativo, Servizi finanziari, Bancario) . . . 12

1.4.1 Il settore assicurativo . . . 12

1.4.1.1 Il caso AIG (American International Group) . . . . 14

1.4.2 I servizi finanziari . . . 15

1.4.2.1 Il caso LTCM (Long Term Capital Management Fund) 19 1.4.3 Il settore bancario . . . 20

1.4.3.1 Freddie Mae & Fannie Mac . . . 24

1.4.3.2 Bear Stearns . . . 24

2 Selezione ed analisi descrittiva dei dati 27

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2.1 Selezione dei dati . . . 27

2.2 Analisi descrittiva dei dati . . . 30

2.2.1 Settore bancario . . . 31

2.2.2 Settore Assicurativo . . . 32

2.2.3 Settore Servizi Finanziari . . . 34

2.2.4 Settore Finanziario di sistema . . . 35

2.2.5 Volatilità implicita . . . 36 2.2.6 Liquidity spread . . . 38 2.2.7 Bill spread . . . 39 2.2.8 Yield spread . . . 41 2.2.9 Equity return . . . 42 2.2.10 Real estate . . . 42

3 Implementazione del modello 45 3.1 La procedura a sei step . . . 45

3.1.1 Primo Step . . . 47 3.1.2 Secondo Step . . . 51 3.1.3 Terzo Step . . . 52 3.1.4 Quarto Step . . . 54 3.1.5 Quinto Step . . . 55 3.1.6 Sesto Step . . . 56

3.2 I test di Significatività e Dominanza . . . 57

3.2.1 Il metodo Bootstrap . . . 57

3.2.2 Kolmogorv - Smirnov Test . . . 58

3.2.3 Kuiper Test . . . 59 3.3 Risultati empirici . . . 60 3.3.1 Regressioni quantiliche . . . 61 3.3.2 CoVaR . . . 62 3.3.2.1 2006 - 2014 . . . 62 3.3.2.2 2006 - 2008 . . . 63 3.3.2.3 2008 - 2012 . . . 65

(5)

3.3.2.4 2012 - 2014 . . . 65

3.3.3 Test di Significatività e Dominanza . . . 66

3.3.3.1 K - S Test . . . 66 3.3.3.2 Kuiper Test . . . 67 3.4 Comparazione Test . . . 67 3.4.1 Normale . . . 68 3.4.1.1 Media . . . 68 3.4.1.2 Deviazione standard . . . 69 3.4.1.3 Numerosità campionaria . . . 70 3.4.1.4 media con 6=N . . . 71 3.4.2 Beta . . . 73 3.4.3 Skewness . . . 73 3.4.3.1 Media . . . 73 3.4.3.2 Deviazione standard . . . 74 Conclusioni 77 Bibliografia 79 A Risultati regressioni quantiliche sotto-periodi primo step 85 B Risultati regressioni quantiliche sotto-periodi terzo step 93 C Risultati test sotto-periodi 107 C.1 2006-2008 . . . 107

C.2 2008-2012 . . . 108

C.3 2012-2014 . . . 109

(6)
(7)

2.1 Tabella statistiche descrittive delle variabili Eur Banks ed US Banks . . 32 2.2 Tabella test ADF, JB, LB, ARCH settore bancario . . . 32 2.3 Tabella statistiche descrittive delle variabili Eur Insurance ed US

Insu-rance . . . 33 2.4 Tabella test ADF, JB, LB, ARCH settore assicurativo . . . 33 2.5 Tabella statistiche descrittive delle variabili Eur Fin.Services ed US

Fin.Services . . . 34 2.6 Tabella test ADF, JB, LB, ARCH settore servizi finanziari . . . 35 2.7 Tabella statistiche descrittive delle variabili Eur System ed US System . 36 2.8 Tabella test ADF, JB, LB, ARCH settore finanziario di sistema . . . 36 2.9 Tabella statistiche descrittive delle variabili VSTOXX e VIX . . . 37 2.10 Tabella test ADF, JB, LB, ARCH volatilità implicita . . . 37 2.11 Tabella statistiche descrittive delle variabili EUR Liquidity spread ed

US Liquidity spread . . . 38 2.12 Tabella test ADF, JB, LB, ARCH liquidity spread . . . 39 2.13 Tabella statistiche descrittive delle variabili EUR GerBill spread ed US

TBill spread . . . 40 2.14 Tabella test ADF, JB, LB, ARCH bill spread . . . 40 2.15 Tabella statistiche descrittive delle variabili EUR Yield spread ed US

Yield spread . . . 41 2.16 Tabella test ADF, JB, LB, ARCH yield spread . . . 42 2.17 Tabella statistiche descrittive delle variabili EUR Equity ed US Equity . 43 2.18 Tabella test ADF, JB, LB, ARCH equity return . . . 43

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2.19 Tabella statistiche descrittive delle variabili EUR Real Estate ed US Real Estate . . . 44 2.20 Tabella test ADF, JB, LB, ARCH . . . 44 3.1 Risultati regressioni quantiliche Europa (1%); (***,**,* indicano

rispet-tivamente la significatività al 1%, 5%, 10%); sotto ogni coefficiente viene riportato lo standard error. . . 49 3.2 Risultati regressioni quantiliche Europa (50%); ( ***,**,* indicano

ri-spettivamente la significatività al 1%, 5%, 10%); sotto ogni coefficiente viene riportato lo standard error. . . 50 3.3 Risultati regressioni quantiliche U.S.A. (1%); (***,**,* indicano

rispetti-vamente la significatività al 1%, 5%, 10%); sotto ogni coefficiente viene riportato lo standard error. . . 50 3.4 Risultati regressioni quantiliche U.S.A. (50%); (***, **, *, indicano

ri-spettivamente la significatività al 1%, 5%, 10%); sotto ogni coefficiente viene riportato lo standard error. . . 51 3.5 Risultati regressioni quantiliche Europa (1%); (***, **, *, indicano

ri-spettivamente la significatività al 1%, 5%, 10%); sotto ogni coefficiente viene riportato lo standard error. . . 53 3.6 Risultati regressioni quantiliche Europa (50%); (***, **, *, indicano

ri-spettivamente la significatività al 1%, 5%, 10%); sotto ogni coefficiente viene riportato lo standard error. . . 54 3.7 Risultati regressioni quantiliche U.S.A (1%); (***,**,*, indicano

rispetti-vamente la significatività al 1%, 5%, 10%); sotto ogni coefficiente viene riportato lo standard error. . . 55 3.8 Risultati regressioni quantiliche U.S.A (50%); (***,**,*, indicano

rispet-tivamente la significatività al 1%, 5%, 10%); sotto ogni coefficiente viene riportato lo standard error. . . 56 3.9 Media dei valori con rispettive deviazioni standard dal 2006 al 2014. . 62 3.10 Media dei valori con rispettive deviazioni standard dal 2006 al 2008 . . 63 3.11 Media dei valori con rispettive deviazioni standard dal 2008 al 2012 . . 65

(9)

3.12 Media dei valori con rispettive deviazioni standard dal 2012 al 2014 . . 65 3.13 Test di significatività per Europa e U.S.A. utilizzando il test K - S,

periodo 2006 - 2014. . . 66 3.14 Test di dominanza per Europa e U.S.A. utilizzando il test K - S, periodo

2006 - 2014. . . 66 3.15 Test di significatività per Europa e U.S.A. utilizzando il test di Kuiper,

periodo 2006 - 2014 . . . 67 3.16 Test di dominanza per Europa e U.S.A. utilizzando il test di Kuiper,

periodo 2006 - 2014 . . . 67 A.1 Risultati regressioni quantiliche Europa (1%), periodo 2006 - 2012;(***,

**, *, indicano rispettivamente la significatività al 1%, 5%, 10%); sotto ogni coefficiente viene riportato lo standard error. . . 86 A.2 Risultati regressioni quantiliche U.S.A. (1%), periodo 2006 - 2008;(***,

**, *, indicano rispettivamente la significatività al 1%, 5%, 10%); sotto ogni coefficiente viene riportato lo standard error. . . 86 A.3 Risultati regressioni quantiliche Europa (50%), periodo 2006 - 2008;(***,**,*,

indicano rispettivamente la significatività al 1%, 5%, 10%); sotto ogni coefficiente viene riportato lo standard error. . . 87 A.4 Risultati regressioni quantiliche U.S.A. (50%); periodo 2006 - 2008;(***,

**, *,indicano rispettivamente la significatività al 1%, 5%, 10%); sotto ogni coefficiente viene riportato lo standard error. . . 87 A.5 Risultati regressioni quantiliche Europa (1%); periodo 2008 - 2012;(***,

**, *, indicano rispettivamente la significatività al 1%, 5%, 10%); sotto ogni coefficiente viene riportato lo standard error. . . 88 A.6 Risultati regressioni quantiliche U.S.A. (1%), periodo 2008 - 2012;(***,

