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Progettazione del Deposito Temporaneo dei rifiuti dell'Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana

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(1)

D

IPARTIMENTO DI

I

NGEGNERIA DELL

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NERGIA DEI

S

ISTEMI

,

DEL

T

ERRITORIO E DELLE

C

OSTRUZIONI

C

ORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN

INGEGNERIA GESTIONALE

Progettazione del Deposito Temporaneo dei Rifiuti

dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana

RELATORI CANDIDATO

Prof.ssa Luisa Pellegrini Sara Rombolà

Ing. Prof. Davide Aloini

RELATORI AZIENDALI Dott.ssa Antonella Ciucci Dott. Alessandro Barsotti

Sessione di Laurea del 19/07/2017 Anno Accademico 2016/2017

(2)

A papà, a mamma, ad Andre e a Sabrinuzza

(3)

Sommario

INTRODUZIONE ... 1

CAPITOLO 1 ... 3

GENERALITA’ E NORMATIVA DI RIFERIMENTO ... 3

1.La Direttiva Europea per la Gestione dei Rifiuti ... 3

1.1 Definizioni ... 4

2. L’impianto normativo italiano di gestione dei rifiuti ... 5

2.1 Il Decreto Legislativo 152/2006 ... 5

2.2 La parte IV del Decreto Legislativo 152/2006 e s.m.i ... 7

2.2.1 Gerarchia dei rifiuti ... 8

2.2.2 Tracciabilità dei rifiuti ... 9

2.2.2.1 Modello unico di dichiarazione ambientale, registri di carico e scarico e formulari ... 9

2.2.2.2 SISTRI ... 9

2.3 Sistemi di Gestione Ambientale ... 11

2.3.1 EMAS ... 11

2.3.2 UNI EN ISO 14001 ... 12

2.3.3 Differenze tra i due sistemi di gestione ambientale ... 12

3. La normativa della Regione Toscana ... 13

3.1 Piano Regionale di Gestione dei rifiuti e dei siti inquinati ... 14

3.2 Piano interprovinciale dei rifiuti: ATO Toscana Costa ... 15

CAPITOLO 2 ... 18

I RIFIUTI NEL CONTESTO SANITARIO ... 18

1.Classificazione dei rifiuti ... 18

1.1 Rifiuti Speciali ... 19

1.2 Rifiuti Urbani ... 19

1.2.1 Rifiuti Urbani per Assimilazione ... 20

1.3 Rifiuti Pericolosi ... 21

1.4 Rifiuti non Pericolosi ... 22

2. Attribuzione del codice identificativo ... 22

3. Rifiuti sanitari ... 23

(4)

3.2 Scopo e Definizioni ... 24

3.3 Classificazione dei rifiuti sanitari ... 26

3.3.1 Rifiuti sanitari non pericolosi e assimilati agli urbani ... 26

3.3.2 Rifiuti sanitari pericolosi ... 27

3.3.2.1 Rifiuti sanitari pericolosi non a rischio infettivo ... 27

3.3.2.2 Rifiuti pericolosi a rischio infettivo ... 28

3.3.3 Rifiuti che richiedono particolari modalità di smaltimento ... 28

3.4 La gestione dei rifiuti sanitari: obblighi dei produttori primari ... 29

3.5 Modalità di smaltimento ... 30

4. Il deposito temporaneo dei rifiuti ... 31

4.1 Definizioni e obblighi ... 31

4.2 Deposito temporaneo per i rifiuti sanitari pericolosi a rischio infettivo ... 34

CAPITOLO 3 ... 36

I DEPOSITI TEMPORANEI DEI RIFIUTI DELL’AOUP ... 36

1. Deposito temporaneo AOUP ... 36

1.1 Deposito Temporaneo dal punto di vista gestionale ... 37

1.2 Inquadramento gestionale e organizzativo ... 38

1.3 Gestione del Deposito Temporaneo ... 39

2. Il Deposito Temporaneo di Santa Chiara ... 41

3. Il Deposito Temporaneo di Cisanello ... 41

3.1 Inquadramento del Territorio ... 41

3.2 Deposito Temporaneo dal punto di vista edilizio ... 42

4. Aziende esterne che operano nel Deposito ... 44

4.1 Aziende che svolgono operazioni di Input ... 44

4.2 Aziende che svolgono operazioni di Output al deposito ... 44

5. Produzione rifiuti AOUP 2016 ... 46

6. Numero e tipologia dei containers nei depositi delle due strutture ospedaliere ... 46

7. Attività lavorative e contenitori ... 49

7.1 Rifiuti pericolosi a rischio infettivo e medicinali citotossici e citostatici ... 49

7.1.1 Contenitori ... 49

7.1.2 Attività lavorative ... 50

(5)

7.2.1 Contenitori e attività lavorative ... 50

7.3 Rifiuti ingombranti, Imballaggi in legno, Ferro e acciaio e Sfalci e potature ... 51

7.4 Piombo ... 51

7.5 Imballaggi in carta e cartone, carta bianca e rifiuti urbani indifferenziati ... 52

7.6 RAEE (Rifiuti di Apparecchiature Elettriche ed Elettroniche) ... 52

7.6.1 RAEE Pericolosi e Non pericolosi ... 52

7.6.2 RAEE di illuminazione ... 52

7.7 Toner esausti e batterie al piombo ... 53

7.8 Imballaggi contenenti sostanze chimiche pericolose e imballaggi contenenti residui di sostanze pericolose ... 53

CAPITOLO 4 ... 55

ANALISI PREVIISONALE ... 55

1. Precisazioni preliminari ... 55

1.1 Servizio offerto e produzione dei rifiuti ... 55

1.2 Posti letto ... 56

1.3 Incidenza dei posti letto sulla produzione dei rifiuti ... 57

1.4 Tasso di utilizzo dei posti letto ... 58

1.5 Coefficiente di produzione ... 59

2. Analisi delle serie storiche riferite alla produzione e alla frequenza di ritiro di ogni tipologia di rifiuto e relativa previsione futura ... 59

2.1 Rifiuti sanitari ... 60

2.1.1 Calcolo del WGR ... 60

2.1.2 Rifiuti pericolosi a rischio infettivo e Rifiuti citotossici e citostatici ... 62

2.1.2.1 Rifiuti pericolosi a rischio infettivo ... 62

a. Analisi della produzione negli ultimi anni ... 62

b. Analisi previsionale ... 64

b.1 Analisi previsionale in assenza di variazioni degli obiettivi aziendali ... 64

b.2 Analisi previsionale con obiettivi strategici ... 64

c. Definizione del tipo e della percentuale di contenitori utilizzati ... 66

d. Capacità contenitori e combinazioni possibili ... 68

2.1.2.2 Medicinali citotossici e citostatici ... 70

(6)

b. Analisi previsionale ... 71

b.1 Previsione in assenza di variazione sugli obiettivi aziendali ... 71

b.2 Previsione con obiettivi aziendali ... 72

c. Definizione del tipo, della percentuale, della capacità dei contenitori e combinazioni possibili ... 73

