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La questione del consenso nel matrimonio e nello stupro. I processi per stupro nella Versilia storica tra XVIII e XIX secolo.

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UNIVERSITÀ DI PISA

DIPARTIMENTO DI CIVILTÀ E FORME DEL

SAPERE

CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN STORIA

La questione del consenso nel matrimonio e nello stupro.

I processi per stupro nella Versilia storica tra XVIII e

XIX secolo.

Laureando:

Giacomo Sacchelli

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Relatrice:

Controrelatore:

Prof.essa Daniela Lombardi Prof.

Andrea Addobbati

ANNO ACCADEMICO 2017-2018

Indice

Introduzione p.3 Capitolo 1

1.Il sacramento del matrimonio nel diritto canonico p.9 2.La consumazione del matrimonio. Dalla Costituzione di Giustiniano al Decretum Gratiani, fino ai “Libri Quattuor Sententiarum” p.14 3.La promessa di matrimonio e il matrimonio presunto p.23 4.Il matrimonio clandestino p.27

Capitolo 2

1.La Riforma protestante p.33 2.Il sacramento del matrimonio nella dottrina della Riforma protestante e nella dottrina della Chiesa romana post-tridentina p.39

Capitolo 3

1.Lo stupro: il crimine che colpiva l’onore della donna e della sua famiglia p.49 2.Il funzionamento dei tribunali in età moderna p.54 3.Pietrasanta: origini, capitanato di giustizia e vicariato regio p.65

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Capitolo 4

1.Un triplice processo p.70 2.Maria Beani e Giovanni Carboni p.86 3.Maria Verona e Arcangelo Giannelli p.94 4.Marianna Bartelletti e Giuseppe Battelli p.97 5.Maria Lorenza e il dottor Michele Carducci p.113 6.Luisa Genovesi e Lorenzo Santini p.119 Conclusione p.125 Appendice p.130 1.Grafici e Tabelle p.130 2.Cartine p.132 Fonti e Bibliografia p.149 1.Fonti manoscritte p.149 2.Fonti a stampa p.150 3.Bibliografia p.152 4.Fonti cartografiche p.155

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Introduzione

La ricerca riguarda il funzionamento dei tribunali del Granducato di Toscana tra il XVIII e il XIX secolo ed in particolare i processi per stupro di due differenti periodi storici (1755-1758 e 1830-1838). Gli studi sono iniziati dalla ricerca dei fascicoli, relativi agli stupri, nell’Archivio Storico Comunale di Pietrasanta, al cui interno sono conservate innumerevoli filze civili e criminali quasi complete a partire dal 1513 fino al 1861, anno dell’Unità d’Italia1. Le carte processuali raccontano le vicende che si

svolsero sia in ambito civile sia in quello penale nelle comunità della Versilia storica, ossia degli odierni comuni di Pietrasanta, Seravezza, Forte dei Marmi e Stazzema. Gli atti criminali sono raccolti all’interno dei “libri

maleficiorum”, come osserva Paola Lemmi, autrice della tesi “Gli archivi della giustizia: fonti e problemi”. Ogni libro iniziava, di solito, con la

descrizione della cerimonia d’insediamento del Capitano e della sua famiglia, cui facevano seguito gli atti criminali veri e propri, al termine dei quali era posto il quaderno delle sentenze2. All’interno sono contenuti

processi di diversa natura tra cui il furto, l’abigeato, il ferimento, l’omicidio, lo stupro. Tuttavia i procedimenti per violenza carnale erano un numero ridotto rispetto alle tipologie di crimini su cui la spada secolare esprime un suo giudizio. Secondo i dati raccolti in questa ricerca, si tratta di un range compresa tra 1 e 3 casi per ogni “liber maleficiorum”. Detta media è approssimativa perché numerose carte sono state danneggiate dall’umidità, da topi e da insetti. Tuttavia i dati sono il risultato della ricerca effettuata su circa 18 libri per un numero complessivo di 861 cause, di cui

1 Paolo Lemmi, Gli archivi della giustizia: fonti e problemi (Pisa anno accademico 1992-1993) in Ricerche storiche, Edizioni scientifiche italiane, Pisa, Gennaio- Aprile 1994, p. 145. 2 Ibidem.

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solo 28 sono risultate per stupro. Questi dati sono importanti perché indicano la presenza di almeno una querela o un caso per stupro in ogni “liber maleficiorum”. Nel periodo compreso tra il 1745 e il 1827 il numero della popolazione del Capitanato di Pietrasanta oscillava tra i 9934 e i 15758 abitanti3. Considerando tali valori, si può affermare che il reato di

stupro era poco perseguito perché molto spesso il numero delle cause si possono contare sulle dita di una mano. Tuttavia si può ipotizzare che il numero potesse essere più alto perché in molti casi le famiglie e gli stessi interessati cercavano di risolvere il problema senza coinvolgere i tribunali. Pertanto la spada secolare non era a conoscenza di tutti i reati di detta tipologia sotto la sua giurisdizione. Comunque sia il censimento della popolazione sul territorio del Capitanato di Pietrasanta, poi del Vicariato, è stato elaborato dal Barbacciani attraverso lo studio degli stati delle anime delle principali parrocchie della zona. Si veda ad esempio quello delle parrocchie della comunità di Pietrasanta, la quale conta 4771 abitanti nel 17954.

Prima di analizzare alcuni esempi, bisogna però fare un passo indietro, ossia è necessario cercare di entrare nella mentalità e nella cultura degli uomini e delle donne dell’età moderna. In primo luogo dobbiamo comprendere la definizione del termine “stupro” e la relativa differenza con l’attuale significato. Georgia Arrivo, l’autrice del libro seduzioni, promesse,

matrimonio. Il processo per stupro nella Toscana del Settecento, ha definito

lo stupro con le seguenti frasi: “Se infatti oggi con stupro si intende un atto sessuale imposto contro la volontà della vittima, il termine latino stuprum stava ad indicare una macchia dovuta ad un’onta e disonore. L’utilizzazione di questo termine nell’ambito giuridico, sta ad indicare l’illiceità di determinati atti sessuali, lascia intuire l’attenzione rivolta dal diritto piuttosto al risultato di quegli atti che agli atti in sé5”. Inoltre nella Toscana

3 Ranieri Barbacciani – Fedeli, Saggio storico dell’antica e moderna Versilia, Tipografia Massarosa Offeset, Massarosa, 1999, p. 325.

4 ASCP, Fondo della comunità della Cancelleria, miscellanea cause e liti, 1795, I57, n.p. 396, p. 28r.

5 Georgia Arrivo, Seduzioni, Promesse, Matrimonio. Il processo per stupro nella Toscana del Settecento, Edizioni di storia e letteratura, Roma, 2006, p. 14.

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del Settecento lo stupro è stato classificato in tre tipologie distinte: lo stupro semplice, qualificato e violento. La prima tipologia consiste nel rapporto sessuale di un uomo con una donna vergine o una vedova casta con il consenso della donna stessa. Lo stupro qualificato differisce da quello semplice per la presenza di una promessa di matrimonio da parte dell’uomo. In breve l’unione carnale tra i due amanti è avvenuta all’interno del percorso che dovrebbe condurre alla celebrazione delle nozze, ma successivamente l’uomo è venuto meno alla parola data per un motivo qualsiasi, vedi ad esempio una gravidanza inaspettata. Diversamente lo stupro violento è il rapporto sessuale tra due persone nel quale interviene la coazione. È l’equivalente dell’attuale violenza carnale6. Oggi è rimasta sola

questa definizione della parola “stupro” perché le altre due tipologie sono state depennate dai codici e dalla cultura popolare come reato. Dall’analisi del precedente termine si ricava pertanto un elemento chiave, che merita di essere approfondito: la consensualità. A questo punto la ricerca deve fare un ulteriore passo indietro per comprendere meglio il reato di stupro e di conseguenza le leggi che lo regolamentavano. A tale scopo si è iniziato a leggere ed a studiare alcuni passi della Bibbia (Genesi 2:18 – 25) sul matrimonio perché il diritto canonico prende ad esempio le Sacre Scritture per elaborare le proprie norme. Inoltre anche le leggi degli Stati molto spesso hanno preso ad esempio il Diritto Canonico e le Sacre Scritture. La Chiesa ritiene che il consorzio coniugale non possa esistere senza il consenso delle due parti in gioco. Tuttavia esiste una forma di consenso più profonda rispetto a quella verbale, ossia quella che viene espressa attraverso l’unione dei corpi dei coniugi al fine della riproduzione. Questo è il punto di partenza per capire il ruolo della sfera sessuale all’interno del rapporto uomo e donna, in particolare se si vuole comprendere quando tale azione può essere considerata un crimine o meno. Inoltre si vuole sapere anche come lo stupro è stato regolamentato sia dalle autorità secolari sia da quelle ecclesiastiche. Se vogliamo farci un’idea chiara su queste tematiche,

