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Effetto della copertura con reti protettive monofila su un impianto ad alta densità di ciliegio (Prunus avium L.)

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Academic year: 2021

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Università di Pisa

Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Agro-ambientali

Corso di Laurea Magistrale in Produzioni agroalimentari e gestione degli

agroecosistemi

Effetto della copertura con reti protettive monofila su un

impianto ad alta densità di ciliegio (Prunus avium L.)

Candidato

Mattia Bertelli

Relatore

Prof. Damiano Remorini

Correlatore

Prof.ssa. Lucia Guidi

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INDICE

INDICE DELLE FIGURE ... 3

PREMESSA ... 6

1 - INTRODUZIONE ... 8

1.1 – Nuove tendenze nella coltivazione del ciliegio dolce (Portinnesti, Sesti d’impianto e forme d’allevamento, Varietà) ... 8

1.2 – Principali avversità (Cracking, Drosophila Suzuki Matsumura) 12 1.3 – Accorgimenti e soluzioni ... 16

1.4 – Obiettivi ... 21

2 – MATERIALI E METODI ... 22

2.1 – Materiale vegetale e caratteristiche del sito ... 22

2.2 – Focus sul sistema di copertura utilizzato (keep in touch® system) . 24 2.3 – Campionamento e scelta dei parametri ... 26

2.4 – Analisi effettuate (Contenuto in antociani, Contenuto in fenoli totali, Capacità antiossidante, Acido Ascorbico) ... 28

3 – RISULTATI ... 34

3.1 – Parametri ambientali (temperatura, umidità relativa, radiazione solare e piovosità) ... 34

3.2 – Analisi pomologiche (peso medio, cracking index, contenuto in solidi solubili) ... 42

3.3 – Caratteristiche nutritive e nutraceutiche(Contenuto in antociani, Contenuto in fenoli totali, Capacità antiossidante, Acido Ascorbico) ... 45

4 – DISCUSSIONE ... 49

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INDICE DELLE FIGURE

Figura 1 - Vista dall'alto dell’appezzamento interessato dallo studio (cerchiato in rosso). ... 24

Figura 2 - Particolare del sistema di copertura Keep in touch® system. Nell’immagine è

evidenziata la differenza tra la parte superiore della copertura e quella laterale. Mentre la prima è composta da un sistema doppio strato in grado di rompere la goccia d’acqua ed allontanarla incanalandola lateralmente, la seconda è caratterizzata da una semplice rete con maglia abbastanza larga da non limitare eccessivamente la traspirazione, pur mantenendo l’ambiente inaccessibile agli adulti di Drosophila suzukii. ... 25

Figura 3 – Sistema di copertura monofila Keep in touch® system sui filari di ciliegio presso

l’Azienda Frutta e Fiori di Roghi Santi (Foiano della Chiana, AR). Nella foto si può vedere la disposizione della copertura sui filari ed il suo fissaggio nella porzione più bassa. Da notare l’inerbimento naturale impiegato nel filare ... 26

Figura 4 - Campioni scongelati ed utilizzati nella determinazione dei parametri d'interesse. ... 29

Figura 5 - Confronto temperature giornaliere medie registrate, nel periodo dal 18 maggio al 15 giugno sotto (interna) e sopra (esterna) la copertura utilizzata. ... 35

Figura 6 - Confronto temperature giornaliere massime. ... 35

Figura 7 - Confronto temperature giornaliere minime. ... 36

Figura 8 - Confronto umidità giornaliera media registrata, nel periodo dal 18 maggio al 15 giugno sotto (interna) e sopra (esterna) la copertura utilizzata. ... 37

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Figura 10 - Confronto umidità giornaliera minima. ... 38

Figura 11 - Piovosità giornaliera registrata, nel periodo dall’1 aprile al 15 giugno (2016) dalla stazione metereologica di Cesa, nel comune di Marciano della Chiana (246m s.l.m.). ... 39 Figura 12 - Piovosità giornaliera registrata, nel periodo dall’1 aprile al 15 giugno (2017) dalla stazione metereologica di Cesa, nel comune di Marciano della Chiana (246m s.l.m.). ... 39

Figura 13 – Confronto fra la piovosità giornaliera registrata nel periodo 1 aprile-15 giugno degli anni 2016 e 2017. ... 40

Figura 14 - Radiazione solare registrata giornalmente a intervalli di 30 minuti, nel periodo dall’1 aprile al 15 giugno (2016) dalla stazione metereologica di Cesa, nel comune di Marciano della Chiana (246m s.l.m.). ... 41

Figura 15 - Radiazione solare registrata giornalmente a intervalli di 15 minuti, nel periodo dall’1 aprile al 15 giugno (2017) dalla stazione metereologica di Cesa, nel comune di Marciano della Chiana (246m s.l.m.). ... 41

Figura 16 - Peso medio dei frutti delle diverse cultivar di ciliegio analizzate. Le barre di errore indicano la deviazione standard. ... 43

Figura 17 - Contenuto in solidi solubili medio dei frutti delle diverse cultivar di ciliegio analizzate. Le barre di errore indicano la deviazione standard. ... 43

Figura 18 - Indice di spaccatura dei frutti (Cracking index) delle diverse cultivar di ciliegio analizzate. Le barre di errore indicano la deviazione standard. ... 44

Figura 19 - Indice di spaccatura dei frutti (Cracking index) di due delle cultivar di ciliegio analizzate per l’anno 2016. Le barre di errore indicano la deviazione standard. ... 45

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Figura 20 – Contenuto in antociani medio dei frutti delle diverse cultivar di ciliegio analizzate. Le barre di errore indicano la deviazione standard. ... 46

Figura 21 - Contenuto in fenoli totali medio dei frutti delle diverse cultivar di ciliegio analizzate. Le barre di errore indicano la deviazione standard. ... 47

Figura 22 – Capacità antiossidante media dei frutti delle diverse cultivar di ciliegio analizzate. Le barre di errore indicano la deviazione standard. ... 47

Figura 23 – Quantitativo di acido ascorbico medio contenuto nei frutti delle diverse cultivar di ciliegio analizzate. Le barre di errore indicano la deviazione standard. ... 48

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PREMESSA

I sistemi produttivi arborei prevedono l’utilizzo di tecniche di coltivazione decisamente differenti da quelle utilizzate in ambito orticolo o erbaceo. La principale peculiarità che può essere individuata risiede nella poliannualità del ciclo stesso, non certo esclusiva di questo tipo di colture, ma senz’altro caratterizzante. Questo aspetto ha come conseguenza diretta l’occupazione, per periodi di tempo più o meno lunghi, del suolo. A livello pratico ciò si risolve in operazioni aggiuntive, come la potatura e il diradamento, mentre sul piano economico risulta necessario tenere conto di eventuali periodi di inattività (primi anni d’impianto) e della necessità di un investimento a lungo termine. Oltre agli aspetti tecnico-economici risultano di particolare interesse anche quelli di ordine biologico ed ambientale. Una pianta costretta a rimanere sul terreno per tutto l’anno e per più anni (fattore variabile rispetto al sistema di allevamento utilizzato) è maggiormente sottoposta ai numerosi fattori di stress che possono inficiarne le condizioni e quindi la produttività, decretandone un calo sia quantitativo che qualitativo. A tal proposito è possibile identificare alcuni parametri d’interesse, come la disponibilità di luce, acqua ed elementi nutritivi, le condizioni atmosferiche come pioggia, vento, grandine o neve, ed infine i fattori ecologici come insetti fitofagi, avio-fauna e piccoli roditori. Se a questo aggiungiamo il rischio connesso allo sviluppo di patologie vegetali di origine batterica, fungina o virale si può ben comprendere come la gestione dell’agroecosistema in condizioni di persistenza prolungata della pianta sul terreno, come accade per la maggior parte delle coltivazioni frutticole, debba essere meticolosa ed efficace.

Le attuali tecniche di gestione del frutteto consentono di ottenere una buona efficienza nell’uso dello spazio a disposizione, arrivando a densità molto elevate che possono superare le 1000 piante/ha. Ai classici sistemi di allevamento estensivi si sono, nel tempo, affiancati sesti d’impianto sempre più ridotti e quindi metodi di coltivazione maggiormente intensivi. Se da un lato questi permettono di sfruttare il più possibile le superfici massimizzando le rese del frutteto, dall’altro hanno favorito l’instaurarsi di condizioni particolarmente stressanti per le piante, anche in seguito alla ricerca di portinnesti a vigoria sempre più contenuta. La fitta densità fogliare, se non opportunamente gestita, può portare all’instaurarsi di un

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microclima particolarmente idoneo allo sviluppo di varie patologie vegetali, nonché favorire la comparsa di alcuni insetti specializzati che possono quindi trovare un ambiente senza competitori in cui proliferare indisturbati.