2.1.2.3 Migliore combinazione dei rifiuti pericolosi a rischio infetto e dei rifiuti citotossici e citostatici ... 74

2.1.2.3.1 Combinazioni alternative ... 75

2.1.2.3.2 Incertezza ... 78

2.1.2.4 Soluzione proposta, numero di container futuri e frequenza di prelievo prevista ... 80

2.1.3 Imballaggi contenenti sostanze chimiche pericolose ... 80

a. Analisi della produzione degli ultimi anni ... 81

b. Analisi previsionale ... 82

b.1 Previsione in assenza di variazione degli obiettivi aziendali ... 82

b.2 Previsione con obiettivi aziendali ... 82

c. Analisi previsionale ... 82

d. Definizione futura del tipo, della percentuale, della capacità dei contenitori ... 82

2.2 Rifiuti diversi dai sanitari ... 84

2.2.1 Imballaggi in vetro ... 85 a. Produzione ... 85 b. Previsione futura ... 86 2.2.2 Ingombranti ... 87 a. Produzione ... 87 b. Analisi produzione ... 87

c. Produzione media futura ... 89

d. Frequenza media di prelievo ... 89

2.2.3 Legno ... 89

a. Produzione ... 90

b. Analisi produzione ... 90

c. Produzione media futura ... 90

d. Frequenza di prelievo ... 91

(7)

a. Produzione ... 91 e. Analisi produzione ... 92 2.2.5 RAEE ... 92 2.2.5.1 RAEE Pericolosi ... 93 a. Produzione ... 93 b. Analisi produzione ... 93 c. Previsione futura ... 94 d. Frequenza di prelievo ... 94

2.2.5.2 RAEE Non pericolosi ... 95

a. Produzione ... 95

b. Analisi produzione ... 95

c. Previsione produzione media futura ... 96

d. Frequenza media di prelievo ... 96

2.2.5.3 Analisi previsioni RAEE ... 97

2.2.5.4 RAEE di illuminazione ... 97 a. Produzione ... 97 b. Analisi produzione ... 97 c. Previsione ... 98 2.2.6 Toner ... 98 2.2.6.1 Toner pericolosi ... 99

a. Produzione Toner Pericolosi ... 99

b. Analisi produzione Toner Pericolosi ... 99

2.2.6.2 Analisi dei Toner Pericolosi e Toner Non pericolosi ... 99

a. Produzione media prevista ... 100

b. Frequenza di prelievo ... 101

c. Spazio destinato all’interno del deposito ... 101

2.2.7 Imballaggi in carta e cartone ... 102

a. Produzione ... 102

b. Analisi della produzione ... 102

c. Produzione media ... 103

d. Frequenza media di prelievo ... 103

2.2.8 Piombo ... 104

(8)

2.2.10 Sfalci e potature ... 104

2.2.11 Batterie ... 104

2.2.12 Imballaggi contenenti residui di sostanze pericolose ... 105

a. Produzione e Previsione futura ... 105

3. Numero e capacità dei contenitori futuri e frequenza di prelievo ... 106

CAPITOLO 5 ... 108

DIMENSIONAMENTO ... 108

1. Contesto logistico ... 108

2. Criticità attuali e modifiche di miglioramento ... 109

2.1 Criticità tecniche, di layout e della gestione attuale ... 109

2.1.1 Criticità tecniche e di layout ... 109

2.1.2 Criticità Gestionali ... 111

2.2 Modifiche di miglioramento ... 112

2.2.1 Soluzioni adottate per le criticità tecniche ... 112

2.2.2 Soluzioni adottate per le criticità gestionali ... 114

3. Le dimensioni del deposito ... 114

4. Modalità di stoccaggio ... 115

4.1 Stoccaggio vincolato ... 115

4.2 Stoccaggio flessibile ... 116

4.3 Stoccaggio Straordinario ... 116

5. Viabilità e normativa ... 117

5.1 Piazzali di manovra – Aree di carico e scarico ... 117

5.2 Mezzi Pesanti ... 118

5.2.1 Dimensioni dei mezzi pesanti ... 118

5.2.2 Vie di circolazione degli autoveicoli e dei mezzi pesanti ... 118

5.3 Mezzi di movimentazione interna ... 119

5.3.1 Transpallets manuali e transpallets elettrici ... 121

6. Vincoli e aree di stoccaggio ... 121

6.1 Vincoli e accorgimenti comuni ... 121

7. Le aree di stoccaggio con modalità di stoccaggio, di carico o di scarico simili ... 123

7.1 Area mista ... 123

(9)

7.3 Area assimilabili ... 127

CAPITOLO 6 ... 130

LAYOUT FINALE ... 130

1. Analisi ai fini della collocazione degli elementi all’interno del deposito ... 130

1.1 Definizione delle classi di rifiuti ... 131

1.1.1 Flussi in ingresso ... 132

1.1.2 Flussi in uscita ... 132

2.1 Ingressi e uscite del Deposito temporaneo AOUP ... 134

3. Alternative di layout ... 135

3.1 Analisi quantitativa delle due alternative ... 136

3.1.1 Analisi delle aree ... 136

3.1.2 Analisi delle distanze ... 138

4. Analisi qualitativa dell’alternativa laterale: vantaggi e svantaggi ... 140

4.1 Vantaggi alternativa laterale ... 140

4.2 Svantaggi alternativa laterale ... 141

5. Ottimizzazione definitiva del layout del deposito ... 142

5.1 Analisi ZONA A ... 143

5.2 Analisi ZONA B ... 143

5.3 Configurazione otimale ... 1435

CONCLUSIONI E SVILUPPI FUTURI ... 149

BIBLIOGRAFIA ... 151

(10)

Sommario Grafici

3.1 - Incidenza della produzione dei rifiuti nei due Presidi ...36

3.2 - Produzione Rifiuti AOUP 2016 ...46

4.1 - Relazione produzione rifiuti totali/Posti letto ...57

4.2 - Relazione produzione rifiuti sanitari/Posti letto ...57

4.3 - Quota parte dei rifiuti sanitari sull’indicatore WGR ...61

4.4 - Produzione dei rifiuti pericolosi a rischio infettivo per i due PO ...63

4.5 - Andamento mensile dei rifiuti pericolosi a rischio infettivo ...63

4.6 - Previsione produzione rifiuti pericolosi a rischio infettivo ...64

4.7 - Produzione dei medicinali citotossici e citostatici per i due PO ...70

4.8 - Somma delle produzioni dei due Presidi ...71

4.9 - Previsione produzione dei medicinali citotossici e citostatici ...71

4.10 - Produzione imballaggi contenenti sostanze chimiche pericolose per i due Presidi Ospedalieri ..81

4.11 - Previsione produzione sostanze chimiche pericolose ...81

4.12 - Produzione degli imballaggi in vetro per i due Presidi Ospedalieri ...85

4.13 - Quantità e frequenza dei ritiri degli imballaggi in vetro per i due Presidi Ospedalieri ...85

4.14 - Previsione produzione imballaggi in vetro ...86

4.15 - Produzione dei rifiuti ingombranti per i due Presidi Ospedalieri ...87

4.16 - Produzione del legno per il Presidio di Cisanello ...90

4.17 - Produzione del ferro e dell’acciaio per i due Presidi Ospedalieri ...91

4.18 - Produzione RAEE pericolosi per i due Presidi Ospedalieri ...93

4.19 - Produzione RAEE Non pericolosi per i due Presidi Ospedalieri ...95

4.20 - Produzione RAEE di illuminazione per i due Presidi Ospedalieri ...97

4.21 - Somma delle produzioni dei RAEE di illuminazione per i due presidi ...98

4.22 - Produzione toner pericolosi per i due Presidi Ospedalieri ...99

4.23 - Somma delle produzioni dei toner pericolosi e dei toner non pericolosi nei due Presidi spedalieri ...99

