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Inibitori della melanogenesi: recenti sviluppi e potenziali applicazioni terapeutiche

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(1)

UNIVERSITÀ DI PISA

D

IPARTIMENTO DI

F

ARMACIA

Corso di Laurea specialistica in Farmacia

Inibitori della melanogenesi: recenti sviluppi e potenziali applicazioni terapeutiche.

Candidata: Sonia Surdo

Relatori:

Prof.ssa Sabrina Taliani

Dott.ssa Silvia Salerno

(2)

‘I vucabuli chi sustennu la famigghia

su’…l’amuri, l’umiltà e l’u’ surrisu

a’ matina quannu l’omo s’arrisbigghia

è un’Angiulu crisciutu ‘mpraddisu.

La bona parola, è comu l’u’ specchiu

pi ccu ci criri: l’a’ vera ricchezza

‘i mali paroli: sutta l’u’ cuvecchiu

e a’ famigghia, campa d’alligrizza.

L’umiltà, l’a’ fiducia e l’u’ rispettu

vucabbuli, chi scanuscinu l’èrrori

su pallati in ‘Italianu: ò in dialettu

ti sazzianu d’amuri, u’ nostru cori.

Pi ccu ama priricari stu canturi

cu’ amuri, s’alluntana di la braci

recita ‘nnà priiera, a’ l’u’ Signuri

e l’a’ famigghia: vivi nzànta paci.

(3)

INDICE

1. Introduzione ... pag. 2

1.1 La melanina ...pag. 2 1.1.1 Emelanina e Feomelanina ... pag. 3 1.2 Sintesi della melanina ...pag. 5 1.2.1 Regolamentazione melangenesi ... pag. 8 1.3 Fotobiologia della melanogenesi ...pag. 10 1.3.1 Comportamento della cute umana dopo

irradiazione ultravioletta ... pag. 12 1.3.2 Funzione fotoprotettiva della melanina ... pag. 13 1.3.3 Le turbe della pigmentazione cutanea ... pag. 15 1.3.4 Melanogenesi e melanoma ... pag. 17

2. Inibitori della melanogenesi ... pag. 21

2.1 Struttura e funzione della tirosinasi ...pag. 22 2.1.1 Struttura generale e funzione della tirosinasi... pag. 22 2.1.2 Ciclo catalitico della tirosina ... pag. 24 2.2 Importanza della tirosinasi come target ...pag. 26 2.3 Inibitori della tirosinasi ...pag. 28 2.3.1 Derivati e analoghi del resveratrolo ... pag. 29 2.3.2 Peptidi o peptidomimetici ... pag. 33 2.3.3 Derivati bifenilici ... pag. 35 2.3.4 Derivati indolici ... pag. 39 2.3.5 Derivati della tiourea e del tiosemicarbazone... pag. 41 2.3.6 Derivati dell’acido idrossicinnamico ... pag. 45 2.3.7 Calconi e analoghi del flavanone ... pag. 47

(4)

3. Inibitori di tirosinasi umana ... pag. 51

4 Sviluppi recenti nella cristallizzazione della

tirosinasi umana ... pag. 60

5. Inibitori delle vie di segnale ... pag. 63

5.1 Inibitori che agiscono sul recettore melanocortina

1/ormone stimolante l’α-melanocita α-MSH

(MC1R/α-MSH)... pag.64 5.2 Inibitori della via di segnale di PI3K/Akt ... pag.67 5.3 Inibitori della melanogenesi mediati da chinasi c-

Kit MAP/SCF ...pag.69 5.4 Inibitori della via di segnale Wnt/β-catenina ...pag.72

6. Conclusioni ... pag.74

7. Bibliografia ... pag.76

(5)

1

PREMESSA

Le melanine sono molecole di pigmento che, nell’uomo, determinano il colore della pelle, degli occhi e dei capelli, in base alla loro quantità, qualità e distribuzione.

I melanociti sintetizzano la melanina e forniscono protezione epidermica nei confronti di vari stimoli, tra cui la radiazione ultravioletta nociva, attraverso il complesso processo noto come melanogenesi.

Tuttavia, quando vi è una produzione eccessiva di melanina, in diverse parti del corpo si verificano gravi problemi dermatologici.

Questi includono lentiggini, melasma, lentigo senili, cicatrici pigmentate da acne e cancro.

Pertanto, il controllo della produzione di melanina rappresenta una strategia importante per il trattamento terapeutico dei disordini correlati alla pigmentazione.

Questo lavoro di tesi è focalizza sugli inibitori della melanogenesi che bersagliano, direttamente o indirettamente, un enzima chiave, la tirosinasi, e le vie di segnale ad essa associate.

(6)

2

1.

INTRODUZIONE

1.1 LA MELANINA

I melanociti, che derivano dai melanoblasti, nei mammiferi, sono le cellule responsabili della melanogenesi, cioè della sintesi della melanina, che avviene al loro interno in organelli specializzati, circondati da membrana, chiamati melanosomi. (1,2) Da questa sede, il successivo trasferimento dei melanociti alle cellule dell’epidermide, i cheratinociti, completa il processo di melanizzazione della pelle. (3) Durante la melanogenesi, la melanina viene depositata all’interno dei melanociti nei melanosomi, e trasportata attraverso i dentriti ai cheracitoniti. (4,5,6)

La melanina è una molecola complessa policiclica, di origine naturale, che è possibile trovare in molti organismi viventi, dai semplici batteri alle più evolute piante fino agli animali, con ruoli fisiologici molto diversi.

Negli esseri umani, la melanina è presente nella pelle, nei capelli e nel tessuto pigmentato che è posto sotto l'iride, nel midollo e nella zona reticularis della ghiandola surrenale, nell'orecchio interno e nel pigmento di alcuni tipi di neuroni situati nel locus coeruleus, nel nervo vago e nella substantia nigra del sistema nervoso centrale.

La melanina è la determinante primaria del colore della pelle. La melanina dermale, come abbiamo detto, è prodotta dai melanociti che sono nella parte basale dell'epidermide; viene prodotta quando sono esposti alla luce ed in particolare alla radiazione ultravioletta (UV) nel

(7)

3 campo da 380 a 410 nanometri (UVA), presente in natura principalmente nello spettro della luce solare, grazie alla mediazione dei neuroni del sistema nervoso. (7,8)

In generale, la melanina, o più propriamente le melanine, sono un gruppo di pigmenti naturali che provengono dall’epidermide, con lo scopo di proteggere la pelle umana da una dannosa radiazione ultravioletta e dallo stress proveniente da diverse fonti di inquinamento ambientale, droghe tossiche e sostanze chimiche. (9)

1.1.1 Eumelanina e Feomelanina

I melanociti producono due tipi distinti di pigmenti di melanina:

Eumelanina: polimero insolubile scuro o marrone-nero. La natura precisa della struttura molecolare della eumelanina è ancora oggetto di studio. È però composta da polimeri del 5,6-diidrossiindolo (DHI) e dell'acido 5,6-diidrossiindolo-2-carbossilico (DHICA). L'eumelanina esiste nei capelli di colori grigio, nero, giallo, e marrone. Negli esseri umani, è più abbondante nelle persone con pelle scura. Ci sono due tipi diversi di eumelanina, che si distinguono per il loro modo di formare legami polimerici. I due tipi sono comunemente indicati come eumelanina nera ed eumelanina marrone o bruna. In assenza di altre cause una piccola quantità di eumelanina nera causa i capelli grigi, mentre una piccola quantità di eumelanina marrone rende i capelli di colore biondo (Fig. 1). (10)

Ricerche condotte circa 50 anni fa, suggeriscono che le eumelanine siano un biopolimero molto eterogeneo costituito da unità di diidrossiinositolo (DHI) e acido diidrossiinositolocarbossilico

(8)

4 (DHICA) in diversi stati ossidativi, e da unità pirroliche derivate dalla loro rottura perossidativa.

Feomelanina: polimero solubile rosso-giallo. Si trova nella pelle e nei capelli degli individui di pelle sia chiara che scura. In generale, le donne hanno più feomelanina degli uomini, e, quindi, la loro pelle è generalmente più rosata. La molecola conferisce un colore di tonalità dal rosa al rosso e, quindi, si trova in grandi quantità in particolare in soggetti dai capelli rossi. Chimicamente, la feomelanina differisce dall'eumelanina per la presenza nell'oligomero della benzotiazina, invece di DHI e DHICA, quando oltre alla tirosina è presente l'aminoacido L-cisteina. Analogamente alla precedente, per la diversità dei legami polimerici possibili, anche la feomelanina è presente in due tipi: rossa e gialla (Fig. 1).

