• Non ci sono risultati.

IL CONTROLLO di gestione COME STRUMENTO DI SUPPORTO AL PROCESSO DECISIONALE. Il caso FOX NETWORKS GROUP ITALY

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "IL CONTROLLO di gestione COME STRUMENTO DI SUPPORTO AL PROCESSO DECISIONALE. Il caso FOX NETWORKS GROUP ITALY"

Copied!
117
0
0

Testo completo

(1)

U N I V E R S I T À D I P I S A

L a u r e a M a g i s t r a l e i n

S t r a t e g i a M a n a g e m e n t e C o n t r o l l o

IL CONTROLLO DI GESTIONE COME

STRUMENTO DI SUPPORTO AL PROCESSO

DECISIONALE

Il caso Fox Networks Group Italy

Relatore:

Prof.ssa Giuseppina Iacoviello

Correlatore:

Professor Alessandro Capodaglio

Laureando:

Vittorio Maria Garibbo

(2)

Indice

Prefazione

1. ILCONTROLLO DI GESTIONE E L'INFORMATIVA AZIENDALE

Introduzione

I processo decisionale

Strumenti direzionali del controllo

I costi nella contabilità analitica

Le configurazioni di costo, il Direct Costing e il Full costing

La contabilità per centri di costo

 La logica di funzionamento del modello

 La capacità produttiva e il potenziale informativo

 Punti di forza e criticità 1.7 Le riclassificazioni di conto economico

1.7.1 Introduzione

1.7.2 Il Conto Economico Civilistico, cenni introduttivi

1.7.3 I modelli di Cono Economico riclassificati

1.8 Conclusioni

2. IL MODELLO DI CONTROLLO IN FNG ITALY

2.1 Introduzione

2.2 Il processo produttivo e di creazione del valore 2.3 Il ruolo del dipartimento di Finance

2.4 Il modello di controllo FNG 2.5 Le rilevazioni e le chiusure mensili

2.5.1 La procedura di accertamento dei costi

2.5.2 La procedura di accertamento dei ricavi

(3)

Prefazione

La presenza di scenari economici sempre più competitivi, rende indispensabile a chi guida un'azienda, un'approfondita conoscenza di tutti i fenomeni che la coinvolgono.

Indipendentemente dalla natura esogena o endogena del fattore che tange la realtà aziendale in oggetto, la possibilità di identificare il fenomeno, descriverlo, decostruirlo, e definire a tal punto azioni correttive o di miglioramento, è condizione sine qua non per poter affrontare un mercato. E' pur vero che la crescita dei mercati, che ha determinato una esponenziale crescita della complessità aziendale (sia che la si guardi come output che come struttura), ha reso manifesto il bisogno nelle aziende, di dotarsi di strumenti atti a fornire informazioni che possano guidare, o supportare, un processo decisionale, rendendolo frutto di un approccio razionale e analitico.

Lo sviluppo tecnologico, sposandosi con le necessità individuali delle aziende, ha portato alla nascita una vastissima gamma di strumenti di tipo IT o ERP, funzionali al reperimento dei dati e alla elaborazione degli stessi, ma il passaggio dal dato a informazione, e da informazione a conoscenza, sottende a mio avviso un processo più articolato.

Tale processo si concretizza come insieme coordinato di operazioni che partendo dalla rilevazione del dato, conduce all'ottenimento di un'informazione la quale a questo punto, sottoposta ad iter di tipo logico-analitico diventa conoscenza.

La predisposizione di un modello di controllo di gestione, inteso come processo diffuso e integrato nell'operatività aziendale diventa strumento funzionale all'ottenimento di quell'informativa che sia di supporto al top

(4)
(5)

1.

IL CONTROLLO DI GESTIONE E L'INFORMATIVA

AZIENDALE

1.1) INTRODUZIONE

Definire in modo omogeneo ed esaustivo il concetto del controllo di gestione risulta obiettivo assai complesso.

Oltre alle innumerevoli modalità con cui tale strumento si esplica in azienda, molteplici sono gli scopi conoscitivi che fungono da movente alla implementazione dello stesso, da cui promanano differenti logiche e metodologie di analisi e calcolo.

Non è obiettivo del presente elaborato andare ad individuare tutte le differenti sfaccettature con cui i modelli di controllo si inseriscono nei contesti aziendali, divenendo fonte di informazione e dunque guida per un processo decisionale. Tuttavia, per rendere maggiormente intelligibile il modello di controllo adottato in Fox Network Group Italy, che è invece il focus del presente lavoro,verrà proposto exursus teorico-descrittivo in cui si introdurranno i capisaldi del controllo di gestione, e successivamente verranno mostrati sotto un profilo di teoria economica aziendale quegli strumenti adottati in FNG al fine di poter operare durante il lavoro, un costante confronto tra la teoria e la prassi, passando dunque dal concetto generico, allo specifico operato di una realtà aziendale.

1.2) IL PROCESSO DECISIONALE

Partiremo da una definizione molto cara alla scuola pisana, che si presenta come una descrizione esaustiva e condivisa del fenomeno azienda:

(6)

“L'azienda è una unità elementare del sistema economico generale, dotata di vita propria e riflessa, costituita da un sistema di operazioni, promanante dalla combinazione di particolari fattori e dalla composizione delle forze interne ed esterne, nel quale i fenomeni della produzione, della distribuzione e del consumo vengono predisposti per il conseguimento di un determinato equilibrio economico a valere nel tempo, suscettibile di offrire una remunerazione adeguata dei fattori utilizzati e un compenso, proporzionale ai risultati raggiunti, al soggetto economico per conto del quale l'attività economica si svolge”1 (Giannessi).

La definizione del Giannessi, aiuta a scomporre il fenomeno azienda in una serie di aspetti fondamentali e caratterizzanti, individuando alcuni elementi chiave che la contraddistinguono.

Utile allo scopo del presente lavoro è il concetto di “ equilibrio economico a valere nel tempo”.

Tale aspetto individua una peculiare propensione delle aziende nel ricercare un solido equilibrio di lungo periodo che si manifesta come capacità di impostare l'attività produttiva, in modo tale che il valore economico della produzione, risulti sistematicamente superiore rispetto al valore dei fattori produttivi che vengono consumati nel processo produttivo, definendo cosi' il concetto di “finalismo aziendale” .

Emerge dunque la necessità di prendere delle scelte, siano esse di tipo strategico o operativo, volte a ricercare una remunerazione adeguata dei fattori produttivi impiegati, atte a garantire la presenza, e la sostenibilità dell'azienda nei mercati di riferimento.

1 L. Marchi, Introduzione all'economia Aziendale, Il sistema delle operazioni e le condizioni di equilibrio aziendale, Nona Edizione, Giappichelli Editore, Torino 2014,

Cit. E. Giannessi, Le aziende di produzione originaria, Vol 1, Le aziende agricole, Cursi, Pisa 1960,

(7)

Le scelte prese determinano cosi' delle direzioni di marcia, ovvero un “sentiero di creazione del valore” che diventa elemento caratterizzante quella cosi' definita “unità economica elementare”, dotandola di una personalità che la renda unica sul mercato.

Si evince da quanto sopra riportato, come ogni azienda sia inserita in un sistema mercato che, in quanto tale, presenta delle tensioni, da cui emerge la necessità di reagire alle stesse, prendendo decisioni e direzioni, ma come avviene il processo decisionale che domina le scelte aziendali?

Data la presenza di scenari economici sempre più competitivi, la necessità di indirizzare un'azienda in modo non casuale, è condivisa, ciò non vuole porre in secondo piano lo spirito imprenditoriale o la propensione del top management di fiutare occasioni o scovare minacce, quanto piuttosto sottolineare come sia importante rendere ogni scelta e ogni decisione frutto di un processo logico e razionale, che non lasci nulla al caso, in cui ogni scelta è conseguenza di una attenta ponderazione delle possibilità e delle alternative.

L'informazione a tal punto si presenta come la variabile chiave di successo, rappresentando il nodo cruciale del processo decisionale, ovvero il punto di

partenza per strutturare e guidare le scelte del management. .