4.24 - Produzione imballaggi in carta e cartone per i due Presidi Ospedalieri ...102

4.25 - Previsione produzione degli imballaggi in carta e cartone ...103

Sommario Tabelle 1.2 - Differenze dei due sistemi di gestione ambientale volontaria ...13

2.1 - Pericolosità e caratteristiche di pericolosità ...21

2.2 - Criterio volumetrico dei rifiuti all’interno di un deposito ...32

(11)

3.2 - Rifiuti, tipologia, numero, capacità e frequenza di ritiro dei contenitori del Presidio di Cisanello

...47

3.3 - Rifiuti, tipologia, numero, capacità e frequenza di ritiro dei contenitori del Presidio di Santa Chiara ...48

4.1 - Tasso di utilizzo degli ultimi anni dell’AOUP ...58

4.2 - Percentuale media di produzione dei due Presidi ...59

4.3 - Percentuale posti letto nei due presidi ...59

4.4 - WGR degli ultimi quattro anni ...61

4.5 - Richieste contenitori vuoti per i due Presidi Ospedalieri ...67

4.6 - Conversione e percentuale dei contenitori necessari alle UO dei due Presidi Ospedalieri ...67

4.7 - Previsione della percentuale di utilizzo dei contenitori ...67

4.8 - Caratteristiche per le due alternative proposte per i contenitori dei rifiuti pericolosi a rischio infettivo (giorni annuali) ...69

4.9 - Caratteristiche per le due alternative proposte per i contenitori dei medicinali citotossici e citostatici (giorni annuali) ...73

4.10 - Caratteristiche per le due alternative proposte per i contenitori dei rifiuti pericolosi a rischio infettivo (giorni lavorativi annui) ...74

4.11 - Caratteristiche per le due alternative proposte per i contenitori dei medicinali citotossici e citostatici (giorni lavorativi annui) ...75

4.12 - Risultati delle combinazioni delle alternative proposte per i contenitori per i rifiuti pericolosi a rischio infettivo e per i medicinali citotossici e citostatici (Container 1 a riempimento completo) ...76

4.13 - Risultati delle combinazioni delle alternative proposte per i contenitori per i rifiuti pericolosi a rischio infettivo e per i medicinali citotossici e citostatici (Container 2 a riempimento parziale) ...76

4.14 - Caratteristiche per le due alternative B-D nel caso di un incremento produttivo del 10% ...78

4.15 - Caratteristiche per le due alternative B-D nel caso di una diminuzione produttiva del 10% ...79

4.16 - Produzione e dettagli sull’utilizzo delle taniche riservate allo smaltimento degli imballaggi contenenti sostanze chimiche pericolose ...83

4.17 - Quantità e frequenza di prelievo dei rifiuti ingombranti per il Presidio di Cisanello ...88

4.18 - Quantità e frequenza di prelievo dei RAEE Pericolosi per il Presidio di Cisanello ...93

4.19 - Quantità e frequenza di prelievo dei rifiuti RAEE Non pericolosi per il Presidio di Santa Chiara ...94

4.20 - Quantità e frequenza di prelievo dei RAEE Non pericolosi per il Presidio di Cisanello ...95

4.21 - Quantità e frequenza di prelievo dei rifiuti RAEE Non pericolosi per il Presidio di Santa Chiara ...96

4.22 - Quantità e frequenza di prelievo dei toner esausti (pericolosi e non) per i due Presidi ...100

4.23 - Quantità e frequenza di prelievo delle batterie per i due Presidi ...105

4.24 - Rifiuti, tipologia, numero, capacità e frequenza di ritiro prevista per i contenitori del Nuovo Deposito ...106

(12)

5.2 - Dati e informazioni dei rifiuti stoccati all’interno dell’area mista ...124

6.1 - Classi di importanza di ogni tipologia di rifiuto ...131

6.2 - Classi di importanza, confronto tra i risultati delle classi per i flussi in entrata e per i flussi in uscita...133

6.3 – Analisi aree ...138

6.4 – Distanze percorse dai mezzi di trasporto per le due alternative ...140

Sommario Figure 1.1 - Gerarchia dei rifiuti ...8

1.2 - Le ATO della Regione Toscana ...14

3.1 – Layout attuale del Deposito Temporaneo di Cisanello ...43

4.1 – Quote parte di WGR mediate ...61

4.2 – Configurazione del container a riempimento parziale per le 4 alternative ...77

4.3 – Configurazione della combinazione ottimale (alternative B-D) ...78

4.4 – Incertezza positiva (+10%) ...79

4.5 – Incertezza negativa (-10%) ...79

5.1 – Planimetria del futuro deposito ...114

5.2 – Fascia d’ingombro ...119

5.3 – Larghezza consigliata delle vie di circolazione a senso unico (a sinistra) ed a doppio senso di marcia (a destra) dei carrelli motorizzati con conducente ...120

5.4 – Larghezza consigliata della via di trasporto per il passaggio dei transpallets elettrici (a sinistra) e dei transpallets manuali (a destra) ...120

5.5 – Disposizione Area mista ...121

5.6 – Zona di stoccaggio per i rifiuti pericolosi a rischio infettivo ed i rifiuti citotossici e citostatici .126 5.7 – Area prevista per lo stoccaggio dei rifiuti in cassoni scarrabili ...128

6.1 – Matrice di classificazione ...131

6.2 – Laterale con ingresso e uscita in punti adiacenti o corrispondenti ...134

6.3 – Accentrata con ingresso e uscita in punti adiacenti o corrispondenti ...134

6.4 – Ingressi e uscite previsti per il deposito temporaneo dell’AOUP ...134

6.5 – Alternativa Laterale ...135

6.6 – Alternativa Accentrata ...135

6.7 – Area disponibile per l’Alternativa Laterale ...137

6.8 – Area disponibile per l’Alternativa Accentrata ...137

6.9 – Distanze percorribili dai mezzi interni A.L. ...139

6.10 – Distanze percorribili dai mezzi esterni A.L. ...139

(13)

6.12 – Distanze percorribili dai mezzi esterni A.A. ...139

6.13 – Suddivisione del deposito per analisi approfondita ...140

6.14 – Disposizione 1 ZONA A ...141 6.15 – Disposizione 2 ZONA A ...141 6.16 – Disposizione 1 ZONA B ...142 6.17 – Disposizione 2 ZONA B ...142 6.18 – Configurazione ottimale 1 ...143 6.19 – Configurazione ottimale 2 ...143

(14)

1

INTRODUZIONE

Il presente lavoro di tesi si è reso necessario in seguito al percorso intrapreso dall’AOUP per la realizzazione di una struttura che unisce i due Presidi Ospedalieri attualmente presenti e nello specifico l'ospedale di Cisanello e quello di Santa Chiara.

Questa decisione determina necessariamente numerose modifiche di carattere organizzativo e comporta trasferimenti delle Articolazioni Organizzative all’interno degli stessi edifici, tra edifici nel medesimo stabilimento e da uno stabilimento all’altro.

Il mio ruolo nel suddetto progetto è stato quello di supporto e mediazione tra la Direzione Medica di Presidio Ospedaliero, avente il compito di gestire la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti, nel rispetto della normativa vigente e della sicurezza sia dei pazienti che degli operatori, e l’Area Tecnica che progetta e adotta le misure tecniche legate all' edilizia.