**, *, indicano rispettivamente la significatività al 1%, 5%, 10%); sotto ogni coefficiente viene riportato lo standard error. . . 88 A.7 Risultati regressioni quantiliche Europa (50%), periodo 2008 - 2012;(***,**,*,

indicano rispettivamente la significatività al 1%, 5%, 10%); sotto ogni coefficiente viene riportato lo standard error. . . 89

(10)

A.8 Risultati regressioni quantiliche U.S.A. (50%), periodo 2008 - 2012;(***, **, *,indicano rispettivamente la significatività al 1%, 5%, 10%); sotto ogni coefficiente viene riportato lo standard error. . . 89 A.9 Risultati regressioni quantiliche Europa (1%), periodo 2012 - 2014;(***,

**, *, indicano rispettivamente la significatività al 1%, 5%, 10%); sotto ogni coefficiente viene riportato lo standard error. . . 90 A.10 Risultati regressioni quantiliche U.S.A. (1%), periodo 2012 - 2014;(***,

**, *, indicano rispettivamente la significatività al 1%, 5%, 10%); sotto ogni coefficiente viene riportato lo standard error. . . 90 A.11 Risultati regressioni quantiliche Europa (50%), periodo 2012 - 2014;(***,**,*,

indicano rispettivamente la significatività al 1%, 5%, 10%); sotto ogni coefficiente viene riportato lo standard error. . . 91 A.12 Risultati regressioni quantiliche U.S.A. (50%), periodo 2012 - 2014;(***,

**, *,indicano rispettivamente la significatività al 1%, 5%, 10%); sotto ogni coefficiente viene riportato lo standard error. . . 91 B.1 Risultati regressioni quantiliche Europa (1%), periodo 2006 - 2008; (***,

**, *, indicano rispettivamente la significatività al 1%, 5%, 10%); sotto ogni coefficiente viene riportato lo standard error. . . 94 B.2 Risultati regressioni quantiliche U.S.A (1%), periodo 2006 - 2008; (***,

**, *, indicano rispettivamente la significatività al 1%, 5%, 10%); sotto ogni coefficiente viene riportato lo standard error. . . 95 B.3 Risultati regressioni quantiliche Europa (50%), periodo 2006 - 2008;

(***, **, *, indicano rispettivamente la significatività al 1%, 5%, 10%); sotto ogni coefficiente viene riportato lo standard error. . . 96 B.4 Risultati regressioni quantiliche U.S.A (50%), periodo 2006 - 2008; (***,

**, *, indicano rispettivamente la significatività al 1%, 5%, 10%); sotto ogni coefficiente viene riportato lo standard error. . . 97 B.5 Risultati regressioni quantiliche Europa (1%), periodo 2008 - 2012; (***,

**, *, indicano rispettivamente la significatività al 1%, 5%, 10%); sotto ogni coefficiente viene riportato lo standard error. . . 98

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B.6 Risultati regressioni quantiliche U.S.A (1%), periodo 2008 - 2012; (***, **, *, indicano rispettivamente la significatività al 1%, 5%, 10%); sotto ogni coefficiente viene riportato lo standard error. . . 99 B.7 Risultati regressioni quantiliche Europa (50%), periodo 2008 - 2012;

(***, **, *, indicano rispettivamente la significatività al 1%, 5%, 10%); sotto ogni coefficiente viene riportato lo standard error. . . 100 B.8 Risultati regressioni quantiliche U.S.A (50%), periodo 2008 - 2012; (***,

**, *, indicano rispettivamente la significatività al 1%, 5%, 10%); sotto ogni coefficiente viene riportato lo standard error. . . 101 B.9 Risultati regressioni quantiliche Europa (1%), periodo 2012 - 2014; (***,

**, *, indicano rispettivamente la significatività al 1%, 5%, 10%); sotto ogni coefficiente viene riportato lo standard error. . . 102 B.10 Risultati regressioni quantiliche U.S.A (1%), periodo 2012 - 2014; (***,

**, *, indicano rispettivamente la significatività al 1%, 5%, 10%); sotto ogni coefficiente viene riportato lo standard error. . . 103 B.11 Risultati regressioni quantiliche Europa (50%), periodo 2012 - 2014;

(***, **, *, indicano rispettivamente la significatività al 1%, 5%, 10%); sotto ogni coefficiente viene riportato lo standard error. . . 104 B.12 Risultati regressioni quantiliche U.S.A (50%), periodo 2012 - 2014; (***,

**, *, indicano rispettivamente la significatività al 1%, 5%, 10%); sotto ogni coefficiente viene riportato lo standard error. . . 105 C.1 Test di significatività per Europa e U.S.A. utilizzando il test K - S,

periodo 2006 - 2008. . . 107 C.2 Test di dominanza per Europa e U.S.A. utilizzando il test K - S, periodo

2006 - 2008. . . 107 C.3 Test di significatività per Europa e U.S.A. utilizzando il test di Kuiper,

periodo 2006 - 2008. . . 108 C.4 Test di dominanza per Europa e U.S.A. utilizzando il test di Kuiper,

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C.6 Test di dominanza per Europa e U.S.A. utilizzando il test K - S, periodo

2008 - 2012. . . 109

C.7 Test di significatività per Europa e U.S.A. utilizzando il test di Kuiper, periodo 2008 - 2012. . . 109

C.8 Test di dominanza per Europa e U.S.A. utilizzando il test di Kuiper, periodo 2008 - 2012. . . 109

C.9 Test di significatività per Europa e U.S.A. utilizzando il test K - S, periodo 2012 - 2014. . . 109

C.10 Test di dominanza per Europa e U.S.A. utilizzando il test K - S, periodo 2012 - 2014. . . 110

C.11 Test di significatività per Europa e U.S.A. utilizzando il test di Kuiper, periodo 2012 - 2014. . . 110

C.12 Test di dominanza per Europa e U.S.A. utilizzando il test di Kuiper, periodo 2012 - 2014. . . 110

E

LENCO DELLE FIGURE

1.1 (Fonte: Stan Uryasev “Var vs Cvar in Risk management and Optimi-zation”) . . . 11

2.1 Serie storica EUR Banks ed US Banks . . . 31

2.2 Serie storica EUR Insurance ed US Insurance . . . 33

2.3 Serie storica EUR F.Services ed US F.Services . . . 34

2.4 Serie storica EUR System ed US System . . . 35

2.5 Serie storicaVSTOXX e VIX . . . 37

2.6 Serie storica EUR Liquidity spread & US Liquidity spread . . . 38

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2.7 Serie storica EUR GerBill spread & US T-Bill spread . . . 39

2.8 Serie storica EUR Yield spread & US Yield spread . . . 41

2.9 Serie storica EUR Equity & US Equity . . . 43

2.10 Serie storica EUR Real Estate & US Real Estate . . . 44

3.1 Serie storiche variabili periodo 2006 - 2008 . . . 47

3.2 Serie storiche variabili periodo 2008 - 2012 . . . 48

3.3 Serie storiche variabili periodo 2012 - 2014 . . . 49

3.4 Output K - S Test (Nero), e Kuiper Test (Rosso) della distribuzione Normale al variare della media. . . 69

3.5 Output K - S Test (Nero), e Kuiper Test (Rosso) della distribuzione Normale al variare della deviazione standard . . . 70

3.6 Output K - S Test (Nero), e Kuiper Test (Rosso) della distribuzione Normale, al variare della numerosità campionaria 50. . . 70

3.7 Output K - S Test (Nero), e Kuiper Test (Rosso) della distribuzione Normale, al variare della media con numerosità campionaria 50. . . 71

3.8 Output K - S Test (Nero), e Kuiper Test (Rosso) della distribuzione Normale, al variare della media con numerosità campionaria 200. . . . 72

3.9 Output K - S Test (Nero), e Kuiper Test (Rosso) della distribuzione Normale, al variare della media con numerosità campionaria 500. . . . 72

3.10 Output K - S Test (Nero), e Kuiper Test (Rosso) della distribuzione Beta al variare di ↵ . . . 73

3.11 Output K - S Test (Nero), e Kuiper Test (Rosso) della distribuzione asimmetrica al variare della media. . . 74

3.12 Output K - S Test (Nero), e Kuiper Test (Rosso) della distribuzione asimmetrica al variare della deviazione standard. . . 74

3.13 Output K - S Test (Nero), e Kuiper Test (Rosso) della distribuzione asimmetrica al variare dell’asimmetria . . . 75

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Il rischio sistemico è uno dei fenomeni tuttora più discussi ed ancora aperti in economia. La recente crisi economico - finanziaria ha portato alla ribalta aspetti fino ad allora poco studiati, ma quando si tratta di rischio sistemico , l’errore che spesso viene commesso è proprio quello di non considerare elementi rilevanti ai fini della stabilità economica e finanziaria. La crisi infatti ha evidenziato concetti come il00Too Big to Fail00, spostando l’attenzione del concetto di rischio e crisi

fi-nanziaria a livello sistemico.

Negli ultimi anni gli studi verso questo fenomeno sono cresciuti, come sono cre-sciuti anche gli interventi per limitarlo, sia da un punto di vista della regolamen-tazione (quindi a livello di autorità di vigilanza), sia da un punto di vista delle strategie di business (gli stessi intermediari all’interno delle loro strategie cercano di limitare il rischio sistemico).