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dobbiamo partire dalle codificazioni più antiche. Il primo codice preso in esame è la Costituzione di Giustiniano del 529 d.C. dove è analizzato il titolo relativo all’istituzione del matrimonio e al ruolo della copula all’interno d’esso. Successivamente si è passati al diritto medievale. I titoli esaminati sono il “Decretum Gratiani” e i “Liber Quattuor Sententiarum” di Pietro Lombardo, dove le tematiche principali in ambito del matrimonio sono il consenso e la consumazione del matrimonio medesimo. Le due scuole di pensiero sono caratterizzate da una sostanziale differenza sull’importanza data dai teologi a uno degli elementi precedentemente introdotti: la consumazione del matrimonio. Sia Graziano sia Pietro Lombardo danno molta importanza all’espressione del consenso, ma tuttavia il primo ritiene che lo scopo della consumazione sia quello di rendere il matrimonio perfetto ed indissolubile. Diversamente Pietro Lombardo ha elaborato uno schema basato su un duplice consenso dove l’espressione della volontà degli amanti è un presupposto necessario per l’unione, la quale sarebbe seguita dalla consumazione del matrimonio, un’ulteriore livello di consenso in cui il fine ultimo di detta istituzione era la procreazione e l’allevamento della prole. Per entrambi il rapporto sessuale diventa un qualcosa di sbagliato, un reato, quando gli uomini lo praticano per soddisfare la loro libido e non per rispettare l’ordine divino di moltiplicarsi. Infatti molti teologi hanno consigliato alle coppie di praticare la copula ai fini delle procreazione, ma anche nel rispetto dei precetti della moderazione.

La ricerca non si limita ad analizzare le codificazioni antiche e medievali, ma affronta anche la visione di teologi importanti dell’inizio dell’età moderna, come Lutero, Calvino e Zwingli, proprio perché questo periodo storico è stato influenzato dalla Riforma protestante. La visione di detti studiosi è importante perché offre una nuova chiave di lettura e d’interpretazione, differente rispetto alla dottrina ufficiale della Chiesa romana, in merito ai sacramenti. Lutero, Calvino e Zwingli mettono in discussione i dogmi e pilastri della religione cristiana in merito ai

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sacramenti, dai quali il matrimonio è escluso perché è un'istituzione creata dall’uomo stesso.

Alla fine di questa introduzione, siamo pronti ad avventuraci nello studio delle legislazioni che regolamentavano la struttura e il funzionamento dei tribunali ecclesiastici e secolari.

Nel primo capitolo si analizza il tema della consensualità all’interno dell’istituzione del matrimonio, oltre alle sue origini, e nella sfera sessuale della coppia perché esse poggiano le proprie fondamenta su tale elemento. Inoltre sono stati analizzati anche i “fenomeni” del matrimonio presunto e di quello clandestino. In particolare sono state fatte delle osservazioni sulle politiche intraprese dagli Stati e dalla Chiesa.

Nel secondo capitolo sono state analizzate le definizioni del termine sacramento all’interno della Riforma protestante, fatte dai teologi come Lutero, Zwingli e Calvino, oltre a quella data dalla dottrina cattolica ufficiale. Successivamente sono state confrontate le posizioni prese dai protestanti e dalla Chiesa di Roma in merito al problema del matrimonio clandestino ed alle soluzioni adottate. Ad esempio una cerimonia pubblica, la presenza dei testimoni, il permesso dei genitori (valido solo per i protestanti).

Nel terzo capitolo si analizza il funzionamento delle corti ecclesiastiche e di quelle secolari in particolare la prassi necessaria per istruire un processo a partire da una querela fino a giungere ad una sentenza, oltre all’analisi delle strategie dei protagonisti, al vaglio delle prove, al ruolo dei testimoni, alla funzione del carcere attraverso alcuni esempi d’archivio. Nel quarto ed ultimo capitolo sono stati analizzati alcuni processi ottocenteschi completi dove abbiamo osservato le strategie offensive e difensive dei protagonisti, il loro ceto sociale, i dati anagrafici, oltre ai testimoni e alle prove condotte in tribunale sia dalla parte offesa sia da quella sotto accusa. Molto spesso i personaggi sono persone comuni come contadini, muratori, braccianti, magazzinieri, preti, ma in altri casi sono figure insospettabili, come il medico chirurgo Michele Carducci, padre del famoso poeta Giosuè

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Carducci. L’obbiettivo finale di questa tesi è quello di spiegare come i processi si svolgevano all’interno dei tribunali durante l’età moderna, chi erano i protagonisti e cosa cercavano di ottenere le donne che sposavano il querelato, sottolineando se gli imputati ed i querelanti avevano la stessa estrazione sociale oppure no.

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Capitolo 1

Il sacramento del matrimonio nel diritto canonico

Il nostro studio verterà sull’analisi dei canoni del sacramento del matrimonio durante l’epoca moderna all’interno del “mondo” cristiano. Lo studio analizzerà la suddetta istituzione a partire dalle sue origini, narrate all’interno delle Sacre Scritture, e poi attraverso l’analisi delle norme del diritto canonico prima e dopo il Concilio di Trento. Il nostro studio pertanto si apre con la lettura di un passo del libro della Genesi della Bibbia:

“Ma l’uomo non trovò aiuto che fosse adatto a lui. Allora Dio il

Signore fece cadere un profondo sonno sull’uomo, che si addormentò, prese una delle costole di lui, e richiuse la carne al posto d’essa. Dio il Signore, con la costola che aveva tolta dall’uomo, formò una donna e la condusse all’uomo. L’uomo disse: << Questa, finalmente, è ossa delle mie ossa e carne della mia carne. Ella sarà chiamata donna perché è stata tratta dall’uomo>>. Perciò l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie, e saranno una stessa carne.” (Genesi, 2:18-25)

Dai versetti sopracitati possiamo dedurre che il sacramento del matrimonio è stato istituito non dall’uomo, ma da Dio che fece anche di più, benedì l’unione dei nostri proto-genitori.

Nelle Sacre Scritture e nei Vangeli vi sono molti “componimenti” religiosi e testi che disciplinano, o cercano di farlo, l’istituzione del matrimonio, come ad esempio nel caso dell’adulterio o della separazione. Infatti questi passaggi sono stati ripresi dalla Chiesa cattolica per elaborare codici, relativi al sacramento, dal diritto canonico in modo tale da prescrivere non solo i passaggi necessari per il rito nuziale, ma anche per prescrivere le sanzioni adeguate verso coloro che avessero compiuto violazioni alle norme. A tal proposito ci viene incontro un passaggio del Vangelo di Matteo:

“Dei Farisei gli si avvicinarono per metterlo alla prova, dicendo: << È lecito mandare via la propria moglie per un motivo qualsiasi?>>

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Ed egli rispose loro: <<Non avete letto che il creatore, da principio, li creò maschio e femmina e che disse: “Perciò l’uomo lascerà il padre e la madre, e si unirà con sua moglie, e i due saranno una sola carne”; quello dunque che Dio ha unito, l’uomo non separi>>. Essi gli dissero: <<Perché dunque Mosè comandò di scrivere un atto di ripudio e di mandarla via?>> Gesù disse loro: <<Fu per la durezza dei vostri cuori che Mosè vi permise di mandare via le vostre mogli; ma da principio non era così. Ma io vi dico che chiunque manda via sua moglie, quando non sia per motivo di fornicazione, e ne sposa un’altra, commette adulterio>>.” (Matteo, 19: 3-12)

In questo brano i Farisei pongono una serie di domande a Gesù con la finalità di metterlo in difficoltà e di far emergere il contrasto con le leggi date da Mosè sulla questione del ripudio. Gesù risponde ai Farisei che una volta contratto il vincolo matrimoniale di fronte a Dio, l’uomo non può scioglierlo perché ciò va contro la volontà divina; inoltre aggiunse che l’amore stesso è un dono di Dio. Tuttavia Mosè concesse la possibilità del “divorzio” al popolo perché il cuore degli uomini è indocile alla Parola di Dio. Questo fu il motivo cardine per cui Mosè dovette mettere mano al comandamento dato dal Signore, al fine di far fronte alle esigenze terrene. Ai nostri tempi, nelle comunità cristiane il divorzio viene praticato, anche se va contro la volontà e la legge divina; i divorziati vanno accolti nella comunità e non va loro preclusa la possibilità di accedere al Regno di Dio. La lettura di questi due passi, uno della Genesi e l’altro del Vangelo di Matteo, ci hanno introdotto alcuni pilastri del matrimonio dal punto di vista cristiano: l'indissolubilità e il consenso.