La strutturazione del processo decisionale, viene qui esemplificata dal modello di R.N Anthony della scuola di Harvard, il quale individua due fasi sostanziali che sono2:

1) Pianificazione strategica, e determinazione degli obiettivi

dell'organizzazione con contestuale definizione delle risorse necessarie al loro raggiungimento.

2 Si fa riferimento alla teoria proposta R.Anthony, I sistemi di pianificazione e

(8)

2) Controllo direzionale che si esplica come attività di pianificazione operativa di breve periodo e come valutazione e verifica che le risorse siano utilizzate in modo efficace ed efficiente per il raggiungimento degli obiettivi.

Emerge sin da subito una tentativo di strutturare l'operato dell'azienda, andando in primo luogo a definire quale sia il fine ultimo che il soggetto economico si ripropone di raggiungere (Pianificazione Strategica), da qui si scompone tale obiettivo in sotto obiettivi di natura puramente operativa (Pianificazione Operativa), che saranno poi oggetto di indagini, analisi e valutazione, per verificare la rispondenza tra quanto previsto in fase di pianificazione e quanto raggiunto in corso d'opera.

1.3) STRUMENTI DEL CONTROLLO DIREZIONALE

Si evince da quanto sopra riportato, che ogni realtà aziendale necessita di un approccio analitico durante la definizione dei propri obiettivi, che partendo da un orizzonte di lungo periodo si scompone in sotto obiettivi di tipo operativo, rappresentanti i passi che dovrà muovere nel futuro più prossimo. L'informazione è stata dunque introdotta come una variabile chiave di successo, nel senso che, la possibilità di prevedere taluni risultati aziendali prima del loro manifestarsi, o la possibilità di fruire tempestivamente di dati che fotografino in corso d'opera l'andamento della gestione, rappresenta un importante strumento, nonché vantaggio per chi guida l'azienda.

“Gli strumenti impiegati per l'analisi dei costi, si inseriscono all'interno del più ampio sistema della contabilità direzionale, ovvero l'insieme degli strumenti tecnico-contabili finalizzati a rilevare, organizzare ed aiutare ad interpretare le informazioni economico-finanziarie, in relazione

(9)

a prescelti oggetti di calcolo.”3 .

Seguendo l'impostazione di L. Cinquini, la Contabilità Direzionale, si compone di tre strumenti fondamentali che sono:

Il Budget: è “Strumento direzionale nel quale trovano espressione in

termini quantitativo monetario gli obiettivi e i piani d'azione a breve termine dell'impresa.”4.

La Contabilità Generale: In estrema sintesi si può definire come un

sistema di rilevazione che utilizza una ben definita metodologia, prevalentemente richiesta dal legislatore, atta a produrre un informativa rivolta verso l'esterno (bilancio di esercizio) ed in grado di ottemperare ad un principio di trasparenza e liceità delle operazioni compiute. Allo stesso tempo presenta un forte potere informativo relativo a taluni aspetti della gestione, analizzati in chiave consuntiva.

La contabilità Analitica: Si presenta come un sistema di rilevazione che

produce un' informativa rivolta prevalentemente verso l'interno ed in grado di fungere da supporto al management durante il processo decisionale. Nella logica del controllo di gestione, tralasciando quindi gli adempimenti richiesti dalla legge, la contabilità generale, avente come Output il bilancio di esercizio, è strumento atto a monitorare lo stato di salute dell'azienda, e con le “analisi di bilancio” che si sostanziano con lo studio degli indici e dei flussi finanziari, fornisce informazioni economico-finanziario sulla gestione passata.

Con lo strumento di Budget, la prospettiva di indagine si sposta verso il 3 Bubbio, Attività di direzione, ,sistemi di pianificazione e controllo e contabilità

direzionale 1989 Unicopli Milano

(10)

futuro e, andando a valorizzare i programmi di esercizio, esso si manifesta (non solum sed etiam) come un bilancio preventivo per la gestione dell'anno a venire.

La contabilità analitica si interpone tra i due strumenti informativo-prospettici attingendovi dati e fornendo valutazioni. Essa consente di comprendere meglio i risultati conseguiti rendendo possibile l'imputazione dei valori individuati a livello di Co.Ge, a specifici oggetti di calcolo, in secondo luogo supporta numerose decisioni che stanno alla base del Budget (Q di output, Prezzo prodotti, Mix produttivo ecc..) rendendo il più possibile obiettive le previsioni, e dunque le scelte.

Viene qui sotto riportato uno schema comparativo circa le due diverse modalità di rilevazione citate:5

Contabilità Generale Contabilità Analitica

Scopo Misurazione del reddito

e del Capitale di Funzionamento

Rielaborazione di dati di costo e ricavo per attività decisionale e di controllo

Momento rilevazione Manifestazione di

variazione numeraria Utilizzo dei fattoriproduttivi

Ampiezza rilevazioni Tutti i costi e ricavi Solo costi relativi alla

gestione caratteristica

Classificazioni Costi e ricavi per natura Costi e ricavi per

natura, destinazione e altri criteri utili allo scopo decisionale

Destinatari Principalmente soggetti

esterni (Bilancio

Management

(informativa interna) 5 Tratto da L. Cinquini, Strumenti per l'analisi dei costi volume 1, Giappichelli Editore,

(11)

civilistico e fiscale)

Metodologia di

Rilevazione Contabilità in partitadoppia Contabile o extracontabile Riassumendo quanto sopra riportato, le funzioni della Co.An possono essere sintetizzate nelle seguenti:

 Supporto informativo alle decisioni manageriali:

Es: Prezzi da applicare, costo dei prodotti, scelte di make or buy, eliminazione di una linea produttiva, confronto tra le redditività di prodotti, analisi redditività ASA, ecc... comprendendo dunque tutte le valutazioni per le scelte di convenienza economica.

 Controllo di gestione

Fornisce sia dati utili al processo budgtario, sia dati funzionali alla valutazione dei risultati delle unità organizzative da cui promanano decisioni di governance

 Supporto alla Contabilità Generale

Può essere di supporto nelle valutazioni critiche quali quelle inerenti le rimanenze del magazzino e quelle relative al valore da applicare agli ammortamenti dei beni pluriennali.

1.4) I COSTI NELLA CONTABILITA' ANALITICA

In questo paragrafo vengono individuate le varie classificazioni dei costi, tale analisi risulta necessaria per procedere successivamente con lo studio dei modelli di Co.An in grado attribuirli correttamente ai prodotti.

Si premetta che definire in modo oggettivo il concetto di costo risulta pressoché impossibile, proprio perchè esistono differenti concetti di costo.

(12)

Ai fini del presente lavoro, interessa innanzitutto individuare la differente prospettiva con cui i costi vengono rilevati in Co.An piuttosto che in Co.Ge. In Contabilità Generale, ai fini della relazione del bilancio di esercizio, interessa principalmente rilevare il costo di acquisto dei fattori produttivi, che è dato dall'uscita monetaria che misura un componente negativo di reddito, a seguito di operazioni di scambio o acquisto dei fattori produttivi. In Contabilità analitica, in conseguenza degli scopi informativi cui essa si ripropone di rispondere, interessa invece il costo monetario di

produzione,che è dato “dalla somma di valori attribuiti ai fattori impiegati

o consumati nelle combinazioni produttive, allo scopo di conseguire un determinato risultato utile”.6.

Ciò che differenzia i due suddetti concetti di costo è dunque il modello di calcolo adottato.

Il procedimento con cui i costi si originano si deve valutare non tanto come un evento che si esaurisce in un solo momento (es esborso monetario per acquisto), ma bensi' come un processo che si articola in più fasi.