Il progetto tratta le metodologie che stanno alla base della scelta della progettazione e della realizzazione del nuovo deposito dei rifiuti, evidenziando tutti i fattori che concorrono al dimensionamento dello stesso.

Il problema principale da affrontare consiste nell’utilizzo ottimale della superficie a disposizione in modo da creare un percorso ben definito sia per gli addetti ai lavori che per lo stoccaggio dei rifiuti in modo da rendere il deposito il più efficiente e funzionale possibile. Per adempiere a questa necessità, il lavoro di tesi è stato suddiviso in due macrosezioni. La prima parte del documento si concentra sulla reltà attuale del mondo dei rifiuti ospedalieri, e analizza le normative e le classificazioni dei rifiuti, nonché la situazione gestionale e lavorativa della situazione as-is dei due Presidi Ospedalieri.

Nella seconda parte del lavoro è stato effettuato in via preliminare uno studio statistico delle produzioni future e di tutti i cambiamenti generabili in seguito all’integrazione dei due Presidi Ospedalieri per garantire un utilizzo ottimale degli spazi fisici, tenendo conto che ogni mq di superficie incide sui tempi e sull’efficacia delle attività lavorative. In secondo luogo, considerando le modalità di stoccaggio e la viabilità dei mezzi, si è ricercata la migliore allocazione dei rifiuti in modo da consentire un flusso efficace delle operazioni di carico e scarico.

(15)
(16)

3

CAPITOLO 1

GENERALITA’ E NORMATIVA DI RIFERIMENTO

La gestione dei rifiuti è l'insieme delle politiche, procedure o metodologie volte a gestire l'intero processo dei rifiuti, dalla loro produzione fino alla loro destinazione finale. Coinvolge la fase di raccolta, trasporto, trattamento (recupero o smaltimento) fino al riutilizzo/riciclo dei materiali di scarto, nel tentativo di ridurre i loro effetti sulla salute umana e l'impatto sull'ambiente.

La corretta gestione dei rifiuti pericolosi e non pericolosi, di origine urbana o speciale, è alla base dei principi che l’Unione Europea ha indicato in specifici Regolamenti e Direttive. Ciascuno Stato Membro, tra cui l’Italia, ha dovuto recepire i principi sanciti dall’Unione Europea con una specifica normativa per la gestione dei rifiuti.

1. La Direttiva Europea per la Gestione dei Rifiuti

Nel 2005 la Commissione Europea ha avviato il processo di riforma della disciplina sui rifiuti, che ha portato alla Direttiva 2008/98/CE e nel 2014 al Regolamento 2014/955/UE. L’unione Europea propone un quadro giuridico volto a controllare tutto il ciclo dei rifiuti, dalla produzione allo smaltimento, ponendo l’accento sul recupero ed il riciclaggio.

L’Europa ha fissato obiettivi concreti che devono essere raggiunti entro il 2020 ed individuato le strategie utili al perseguimento di tali obiettivi:

- Principio di precauzione - Principio gerarchico dei rifiuti - Principio del “chi inquina paga” - La Green economy

- I principi di prossimità ed autosufficienza

- Obbligo di una normativa specifica sulla corretta gestione dei rifiuti per ogni Stato membro dell’UE1

(17)

4

Ogni piano nazionale è integrato da un programma di prevenzione dei rifiuti, attraverso cui sono indicati gli obiettivi e i metodi per ridurre alla fonte la potenziale produzione di rifiuti. La Direttiva 2008/98/CE, in conclusione, rappresenta lo strumento di indirizzo attraverso cui perseguire l’obiettivo di dissociare la crescita economica dagli impatti ambientali, connessi alla produzione di rifiuti all’interno dell’Unione Europea.

1.1 Definizioni

La Direttiva Europea prevede una serie di definizioni per superare alcune ambiguità (art.3 Direttiva europea 2008/98):

- rifiuto: qualsiasi sostanza od oggetto di cui il detentore si disfi o abbia l’intenzione o l’obbligo di disfarsi;

- produttore di rifiuti: la persona la cui attività produce rifiuti (produttore iniziale di rifiuti) o chiunque effettui operazioni di pretrattamento, miscelazione o altre operazioni che hanno modificato la natura o la composizione di detti rifiuti;

- detentore di rifiuti: il produttore dei rifiuti o la persona fisica o giuridica che ne è in possesso;

- commerciante: qualsiasi impresa che agisce in qualità di committente al fine di acquistare e successivamente vendere rifiuti, compresi i commercianti che non prendono materialmente possesso dei rifiuti;

- intermediario: qualsiasi impresa che dispone il recupero o lo smaltimento dei rifiuti per conto di altri, compresi gli intermediari che non prendono materialmente possesso dei rifiuti;

- gestione dei rifiuti: la raccolta, il trasporto, il recupero e lo smaltimento dei rifiuti, compresi la supervisione di tali operazioni e gli interventi successivi alla chiusura dei siti di smaltimento nonché le operazioni effettuate in qualità di commercianti o intermediari;

- raccolta: il prelievo dei rifiuti, compresi la cernita preliminare e il deposito preliminare, ai fini del loro trasporto in un impianto di trattamento;

- raccolta differenziata: la raccolta in cui un flusso di rifiuti è tenuto separato in base al tipo e alla natura dei rifiuti al fine di facilitarne il trattamento specifico;

- prevenzione: misure, prese prima che una sostanza, un materiale o un prodotto sia diventato un rifiuto, che riducono: a) la quantità dei rifiuti, anche attraverso il riutilizzo dei prodotti o l’estensione del loro ciclo di vita; b) gli impatti negativi dei rifiuti prodotti

(18)

5

sull’ambiente e la salute umana; c) il contenuto di sostanze pericolose in materiali e prodotti;

- riutilizzo: qualsiasi operazione attraverso la quale prodotti o componenti che non sono rifiuti sono reimpiegati per la stessa finalità per la quale erano stati concepiti;

- recupero: qualsiasi operazione il cui principale risultato sia di permettere ai rifiuti di svolgere un ruolo utile sostituendo altri materiali che sarebbero stati altrimenti utilizzati per assolvere una particolare funzione o di prepararli ad assolvere tale funzione, all’interno dell’impianto o nell’economia in generale;

- riciclaggio: qualsiasi operazione di recupero attraverso cui i materiali di rifiuto sono ritrattati per ottenere prodotti, materiali o sostanze da utilizzare per la loro funzione originaria o per altri fini. Include il ritrattamento di materiale organico ma non il recupero di energia né il ritrattamento per ottenere materiali da utilizzare quali combustibili o in operazioni di riempimento;

- smaltimento: qualsiasi operazione diversa dal recupero anche quando l’operazione ha come conseguenza secondaria il recupero di sostanze o di energia.

2. L’impianto normativo italiano di gestione dei rifiuti

La normativa di gestione rifiuti in Italia è stata introdotta con il D.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22 (il cosiddetto Decreto Ronchi del 1997) in linea con le precedenti direttive dell'Unione Europea.

Attualmente la materia è definita nel Decreto Legislativo 205/2010, decreto che a sua volta va a modificare il D.lgs. 152/2006 detto anche Testo Unico Ambientale. Nel 2013 il Ministero dell’Ambiente ha approvato il Primo Programma d’Azione Nazionale con il quale ha fissato fondamentali obiettivi di prevenzione da realizzare entro il 2020 in linea con gli obiettivi dell’Unione Europea.