Uno degli errori che più comunemente si rischia di commettere, nel comprende-re le cause del rischio sistemico, è quello di consideracomprende-re il sistema bancario come unico o principale imputato. L’obiettivo di questo lavoro consiste nel chiarire il ruolo che i diversi intermediari svolgono di fronte al rischio sistemico in termini di contributo al rischio, creando una classifica, attraverso il Conditional Value at Risk (CoVaR). L’analisi viene svolta in Europa e negli Stati Uniti,nell’arco tempo-rale 2006 - 2014 confrontando tre importanti settori finanziari: bancario, assicura-tivo, servizi finanziari. Quest’ultimo comprende alcune tipologie di intermediari finanziari non bancari e non assicurativi come ad esempio: prime broker, hol-ding, hedge funds. Lo studio tuttavia non si limita all’arco temporale sopraindi-cato, ma approfondisce l’argomento anche ad alcuni sotto-periodi.

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Un ’altra parte del lavoro invece consiste nel confrontare due importanti test di dominanza e significatività come il Kolmogorov - Smirnov Test ed il Kuiper Test in termini di precisione attraverso un’analisi di simulazione Montecarlo. I due test nel lavoro principale vengono utilizzati per verificare i risultati ottenuti. Nel primo capitolo vengono introdotte alcune definizioni di rischio sistemico e spiegate alcune sue componenti come gli shock ed i meccanismi di propagazione, quest’ultimi poi vengono ripresi e analizzati attraverso i modelli di contagio. In-fine oltre a riproporre alcune misure tradizionali di rischio sistemico viene svolta una descrizione di tutti e tre i settori con casi reali per ognuno.

Nel secondo capitolo si presentano tutte le variabili di interesse per l’implemen-tazione del modello attraverso un analisi grafica, le statistiche descrittive e alcuni test.

Infine nel terzo capitolo viene presentata la procedura a sei step che porta alla costruzione del modello per valutare la rischiosità dei tre settori, sia in tutto l’ar-co temporale che nei vari sotto-periodi. Successivamente si procede l’ar-con l’analisi Montecarlo dove vengono valutati i due test.

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I

L

R

ISCHIO

S

ISTEMICO

1.1 Definizioni e componenti

1.1.1 Definizioni

Riguardo al rischio sistemico, non esiste una definizione univoca di questo con-cetto, ma in letteratura possiamo trovarne diverse, ognuna delle quali evidenzia un particolare aspetto del rischio sistemico. Una prima descrizione la troviamo nella Gazzetta Ufficiale Europea, la quale lo definisce come un rischio di disor-dine del sistema finanziario, che può avere gravi conseguenze negative per il sistema finanziario stesso e l’economia reale. Già da questa prima definizione si percepisce l’accezione negativa del termine: si parla di un evento negativo che a sua volta influenza negativamente altri soggetti. De Bandt e Hartmann (2000) paragonano il rischio sistemico per gli operatori dei mercati finanziari a Nessie, il mostro di Loch Ness, per gli scozzesi: tutti credono che esista ma nessuno lo ha mai visto, tutti conoscono la portata del pericolo ma nessuno sa dove e quando può attaccare, eppure non esistono dubbi sulla sua esistenza e presenza. Prose-guendo con le definizioni troviamo quella di Hunter e Marshall (1999): il rischio sistemico è la possibilità che uno shock interno al sistema finanziario possa dan-neggiare seriamente funzioni cruciali come la valutazione delle attività (il valore degli asset, pericolo svalutazione), l’allocazione del credito, i meccanismi dei si-stemi di pagamento e regolamento, ed imporre pesanti costi da sostenere per l’economia reale. Ancora, come Das e Uppal (2001) affermano esso deriva da un

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evento non frequente, ed è altamente correlato tra i vari asset o come Kaufman (1994) lo definisce come una serie di perdite a catena derivanti da un unico evento all’interno di un sistema.

Alcune delle definizioni date fino ad ora variano a seconda dell’oggetto d’in-dagine, alcune come quella della Bank for International Settlements (che tratta il rischio sistemico come un disturbo del sistema finanziario il quale porta a crisi attraverso reazioni a catena o addirittura al collasso) sono riferite al sistema ban-cario, con il trascorrere del tempo il mondo bancario e quello finanziario hanno intessuto legami sempre più stretti e complessi e quindi si arriva a definizioni di rischio riferite anche ad altri ambiti, come quella di Kupiec e Nickerson (2004): uno shock economico di modesta entità provoca un aumento della volatilità dei prezzi degli assets, una diminuzione della liquidità, perdite di efficienza e falli-menti. O quella del’US Commodity Futures Trading Commision, la quale affer-ma che il fallimento di un attore in un mercato porti al fallimento o a ripercussioni ad altri attori dei mercati finanziari.

1.1.2 Le componenti del rischio sistemico

Dopo aver analizzato e descritto le varie definizioni di rischio sistemico, si passa ad un’analisi più approfondita di questo fenomeno ripartendo dalla descrizio-ne presente descrizio-nell’articolo di Bazzana e Debortoli (2002)[21], descrizio-nel quale, l’oggetto in analisi, viene definito come il rischio di sperimentare un evento sistemico in senso forte, con un raggio di azione più o meno ampio. Si esamini nel dettaglio la locuzione “Evento sistemico” scomponendola nelle sue due componenti fon-damentali: lo shock e il meccanismo di propagazione. Partendo dal primo, esso viene definito come una qualsiasi modificazione strutturale di un sistema eco-nomico, e ne esistono diverse classificazioni: e lo shock può essere classificato in base alla dimensione, quindi come idiosincratico, quando si tratta ad esempio del fallimento di un singolo intermediario finanziario, o come sistemico se riguarda l’intera economia o più sistemi economici. Ancora, lo shock si può suddividere in base alla possibilità di proteggersi, quindi in assicurabile e non assicurabile.

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indi-rettamente in base alla quantità e alla qualità delle informazioni disponibili. Il meccanismo di propagazione può differenziarsi in base alla tipologia di shock: se si tratta di uno shock locale, allora si è in presenza di propagazione in senso stretto, che può essere bassa o elevata in base alla potenza degli effetti strutturali sul sistema economico; se invece si tratta di shock sistemico, si è in presenza di propagazione interna.

Dopo aver esaminato e descritto le due componenti fondamentali dell’evento sistemico possiamo passare ad uno studio delle sue caratteristiche. Anche qui esiste una suddivisione in base alla dimensione e all’intensità dell’impatto. Par-tendo dalla prima caratteristica è possibile parlare di evento sistemico in senso stretto ed in senso ampio, la differenza tra i due consiste nella manifestazione de-gli effetti negativi, infatti quando si tratta di evento sistemico in senso stretto, de-gli effetti negativi si propagano anche ai soggetti sani nello stesso mercato, al contra-rio quando si parla di senso ampio la manifestazione si estende anche a soggetti di altri mercati. Riguardo all’impatto invece, abbiamo quattro diverse distinzioni di eventi sistemici: forti in senso stretto, se la crisi o il fallimento del soggetto interessato dipendono dallo shock iniziale; deboli in senso stretto nel caso in cui gli effetti del soggetto colpito non comportino effetti a soggetti connessi; forti in senso ampio se la maggior parte dei soggetti coinvolti fallisce; infine deboli in senso ampio quando la maggior parte dei soggetti coinvolti non fallisce.

1.2 Meccanismi di propagazione del rischio

sistemico

La propagazione del rischio sistemico varia a seconda del contesto. Può dipen-dere da diversi fattori: le asimmetrie informative, la sfiducia tra gli operatori, la sfiducia tra i risparmiatori e la regolamentazione. In base al contesto ed alla combinazione di alcune di esse in letteratura esistono alcuni modelli in grado di spiegare la propagazione e il contagio del rischio sistemico.

Al contagio del rischio sistemico è sempre stata affiancata la figura del settore bancario, a cui, però, si è aggiunta l’innovazione del sistema finanziario, che ha

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portato strumenti sempre più innovativi e complessi, e soprattutto non adeguata-mente regolamentati. Questi strumenti, inoltre, connettono tra loro più settori, da quello bancario a quello assicurativo, agli hedge funds, quindi trattare il rischio sistemico in un settore solo risulterebbe non solo riduttivo ma anche errato. Si di-stinguono così i modelli di contagio nei mercati finanziari da quelli più specifici del settore bancario.