La nostra ricerca inizia pertanto dallo studio dei pilastri fondanti del sacramento del matrimonio. Il primo elemento è il consenso, che è uno dei requisiti del sacramento più discussi nel corso del tempo perché si tratta di un fattore immateriale di cui è difficile verificare la veridicità e cade nella sfera d'influenza della coscienza della persona stessa, se non viene smentito dalla presenza di testimoni o in forma scritta. Il consenso delle due parti è il

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fondamento del matrimonio canonico, l'atto che costituisce il matrimonio, manifestato legittimamente tra persone giuridicamente capaci7. Tale

principio fa parte sia del diritto naturale sia del diritto canonico. Quando il consenso manca, anche se apparentemente prestato, viene meno il matrimonio stesso, perché è il consenso, ossia la convergente volontà delle parti, ad essere la ragione fondante del vincolo8. Di fatti il termine

“consentire” deriva dalla parola latina “cum sentire”, la quale significa “rivolgersi al medesimo fine”. Tale convergenza avviene quando le due parti, generalmente un uomo e una donna, progettano le basi per una loro futura “convivenza”. Il diritto canonico prevede che nel momento della manifestazione del consenso le due persone, che stanno per compiere il passo del matrimonio, siano consapevoli delle implicazioni di tale atto, vale a dire la procreazione della prole attraverso la cooperazione sessuale fra i coniugi. L'ignoranza della natura e dello scopo del matrimonio non è presumibile dopo la pubertà9. Come si è osservato il consenso deve essere

dato da persone che sono consapevoli della “natura” profonda e dei fini del matrimonio. Nell’opera “Il matrimonio nel diritto canonico” Francesco Finocchiaro, l’autore, analizza gli impedimenti per cui il matrimonio non è da considerarsi valido, come ad esempio il consenso dato da una persona che non è capace d’intendere e di volere. Finocchiaro afferma che esistono diverse cause per cui una persona non ha il pieno controllo delle proprie facoltà psichiche, le principali sono classificate in due categorie: cause permanenti (es. infermità mentale) e cause transitorie (es. ipnosi o gli stati tossici10). Successivamente l’autore ha analizzato il caso della mancanza

della discretio iudicii del soggetto. In questo caso l’individuo è afflitto da una singolarità psichica, la quale compromette totalmente o parzialmente la capacità del soggetto di comprendere la natura, i doveri e gli oneri del matrimonio. Sotto questa descrizione rientrano le personalità disordinate

7 Francesco Finocchiaro, Il matrimonio nel diritto canonico, Il Mulino, Bologna, 1989, p. 69. 8 Ibidem.

9 Ivi, p. 70.

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come quelle isteriche, paranoiche o immature11”. Infine Finocchiaro si è

interessato ad analizzare l'immaturità psicologica: anche in questa circostanza il soggetto non risulta idoneo per stipulare il vincolo matrimoniale perché non è in grado di comprenderne la natura. L’autore descrive i soggetti, afflitti dall'immaturità psicologica, come “persone incapaci di emettere un giudizio pratico sulle persone e sulle cose del mondo e, perciò, colpisce la facoltà critica, la capacità e la libertà della scelta del matrimonio12”.

Il punto successivo da analizzare è l'unione carnale tra uomo e donna. Essa può essere interpretata come il livello più profondo, più alto di consenso sia all'interno dell'istituzione del matrimonio sia quando una coppia sta progettando una vita futura insieme dopo la formalizzazione pubblica degli sponsali. La dottrina cattolica utilizza il Canto dei cantici come metafora per spiegare che l'unione di Cristo con la Chiesa simboleggia non solo l’unione dei corpi, ma anche delle anime. Tale similitudine afferma che l'unione carnale dà quella ragione mistica e d'indissolubilità, di fronte alla quale neppure il potere della Chiesa può rendere la libertà ai coniugi13. In

“soldoni” ciò che Dio unisce, l'uomo non divida. Di seguito saranno esposte le diverse posizioni che alcuni teologi cattolici avevano assunto di fronte al tema del rapporto sessuale nei secoli precedenti al Concilio di Trento. Tuttavia Jemolo premette che nessuna di queste “scuole di pensiero” riuscì ad imporsi nettamente sulle altre. Alcune “campane” ritenevano la “copula carnalis” come un atto di estrema ripugnanza perché era un'attività mossa dagli istinti più bassi, animaleschi dell'essere umano, mentre agli sposi si predicava la moderazione14. Una corrente più liberale, di cui facevano parte

il teologo francese Pietro Cantore ( m. 1197, Longpont), il cardinale inglese Roberto di Courson (1160/1170 – 1219) e l’esageta domenicano Ugo di San Caro (fine XII secolo, Vienna – 1263, Orvieto), riteneva l'atto lecito e

11 Ivi, p.77. 12 Ibidem.

13 Arturo Carlo Jemolo, Il matrimonio nel diritto canonico. Dal Concilio di Trento al Codice del 1917., Il mulino, Bologna, 1993, pp. 113-114.

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onesto quando fosse stato compiuto per un fine legittimo, come la procreazione, ma anche per l'adempimento dei doveri coniugali15. Nel corso

del dodicesimo secolo si svilupparono pensieri più moderati rispetto a quelli precedenti. Ad esempio Siccardo da Cremona (1155 - 1215) riteneva che non ci fosse colpa nell'atto sessuale finalizzato alla procreazione, ma il peccato era presente nel piacere che si traeva da esso. Sulla stessa linea vi era anche il decreto del giurista italiano Graziano (1075/80, Chiusi/Ficulle – 1145/47, Bologna), fortemente criticato dai teologi, il quale affermava che “nessun rapporto sessuale è senza peccato perché il piacere non può essere senza colpa”16.

Jemolo sostiene che nessuna di queste opinioni si sia persa completamente nell'oblio del tempo perché alcuni dei loro elementi, tra cui la concezione del piacere come peccato, si possono riscontrare nelle norme e nelle pratiche sociali dei secoli successivi. Tali discussioni teologiche ci hanno indotto ad introdurre il tema del matrimonio presunto, il quale fu fortemente combattuto dai decreti tridentini a partire dalla metà del sedicesimo secolo. Prima del Concilio di Trento “l’istituzione” del matrimonio presunto prevedeva che la promessa seguita dalla copula carnale potesse essere considerata un vero e proprio matrimonio. In questo caso, infatti, il consenso al rapporto sessuale faceva presumere il consenso a trasformare le parole per il futuro, tipiche delle promesse, in parole per il presente che caratterizzavano le nozze vere e proprie17.

15 Jemolo, Il matrimonio, p. 115. 16 Jemolo, Il matrimonio, p. 115.

17 Georgia Arrivo, Seduzioni, Promesse, Matrimoni. Il processo per stupro nella Toscana del settecento., Edizioni di Storia e Letteratura, Roma, 2006, p.12.

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La consumazione del matrimonio. Dalla Costituzione di Giustiniano al Decretum Gratiani, fino ai “Libri Quattuor Sententiarum”

Aldo Petrucci, autore del manuale Corso di diritto pubblico romano spiegava che il Corpus Iuris Civilis rappresentava “il grado più elevato della codificazione del diritto romano18”. La Costituzione voluta da Giustiniano, imperatore d’Oriente, aveva lo scopo di raccogliere lo sconfinato numero di leggi, prodotti dai romani fin al tempo di Giustiniano, al fine di riportare ordine nel caos giuridico che imperava a quel tempo. Pertanto il compito ultimo del Corpus Iuris Civilis era quello di subentrare al codice Gregoriano, Ermogeniano, Teodosiano19, i quali furono in vigore

fino al tempo di Giustiniano. Sotto il regno di Giustiniano furono varate due versioni del Corpus Iuris Civilis perché nella seconda edizione furono inserite tutte quelle leggi emanate tra il 529 d.C. e il 534 d.C.. La prima stampa della Costituzione di Giustiniano fu varata nel 529 d.C., mentre la seconda versione nel 534 d.C. sotto il nome di Codex repetitae

praelectionis20

Dopo aver spiegato brevemente la Costituzione di Giustiniano dobbiamo vedere come gli antichi Romani concepivano l’istituzione del matrimonio a partire dal diritto naturale. Infatti la prima citazione, che analizzeremo di seguito, è stata ripresa dal secondo titolo del primo libro delle Istitutiones del Corpus Iuris Civilis, la quale si apre con una citazione del diritto naturale:

“Jus naturale est, quod natura omnia animalia docuit. Nam ius istud non humani generis proprium est, sed omnium animalium, quae in coelo, quae in terra, quae in mari nascuntur. Hinc descendit maris atque feminae coniunctio, quam nos matrimonium appellamus, hinc

18 Aldo Petrucci, Corso di diritto pubblico romano, G.Giappichelli editore, Torino, 2012, p,258. 19 Ibidem.

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liberorum procreatio, hinc educatio: videmus etenim caetera quoque animalia istius iuris peritia censeri21“.