Seguendo l'impostazione di J. Innes e F. Mitchel7, tale processo si esplica nei diversi step:

 Cost planning e valutazione del costo

 Scelta e impiego formale da parte della direzione

 assunzione dell'impegno economico verso l'esterno

 acquisizione delle risorse

6 A. Tessitore, I costi nelle aziende di produzione, Manuale di di amministrazione

aziendale, Isedi , Milano 1974

7 M. Tanaka, T.Yoshikawa, J.Innes, F.Mitchel, Logiche e strumenti di cost

management:dal calcolo dei costi alla gestione delle cause dei costi,Guerini, Milano

(13)

 consumo di risorse

 esborso monetario

Tale processo rappresenta in sintesi le fasi caratteristiche del ciclo passivo che partendo dalla definizione dei fabbisogno, conclude con l'esborso monetario (manifestazione finanziaria), andando ad inserire al suo interno anche il consumo di risorse che invece afferisce tipicamente al ciclo produttivo.

Le riflessioni che emergono da tale constatazione sono diverse. In primis, ne consegue che l'analisi del fenomeno della gestione dei costi implichi una valutazione approfondita di un vero e proprio processo.

Inoltre, si nota come tale iter sia particolarmente rilevante se associato ad un'analisi di Cost Management in cui individuato uno specifico oggetto di costo, si procede con un'operazione di analisi delle cause di insorgenza del costo, al fine di promuovere una maggior economicità della gestione e una consapevolezza preventiva del consumo di risorse prossimo.

Seguendo invece l'impostazione proposta del Selleri8, il processo di formazione dei costi parte dalla definizione del programma di produzione, da cui insorge l'esigenza di acquisizione di fattori produttivi che sono qui definiti come Costi Elementari.

Tali costi sono quindi l'oggetto di rilevazione in Co.Ge, ma rappresentano il punto di partenza per arrivare a definire le sintesi di costo, ovvero i costi imputabili ad uno specifico oggetto di costo, rilevanti ai fini della Co.An. Le sintesi di costo dunque sono conseguenti al sostenimento di costi elementari e al processo di elaborazione degli stessi, ma soprattutto

8 Ci si riferisce all'impostazione riproposta in Contabilità dei costi e contabilità analitica, Etas Milano 1990

(14)

prescindono dalla determinazione dello scopo conoscitivo, e del riferimento di specifici oggetti di costo.

Da tele considerazione si evince come da scopi conoscitivi differenti emergano differenti logiche di rilevazione del costo.

Ricollegandosi dunque al processo di generazione dei costi proposto da Innes e Mitchel, risulta pacifico considerare l'insorgenza dei costi vada intesa come un processo, ma risulta più difficile individuare delle fasi in grado di spiegare in assoluto il processo di insorgenza del costo poiché cambiando la prospettiva di analisi, l'oggetto di costo, o il fine conoscitivo , varieranno anche le modalità di rilevazione, ma soprattutto gli elementi di costo da considerare.

“ La determinazione dei costi si presenta, come è noto problema complesso, carico di elementi di incertezza”9 .

Per una miglior gestione delle fenomeno costi, è utile individuare delle classi di appartenenza, in modo tale da ottimizzare l'analisi, e l'utilizzo dell'informazione che ne promana per un supporto alle decisione manageriali.

Qui di seguito viene riportata una tabella riepilogativa10:

Criterio

( in base allo scopo) Classi

Variabilità

rispetto ad un “fattore determinante”

- variabili - costanti - misti

9 Giannessi, Il 'Kreislauf', tra costi e prezzi come elemento determinante delle

condizioni di equilibrio del sistema del sistema d' azienda, Crusi, Pisa 1969

10 L. Cinquini, Strumenti per l'analisi dei costi volume 1, Giappichelli Editore, Torino

(15)

Riferibilità e “oggettività”

della misurazione rispetto all'oggetto di costo

- Speciali - Comuni Modalità di attribuzione all'oggetto

di costo

- Diretti - Indiretti

Impiego nelle decisioni - Rilvanti

- Irrilevanti - Opportunità - Differenziali - Preventivi

Per il controllo di gestione - Consuntivi

- Standard - Controllabili - Non controllabili

Variabilità:

La prima classificazione si basa sul comportamento del costo al variare di un determinato driver di riferimento.

Come afferma il Brusa , “ Normalmente si definiscono variabili quei costi la cui entità varia in proporzione alle variazioni del volume produttivo, mentre sono fissi quei costi che derivano dalla predisposizione di una certa capacità produttiva o da certi programmi di esercizio, e non dai volumi effettivi di produzione per cui restano immutati nonostante le variazioni dei volumi di produzione stessi”11.

La definizione qui riportata risulta inopinabile in quanto sono senz'altro variabili quei costi il cui ammontare varia a seguito della variazione del volume di produzione, tuttavia il volume di produzione deve essere considerato come un driver di costo, e non come l'unica grandezza 11Brusa, Contabilità dei costi, Giuffrè editore, Milano 1979

(16)

determinante l'andamento del costo.

Se prendiamo ad esempio la quantità di materia prima per la fabbricazione di un prodotto, al variare della quantità di output, varierà proporzionalmente il costo di acquisto dei fattori produttivi, ma se oggetto di analisi è il costo della manodopera (ipotizzando che essa sia un fattore produttivo il cui impiego non determina vincoli temporali ma di cui un impresa può servirsi nel B.P come meglio crede) il variare di tale costo può essere imputabile anche ad altri fattori, ad esempio, un aumento nella complessità del processo di fabbricazione, può comportare a parità di FP impiegati, un maggior numero di ore per ottenere lo stesso tipo di output, quindi in tal caso il volume di produzione risulta non essere esplicativo dell'andamento del costo poiché l'aumento del costo totale di MOD non è correlato all'output prodotto.

Da tale considerazione si evince che una definizione più oggettiva di costi variabili può essere quella riproposta da L.Cinquini, secondo cui“ La variabilità dei costi si determina seguito dell'effetto su di essi di fattori

determinanti di costo (cost driver) la cui variazione ne muta l'entità

totale.”12.

Appare a tal punto necessario introdurre altri due concetti fondamentali per il prosieguo del lavoro, data la centralità della loro funzione nel discriminare la categoria di costi in questione, tra variabili e fissi: Cost Driver e gli Oggetti di Costo.

L' Oggetto di Costo può essere sia un costo elementare, che un

12 L. Cinquini, Strumenti per l'analisi dei costi volume 1, Giappichelli Editore, Torino

(17)

raggruppamento di costi, o una configurazione di costi, in generale rappresenta l'entità verso cui è rivolta l'indagine.

Il Cost Driver può essere definito come “qualsiasi evento che influenza l'entità di un costo, sia esso il costo totale sostenuto dall'azienda, oppure il costo di altri oggetti come, ad esempio, un' area strategica di affari, una linea di prodotto, un' unità organizzativa, il servizio destinato ad un cliente e cosi' via”.13.

Il cost driver si configura quindi come il fattore determinante del costo ed è quell'entità la cui variazione determina una variazione nell'ammontare complessivo del costo.

La comprensione dei Cost driver, non solo è fondamentale ai fini della determinazione dei costi come variabili o meno, e dunque per comprendereNe l'andamento, ma è utile nell'analisi e gestione dei costi per vari motivi:14

 Imputazione dei costi agli oggetti di costo

 Giudizi sul grado di efficienza

 Motivazione del personale

 Apprendimento organizzativo e innovazione

 Gestione strategica

13 La citazione è tradotta G. Foster, M.Gupita, Manufacturing overhead cost driver

analysis, Journal of Accounting and Economics, 1989

14 Tratto da: R. Giannetti, La riduzione strategica dei costi: La gestione dei cost driver

per business model economicamente sostenibili, Giappichelli Editore, Torino 2013 cit: M. Bartolini, Il fenomeno della variabilità dei costi: l'analisi delle sue determinanti, in Rivista italiana di Ragioneria e Economia Aziendale Maggio-Giugno

(18)

In fine è utile osservare che la classificazione dei costi non può essere definita in termini assoluti, infatti è necessario precisare che ogni classificazione prescinde da una ben definita area di rilevanza, e da un dato orizzonte temporale.