1.2.1 Modelli di contagio nei mercati finanziari

I mercati finanziari costituiscono sia un mezzo di propagazione che una fonte di eventi sistemici e i modelli che vengono descritti presentano come peculiarità per il contagio le scelte di portafoglio. Kodres e Prtisker (2001) considerano il ribilanciamento di portafoglio nei mercati internazionali, a seguito di shock ma-croeconomici, come causa di contagio, con le asimmetrie informative nel ruolo di amplificatore. Essi sostengono che alla tradizionale letteratura, la quale sostie-ne che alla base della diffusiosostie-ne di uno shock ci sono le asimmetrie informative e la liquidità, deve essere aggiunta la variabile delle scelte di portafoglio; senza quest’ultima risulterebbe difficile spiegare la simultaneità di eventi sistemici e gli aumenti di volatilità. Il loro modello è costruito e definito con lo scopo di eviden-ziare movimenti di prezzo in periodi nei quali le condizioni macroeconomiche rimangono invariate, ad esempio nell’arco di una settimana. Gli asset rischio-si del modello rappresentano gli indici azionari di ogni paese, che al momento della liquidazione vengono scomposti in due parti tali da rappresentare la parte informativa (quindi calcolare l’incidenza delle asimmetrie informative) e quel-la macroeconomica. Il contagio si genera quando a seguito di shock interni di natura macroeconomica gli investitori ribilanciano i loro portafogli su altri mer-cati in base all’esposizione di quest’ultimi a fattori macroeconomici. In questo contesto le imperfezioni di mercato, come le asimmetrie informative, non fanno altro che amplificare il contagio: tanto più è alto il grado di asimmetria informa-tiva, più elevato sarà il contagio; si capisce così l’esposizione maggiore dei paesi emergenti, che generalmente possiedono un basso grado di informazione.

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rendimenti della distribuzione di un singolo asset o per shock diffusi sui fonda-mentali, gli investitori riposizionano i fondi disponibili in base ai principi base della teoria di portafoglio. Il leverage e la diversificazione sono sufficienti a spie-gare il contagio. Sono escluse dal modello le imperfezioni di mercato.(Bazzana e Debortoli 2002)[21]. Essi differenziano due tipi di shock: uno da distribuzione dei rendimenti degli asset, e uno ex - post che provoca perdite sugli asset stes-si. Se si è in presenza di uno shock della prima tipologia l’investitore procede a riposizionare gli asset liquidando le posizioni rischiose in base al grado di leve-rage e distribuzione congiunta dei rendimenti. Supponendo si tratti di investi-tore razionale ridurrà le posizioni rischiose se i rendimenti derivanti dagli asset sono minori degli oneri finanziari, e la riduzione sarà tanto più elevata quanto più è alto il grado di leverage, anche se gli autori sostengono che la riduzione di posizioni rischiose sia sempre significativa, anche con basso grado di levera-ge. Calvo e Mendoza (1999) affermano che il contagio si origina dall’allocazione dei fondi ed è amplificato dalle asimmetrie informative e dalla globalizzazione, le quali riducono l’incentivo alla ricerca di informazioni rilevanti e incoraggiano l’imitazione al portafoglio di mercato. Il loro modello riguarda l’allocazione dei fondi in mercati globalizzati e caratterizzati da asimmetrie informative che am-plificano il contagio grazie alla riduzione di incentivi per procurarsi informazioni rilevanti (Bazzana e Debortoli). Il contagio si manifesta quando gli investitori ra-zionali che vogliono massimizzare i profitti, decidono di non pagare per ottenere informazioni rilevanti ai fini delle scelte di portafoglio, esponendosi in questo modo a notizie provenienti da vari paesi, o quando scelgono di imitare il por-tafoglio di mercato, seguendo ad esempio i benchmark dei fondi passivi (ETF1).

Inoltre, il contagio è favorito dalla globalizzazione, dai problemi di regolamenta-zione di alcuni mercati e da caratteristiche specifiche istituzionali. Partendo dalla prima condizione, quella dell’ utilità dell’informazione, essa cala se necessita di costi aggiuntivi all’aumentare da parte dell’investitore del numero dei paesi in

1Gli ETF (Exchange Traded Fund) sono strumenti finanziari a gestione passiva, assimilabilo

ai fondi comuni, in quanto replicano perfettamente l’andamento di uno specifico indice o paniere di indici i titoli.

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cui poter investire: quindi, la globalizzazione, in aggiunta alla scarsa , amplifi-ca i contagio. Riguardo invece alla seconda amplifi-caratteristiamplifi-ca, quella dell’imitazione del benchmark, gli investitori tendenzialmente possono essere portati a seguire il portafoglio di mercato; se poi esistono notizie tali da incentivare molti investitori, allora il contagio sarà ancora più diffuso se si pensa che molti portafogli saranno composti da attività simili.

1.2.2 Modelli di contagio nel mercato interbancario

Prima di elencare e descrivere alcuni modelli di contagio interbancario è necessa-rio richiamare alcuni fenomeni del settore riguardo al contagio stesso e alle crisi. Uno dei fenomeni più diffusi è il “bank run” , la tradizionale corsa agli sportelli causata da notizie negative sulla banca stessa. Se poi si estende il “bank run” all’intero sistema bancario allora si parla di “bank panic”, anche se per trattare di quest’ultimo“, secondo Calomiris e Gorton (1991), occorre almeno la sospensione della restituzione dei depositi o quantomeno dei seri tentativi per evitarla.

Esistono due canali di propagazione degli shock, uno è l’esposizione diretta (quindi con effetti provenienti dal mercato interbancario2o dal sistema dei

paga-menti3), e l’altro è quello informativo (la corsa agli sportelli).

Si procede ora alla descrizione di tre modelli di contagio: Chen (1999), Aghion e Banerjee (1999) ed Allen e Gale (2000).

Il modello proposto da Chen (1999) propone due cause per spiegare la diffu-sione del panico e il contagio: l’applicazione del FIRST - COME - FIRST - SER-VED4e l’imprecisione di informazioni agli investitori relative agli asset della

ban-2Mercato per la negoziazione di depositi interbancari attraverso il circuito telematico, al quale

possono partecipare le banche

3È definito dalla Banca d’Italia come l’insieme degli strumenti, delle procedure,dei circuiti di

regolamento e delle norme volti a realizzare il passaggio della moneta da un operatore all’altro, e a consentire la compensazione e il regolamento delle operazioni aventi ad oggetto strumenti finanziari su diversi mercati.

4I depositanti informati, conoscendo la potenziale risposta di altri, per evitare che le loro

richieste risultino insoddisfatte si affidano alla regola in questione, la quale prevede che i primi depositanti che fanno o richiesta di rimborso saranno i primi ad essere soddisfatti.

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ca. Riguardo a quest’ultima, sono i consumatori a decidere se depositare le loro disponibilità liquide in una banca o in un’altra, la quale a sua volta le investe con un rendimento certo. I consumatori più informati sugli asset bancari decidono subito dove e se depositare, creando già un piccolo shock. Gli altri, quelli meno informati, reagiscono di conseguenza al segnale dei primi, e se i rendimenti delle banche sono positivamente correlati, lo shock si diffonde più velocemente. Per quanto concerne il fenomeno del FIRST - COME - FIRST - SERVED, i consumato-ri più informati utilizzeranno questa regola per anticipare quelli meno informati, alle volte senza nemmeno attendere informazioni più attendibili e aggiornate, diffondendo così il contagio.

Aghion Bacchetta e Banerjee (1999) affermano che il contagio si diffonde quan-do una banca nonostante il ricorso al mercato interbancario, non riesce a fron-teggiare le asincronie di cassa dovute alle richieste di rimborso dei depositanti, causando di conseguenza il panico tra quest’ultimi, che la interpretano come una mancanza di liquidità scatenando il contagio anche ad altri intermediari.

Infine Allen e Gale spiegano la trasmissione di un piccolo shock di liquidità, concentrato in una regione, ad altre banche di altre regioni. Secondo loro la forza del contagio dipende dalla struttura dei prestiti tra i vari intermediari delle re-gioni (Bazzana Debortoli 2002). Essi si concentrano sull’esposizione fisica delle banche, trascurando di conseguenza il lato informativo. Il modello in questione è costruito su quattro regioni, ogni banca nella sua regione raccoglie il risparmio, eroga il credito ed investe. Quando i risparmiatori di una regione affrontano uno shock di liquidità sono costretti a ritirare i loro depositi per fronteggiare la tensione di liquidità. Di conseguenza agli intermediari si aprono diverse scelte:

• fronteggiare le richieste dei depositanti con gli investimenti a breve in sca-denza;

• liquidare i depositi interbancari; • liquidare gli asset;

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In questo contesto è il mercato interbancario dei depositi che assume un ruolo di assicurazione, e fino a che esiste liquidità sufficiente nel sistema non si pone il problema del contagio. Ma quando le disponibilità di liquidità da parte di chi subisce lo shock non è sufficiente e le banche delle altre regioni risentono dei pre-lievi nel mercato interbancario dei depositi allora si genera il contagio. L’impatto e la propagazione di tale shock dipendono come già detto dalla struttura dei pre-stiti interbancari: più le relazioni tra banche sono fitte e stabili, quindi in presenza di un mercato completo, più lo shock sarà facilmente assorbito; in caso contrario, quindi con un sistema di prestiti interbancari ristretto a pochi intermediari tutte le regioni rischiano di incorrere in fallimenti a catena.