In quest’ottica risulta di fondamentale importanza saper coniugare gli aspetti economici e produttivi con quelli di ordine puramente agronomico nella gestione dell’ecosistema arboreo. Uno dei parametri più importanti nel mantenimento di questo equilibrio è senz’altro rappresentato dai sistemi di difesa utilizzati dal coltivatore, che devono essere scelti con oculatezza, anche tenendo conto delle possibilità di mercato che il suo prodotto possiede.

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1 - INTRODUZIONE

1.1 – Nuove tendenze nella coltivazione del ciliegio dolce

Il ciliegio è una pianta di origini asiatiche, diffusa fin dall’antichità in Europa, suddivisibile principalmente in due specie: ciliegio dolce (Prunus avium L.) e ciliegio acido (Prunus cerasus L.). Fra le due specie è senza dubbio la prima a possedere una certa importanza commerciale. Secondo i dati della FAO (Food Agriculture Organisation) riferiti all’anno 2013, nel mondo la produzione di ciliegie si aggirerebbe intorno ai 2,2 Mln di t, destinate al consumo fresco o utilizzate come ingrediente di base dall’industria alimentare, segnando un leggero incremento rispetto agli anni precedenti (Lunati, 2014). Per quanto riguarda la situazione europea, relativa al ciliegio dolce, la produzione nel triennio 2007-2009 ha raggiunto le 730.000 tonnellate, rappresentando il 37% della cerasicoltura mondiale del periodo, di cui il 16,7% costituito dalla sola produzione italiana con più di 100.000 tonnellate all’anno, superando i quantitativi di Russia e Spagna (Milatovic e Lugli, 2012). All’interno del nostro paese la regione cardine della cerasicoltura italiana è sicuramente la Puglia, che produce annualmente il 77% circa delle ciliegie nostrane, seguita nell’ordine da Campania, Emilia-Romagna, Veneto e Lazio (Istat, 2011). Negli ultimi anni, conseguentemente ad un deciso cambiamento delle abitudini di consumo di una fascia sempre più ampia di cittadini, è stato possibile assistere ad un particolare ritorno alle produzioni agro-alimentari tipiche, ottime per favorire l’agricoltura nostrana. In tal senso, nell’ambito della cerasicoltura italiana, si possono individuare diversi prodotti di pregio in grado di fregiarsi di marchi che ne garantiscano e ne riconoscano la qualità. Tra questi è possibile annoverare la ciliegia dell’Etna fra i prodotti DOP (Denominazione di Origine Protetta), e le ciliegie di Marostica (Veneto) e Vignola (Emilia-Romagna) fra gli IGP (Indicazione Geografica Protetta), nonché altre produzioni in attesa di ottenere il marchio IGP, come la ciliegia di Lari coltivata nella provincia di Pisa e comprendente ben 14 qualità autoctone (Funghi, 2003).

Il successo agronomico ed economico di un frutteto dipende fortemente dalle valutazioni tecniche che si fanno al momento dell’impianto, con scelte che, se non irreversibili, risultano modificabili solo con forti investimenti di tempo e risorse. La scelta del sistema d’allevamento e la progettazione del frutteto devono tenere conto di vari aspetti di tipo economico, politico, agronomico, ambientale ed

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infrastrutturale della zona. In quest’ottica è quindi importante valutare a priori le finalità che si perseguono, rappresentate dalla tipologia di mercato con il quale si desidera interfacciarsi, contestualizzando il progetto all’ambiente di riferimento. Per quanto riguarda la coltivazione del ciliegio dolce, negli ultimi decenni ci sono stati importanti variazioni delle tendenze relative all’impostazione del ceraseto ed alla tecnica di coltivazione utilizzata, soprattutto in seguito ad un importante lavoro di selezione di portinnesti semi-nanizzanti e nanizzanti (Lugli e Bassi, 2010).

Portinnesti

Le caratteristiche ricercate in un portinnesto come la resistenza alle gelate, la ridotta vigoria o la tolleranza alla siccità, possono variare in funzione del sito di coltivazione, ma allo stesso tempo danno la possibilità di coltivare la stessa pianta in ambienti fra loro diversi, per caratteristiche fisiche, chimiche o biologiche del terreno (Balmer, 2011; Sansavini et al., 2012). In tal senso lo sviluppo di portinnesti a vigoria ridotta e nanizzanti ha favorito l’applicazione di nuove tecniche di coltivazione del ciliegio, fornendo il giusto impulso per la progressione di questa branca della frutticoltura in varie parti del mondo. In modo particolare è stata la serie GiSeLa®, ottenuta nell’università di Liebig in Gissen, Germania, a fornire tale

impulso (Musacchi et al., 2012). I derivati dell’incrocio tra P. cerasus x P.

canescens, che rappresentano le due linee parentali di GiSeLa®, possiedono

caratteristiche di grande interesse, soprattutto per quanto concerne la rapidità di entrata in produzione e la quantità di prodotto ottenuto. Sono altrettanto positivi gli aspetti di pezzatura/calibro dei frutti e le tolleranze alle virosi (Lang, 1998; Weber, 2003; Stehr, 2005). Dell’intera serie di portinnesti in Europa si sono diffusi GiSelA®5 e il GiSelA®6, fra i quali il primo è quello maggiormente impiegato, anche grazie alla sua compatibilità con le principali varietà di ciliegio. A questa importante caratteristica si aggiunge anche il basso quantitativo di polloni prodotti, fatto che contribuisce a facilitare la gestione della pianta (Musacchi et al., 2012). Il portinnesto GiSeLa®5 è propagato in vitro e garantisce una riduzione della vigoria delle piante del 60-65%, senza però ritardare o ridurre la produttività in modo rilevante (De Salvador e Lugli, 2002). Al fine di evitare uno sbilanciamento della pianta fra attività vegetativa e produttiva è necessario effettuare energiche azioni di potatura (Perry e Flore, 1993; Weber, 2003), così da contrastare il fenomeno dell’invecchiamento precoce della pianta, spesso legato alla scarsa capacità di

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rinnovo vegetativo permessa dai portinnesti nanizzanti o semi-nanizzanti (Bassi, 2005; Gonda et al., 2007). In questa sede ci limiteremo all’analisi delle caratteristiche di GiSeLa®5 in quanto portinnesto delle piante interessate dalla sperimentazione.

Sesti d’impianto e forme d’allevamento

Fino agli anni ’80 la produzione di ciliegie era caratterizzata da impianti a bassa densità (400-500 piante/ha) e forme in volume (vaso tradizionale, palmetta) che garantivano, in tali condizioni, un’enorme sviluppo delle singole piante. In un primo momento l’introduzione e l’utilizzo di portinnesti a vigoria ridotta, congiuntamente all’adozione di forme di allevamento più contenute (es: vasetto multiasse, vasetto basso) hanno permesso il raggiungimento di densità più elevate, fino ad arrivare alle 800 piante/ha. Nell’epoca più recente, ed in seguito ad un’attenta attività di miglioramento genetico, i sistemi di allevamento sfruttano le caratteristiche di contenimento della vigoria offerte dai nuovi portinnesti nanizzanti, affiancate a forme di allevamento decisamente più contenute, come il fusetto, il sistema a V e l’asse colonnare, per poter raggiungere densità d’impianto prossime a 6000 piante/ha (Lauri, 2005). Tale risultato non è dovuto però alla sola adozione di portinnesti nanizzanti: infatti il contenimento dell’accrescimento delle singole piante è anche correlato all’innescarsi dei fenomeni di competizione dovuti al minore sesto d’impianto (Sansavini et al., 2012). Le forme di allevamento specifiche per questo tipo di coltivazione, come l’asse colonnare (SSA), si rendono necessarie per la buona riuscita del frutteto perché hanno lo scopo di migliorare l’intercettazione e la distribuzione della luce all’interno della pianta, equilibrando l’attività vegeto-produttiva (Lauri, 2005) e contenendo lo sviluppo dell’albero, allo scopo di aumentare l’efficienza della manodopera durante le operazioni di raccolta e potatura (Whiting et al., 2005; Long, 2007; Lugli e Musacchi, 2009).