Per area di rilevanza si intende l'intervallo di variazione del livello di attività (o cost driver) entro le quali si mantengono invariate le ipotesi di andamento dei costi relativi all'oggetto di analisi. (es il fitto per il capannone in cui prende atto il processo produttivo è definito un costo fisso rispetto al volume di attività , è vero infatti che un aumento della produzione non intacca i canoni che l'azienda paga al locatore, ma è altrettanto vero che la validità di tale osservazione è da limitarsi ad un intervallo di rilevanza accettabile, infatti un aumento spropositato di volume di attività potrebbe dar luogo ad un ridimensionamento del sito produttivo che assumiamo più grande, dunque più oneroso).

In definitiva si può discriminare i costi in base alla variabilità come segue:

Costi Fissi: Sono quei costi il cui ammontare non varia al variare del

volume di attività.

Costi Variabili:Sono quei costi il cui ammontare varia proporzionalmente al

volume di attività o di output prodotto.

Costi Misti: Sono sia i costi semivariabili, ovvero quei costi che

comprendono una quota fissa ed una quota variabile, sia i costi a scalini che si hanno quando all'interno dell'area di rilevanza si incrementano a determinati intervalli di variazione del driver.

(19)
(20)

Modalità di attribuzione all'oggetto di costo:

La categoria di costi che segue, risulta estremamente rilevante ai fini del presente lavoro, la comprensione di tale classificazione è infatti indispensabili per l'implementazione di modelli di costing come Full costing o l' ABC.

(21)

all'oggetto di costo.

Costi diretti: sono quei costi che sono imputabili direttamente all'oggetto di

costo secondo “criteri di specialità”15 .

Secondo il Brusa, le peculiarità riscontrate nei costi diretti sono le seguenti16:

 Possibilità di misurare oggettivamente il consumo di fattore produttivo da parte dell'oggetto di costo

 Convenienza ad effettuare tale valutazione

Costi Indiretti: Sono quei costi che si imputano all'oggetto di costo secondo

un criterio di comunanza , dunque tramite un procedimento di ripartizione o di allocazione.

L'imputazione secondo un criterio di “specialità” prevede la possibilità di attribuire il costo all'oggetto di costo tramite il prodotto tra il volume del fattore consumato e il prezzo unitario, oppure in modo esclusivo se l'oggetto di analisi è l'unico a consumare quel F.P.

L'imputazione secondo un criterio di comunanza invece prevede la presenza di un procedimento di ripartizione o di allocazione che in sostanza si esplica tramite l'individuazione di una basa di ripartizione.

“...L'attribuzione dei costi diretti non genera criticità particolari. Essi possono essere assegnati ai prodotti in modo oggettivo....Criticità maggiori devono,invece, essere affrontate in sede di allocazione dei costi indiretti, ossia dei costi relativi a fattori produttivi impiegati per l'ottenimento di una molteplicità di prodotti e per i quali non è possibile o economicamente conveniente misurare la quantità di prodotto consumata da ciascuno.” 17. 15 Amodeo, Le gestioni industriali produttrici di beni, Utlet, Torino 1976

16 Brusa, Contabilità dei costi, Giuffrè Editore, Milano 1979

(22)

Il coefficiente di riparto è un rapporto tra il costo indiretto che si intende ripartire tra i vari oggetti di costo e la quantità/valore totale del driver di costo individuato.

La quantità di costo da allocare all'oggetto di costo deriva dal prodotto tra il coefficiente di allocazione e la quantità di driver consumata da parte dell'oggetto di costo stesso.

La capacità del coefficiente di allocazione di ripartire “correttamente” i costi tra i diversi oggetti di costo è conseguente alla scelta del cost driver, la cui identificazione dovrebbe indicare con la miglior approssimazione possibile, il consumo di risorse da parte dell'oggetto di calcolo.

Emerge qui una considerazione relativa alla variabilità nella scelta dei coefficienti di ripartizione.

Si tratta a ben vedere di una scelta soggettiva che deriva sia da una valutazione di chi effettua l'analisi, che dovrà ricercare quella grandezza che sembra essere la principale determinante del costo, sia da considerazioni di tipo economico ovvero sull'onerosità dell'analisi. Quindi la variabilità intrinseca dei coefficienti di ripartizione, dipendente dal soggetto che opera e da una valutazione di tipo costi benefici, che dunque può produrre un allocazione dei costi ben differente se cambiano le valutazioni del soggetto o ad esempio il vincolo economico cui lo stesso deve sottostare.

Di oggettività nella misurazione dei costi non si può mai parlare perchè nel calcolo dei costi c'è sempre un margine di aleatorietà : “ Le incertezze insite nella colonna dei costi sono di tre tipi: 1) incertezze di entità, che rendono problematica la determinazione della misura dei componenti di costo; 2) incertezze di distribuzione che impediscono un'assegnazione consapevole de componenti di costo ai gruppi con essi costituiti; 3) incertezze di

(23)

imputazione che non permettono l'applicazione di criteri uniformi nel riferimento dei gruppi i costi unitari e di classe di produzione”18 .

A tal proposito è bene introdurre due principi guida dei modelli di costing:

Criterio Funzionale-Causale: La base di riparto scelta dovrebbe essere in

grado di esprimere il consumo di risorse da parte dell'oggetto di coso, esprimendo dunque il contributo del fattore produttivo sottostante al costo. E' altresi' definito principio causale poiché occorre ricercare quella base che esprima un legame di causa-effetto rispetto al sostenimento del costo.

Principio di Convenienza Economica: Talvolta la misurazione di un costo,

o la misurazione di una base di allocazione, “risulta troppo laboriosa e dispendiosa in rapporto all'effettiva utilità che se ne ricava”19, per cui se il rapporto costi-benefici non risulta conveniente, si procede con delle approssimazioni.

Tendenzialmente le basi di riparto possono essere classificate come segue:

Basi di riparto a Valore - Costo MOD

- Costo Materie - Costo primo - ecc...

Basi di riparto Quantitative - Ore MOD - Ore Macchina

- Quantità materie prime - Volume di Produzione - ecc..

18 Giannessi,Il 'Kreislauf', tra costi e prezzi come elemento determinante delle

condizioni di equilibrio del sistema del sistema d' azienda, Crusi, Pisa 1969

(24)

Oggettività e Riferibilità della Misurazione:

Sulla base di tale criterio discriminante i costi si suddividono in Speciali e Comuni.

Costi Comuni: “Sono quei costi di fattori impiegati contemporaneamente

da più oggetti per i quali non è possibile identificare le quantità specifiche di fattore consumato”20.

Costi Speciali: “ Si dicono quei costi che, una volta deciso l'oggetto di

costo, possono essere ad esso riferiti in maniera oggettiva moltiplicando la quantità del fattore effettivamente consumata dall'oggetto per il suo prezzo unitario oppure costituiti dal valore di fattori produttivi i cui servizi sono impiegati in via esclusiva dall'oggetto di costo”21.

Seppur molto sottile, la differenza tra i costi speciali e comuni, diretti e indiretti esiste, infatti non sempre i costi speciali coincidono con i costi diretti.

I costi speciali possono essere diretti e indiretti proprio a seguito del principio di convenienza economica poc'anzi citato. Si può assistere ad un costo speciale, in cui vi è la possibilità di imputare all'oggetto di costo il suo ammontare, ma tale operazione, comporterebbe una misurazione delle quantità consumate molto onerosa, facendo venire meno il beneficio ottenibile dall'informazione.

Il tipico esempio per chiarire tale concetto è quello dell'energia elettrica. Essa è sicuramente un costo speciale rispetto agli impianti e potrebbe quindi essere un costo diretto se vi fosse la possibilità di applicare dei contatori sopra ad ogni macchinario per studiarne il consumo esatto. Tuttavia, il costo 20 L. Cinquini Strumenti per l'analisi dei costi volume 1, Giappichelli, Torino 1997 21L. Cinquini Strumenti per l'analisi dei costi volume 1, Giappichelli, Torino 1997

(25)

di tale operazione, nella maggior parte dei casi supera il beneficio informativo che ne deriva, rendendo quindi, scelta più opportuna, una imputazione tramite l'utilizzo di una base di riparto.