Come scrive Quaglioni: “il diritto naturale definisce il matrimonio come istituto principe, originato da una norma abbracciante l’universalità degli essere viventi22“.

Nel titolo nono del Corpus Iuris Civilis si definisce il matrimonio o gli sponsali come l’unione di un uomo e di una donna per vivere indivisi23. Il

decimo titolo, descrive la corretta prassi per contrarre matrimonio. In primo luogo il testo impone dei requisiti specifici, che lo sposo e la sposa devono possedere, oltre al consenso di colui che detiene la patria potestà a cui sono soggetti. Gli uomini acquisiscono il diritto di sposarsi quando entrano nell’età puberale, mentre le donne quando diventano atte alla procreazione24. Non si può contrarre matrimonio fra parenti ed affini: tale

unione è definita incesto25. La legge romana prevedeva l’esistenza di alcune

irregolarità, come i matrimoni illegittimi, i quali venivano dichiarati nulli perché si riteneva che in essi non vi fossero i presupposti per il conseguimento di tale unione, quali: gli sponsali, la dote o alcune violazioni, appunto come l’incesto. Inoltre la Costituzione di Giustiniano prescriveva che i figli, nati in queste forme irregolari di matrimonio, non erano soggetti alla patria potestà; mentre coloro, che avessero attuato tale pratica, sarebbero andati incontro a pene severe26. Tuttavia questo non è il

filo rosso di queste pagine, pertanto non ci soffermeremo sui castighi ma sul ruolo del matrimonio e della sessualità all’interno dell’unione fra uomo e donna, ossia la consumazione. Nei primi versi del testo abbiamo analizzato

21 Trad.: Diritto naturale è quello che la natura insegna a tutti gli animali: poiché esso non è particolare all’uomo, ma a tutti i viventi dell’aria, della terra, del mare. Quindi ne deriva il congiungimento del maschio e della femmina che noi chiamiamo matrimonio, la procreazione e l’educazione della prole; di tutto questo diritto vediamo istruiti anche gli altri animali. Dionigi Gottofredo, Francesco Modio, Simone Van Leeuwen, Giurisprudenza romana ossia

corpo del diritto civile romano volgarizzato con il testo tradotto a fronte, Coi i tipi J. Giuseppe

Destefanis, Milano, 1815, p. 10. 22 Quaglioni, p.61

23 Dionigi Gottofredo, Francesco Modio, Simone Van Leeuwen, Giurisprudenza romana ossia

corpo del diritto civile romano volgarizzato con il testo tradotto a fronte, Coi i tipi J. Giuseppe

Destefanis, Milano, 1815, p.31. 24 Ivi, p.33.

25 Ibidem. 26 Ivi, pp. 35-37.

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velocemente la Costituzione di Giustiniano al fine di comprendere la concezione dei Romani sul rapporto carnale all’interno del matrimonio e per vedere se tale visione fosse in continuità, o meno, con il Medioevo e poi con l’età moderna.

Presso i Romani l’atto sessuale possedeva solo la dimensione naturale e non quella spirituale come nel medioevo e nei secoli successivi. Alessandro Giraudo, autore del libro “Impedimento di età nel matrimonio canonico

(1083)”, ha analizzato i temi dell’età minima legale per contrarre il

matrimonio per le ragazze e della copula carnale all’interno del consorzio coniugale nel mondo romano attraverso l’ausilio del libro “The age” di Hopkins e dell’articolo “La politica dei corpi” di Aline Rousselle.

Hopkins sottolinea che “la pubertà per le ragazze non era presso i romani una condizione per il matrimonio, poiché l’età stabilità per legge per il matrimonio non corrispondeva con l’età effettiva della pubertà delle ragazze27”. Infatti la legge romana stabiliva l’età legale minima a 12 anni

per le donne, e a 14 anni per gli uomini; tuttavia questa legge era molto spesso disattesa, infatti Hopkins afferma che ci sono giunte molte testimonianze in merito ai matrimoni degli impuberi. Nella cultura romana il matrimonio veniva solitamente consumato subito anche con una sposa impubere. A tal proposito Giraudo si ricollega all’articolo di Aline Rousselle in cui tratta gli insegnamenti del medico romano Sorano d’Efeso (nascita 98 d.c., Efeso). La Rousselle afferma che “i medici latini erano convinti che il rapporto coniugale agevolasse l’inizio delle mestruazioni”. Tale affermazione della studiosa deriva dalle conoscenze mediche errate di Sorano sulla natura femminile, perché questi riteneva che la deflorazione fosse necessaria per facilitare le mestruazioni28. Tuttavia Giraudo è di

avviso diverso rispetto alla Rousselle perché Giraudo afferma che gli insegnamenti di Sorano erano in conflitto con i testi sulla verginità delle spose imperiali, i quali consigliavano alle donne “di attendere il primo

27 Alessandro Giraudo, L’impedimento di età nel matrimonio canonico (1083). Evoluzione

storica e analisi delle problematiche attuali della dottrina e della prassi, Editrice Pontificia

Università Gregoriana, Roma, 2007, p.33. 28 Ibidem.

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menarca per la consumazione del matrimonio29”. Da tali presupposti

Giraudo ha dedotto che gli insegnamenti di Sorano potessero essere usati come giustificazione dagli uomini per sposare una fanciulla che non avesse ancora raggiunto la pubertà e per aggirare così la legge, cosa assai comune al tempo dei romani30.

Tra l’undicesimo e il dodicesimo secolo si svilupparono, dei movimenti che portarono a un ciclo di riforme per quanto riguarda il tema del sacramento del matrimonio.

Un importante canonista e vescovo fu Ivo di Chartres (1040, Beauvais – 23 dicembre 1115, Chartres), il quale attuò una prima rottura con il passato e con i suoi contemporanei attraverso le sue opere sul tema del consenso nel matrimonio. In qualche modo lo studioso stava preparando la strada per il “Decretum Gratiani”. Chartres riteneva che si dovesse riconsiderare il consenso e l’età minima necessaria per contrarre matrimonio. Ad esempio se una fanciulla si fosse sposata ad un’età inferiore a quella legale, 7 anni, allora l’unione sarebbe da considerare automaticamente nulla perché la bambina non sarebbe in grado di comprendere la situazione e di conseguenza di dare il suo bene stare. Bisogna precisare che Ivo non condanna la promessa del padre della fanciulla, fatta al futuro sposo o alla sua famiglia, ma sottolinea che il matrimonio non può avere luogo fino a quando entrambe le parti non avessero raggiunto l’età legale e non avessero dato il suo consenso31. Chartres fece notare che l’età minima, ossia 7 anni,

per contrarre matrimonio derivava dal Corpus Iuris Civilis. Questa legge fu rivista dallo stesso teologo che innalzò l’età a 12 anni.

Secondo Ivo, il sacramento era costituito da due fasi: il fidanzamento che diventava automaticamente matrimonio al momento del raggiungimento dell’età legale dei due contraenti; inoltre nel caso della morte di una delle due parti, il matrimonio si sarebbe tenuto con un consanguineo del defunto32. In conclusione nel caso in cui gli sponsali fossero stati ritenuti

29 Ibidem. 30 Ibidem. 31 Ivi, p.60-61. 32 Ivi, p.62.

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validi, perché ambedue le parti avevano espresso il consenso, allora, per Ivo di Chartres, si sarebbe parlato di “coniugium”, poiché non era la

consumazione ma la “disponsatio fidei” a far nascere il matrimonio33. Le

conclusioni dello studioso aprirono la strada al Decretum Gratiani, infatti le ritroviamo all’interno di tale opera.

A suo tempo Dante Alighieri, il sommo poeta, dedicò alcuni versi al giurista Graziano nella Divina Commedia (“Quell’altro fiammeggiare esce del riso

di Grazïan, che l’uno e l’altro foro aiutò sì che piace in paradiso”. )34 al

fine di rendergli omaggio. Il merito del giurista fu quello di aver raccolto in una singola opera i canoni e i decreti che si trovavano dispersi in molti libri, aggiungendovi estratti delle opere della patristica. Tali operazioni portarono a distinguere l’opera di Graziano da quelle precedenti35. L’opera è

comunemente conosciuta con il nome di Decretum Gratiani, ma il titolo originale è Concordia discordantium canonum. Si tratta di un’opera titanica perché raccoglie un grande numero di testi tra cui: l’antico testamento, i canoni apostolici, le decisioni del pontefice e dei concili, il diritto romano e molti altri.