Anche le feomelanine consistono in una combinazione di unità di benzotiazina, benzotiazolo e isochinolina. Non è chiaro come queste unità monomeriche siano connesse tra loro, anche se il legame diretto tra i relativi atomi di carbonio giustificherebbe meglio l’assorbimento di queste molecole in tutto lo spettro del visibile.

Sia le eumelanine che le feomelanine derivano da un precursore comune,il dopochinone (DQ) che si forma dall’ ossidazione dell’ amminoacido tirosina passando per l’ intermedio L-diidrossifenilalanina (L-DOPA) reazione catalizzata dall’ enzima tirosinasi.

(9)

5

Figura 1: Struttura semplificata delle eumelanine, a sinistra, e delle feomelanine,

a destra. Immagine adattata da Ito & Wakamatsu 200870.

1.2 SINTESI DELLA MELANINA

La sintesi della melanina ha inizio a partire dalla tirosina, un amminoacido che il nostro organismo è in grado di produrre partendo dalla fenilalanina.

Sono coinvolte complesse reazioni enzimatiche e biochimiche.

Dal punto di vista enzimatico sono richiesti tre enzimi fondamentali contenuti nei melanosomi: la tirosinasi (TYR), la proteina-1 correlata alla tirosinasi (TRP-1) e la proteina-2 correlata alla tirosinasi (TRP-2, detta anche dopacromo-tautomerasi, DCT).

In particolare, la TYR è fondamentale esclusivamente per la sintesi della melanina, ovvero è responsabile della fase iniziale della melanogenesi; mentre TRP1 e DCT sono coinvolte nei cambiamenti relativi ai diversi tipi di melanina.

La sintesi della melanina inizia per merito di TYR che catalizza l’idrossilazione della tirosina a beta-3,4-diidrossifenilalanina (DOPA) e la successiva ossidazione della DOPA a DOPAchinone (DQ), che

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funge da substrato per la sintesi di eumelanina e feomelanina.(11) (Fig. 2)

Nella sintesi della feomelanina, il DQ reagisce con la cisteina per ottenere 3- o 5-cisteinil-DOPA, che viene poi ulteriormente ossidata e polimerizzata per formare i pigmenti.

Nel processo di sintesi della eumelanina, invece, il DQ ciclizza per formare DOPAcromo, che quindi, in presenza di TRP-2, forma l’acido DHI-2-carbossilico (DHICA), che può decarbossilare spontaneamente per generare 5,6-diidrossiindolo (DHI) come prodotto secondario. Infine, DHI e DHICA si ossidano rapidamente e polimerizzano per produrre eumelanina.

(11)

7

L’esatta funzione di TRP-1 nella sintesi della melanina non è ancora stata chiarita. Uno studio sostiene che TRP-1 sia l’enzima che catalizza l’ossidazione di DHICA.(12) D’altro canto, la recente struttura cristallografica a raggi X di TRP-1 umano dimostra che questa non agisce come DHICA-ossidasi.(13,14) Inoltre, è stato dimostrato che sia TRP-1 e TRP-2 svolgono un ruolo cruciale nello stabilizzare e aumentare l’attività di TYR. La TYRP1 è importante anche per il corretto trasferimento della tirosinasi ai melanosomi,(15) mentre la DCT sembra essere coinvolta nei processi di detossificazione che avvengono nei melanosomi.(16)

Chimicamente l’eumelanina presenta solo tracce di zolfo rispetto alla feomelanina in cui il contenuto zolfo è più alto, fino al 10-12%, e ciò è dovuto all’incorporazione della cisteina nei melanociti. Questa caratteristica riflette una differenza fondamentale: le eumelanine sono polimeri composti da 5,6-diidrossiindolo e da unità di pirrolo carbossilato, mentre le feomelanine sono composte da unità di 1,4-benzotiazina contenenti azoto e zolfo.

La molecola di melanina presente nei melanociti è eterogenea non solo nei differenti individui, ma anche nelle diverse regioni del corpo dello stesso individuo.

In generale, la pigmentazione più scura è caratterizzata da melanosomi di maggiori dimensioni (0,5 a 0,8 mm di diametro), di forma ellissoidale, e con melanina densa (fase IV) che non tende all’aggregazione, mentre la pigmentazione più chiara è caratterizzata da melanosomi più piccoli (0,3-0,5 millimetri di diametro) e con melanina meno densa che tende a formare aggregati. (17)

(12)

8

Questa differenza nell’aspetto e nella distribuzione dei melanosomi è presente dalla nascita e non è influenzata da fattori ambientali esterni, come l'esposizione al sole.

Questa eterogeneità è fortemente regolata dall'espressione di geni che controllano l'attività e l'espressione di proteine dei melanosomi presenti nei melanociti. È stato dimostrato che i melanociti con un più basso contenuto di melanina sintetizzano la TYR molto più lentamente e la degradano molto più rapidamente dei melanociti con un alto contenuto di melanina e di tirosinasi. (18)

1.2.1 Regolamentazione melanogenesi.

La melanogenesi può essere regolata a tre diversi livelli: a livello di gene, a livello cellulare e a livello subcellulare. (19,20)

A partire dal secondo mese di vita embrionale, il melanoblasto, precursore del melanocita, appare nella cresta neurale da cui migra in tutto il mesenchima.

I melanociti raggiungono siti specifici: epidermide, derma, follicoli piliferi, tratto uveale dell'occhio, stria vascolare, organo vestibolare, sacco endolinfatico dell'orecchio, e leptomeningi. Questi schemi di migrazione dei melanociti, sono il primo livello nella regolazione della melanogenesi (Fig.3).

(13)

9

Figura 3: La migrazione dei melanociti dalla cresta neurale.

Nella fase I, i melanosomi appaiono come vacuoli sferici, privi di tirosinasi, il principale enzima coinvolto nella melanogenesi, e senza componenti strutturali interne. Successivamente, la melanogenesi è regolata dai melanosomi, in base alla loro dimensione, numero e densità. I melanosomi sono tipicamente suddivisi in quattro stadi maturativi (I-IV) caratterizzati da differenze nella struttura, quantità, qualità e distribuzione della melanina prodotta. (21)

I melanosomi sono assemblati nella regione perinucleare, vicina all’apparato di Golgi, dove essi ricevono tutte le proteine enzimatiche e strutturali necessarie alla melanogenesi.

Successivamente la formazione di PMELL7, proteina strutturale essenziale per i melanosomi, conduce allo stadio II, in cui vi è espressione della tirosinasi e un minimo deposito di melanina.

La fase III è lo stadio in cui si realizza la sintesi di melanina che viene uniformemente rilasciata nelle fibrille interne.

(14)

10

L'ultima fase (IV) è rappresentata dalla presenza di melanosomi di forma ellittica o ellissoidale, elettro-densi a causa della completa melanizzazione, e con ridotta attività tirosinasica.

Infine, l’espressione genica determinata da enzimi melanogenici (TYR, TRP-1 e TRP-2) controlla la melanogenesi a livello subcellulare.

1.3 FOTOBIOLOGIA DELLA MELANOGENESI

La radiazione solare influenza profondamente la colorazione della pelle umana. L’enorme mole di dati quantitativi relativi all’epidermide umana e di altri mammiferi sta a dimostrare che le differenze razziali del colorito cutaneo non sono causate dal numero e dalla distribuzione del melanociti, bensì da una variazione del contenuto, delle dimensioni e dall’aggregazione o meno di granuli di melanina in seno ai melanociti e alle cellule malpighiane dell’epidermide.

È chiaro che il corredo genetico in qualche modo determina la differente capacità di produrre melanina e che le variazioni che si possono notare a carico del colorito cutaneo sono dovute a differenze peculiari relative alla velocità secondo cui i granuli di melanina vengono sintetizzati dai melanociti e poi trasferiti alle cellule del Malpighi.

Il colorito della pelle caratteristico di ciascuna razza sembra sia determinato dal combinarsi degli effetti della melanina presente nei melanociti con quella contenuta nelle cellule dell’epidermide.

(15)

11 I meccanismi attraverso i quali si realizza l’iperpigmentazione della cute sono i seguenti:

1. aumento del numero di melanociti funzionanti dovuto a:

• proliferazione di melanociti da stimolo ultravioletto

• attivazione di melanociti DOPA-negativi in fase di silenzio funzionale, risvegliati dai raggi ultravioletti

2. melanociti numericamente invariati ma con aumentato

contenuto in granuli di melanina per:

• aumentata velocità di sintesi di premelanosomi e melanosomi

• aumentata richiesta di trasferimento di melanina da parte delle cellule epidermiche; questo meccanismo può indicare un incremento dei fenomeni mitotici a carico di tali cellule, oppure una loro aumentata esfoliazione, nonché ambedue i meccanismi congiunti

Vale la pena rammentare che nei mammiferi la pigmentazione melanica coinvolge la produzione di melanosomi da parte dei melanociti nonché il loro trasferimento nelle cellule dell’epidermide, per cui è stato suggerito di considerare questi due tipi cellulari come dotati di stretta collaborazione, tanto da rappresentare l’unità funzionale di pigmentazione cutanea.