1.3 Misure tradizionali di rischio sistemico

In letteratura esistono molteplici misure per il rischio sistemico, data la nume-rosità degli scenari che si possono presentare. Come già scritto in precedenza quando si tratta di rischio sistemico si ha a che fare con: eventi sistemici, shock, impatti più o meno forti e meccanismi di propagazione. Il mix di tutti questi ele-menti comporta la ricerca di una misura adatta ad ogni tipo di scenario. Motivo per il quale si descriveranno brevemente alcune misure utilizzate nei mercati.

Una prima misura è il Var (Value at risk), cioè una misura che indica la mas-sima perdita potenziale che un posizione può subire ad un livello di confidenza predeterminato5, in un determinato orizzonte temporale. In termini di

portafo-glio può essere definito così:

• W0= Valore iniziale del portafoglio;

• Wt= Valore del portafoglio alla fine dell’orizzonte temporale;

• W⇤= Valore minimo del portafoglio alla fine dell’orizzonte temporale al

livello di confidenza prescelto; • R= Rendimento del portafoglio;

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• R⇤= Rendimento minimo del portafoglio al livello di confidenza prescelto.

V aR = W⇤ = E(Wt) W⇤ = W0[E(R) R⇤] (1.1)

W⇤ è il VaR di portafoglio, si può affermare che fino al tempo t la perdita

mas-sima sarà di W⇤ 6, al livello di confidenza scelto[38]. Questa misura di rischio

può essere calcolata con tre metodi: quello storico, quello di Monte Carlo e quello parametrico. Il metodo storico cerca di prevedere come i prezzi si muovono sulla base dell’analisi di eventi passati. Necessita della creazione di un dataset con-tenente le variazioni giornaliere delle variabili di mercato al fine di ottenere un certo numero di scenari. Per ciascun scenario si calcola la variazione del valore del portafoglio da un giorno all’altro. La variabile di mercato assume un valore pari a:

⌫m =

⌫i

⌫i 1

(1.2) nell’i -esimo scenario, dove m è il numero delle osservazioni giornaliere di-sponibili, ⌫i il valore della variabile al giorno i e m 1 gli scenari disponibili

(Hull “Opzioni, Futures ed altri derivati”)[?] . Tra i vantaggi di questo metodo si riscontra la semplicità, dato che è possibile stimare il Var direttamente dai prezzi, e la non necessità di lavorare con distribuzioni normali o lineari, mentre la forte dipendenza dai dati utilizzati7comporta il lato negativo del metodo.

Il metodo Monte Carlo comporta la simulazione dei rendimenti delle attività rischiose, sotto alcune ipotesi sulla distribuzione precedentemente determinate. La simulazione Monte Carlo prevede l’estrazione casuale di valori da distribu-zione di probabilità, spesso si utilizza la normale. I valori vengono poi inseriti in un modello di pricing, del quale i parametri derivano dalla serie storica della va-riabile di riferimento. La simulazione viene replicata un numero di volte tale che i coefficienti di statistica descrittiva delle variabili simulate convergano a quelli dei dati storici, infine con le variabili simulate si ricostruiscono i rendimenti e,

6La valuta euro ha solamente un ruolo indicativo per specificare che si tratta di perdite in

termini di capitale

7Intesa come grande disponibilità di dati, che quest’ultimi riflettano il futuro. In questo senso

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in base al quantile scelto, si stima il Var (Bazzana 2001). Anche questo metodo consente di trattare con distribuzioni non normali, ma i risultati dipendono dal modello di simulazione utilizzato.

L’ultimo metodo di calcolo del Var proposto è quello parametrico, esso vie-ne considerato la principale alternativa alle simulazioni storiche: si calcola ana-liticamente la distribuzione probabilistica dei tassi di variazione del valore del portafoglio.

Var = E · · ↵ ·pt (1.3) dove E è il valore corrente del portafoglio, la volatilità giornaliera, ↵ l’intervallo di confidenza al quale è associata una certa probabilità,ptl’orizzonte temporale espresso in giorni. Per la stima della volatilità giornaliera si utilizza la volati-lità annuale fratto la radice dei giorni considerati in un anno (ad esempio 360, 365, 252). Al contrario delle altre due metodologie, quest’ultima, non gode della facilità di trattare con distribuzioni non normali e non lineari.

Il Var facilita l’attività dei manager riassumendo in un unico numero il ri-schio complessivo di un portafoglio di attività finanziarie, risulta molto intuitivo, infatti restituisce una soglia massima di perdita.

Tuttavia questa misura di rischio presenta alcuni limiti, infatti descrive lo sce-nario peggiore dentro un intervallo di confidenza, ma non descrive la reale perdi-ta peggiore possibile, inoltre non dice nulla sulla distribuzione delle perdite nella coda di quest’ultime, perchè il Var è un quantile e per definizione è un caratteri-stica locale di una distribuzione. E’ possibile concludere che risulta una misura di rischio incoerente anche se molto utilizzata.

Una misura in grado di superare il limite della località è il CoVar(Conditional Value at Risk), chiamato anche ES(Expected Shortfall), esso non è altro che la perdita attesa condizionata dal fatto che la perdita sia superiore al Var.

Es↵ = (X/X V ar↵) (1.4) Dove X sta per perdite. Sostanzialmente se il Var risponde alla domanda “Quan-to male possono andare gli investimenti?”, il CoVar risponde alla domanda “Se gli investimenti vanno male qual’è la perdita attesa?”. Essendo il valore atteso

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Figura 1.1: (Fonte: Stan Uryasev “Var vs Cvar in Risk management and Optimization”)

della perdita condizionata al fatto che la perdita debba andare oltre al quantile che definisce il Var, il CoVar sarà tanto più maggiore del Var quanto più lunga è la coda delle perdite.

Rispetto al Var il CoVar è migliore anche per risolvere problemi di ottimizza-zione al fine di minimizzare i rischi di portafoglio.

La scelta di utilizzare una misura piuttosto dell’ altra è caratterizzata da alcu-ne variabili (Stan Uryasev “Var vs Cvar in Risk management and Optimization”)[39]:

• Differenza nelle proprietà matematiche statistiche; • Stabilità nella stima;

• Semplicità nei problemi di ottimizzazione; • Requisiti dei regolatori;

Per quanto riguarda le proprietà matematiche e la semplicità nei problemi di ot-timizzazione risulta preferibile il CoVar, mentre per la stabilità nella stima il Var. Infine per quanto riguarda i regolatori, nel terzo pilastro di Basilea 2 è precisato che il VaR è ampiamente utilizzato quale misura del rischio di portafoglio ma non fornisce alcuna informazione concernente le perdite potenziali nel caso in

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cui i limiti di VaR siano superati. Tale indicazione è invece fornita dall’ “Expec-ted Shortfall” (ES) che rappresenta il valore atteso delle perdite che eccedono la soglia di VaR. Il Credit VaR di portafoglio e l’ES dipendono significativamente dalla correlazione tra i default e possono essere ridotti attraverso un’adeguata diversificazione del portafoglio.

1.4 [I tre settori (Assicurativo, Servizi finanziari,

Bancario)

1.4.1 Il settore assicurativo

Nel 1964 ci fu la prima conferenza delle Nazioni Unite per il commercio e lo sviluppo, (UNCTAD - united nations conference on trade and development-) a proposito dell’incremento dell’attività assicurativa, vista come importante aspet-to della crescita economica. Dal 1997 al 2007, prima dell’inizio della crisi, c’è stata un’importante crescita del settore assicurativo, circa del 55%, inoltre nel 2009 il 7% del DGP mondiale è stato utilizzato per l’acquisto di prodotti assicurativi.

Ci sono stati molti studi in passato sulla connessione tra l’attività assicurativa e la crescita economica: alcuni di questi hanno analizzato l’impatto delle impre-se assicurative sulla crescita economica prendendo in esame la teoria dell’offerta (Beenstock, Dickinson e Khajuria 1988; Haiss e sumeri 2008; Lee 2011; Soo 1996); altri hanno studiato l’impatto della crescita economica sull’attività assicurativa basandosi sulla teoria della domanda (Beck e Webb 2003, Brown e Kim 1993; Lee e Chin 2012; Outreville 1990); infine c’è’ chi ha studiato il nesso tra l’attività as-sicurativa e la crescita economica riferendosi sia alla teoria della domanda che dell’offerta (Chang, Lee e Chang 2013; Han, Li, Moshiran e Tian 2010; Kugler e Ofoghi 2005; Lee e Huang 2013; Lee e Lee 2013; Nejad e Kermani 2012; Vadlaman-nati 2008; Ward e Zurbruegg 2000) e chi ha esaminato il modo in cui l’industria assicurativa ha influenzato la società e l’economia (Dorman 2008; Haiss e Sumegi 2008; Njegomir e Stojic 2010; Rejda 2005; Skipper 1997; Skipper e Known 2007) trovando circa sei fattori chiave: la promozione della stabilità finanziaria, l’age-volazione negli scambi e nel commercio (l’attività più antica), la diffusione e la

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promozione del risparmio domestico, la gestione dei vari rischi in maniera effi-ciente (favorendo così l’accumulazione di nuovo capitale), la promozione di una più efficiente allocazione del capitale e la limitazione e riduzione delle perdite derivanti dall’attività economica e non.