Con la Legge di Stabilità del 2014 è stato approvato alla Camera il Collegato Ambiente, che contiene misure su appalti pubblici, sicurezza e valutazioni di impatto ambientali, dissesto idrogeologico, risparmio energetico, fiscalità green e Green economy.

2.2 Il Decreto Legislativo 152/2006

Rappresenta la colonna portante della gestione ambientale italiana, in quanto raccoglie tutte le disposizioni vigenti in campo ambientale.

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Si compone di sei parti:

I. Disposizioni comuni

II. Procedure per la Valutazione Ambientale Strategica (VAS), per la Valutazione d’Impatto Ambientale (VIA) e per l’Autorizzazione Integrata Ambientale (AIA) III. La difesa del suolo e la lotta alla desertificazione, la tutela delle acque

dall'inquinamento e la gestione delle risorse idriche IV. La gestione dei rifiuti e la bonifica dei siti contaminati V. La tutela dell'aria e la riduzione delle emissioni in atmosfera VI. La tutela risarcitoria contro i danni all'ambiente.

2.1.1 VAS, VIA E AIA

Un’ importante novità del D.lgs. 152/06 è la parte II: “Procedure per la Valutazione Strategica (VAS), per la Valutazione d’Impatto Ambientale (VIA) e per l’Autorizzazione Integrata Ambientale (AIA, traduzione di Integrated Pollution Prevention and Control – IPPC)”.

La VAS è preordinata a garantire che gli effetti sull’ambiente derivanti dall’attuazione di piani e programmi siano considerati durante la loro elaborazione e prima della loro approvazione. La VAS costituisce parte integrante del procedimento ordinario di adozione ed approvazione di piani e programmi, tanto è vero che eventuali provvedimenti di approvazione adottati senza la previa valutazione ambientale startegica, ove prescritta, sono annullabili.

Analogo discorso vale per la VIA di progetti, di opere ed interventi che, per la loro natura o dimensione, possono avere un impatto importante sull’ambiente.

La nuova formulazione della Parte II del D.lgs. 152/06, oltre ad una significativa riduzione del numero degli articoli (che passano da 49 a 33), presenta una serie di importanti novità:

- una più chiara definizione dell’Autorità competente ad esprimere il giudizio di compatibilità ambientale (Stato o Regione) per le varie tipologie di piani e programmi (VAS) o di progetti (VIA);

- l’introduzione anche per la VAS della verifica preliminare di assoggettabilità (screening) e della procedura per definire il contenuto del rapporto ambientale (scoping);

- una diversa struttura di supporto tecnico-scientifico per l’attuazione delle disposizioni della parte II del D.lgs 152/06. In proposito sono state istituite presso il MATTM

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(Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare) due commissioni: una che provvede all’istruttoria e si esprime sui rapporti ambientali e sugli studi di impatto ambientale relativi ai piani programmi (VAS), oppure ai progetti (VIA); la seconda commissione per le autorizzazioni integrate ambientali (AIA). Ovviamente in tutti i casi la competenza è statale.

Nel prossimo paragrafo verrà analizzata la IV parte del Testo Unico Ambientale relativa al tema della gestione dei rifiuti.

2.3 La parte IV del Decreto Legislativo 152/2006 e successive modifiche integrative

La parte IV del D.lgs. 152/2006 e s.m.i dal titolo “Norme in materia di gestione dei rifiuti e bonifica dei siti inquinati” suddivide l’intero universo legato ai rifiuti in sei Titoli. Il primo, e più corposo tra tutti, è il Titolo I riguardante la Gestione Generale dei rifiuti. Il titolo viene ulteriormente suddiviso in cinque capi in cui si possono ritrovare:

- le disposizioni generali, quindi i principi riconducibili alla Direttiva 2008/98/CE; - la definizione delle competenze ai vari livelli della Pubblica Amministrazione;

- la regolamentazione delle Autorizzazione e Iscrizioni delle aziende della filiera dei rifiuti;

- i riferimenti alla gestione dei rifiuti; - le procedure semplificate;

Il quadro legislativo nazionale in tema di rifiuti è ancora in movimento, dato che il D.lgs.152/06 ha modificato profondamente l’attuale disciplina sulla gestione dei rifiuti, introducendo una vasta serie di novità, fra cui:

- la nuova nozione di rifiuto;

- la replica, per il settore dei rifiuti, del sistema organizzazione amministrativa già previsto per la gestione delle risorse idriche (definito nel Testo Unico Ambientale), con la definizione di ambiti territoriali e di relative Autorità d’ambito cui partecipano gli enti locali della zona;

- la rivisitazione del sistema delle autorizzazioni;

- altre modifiche del ciclo gestionale, che riguardano tutti i soggetti coinvolti: dai produttori ai gestori di impianti di recupero/smaltimento e ai trasportatori.

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A parte le novità ora accennate, il nuovo Testo Unico conferma sostanzialmente, o esalta le norme già contenute nel Decreto Ronchi, pur abolendolo esplicitamente. Si riportano di seguito alcuni aspetti degni di particolare menzione.

Tra le Disposizioni Generali, nello specifico nel campo di applicazione, si ha un principio molto importante infatti l’articolo 177 comma 3 sancisce che la gestione dei rifiuti è materia di “pubblico interesse”, il che lascia dedurre come la volontà politica sia quella di far si che l’intera società civile sia consapevole e partecipe della filiera dei rifiuti.

Negli articoli successivi fino all’articolo 182, in linea con quanto previsto dalla direttiva 2008/98/CE si introducono e delineano i criteri di priorità nella Gestione dei Rifiuti, definendoli con la Gerarchia dei rifiuti.

2.2.1 Gerarchia dei rifiuti

La gerarchia dei rifiuti, ripresa dalla Direttiva Europea e riportata nella Figura 1.1 è una piramide rovesciata dove le opzioni perseguibili sono posizionate in base alla preferibilità di attuazione. Secondo tale principio la prevenzione deve essere attuata favorendo la riduzione della produzione e della pericolosità dei rifiuti e facilitandone il riutilizzo, il riciclo e altre operazioni di recupero.

In fondo alla scala gerarchica è collocato lo smaltimento in discarica, concepito come opzione residuale da azzerare nel tempo.

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2.2.2 Tracciabilità dei rifiuti

L’obbligo del produttore di mantenere la tracciabilità del rifiuto prodotto può essere realizzato attraverso i sistemi tradizionali (Modello Unico di Dichiarazione ambientale, registri di carico e scarico e formulari) o eventualmente aderendo al nuovo sistema di tracciabilità dei rifiuti (SISTRI).

2.2.2.1 Modello unico di dichiarazione ambientale, registri di carico e scarico e formulari

Il Modello Unico di Dichiarazione ambientale (MUD), istituito con la Legge n. 70/1994, è un modello attraverso il quale devono essere denunciati i rifiuti prodotti dalle attività economiche, quelli raccolti dal Comune e quelli smaltiti, avviati al recupero o trasportati nell'anno precedente la dichiarazione. Il modello va presentato di norma entro il 30 aprile di ogni anno.2

Il registro di carico e scarico è un documento di tipo formale che deve contenere tutte le informazioni relative alle caratteristiche qualitatite e quantitative dei rifiuti prodotti, trasportati, recuperati, smaltiti e oggetto di intermediazioni.