Così l’esposizione della pelle ai raggi UV è in grado di stimolare la proliferazione delle cellule dello stato di Malpighi nonché l’arborizzazione delle ramificazioni dendritiche dei melanociti, di modo che la velocità con cui i dendriti vengono fagocitati dalle cellule epiteliali subisce un’accelerazione.

(16)

12

L’attività tirosinasica può venire aumentata secondo uno dei seguenti meccanismi:

• effetto diretto delle radiazioni sulla tirosinasi, e conseguente riduzione dei gruppi sulfidrilici epidermici inibenti la tirosinasi, grazie a processi ossidativi a carico di tali gruppi

• ossidazione della tirosina a DOPA per azione fotocatalitica dei raggi UV, e susseguente aumento della conversione della tirosina in dopa grazie alla piccola quantità di DOPA che si è formata

• neosintesi di molecole di tirosinasi.

Nell’organismo vivente la biosintesi degli enzimi è un processo continuo, e tutte le volte che si ha un aumento di cellule viventi si ottiene un corrispondente incremento del numero totale di molecole enzimatiche prodotte, che in questo caso sono molecole di tirosinasi. (22)

1.3.1 Comportamento della cute umana dopo irradiazione ultravioletta

L’aumento del pigmento melanico susseguente all’esposizione della pelle alla luce solare, o alla luce UV di fonti artificiali, è dovuto a due distinti processi foto biologici:

• scurimento immediato del pigmento: il pigmento, già presente nella cute, si scurisce

• pigmentazioe o melanizzazione primaria: si tratta di un processo che si distingue in tre fasi:

(17)

13

2. melanogenesi, e quindi neoformazione di pigmento 3. trasferimento dei melanosomi ai cheratinociti.

L’entità della melanogenesi secondaria all’esposizione della pelle umana ai raggi solari, varia in rapporto alla dose totale di radiazione ricevuta e all’entità del danno cellulare epidermico.

La dose radiante che provoca solo un lieve danno epidermico promuove il processo pigmentante in modo più efficace rispetto a dosi dotate di effetto nocivo elevato. Quando la cute è stata esposta a dosi radianti altamente dannose, tutti gli strati delle cellule epidermiche vengono interessati e ne consegue, a seconda dei casi, una discheratosi, una disorganizzazione epidermica e persino una desquamazione di melanociti.

In una cute così colpita, il contenuto in pigmento dei melanociti può aumentare dopo esposizione alle radiazioni, la melanogenesi può risultare scarsa e la pigmentazione può non essere visibile in modo apprezzabile.

La melanogenesi si verifica invece quando l’epidermide mostra solo focolai multipli di discheratosi, senza giungere a una disorganizzazione generale a carico dei vari strati cellulari.

La melanogenesi è preceduta da un’arborizzazione dendritica dei melanociti con ipertrofia degli stessi, e successiva formazione di nuovi premelanosomi e melanosomi. (23)

1.3.2 Funzione fotoprottetiva della melanina

La melanina ha una funzione protettiva contro l’azione nociva dei raggi ultravioletti. Sul nucleo dei cheratinociti forma infatti uno

(18)

14 schermo protettivo che fa da filtro, assorbendo e respingendo una gran parte delle radiazioni solari. In più, la melanina è in grado di neutralizzare la produzione di radicali liberi in risposta ai raggi ultravioletti, prevenendo così l'invecchiamento cutaneo e alcune malattie degenerative.

Il meccanismo attraverso il quale la melanina protegge dal danno della radiazione UV è certamente complesso e riguarda non solo l’assorbimento della radiazione, la sua attenuazione attraverso il fenomeno della diffusione e la dissipazione dell’energia assorbita sotto forma di calore, ma riguarda anche la natura di radicale libero stabile posseduta dalla melanina stessa.

La melanina agisce in alcuni organismi come polimero biologico di scambio di elettroni attraverso la sua capacità di ossidoriduzione e il suo stato di radicale libero, al fine di proteggere i tessuti contenenti melanina – o i tessuti a questi associati – contro le condizioni in grado di rilasciare tra le cellule viventi dei radicali liberi che potrebbero indurre un metabolismo distruttivo.

La luce, e specialmente la radiazione UV, produce maggiori quantità di radicali liberi reattivi nella pelle chiara che in quella pigmentata. Si suppone che la melanina svolga la sua azione protettiva nei confronti della cute umana attraverso i seguenti meccanismi:

• diffusione della luce: i granuli di melanina sono distribuiti sia nello stato corneo che negli strati vitali dell’epidermide, in quanto possono attenuare l’impatto sia della radiazione che quello diretto dei fotoni sui vari nuclei

• assorbimento dell’energia radiante e sua dissipazione sotto forma di calore: la melanina assorbe una quota significativa

(19)

15

dell’energia radiante incidente e, dissipandola sotto forma di calore, meno nocivo, protegge le cellule viventi della cute contro l’insulto radiante

• produzione di radicali liberi e attivazione dell’ossidazione: la localizzazione perinucleare della melanina nelle cellule dell’epidermide e il potenziale di ossidoriduzione che può operare nel polimero melanico, permette ai granuli di pigmento di assorbire l’energia radiante prima che possa raggiungere i nuclei vulnerabili delle cellule, proteggendo così le cellule vitali dall’inattivazione che conseguirebbe all’azione dei fotoni ad alta energia. (24)

1.3.3 Le turbe della pigmentazione cutanea

Le possibili alterazioni del colore della pelle si possono sostanzialmente suddividere in due grandi gruppi:

• le variazioni dovute ad una maggiore colorazione

(iperpigmentazione);

• le discromie legate ad una perdita di tonalità

(ipopigmentazione).

Le cause alla base delle alterazioni del colore della pelle possono essere di svariata origine e natura: alcune si possono ereditare, mentre altre si possono acquisire nel corso della vita.

L'iperpigmentazione della pelle può essere diffusa a tutta la superficie cutanea, interessare aree più o meno estese o addirittura essere circoscritta a singoli punti. In quest'ultimo caso si parla di iperpigmentazione focale: si tratta di un'alterazione cromatica della

(20)

16 pelle che coinvolge solo determinati e circoscritti punti della superficie cutanea.

Tipici esempi di questa tipologia d'iperpigmentazione sono dati da lentigo solari, lentigo senili, efelidi, lentiggini e nei. L'iperpigmentazione della pelle può interessare aree più o meno estese della superficie cutanea: si parla in questo caso di iperpgmentazione locale.

L'esempio tipico è quello del melasma, conosciuto anche come cloasma o maschera gravidica quando si manifesta nelle donne in gravidanza. Tale inestetismo, che interessa soprattutto il sesso femminile, è caratterizzato dalla comparsa di macchie iperpigmentate più o meno estese, localizzate a livello del viso.

Il problema tende ad accentuarsi con l'esposizione solare. Tuttavia, è doveroso precisare che il melasma non costituisce un disturbo della pigmentazione cutanea prettamente femminile, poiché può manifestarsi anche negli uomini.

Oltre agli squilibri ormonali, altri possibili fattori implicati nella comparsa del disturbo sono rappresentati da fattori genetici, stress, esposizione ai raggi UV, disturbi endocrini e assunzione di alcuni tipi di farmaci.

L'iperpigmentazione generalizzata invece, cioè estesa a tutta la superficie cutanea, è caratteristica di alcune patologie. Tra queste ricordiamo il morbo di Addison, una malattia a livello surrenale (ridotta produzione di corticosteridi), che aumenta la pigmentazione cutanea, fino a far assumere alla pelle un colorito bronzeo.

Similmente all'iperpigmentazione cutanea, anche l'ipopigmentazione della pelle può essere locale o generalizzata. La vitiligine è il classico

(21)

17 esempio di ipopigmentazione locale. Si tratta di una condizione piuttosto diffusa, che consiste nella progressiva depigmentazione di alcune aree cutanee come le mani, il volto e le zone intorno agli orifizi cutanei.