Nel valutare il grado di sistematicità delle imprese di assicurazioni è oppor-tuno fare alcune considerazioni sulla loro connessione con il resto del mercato finanziario, e sulla loro rischiosità: la crisi economica finanziaria del 2008, è par-tita dal settore bancario, ma una delle cause è stata il collasso di molte compagnie assicurative multinazionali. Al contrario di una banca la compagnia assicurativa non accetta depositi, quindi da questo punto di vista non si corre il pericolo di un corsa agli sportelli, anche perchè difficilmente una compagnia cancellerebbe le polizze, dato che l’operazione comporterebbe perdite ingenti. Al contrario inve-ce la caninve-cellazione di un conto corrente oltre che a provocare tensioni di liquidità porterebbe a mancate entrate future. Negli Stati Uniti, ad esempio, le assicura-zioni hanno requisiti patrimoniali più severi. Infine, un altro fattore importante è rappresentato dalle operazioni del ramo vita a lungo termine. Queste, oltre al fatto che dovrebbero avere un minor impatto nel sistema, sono soggette ad un aleatorietà che non ha nulla a che fare con il mercato finanziario. Eppure, nono-stante tutto, le compagnie assicurative hanno subìto gravissime perdite sui loro assets, in certi casi anche maggiori, rispetto al settore bancario. Le cause di questa esposizione al rischio sistemico e di queste perdite sono da ricondurre alle atti-vità che non entrano nel core-business di un’impresa assicurativa, ma che hanno avuto una diffusione molto rilevante nel mercato assicurativo. Grazie a queste si spiega lo stretto legame con il mercato bancario, finanziario e l’economia reale. Prima di descrivere nel concreto queste attività viene proposto un esempio per comprendere meglio la connessione tra il mercato del credito e quello assicura-tivo: quando un cliente si fa erogare un finanziamento da un intermediario per svolgere un’attività esso affronta dei rischi e può non essere in grado di ripagare il proprio debito, l’impresa assicurativa assicura un parte di quei rischi. Tornan-do alle suddette attività esse prenTornan-dono il nome di “Credit default Swap”. Il CDS è un contratto swap appartenete alla categoria degli strumenti finanziari derivati

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sul rischio di credito, che offre la possibilità di coprirsi dall’eventuale insolvenza di un debitore attraverso il pagamento di un premio periodico, più in particolare consente al soggetto che detiene un credito di pagare una somma fissa periodica alla controparte, espressa in basis point, rispetto ad un nozionale, in cambio di un trasferimento del rischio di insolvenza sul credito stesso. Le somme dei pa-gamenti sono in genere proporzionali alla probabilità di insolvenza, inoltre uno degli aspetti rilevanti di questo strumento consiste nell’opportunità che le due controparti possano non avere alcun rapporto di credito con il terzo soggetto, perchè il sottostante è il merito creditizio, e non il credito stesso. Se poi consi-deriamo il caso dei CDS scritti su CDO (collateralized debt obbligations), appar-tenenti alla categoria degli strumenti finanziari primari, i quali garantiscono un reddito fisso e sono scritti su un portafoglio di attività eterogenee(obbligazioni, strumenti di debito ecc), si capisce come il mercato assicurativo, quello finanzia-rio, quello creditizio e l’economia reale siano interconnessi tra di loro, e come il collasso di una grossa istituzione possa ripercuotersi in tutti gli altri settori. Basti pensare ai CDS scritti su CDO a loro volta scritti sui mutui immobiliari, che una volta dichiarati insolventi generano effetti devastanti in tutta l’economia.

Per comprendere meglio gli effetti del crollo di una grossa istituzione inter-connessa con tutto il mercato si presenta un caso reale del mercato assicurativo statunitense dove viene messa in evidenza la logica del “ Too interconnected to fail” e del “ Too big to fail”.

1.4.1.1 Il caso AIG (American International Group)

America International Group è una compagnia assicurativa americana con sede a New York, fondata nel 1919 a Shangai dall’americano Cornelius Vander Starr, che opera in più di 130 paesi e vanta la più estesa rete internazionale di assicurazione sul ramo vita e sul ramo danni contro la proprietà. Non opera solo nel comparto assicurativo, ma anche nel comparto dei servizi finanziari, pensionistici e di ge-stione patrimoniale. Nel settembre 2008 AIG ha evitato il fallimento solamente grazie ad un intervento di salvataggio da parte del governo statunitense: il 28 febbraio AIG annunciava, riguardo l’esercizio del 2007, un utile pari a 6,2

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miliar-di miliar-di dollari, quinmiliar-di circa 2,39 utili per azione, inoltre il titolo quotava in borsa a 50,15 dollari. Circa sette mesi dopo la compagnia si trovava sull’orlo del falli-mento, il titolo quotava circa 1 dollaro per azione e solo grazie alla trasmissione di fondi per 85 miliardi, poi diventati 128,5, da parte del governo AIG riuscì ad evitare il fallimento.

La sua trasformazione da piccolo gruppo internazionale a colosso mondia-le fu resa possibimondia-le grazie a Maurice Hank Greenberg, che introdusse uno stimondia-le manageriale nuovo, innovativo e allo stesso tempo aggressivo e flessibile. Na-turalmente il modello funzionò, ma come tante altre imprese che operavano nel mercato finanziario, anche AIG fece abuso dello strumento CDS (credit default swap), e ne divenne la numero uno per emissione. Dato che l’intero settore vale-va circa 60 000 miliardi di dollari, un fallimento di AIG avrebbe comportato una catastrofe di dimensioni enormi, quasi incalcolabili, quindi il salvataggio rispon-de sia ad una logica “ Too big to fail ” che “ Too interconnected to fail “. Consi-derato il crollo del mercato del credito e del mercato immobiliare la compagnia, si trovava esposta in milioni di operazioni, alle quali sarebbe risultata insolvente e un intervento da parte della Federal Reserve fu inevitabile (anche perchè due grandi banche americane come Goldman Sachs e J.P. Morgan non riuscirono su incarico della stessa Fed a raccogliere i fondi necessari a salvare il colosso assi-curativo, causa una crisi di liquidità dovuta al crollo del mercato creditizio senza precedent). Così la Federal Reserve erogò capitale a fronte di un prestito biennale al tasso del 8%, e il trasferimento sotto forma di warrants del 79,9 % del pacchetto azionario.

1.4.2 I servizi finanziari

Quando si tratta di servizi finanziari in questo lavoro, includiamo tutti gli in-termediari finanziari che non rientrano nel settore bancario e assicurativo come: hedge funds, holding, società finanziarie e broker. La descrizione di questo set-tore però sarà concentrata in particolare sugli hedge funds, perchè considerati come intermediario finanziario altamente speculativo, e dato il carattere rischio-so dell’oggetto di ricerca risulta più interessante un analisi descrittiva di questa

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tipologia di intermediario finanziario. Gli hedge funds sono fondi di investimen-to privati speculativi, la caratteristica che più li distingue da altre tipologie di fondi è la ricerca del massimo rendimento possibile a prescindere dall’andamen-to dei mercati, utilizzando strumenti e strategie come: short selling(vendite allo scoperto), strumenti derivati, hedging e leverage. Le vendite allo scoperto ven-gono utilizzate quando ci si aspetta un ribasso sui prezzi dei titoli, essi venven-gono presi a prestito, venduti e una volta che il prezzo scende vengono riacquistati guadagnando sulla differenza di prezzo. L’uso di strumenti derivati invece nella prassi riscontra limiti imposti dalle autorità di vigilanza , ma nei fondi specu-lativi è uno degli strumenti più gettonati , in alcuni casi raggiungono il 100% delle attività. L’hedging è una strategia di copertura di vendite allo scoperto e di strumenti derivati, si tratta di un costante bilanciamento delle posizioni. Infine il leverage(leva finanziaria) attraverso il quale è possibile, in alcuni casi, reinvesti-re il patrimonio fino anche a sette volte indebitandosi e reinvesti-reinvestendo il denaro. La nascita degli hedge funds risale al 1949, quando un giornalista americano Al-fred Winslow Jones istituì il suo fondo privato d’investimento con strategie sia di short selling che lunghe. Successivamente aprì la gestione del fondo ad altri soggetti trasformandolo così nel primo fondo multi manager della storia.

Già da questa breve descrizione si nota il grado selettivo di questi tipi di in-termediari finanziari: il loro carattere meramente speculativo svolge un lavoro di selezione naturale, perchè taglia fuori immediatamente i piccoli risparmiatori e tutti i soggetti avversi al rischio; tuttavia nel corso degli anni hanno modificato la loro operatività allargando la gamma di clienti.