Il formulario di identificazione per il trasporto dei rifiuti è il documento di accompagnamento per il trasporto dei rifiuti, definito dal Decreto Ministeriale Ambiente n.145 del 1 aprile 1998. Garantisce la tracciabilità del flusso dei rifiuti nelle varie fasi del trasporto, dal produttore/detentore al sito di destinazione.

2.2.2.2 SISTRI

Il Sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti nasce nel 2009 su iniziativa del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, con il fine ultimo di informatizzare la tracciabilità dei rifiuti speciali a livello nazionale e dei rifiuti urbani della regione Campania.

L’obiettivo del Sistema è quello di ottenere maggiore trasparenza e legalità, una gestione informatica e non più cartacea della documentazione, una semplificazione degli adempimenti amministrativi, una riduzione del danno ambientale, l’eliminazione di forme scorrette di concorrenza tra imprese, con un impatto positivo per tutte le imprese che operano seguendo la

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legge ed ovviamente la garanzia della tracciabilità in tempo reale della movimentazione nazionale e internazionale dei rifiuti.

I processi ed i flussi informativi contenuti nel SISTRI sono gestiti dall’Arma dei Carabinieri. Nell’ottica di controllare in modo puntuale la movimentazione dei rifiuti speciali lungo tutta la filiera, viene pienamente ricondotto nel SISTRI il trasporto intermodale e posta particolare enfasi alla fase finale di smaltimento dei rifiuti, con l’utilizzo di sistemi elettronici in grado di dare visibilità al flusso in entrata e in uscita degli autoveicoli nelle discariche.

Nel Testo Unico Ambientale, l’articolo 188- ter definisce tutti i soggetti che sono obbligati ad aderire al Sistema di controllo di tracciabilità dei rifiuti e coloro che invece possono aderire su scelta volontaria. Nello specifico i soggetti obbligati sono:

- gli enti e le imprese produttori iniziali di rifiuti speciali pericolosi con più di 10 dipendenti;

- gli enti o le imprese che raccolgono, trasportano o gestiscono rifiuti speciali pericolosi a titolo professionale, compresi i vettori esteri che operano sul territorio nazionale; - in caso di trasporto intermodale, i soggetti ai quali sono affidati i rifiuti speciali

pericolosi in attesa della presa in carico degli stessi da parte dell’impresa navale o ferroviaria o dell’impresa che effettua il successivo trasporto;

- gli enti o le imprese che effettuano operazioni di trattamento, recupero, smaltimento, commercio e intermediazione di rifiuti urbani e speciali pericolosi;

- i comuni e le imprese di trasporto dei rifiuti urbani del territorio della Regione Campania.

Sono esentati dall’adesione al SISTRI, ma comunque tenuti a mantenere tracciabilità dei rifiuti tramite strumenti cartacei (MUD, registri di carico e scarico e formulari):

- produttori iniziali di rifiuti non pericolosi e pericolosi fino a 10 dipendenti compresi; - gli enti e le imprese che effettuano attività di raccolta, trasporto e gestione dei rifiuti non

pericolosi;

- i raccoglitori e i trasportatori di rifiuti urbani del territorio di regioni diverse dalla regione Campania.

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2.3 Sistemi di Gestione Ambientale

Qualsiasi tipo di organizzazione (sia pubblica che privata) può adottare, volontariamente, un sistema di gestione; esistono delle norme che stabiliscono i requisiti dei sistemi di gestione ambientale a cui è possibile conformarsi per creare il proprio sistema di gestione:

- il regolamento comunitario n° 761/2001, meglio conosciuto come EMAS (Eco

Management and Audit Scheme) valido a livello europeo;

- la ISO 14001: valida a livello internazionale, riconosciuta quindi dall’ente formatore ISO e dagli obblighi Europei (EN) ed Italiani (UNI).

La certificazione ambientale è quindi uno strumento volontario di autocontrollo e responsabilizzazione adottabile da organizzazioni che intendono perseguire un miglioramento continuo delle proprie performance ambientali. Il soggetto che avvia il processo di certificazione si impegna non solo ad osservare le disposizioni di legge in materia, ma anche a migliorare le proprie prestazioni e la trasparenza verso l’esterno, aumentando l’efficienza interna3. La certificazione ambientale prevede infatti una riorganizzazione di un’azienda o ente secondo sistemi di gestione ambientale (SGA), la conseguente certificazione da parte di un soggetto terzo e successive verifiche periodiche.

2.3.1 EMAS

È un sistema di ecogestione che si applica solo ai Paesi appartenenti alla comunità europea e ad aziende che svolgono determinate attività industriali; prevede una dichiarazione pubblica e l’iscrizione del sito in un registro europeo. EMAS è esteso ad aziende operanti nel settore manifatturiero, in quello dei servizi ed in quello artigianale; la certificazione è applicabile sia alle piccole aziende che ai grandi distretti industriali.

L’EMAS ha come obiettivo la sostenibilità ambientale delle attività economiche e produttive. Incentiva le imprese a perseguire l’obiettivo attraverso:

- l’adozione di una politica aziendale che costituisce il documento di orientamento delle scelte e dell’operato relativamente alle attività che producono effetti ambientali;

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- una valutazione periodica delle prestazioni attraverso analisi ambientali, la prima di queste è quella preliminare che si effettua per conoscere i problemi iniziali e analizzare i problemi conseguenti, connessi alle attività dell’organizzazione. Questa rappresenta il punto di partenza per programmare le fasi successive dello sviluppo. Lo step seguente è l’individuazione delle competenze adeguate e la delega dell’autorità e responsabilità all’interno dell’Organizzazione aziendale. Infine si stabiliscono gli audit ambientali, cioè sorveglianza del sistema, sistemi di monitoraggio che sistematicamente forniscono dati utili per verificare il buon funzionamento del sistema e informazioni riguardo alle prestazioni ambientali;

- la pubblicazione delle informazioni sulle prestazioni ambientali, attraverso le dichiarazioni ambientali, questo documento viene redatto alla fine di ogni audit e deve essere scritto in maniera precisa e comprensibile; serve a dimostrare il raggiungimento degli obiettivi;

- le verifiche e convalide successive alla dichiarazione permettono di confermare che tutte le fasi siano portate avanti in maniera congrua.

2.3.2 UNI EN ISO 14001

È un sistema di gestione ambientale che può essere applicato sia agli impatti ambientali diretti che a quelli indiretti. Non stabilisce dei requisiti netti perché si adatta ad ogni tipo di organizzazione. Una volta individuati gli aspetti e gli impatti ambientali si deve decidere una politica ambientale attraverso cui stabilire le autorità e le responsabilità.

L’organizzazione che intende perseguire la certificazione ISO 14001 deve: - definire la politica ambientale e diffonderla al personale;

- pianificare per individuare gli aspetti ambientali delle attività dell’impresa che necessitano di monitoraggio;

- attuare il sistema di gestione ambientale (ruoli responsabilità e autorità); - introdurre procedure di controllo;

- riesaminare di continuo il sistema di gestione ambientale implementato.

2.3.3 Differenze tra i due sistemi di gestione ambientale

ISO 14001 ed EMAS condividono l'obiettivo di indirizzare le organizzazioni al miglioramento continuo delle prestazioni ambientali attraverso l'introduzione di un SGA.