Invece analogamente a quanto avviene nell'iperpigmentazione generalizzata, anche nell'ipopigmentazione generalizzata le alterazioni del colore della pelle interessano l'intera superficie cutanea; tuttavia, in questo caso vi è la mancanza o la perdita di tonalità, quindi, la perdita del naturale colore della pelle. Gli esempi più noti di ipopigmentazione generalizzata sono l'albinismo e la fenilchetonuria. (25)

1.3.4 Melanogenesi e melanoma

Il melanoma è una malattia estremamente aggressiva con alta probabilità di generare metastasi e alta resistenza agli agenti citotossici. Questo sembra derivi dal fatto che i melanociti provengono da cellule altamente mobili che hanno potenziato le loro proprietà di sopravvivenza. Inoltre, le cellule di melanoma hanno bassi livelli di apoptosi spontanea in vivo rispetto ad altri tipi di cellule tumorali, e sono relativamente resistenti all'apoptosi indotta da farmaci in vitro. La straordinaria resistenza alla chemioterapia, alla radioterapia e all'immunoterapia rappresenta un importante ostacolo al trattamento terapeutico del melanoma. (26)

La funzione genoprotettiva della melanina sembra essere importante in relazione alle neoplasie cutanee, tra cui il melanoma maligno.

(22)

18 L'evidenza epidemiologica suggerisce che le razze nere mostrano un'incidenza molto bassa di neoplasie cutanee, compreso il melanoma. Le differenze razziali nell'incidenza sembrano essere associate al grado di pigmentazione della pelle e quindi alla melanogenesi. (27) Sembra che l'eumelanina sia più genoprotettiva della feomelanina; anche se non è chiaro il perché, ci sono prove che i prodotti di scissione della fotolisi della feomelanina possano essere più tossici di quella di eumelanina. (28)

Nel caso del melanoma, dove la malignità nasce dalle cellule melanogeniche è possibile che ci sia un elemento di deplezione dei tioli nella generazione di melanociti che li renderebbe più sensibili allo stress ossidativo indotto dalla luce.

Il passo iniziale e fondamentale nella melanogenesi è la generazione ossidativa di orochinoni. Gli orochinoni sono specie reattive con una grande propensione a legarsi covalentemente a proteine e acidi nucleici. Quindi, lo stesso processo di la melanogenesi rappresenta un pericolo biologico. (29)

Potrebbe sembrare perverso che i melanociti siano i precursori del melanoma, la forma più mortale di cancro della pelle. Mutazioni nei geni regolatori della crescita, produzione di fattori di crescita autocrini e la perdita dei recettori di adesione, contribuiscono tutti ad interrompere la segnalazione intracellulare nei melanociti, permettendo loro di sfuggire alla loro stretta regolamentazione da parte dei cheratinociti. Di conseguenza, i melanociti possono proliferare e diffondersi, portando alla formazione di un naevus.

La proliferazione dei melanociti può essere limitata all'epidermide (naevus giunzionale), al derma (naevus dermico) o la sovrapposizione

(23)

19 di entrambi (naevus composto). I naevus sono generalmente benigni, ma possono progredire fino al melanoma nella fase di crescita radiale (RGP). Le cellule RGP possono progredire poi verso la crescita verticale (VGP), una fase più pericolosa in cui le cellule hanno metastasi potenziale, con noduli o nidi di cellule che invadono il derma.

Non tutti i melanomi passano attraverso ciascuna di queste singole fasi, RGP o VGP, ma possono svilupparsi anche direttamente da melanociti isolati o naevi, e entrambi possono progredire direttamente nel melanoma maligno metastatico. (30)

Ci sono diverse terapie approvate per il melanoma maligno. L'interferone-α (IFN-α) è il più comunemente usato per il melanoma avanzato, anche se la sua efficacia è ancora oggetto di dibattito. Anche l'interleuchina-2 ad alte dosi (IL-2) è stata approvata, ma i tassi di risposta sono bassi e la sua tossicità rappresenta un problema. La dacarbazina (DTIC) è l'agente chemioterapico approvato come farmaco di riferimento per il trattamento del melanoma avanzato; farmaci come la carmustina (BiCNU), il paclitaxel (Taxolo), la temozolomide e il cisplatino hanno mostrato invece blanda attività nella malattia metastatica. (31)

Anche se molto spesso la neoplasia viene associata alla perdita di funzioni cellulari specializzate, sembra che nel melanoma, la tirosinasi e altri enzimi melanogenici, sembrano essere in genere sovraespressi. La rilevazione della tirosinasi nel sangue viene utilizzato, appunto, come marker diagnostico del melanoma. (32)

(24)

20 Il controllo della produzione di melanina rappresenta quindi un strategia terapeutica importante per il trattamento dei disordini correlati alla pigmentazione e per il controllo di forme tumorali.

In questa prospettiva, il presente lavoro di tesi è focalizzato sugli inibitori della melanogenesi che hanno come target, diretto-indiretto, l’enzima chiave, la tirosinasi, e le vie di segnale ad essa associate.

(25)

21

2. INIBITORI DELLA MELANOGENESI

.

Si stima che circa il 15% della popolazione mondiale investa denaro per lo sbiancamento della pelle. (33) A livello mondiale, entro il 2020, il mercato degli agenti sbiancanti dovrebbe raggiungere quasi 23 miliardi di dollari. (33) Il meccanismo comune per la maggior parte degli agenti sbiancanti disponibili sul mercato è l'inibizione o la riduzione della sintesi di melanina da parte di melanociti iperattivi. La melanina protegge la pelle umana dalla dannosa radiazione ultravioletta (UVR) e dallo stress proveniente da diverse fonti di inquinamento ambientale, (9) farmaci tossici e sostanze chimiche. Come descritto nella parte introduttiva, le melanine sono un gruppo di pigmenti naturali che provengono dall'epidermide, dove i melanociti sintetizzano la melanina attraverso la melanogenesi. (34,35) I melanociti derivano dai melanoblasti (1,2) e, nell'epidermide, ciascuno di essi è circondato da cheratinociti in un rapporto di circa 1:36. (3) Durante la melanogenesi, la melanina viene depositata all'interno dei melanociti nei melanosomi,(4,5) e trasportata, attraverso i dendriti, ai cheratinociti. (6,36)

Sebbene la melanina sia fondamentale per la protezione della pelle, è la produzione anomala di melanina che porta a problemi dermatologici acuti come il melasma, (37-38) il melanoderma postinfiammatorio, (39) le lentiggini solari, le lentiggini, le cicatrici pigmentate da acne e le macchie senili. L'esposizione continua a raggi UV può portare un aumento del rischio di danni cutanei e cancro. Inoltre, alcuni studi hanno evidenziato un possibile collegamento tra

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22 molti disturbi della melanogenesi e malattie neurodegenerative tra cui il Parkinson, l'Alzheimer e la malattia di Huntington. (40-41)

Nella presente tesi, vengono discusse le ricerche più recenti riguardanti gli inibitori della tirosinasi che bersagliano, direttamente o indirettamente, la sua attività catalitica, e gli inibitori delle vie di segnale della melanogenesi.

2.1 STRUTTURA E FUNZIONE DELLA TIROSINASI

2.1.1 Struttura generale e funzione della tirosinasi

La tirosinasi (EC 1.14.18.1), un'ossidasi dicuprica, è un metallo-enzima di tipo 3 contenente rame, ed è ampiamente distribuito in batteri, funghi, insetti, piante e animali, compreso l'uomo, dove è implicato nella produzione di pigmenti di melanina. È una glicoproteina ed è prodotta esclusivamente da cellule di melanociti. Dopo la sintesi e la successiva glicosilazione, le TYR sono ulteriormente maturate e trasferite ai melanosomi, dove avviene la sintesi della melanina. (42) L’espressione di TYR è regolata anche da due sistemi di degradazione, il sistema proteasomale e quello endosomiale/lisosomiale, deputati alla proteolisi di proteine misfolded o unfolded durante il processo di maturazione.

Dopo la prima struttura ai raggi X della tirosina descritta nel 2006, sono state riportate altre nuove strutture cristalline che hanno chiarito il legame del substrato, gli amminoacidi importanti nel sito attivo e l'interazione tra inibitori ed enzimi. In generale, la struttura della

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23 tirosinasi può essere schematizzata in tre domini, il dominio centrale, il dominio N-terminale e il dominio C-terminale (Fig. 4).(43)

Figura 4.Struttura cristallografica della tirosinasi di Agaricus bisporus.

Rappresentazione dei domini N e C terminale evidenziati rispettivamente in rosa e blu. In arancione il centro catalitico costituito da due ioni di rame.

Tra le diverse specie, il dominio centrale risulta il dominio maggiormente conservato e comprende sei residui di istidina e due ioni rameici (CuA e CuB).