Nel Decretum Gratiani possiamo trovare ancora molte incertezze dei secoli precedenti, infatti vi è una forte difficoltà di trovare un’unica interpretazione su diversi testi, la quale giungerà con le decretali di Alessandro III (Siena – 30 agosto 1181, Civita Castellana)36.

Ad una prima analisi, la Concordia discordantium canonum sembra conforme alle leggi romane, anche se non le cita direttamente. Graziano non affrontò una discussione diretta sul tema dell’età minima per contrarre matrimonio, ma la possibilità delle ragazze, che avessero raggiunto la pubertà, di monacarsi anche contro la volontà dei genitori o viceversa37. Nel

suo ragionamento il giurista citò due canoni molto importanti: il canone

33 Ivi, p.63.

34 Dante Alighieri, Divina Commedia, Paradiso X, 103-105.

35 Enrico Spagnesi, Percorsi storici del diritto in Italia, edizioni Il compano, Pisa, 2013, p.133-134.

36 Alessandro Giraudo, L’impedimento di età nel matrimonio canonico (1083). Evoluzione storica e analisi delle problematiche attuali della dottrina e della prassi, Editrice Pontificia Università Gregoriana, Roma, 2007, p.69.

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“Puella” e il canone “Firma”, all’interno dei quali si stabiliva che una fanciulla, una volta raggiunto il dodicesimo anno di età, potesse decidere autonomamente di prendere i voti perché secondo il canone “Firma” la ragazza aveva raggiunto l’età adulta. Probabilmente Graziano intendeva l’età puberale negli stessi termini delle leggi romane, ossia come l’età idonea per monacarsi o per sposarsi38. I problemi nascono quando il giurista

affrontò la questione del matrimonio, dove non aveva specificato l’età idonea per contrarre il vincolo nuziale. Anzi il giurista lascia intendere, secondo alcuni studiosi, che permetterebbe il matrimonio degli impuberi a partire dal settimo anno di età. Graziano concepisce tali unioni come “matrimonium initiatum”, ma non ancora “ratum” e quindi ancora dissolubile fino all’età della maturità39. In tal senso il giurista riteneva che

un ragazzo, non appena raggiunto il settimo anno di vita, sarebbe stato capace di dare il consenso. Allora parleremo di “matrimonium initiatum”, il quale sarebbe potuto diventare “perfectum” a seguito del rinnovo del consenso delle parti al fine di completare il percorso matrimoniale. Tuttavia esisteva una via di fuga: entrambe le parti, una volta raggiunta la pubertà, avrebbero potuto confermare il consenso primitivo e completarlo con la consumazione, dando così vita al “matrimonium perfectum” oppure avrebbero potuto dare il “dissensus”, cioè sciogliere così il “matrimonium

initiatum”40. In conclusione possiamo affermare che Graziano dava molta

più importanza alla volontà delle parti, ossia al consenso, infatti senza di esso non c’erano i presupposti per l’unione, ma la copula era necessaria per perfezionare il matrimonio e renderlo indissolubile: quindi era molto importante.

I temi del consenso e della consumazione sono stati affrontati anche dal teologo italiano Pietro Lombardo (Lumellogno di Novara, 1100 – Parigi, 1160 circa) nella sua opera “Libri Quattuor Sententiarum”.

38 Ivi, p.71. 39 Ibidem 40 Ivi, p.72.

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Il teologo riteneva che i presupposti per l’esistenza del “matrimonium perfectum” si sarebbero presentati con il “consensus” de presenti. Difatti Lombardo richiamava molto spesso le leggi romane nelle sue sentenze, come ad esempio nei requisiti necessari per stipulare la promessa di matrimonio fra due persone. Nei suoi scritti possiamo vedere come lui ritenesse che il consenso per “verba de futuro” potesse essere dato dai contraenti del matrimonio fin dall’età di sette anni; tuttavia le due parti avrebbero dovuto comprendere il significato del loro atto41. Diversamente il

consenso per “verba de presenti” poteva essere scambiato solo dopo il raggiungimento della pubertà: quattordici anni per gli uomini e dodici anni per le donne, secondo il diritto romano. Nel caso del matrimonio degli impuberi Lombardo era completamente d’accordo con Graziano. Difatti i genitori o i figli potevano dare un primo consenso alla futura unione in tenera età, la quale però sarebbe potuta essere confermata o sciolta al sopraggiungere della pubertà, anche contro la volontà dei genitori42.

Pietro Lombardo scriveva così:

“1 Videtur quod matrimonium praedictum non fuerit perfectum. Perfectum enim matrimonium ex absoluto consensu procedit. Sed beata Virgo non absolute in matrimonium consenisse videtur, sicut nec absolute vovisse: cum in utroque se dispositioni divinae commiserit, ut in littera dicitur. Ergo non fuit perfectum matrimonium.

2 Praeterea, significatio est de essentia matrimonii, in quantum est sacramentum est. Sed matrimonium illud non fuit perfectum in consignificatione, ut in littera dicitur. Ergo non fuit perfectum sacramentum.

3 Praeterea, ubi deest ultima consummatio, non est vera perfectio. Sed matrimonium beatae Virginis nunquam fuit consummatum. Ergo non fuit vere perfectum.

41 Alessandro Giraudo, L’impedimento di età nel matrimonio canonico (1083). Evoluzione storica e analisi delle problematiche attuali della dottrina e della prassi, Editrice Pontificia Università Gregoriana, Roma, 2007, p.80.

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4 Praeterea, perfectum dicitur esse matrimonium ex eo quod habet bonum prolis. Sed illud matrimonium non habuit bonum prolis, quia prolis quae fuit illo in matrimonio educata, non fuit efectus illius matrimonii, sicut nec filius adoptivus dicitur bonum matrimonii. Ergo non fuit perfectum matrimonium.

5 Praeterea, post perfectum matrimonium non licet alicui sponsam dimittere. Sed Ioseph, quamvis esset iustus, volebat eam occulte dimittere, ut dicitur Matth. Ergo nondum erat perfectum matriminium.

Sed contra, << Dei perfecta sunt opera>>. Sed illud matrimonium fuit divinitus ispiratum. Ergo fuit perfectum. Praeterea, per matrimonium non dicitur aliqui coniuges, nisi sit perfectum. Sed Maria dicitur coniux Ioseph. Ergo fuit inter eos perfectum matrimonium43.”

Nel testo si prende addirittura in esame il matrimonio di Maria e di Giuseppe, che, secondo i canoni umani, non sarebbe un’unione perfetta, ma acquisisce tale perfezione perché voluta da Dio, le cui opere sono sempre perfette come poi conferma anche san Tommaso D’Aquino.

Secondo il teologo vi era una duplice perfezione all’interno del matrimonio. La prima era quella che si veniva a creare nel momento in cui ci contraenti

43 Trad.: 1 Sembra che il predetto matrimonio non sia stato perfetto. Infatti il matrimonio perfetto procede da un consenso assoluto. Ora, sembra che la beata Vergine non abbia acconsentito in assoluto al matrimonio, e nemmeno abbia fatto voto in assoluto, dato che in entrambe le cose si affidò alla disposizione divina, come è detto nel testo. Quindi non fu un matrimonio perfetto. 2 La significazione è dell’essenza del matrimonio, in quanto è un sacramento. Ora, quel matrimonio non fu perfetto nella con significazione, come si dice nel testo. Quindi non fu un sacramento perfetto.

3 Dove manca l’ultima consumazione non c’è la vera perfezione. Ora, il matrimonio della beata Vergine non fu mai consumato. Quindi non fu mai veramente perfetto.

4 Si dice che un matrimonio è perfetto se ha il bene della prole. Ora, quel matrimonio non ebbe il bene della prole, poiché la prole che fu allevata in quel matrimonio non fu l’effetto di quel matrimonio, come nemmeno un figlio adottivo si dice che è un bene del matrimonio.

5 Dopo un matrimonio perfetto non è lecito ad alcuno congedare la propria sposa. Ora Giuseppe, sebbene, fosse giusto, voleva congedarla in segreto come si legge. Quindi il matrimonio non era ancora perfetto.

Ma al contrario <<Le opere di Dio sono perfette>>, come si legge. Ora quel matrimonio fu ispirato da Dio. Quindi fu perfetto. Inoltre, non si parladi coniugi se il matrimonio non è perfetto. Ora, nel vangelo Maria è detta coniuge di Giuseppe. Quindi tra loro ci fu matrimonio perfetto.

Tommaso D’Aquino, Commento delle sentenze di Pietro Lombardo, volume 9, Edizioni Studio Domenicano, Bologna, 2002, p.348-350.