Varietà

La comparsa sul mercato di nuovi portinnesti con caratteristiche innovative ed il successivo sviluppo di forme di allevamento idonee alle nuove densità, sono state facilitate anche dai risultati di selezione di nuove varietà di ciliegio dolce in grado di sfruttare al meglio le caratteristiche dei nuovi impianti. Gli aspetti chiave che sono stati presi in considerazione per l’attività di miglioramento genetico,

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riguardano sia gli elementi qualitativi fondamentali come la consistenza della polpa o la grossa pezzatura, sia gli aspetti “secondari” come la tolleranza ai fenomeni di spaccatura (cracking), l’autofertilità e l’ampliamento del calendario di maturazione (soprattutto sulle cultivar precoci). Interessante risulta anche la selezione di varietà idonee alla raccolta meccanica (Milatovic e Lugli, 2012). Per quanto concerne il panorama cerasicolo italiano la varietà di riferimento è Burlat, raccolta indicativamente il 25 maggio in Emilia-Romagna. Le principali varietà coltivate nelle aree produttive del Nord Italia sono Burlat (0), Giorgia (+11), Van (+19), Ferrovia (+22), Lapins (+24) e Sweetheart (+30) (Lugli et al., 2006). In Puglia nell’area intorno a Bari vengono utilizzate le cultivar Burlat, Moreau, Giorgia e Ferrovia, che fanno parte dell’IGP “ciliegia di terra di Bari” (Palese, 2008).

Le varietà ottenute negli ultimi anni (tabella 1) con il miglioramento genetico, sono affiancate da varietà locali che rappresentano la base produttiva di molte aree, tra le quali si possono citare la Mora di Verona, il Durone Nero I diffuso nel Vignolese e Malizia diffusa nelle zone di Napoli e Caserta (Palese, 2008; Funghi, 2003). L’esemplificazione e la velocizzazione delle normali operazioni colturali, possibile grazie a quanto detto precedentemente, ha come conseguenza diretta un abbattimento significativo del costo complessivo della manodopera, comprendente soprattutto raccolta e potatura (Armentano, 2014). Oltre all’abbattimento dei costi sono presenti diversi altri vantaggi legati soprattutto alla coltivazione di piante di taglia contenuta. Una diminuzione nelle dimensioni della pianta permette innanzitutto di eseguire le normali operazioni colturali da terra, diminuendo il tempo impiegato (possibile meccanizzazione) ed i rischi per l’operatore, migliorando allo stesso tempo la distribuzione e lo sfruttamento della luce all’interno della chioma. Quest’ultima caratteristica può influire significativamente sul colore dei frutti, ma anche su determinati aspetti nutrizionali (Sansavini et al., 2012).

Risulta inoltre possibile utilizzare strutture semipermanenti, come teli e/o reti, in grado di proteggere la pianta da numerose avversità di ordine sia biotico (insetti, funghi, animali) che abiotico (pioggia e grandine), permettendo di affiancare una protezione di tipo fisico a quella classica di tipo chimico. Da questo punto di vista il minor quantitativo di prodotti chimici di sintesi distribuiti e la loro migliore efficienza di distribuzione ha come risultato una riduzione significativa del loro impatto ambientale (Hrotkò, 2005).

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In un impianto intensivo inoltre è possibile ottenere una riduzione del periodo improduttivo della pianta, con quantitativi di frutta raccolta di circa 0,5-0,6 Kg di ciliegie nel secondo anno d’impianto e circa 2,0-2,5 Kg il terzo anno, favorendo la comparsa di caratteri qualitativi di maggior pregio come una maggiore pezzatura (calibro) dei frutti stessi (Armentano, 2014).

Tabella 1 - Le varietà di ciliegio consigliate dal Progetto Liste varietali 2015. Evidenziate in celeste

le varietà particolarmente soggette al cracking; in rosso le varietà autofertili (Modificato da Palasciano, 2015).

Varietà precoci Verietà medio precoci

Varietà intermedie

Varietà

medio-tardive Varietà tardive

Rita Brooks Black Star Gégé Patty-Skeen

Early Lory Tieton Index Kordia-Attika Regina

Early Bigi (Bigi Sol) Cashmere Margit Sylvia Sweetheart (Sumtare)

Sweet Early (Panaro 1) Celeste (Sumpaca) Sandra Rose

Ferrovia-Ferrovia Spur Alex, Axel

Burlat – Burlat C1 Giorgia Canada Gian

(Sumgita) Big Star Symphony-Selina

Early Star (Panaro 2) Grace Star Summit Germersdorfi Orias 3

Staccato (Summer Charm-13S2009)

Vera Cristalina

(Sumnue) Lucrezia

Carmen Enrica Lapins

Samba (Sumste) Van Linda

New Star Techlovan

Aida

Giulietta

1.2 – Principali avversità

Il ciliegio dolce è sottoposto, così come le altre piante arboree da frutto, ad una serie di avversità biotiche ed abiotiche che possono compromettere gli standard qualitativi e quantitativi delle produzioni (Savino et al., 2011). Attualmente le problematiche principali nei ceraseti riguardano soprattutto il fenomeno del

cracking e l’azione dell’insetto fitofago Drosophila suzukii Matsumura. Lo spacco

della ciliegia o cracking, è dovuto alla pioggia e ad oggi è riconosciuto come una problematica centrale nella difesa del ciliegio (Grandi et al, 2011), in modo particolare laddove le condizioni predisponenti tale avversità dovessero verificarsi fra le fasi di invaiatura e maturazione (Lugli et al, 2001). Il ruolo primario di questa

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avversità è dovuto al fatto che se non opportunamente contrastata risulta capace di deprimere in modo significativo la produttività e la rimuneratività di un impianto. Queste spaccature risultano essere la somma di un insieme di fattori di natura chimica, morfologica e fisiologica (Meland e Kaiser, 2011), e sono inoltre influenzate dalle condizioni fisiologiche della pianta e dalla suscettibilità stessa della cultivar utilizzata. Drosophila suzukii Matsumura rappresenta invece una problematica relativamente recente nel panorama della coltivazione del ciliegio. La prima segnalazione dell’insetto in Emilia-Romagna si è avuta nel 2011 ed in seguito è stato predisposto, dal servizio fitosanitario regionale, un piano di monitoraggio dell’attività dell’insetto al fine di studiarne approfonditamente il comportamento, l’areale di diffusione e la biologia. A tal proposito nel 2014 sono state disposte trappole di cattura, innescate con attrattivi alimentari per adulti, in 67 siti differenti della regione con prevalente conduzione cerasicola, seguiti da campionamenti atti ad individuare la successiva presenza di uova o larve sui frutti. I risultati di questo studio hanno dimostrato una presenza più forte dell’insetto rispetto agli anni precedenti, fatto che può solo confermare la sua rilevanza nella coltivazione del ciliegio (Boselli, 2015). Le problematiche del ciliegio però non si limitano a queste due, nonostante siano considerate le più importanti. Sono infatti presenti molte altre avversità di tipo biotico che possono minare la capacità produttiva di un impianto riducendo la produzione vendibile. A tal proposito è necessario citare le virosi (PNRSV, PDV, ACLSV e ApMV) e le molteplici malattie fungine, che rappresentano un ulteriore fattore limitante la produzione. Le principali specie di funghi che possono causare marciumi su ciliegio (e su altre drupacee) sono

Monilinia laxa e Monilinia fructigena, entrambe causa di moniliosi. Il loro sviluppo

è vincolato a condizioni di elevata umidità, provocate da piogge ripetute o nebbie che causano la bagnatura prolungata della vegetazione, e dalla presenza di vie d’ingresso per i patogeni, rappresentate dai fiori o da lesioni presenti sui frutti. Nel caso specifico del ciliegio la fase di invaiatura è sicuramente la più delicata (Fornaciari, 2008).

In entrambi i casi si tratta di avversità che richiedono un’attenta azione preventiva che comincia con la sanità del materiale di propagazione e giunge fino ad un’attenta azione agronomica (Savino et al., 2011). Un’ulteriore problematica riguarda la presenza, nel frutteto, degli uccelli, che svolgono da un lato un ruolo negativo cibandosi dei frutti e causando una perdita di produzione più o meno consistente,

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mentre dall’altro contribuiscono a tenere sotto controllo gli insetti fitofagi dei quali si nutrono (Sansavini et al., 2012). Oltre a queste componenti biotiche ce ne sono altre di tipo abiotico che possono contribuire a danneggiare la produttività del ceraseto. La grandine genera spaccature che possono facilitare la comparsa di malattie fungine o virali, mentre il vento può provocare danni da sradicamento nei primi anni d’impianto, in modo particolare nelle densità più alte, dove l’uso di portinnesti nanizzanti o semi-nanizzanti è correlato ad una minor capacità di ancoraggio offerta dalla giovane radice (Sansavini et al., 2012). Di seguito verranno analizzate più nel dettaglio le prime due avversità citate ovvero il cracking e la

Drosophila suzukii.