Studi approfonditi sulle strutture cristalline delle tirosinasi di diverse specie, che includono i batteri Bacillus megaterium, Streptomyces castaneoglobisporus, i funghi Aspegilus oryzae, Agaricus bisporus e la pianta Juglans regia, hanno mostrato quali sono i residui coinvolti nel meccanismo catalitico. Nel sito attivo vi è un legame tioetereo tra la cisteina e i residui di istidina e l'istidina coordina uno degli ioni rameici per il meccanismo catalitico; il legame tioetereo ha la funzione di stabilizzare il residuo di istidina nel sito di legame. Nel

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24 dominio N-terminale, un peptide di transito regola il posizionamento finale dell'enzima e subisce una scissione proteolitica.(44,45) Nelle tirosinasi umane e fungine questo peptide sembra essere coinvolto nel trasferimento del melanosoma, mentre nelle piante regola il cloroplasto, sebbene sia assente nella tirosinasi fungina. Un precursore latente della tirosinasi, noto come protirosinasi, consiste nei domini centrale e C-terminale, che bloccano l'ingresso al sito attivo attraverso un residuo "segnaposto". Questo residuo penetra nel sito attivo in modo simile al substrato o ad un inibitore.

2.1.2. Ciclo catalitico della tirosina.

Il sito attivo della tirosinasi è altamente conservato con due ioni rameici (CuA e CuB) complessati con sei residui di istidina.(46) Il meccanismo catalitico della tirosinasi coinvolge tre stati diversi, ovvero ossi-, met- e deossi-tirosinasi, che differiscono nello stato di ossidazione degli ioni rameici (Fig. 5).

(29)

25

Figura 5. Cicli catalitici della tirosinasi monofenolasi e difenolasi. Tre tipi di tirosinasi Eossi, Emet e Edeossi. La forma della sfera rappresenta ioni di rame con diversi stati di ossidazione.

Nell'attività mono-fenolasica (ossidazione di L-tirosina a L-DOPA), la deossitirosinasi (Edeossi) si lega all'ossigeno e forma ossi-tirosinasi (Eossi), quindi L-tirosina, che è ulteriormente catalizzata a L-DOPA. In questo processo, l'enzima viene infine riciclato come Edeossi per un ulteriore legame con l'ossigeno. Nell'attività difenolasica (ossidazione di L-DOPA a DQ), la rigenerazione dell'ossitirosinasi stacca solo un atomo di ossigeno per formare met-tirosinasi (Emet), dove i due centri rameici vicini (dCU-CU~2.9-4.9 Å) sono collegati da una molecola di acqua (ossidrile). La tirosinasi si trova soprattutto nella forma Emet, in cui non può ossidare i fenoli, come la tirosina, e deve essere ridotta a

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26 Edeossi dalla L-DOPA prima di iniziare l'ossidazione della tirosina. Questo spiega la più alta affinità di Emet per la L-DOPA rispetto alle altre forme; quindi, Emet è considerato un target importante per la scoperta di inibitori della tirosinasi.(47) Dopo aver catalizzato la L-DOPA, Emet perde l'atomo di ossigeno per rigenerare la forma Edeossi. L'ossidazione catecolica si basa su un meccanismo ossidativo fenolico che si traduce in una riduzione del rame a Cu° e nella disattivazione della tirosinasi.(48-51)

2.2. IMPORTANZA DELLA TIROSINASI COME TARGET

La tirosinasi è importante nel processo di omeostasi ossidativa e protegge la pelle umana dalle radiazioni ionizzanti. Studi recenti hanno confermato che la tirosinasi è coinvolta nella sintesi della melanina non solo dei tessuti periferici, ma anche nella substantia nigra (SN) di topi e umani, avendo un ruolo importate nello sviluppo della neuromelanina cerebrale. Un'eccessiva formazione di dopachinone provoca danni neuronali e morte cellulare. Evidenze sperimentali hanno correlato la tirosinasi a disturbi neurodegenerativi tra cui il morbo di Parkinson e di Huntington.(40-41)

Inoltre, la tirosinasi è un target in sviluppo nell'industria alimentare, poiché gli inibitori della tirosinasi vengono impiegati per evitare l'imbrunimento enzimatico di frutta e verdura.

Nelle piante, nelle spugne e in molti altri invertebrati, le tirosinasi sono essenziali per la guarigione delle ferite e nelle risposte immunitarie primarie. Inoltre, svolgono un ruolo nella

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27 sclerotizzazione in artropodi e batteri e proteggono il DNA dai danni UV. (50,52-54) Infine, sulla base della capacità di ossidare molecole fenoliche, tra cui la tirosina in peptidi e proteine, le applicazioni della tirosinasi sono state estese alle biotecnologie (biorimedi, produzione di coloranti e cross-linking di biopolimeri).

Poiché la TYR catalizza le fasi che limitano la velocità della melanogenesi nel suo complesso, questo enzima è stato riconosciuto come bersaglio terapeutico cruciale per il controllo della sintesi anomala di melanina. Sono stati riportati molti approcci per controllare la melanogenesi, che hanno come target la tirosinasi, e questi includono la modulazione dell'espressione, della maturazione, della degradazione della TYR, nonchè l'inibizione diretta della sua attività catalitica.

I cosmetici più comuni e gli agenti sbiancanti per la pelle disponibili in commercio sono inibitori dell'enzima tirosinasi. Questi hanno come target la tirosinasi e, probabilmente, inibiscono la melanogenesi senza alcun effetto collaterale. Sebbene finora sia stato identificato un numero elevato di inibitori della tirosinasi, solo pochi di loro hanno ottenuto applicazioni cliniche come agenti sbiancanti per la pelle a causa di problemi di sicurezza e a causa dei deboli effetti sbiancanti. Gli agenti sbiancanti della pelle includono l'acido azelaico, (55,56) il magnesio L-ascorbil-2-fosfato, i fenoli, (57) l’idrossianisolo, i corticosteroidi, (58) l’N-acetil-4-S-cisteamminilfenolo, i resinoidi arbutina (idrochinone-ß-D-glucopiranoside), (59,60) l’acido salicilidrossammico, l’acido kojico, (61-63), l’idrochinone (HQ), (64-67) il monobenzilidrochinone, la tretinoina e i sali di mercurio e sono comunemente usati nell'industria cosmetica. Sono raccomandati in

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28 tutto il mondo, anche se associati ad alcuni inconvenienti ed effetti collaterali. L'HQ è tossico per le cellule dei mammiferi ed è associato a una serie di effetti collaterali che includono dermatite da contatto, irritazione, bruciore, ipocromia, ocronosi e macchie sulle unghie. (68-71)

Il regolamento cosmetico dell’Unione Europea vieta l'uso di corticosteroidi, HQ, monobenzil-idrochinone, tretinoina e sali di mercurio come agenti sbiancanti. L'uso dell'acido kojico è stato limitato a causa dei suoi problemi di cancerogenicità e instabilità. L'acido L-ascorbico si degrada facilmente (72) e la biodisponibilità dell'acido ellagico è scarsa.(73) Per quanto riguarda l'acido tranexamico, deve ancora essere identificato l'esatto target molecolare. (74) Nei saggi in vitro, un gran numero di inibitori che avevano come target la tirosinasi sono risultati efficaci, ma solo alcuni di essi hanno mantenuto gli stessi effetti negli studi clinici. Proprio per questo, vi è stata una crescente necessità di nuovi inibitori della tirosinasi con proprietà drug-like.

2.3. INIBITORI DELLA TIROSINASI

In molti casi, la tirosinasi fungina (mTYR) di Agaricus bisporus è stata utilizzata come modello di hTYR per lo screening degli inibitori della TYR, in quanto mTYR è disponibile in commercio in forma purificata.(75,76) Per lo screening, l'acido kojico, l'HQ e l'arbutina sono utilizzati come standard di riferimento. Per identificare l'attività

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29 della monofenolasi e della difenolasi sono state utilizzate la L-tirosina e la L-DOPA.

In generale, gli inibitori della tirosinasi possono essere classificati in quattro categorie: di tipo competitivo, non competitivo, incompetitivo e misto. (77-81). Un inibitore competitivo si lega all'enzima libero e impedisce il legame del substrato, mentre l'inibitore incompetitivo si lega al complesso enzima-substrato. L'inibitore di tipo misto si lega sia all'enzima libero che al complesso enzima-substrato, mentre l'inibitore non competitivo si lega all’enzima libero e al complesso enzima-substrato con la stessa costante di equilibrio.