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L'EMAS, discendendo da un regolamento europeo, si caratterizza per una dimensione più pubblica, anche in considerazione del fatto che la supervisione viene affidata ad un organismo statale, in Italia è il Comitato Ecolabel-Ecoaudit. Spesso l'ISO 14001 rappresenta una tappa preliminare per il perseguimento della più rigorosa registrazione EMAS. Nella tabella 1.1 sono definite le differenze tra i due sistemi di gestione ambientale volontaria.

Tabella 1.1 - Differenze dei due sistemi di gestione ambientale volontaria

3. La normativa della Regione Toscana

La Toscana è stata una tra le prime regioni italiane a tradurre gli indirizzi e i criteri dettati dalla Comunità europea in propri atti normativi e di pianificazione. Il primo passo verso una buona gestione dei rifiuti normata è avvenuto nel 1998 con il piano rifiuti approvato immediatamente dopo l’uscita dell’innovativo decreto Ronchi del 1997.

La riorganizzazione amministrativa della gestione dei rifiuti è stata avviata nel 2007 con la legge regionale 61. L’obiettivo principale era quello di ridurre al minimo la frammentazione gestionale che da sempre rappresentava un limite per la vecchia pianificazione: la nuova legge

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ha ridotto infatti le autorità di ambito (ATO) da 10 a 3 creando le basi per una gestione più efficiente e più efficace dei servizi4.

ATO Comuni coinvolti

Toscana Centro Comuni delle Province di Firenze5, Prato e Pistoia

Toscana Costa Comuni delle Province di Pisa, Livorno6, Lucca e Massa Carrara Toscana Sud Comuni delle Province di Siena, Grosseto e Arezzo ed i Comuni di

Piombino, Castagneto Carducci, San Vincenzo, Campiglia Marittima, Suvereto e Sassetta

Figura 1.2 - Le ATO della Regione Toscana

Gli strumenti di pianificazione regionale sono: il Piano Regionale di gestione dei rifiuti urbani e i Piani Provinciali di gestione dei rifiuti urbani.

3.2 Piano Regionale di Gestione dei rifiuti e dei siti inquinati

Il Piano regionale di gestione dei rifiuti e di bonifica dei siti inquinati, prevede tra le altre cose, le condizioni ed i criteri tecnici in base ai quali gli impianti per la gestione dei rifiuti possono essere localizzati nelle aree destinate ad insediamenti produttivi, la tipologia ed il complesso degli impianti di smaltimento e di recupero dei rifiuti urbani da realizzare nella regione.

4 www.regione.toscana.it

5 Esclusi Marradi, Palazzuolo sul Senio e Firenzuola.

6 Esclusi Piombino, Castagneto Carducci, San Vincenzo, Campiglia Marittima, Suvereto e Sassetta che sono entrati

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La Regione Toscana con la LR 25/98, come modificata dalla LR 61/07, dispone che le province appartenenti a ciascun ATO adottino un piano interprovinciale di gestione dei rifiuti.

3.3 Piano interprovinciale dei rifiuti: ATO Toscana Costa

Attualmente il Piano interprovinciale della ATO Toscana Costa è rappresentato dal Piano Straordinario approvato con Delibera d’Assemblea n. 11 del 06.07.2015. Il Piano Straordinario, costituisce un atto di programmazione dei servizi, subordinato al Piano regionale oltre che alla normativa comunitaria, nazionale e regionale. Le previsioni descritte nel Piano Straordinario di conseguenza sono soggette a modifica in funzione delle novità normative e pianificatorie sovraordinate che dovessero intervenire.

In sintesi, i passaggi principali del piano sono:

- Riduzione della produzione di rifiuti:

considerate le attuali elevate produzioni pro capite, la riduzione della produzione di rifiuti è prioritaria: ciò è possibile mediante una serie di azioni dirette alla prevenzione e alla riduzione degli stessi. L’obiettivo che si intende raggiungere è una stabilizzazione della produzione dei rifiuti ed una progressiva riduzione della produzione pro capite. - Obiettivi di raccolta differenziata e riciclo:

il piano, sulla scia degli obiettivi regionale, nazionali ed europei prevede il completamento della conversione da sistemi di raccolta stradali ad efficienti sistemi di raccolta domiciliare con dotazione territoriale degli impianti necessari a raggiungere in anticipo gli obiettivi di riciclo imposti dalla normativa comunitaria.

- Riduzione del fabbisogno di discarica:

l’ATO Toscana Costa nonostante disponga di un adeguato patrimonio di capacità di discarica, autorizzato o in via di autorizzazione e debba affrontare di elevati conferimenti di rifiuti speciali, persegue l’obiettivo di trattare e gestire i rifiuti indifferenziati secondo la gerarchia dei rifiuti: preferendo, a valle della prevenzione e del riciclo, il recupero e minimizzando il più possibile lo smaltimento finale in discarica. - Previsioni di recupero e gestione dei rifiuti urbani al 2020:

gli obiettivi di recupero e gestione dei rifiuti urbani, definiti nel Piano Regionale, vengono perseguiti anche dall’ATO Toscana Costa, sintetizzabili in: prevenzione della formazione dei rifiuti, con una riduzione dell’intensità di produzione dei rifiuti pro capite ( da -20 a-50 kg/ab); raccolta differenziata dei rifiuti urbani fino a raggiungere il

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70% del totale dei rifiuti urbani; recupero energetico del 20% dei rifiuti urbani (oltre alla quota degli scarti da raccolta differenziata); conferimento in discarica di un massimo del 10% dei rifiuti urbani (oltre alla quota degli scarti da raccolta differenziata).

- Impianti di incenerimento e smaltimento rifiuti:

il documento conferma l’impiantistica già esistente e autorizzata. Per garantire una gestione efficiente, sia dal punto di vista ambientale che economico, delle raccolte differenziate e della filiera del riciclo, il Piano fissa la realizzazione di alcuni nuovi impianti o ristrutturazioni e potenziamenti fino a raggiungere una potenzialità di trattamenti di circa 238.000 t/a, che risultano essere in linea con i bisogni stimati dal piano stesso.7

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CAPITOLO 2

I RIFIUTI NEL CONTESTO SANITARIO

Il seguente capitolo può essere suddiviso in due macro-sezioni: nella prima si presentano tutte le tipologie di rifiuti definite dalla normativa italiana ed europea; la seconda parte analizza i rifiuti sanitari, distinguendo le tipologie nell’ambito ospedaliero, la gestione e lo smaltimento degli stessi.

1. Classificazione dei rifiuti

I rifiuti sono classificati ex art. 184, comma 1, del D.lgs. n. 152/2006 secondo tre parametri:

Origine di produzione Rifiuti urbani

Rifiuti speciali

Caratteristiche di pericolosità

Rifiuti non pericolosi

Rifiuti Pericolosi

In base al loro stato fisico

Solido pulverulento

Solido non pulverulento

Fangoso palabile

Liquido

La distinzione tra i rifiuti urbani e quelli speciali ha effetti: - sui regimi autorizzatori ed abilitativi in genere;

- sugli obblighi di registrazione e comunicazione annuale;

- sull'individuazione del soggetto che ha il compito di provvedere al loro smaltimento. La distinzione tra rifiuti pericolosi e non pericolosi ha effetti:

- sui regimi autorizzatori ed abilitativi in genere;

- sugli obblighi di registrazione e comunicazione annuale; - sul divieto di miscelazione;

- sul sistema sanzionatorio8.