Cracking

Il fenomeno del cracking nel ciliegio è un problema piuttosto serio in molte zone del mondo (compreso il bacino mediterraneo), che può avere come conseguenza un’importante perdita economica dovuta all’impossibilità di immettere il prodotto sul mercato (Christensen, 1996). Come già indicato, tale perdita può arrivare ad interessare fino al 60-80% del prodotto commercializzabile (Cline et al., 1995), ma spesso è sufficiente che il danno interessi un quantitativo inferiore (20-30%) per rendere la raccolta controproducente in termini economici (Hanson and Proebsting, 1996). La comparsa del fenomeno è attribuibile al rapido assorbimento per osmosi di acqua piovana da parte del frutto, attraverso l’epidermide, nelle fasi precedenti alla raccolta (Simon, 2006). In tal caso la rottura è dovuta alla tensione generata dall’eccesso di acqua all’interno del frutto, che spinge l’epicarpo a lacerarsi (Lang

et al., 1994). Questa tipologia di assorbimento non è però l’unica via per

incrementare il contenuto di acqua nel frutto causando la successiva rottura dell’epidermide; tale fenomeno può avvenire, infatti, anche tramite il sistema vascolare del picciolo (Christensen, 1972; Sekse, 1995; Measham et al., 2009, 2011; Winkler, 2016; Knoche e Lang, 2017). In questo caso l’acqua sopraggiunge al frutto direttamente dalla pianta tramite il sistema vascolare presente nel peduncolo del frutto, causando uno sbilanciamento del contenuto idrico che può dare origine al fenomeno del cracking. Purtroppo a tal proposito sono stati effettuati ancora pochi studi per poter avere un quadro completo della situazione (Brüggenwirth et al., 2016). È poi presente un’altra interessante ipotesi di Koumanov (2015) sulla possibile origine del cracking: secondo tale ipotesi la

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spaccatura sarebbe dovuta alla rapida contrazione del tessuto cellulare del frutto in seguito al raffreddamento provocato dalla pioggia o ad un repentino abbassamento della temperatura ambientale. In questo caso l’attenzione si è spostata dall’espansione del tessuto ad una sua repentina contrazione (Landi et al., 2016, Knoche e Lang, 2017). Esiste infine un’ulteriore teoria secondo la quale il problema potrebbe essere dovuto alla mancata deposizione di membrana cuticolare, sulla superficie del frutto durante la sua fase di accrescimento (Alkio et al., 2012). Generalmente il cracking interessa tre differenti zone del frutto, distinguendosi in altrettanti tipi: basale, laterale o apicale. Non sono però ancora chiari i meccanismi che inducono la rottura in una di queste tre zone della drupa (Christensen, 1972a; Simon, 2006; Maesham et al., 2009, 2010). La suscettibilità delle diverse varietà di ciliegio in commercio può essere analizzata immergendo i frutti in acqua a temperatura controllata e determinandone quindi il cracking index (CI), calcolato come percentuale di frutti spaccati dopo un certo periodo di tempo (Christensen, 1972b).

Drosophila suzukii Matsumura

Una delle più recenti avversità del ciliegio è dovuta all’introduzione di un potente parassita dei piccoli frutti: Drosophila suzukii. Questo moscerino di origine asiatica è divenuto in poco tempo un grave problema sia in Europa che in Nord America (Rota-Stabelli et al., 2013). La peculiarità che rende questo insetto particolarmente dannoso sta nel fatto che, diversamente dalle altre specie di Drosophila già presenti nei nostri areali, questa non attacca solamente i frutti troppo maturi o danneggiati ma anche quelli integri; ciò è reso possibile dall’ovopositore dentato della femmina (Lee et al., 2011; Walsh et al., 2011). D. suzukii è stata individuata per la prima volta nel 2008 come parassita di bacche e drupacee (Asplen et al., 2015), trovando però nel ciliegio dolce il suo ospite più suscettibile, fatto probabilmente dovuto alle caratteristiche fisico-chimiche della polpa del frutto che risultano ideali allo sviluppo larvale (Bellamy et al., 2013). Le ciliegie vengono attaccate durante la fase di maturazione, partendo dall’invaiatura fino ad arrivare in prossimità della raccolta. Questo fatto rende il moscerino potenzialmente in grado di annullare completamente la produzione annuale (Armentano, 2014). Il danno provocato consiste nel danneggiamento dell’epidermide ed il rilascio di uova nei frutti sani (Stacconi et al., 2013), ma anche nella trasmissione di batteri, funghi ed altri vettori

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di infezione attraverso l’ovopositore della femmina (Walsh et al., 2011). In seguito alla deposizione si verifica l’infossamento della zona sottostante, dovuto all’alimentazione della larva, che ben presto porta ad un raggrinzimento del frutto ed alla comparsa di fenomeni tipici della marcescenza (Musetti e Sacchetti, 2013). Un altro fattore che rende Drosophila suzukii un parassita molto pericoloso è la sua grande capacità riproduttiva, che può portare a rapidi ed intensi incrementi di popolazione, come già precedentemente evidenziato (Boselli, 2015).

Il ciclo biologico di Drosophila suzukii inizia con la deposizione di 2-3 uova nelle prime fasi di maturazione del frutto, tenendo in considerazione che un frutto può essere fecondato anche da più femmine. L’incubazione è molto breve (2-3 giorni) e al termine di quest’ultima si ha la fuoriuscita di una larva che si nutre della polpa e continua il suo sviluppo, che si protrarrà per un periodo variabile dai 3 ai 13 giorni in base alla temperatura. L’impupamento avviene all’interno della ciliegia ed ha una durata simile a quella dello sviluppo larvale. La temperatura ottimale per l’intero ciclo è di circa 25°C, anche se lo sviluppo rimane regolare in un range che va dai 10 ai 30°C. In autunno gli adulti iniziano a cercare ripari per poter svernare nella primavera successiva. Considerando l’ampio range di temperatura ed il numero di ospiti in grado di parassitizzare, è stato stimato che D. suzukii riesca a compiere 10-15 generazioni l’anno. Le varietà più suscettibili all’attacco di questo insetto sono quelle più tardive. (Musetti e Sacchetti, 2013).

1.3 – Accorgimenti e soluzioni

Con la comparsa dei moderni impianti di ciliegio caratterizzati da elevate densità d’impianto e dall’uso di portinnesti nanizzanti, si è reso necessario adottare una strategia di difesa che permetta di proteggere l’elevato investimento iniziale, salvaguardando la produzione finale. A tal proposito sono state identificate diverse strategie per la protezione della coltura dalle avversità appena descritte, alle quali è necessario aggiungere il danno fisico provocato dalla grandine.

La tutela nei confronti del cracking può essere sviluppata con tre metodologie principali: (a) ridurre la bagnatura dei frutti nella fase finale della maturazione, (b) diminuire il potenziale osmotico dell’epidermide del frutto durante gli eventi piovosi o (c) proteggere i frutti con trattamenti minerali o idrofobi (Balbontin et al., 2013).

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La riduzione della bagnatura dei frutti può essere facilmente ottenuta tramite l’utilizzo di coperture anti-pioggia con film plastico. Si possono utilizzare semplici coperture in polietilene variamente intrecciate o anche film plastici in THB in grado di garantire una diversa trasmittanza luminosa (Meland e Kaiser, 2011). La riduzione del potenziale osmotico dell’epidermide del frutto può essere ottenuta irrorando soprachioma una soluzione di cloruro di calcio. L’efficacia di questa pratica è stata testata in diverse zone degli USA con risultati altalenanti e polemiche riguardanti la fitotossicità di tale attività (Meland e Kaiser, 2011). Per quanto concerne il trattamento con vari elementi minerali il Ca è risultato essere il più valido, in quanto sembrerebbe migliorare la resistenza delle pareti cellulari aumentandone lo spessore (Marschner, 1995). Questa teoria è confermata da un lavoro di Landi e collaboratori (2016) che evidenzia gli effetti positivi dei prodotti a base di calcio sulla prevenzione del cracking. In questo lavoro vengono inoltre messi in evidenza effetti simili ottenuti mediante l’utilizzo di prodotti a base di silicio. Degna di nota è anche l’azione positiva dell’aggiunta di altri microelementi (insieme a Ca e Si) come B, Fe, e Zn.