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avrebbero espresso a parole il “consensus per verba de presenti”. Il secondo livello si esprimeva attraverso le azioni, ossia nell’atto della procreazione perché la prole è un bene del matrimonio non solo in quanto è generato dal matrimonio, ma in quanto nel matrimonio è accolta ed allevata44. Infine San

Tommaso D’Aquino ci diede una risposta o un commento su un quesito, posto da Pietro Lombardo sulla verginità di Maria e sul comportamento di Giuseppe. D’Aquino riteneva che l’unione della Madonna fosse “perfectum” perché acconsentì pienamente alla richiesta di Dio, al quale affidò la sua verginità. Per quanto riguarda Giuseppe Tommaso D’Aquino spiegò che questi pensò di lasciare Maria in segreto per un’altra sposa perché tale matrimonio non poteva essere definito perfetto senza la consumazione. Alla fine Giuseppe accolse comunque la “missione”, affidatagli da Dio che rese perfetta tale unione poiché ne fu ispiratore e tutte le sue opere sono perfette45.

In conclusione possiamo affermare che nel corso del tempo le riflessioni sul consenso, principio cardine su cui si fonda l’istituzione del matrimonio, sono proliferate e hanno sviluppato punti di vista differenti. Basti pensare al “Corpus Iuris Civilis”, dove il consenso poteva essere espresso fin dalla tenera età, ovviamente il tutto regolamentato dalle norme. Successivamente il Decreto “Gratiani” cominciò a prendere delle distanze con il passato, ponendo così dei limiti di età più alti per esprimere il benestare perché le parti, che avrebbero contratto il matrimonio, avrebbero dovuto comprendere il valore delle loro azioni.

44 Ivi, p.351. 45 Ibidem.

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La promessa di matrimonio e il matrimonio presunto

Nel ventitreesimo libro delle Istituzioni della Costituzione di Giustiniano, il diritto romano legiferò anche in materia di matrimonio e in particolare sugli sponsali.

Gli “sponsali”, o più comunemente la promessa di matrimonio, deriva dal verbo latino “spondere”, che significa “promettere” o “garantire”; inoltre dal precedente verbo derivano anche gli attuali termini di “sposo” e “sposa”. Come iniziava il percorso che avrebbe portato alle nozze? La prassi voleva che la stipulazione della promessa, tra le famiglie delle persone interessate, fosse fatta nel rispetto sia delle norme giuridiche sia delle consuetudini popolari. Presso i Romani lo sposo, o la sua famiglia, si metteva d’accordo con il clan della sposa attraverso la stipulazione di alcuni patti al fine di farsi promettere la futura compagna.

Qual’è la natura degli sponsali? Gli sponsali potevano essere contratti da due parti, un uomo e una donna, attraverso lo scambio del consenso, un atto di pura libertà, solitamente espresso a parole, ad esempio “accipio te in uxorem46”, oppure con un documento ufficiale, la cui validità era attesta

dalla presenza di alcuni testimoni. Tuttavia la promessa poteva essere stipulata solo se le parti fossero state in possesso dei requisiti necessari: un’età pari o maggiore a sette anni e aver ottenuto il consenso di chi detiene la patria podestà47.

Il diritto romano prevedeva anche la possibilità che gli sponsali potessero essere sciolti senza una giusta motivazione da una delle due parti in gioco. In quel caso, la parte, che si riteneva offesa, avrebbe potuto ricorrere al tribunale, dove il giudice avrebbe valutato la situazione, che aveva portato allo scioglimento della promessa di matrimonio, dopo di che il “pubblico ufficiale” avrebbe emesso la sua sentenza. Questa poteva essere commutata in una sanzione pecuniaria oppure se la parte in torto non avesse voluto pagare la penalità, allora si sarebbero celebrate le nozze tra i protagonisti

46 Trad.: Io ti prendo in moglie.

47 Corpus Iuris Civilis. Institutiones Vol. 2, Tipografia Giustinianea di Antonio Bazzarini, Venezia, 1841,

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della vicenda48. Molte delle norme del periodo romano non finirono in

disuso a causa della caduta dell’Impero romano, anzi gli Stati, le città e i popoli, che seguirono i Romani, ereditarono ed utilizzarono i codici romani, oltre ad apporvi delle novità.

Successivamente in epoca moderna gli Stati e le città adoperavano una grande mole di leggi al fine di amministrare ogni ambito della società, tra cui l’istituzione del matrimonio. Tuttavia le genti del tempo non conoscevano a fondo le norme e tanto meno l’antica lingua, il latino, in cui erano state codificate. Queste furono le premesse che portarono a fraintendimenti o ad abusi, i quali catapultarono i “ promessi sposi” o le loro famiglie in accesi incontri nelle aule delle corti di giustizia per motivi matrimoniali perché i moderni non erano pratici della disciplina del diritto canonico, nel nostro caso sulla sezione relativa agli sponsali. I problemi sorgevano a causa delle molteplici interpretazioni sulla distinzione fra “sponsalia per verbo de presenti” ( il matrimonio) e “sponsalia per verbo de futuro” (la promessa o gli sponsali), che erano uno degli “hot spot” del diritto canonico49.

I teologi e i giuristi sottolinearono che alla basa di molte cause matrimoniali vi era la sottigliezza fra la promessa al tempo presente, accipio te in

uxorem, e quella al tempo futuro, accipiam te in uxorem50. Infatti in questa

categoria, che comprendeva gli analfabeti e gli ignoranti, potevano essere comprese anche le persone istruite, le quali non riuscivano a capire la differenza51 tra le due formule degli sponsali. La stipulazione del

matrimonio era un processo irreversibile, il quale iniziava con la promessa e terminava con il trasferimento della novella sposa presso casa della nuova famiglia, tale fase era detta “in domum mariti”. L’irreversibilità era dovuta sia al documento notarile, se redatto, sia alla convenzione sociale del tempo. Nella mentalità dell’epoca moderna la rottura di un accordo

48 Ivi, p. 112.

49 Silvana Seidel Menchi, Percorsi variegati, percorsi obbligati in Matrimoni in dubbio. Unioni controverse e nozze in Italia dal XIV al XVIII secolo, Il mulino, Bologna, 2001, p. 35. 50 Trad.: Io ti prenderò in moglie.

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matrimoniale era considerata un’offesa nei confronti della famiglia che la subiva; tale onta doveva essere lavata attraverso gravissime sanzioni oppure nei casi più estremi con il sangue52.

La formula, adottata fino al Concilio di Trento per contrarre matrimonio o per fidanzarsi, era stata elaborata nel XII secolo. La pratica poggiava le sue basi sul libero consenso delle parti, il quale veniva espresso oralmente con le parole che indicassero il tempo presente dell’azione che si stava compiendo: accipio te in uxorem (verba de presenti). Diversamente la stessa frase enunciata al tempo futuro indicava la promessa di matrimonio:

accipiam te in uxorem53 (verba de futuro). Come detto in precedenza, la

sottigliezza tra le due formule era colta da pochissime persone; il confine tra promessa e matrimonio era assai labile perché a distinguere i due momenti era una semplice espressione verbale. La differenza tra le due formule era già stata notata ed analizzata da Uguccione, maestro di Papa Innocenzo III (1161, Gavignano – 1216, Perugia), quando stava studiando il fenomeno del matrimonio presunto, il quale era già stato previsto dal diritto romano fin dall’età classica. Difatti Uguccione fu, forse, il primo ad aver mostrato interesse alla distinzione fra “sponsalia per verba de presenti” e “sponsalia per verba de futuro” nel suo pensiero. Successivamente fu papa Alessandro III ad aver conciliato la copula con la promessa di matrimonio nella sua decretale “Veniens”54. Infatti se la promessa veniva seguita dalla

consumazione del rapporto, di conseguenza essa veniva considerata pari al matrimonio presunto, dato che l’atto sessuale presumeva il consenso de

presenti di entrambe le parti55.

Tale dottrina diventò a seguito della pubblicazione delle decretali del papa Innocenzo III. Comunque i teologi ebbero dei dubbi su questa forma di

52 Ivi, p. 36.

53 Daniela Lombardi, Fidanzamenti e matrimoni dal Concilio di Trento alle riforme settecentesche in Marina Beer, Storia del matrimonio, a cura di Michela De Giorgio, Christiane Klapisch-Zuber Laterza, Bari, 1996, p. 215.

54 Alfredo Rava, Il requisito della rinnovazione del consenso della convalidazione semplice del matrimonio (can. 1157:2), Studi storico-giuridico, Editrice Pontificia Università Gregoriana, Roma, 2011, p. 54:53.

55 Daniela Lombardi, Fidanzamenti e matrimoni dal Concilio di Trento alle riforme settecentesche in Marina Beer, Storia del matrimonio, a cura di Michela De Giorgio, Christiane Klapisch-Zuber Laterza, Bari, 1996,, p. 218.