La forza di inibizione viene espressa come valore di IC50. Il valore di Ki specifica l'affinità di legame tra il ligando e l'enzima: se il valore di Ki è inferiore, significa che l'affinità di legame è più alta; se il valore di Ki è più alto, vuol dire che l'affinità di legame è più bassa. Per gli inibitori non competitivi, la Ki ha lo stesso valore numerico dell'IC50, mentre per gli inibitori competitivi, la Ki è dimezzata rispetto ai valori numerici di IC50.

Le cellule di melanoma B16 sono spesso utilizzate come modello in vitro, in quanto posseggono un meccanismo di melanogenesi simile a quello dei normali melanociti umani.

2.3.1. Derivati e analoghi del resveratrolo.

Il resveratrolo (trans-3,4',5-triidrossistilbene, 1, Fig.6) è uno stilbenoide naturale presente nelle bucce dell'uva e in particolare nel vino.(82) Questo inibisce l'attività della tirosinasi attraverso un meccanismo di tipo substrato-suicida (Kcat). (83)

(34)

30

Figura 6. Strutture chimiche di derivati del resveratrolo e analoghi

Nelle cellule B16, 1 inibisce la sintesi di melanina stimolata da α-MSH attraverso la riduzione dell'espressione di TYR, TRP-1, TRP-2 e

(35)

31 MITF,(84) senza causare alcun effetto citotossico fino alla concentrazione di 200 µM.

In uno studio in vivo in cui il resveratrolo viene utilizzato per trattare la pelle dorsale di cavie irradiata con raggi UVB, l'iperpigmentazione si riduce visivamente.

Tuttavia, quando il farmaco è stato somministrato per via orale, ha mostrato una bassa biodisponibilità in vivo. Rigon e collaboratori hanno preparato nanoparticelle lipidiche solide di resveratrolo (SLN, diametro <200 nm) che includono acido stearico, polossamero 407, fosfatidilcolina di soia (SPC), in fase acquosa e resveratrolo allo 0,1%.(85) Queste SLN sono state valutate mediante saggi di permeazione cutanea, per il loro rilascio cutaneo e la loro attività biologica, in vitro, impiegando la pelle di orecchio di maiale o umano. I risultati hanno evidenziato un'efficace permeazione cutanea di 1. Soprattutto quando è stato aggiunto SPC in una formulazione topica, la permeazione cutanea di resveratrolo ha raggiunto il 45% dopo 24 ore. Inoltre, gli SLN hanno mostrato un'elevata attività inibitoria nei confronti della tirosinasi rispetto alla soluzione di resveratrolo a due concentrazioni, 5,0 e 10,0 µg/ml, indicando che le nanoparticelle lipidiche solide caricate con resveratrolo potenziano la sua attività inibitoria della melanogenesi.

Nuovi composti isolati da estratti di legno di Morus alba (MAM) hanno mostrato la capacità di diminuire in modo sostanziale l'attività della tirosinasi intracellulare e il contenuto di melanina in cellule B16.(86)

Alcuni esempi di composti potenti (2-5) sono mostrati in Fig. 6. Tra questi, il 2,4,3'-triidrossidiidrostilbene (4) e il diidrossiresveratrolo (5)

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32 sono stati scoperti quali nuovi potenti inibitori della tirosinasi (4, IC50 = 0,8 µM: 5, IC50 = 0,3 µM) privi di citotossicità. In uno studio in vivo sull'embriogenesi della zebra, gli inibitori 4 e 5 sono risultati capaci di sopprimere la melanogenesi in modo significativo.

Sono stati fatti molti sforzi, da biologi e chimici, al fine di migliorare l'attività anti-tirosinasi di 1. Fenco e collaboratori hanno descritto lo studio delle relazioni struttura-attività (SAR) di 1, mediante lo sviluppo di composti in cui il gruppo -CH è stato sostituito con azoto per produrre basi di Schiff.(87) I risultati hanno evidenziato tale modifica incrementa l'attività inibitoria della tirosinasi. Composti con sostituzioni 4-metossi (6), 4-idrossi (7) e 2-idrossi (8) sono quelli con una maggiore attività inibitoria; in particolare, la potenza inibitoria è incrementata dalla presenza di un gruppo ossidrile in posizione para (7).

Bae e coll. hanno valutato una serie di derivati dell’aza-resveratrolo come agenti antitirosinasi (Fig. 6).(88) Gli analoghi portanti un residuo 4-metossi e 4-idrossi-anilinico (9-11) erano potenti inibitori di mTYR. Tra questi, il (E)-4-((4-idrossifenilimmino)metil)benzene-1,2-diolo (11) è risultato il più potente (IC50 = 17,22 µM) con un'inibizione non competitiva di mTYR, e più potente dell'acido kojico (IC50 = 51,11 µM). In un altro studio, sono stati scoperti una serie di derivati del (E)-2-((fenil-sostituito)diazenil)fenil-4-metilbenzensolfonato e del (E)-2-((fenil-sostituito)diazenil)fenolo (12-14, Fig. 6), capaci di inibire efficacemente la tirosinasi in modo dose-dipendente. In particolare, il (E)-2((2,4-diidrossifenil)diazenil)fenil-4-metilbenzensolfonato (13) è stato identificato come potente inibitore della tirosinasi (IC50 = 17,85 µM), con un meccanismo di inibizione

(37)

33 competitivo. Inoltre, nelle cellule murine di melanoma B16F10, 13 è risultatao capace di inibire l'attività della tirosinasi cellulare e la formazione di melanina. Gli aza-resveratroli mostrano una potente attività inibitoria nei confronti di mTYR.(89) Ad esempio, i composti 15 e 16, in relazione all'acido kojico (IC50 = 51,11 µM), hanno mostrato un'elevata attività inibitoria, rispettivamente del 56,25% (IC50 = 50,20 µM) e del 72,75% (IC50 = 36,28 µM) a 50 µM. I risultati mostrano come l'aza-resveratrolo con un elevato valore di log P potrebbe essere migliore, rispetto al resveratrolo, per l’identificazione di efficaci agenti sbiancanti della pelle.

2.3.2. Peptidi o peptidomimetici.

Recentemente, i peptidi sono emersi come efficaci agenti cosmetici in quanto sono stati studiati, come potenti inibitori della tirosinasi, diversi peptidi inclusi dipeptidi,(90) peptidi ciclici (91) oligopeptidi (92) e peptidi dell'acido kojico.(93) In particolare, è stata confermata la promettente attività inibitoria della tirosinasi degli oligopeptidi. Ad esempio, un ottapeptide P3 (Arg-Ala-Asp-Ser-Arg-Ala-Asp-Cys) e un decapeptide P4 (Tyr-Arg-Ser-Arg-Lys-Tyr-Ser-Ser-Trp-Tyr) sono risultati potenti inibitori di mTYR e della tirosinasi umana (hTYR), senza indurre citotossicità dei melanociti (94). Il promettente studio clinico di un decapeptide P4 (chiamato anche decapeptide-12) ha portato alla sua commercializzazione, come componente chiave attivo, in un prodotto sbiancante per la pelle.(95) Questo ha stimolato gli scienziati alla ricerca di nuovi e potenti inibitori della tirosinasi privi di citotossicità nei riguardi dei melanociti. L'acido kojico è un

(38)

34 importante agente antimelanogenico, sebbene il suo utilizzo sia stato limitato a causa della sua cancerogenicità e di problemi di stabilità che ne limitano la conservazione.(96,97)

Queste limitazioni hanno portato gli scienziati a sintetizzare e valutare peptidi attivi dell'acido kojico.

Li e coll. hanno studiato una serie di coniugati dell’idrossipiridinone-L-fenilalanina (17 e 18, Fig. 7) che mostrano potenze moderate rispetto all'acido kojico (IC50 = 26,8 e 20 µM, rispettivamente per l’attività monofenolasica e difenolasica) nell'inibire la tirosinasi (98). Studi di relazioni struttura-attività (SAR) hanno rivelato che la lunghezza della catena alchilica è un fattore determinante per l'attività anti-tirosinasi. Ad esempio, il composto 18 con catena esilica risulta meno potente del composto 17 con catena ottilica (vedi valori di IC50 per 17 e 18 in Figura 7).

(39)

35 Ulteriori studi hanno dimostrato che questi coniugati erano inibitori di tipo misto. In un altro studio, Zhao e coll. hanno riportato i coniugati di idrossipiridinone-L-amminoacidi quali inibitori di mTYR (99). Tra questi, due composti inibivano in modo significativo l'attività monofenolasica (19, IC50 = 1,95 µM; 20, IC50 = 2,79 µM, Fig. 7) e difenolasica (19, IC50 = 8,97 µM; 20, IC50 = 26,20 µM) delle tirosinasi con inibizione reversibile e di tipo misto.