La difesa contro Drosophila suzukii è invece composta da metodi di tipo chimico, biologico e fisico. Attualmente il principale tipo di controllo utilizzato è quello chimico, che sfrutta l’azione di fitofarmaci come piretroidi e organofosfati (Beers

et al., 2011; Bruck et al., 2011; Cuthbertson et al., 2014; Profaizer et al., 2015; Van

Timmeren and Isaacs, 2013). Dall’invasione di SWD (Spotted Wing Drosophila) si è passati da due applicazioni, una prima della fioritura e una 20-30 giorni prima della maturazione, a provvedimenti più massicci con l’aggiunta di altri 2-3 interventi nel periodo immediatamente precedente la raccolta (Ioriatti et al., 2015). Considerando la ridotta disponibilità di nuovi prodotti registrati contro questo specifico insetto, il possibile sviluppo di resistenza da parte di D. suzukii ed il problema relativo al loro utilizzo prima delle operazioni di raccolta, con problematiche legate alla persistenza sul frutto di tali sostanze (LMR), risulta chiara la necessità di individuare soluzioni preventive alternative da integrare alla semplice difesa chimica (Armentano, 2014; Shawer et al., 2017). In primo luogo un’importanza centrale nella difesa integrata è assunta dal monitoraggio attraverso vari tipi di trappole, necessario per poter prevenire l’attacco da parte di SWD (Musetti e Sacchetti, 2013). Nel territorio italiano l’esca principalmente utilizzata a tale scopo è Droskidrink®, una miscela composta da vino rosso, zucchero di canna

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e aceto di mele, che garantisce buoni risultati in termini di catture, ma tende a formare uno strato polisaccaridico sulla superficie che ne limita l’efficacia a lungo termine (Caruso et al., 2017). Fra le soluzioni che possono affiancare l’intervento chimico, in prospettiva di un ordinamento produttivo integrato, ci sono senz’altro le strategie di tipo agronomico. Queste hanno l’obbiettivo di ridurre il carico ambientale rallentando la velocità di riproduzione della popolazione infestante. Questo risultato può essere ottenuto eliminando i frutti infestati ed i residui caduti al suolo (Musetti e Sacchetti, 2013). Anche la gestione delle potature può aiutare nel contenimento di Drosophila suzukii: effettuare una potatura che tenda a favorire una certa uniformità di maturazione, permette di raccogliere in un periodo di tempo più concentrato, riducendo di fatto il periodo utile all’attacco della mosca (Armentano, 2014). Un aiuto importante per limitare il danno provocato da questo insetto è infine offerto dalle reti anti-insetto (Grassi and Palloro, 2012). In questo caso sono però necessari alcuni accorgimenti per evitare di ridurne l’efficacia. La maglia utilizzata per la copertura deve essere piuttosto fitta (<0.8mm), inoltre la rete deve essere ben fissata ed a contatto col terreno, così da impedire la formazione di aperture in seguito all’azione dei vari agenti atmosferici. Infine gli operatori incaricati di effettuare le varie operazioni nel filare devono prestare attenzione durante l’entrata e l’uscita dalla copertura (Musetti e Sacchetti, 2013). Un’ulteriore soluzione da affiancare a quelle sopracitate è rappresentata dalla lotta biologica. A tal proposito è stato condotto uno studio da Caruso (et al., 2017) con lo scopo di individuare eventuali antagonisti da impiegare in un contesto biologico o integrato. Nella zona interessata dallo studio, situata in provincia di Modena, sono stati individuati tre imenotteri parassitoidi di possibile interesse: Leptopilina boulardi,

Pachycrepoideus vindemiae e Trichopria drosophilae. Il primo è un parassitoide di

larve ed in alcuni lavori precedenti aveva già mostrato scarsa efficacia nel contenimento di Drosophila suzukii (Chabert et al., 2012; Mazzetto et al., 2016), mentre il secondo ha dimostrato di attaccare non solo le pupe di ditteri ma anche di altri parassitoidi, rischiando di compromettere il contenimento di D.suzukii (Van Alphen e Thunissenn, 1993). Trichopria drosophilae ha invece evidenziato una certa efficacia nella parassitizzazione delle pupe, che però deve essere ulteriormente approfondita (Mazzetto et al., 2016). Nel lavoro di Caruso si fa riferimento anche al possibile impiego di funghi entomopatogeni come Beauveria bassiana e

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risultati deludenti che hanno messo in risalto l’inefficacia di tali pratiche su Drosophila suzukii; il motivo potrebbe essere legato al fatto che i ditteri del genere Drosophila sono in grado di produrre peptidi ad attività anti-fungina (Lemaitre et

al., 1997).

L’insieme di tutte queste problematiche congiuntamente all’elevato investimento iniziale che le alte densità richiedono, hanno spinto i frutticoltori ad adottare metodi di difesa di tipo preventivo. Fra queste strategie l’interesse si sta spostando sempre di più verso i sistemi di copertura del filare (Sansavini et al., 2012). Come evidenziato in precedenza i sistemi di copertura del filare possono essere utilizzati sia per prevenire il cracking che per contrastare l’attacco da parte di Drosophila

suzukii. A tal proposito è di particolare interesse valutare i pregi ed i difetti che la

sua adozione comporta, sia sotto il profilo tecnico-agronomico che da un punto di vista puramente economico. Lo scheletro di queste strutture è composto, nella maggior parte dei casi, da palificazioni che forniscono supporto alle giovani piante. I sostegni vengono utilizzati per evitare lo sradicamento degli astoni nei primi anni d’impianto, dato lo scarso ancoraggio al terreno garantito dai portinnesti a minore vigoria, fornendo al contempo un valido supporto fisico per l’installazione di altre strutture. Proprio a questo semplice sistema di pali è possibile fissare una copertura, variabile tanto nei materiali quanto nella funzione, oppure un sistema di micro-irrigazione ad alta efficienza (Sansavini et al., 2012). Per quanto riguarda i sistemi di protezione si possono individuare reti ombreggianti, in grado di limitare l’energia luminosa ricevuta dalle foglie (modificando lo spettro delle lunghezze d’onda), reti anti-grandine e reti anti-insetto.

L’efficacia dei sistemi di copertura specializzati nella riduzione dei danni causati dal cracking,è stata studiata da ricercatori dell’Università di Bologna nel biennio 2009-2010. L’uso di tre diversi sistemi anti-pioggia, su filari composti da una varietà mediamente sensibile (Grace Star) ed una sensibile (Lala Star) al cracking, ha portato in tutti e tre i casi ad una significativa riduzione dei danni al frutto, con differenze minime fra un sistema e l’altro (Grandi et al., 2011). Queste barriere fisiche si sono però dimostrate efficaci, seppur con riserve, anche nel contenimento dei danni causati dall’azione di Drosophila suzukii. Come evidenziato in un lavoro svolto nel periodo 2014-2016 da Caruso e collaboratori (2017) sull’utilizzo delle reti anti-insetto in un ceraseto nella zona di Vignola, il sistema risulta efficace nel contenimento del moscerino sebbene il controllo non sia stato completo. La prova,

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sotto questo aspetto, ha dato risultati positivi sia sulle medie che sulle alte densità. La copertura garantisce solo un’esclusione parziale, dato che le ripetute aperture durante la stagione, per il passaggio di mezzi agricoli ed operatori, hanno permesso comunque gli ingressi del moscerino. Si è però riscontrata una percentuale di cracking prossima a quella dei filari non coperti, indicando come il sistema adottato (copertura anti-pioggia adattata e chiusa sul perimetro da una rete anti-insetto, con dimensione della maglia della rete di 1 mm²) non sia stata molto efficace nei confronti dell’idropatia (Caruso et al., 2017). La combinazione di un sistema monofilare ad alta densità associato ad una copertura totale delle piante effettuata tramite l’utilizzo di reti o teli in materiale plastico, rappresenta quindi una pratica che si è dimostrata valida nel contenimento del dittero in questione, garantendo al contempo una produttività elevata. Questo risultato è rilevabile anche da una collaborazione avvenuta nel 2013 presso l’azienda agricola Moretti Leonardo di Voghera (Ferrara), fra Salvi vivai e Mario Tonioni di Boscato reti. In questo caso l’impiego della rete monofila (sistema Keep in Touch® System, KTS) ha permesso il contenimento di Drosophila suzukii, nonché di altri insetti dannosi, possibili vettori di virosi (Armentano, 2014). Questo tipo di rete è stata poi messa alla prova anche dal Dipartimento di Scienze Agrarie dell’Università di Bologna nel 2015. Il sito dove ha avuto luogo la prova è il centro sperimentale di Cadriano (BO). L’impianto di ciliegio utilizzato con la copertura KTS, comprende filari di due differenti varietà, ossia Black Star (maturazione intermedia) e Regina (maturazione tardiva). La copertura ha interessato tre filari, mentre altrettanti sono stati lasciati scoperti. Per il monitoraggio di Drosophila suzukii Matsumura sono state utilizzate trappole modello Droso Trap® (Fig. 3), commercializzate dalla Biobest®. I rilievi di Drosophila suzukii nel periodo interessato (maggio-giugno del 2015) sono stati piuttosto ridotti ma, al netto di queste considerazioni, il numero di catture all’interno del filare (sotto copertura) è stato prossimo allo zero, con differenze piuttosto evidenti rispetto ai filari privi di protezione, per entrambe le varietà utilizzate. Questi dati non possono però essere considerati come significativi per via della bassa infestazione verificatasi, che ha portato ha percentuali di danno minime (2-5%) anche nei filari non protetti (Ghelfi et al., 2016).