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matrimonio perché si trovarono divisi sulle posizioni dei papi Alessandro III e Innocenzo III per quanto riguarda la validità dell’unione. Il primo papa riteneva che il consenso matrimoniale risiedesse nel verba de futuro, mentre il secondo asseriva che il consenso potesse essere espresso anche con la copula56.

In un primo momento la versione del papa Alessandro III fu accettata dai canonisti come Bernardo da Parma (m. Bologna, 1266), ma i canonisti del XIII secolo, come San Tommaso D’Aquino, la rifiutarono perché credevano che la consumazione del matrimonio non potesse essere considerata come un “consenso per il presente” in modo inconfutabile. Infatti proprio in questo periodo i canonisti, i giudici, i teologi e i decretalisti si trovarono divisi in posizioni distinte57.

Da una parte avevamo i canonisti e i giuristi che erano preoccupati dalla posizione di Alessandro III perché la sua teoria faceva rientrare nell’istituzione del matrimonio anche quelle categorie di unioni che erano considerate illecite come le “coppie di fatto”. In conclusione questa categoria di studiosi si opponeva alla nuova teoria perché erano preoccupati per l’ordine. Invece i teologi, che erano dei grandi sostenitori della libera volontà, richiedevano un qualcosa di più solido come il consenso per il presente rispetto alla copula58.

56 Jean Gaudament, Il matrimonio in Occidente, Varia sei, Torino, 1989, p. 134. 57 Ibidem.

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Il matrimonio clandestino

Il sistema normativo favoriva la proliferazione del fenomeno del matrimonio clandestino a causa della difficoltà di verificare la validità dell’unione. Dal momento che bastava il consenso delle due parti, i matrimoni contratti in privato erano ritenuti validi, anche senza nessuna forma di pubblicità. Difatti la dottrina del consenso attribuiva alla pura e semplice volontà dei contraenti, comunque sia all’incontro delle loro volontà, il potere di fondare l’unione59.

Il teologo Alfonso De La Vera Cruz (Caspuenas, 1509 – Città del Messico, 1584) era un membro dell’Ordine di Sant’Agostino e fu tra i primi missionari a portare la parola di Cristo agli Indiani d’America nella loro lingua. Il teologo condannava apertamente il matrimonio clandestino, in quanto l’unione era stata contratta senza dei testimoni, infatti secondo De La Vera Cruz l’assenza degli “spettatori” consentiva di considerare quel vincolo nullo oppure come stupro o fornicazione, adulterio. Tuttavia il missionario aveva una visione di questo tema più elastica nei confronti degli Indios perché il loro matrimonio seguiva la tradizione locale e si basava comunque sul libero consenso della coppia e aveva la finalità della procreazione60.

In assenza di prove o di testimoni le corti di giustizia non avrebbero avuto gli strumenti per riconoscere la validità del vincolo oppure per stabilirne la nullità. In tali circostanze uno dei due coniugi avrebbe potuto abbandonare il tetto coniugale in qualsiasi momento, mentre l’altro avrebbe potuto ricorrere al giudice ecclesiastico, ma non è detto che sarebbe riuscito a dimostrare l’esistenza dell’unione61.

La prassi giudiziaria prevedeva che il coniuge abbandonato dimostrasse l’esistenza del matrimonio, durante il processo, attraverso prove che attestavano i comportamenti da loro tenuti all’interno della presunta unione,

59 Silvana Seidel Menchi, Percorsi variegati, percorsi obbligati in Matrimoni in dubbio. Unioni controverse e nozze in Italia dal XIV al XVIII secolo, Il mulino, Bologna, 2001, p.22. 60 Daniela Lombardi, Matrimonio di antico regime, Il mulino, Bologna, 2001, p.86-87.

61 Daniela Lombardi, Storia del matrimonio. Dal medioevo ad oggi, Il mulino, Bologna, 2008, p. 38-39.

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come conformi alla condotta comune fra marito e moglie. A causa di tali comportamenti la coppia era riconosciuta come tale dalla comunità e dalla società. Molto spesso le evidenze erano riportate ai giudici dagli amici, dai parenti e dai vicini della coppia, soggetti che avrebbero dovuto testimoniare l’esistenza del rapporto coniugale, anche se non avevano presenziato allo scambio dei consensi62. Tuttavia non tutti avevano il diritto di testimoniare

in tribunale; un ampio spettro di categorie erano estromesse: le donne ritenute inferiori per natura, i pazzi, gli infami, i poveri, gli infedeli, i giudici, gli avvocati, i famigliari e i domestici delle due parti. Nelle cause matrimoniali i parenti avevano la possibilità di deporre, anche se era a discrezione del giudice, perché erano quelli più informati sui fatti. Tuttavia nel caso in cui ci fosse stata una forte disparità sociale tra i partner, in tale contesto i famigliari della parte più debole erano considerati sospetti.

Se la Chiesa cattolica non avesse preso una posizione risoluta nei confronti del matrimonio clandestino, non sarebbe mai riuscita a far rispettare il principio d’indissolubilità. Inoltre se tale condizione non fosse stata rispettata, allora il Vaticano avrebbe constatato un notevole incremento di un’altra pratica illecita, la bigamia. Nel diritto canonico si analizza la pratica della bigamia in tutte le sue varianti. In primo luogo il termine significa possedere due mogli allo stesso tempo. In secondo luogo i teologi distinguono tale reato in tre tipologie: la bigamia propriamente detta, la interpretativa e quella esemplare. Il primo caso è quello dove un uomo commette bigamia attraverso la celebrazione di due matrimoni in successione. L’interpretativa è quella che si contrae attraverso il matrimonio con una vedova o con una fanciulla che ha perso la verginità a causa di un precedente matrimonio o perché si è prostituita oppure a seguito della dichiarazione di nullità del suo precedente vincolo nuziale. Infine la bigamia esemplare è quella di cui si può macchiare un religioso, che ha ricevuto gli ordini sacri, quando prende moglie. Tuttavia tale unione non

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viene riconosciuta dalla Chiesa e perciò dichiarata nulla63. La motivazione

più frequente, che poteva favorire la bigamia, era la lunga assenza del partner a causa di una partenza improvvisa allo scopo di sfuggire alla giustizia o ai debitori oppure per andare in guerra. Tali condizioni erano la premessa per potersi rifare una vita.

Dopo aver analizzato brevemente la bigamia, ci soffermeremo su alcuni fattori relativi all’esistenza del vincolo nei matrimoni presunti. Una delle variabili è la promessa di matrimonio. Da molti studi è risultato che molti fedeli non conoscevano la differenza tra l’uso dei verbi al presente e al futuro (come abbiamo già visto in precedenza). Nonostante ciò i cristiani conoscevano le diverse fasi del matrimonio e il significato dei diversi gesti rituali che dovevano tenere: il tocco della mano, lo scambio degli anelli e altre azioni che esprimevano il consenso reciproco.

I gesti erano più importanti delle parole64. Ad esempio nel tardo medioevo e

nelle città comunali centro-settentrionali la cerimonia nuziale poteva svolgersi di fronte a dei testimoni. Solitamente la volontà di contrarre matrimonio nella coppia si manifestava a parole con una semplice risposta affermativa “Messer si” alla domanda del notaio, posta prima alla sposa poi allo sposo. Dopo lo scambio dei consensi seguivano alcuni gesti rituali: il bacio o la dazione dell’anello da parte dello sposo. Tuttavia nel triste caso in cui l’anello non fosse “presente” durante la cerimonia, allora si sarebbe dovuto considerare il vincolo incompleto. Una soluzione allo scopo di completare il rito nuziale sarebbe stata quella di farsi prestare l’anello da qualche amico o conoscente65.

Fin ora abbiamo analizzato la questione del matrimonio clandestino sul piano teologico e normativo, ma la Chiesa e le autorità secolari avevano altri motivi per combattere tale pratica. Le ragioni erano legate molto spesso alla sfera sociale, come ad esempio la possibilità di stipulare

63 Francesco Foramiti, Enciclopedia legale ovvero Lessico Ragionato di gius naturale, civile, canonico, mercantile, cambiario, marittimo, feudale, penale, pubblico, interno e delle genti,Gondoliere, Venezia, 1828-1840, p.263-264.