Le strategie aggressive degli hedge funds e la loro quasi assenza di regola-mentazione hanno fatto si che venissero messi nel banco degli imputati durante la recente crisi, sia per l’aumento dell’instabilità, sia per il loro rapporto con i mu-tui subprime, dato che all’interno di questi fondi esiste la possibilità di negoziare qualsiasi attività. Tuttavia prima di descriverne il ruolo durante la crisi del 2008 se ne elencano alcuni benefici ed alcuni effetti negativi. Sicuramente tra i benefici apportati dagli hedge funds troviamo il miglioramento dell’efficienza dei mercati e la liquidità: le strategie di short selling hanno corretto moltissime inefficienze

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di prezzo, dato che vengono usate quando si ritiene un’attività finanziaria so-pravvalutata, e così facendo si va a correggere l’inefficienza di prezzo, per quan-to riguarda la liquidità invece, grazie al trading, sono notevolmente aumentati i flussi di transazioni apportando così più liquidità al sistema. Un altro beneficio riguarda la gestione dei rischi, la forte esposizione al rischio degli hedge funds consente a tutte le controparti che ne hanno bisogno di trovare soggetti disposti a coprire i propri rischi. Dato che si tratta di strumenti derivati viene in questo modo alimentato il mercato secondario, ampliando le scelte di risk management abbattendone anche i relativi costi. Tra gli effetti negativi si riscontra subito la loro poca regolamentazione, che unita all’elevato ricorso alla leva finanziaria, ha accentuato l’esposizione al rischio sistemico. Infatti un eventuale default di un hedge fund o di un gruppo di essi comporterebbe gravi danni al sistema finan-ziario, non solo direttamente, lasciando scoperte le posizioni delle controparti, ma indirettamente, cioè trasmettendo l’evento al sistema compromettendo la sta-bilità, generando crisi di liquidità, di efficienza, ma soprattutto causando la crisi della fiducia da parte degli operatori del mercato. Si elencano ora i principali rischi ai quali gli hedge funds sono esposti:

• Turbolenze dei mercati e calo della fiducia degli operatori, causata da de-fault singoli e di gruppo;

• Crisi di liquidità, dovuta a complesse operazioni di compravendita dettate da strategie aggressive;

• Poca trasparenza: a causa dell’insufficiente informazione la autorità di vi-gilanza non riescono a emanare provvedimenti tali da ridurre alcuni rischi; • Disciplina dei controlli interni: i gestori di questi fondi non hanno

partico-lare capacità e incentivo a creare un efficiente sistema di controlli interni; • Rischio operativo: è il tipico rischio dovuto al malfunzionamento di alcune

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• Errate valutazioni degli attivi: a causa delle scarse competenze o di conflitti di interessi tra i gestori, avvengono sopravvalutazioni degli assets;

• Insider trading, spesso gli hedge funds cercano di aggirare le discipline rivolte alla manipolazione dei mercati.

• Frodi, elevate commissioni incentivano i gestori a non operare secondo le leggi.

Da quando sono nati i fondi speculativi fino all’inizio della crisi dei mutui sub-prime hanno subito alcune modifiche, sia a livello di operatività che a livello di struttura, ne è nata una divisione sempre più marcata tra i fondi più grandi e i fondi più piccoli, con quest’ultimi che si trovano a operare in settori sempre più di nicchia dando vita ai cosiddetti fondi di fondi, i quali a loro volta hanno di fat-to permesso un allargamenfat-to della clientela consentendo così, oltre all’investifat-tore speculativo corporate o retail con grandi disponibilità, l’ingresso a investitori in-teressati a diversificare il loro portafoglio e ad investire il risparmio, andando ad inserirsi sul mercato dei piccoli risparmiatori retail. Riguardo ai fondi più grandi invece, i primi cento coprono circa il 70% del mercato degli hedge funds, e da col-laboratori stretti di grandi banche d’investimento ora sono diventati concorrenti, mutando così anche il loro ruolo verso la liquidità: da fornitore sono diventati richiedente e addirittura gli attori principali in alcuni settori. Con tutti questi cambiamenti si nota come il coinvolgimento di intermediari finanziari principali nel mondo degli hedge funds sia cresciuto enormemente, allo stesso tempo però questa stretta connessione in un periodo di forte stress finanziario può compro-mettere la sopravvivenza di quest’ultimi, ed è quello che è successo nella recente crisi: i fondi molto specializzati sono stati i primi a crollare, basti pensare a quelli che operavano nel mercato azionario, i quali hanno subito fortissime svalutazioni degli attivi, altri fondi che non hanno retto all’urto sono stati quelli specializzati nel mercato secondario dei mutui subprime. Altre condizioni che hanno portato al crollo si possono identificare nelle crisi di liquidità, il calo generale dei finan-ziamenti, le errate valutazioni degli assets e ultima ma non meno importante il

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divieto in alcuni periodi da parte dell’autorità di vigilanza di operare con ven-dite allo scoperto, che come si sa è una delle strategie fondamentali dei fondi speculativi. Quindi con il crollo delle controparti finanziarie principali in seguito a fallimenti salvataggi e fusioni il tracollo degli hedge funds è stato inevitabi-le. Se poi si aggiungono la non regolamentazione e l’elevata leva finanziaria si rientra pienamente in una situazione tipica di rischio sistemico. E’ necessario pre-cisare che molti fondi hanno adottato strategie simili con investimenti simili per cui ad un analisi quantitativa risultavano positivamente correlati e questo tipo di analisi non ha fatto altro che confermare l’elevato grado di sistematicità de-gli hedge funds, che risultano così uno dei principali protagonisti dell’aumento della volatilità nei mercati finanziari.

Si presenta di seguito un caso reale di alto grado di sistematicità di un fondo speculativo, il quale con la sua operatività ha rischiato di compromettere grandi investitori istituzionali.

1.4.2.1 Il caso LTCM (Long Term Capital Management Fund)

LTCM era un fondo speculativo fondato nel 1994 da John Meriwether, il quale tra i gestori vantava premi Nobel del Calibro di Myron Scholes e Robert Merton, e l’ex presidente della Federal Reserve David Mullins. La peculiarità di questo fondo era la tecnica con la quale si investiva nel mercato finanziario: tale tecnica consisteva nell’unione di elementi di fisica quantistica e di classiche teorie finan-ziarie e prendeva il nome di “Convergence Trading”, la teoria della convergenza. Questa si basava sull’individuare le inefficienze di mercato tracciando le curve dei tassi d’interesse, andando così ad isolare tutti gli assets che si discostavano dai valori teorici. In questo modo si investiva nell’attività che si discosta dal suo valore teorico scommettendo sulla sua convergenza al valore reale. Naturalmen-te quesNaturalmen-te differenze consentivano guadagni limitati, ma con l’utilizzo estremo della leva da parte di LCTM i guadagni venivano incrementati esponenzialmen-te. Il fondo quindi faceva un elevato utilizzo di titoli obbligazionari e strumenti derivati per la copertura. La strategia era quella di puntare sull’acquisto di tito-li governativi di paesi che si ritenevano non adeguatamente prezzati, o di titotito-li

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non liquidi di paesi emergenti come la Russia Si praticava quindi una strategia di arbitraggio, investendo circa 1200 miliardi di dollari che provenivano da un capitale di soli 4 miliardi, ma con uno spropositato utilizzo della leva finanziaria anche fino a 60 volte, si riusciva con complesse operazioni finanziarie a muovere una quantità abnorme di denaro. Nel 1996 il fondo aveva profitti oltre il 40% sul-le attività, incominciando ad attrarre sempre più investitori di spessore: banche centrali, grandi banche d’investimento ecc. Ma nel 1998 dopo aver raggiunto la sua massima affermazione avvenne un evento non prevedibile nemmeno dalle più sofisticate tecniche matematico - finanziarie: la crisi russa comportò una cor-sa sfrenata all’acquisto di titoli ritenuti sicuri come quelli tedeschi e statunitensi, creando così un aumento sempre più ampio dello spread tra quest’ultimi e quel-li nei quaquel-li il fondo aveva investito, in questo modo i valori non convergevano più a quelli teorici come il fondo stesso aveva scommesso, comportando per il fondo svalutazioni dell’attivo anche fino al 90%, inoltre a causa della dimensio-ne del fondo e dell’enorme utilizzo di strumenti derivati, il contagio dimensio-nel sistema finanziario e nell’economia reale era inevitabile. Così la Federal Reserve decise di intervenire per il salvataggio seguendo la logica del “Too big to fail”: abbassò i tassi inondando il mercato di liquidità per permettere alle banche partecipanti al salvataggio di raccogliere il denaro necessario. Alla fine la Russia lentamen-te si riprese, permetlentamen-tendo al fondo di guadagnarci, ma ormai si presentava con un capitale ridotto di più di tre miliardi di dollari, circa 600 milioni di dollari, e con una svalutazione complessiva dell’attivo di circa il 44% Agli inizi del 2000 il fondo chiuse i battenti.

1.4.3 Il settore bancario

Dagli inizi degli anni Novanta ad oggi il settore bancario ha subito profonde trasformazioni: come per ogni situazione le novità portano con sè sia pregi che difetti, e alcuni di questi difetti hanno determinato le cause della crisi economico - finanziaria globale del 2008.