Dalle sperimentazioni sopracitate si può dedurre come l’uso di strutture di copertura possa portare ad un aumento delle produzioni ottenute, riducendo i danni causati da problematiche ben note del ciliegio. Dal punto di vista qualitativo però la presenza

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di un film plastico o di una rete ombreggiante a copertura della pianta, potrebbe avere come conseguenza quella di modificare le caratteristiche qualitative e organolettiche delle varietà più moderne. Una riduzione della colorazione esterna della ciliegia o una variazione nel contenuto di antiossidanti potrebbe far perdere al frutto stesso parte delle caratteristiche per cui, una determinata varietà, è stata selezionata. Risulta perciò importante valutare l’influenza che questi sistemi di difesa hanno nei confronti delle caratteristiche organolettiche e nutrizionali. Analizzando nel complesso i risultati del lavoro di Grandi e collaboratori sull’influenza delle coperture nella prevenzione del cracking, è possibile notare come si sia riscontrato un aumento di peso per entrambe le cultivar utilizzate, accompagnato però da una diminuzione del contenuto in solidi solubili (°Brix), evidenziando come l’uso di coperture con caratteristiche fisiche differenti possa influenzare il processo di maturazione del frutto, con riflessi sulle principali caratteristiche qualitative (Grandi et al., 2011).

1.4 – Obiettivi

I metaboliti secondari sono in buona parte sensibili alla luce ed essendo presente una consistente diminuzione della luminosità, data dalla presenza del telo coprente, risulta interessante capire quanto questo parziale ombreggiamento, insieme alla possibile variazione di altri parametri ambientali come temperatura e umidità, possa influenzare lo sviluppo delle ciliegie nelle diverse varietà.

Lo scopo di questo lavoro è stato quindi quello di valutare gli effetti di una copertura artificiale monofila sulle condizioni vegetative, sulla produttività e sulla qualità dei frutti, facendo particolare attenzione al peso medio, al contenuto in solidi solubili, alla predisposizione al cracking (cracking index), al quantitativo di antociani ed acido ascorbico, nonché alla capacità antiossidante complessiva ed al contenuto in fenoli totali di cinque differenti varietà.

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2 – MATERIALI E METODI

2.1 – Materiale vegetale e caratteristiche del sito

La ricerca oggetto della presente tesi di laurea si è inserita all’interno delle attività previste nella sottomisura 16.2 del progetto PIF1 “Per l’innovazione e lo sviluppo sostenibile delle aziende ortofrutticole toscane” finanziato dalla Regione Toscana nell’ambito del PSR 2014-2020. Le prove sono state condotte presso l’azienda Frutta e Fiori di Roghi Santi, situata nella località Ripa di Olmo a Foiano della Chiana in provincia di Arezzo (43°15'02.0"N 11°49'02.8"E). Il centro aziendale si trova ad un’altitudine di 280m s.l.m., il terreno interessato ha una pendenza inferiore al 5% ed una tessitura franco-argillosa (40% sabbia, 30% argilla e 30% limo) determinata tramite analisi chimico-fisiche a cadenza biennale. In questa sede ci occuperemo di valutare esclusivamente l’effetto della copertura sulle varietà di ciliegie presenti nel ceraseto commerciale, riferendoci alla produzione dell’anno 2017, integrando i risultati relativi alla determinazione del cracking index con quelli ricavati dalla produzione del 2016.

La suddetta azienda ha realizzato nel 2014 un ceraseto con caratteristiche idonee all’attuazione del progetto sottomisura sopra riportato. Il materiale vegetale utilizzato è stato fornito da Salvi vivai. Nel ceraseto d’interesse sono presenti 1000 piante allevate ad asse colonnare e disposte secondo un sesto d’impianto di 3,5 x 0,5 m. Le piante sono irrigate mediante un semplice sistema d’irrigazione a goccia. L’altezza delle piante impiegate risulta inferiore a 2,5 m e ciò permette una facile installazione di reti monofila a copertura del frutteto. Le pratiche agronomiche effettuate comprendono la fertilizzazione, che prevede l’uso di 3 unità d’azoto e 6 di potassio per l’intero appezzamento, e l’inerbimento naturale del terreno, controllato mediante sfalci periodici. Non viene effettuato nessun tipo di diradamento e l’epoca di raccolta è rappresentata, solitamente, dal periodo 5-15 giugno. Una delle principali problematiche riscontrate, oltre al cracking ed all’attacco da parte di Drosophila suzikii Matsumura, è la gestione dell’irrigazione e le conseguenze (aborto dei frutti) che può causare un eventuale deficit idrico, soprattutto nelle fasi di fioritura e allegagione. Il mercato di riferimento dell’azienda è costituito esclusivamente dalla filiera corta, che comprende vendita

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diretta e mercati locali. L’impianto è composto da 5 differenti cultivar di ciliegio dolce: Grace Star, Carmen, Kordia, Regina e Ferrovia, che sfruttano tutte il portinnesto Gisela®5. Di seguito sono riportate brevi descrizioni delle cinque varietà impiegate presenti in un lavoro di Musacchi e collaboratori (2012):

 Grace Star: varietà auto-compatibile selezionata in Italia dal Dipartimento di Colture Arboree dell’Università di Bologna. Albero abbastanza vigoroso, con rapida messa a frutto ed alta e costante produttività. Frutto di grande pezzatura, consistenza medio elevata e apprezzato per le eccellenti qualità gustative. Varietà facile da raccogliere per l’elevata uniformità di maturazione e l’elevato calibro dei frutti e la buona distribuzione dei frutti sulle branche. L’epoca di maturazione è 12 giorni dopo Burlat (Lugli et al., 2006).

 Carmen: varietà autoincompatibile di recente diffusione, ottenuta in Ungheria. L’albero è caratterizzato da una messa a frutto intermedia e non raggiunge livelli produttivi molto elevati. I frutti sono di media pezzatura e di media consistenza della polpa. La maturazione è 8-10 giorni dopo Burlat (Bassi, 2010; Grandi et

al., 2012).

 Kordia: varietà autoincompatibile ottenuta ad Holovousy in Repubblica Ceca. L’albero è abbastanza vigoroso, con produzioni non abbondanti ed irregolari. Il frutto è di pezzatura media, l’epidermide è rosso scuro, la polpa è consistente e di sapore ottimo. Varietà con buona tolleranza al cracking. Matura 22-24 giorni dopo Burlat (Lugli et al., 2006).

 Regina: varietà autoincompatibile selezionata nella stazione sperimentale di Jork in Germania. L’albero è vigoroso con buona ramificazione, messa a frutto tardiva e produttività media. Il frutto è consistente, pezzatura medio-elevata e tollerante al cracking. Varietà a maturazione tardiva, circa 30 giorni dopo Burlat (Lugli et al., 2006).

 Ferrovia: varietà autoincompatibile con produttività medio-elevata. Frutto mediamente tollerante al cracking, con caratteristiche eccellenti per aspetto, pezzatura, consistenza e sapore. L’epoca di maturazione è 21-24 giorni dopo Burlat (Godini et al., 2008).

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Figura 1 - Vista dall'alto dell’appezzamento interessato dallo studio (cerchiato in rosso).