Al contrario, i costi comuni, proprio perchè per definizione comuni a più oggetti di costo, non potranno mai essere diretti ma saranno sempre indiretti. E' bene sottolineare, come anche nel caso della presente categoria di costi, la discriminazione tra speciali o comuni non può non prescindere dalla definizione dell'oggetto di costo. Tanto più ampia è la dimensione dell'oggetto di costo, tanti più saranno i costi speciali e tanto minore la quota di costi comuni sul totale costi, tant'è vero che rispetto all'oggetto di costo azienda, tutti i costi sono speciali.

Si può quindi affermare che la proporzione di costi speciali sul totale dei cosi sià inversamente proporzionale alla dimensione dell'oggetto di costo considerato.

Si veda la tabella qui sotto riportata.

Costi per le decisioni aziendali:

L'informativa che promana dall'analisi dei costi è sempre finalizzata a creare conoscenza a livello di top management, definendo una base di partenza per

Costi aziendali

Speciali

Speciali

Speciali

Speciali

Comuni Comuni Comuni

(26)

il processo decisionale.

I costi in tale ottica possono essere suddivisi nelle seguenti categorie:

Costi rilevanti: sono quei costi detti anche cessanti o eliminabili poiché

differiscono tra diverse alternative, andando quindi ad influenzare il risultato economico finale dell'analisi.

Si pensi ad un'analisi di make or buy,sovente in tali fattispecie, vi sono delle componenti di costo che saranno presenti nella soluzione di costruzione in economia (es il costo del personale) ma che vengano meno nel momento in cui si valuta la soluzione buy, e viceversa.

Costi Irrilevanti: al contrario tali costi risultano ineliminabili e quindi,

comunque presenti di fronte a due alternative di azione prese in considerazione.

Si pensi sempre ad un'analisi di make or buy relativa all'implementazione del sistema informativo gestionale. Supponiamo che indipendentemente che si scelga lo sviluppo interno del software o l'acquisto presso una software-house, il procedimento di implementazione tecnica, con i costi che ne derivano, siano a carico dell'azienda, tale costo risulterà irrilevante ai fini decisionali proprio perchè ineliminabile di fronte alle due alternative decisionali.

Costi differenziali: rappresenta l'ammontare di costi che si ottiene dalla

differenza tra i costi di diverse alternative. Tale importo può essere stimato sia come differenza tra il totale dei costi afferenti alle alternative in analisi, sia come differenza tra i costi rilevanti afferenti alle due soluzioni.

Costi opportunità: “misurano la perdita in termini di mancato guadagno in

caso di ipotesi di impiego alternativo dei fattori produttivi”22. In altri termini si definisce come il sacrificio economico che un operatore compie quando, 22 L. Cinquini Strumenti per l'analisi dei costi volume 1, Giappichelli, Torino 1997

(27)

effettuando una scelta deve rinunciare ad un'alternativa.

Costi preventivi: Sono invece quei costi che derivano da una previsione o

stima, che mirano a riprodurre il costo che si sosterrà svolgendo una certa produzione “nella realtà di impresa cosi' come è attualmente configurata, al fine di effettuare dei giudizi di convenienza”23 (Cinquini, Strumenti per l'analisi di costi).

Costi per il controllo di gestione:

L'ultima classificazione in analisi, deriva dall'utilizzo dell'informazione di

costo nelle decisioni relative al controllo di gestione e dunque in base alle modalità di programmazione.

Costi Standard: Si definiscono come dei “costi preventivi e, in quanto tali,

riflettono ipotesi di svolgimento della gestione. Essi tuttavia non rappresentano delle semplici previsioni, ma si configurano come veri e propri obiettivi che il management si impegna conseguire nell'anno di budget.”24.

A tal proposto si può parlare di costo standard ideale o costo standard pratico.

Il costo standard ideale rappresenta il consumo obiettivo di risorse in una situazione di condizioni ideali di svolgimento del processo produttivo, e dunque in assenza di rallentamenti, sfridi, e qualsiasi tipo di inefficienza contingente.

Può essere utilizzato come punto di riferimento per spingere ad 23L. Cinquini Strumenti per l'analisi dei costi volume 1, Giappichelli, Torino 1997kl 24 L. Marchi, S. Marasca Controllo di Gestione, metodologie e strumenti, seconda

(28)

un'ottimizzazione della gestione, individuando il punto di ottimo cui l'azienda deve tendere relativamente ad una specifica attività o processo. Il costo standard pratico, viene calcolato considerando delle normali condizioni di svolgimento del processo produttivo, include quindi nella sua “stima”, possibili rallentamenti, guasti macchinari, periodi di riposo dei dipendenti ecc..

Da tale osservazioni, il management può derivare anche uno standard fisico unitario, che rappresenterà invece la quantità obiettivo di fattore produttivo necessaria per ottenere una unità di output.

Costi Consuntivi: Sono invece qui costi che che misurano il valore delle

risorse utilizzate dopo la conclusione dello svolgimento dei processi. Tali costi si differenziano dai precedenti perchè la prospettiva di analisi è ex post, e quindi non presentano quell'aleatorietà tipica dei costi standard. Ai fini del controllo di gestione, hanno una rilevanza straordinaria, proprio perchè consentono di sviluppare tutte quelle analisi di confronto tra risultati conseguiti e obiettivi. Sarà proprio il delta promanate dal confronto tra uno specifico costo standard e il relativo costo consuntivo, a consentire di sviluppare giudizi sulla bontà della gestione passata, indagando dunque sulle cause di tali scostamenti.

Costi Controllabili e non Controllabili: Tale classificazione assume

particolare rilevanza proprio in relazione alla possibilità di usare tale criterio per promuovere una responsabilizzazione dei soggetti operanti e delle risorse ad essi attribuite.

La scomposizione del sistema azienda in centri di responsabilità, consiste nell'individuazione di“unità organizzative costituite per raggiungere uno o più obiettivi”25.

(29)

Tali centri sono dotati di una serie di fattori produttivi, il cui ammontare è studiato in relazione all'output obiettivo, e la cui gestione/ responsabilità è affidata ad un soggetto responsabile. I soggetti operanti nei centri di responsabilità, avranno quindi la possibilità di influenzare l'ammontare del costo di taluni fattori, ottimizzando la gestione e le operazioni di cui sono a capo (costi controllabili), e parimenti vi saranno una sere di costi non rientranti nella loro sfera di responsabilità impedendo quindi la loro capacità di modificarne l'ammontare.

Si pensi al dipartimento di pianificazione della produzione di un' azienda manifatturiera, il manager del dipartimento, con la bontà del suo operato potrà ridurre il costo di svolgimento del processo produttivo efficientando la pianificazione, riducendo i tempi di attesa tra un ciclo produttivo ed un altro, incastrando i riattrezzaggi dei macchinari in modo tale da non creare colli di bottiglia, e cosi' via, tuttavia non avrà responsabilità sul costo di acquisto dei fattori produttivi, che sono invece di responsabilità del dipartimento di acquisti.

Quindi anche in questa classificazione, la possibilità di discriminare tra un costo e un altro, prescinde dalla definizione del soggetto, in questo caso del centro di responsabilità.

1.5) LE CONFIGURAZIONI DI COSTO, IL DIRECT COSTING E IL FULL COSTING

“Il controllo si basa su un sistema informativo, che produce dati di tipo quantitativo monetario, che servano come input per l'avvio del processo, e che vengono evidenziati successivamente nei rapporti di gestione, utili per la rilevazione degli scostamenti e la successiva reimpostazione della

(30)

gestione.”26.

Il controllo a tal punto viene a definirsi come un processo direzionale, e non come un fatto contabile, secondo l'impostazione del Brusa si sostanzia nei seguenti steps:

1) Determinazione degli obiettivi da raggiungere espressi in termini quantitativi

2) Misurazione dei risultati effettivamente realizzati 3) Confronto degli obiettivi con i risultati

4) Scelta delle azioni correttive volte a eliminare in futuro gli scostamenti indesiderati

Come emerso da quanto sopra, il Controllo non può definirsi un fatto contabile, bensi' un processo direzionale, tuttavia, il momento di rilevazione del dato rappresenta una fase cruciale dei modelli di controllo poiché, saranno proprio i dati rilevati in corso di marcia ad essere la base di partenza per costruire informazioni funzionali allo scopo direzionale.