2.3.3. Derivati bifenilici.

È noto che i composti fenolici sono buoni inibitori della tirosinasi; alcuni composti bifenolici che sono risultati inibitori della tirosinasi includono: il 4,4'-diidrossibifenile (21, IC50 = 1,91 µM), il fortuneanoside E (22, IC50 = 140 µM), e il honokiol (23, IC50 = 67,9 µM) (Fig. 8).(100,101)

(40)

36

Figura 8. Derivati dal bifenile, inibitori della tirosinasi.

Sulla base dell'attività biologica dei composti bifenilici, recentemente sono stati descritti nuovi derivati (24-26, Fig. 8).(102)

I risultati hanno mostrato che i composti con sostituenti elettron-donatori (metossi e ammino, composti 24 e 25) e con il nucleo piridinico (composto 26) inibivano la tirosinasi a una concentrazione

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37 di 250 ug/ml. È stato inoltre riscontrato che i composti 24-26 inibivano la tirosinasi, rispettivamente al 57,33%, 58,90% e 60,34%, ed i valori risultavano quasi simili a quelli dell'acido kojico standard (57,22%) (102).

Sono stati inoltre identificati dei derivati bifenilici tiazolino-sostituiti, come i potenti inibitori 27-29 riportati in Fig. 8.(103). Gli studi SAR hanno suggerito che il nucleo bifenilico e la tiazolidina risultano effettivamente coinvolti nell'attività inibitoria della tirosinasi. Inoltre, la posizione dei sostituenti influenza la potenza inibitoria. Ad esempio, il composto 28 con un gruppo ossidrilico e l'anello tiazolidinico è un inibitore molto più potente (IC50 = 0,61 µM) dell’acido kojico di riferimento (IC50 = 6,04 µM).(96) Studi di

molecular modeling hanno consentito di ipotizzare la modalità di legame del composto 28 all’enzima (Fig. 9).

Figura 9. Posa di legame putativo di 28 nella tirosinasi di Agaricus bisporus in

forma desossi. Il ligando cocristallizzato tropolone (color arancione) e 28 (colore verde) sono rappresentati come modello sfera.

(42)

38 I risultati suggeriscono che i due anelli benzenici centrali degli inibitori si trovano in parallelo con la superficie dell'enzima, mentre uno dei due nuclei tiazolinici terminali portanti sostituenti benzenici si inserisce in una tasca formata da residui di Asn81, Cys83, His85, Glu322 e Thr324.

Entrambi i gruppi ossidrilici in posizione orto del composto 28 interagiscono tramite legame a idrogeno con gli atomi di ossigeno rispettivamente dei due residui cioè, rispettivamente, Gly281 e Glu322.

Oyama e coll. hanno indicato l'acido fenilbenzoico (PBA) come uno scaffold versatile per l’ottenimento di inibitori della tirosinasi. In effetti, derivati di PBA risultano potenti inibitori di mTYR (Fig. 8, 30-33) (104)., in particolar modo l'acido 3-fenibenzoico (3-PBA, 32), che risulta molto più attivo degli altri tre isomeri, 4-PBA (33), 2-PBA (31) e BA (30). I derivati di PBA producono inibizioni di tipo non competitivo e misto, rispettivamente per le attività monofenolasica e difenolasica.

Il composto 32 ha un effetto inibitorio (IC50 = 6.97 e 36.32 µM utilizzando rispettivamente L-tirosina e L-DOPA come substrato) circa 10 e 20 volte superiore a quello di 33 (IC50 = 63.24 e 216.05 µM) e di 30 (IC50 = 224,5 e 822,11 µM). Tuttavia, 31 ha mostrato un'attività tirosinasica trascurabile (IC50 > 1000 µM). Le SAR suggeriscono che la posizione meta dell'anello fenilico e dell'acido carbossilico sul benzene (3-PBA) produce il più alto effetto inibitorio su mTYR. Gli studi di docking hanno confermato l'importanza dell'acido carbossilico in posizione meta sul 3-PBA per la forte interazione di binding attraverso la coordinazione agli ioni rameici del

(43)

39 sito attivo. L'importanza dell'acido carbossilico è stata dimostrata valutando il suo analogo estereo, che risulta inattivo verso mTYR. Lo stesso gruppo di ricerca ha poi ampliato le SAR studiando isomeri di PBA 4'-idrossilati e 4'-metossilati (composti 34-36, Fig. 8).(105) L'attività inibitoria di 3-PBA, nei confronti di mTYR, viene leggermente ridotta dalla 4'-idrossilazione (35, IC50 = 5,0 e 10,59 µM) e ulteriormente ridotta dalla 4'-metossilazione (IC50 = 8,0 e 15,30 µM). È invece sorprendente come la 4'-idrossilazione (34, IC50 = 4,0 e 100,18 µM) risulta cruciale vitale per l'attività inibitoria rispetto alla metossilazione del 2-PBA. Analogamente, la 4'-idrossilazione del 4-PBA (36, IC50 = 6.0 e 14.70 µM) determina un aumento dell'attività inibitoria di mTYR.

2.3.4. Derivati indolici

Ferro e collaboratori hanno studiato derivati indolici quali inibitori dell'attività difenolasica di mTYR, utilizzando L-DOPA come substrato, ed i risultati sono stati valutati usando l'acido kojico come standard (IC50 = 17,76 µM).(106) I composti potenti 37-39 sono riportati in Fig. 10. Le SAR indicano che la porzione 4-fluorobenzilica in posizione N1 dell'indolo influenza positivamente l'attività inibitoria della tirosinasi, mentre il gruppo dichetonico non sembra essere cruciale. La cinetica dell'inibizione suggerisce che i composti 37 e 38 sono inibitori di tipo misto e probabilmente si legano sia all'enzima libero che al complesso enzima-substrato.

(44)

40

Figura 10.Derivati dell’indolo, inibitori della tirosinasi.

In seguito, lo stesso gruppo di ricerca ha investigato il 3-(4-benzilpiperidin-1-il)-1-(1H-indol-3-il)propan-1-one quale potenziale candidato per l'inibizione di mTYR (IC50 = 252 µM, Figura 10). Gli studi SAR sul composto 40 hanno portato al composto 41 (Fig.10), l’inibitore più potente tra quelli studiati in questa ricerca.(rif.Art.principale) È stato eseguito uno studio di docking di 40 con mTYR (Fig.11), utilizzando la struttura a raggi X (codice PDB 2Y9X) dell’enzima risolta con il potente inibitore tropolone, nel complesso tetramerico H2L2.(rif.Art.principale) L'orientamento dell’inibitore 41 risulta sovrapponibile a quello dell'inibitore tropolone.(rif.Art.principale) La funzione (4-fluorobenzil)piperidinica

(45)

41 del composto 41 si estende all'esterno della cavità formando interazioni con His263 (interazione π-π), His244 (interazione catione-π) e Val283 (interazione di van der Waals). Inoltre, il nucleo indolico del composto 41 occupa una posizione vicino l'ingresso della cavità, formata dagli ioni catalitici di rame.

Figura 11. Posa ancorata di 41 nella tasca legante della tirosinasi ottenuta da

Agaricus bisporus in forma desossi (codice PDB 2Y9X). (A) Il composto. 41 (colore arancione) mostrato nel modello di bastone nella tasca di legame della tirosinasi rappresentata nel modello di superficie. (B) Gli aminoacidi importanti nelle tasche leganti sono rappresentate nel modello di bastone (bianco) e gli ioni di rame dalle sfere (blu).

2.3.5. Derivati della tiourea e del tiosemicarbazone.

La feniltiourea (PTU, 42, Fig. 12) è un importante inibitore della tirosinasi e la sua modalità di inibizione si basa sulla chelazione dell'atomo di zolfo con gli ioni rameici del sito attivo.(rif.Art.principale) Jung e colleghi hanno studiato un'ampia varietà di derivati della PTU come inibitori della tirosinasi; alcuni esempi, 43-45 sono riportati in figura 10. (107,108)

(46)

42

Figura 12. Derivati dalla tiourea, inibitori della tirosinasi.

Gli studi SAR hanno consentito di identificare i requisiti strutturali necessari per l'attività inibitoria della tirosinasi: (i) l'atomo di zolfo è

(47)

43 risultato necessario per la chelazione; (ii) è necessario un link diretto tra unità π-planari e la tiourea; (iii) un sostituente idrofobo sull'anello arilico in posizione para o meta (43 e 44) risulta tollerato, mentre la sostituzione in posizione orto e la sostituzione del gruppo amminico in 3- (45) con qualsiasi sostituente abolisce l'attività. Questo ha suggerito che un fenile sostituito sul C2 o la sostituzione del gruppo amminico in 3 potrebbero impedire la formazione del complesso della tiourea con gli ioni rameici, nel sito di legame della tirosinasi.