2.2 – Focus sul sistema di copertura utilizzato (keep in touch

®

system)

Il sistema di coperture utilizzato nella sperimentazione (Keep in touch® system) è

costituito da reti monofila con possibilità di apertura bilaterale che costituiscono una barriera fisica anti-acqua, anti-grandine e anti-insetto, con particolare attenzione a Drosophila suzukii Matsumura. La struttura complessiva della copertura è suddivisa in due parti e comprende tre tipologie di tessuto, con composizione e caratteristiche fra loro differenti. La porzione superiore è realizzata in microtex e si contraddistingue per la presenza di due teli sovrapposti e distaccati fra loro (Fig. 2). Lo strato superiore ha lo scopo di rompere la goccia d’acqua, che viene poi incanalata verso le zone laterali dallo strato interno, dotato di microfori. La struttura descritta serve ad impedire la penetrazione dell’acqua, pur garantendo la traspirazione dell’aria attraverso il tessuto plastico. Questo è prodotto con un monofilo in polietilene ad alta densità stabilizzato ai raggi UV, al quale vengono additivati diversi anti-acidi con l’obbiettivo di garantire una buona stabilità del prodotto in seguito all’uso reiterato nel tempo dei fitofarmaci. La zona laterale della

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copertura è invece composta da una semplice rete bianca a maglia abbastanza larga (1,3 x 1,3 mm) da non ostacolare il corretto flusso dell’aria, impedendo però il passaggio degli adulti di Drosophila suzukii cosi come di altri ditteri dannosi per il ceraseto. L’intero sistema di copertura, contrariamente a quanto visto con gli altri tessuti plastici, permette di limitare gli sbalzi di temperatura e umidità relativa. La durata garantita del rivestimento è di circa 36 mesi in forma statica (non soggetta a fenomeni atmosferici come grandine e vento o a trattamenti parassitari), per cui ammettendo di mantenere la copertura in campo per circa 5-6 mesi l’anno, la durata effettiva del sistema si dovrebbe aggirare intorno ai 5 anni. Risulta comunque necessario proteggere il telo con film plastici durante le fasi di riposo, al fine di evitarne un più rapido deterioramento.

Le reti scelte sono sorrette da una struttura portante in acciaio, cemento e legno già presenti nel ceraseto prima dell’inizio del progetto.

Figura 2 - Particolare del sistema di copertura Keep in touch® system. Nell’immagine è evidenziata

la differenza tra laparte superiore della copertura e quella laterale. Mentre la prima è composta da

un sistema doppio strato in grado di rompere la goccia d’acqua ed allontanarla incanalandola lateralmente, la seconda è caratterizzata da una semplice rete con maglia abbastanza larga da non limitare eccessivamente la traspirazione, pur mantenendo l’ambiente inaccessibile agli adulti di

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Figura 3 – Sistema di copertura monofila Keep in touch® system sui filari di ciliegio presso l’Azienda Frutta e Fiori di Roghi Santi (Foiano della Chiana, AR). Nella foto si può vedere la disposizione della copertura sui filari ed il suo fissaggio nella porzione più bassa. Da notare l’inerbimento naturale impiegato nel filare

2.3 – Campionamento e scelta dei parametri

La raccolta dei frutti di ciliegie è stata effettuata manualmente al raggiungimento della maturità fisiologica dei frutti delle diverse varietà oggetto di studio. Il prodotto prelevato è stato successivamente trasportato in laboratorio, dove sono state eseguite varie analisi, con lo scopo di valutare l’effetto della copertura sulle caratteristiche nutritive e nutraceutiche delle varietà impiantate nel frutteto. È necessario evidenziare che nei giorni 20, 21 e 22 aprile 2017, data antecedente la raccolta dei campioni, si è verificata una gelata notturna in Val di Chiana che ha interessato anche il frutteto oggetto di studio. Questo inconveniente ha portato ad una consistente perdita della produzione di oltre il 70%, che non ha reso conveniente, per l’azienda ospitante il progetto, la raccolta dei frutti. Nell’analisi dei risultati si è tenuto conto dell’effetto negativo che il gelo ha avuto sulla produzione.

In seguito alla raccolta i campioni sono stati trasportati presso i laboratori del DISAAA-a dove hanno avuto luogo le diverse analisi, di seguito elencate, che hanno interessato alcuni semplici aspetti della composizione dei frutti:

 peso medio della drupa: il calcolo del peso medio dei frutti è stato effettuato prelevando, casualmente, 5 ciliegie per ciascuna varietà. Queste sono state

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opportunamente pesate, ricavandone infine una media di 5 valori per ciascun gruppo. Il peso calcolato è da considerarsi fresco ed esclude il picciolo dei singoli frutti;

 contenuto in solidi solubili: effettuato mediante l’utilizzo del rifrattometro digitale Modello 53011, TR (Forlì, Italia);

 determinazione dell’indice di rottura o Cracking Index: effettuato mediante il metodo Bilgener che valuta la suscettibilità al cracking di 20 frutti immergendoli in acqua distillata a 20°C per 6 ore e conteggiando il numero di frutti danneggiati ad intervalli di 2 ore. Il calcolo del Cracking Index è poi stato eseguito mediante l’apposita formula di Christensen (1972). Come già precedentemente riportato i dati ottenuti da questa prova sono stati integrati con quelli ricavati, esclusivamente sulle varietà Carmen e Grace Star, con lo stesso metodo nel 2016.

L'indice di cracking è stato calcolato utilizzando il metodo Bilgener et al. (1999). La procedura prevede di valutare quanti frutti hanno subito cracking dopo 2, 4 e 6 ore di immersione in acqua distillata. L'indice di cracking è calcolato per mezzo della seguente formula:

Cracking Index = (5a + 3b + c) x 100/(5n)

dove: a è il numero di ciliegie che presentano cracking dopo 2 ore; b è il numero di ciliegie che presentano cracking dopo 4 ore, c è il numero di ciliegie che presentano cracking dopo 6 ore e n è la numerosità del campione.

La valutazione del Cracking Index è stata condotta utilizzando vaschette di plastica 20x10 cm. In ciascun contenitore sono state immerse, in acqua distillata a 20 °C, le 20 ciliegie di ogni replica (3 repliche per trattamento).

I campioni rimanenti sono poi stati congelati e successivamente reimpiegati per la determinazione di parametri chimico/fisici più specifici. Tali analisi sono state effettuate nel periodo di settembre, con lo scopo di valutare il contenuto in antociani, acido ascorbico totale e fenoli totali valutati mediante analisi spettrofotometrica, nonché la capacità antiossidante totale tramite l’impiego della metodologia del DPPH (2,2-difenil-1-picrildrazile) anch’essa monitorabile tramite spettrofotometria. Per maggiori dettagli sul protocollo utilizzato per le diverse analisi, si rimanda ai paragrafi successivi.

Oltre alle analisi sopracitate ed alle relative rilevazioni, si è resa necessaria la valutazione di altri parametri al fine di verificare la reale influenza del sistema di

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copertura del ceraseto sul microclima interno e sullo sviluppo dei frutti delle cinque cultivar oggetto di studio. Durante l’intera stagione vegetativa, ovvero dalla fase precedente alla fioritura fino alla fase di post-raccolta, sono stati misurati i valori di umidità relativa, piovosità, temperatura e radiazione solare intercettata dalle piante. I dati di temperatura e umidità relativa sono stati costantemente registrati durante il periodo 18 maggio-15 giugno, mediante l’uso di dataloggers Gemini, mod. Tinytag Ultra 2, posti a circa 1,5 m di altezza sia internamente che esternamente alla copertura del filare. I dataloggers registravano automaticamente i dati ambientali a intervalli di 60 minuti. Per la misurazione dello spettro della radiazione solare incidente si è reso necessario l’utilizzo dello spettroradiometro Ocean Optic HR2000-UV-VIS-NIR, con rilevazioni effettuate internamente ed esternamente alla copertura artificiale e all’interno della chioma a tre diverse altezze (1, 1,5 e 2 m). Per misurare la radiazione fotosinteticamente attiva (PAR) si è ricorsi ad un Licor Quantum Sensor, nelle medesime posizioni descritte in precedenza.

I dati relativi alla piovosità per l’anno 2017 sono stati prelevati dalla stazione metereologica di Cesa, situata nel comune di Marciano della Chiana a circa 7 Km dal sito oggetto di studio. Sono stati effettuati numerosi sopralluoghi presso l’azienda per poter valutare le caratteristiche tecniche del sistema di copertura impiegato, le condizioni vegetative delle piante oggetto di studio, con particolare attenzione alla comparsa di malattie fungine ed alla rilevanza degli attacchi parassitari, e valutare la produttività delle cultivar presenti. Questi sopralluoghi hanno interessato la raccolta del 2016 e le fasi di pre-germogliamento, post-germogliamento, invaiatura, raccolta e post-raccolta del 2017.

2.4 – Analisi effettuate

Parte dei campioni di frutta raccolti sono stati congelati e successivamente analizzati. Come già riportato le analisi hanno riguardato antociani, fenoli totali, capacità antiossidante totale e acido ascorbico totale. La valutazione di questi parametri è stata effettuata mediante un’analisi spettrofotometrica, che ha permesso di determinarne l’entità. Per la determinazione dei diversi parametri sono stati prelevati ed impiegati 3 campioni di ciascuna varietà, fra quelli posti in congelatore, per ciascuna analisi (Fig.4). Di seguito sono riportate le analisi effettuate in laboratorio con i relativi protocolli impiegati.