Si poteva riscontrare nel settore una spiccata concorrenza nelle tradizionali attività bancarie quali la raccolta del risparmio e l’erogazione del credito, il che

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portava sicuramente ad una minor redditività per l’intero settore. Così per au-mentare i profitti, le banche commerciali e quelle d’investimento cominciavano a spingersi maggiormente all’interno dell’innovazione finanziaria. La vendita di prodotti molto strutturati e sofisticati andava sicuramente a colmare il gap crea-to dalla concorrenza nelle tradizionali attività generando profitti che andavano ben oltre le aspettative. Naturalmente, come detto in precedenza, questa novità portava con sè qualcosa di negativo: stava lentamente cambiando il modo di fa-re banca. Se prima le banche per concedefa-re il cfa-redito si basavano totalmente su il merito creditizio, quindi sulla solvibilità di un impresa o di un soggetto, ora due importanti fattori stavano aprendosi la strada sul mondo bancario. Un pri-mo fattore consisteva nella possibilità da parte delle banche di acquisire vantag-gi competitivi offrendo ai clienti oltre i classici prodotti bancari ulteriori servizi finanziari molto sofisticati, il che portava le banche stesse a essere sempre più interessate ad allargare la quantità di clienti a prescindere dalle loro capacità di rimborso. Operando in questo modo, oltre allo stesso rischio diretto che le ban-che sopportavano, si andavano a creare asimmetrie informative in quella rete di informazioni che le banche tra di loro utilizzano per scambiarsi tra di loro infor-mazioni sul merito creditizio. Le inforinfor-mazioni risultavano spesso distorte perchè c’era una sempre più scarsa attenzione sulla qualità delle controparti.

Il fattore, però, che maggiormente ha cambiato l’operatività delle banche è stato il passaggio dal modello OTH (Originate to hold) al modello OTD (Origina-te to distribui(Origina-te): in sostanza si è passati da una de(Origina-tenzione fino a scadenza delle attività00illiquide00come ad esempio dei mutui, ad un espulsione delle medesime

dal bilancio vendendole al mercato, attraverso il processo di cartolarizzazione, tramite strumenti come gli ABS8 (asset backed securities) e CDO (collateralized

debt obbligations). Il modello OTD consente ad una banca di generare profitti

8Le ABS (asset backed securities) sono strumenti finanziari emessi a fronte di operazioni di

cartolarizzazione, garantiti da attività come prestiti, obbligazioni, crediti su carte di credito, credi-ti commerciali, mutui, prescredi-ticredi-ti su automobili, canoni per la locazione di aeromobili, diritcredi-ti musicali ecc. Esse sono simili alle obbligazioni con la differenza che il pagamento della cedola è correlato positivamente con le somme incassate su tutti questi crediti. Le ABS vengono divise in tranche con le rispettive seniority, e quando le attività sono rappresentate solo da mutui vengono definiti MBS (mortgage backed securities).

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più rapidamente del vecchio sistema, basti pensare alla quantità di mutui che è possibile stipulare e poi immediatamente rivendere sul mercato con uno spread sui tassi sicuramente più favorevole alla banca stessa. Il lato oscuro di questo modello è la sua stessa forza, con questo sistema l’incentivo da parte dei mana-ger è di creare sempre più attività, trascurando la qualità stessa di quest’ultime. A tutto ciò, si deve aggiungere la scarsa regolamentazione in materia di requisiti patrimoniali e vigilanza riguardo ai nuovi strumenti finanziari: nel 2007 il cal-colo dei requisiti patrimoniali di Basilea II delle attività non tradizionali non era ancora stato assimilato del tutto. Il risultato di questo processo era uno scenario nel quale la maggior parte degli intermediari finanziari (comprese le banche) si trovavano sotto - capitalizzati. La scarsa adeguatezza patrimoniale e l’uso im-proprio di strumenti derivati senza il calcolo dei relativi rischi è stata una delle cause della crisi attuale.

Per capire il grado di rischiosià a livello sistemico delle banche è utile notare un dato proveniente dal FMI(Fondo monetario internazionale) il quale afferma che la perdita derivante dalla crisi fino al 2012 è di più di 3400 miliardi di dolla-ri, di cui circa 2800 provenienti da banche, sia commerciali che d’investimento. Circa l’80% delle perdite proviene dalle banche, quindi si intuisce quanto una regolamentazione efficiente di questo settore sia fondamentale per il mercato fi-nanziario e per l’economia reale. Prima di trattare di come la crisi ha investito il settore bancario mondiale si evidenziano i rischi tipici dell’attività bancaria:

• Rischio di liquidità: incapacità da parte dell’intermediario di fronteggiare le passività con la liquidità proveniente dagli assets;

• Rischio di credito: incapacità della controparte di far fronte ai propri impe-gni creditizi;

• Rischio di mercato: rischio che le oscillazioni di tassi di interesse, di cam-bio e prezzo delle materie prime, comportino movimenti sfavorevoli nelle posizioni di portafoglio;

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• Rischio operativo: rischio di subire perdite derivanti dall’inadeguatezza o dalle disfunzioni di procedure , sistemi interni e risorse umane. Tra questi rischi rientra pure quello di legalità.

• Rischio di reputazione: rischio di subire perdite e di competitività, causa l’immagine negativa della banca stessa verso i suoi portatori di interessi; • Rischio strategico: rischio di competitività causato da scelte errate da parte

del management.

I rischi tipici durante la crisi sono stati percepiti in misure e fasi diverse, tra i pri-mi sicuramente quello di credito e quello di liquidità: dopo il rialzo dei tassi da parte della FED (Federal Reserve) nel 2006, si sono verificate le prime insolvenze sui mutui, provocando le prime perdite poi aumentate enormemente negli anni successivi. L’insolvenza della controparte ha comportato anche fortissime tensio-ni di liquidità, poi sfociate in crisi di liquidità a causa del rischio di reputazione nel mercato interbancario, dove nessuno più si scambiava liquidità. Con la crisi di fiducia nei mercati il valore delle attività è sceso causando ingenti perdite (ti-pico rischio di mercato), molte banche avevano sottovalutato il rischio di credito, non capitalizzandosi a sufficienza, dando per assodato che un default generale sarebbe stato alquanto improbabile, invece questa scelta errata è stata pagata a caro prezzo (rischio strategico).

Lo scenario che si presentava negli Stati Uniti ed in parte anche in Europa, era tragico: parte dei più grossi istituti di credito si trovava sull’orlo del default, l’ag-gravante di quella situazione era la fortissima connessione con l’economia reale, la crisi di liquidità era sfociata in un blocco quasi totale delle linee di credito ad imprese e famiglie interrompendo il circuito economico, causa fondamentale per il passaggio da una crisi finanziaria ad una economica. L’espulsione dai bilanci delle attività non liquide, come i famosi mutui subprime, ha provocato il contagio in tutti i mercati, poichè il rischio si era trasferito dalle banche a tutta l’economia. Il fallimento congiunto delle più importanti banche d’investimento avrebbe

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com-portato un tracollo troppo grave per l’economia, così il salvataggio (camuffato) statale divenne inevitabile.

La scelta da parte del governo americano consisteva nel salvare solamente le banche considerate più sistemiche, operando di conseguenza una distinzione. Si citano alcuni casi reali di salvataggi:

1.4.3.1 Freddie Mae & Fannie Mac

Fannie Mae e Freddie Mac sono due società quotate che operano nel mercato dei mutui prime, quindi con un buon rating. Esse insieme gestiscono circa 5400 miliardi di dollari di mutui immobiliari, godendo di un finanziamento a tasso agevolato da parte del Tesoro americano per l’acquisto, la ristrutturazione e la ri-vendita dei mutui stessi. Le due società, però, utilizzavano questo finanziamento per operare con un leverage molto elevato, acquistando allo stesso tempo obbli-gazioni legate ai mutui stessi. La crisi di liquidità e del mercato immobiliare ha compromesso la capacità delle due di ripagare i propri debiti a scadenza, ed un loro fallimento sarebbe stato catastrofico dato che gestivano una cifra che copriva quasi un terzo del Pil americano. L’ 8 settembre del 2008, il tesoro americano ha sottoscritto azioni privilegiate, senza diritto di voto, e warrants per circa l’80% delle quote societarie di entrambe, istituendo una linea di credito quasi gratuita con scadenza nel 2009.

1.4.3.2 Bear Stearns

Bear Stearns era una delle cinque più grandi banche d’investimento degli Stati Uniti, come tante operava nel mercato dei mutui subprime. I problemi nascono a metà del 2007 con la crisi del mercato del credito e dei mutui: prima due fondi speculativi dal valore di parecchi miliardi di dollari gestiti da Bear Stearns, che scommettevano sui titoli legati ai subprime, falliscono, creando ingenti perdite.

Alla ricerca, poi, di finanziamenti per ripianare le perdite derivanti dai fondi speculativi si aggiungono le asimmetrie informative: le agenzie di rating declas-sarono il titolo in borsa, così fornitori, clienti, controparti iniziarono a chiedere i rimborsi e la restituzione immediata di finanziamenti. Le agenzie ritenevano

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