Il riesame di farmaci esistenti è un approccio intelligente nel programma di sviluppo di nuovi farmaci, poiché presenta numerosi vantaggi, che includono il risparmio di tempo, la disponibilità di farmaci, la riduzione dei costi, la sicurezza/tollerabilità. Choi e coll. hanno esaminato una libreria di farmaci che conteneva scaffold simili alla PTU ed hanno identificato l'etionammide (46, Fig 12) e suoi analoghi (47-49, Fig. 12), inclusa la protionammide (47), quali inibitori della tirosinasi.(109-111) I composti 46 e 47 sono farmaci antitubercolari, ed il composto 47 è stato testato per il trattamento della lebbra. Invece, l'isoniazide (49), un farmaco antitubercolare di prima scelta, ha mostrato un'attività di inibizione della tirosinasi molto debole. Questo ha dimostrato che la funzione tiocarbammidica era fondamentale per l'interazione con gli ioni rameici nel sito attivo della tirosinasi. D'altra parte, la piridina-2-carbotioammide (48) e la tiobenzammide (50) riducevano in modo significativo la produzione di melanina nelle cellule B16, rispettivamente del 44% e 37%.

In un altro studio, farmaci antitiroidei come il metimazolo 51 (rif.Art.principale), il carbimazolo 52 , il tiouracile 53, il metiltiouracile 54, e il propiltiouracile 55 (Fig. 12) sono stati descritti

(48)

44 come inibitori di mTYR (rif.Art.principale). Dalle SAR, si è concluso che la funzione tioureica risulta cruciale per l'attività inibitoria; questi composti hanno mostrato un modo d'azione non competitivo.

Questi risultati sono stati supportati da un altro studio in cui analoghi della feniltiourea N-aril-N'-sostituiti sono stati valutati per la loro attività inibitoria difenolasica di mTYR (56-60, Fig. 12).(rif.Art.principale) Studi SAR hanno rivelato che la presenza del residuo acido 2-(1,3,4-tiadiazol-2-il)tioacetico portava ad un incremento dell'attività inibitoria.

In generale, tiosemicarbazoni e PTU condividono un meccanismo simile di inibizione, poiché entrambi possiedono una funzione tioureica, che è responsabile della chelazione degli ioni rameici nel sito attivo della tirosinasi. Recentemente, è stato descritto un gran numero di tiosemicarbazoni quali potenti inibitori della tirosinasi.(rif.Art.principale) You e coll. hanno riportato l'attività inibitoria di mTYR da parte di derivati tiosemicarbazonici di 4- o 3-amminoacetofenoni.(112) È stato riscontrato che, rispetto all'acido kojico (IC50 = 28,5 µM), i composti acilamminici 61-63 (Fig. 13) mostrano una potente inibizione della tirosinasi (112). Nello specifico, il composto 63 risulta il composto più potente (IC50 = 0,291 µM). In un altro studio, sono stati riportati una serie di nuovi analoghi di 4-alcossi- e 4-acilossi-feniletilenetiosemicarbazone.(rif.Art.principale) I risultati indicano che sia il 4-alcossi che il 4-acilossi-feniletilenetiosemicarbazone inibiscono in modo significativo l'attività della tirosinasi, con valori di IC50 inferiori a 1,0 µM (64-66, Fig. 13). Le SAR indicano che la funzione tiosemicarbazonica è essenziale per l'attività inibitoria.

(49)

45

Figura 13. Derivati del tiosemicarbazone e dell’acido idrossicinnamico, inibitori della tirosinasi.

2.3.6. Derivati dell'acido idrossicinnamico.

L'acido caffeico (CA, 67, Fig. 13) è un acido fenolico comune, presente in verdura, frutta, cereali e semi. Ha molte proprietà mediche che includono l'attività antiossidante, antitumorale, antiinfiammatoria, antimicrobica e antidiabetica.

Gli antiossidanti svolgono un ruolo importante nel ridurre gli effetti dell'invecchiamento, e, quindi, nella progettazione di un agente sbiancante, la proprietà antiossidante è altamente presa in considerazione.

Kwak e coll. (113) hanno identificato il composto 67 come potente antiossidante per inibizione della tirosinasi. In un altro studio, gli stessi Autori (114) hanno studiato, come agenti sbiancanti, gli acidi

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46 caffeoil-amminoacidil-idrossammici 68 e 69, valutando le loro attività anti-tirosinasi e antiossidante. I risultati hanno indicato che l'acido caffeoil-prolil-idrossammico 68 (Fig. 13) e l'acido caffeoil-fenilalanil-idrossammico 69 (Fig.13) mostrano buone attività antiossidanti e anti-tirosinasi. In particolare, il composto 69 ha una buona attività di inibizione della tirosinasi, con un valore IC50 di 4,9 µM.

La permeazione cutanea degli ingredienti cosmetici è un criterio importante per ottenere il beneficio terapeutico desiderato. Lo strato corneo della pelle si comporta come una barriera, che spesso limita l'ingresso di alcuni ingredienti cosmetici o di materiali estranei. È stato riportato che parametri fisico-chimici, inclusi il peso molecolare e il bilancio lipofilo/idrofilo alterano la permeabilità dei composti, presenti in una formulazione cosmetica, attraverso la pelle.(rif.Art.principale) Recentemente Zilius e colleghi hanno effettuato studi di permeazione in vitro del composto 67, insieme ad altri agenti, impiegando cellule di diffusione di tipo Bronaugh. Tuttavia, i risultati non hanno evidenziato tracce di 67, anche dopo 24 ore di esposizione del gel alle cellule della pelle. L'acido clorogenico (70, Fig. 13) è un derivato naturale dell'acido idrossicinnamico ed è ampiamente presente nel caffè, in pere e mele. Diverse pubblicazioni hanno riportato le attività antiinfiammatorie, antidiabetiche, antivirali e antiossidanti di questo composto. Pochissimi studi hanno riportato le proprietà antitirosinasi dell'acido clorogenico (rif.Art.principale). Il composto 70, a 500 µM, è risultato capace di sopprimere, nelle cellule B16, il contenuto di melanina, inibendo l'attività della tirosinasi intracellulare.

(51)

47 2.3.7. Calconi e analoghi del Flavanone

I calconi sono i prodotti naturali più comuni e sono ampiamente distribuiti in frutta, verdura, spezie, tè, prodotti alimentari a base di soia. Mostrano un'ampia varietà di attività biologiche inclusa una potente attività antitirosinasi.

I calconi naturali 71-74 (Fig. 14), isolati da Morus australis, sono risultati potenti inibitori (71-74).(rif.Art.principale) In particolare, il composto 71 ha mostrato una potenza 700 volte superiore rispetto all'arbutina. Le SAR hanno indicato che il resorcinolo sia nell'anello A che nell'anello B risulta importante per l’attività.

Recentemente sono stati studiati gli azacalconi quali inibitori della tirosinasi.(rif.Art.principale) I composti 75 e 76 (Fig. 14), sono risultati potenti inibitori, rispetto all'acido kojico (IC50 = 27,30 µM), con un meccanismo inibitorio di tipo competitivo (75, Ki = 2,62 µM, 76, Ki = 8,10 m). Le SAR hanno rivelato l'importanza della presenza dell'anello piridinico per l'attività inibitoria.

In un altro studio, sono stati riportati calconi con funzioni ossimiche.(rif.Art.principale) Ad esempio, i composti 77 (IC50 = 4.77 µM) e 78 (IC50 = 7.89 µM) sono inibitori della tirosinasi (Figura 14) più potenti rispetto all'acido kojico (IC50 = 22,25 µM).(rif.Art.principale) Studi di cinetica hanno indicato un'inibizione di tipo competitivo, con valori di Ki di 5,25 e 8,33 µM. Le SAR hanno indicato che la combinazione del sostituente orto-metossi con un anello para-nitro sostituito (anello B) in 77 o para-dimetilammino sostituito (anello B) in 78 è responsabili della potente inibizione della tirosinasi. Sia il composto 77 che il 78 sono risultati capaci di inibire

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48 la formazione cellulare di melanina nelle cellule B16 indotte da α-MSH.

Figura 14. Struttura chimica dei calconi e analoghi del flavonone

Quattro nuovi composti, isolati da Camylotropis hirtella (79-82, Figura 14), hanno mostrato potente attività inibitoria nei confronti della tirosinasi.(rif.Art.principale) Tra questi, il neorauflavane (81) è

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