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Figura 4 - Campioni scongelati ed utilizzati nella determinazione dei parametri d'interesse.

Contenuto in antociani

Di seguito è descritto il protocollo utilizzato in laboratorio per la determinazione degli antociani presenti nelle 5 diverse varietà coltivate sotto copertura. L’intero procedimento è stato effettuato su tre ciliegie per ciascuna varietà, inizialmente prelevando metà ciliegia e successivamente utilizzandone solamente un quarto.

 Viene prelevato e pesato un quarto di ciliegia, poi inserita all’interno di un piccolo cilindro in plastica. Questa è omogenizzata a freddo con l’aggiunta di una ridotta aliquota di sabbia. Successivamente viene addizionato 1 mL di metanolo acidificato all’1% con HCl puro (MeOH: HCl; v:v)

 Una volta conclusa l’estrazione il surnatante viene raccolto e depositato in Eppendorf, per poi essere centrifugato a 10.000 rpm per 10 minuti utilizzando una semplice centrifuga da tavolo

 Dopo la centrifuga vengono prelevati 100 µL di surnatante, mediante pipetta elettronica, e posti in cuvette in polistirene UV-vis, poi addizionati con 900 µL della stessa soluzione precedentemente preparata di metanolo acidificato 1% con HCl puro (MeOH: HCl; v:v). L’assorbimento massimo è valutato ad una lunghezza d’onda di 530 nm. Lo standard di riferimento (o bianco) è realizzato utilizzando solo 1 mL di metanolo acidificato all’1%

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 Per determinare la concentrazione, che verrà poi confrontata nel paragrafo sui risultatisi, è stato utilizzato il coefficiente di estinzione molare (ɛ) della cianidina-3-glucoside valutato nello stesso solvente (34300 M-1 cm-1)

Contenuto in fenoli totale

La determinazione del contenuto in fenoli totale è stata fatta seguendo il protocollo proposto da Dewanto e collaboratori (2002).

 Viene prelevata un’aliquota di materiale vegetale (3 grammi di materiale vegetale fresco) poi omogeneizzata con 10 mL di una soluzione acquosa di metanolo all’80%;

 L’omogenato ottenuto è poi inserito in appositi tubi falcon e sottoposto ad ultrasuoni per 30’ ad una temperatura stabile di 20°C. Il passaggio successivo è una centrifugazione a 10.000 rpm per 15 minuti, alla temperatura di 4°C. Il surnatante viene quindi prelevato e sottoposto a filtratura tramite filtri per HPLC2, con pori di diametro di 0,45 µm.

 In cuvette del visibile vengono inseriti 5 µL di estratto, poi additivati con 120 µL di H2O distillata, per ottenere un totale di 125 µL di soluzione ai quali

aggiungere ulteriori 125 µL di reagente di Folin-Ciocalteau.

 Il tutto viene agitato e lasciato a riposo per 6 minuti. Al termine di questa fase si aggiungono 1,25 mL di NaHCO3 al 7%, per arrivare ad ottenere un volume

totale di 1,5 mL. Il campione è poi lasciato in incubazione a temperatura ambiente per 90 minuti.

 La preparazione del bianco è la medesima, ma con l’unica differenza che i 125 µL iniziali sono costituiti esclusivamente da H2O distillata.

 Al termine dell’incubazione si procede alla determinazione spettrofotometrica della reazione colorimetrica sviluppata in seguito all’interazione tra l’estratto analizzato ed il reagente di Folin-Ciocalteau, ad una lunghezza d’onda di 760 nm.

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Il calcolo del contenuto in fenoli totali prescinde dalla determinazione di una curva di taratura, ottenibile adoperando concentrazioni note di acido gallico (0-600 µg). L’equazione della curva è la seguente:

y = 0,01146 x – 0,01515

In questo caso y rappresenta l’assorbanza alla lunghezza d’onda considerata (760 nm) ed x i microgrammi di acido gallico. Alla base di questa metodologia c’è il principio secondo il quale il reagente di Folin-Ciocalteau è formato da due complessi acidi: fosfo-molibdeno e fosfo-tungsteno. I composti fenolici se immessi in ambiente basico subiscono ossidazione da parte dei metalli di molibdeno e tungsteno presenti nei complessi, arrivando ad assumere una colorazione bluastra dovuta alla riduzione dei sopracitati metalli. I valori finali della determinazione sono stati espressi in mg di acido gallico g-1 FW.

Capacità antiossidante

Per la determinazione del potere antiossidante di un estratto vegetale è consolidato l’uso di metodi che prevedono l’impiego di radicali liberi stabili. Il metodo qui utilizzato per calcolare la capacità antiossidante consiste nella determinazione del potere antiossidante mediante saggio DPPH3. Gli estratti utilizzati per determinare

la capacità antiossidante sono gli stessi utilizzati per la determinazione dei fenoli. Il protocollo seguito trova le sue fondamenta nel metodo impiegato e descritto da Brand-Williams e collaboratori (1995).

 Inizialmente si aggiunge a ciascun campione 10 µL di estratto vegetale (ottenuto con il metodo descritto per i fenoli totali) e 990 µL di una soluzione di DPPH 3,12 x 10-5 M (2,4 mg in 200 mL di MeOH 80%), portando il volume totale ad 1 mL inserito all’interno di cuvette del visibile; a questo punto il campione viene agitato e posto in incubazione al buio per 30 minuti a temperatura ambiente. La preparazione del bianco avviene sostituendo ai 10 µl dell’estratto la stessa quantità di soluzione di DPPH.

 Al termine dell’incubazione si procede con la lettura allo spettrofotometro alla lunghezza d’onda di 515 nm, con l’obbiettivo di determinare la concentrazione del radicale DPPH rimasto allo stato ossidato (ancora potenzialmente nocivo per la cellula).

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Il calcolo della percentuale di inibizione è determinato con i dati ottenuti mediante la seguente formula:

%Inibizione = [(ABS Bianco - ABS Campione) / ABS Bianco] x 100

dove ABS significa absorbance (assorbanza)

Il valore ottenuto è poi sostituito alla nella curva di taratura del Trolox, un analogo della vitamina E utilizzato come standard di riferimento:

y = 3,5887 x – 0,1412

Il risultato della precedente equazione rileva la concentrazione di equivalenti di Trolox (TE) espressa in µM; tenendo conto del peso fresco (PF) del campione e del fattore di diluizione la capacità antiossidante viene espressa in µmoli TE/g PF.

Contenuto in acido ascorbico totale

Per l’estrazione e la determinazione dell’acido ascorbico contenuto nelle ciliegie è stato utilizzato il metodo messo a punto da Kampfenkel et al. (1995).

Il saggio considerato si basa sulla riduzione del Fe3+/Fe2+ operata dall’acido ascorbico (ASA). In seguito a tale riduzione viene valutata la formazione del complesso formatosi dall’interazione fra Fe2+ e 2,2-dipiridil, mediante

determinazione spettrofotometrica.

 Si pesano 0,4-0,5 g di campione fresco dai quali si effettua un’estrazione in bagno ghiaccio con l’aggiunta di 0,8 mL di TCA4 al 6% (rapporto peso-volume)  L’estratto è poi trasferito all’interno di una provetta da centrifuga che deve essere mantenuta ad una temperatura non superiore a 4°C per i successivi 15 minuti. Una volta trascorsi il volume finale della miscela all’interno dell’apposita provetta, viene portato a 2 mL grazie all’aggiunta del liquido proveniente dall’estratto vegetale considerato (TCA 6%).

 In seguito l’estratto è poi centrifugato per 5 minuti a 11.000 g e sempre alla temperatura di 4°C. Infine la procedura prevede l’aggiunta dei reagenti nell’ordine e con la metodologia indicata dal metodo originale di Kampfenkel

et al. (1995).

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La lettura dei campioni, effettuata mediante lo spettrofotometro impiegato in precedenza, viene svolta alla lunghezza d’onda di 525 nm. Il motivo per il quale tale lettura è effettuata a questa precisa λ, è da ricercarsi nel fatto che ha 525 nm avviene un picco nell’assorbimento del complesso che si forma fra il Fe2+ e il

2,2-dipiridil. Il successivo calcolo dell’ASA, interessante ai fini dello studio presentato, necessita dell’utilizzo di una curva di taratura precedentemente preparata in cui le concentrazioni note di ASA (nel range di 0.05-10 μM) sono correlate alle relative assorbanze registrate a 525 nm.

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