Possiamo individuare come scopo di questi strumenti rientranti nel grande calderone della Co.An. proprio la volontà di attribuire al prodotto le risorse valorizzate in termini monetari, che effettivamente anno contribuito alla realizzazione dello stesso e che possono essere ad esso correlate secondo un rapporto di causa effetto.

Tuttavia quando si determina il costo di un particolare oggetto di costo, è necessario in primis definire se si vuole includere tutti i fattori che hanno concorso alla sua realizzazione oppure solo alcuni di essi.

Le configurazioni di costo nascono proprio dalla scelta delle componenti di costo da includere nel calcolo.

(31)

Se apparentemente potrebbe sembrare futile una configurazione di costo che includa solo parzialmente i fattori produttivi concorrenti alla realizzazione del prodotto, in realtà, tale scelte deriva da uno scopo informativo diverso, motivo per il quale ad esempio in talune analisi sarà necessario indagare solo sui costi variabili attribuibili ad un prodotto per ottenere una configurazione con una portata informativa differente, rispetto ad un costo pieno includente tutti i costi.

Qui sotto si riporta le principali classificazioni di costo di prodotto:

Costo Primo: Materia prima + MOD

Costo di Fabbricazione: Costo primo+ altri costi diretti di fabbricazioni +

quota di costi indiretti di fabbricazione

Costo di Fabbricazione e Commercializzazione: Costo di Fabbricazione

+ Costi generali commerciali

Costo Pieno: Costo di Fabbricazione e Commercializzazione + Costi

generali amministrativi + Oneri Finanziari Si veda il grafico sotto riportato:27

(32)

In relazione alla configurazione del costo prescelta sulla base degli scopi informativi perseguiti, la prassi aziendale è solita distinguere due grandi tipologie di contabilità analitica, il Direct Costing e il Full Costing.

Il Direct Costing, giunge ad una configurazione del costo che considera solo i costi variabili , assumendo che il costo di una unità aggiuntiva di produzione provochi un cambiamento del costo totale di produzione uguale al costo variabile.

Quindi possiamo dire che il Direct Costing va ad attribuire al prodotto solo i costi di prodotto, ovvero quelli che sono stati sostenuti specificatamente per l'ottenimento dello stesso.

Vediamo qui la struttura di base del conto economico di prodotto costruito in logica Direct Costing:

(33)

Il margine di contribuzione primario, o margine lordo di contribuzione, indica la contribuzione del prodotto alla copertura dei costi fissi aziendali e in seconda istanza alla generazione di un profitto aziendale.

Tale configurazione può essere arricchita andando ad aggiungere all'analisi i Costi fissi specifici di prodotto, ovvero quei costi che non variano al variare dell'output prodotto, ma che sussistono solo in relazione all'esistenza della specifica produzione di quel prodotto. L'eliminazione dunque della produzione di quel prodotto farebbe cessare anche tali costi(oltre ovviamente a quelli variabili).

Il margine di contribuzione secondario o margine semilordo di contribuzione, è un risultato economico che “mostra il reddito di specifica competenza di un prodotto, conseguito impiegando risorse finalizzate a quell'oggetto, senza considerare le risorse generali o comuni”28.

La logica del direct costing consente di sviluppare la seguente variante di conto economico gestionale:

28 Brusa, Contabilità dei costi, Giuffrè editore, Milano 1979

Ricavi di vendita prodotto X - Costi variabili prodotto X

= Margine di Contribuzione primario prod X

Ricavi di vendita prodotto X - Costi variabili prodotto X

= Margine di Contribuzione primario prod X - Costi fissi specifici prodotto X

(34)

Con la metodologia di calcolo Full Costing invece si attribuiscono all'oggetto di costo tutti i costi sostenuti per il suo ottenimento, sia quelli variabili, che quelli fissi, sia quelli diretti che indiretti. Se l'imputazione dei costi diretti risulta semplice da un punto di vista teorico, quando si tratta invece di costi indiretti è necessario effettuare delle scelte circa il criterio di attribuzione del costo a quello specifico oggetto.

Una volta individuati i costi comuni o i costi indiretti questi vengono raggruppati in un unico aggregato di costo, ottenendo cosi un insieme dei costi indiretti sostenuti.

A tal punto sarà necessario attribuire tali costi all'oggetto finale di riferimento, ciò è possibile se si individua un criterio di imputazione che dovrebbe riflettere il più possibile il consumo di risorse indirette per ottenere il prodotto o la commessa.

Il coefficiente di ripartizione è dato dal rapporto tra l'ammontare totale di costi indiretti e la base di riparto, ottenendo cosi un moltiplicatore che sarà in grado di determinare la quota di costi indiretti da associare ad ogni

Ricavi di vendita (x) (x) (x) (x)

- Costi variabili prodotto (x) (x) (x) (x)

= Margine di Contribuzione primario (x) (x) (x) (x)

- Costi fissi specifici (x) (x) (x) (x)

= Margine di Contribuzione secondario (x) (x) (x) (x)

Margine di Contribuzione totale

- Costi fissi indiretti/comuni (k)

Reddito Netto

(Mg Cont secondari prodotti a; n) Ʃ

(35)

oggetto di costo finale.

La base di imputazione, è a tutti gli effetti un driver di costo, infatti quanto più tale grandezza è in grado di rappresentare l'andamento del costo, tanto maggiore sarà l'attinenza al principio funzionale-causale.

L'attribuzione agli oggetti di costo delle quote di costo indiretto avviene tramite il prodotto tra il coefficiente di ripartizione, che dunque indica quale sia il costo indiretto unitario associato ad una unità di attività (sia essa quantità di output, ore macchina, numero di progetti ecc...), e la quantità di “attività” o driver, consumata dall'oggetto di costo finale.

Tale approccio consente dunque di ripartire su base proporzionale i costi indiretti allocati nell'aggregato iniziale,tra gli n oggetti di costo, in funzione del consumo che questi ultimi hanno fatto della base di riparto scelta.

Nel modello qui descritto che prende il nome di Full costing a base unica, è stato individuato un unico aggregato di costi intermedi, da cui deriva un unica base di ripartizione.

Un' evoluzione del modello a base unica è il modello Full costing a base

multipla in cui sono definite più aggregazioni intermedie alle quali sono

associati i costi indiretti, per ciascuna aggregazione, si determina una base di riparto appropriata che sia in grado di rappresentare il criterio funzionale.

Ricavi di vendita (x) (x) (x) (x)

- Costi variabili prodotto (x) (x) (x) (x) = Margine di Contribuzione primario (x) (x) (x) (x) - Costi fissi specifici (x) (x) (x) (x) = Margine di Contribuzione secondario (x) (x) (x) (x) - Costi indiretti di prodotto (x) (x) (x) (x) = Reddito Netto di prodotto (x) (x) (x) (x)

(36)

Tale metodologia consente di calcolare in modo più attendibile il costo di prodotto, proprio perchè si supera l'assunzione del modello a base unica, ovvero che esista un unico driver di costo in grado di spiegare l'andamento dei costi indiretti.

Come su anticipato, è focus dei modelli di costing, l'ottemperanza del criterio funzionale che, nella pratica, rappresenta l'attribuzione ad un oggetto di costo di tutti quei valori di fattori produttivi che realmente hanno concorso all'ottenimento dello stesso. Tale aspetto induce chi implementa un modello di contabilità dei costi di tipo full costing ad indagare sulle cause che determinano l'insorgenza del costo affinché sia possibile scegliere il criterio di ripartizione del costo più affine al criterio funzionale.

In ultima istanza si tenga presente che “ … la scelta dei parametri di ripartizione viene generalmente fatta in azienda dal responsabile del controllo di gestione, spesso coadiuvato dai responsabili di funzione. Questo processo comporta però una forte soggettività che può determinare differenti risultati nella metodologia applicata.”29.