64 Daniela Lombardi, Storia del matrimonio. Dal medioevo ad oggi, Il mulino, Bologna, 2008, p.40.

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alleanze con altre famiglie attraverso il matrimonio dei loro membri al fine di raggiungere i loro obbiettivi economici o politici. Tuttavia esistevano anche altre motivazioni, quali la legittimità dei figli e la trasmissione dell’eredità. Tali motivi valevano, in misura maggiore, per le famiglie aristocratiche perché avevano molti interessi in ballo, tra cui la necessità di pacificare due fazioni in guerra da lungo tempo attraverso un matrimonio. Nel libro “Famiglia e matrimonio in Europa” Goody, l’autore, fa uno studio approfondito del ruolo dell’istituzione del matrimonio nel contesto europeo mediterraneo. Lo studioso si concentra sull’analisi delle due “forme” di matrimonio: la tipologia interna e quella esterna. In altre parole: con chi i membri di una determinata famiglia stabiliscono un legame matrimoniale? Nel matrimonio di tipo interno, gli sposi provengono dalla stessa famiglia; mentre nel secondo caso l’unione avviene tra gli appartenenti di clan differenti. Lo scopo di tali unioni era quello di rafforzare una determinata posizione politica o di creare una nuova alleanza politica. Il matrimonio di tipo interno era in contrasto con le teorie sull’incesto, contro ciò che in termini di unione sessuale era considerato impuro66. L’Europa finì per

rifiutare il matrimonio ravvicinato, per lo meno a livello parentale, in quanti le popolazioni rimasero endogame come ad esempio l’aristocrazia. Così facendo il continente europeo si distinse dal mondo arabo sul piano del matrimonio ravvicinato, ma anche dalle antiche civiltà mediterranee67.

Tuttavia all’interno del Cristianesimo vi erano posizioni discordanti. Ad esempio Lutero condannò l’’eccessivo numero di impedimenti di consanguineità, che limitavano fortemente la libertà di scelta. Difatti nelle aree protestanti l’unione formale fra cugini è accettata, mentre la Chiesa di Roma ha cambiato le proprie posizioni solo nel 1917 per escludere i soli cugini di primo grado. Nella Chiesa ortodossa il matrimonio ravvicinato è tuttora proibito68.

66 Jack Goody, Famiglia e matrimonio in Europa, Biblioteca Universale Laterza, Bari, 1995, p.36.

67 Ibidem. 68 Ivi, p.37

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Non solo il diritto canonico combatteva le forme illecite, considerate dalla dottrina, ma anche influenzò le leggi di molti sovrani europei per quanto riguarda l’istituzione del matrimonio. Nell’Italia centrosettentrionale le norme prescrivevano alcuni punti, i quali dovevano essere rispettati dagli sposi (e dalle loro famiglie) al fine del buon esito dell’unione. Ad esempio le città italiane richiedevano alcune forme di pubblicità, quali la presenza dei testimoni e di un notaio che aveva il compito di redigere un atto ufficiale e di testimoniare la consegna dell’anello da parte dello sposo fatta in pubblico69. Inoltre gli statuti delle città italiane prevedevano un ulteriore

livello di consenso, o meglio, non bastava il benestare della coppia per contrarre matrimonio, ma era necessario anche quello paterno. Nel caso in cui la figura paterna fosse assente, il compito di esprimere il consenso sarebbe ricaduto sulla madre oppure su una lunga serie di consanguinei in linea paterna70.

Dalla lettura delle legislazioni secolari possiamo intuire che erano sopratutto i matrimoni delle figlie ad essere sotto un forte controllo delle famiglie. Gli uomini, che le sposavano senza il permesso paterno, andavano incontro a pene pecuniarie, mentre le donne perdevano il diritto alla dote. Tale tipologia di unione, detta matrimonio ratto, fu già condannata e proibita dal Corpus Iuris Civilis di Giustiniano; in concreto il matrimonio sarebbe stato considerato nullo, anche con il consenso della sposa, poiché andava contro la volontà della famiglia della fanciulla.

Nell’immaginario collettivo del quattordicesimo e quindicesimo secolo gli sposi clandestini erano visti come dei criminali, che rapivano le ragazze dalla casa paterna. Se per disgrazia la fanciulla avesse acconsentito alle nozze, tale atto sarebbe stato considerato come una grave offesa nei confronti di chi esercitava la potestà paterna. Chi avesse compiuto una tale onta verso l’autorità paterna, sarebbe stato punito dai tribunali, in rispetto

69 Daniela Lombardi, Storia del matrimonio. Dal medioevo ad oggi, Il mulino, Bologna, 2008, p.43.

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degli statuti, attraverso un’ammenda, destinata alla figura maschile che tutelava la donna.

Nel sedicesimo secolo e nei secoli successivi le sanzioni si inasprirono nei confronti dei matrimoni clandestini. Ad esempio in Spagna i sovrani promossero una serie di politiche per dissuadere i giovani ad attuare tale pratica. Nel 1505 la regina Giovanna promulgò una legge sui matrimoni clandestini che prevedeva la diseredazione71, politica già in uso da tempo in

diverse città comunali italiane.

71 Daniela Lombardi, Storia del matrimonio. Dal medioevo ad oggi, Il mulino, Bologna, 2008, p.44.

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Capitolo 2 La Riforma protestante

La Riforma protestante, che investì con grande forza l’Occidente e la Chiesa, era la risposta alle domande di cambiamento e alle esigenze di recupero dei canoni di purezza e di semplicità propri della religione cristiana delle origini, tramite lo studio diretto delle Sacre Scritture. Inoltre si voleva soddisfare la necessità di un impegno religioso più intenso, conforme alle massime evangeliche. Le basi della riforma furono gettate da riformatori come Thomas Moore (1478 – 1535), celebre autore dell’opera

L’Utopia e l’agostiniano Erasmo da Rotterdam72 (1466 – 1536), il quale

ottenne fama a livello internazionale attraverso l’Enchiridion Militis

Christiani (ossia il Manuale del soldato cristiano), pubblicata nel 150373.

Oltre all’esigenza di tornare al messaggio originario della parola di Cristo, la Riforma protestante si interessò anche alla revisione di diversi dogmi, istituzioni ed elementi della dottrina cristiana. Le soluzioni esposte da Erasmo influenzarono il pensiero dei riformatori di tutta Europa. Tra i tanti elementi revisionati dalla Riforma protestante vi furono i sacramenti, i quali furono definiti ed interpretati con alcune differenze da Lutero, Zwingli e Calvino.

Tra il 1515 e il 1518 la fede e la spiritualità di Martin Lutero (1483 – 1546), il fautore della Riforma di Wittenberg, subirono una profonda trasformazione che lo portarono a concepire un programma che avrebbe messo in discussione diversi aspetti della Chiesa e del papato74. La fragile

fede del monaco nei confronti del clero e dell’autorità romana lo spinsero a pubblicare l’opera “De captivitate babylonica ecclesiae praeludium” (La cattività babilonese della Chiesa) nel 1520, la quale era non solo un’aperta denuncia della corruzione della Chiesa, ma anche una critica alla concezione cristiana dei sacramenti. Lutero si distaccò dal pensiero della

72 Carlo Capra, Storia moderna (1492-1848), Le Monnier Università, Firenze, 2008, p. 89. 73 Ibidem.

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dottrina cattolica ufficiale, infatti parlò dei sacramenti con i seguenti termini:

Anzitutto, devo negare che vi siano sette sacramenti e per il momento ne ammetto soltanto tre: il battesimo, la penitenza e il pane. E questi la curia romana ce li ha ridotti tutti in un miserevole stato di cattività, spogliando la chiesa di tutta la sua libertà75.

La Chiesa romana riconosceva l’esistenza di sette sacramenti, mentre Lutero ne riconobbe tre (il battesimo, la penitenza e l’eucaristia) in un primo momento, poi solo due: il battesimo e l’eucaristia. Lutero spiegò inoltre le motivazioni per cui l’eucarestia o il battesimo potevano essere considerati dei sacramenti attraverso la propria definizione del termine “sacramento”, contenuta nell’opera “La cattività babilonese della Chiesa”:

[…] è stato detto che insieme alle promesse divine sono dati dei segni che rendono l’immagine di ciò che le parole significano o che il sacramento, come dicono autori più recenti, con efficacia significa76.

Lutero affermava che un sacramento era la promessa fatta da Dio agli uomini rappresentata da un simbolo concreto: solo pochi sacramenti rientravano nella sua definizione. Altri sacramenti, secondo il monaco tedesco, erano delle semplici dichiarazioni perché non presentavano nessun simbolo anche se avevano un ruolo importante nella dottrina della Chiesa romana. Il battesimo, per esempio, era la promessa di far parte della comunità cristiana, attraverso il rito dell’acqua, come l’eucaristia attraverso il pane e il vino77. La penitenza (o confessione), riconosciuta in un primo

momento, venne successivamente rigettata perché non aveva un proprio simbolo esterno.

Lutero si espresse anche sull’istituzione del matrimonio, riconosciuto come sacramento dal diritto canonico. Innanzitutto sottolineò che non vi erano

75 Lutero, La cattività babilonese della chiesa, Claudiana, Torino, 2010, p. 76-77. 76 Ivi, p. 193.

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