1.6) LA CONTABILITÀ PER CENTRI DI COSTO 1.6.1) La logica di funzionamento del modello

La procedura di svolgimento della contabilità analitica per centri di costo, altro non è che un'articolazione del modello Full Costing sopra descritto. Essa viene solitamente utilizzata per ottenere una migliore applicazione del criterio funzionale-causale, sostanziandosi nei seguenti step:

29 A.Tullio, Analisi dei costi e contabilità industriale: Teoria e pratica del controllo di

(37)

1) Identificazione dei Centri di Costo

2) Imputazione dei fattori diretti agli oggetti di costo finali

3) Definizione degli elementi di costo indiretti da includere nel calcolo e allocazione degli stessi nei predefiniti Centri di Costo

4) Ribaltamento dei centri di costo intermedi sui centri finali e dei centri finali sui prodotti.

Il primo punto che concerne la progettazione del piano dei CdC svolge una funzione cruciale in tutto il modello e produce come output il piano dei centri i costo.

I CdC possono essere classificati secondo i due seguenti criteri:

Criterio gerarchico: in tale ottica il focus è il procedimento di calcolo del

costo e i Cdc sono distinti in centri di costo intermedi e centri di costo finali. I primi rappresentano un aggregato di costi indiretti che verranno attribuiti (ribaltati) sui centri finali, i secondi invece saranno attribuiti all'oggetto di costo finale.

Criterio funzionale: tale logica porta a distinguere i Cdc in base alla natura

dell'attività svolta, avendo quindi come focus il processo produttivo e le attività che contraddistinguono tali unità. Pertanto si individuano i seguenti raggruppamenti:

 Centri Produttivi: Trasformano gli input in output per il clienti finale

 Centri Ausiliari: Erogano servizi di supporto ai centri produttivi

 Centri di comuni o di struttura: Erogano servizi di supporto a tutta

l'azienda quindi sia ai centri produttivi che a quelli ausiliari

Si evince come la fase di definizione del piano dei CdC abbia un'importanza cruciale per il funzionamento del modello, tant'è che al variare della

(38)

quantità,del numero, o del rapporto dei centri individuati, varierà anche l'informazione e dunque la significatività dell'informazione di costo che ne deriva.

Qui sotto sono riportati i criteri da seguire nella definizione del piano:

1. Omogeneità delle operazioni compiute nel Cdc

2. Omogeneità dei fattori produttivi adottati 3. Significatività delle spese sostenute

4. Possibilità di identificare un responsabile del centro

Tali suggerimenti risultano utili per implementare il modello, tuttavia è bene sottolineare come, in contabilità analitica non sia possibile definire un modello migliore di un altro, tanto meno definire un modello ottimale cui le aziende dovrebbero tendere, questo è conseguenza delle differenze intrinseche che caratterizzano le aziende, differenze che si sostanziano in processi diversi e dunque in costi emergenti differenti, è per questo che il vero punto di partenza per l'implementazione di un modello, è la definizione degli scopi conoscitivi presenti, ricordando che da obiettivi informativi diversi, promanano metodi e strumenti di costing diversi.

La fase successiva concerne la localizzazione delle risorse nei CdC individuati, ovvero nella quantificazione del costo dei fattori produttivi impiegati da ciascun centro, per l'adempimento delle sue mansioni. Risulta necessario a tal scopo disporre di talune informazioni quali30:

 i centri nei quali le risorse umane svolgono la loro attività

 la localizzazione degli impianti

 i centri che utilizzano determinate attrezzature

 i prelievi dei materiali di consumo da parte dei singoli centri

30 Paola Miolo Vitali, Strumenti per l'analisi dei costi approfondimenti di Cost Accounting,terza edizione, Giappichelli Editore, Torino 2010

(39)

 le rimanenze di semilavorati in ogni centro

 valori sulle altre risorse eventualmente impiegate

Le informazioni riportate qui sopra consentono in realtà di rispondere alle due fasi del modello ovvero all'attribuzione dei costi diretti e indiretti nei relativi centri e dunque, contestualmente, le relazioni di scambio tra i diversi centri intermedi e finali.

La logica dei ribaltamenti è analoga a quella su presentata nel modello full costing base unica ; si sostanzia nell'individuazione di un cost driver definito come il movente del costo.

Dal cost driver si costruisce un coefficiente di ripartizione tramite il rapporto tra il totale dei costi del centro e la q totale del cost driver, a questo punto si scarica l'ammontare del cdc intermedio su quelli finali considerando la quantità di cost driver consumata da questi ultimi.

Nel caso di ribaltamento dei centri di costo finali sui prodotti, la procedura è analoga, individuando però la quantità di fattore produttivo o driver, consumata dall'oggetto di costo finale.

1.6.2) La capacità produttiva e il potenziale informativo

Nel seguente paragrafo viene analizzato il potenziale informativo che promana dall'implementazione del modello dei centri di costo, e ci si sofferma su alcune considerazioni che riguardano la capacità produttiva, dunque le modalità di attribuzione delle risorse ai prodotti in un ottica di rispetto del principio funzionale.

La capacità produttiva è rappresentata “ dalla quantità massima o potenziale di output che può essere prodotta in un certo periodo”31 .

(40)

Inoltre si possono distinguere differenti dimensioni di capacità produttiva32: 1) Capacità produttiva teorica

2) Capacità produttiva pratica 3) Capacità produttiva normale 4) Capacità produttiva di budget

5) capacità produttiva attuale o consuntiva

La capacità teorica rappresenta il massimo output raggiungibile in condizioni di produzione ideale, senza tenere conto dei normali rallentamenti che si possono presentare durante il ciclo produttivo.

La capacità pratica invece in termini di output presenta un valore più basso, proprio perchè tiene conto di riduzioni dovute a interruzioni conseguenti a manutenzioni, riparazioni, riattrezzaggi, ragioni normative, ritardi di fornitura ecc...

La capacità normale considera la domanda media di mercato in un periodo di tempo sufficientemente esteso tale da escludere le fluttuazioni imputabili alle stagionalità. Tale valore, considera quindi le unità vendute invece che le quantità di output potenzialmente producibili dalla componente tecnica La capacità di budget esprime invece il livello programmato di output in un certo periodo tenendo conto del livello programmato delle vendite e di quello delle scorte. Esso considera dunque il livello di domanda prevista. La capacità consuntiva o attuale, misura invece la quantità di output realizzata in un certo periodo e sconta tutti i fattori che non sono previsti in sede di programmazione.

I motivi per cui si introduce il concetto di capacità produttiva in tal sede,

Accounting,terza edizione, Giappichelli Editore, Torino 2010

32 L. Cinquini, Relazioni tra costi e capacità produttiva: tra rilevanza nella prassi e

(41)

sono sostanzialmente due:

 prima di tutto, informazioni di questo tipo possono essere impiegate

per analisi di fattibilità di un progetto o commessa, analisi di make or buy e in generale per spingere il complesso produttivo verso il miglior risultato ottenibile. Appare quindi chiara la relazione tra l'informazione ottenibile da un'analisi di questo tipo, e la portata informativa che ne deriva, riconducendo quindi tale aspetto al più volte citato insieme delle informazioni promananti dal controllo di gestione utili per sviluppare un controllo direzionale-strategico

 in secondo luogo perchè le differenti misure di capacità, influenzeranno proprio il più volte citato coefficiente di riparto e dunque l'allocazione di costi indiretti che ne deriva.

Prima di tutto è bene qui ricordare la relazione esistente tra il costo unitario di produzione e la quantità di output prodotta.

Il costo unitario di produzione è dato dal costo unitario variabile e dal costo fisso unitario, meglio espresso come incidenza unitaria del costo fisso. Si consideri la relazione qui sotto riportata:

CV= v * Q CF= K

CT= CV + CF = v * Q + K Cu= CT / Q

Cu = (v * Q) / Q + (K / Q)

Emerge dalla scomposizione del costo unitario, che all'aumentare della quantità di output prodotta, il costo unitario diminuisce. Tale riduzione è da imputare totalmente alla riduzione dell'incidenza del costo fisso unitario dato che “ v” come visto, rimane costate.

(42)

il costo unitario coinciderebbe con il costo variabile unitario mentre il costo fisso unitario tenderebbe a zero.

Si consideri il grafico qui sotto riportato:

A ben vedere, le considerazioni fatte, possono essere estese anche ad un centro di costo; in ogni centro di costo è infatti possibile individuare sia dei costi fissi in esso localizzati, es ammortamento macchine, che costi variabili specifici del centro, ad esempio le materie prime utilizzate, emerge dunque la possibilità di estendere la funzione del costo variabile ad un centro di costo.

La diretta conseguenza cui si giunge è che una variazione nell'output prodotto in un Cdc, determina una differente incidenza del costo fisso di centro sull'output, e quindi una conseguente variazione del costo dell'oggetto di costo finale.

(43)

Tale fattispecie si verifica quando a livello di centro di costo vengono impiegate delle basi di riparto a consuntivo, ovvero la quantità di output effettivamente realizzata. Quindi in presenza di una significativa variazione dell'output, e contestualmente ad una presenza rilevante di costi fissi di centro sul totale dei costi di centro, si manifesta una considerevole oscillazione del costo dell'output finale. Ciò che accade altro non è che l'imputazione dell'intera quota di costi fissi, anche se tuttavia tali costi danno la possibilità di realizzare volumi di output decisamente superiori, in altre parole si va ad imputare anche il costo della capacità produttiva

inutilizzata.

Se si ragiona in termini di allocazione al prodotto delle sole risorse che realmente anno concorso alla realizzazione dello stesso, l'attribuzione della capacità produttiva inutilizzata, riduce l'aderenza al principio funzionale-causale. E' possibile eludere il problema andando a considerare tra le basi di riparto la capacità pratica dei centri in quanto essa include sia i rallentamenti produttivi fisiologici, ma permette di escludere dall'attribuzione delle costo all'oggetto di costo, la quantità inutilizzata, dovuta ad inefficienze, errori di programmazione ecc.

E' quindi facilmente intuibile come il coefficiente di allocazione non varierà più al variare dell'output, ma potrà comportare, in caso di non raggiungimento del livello massimo di output, un'attribuzione parziale dei costi di centro. Il delta che emerge dalla differenza tra il totale dei costi di centro, e quanto ripartito sugli oggetti di costo, è proprio la misura economica della capacità inutilizzata.

Ci si può interrogare sulla validità di tale scelta, è vero infatti che in questo modo, emergono dei costi che non vengono attribuiti al prodotto, i costi delle inefficienze per l'appunto, ma che comunque sia, sono costi presenti e

(44)

sostenuti.

La risposta a tale interrogativo riprende il fondamento più generico dei modelli di costing, ovvero che scopi diversi conducono a rilevazioni diverse.

Se si desidera infatti verificare il costo effettivamente sostenuto dall'azienda per la realizzazione di un prodotto, è inopinabile quanto suggerito, e dunque di attribuire i costi che solo hanno concorso alla realizzazione dell'output. Nel caso in cui il calcolo del costo unitario di prodotto venga effettuato per definire politiche di pricing, è altrettanto vero che la non considerazione di tali costi (se rilevanti) potrebbe condurre alla fissazione di un prezzo che non consente di generare utile.

Come suggerimento generale, si può consigliare di strutturare un modello di costing, rendendolo atto a individuare sempre il costo delle inefficienze, ma starà poi al management decidere come gestirle, ed eventualmente come coprire questi costi.

Il modello contabile, massimizza la sua efficacia quando è in grado fornire informazioni quanto più verosimili alla realtà, è da questo punto che prende avvio il processo decisionale e strategico, facendo tesoro dell'informativa di cui dispone.

1.6.3) Punti di forza e Criticità

La disamina fino a qui riportata, mostra che il principale vantaggio promanante da un modello di costing per centri di costo, consiste nella possibilità di attribuire ad ogni oggetto di costo in esame, le risorse effettivamente consumate per la sua realizzazione. Ciò nella pratica si esplica rispondendo all'interrogativo circa, come attribuire i costi indiretti ai

(45)

prodotti. Si è visto dunque che, l'articolazione della struttura informativa in centri di costo, l'allocazione delle risorse e dei consumi al loro interno, l'individuazione per ciascun cdc di un determinante in grado di spiegare l'andamento del costo, e dunque di attribuire all'oggetto finale i relativi consumi, ha portato ad un importante vantaggio informativo, che si riassume in una miglior conoscenza del sistema azienda, e del sistema prodotto. Saranno fondamentali, per massimizzare il potenziale informativo, le numerose accortezze e considerazioni su esposte, che possono fungere da guida sia in fase di predisposizione del modello, si di interpretazione dell'output ( classificazione dei costi, scelta dei driver, capacità produttiva dei centri ecc..).

A questo punto risulta opportuno individuare i limiti che sono insiti nel modello affinché sia chiaro che quest'ultimo non rappresenta la soluzione finale al problema informativo interno aziendale, ma solo uno dei possibili strumenti, che in talune situazione è in grado di rispondere adeguatamente alle esigenze.

La prima considerazione è di tipo operativo, ed è conseguenza delle basi di riparto adottate che sono generalmente proporzionali ai volumi di produzione. Si tenga presente che la contabilità per centri di costo viene proposta quando in azienda si assisteva a produzioni di massa, dove quindi sussistevano aziende fortemente immobilizzate e in cui l'utilizzo di basi di

(46)

riparto come i volumi di produzione, le ore macchina, e in generale le basi di natura volumetrica, erano fortemente esplicative dell'assorbimento dei costi indiretti da parte dei prodotti.

Le odierne realtà aziendali, sono invece caratterizzate da una maggior complessità in termini produttivi: “ La crescita della complessità produttiva è determinata da vari fattori tra i quali l'aumento della gamma di produzione con vincoli di qualità e just in time, le frequenti innovazioni di processo e di prodotto, che comportano un maggior numero di specifiche tecniche di produzione, l'aumento delle relazioni esterne ( con clienti e fornitori) e interne (tra unità operative)da regolare, l'incremento degli ordini da gestire, e dei flussi di materiali da programmare e controllare.”33. In quest'ottica, si comprende come, le strade per creare il vantaggio competitivo aziendale siano cambiate rispetto a quando il focus era sulle produzioni di massa indifferenziate.

La logica sottostante talune realtà produttive di tipo Labour Intensive consisteva, in estrema semplificazione, nella massimizzazione degli output prodotti, in modo tale da beneficiare di economie di scala, e potendo quindi procedere con un abbassamento dei prezzi. Tale fattore, se si assume un mercato indifferenziato e di massa, è condizione sufficiente per accaparrarsi un mercato.

Sulla base dei cambiamenti citati che portano a realtà di tipo Capital Intensive, risulta pacifico sostenere che anche la struttura dei costi aziendali sia cambiata. Se si pensa alle aziende operanti nel terziario avanzato, o nelle realtà di servizi, appare sicuramente più complesso definire delle relazioni volumetriche tra gli output realizzati e i costi indiretti associabili ai prodotti 33 P. Ferrando , Creazione di Valore e Reporting Integrato, Giappichelli Editore, Torino

Riferimenti

Documenti correlati

[r]

Consideriamo due particelle libere di muoversi in una dimensione e non soggette a forze esterne (sistema isolato) => il momento totale si conserva.. 1) Urti elastici: K finale =

precisione: descrive la capacità di riprodurre sempre lo stesso valore misurando lo stesso campione nelle stesse condizioni.. L' accuratezza denota vicinanza della misura al

Metodologia per verificare se due o più popolazioni sono caratterizzate dalla stessa media (o più medie sono estratte dalla stessa popolazione). Se si indaga sull’effetto di 5

● Un'esplosione interna spezza un oggetto inizialmente fermo in due frammenti, uno dei quali ha 1.5 volte la massa

[r]

Per ogni deposito i la quantità totale di prodotto inviata da esso deve essere pari alla quantità di prodotto a i in esso immagazzinata... Modello matematico -

Nei primi anni di scuola primaria, si riscontra- no altre difficoltà con l’uso del segno 0, questa volta legate alla lettura di numeri a più cifre, con- tenenti il segno 0 per