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1.1 Rifiuti Speciali

Sono rifiuti speciali ex art. 184, comma 3 del D.lgs. 152/2006:

a) i rifiuti da attività agricole e agro-industriali;

b) i rifiuti derivanti dalle attività di demolizione, costruzione, nonché i rifiuti pericolosi

che derivano dalle attività di scavo, fermo restando che le terre e le rocce da scavo non sono rifiuti ove ricorrano - determinate condizioni (dettagliatamente stabilite dall'art. 186);

c) i rifiuti da lavorazioni industriali; d) i rifiuti da lavorazioni artigianali; e) i rifiuti da attività commerciali; f) i rifiuti da attività di servizio;

g) i rifiuti derivanti da attività di recupero e smaltimento di rifiuti, da potabilizzazione ed

altri trattamenti delle acque, da depurazione delle acque reflue e delle emissioni in atmosfera;

h) i rifiuti derivanti da attività sanitarie.

1.2 Rifiuti Urbani

Sono rifiuti urbani ex art. 184, comma 2 del D.lgs. 152/2006:

a) i rifiuti domestici, anche ingombranti, provenienti da locali e luoghi adibiti a civile

abitazione;

b) i rifiuti non pericolosi provenienti da locali e luoghi adibiti ad usi diversi da quelli di

cui alla lettera a), assimilati ai rifiuti urbani per quantità e qualità; l'assimilazione è disposta dal Comune in base a criteri fissati in sede statale;

c) i rifiuti provenienti dallo spazzamento delle strade;

d) i rifiuti di qualunque natura o provenienza, giacenti sulle strade ed aree pubbliche o sulle

strade ed aree private comunque soggette ad uso pubblico o sulle spiagge marittime e lacuali e sulle rive dei corsi d'acqua;

e) i rifiuti vegetali provenienti da aree verdi, quali giardini, parchi ed aree cimiteriali; f) i rifiuti da esumazioni ed estumulazioni, nonché gli altri rifiuti provenienti da attività

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1.2.1 Rifiuti Urbani per Assimilazione

Il primo parametro di classificazione riguarda il luogo di produzione del rifiuto, e da qui la differenziazione tra urbani e speciali. È importante approfondire il tema dei rifiuti urbani per assimilazione, a causa degli aspetti gestionali e tributari che ne derivano.

Innanzitutto è necessario evidenziare la differenza che intercorre tra rifiuto assimilabile e rifiuto assimilato, differenza che si traduce in una diversa gestione dei due rifiuti. Il rifiuto Assimilabile è un rifiuto speciale (prodotto da un’impresa o da un ente) che può essere recuperato o smaltito in impianti originariamente progettati per trattare rifiuti urbani. L'Assimilabilità si basa su un sistema ad elenco positivo rappresentato attualmente dalla Deliberazione del Comitato interministeriale sui rifiuti del 27/7/1984, ovvero ciò che è presente nell'elenco può essere assimilabile, tutto il resto no.

Il rifiuto Assimilato invece è un rifiuto speciale assimilabile agli urbani ex art 184 comma 2 lettera b) che il Comune ha deciso, sulla base di criteri qualitativi (attualmente Delibera Comitato interministeriale sui rifiuti del 27/7/1984) e quantitativi, di prendere in carico nel normale servizio di raccolta dei rifiuti urbani, trasformando quindi il rifiuto speciale in rifiuto urbano.

La differenza fondamentale sta nel fatto che un rifiuto assimilabile per diventare assimilato deve essere legittimato da una specifica ordinanza o regolamento comunale, in assenza di ciò anche se assimilabile rimane sempre e comunque un rifiuto speciale; atto non necessario ad esempio per alcuni rifiuti come quelli sanitari, in cui gli assimilabili agli urbani appunto, vengono assimilati agli urbani in virtù di uno specifico riferimento riportato nel D.P.R. 254 del 13 luglio 2003. Inoltre il Testo Unico Ambientale individua altre due limitazioni all'assimilabilità da parte dei Comuni dei rifiuti speciali ai rifiuti urbani, ovvero ex articolo 195 comma 2 lettera e) un limite di superficie e un limite di localizzazione dell’impresa o dell’ente.

Per comprendere la portata delle conseguenze di questo inquadramento normativo, va chiarito che a livello di responsabilità di gestione dei rifiuti, il Comune e la relativa azienda di servizio pubblico di gestione dei rifiuti hanno in capo in via privativa la gestione finalizzata allo smaltimento dei rifiuti urbani, inclusi naturalmente gli assimilati agli urbani, cosa che non

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avviene per i rifiuti speciali, compresi gli assimilabili, che rimangono sempre responsabilità di chi effettivamente li produce o li detiene con tutti gli oneri che ne conseguono9.

Da un punto di vista di gestione, il rifiuto, speciale per origine, ma urbano in virtù dell’assimilazione, diviene a tutti gli effetti rifiuto urbano. Invece il rifiuto speciale assimilabile, non ancora assimilato quindi, può essere avviato autonomamente ad operazioni di recupero o di smaltimento a cura ed onere del produttore.

1.3 Rifiuti Pericolosi

La classificazione dei rifiuti pericolosi è un tema, molto controverso e complesso data: la responsabilità da parte del produttore primario di classificare ed etichettare i propri rifiuti, la recente armonizzazione della disciplina dei rifiuti con la disciplina dell’etichettatura delle sostanze e dei preparati chimici (c.d. Regolamento CLP) e, inoltre, a causa dei punti in comune con la normativa ADR che regolamenta il trasporto su strada delle merci pericolose. Il Decreto Legislativo 152/2006 definisce ex articolo 184 comma 4 i rifiuti pericolosi come “quelli che recano le caratteristiche di cui all'allegato I della parte quarta del presente decreto.”, ovvero, la sigla identificativa H seguita da un numero che va da 1 a 15 che corrisponde ad una caratteristica di pericolosità, i dettagli sono riportati nella Tabella 2.1:

Tabella 2.1 - Pericolosità e caratteristiche di pericolosità

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L’Allegato D alla parte quarta del D.lgs. 152/2006, rappresenta il cosiddetto Catalogo Europeo dei Rifiuti, e nell’introduzione, in riferimento al comma 5 dell’articolo 184, viene specificato che i rifiuti classificati come pericolosi sono identificati con un asterisco che segue il codice identificativo del rifiuto e che se un rifiuto è identificato come pericoloso mediante riferimento specifico o generico a sostanze pericolose, esso è classificato come pericoloso solo se le sostanze raggiungono determinate concentrazioni (ad esempio, percentuale in peso). Naturalmente, il Testo Unico Ambientale specifica ex articolo 184 comma 5-ter, il divieto di declassificazione di un rifiuto pericoloso a non pericoloso per diluizione o miscelazione che comporti una riduzione di concentrazione iniziali delle sostanze pericolose sotto le soglie che definiscono il carattere pericoloso del rifiuto.

1.4 Rifiuti non Pericolosi

Questa categoria viene individuata per sottrazione rispetto ai rifiuti classificati come pericolosi sulla base del Decreto Legislativo 152/2006.

2. Attribuzione del codice identificativo

Il Catalogo Europeo dei Rifiuti (CER) è la classificazione dei tipi di rifiuti secondo la direttiva 75/442/CEE, che definisce il termine rifiuti nel modo seguente: "qualsiasi sostanza od oggetto che rientri nelle categorie riportate nell'allegato I e di cui il detentore si disfi o abbia deciso o abbia l'obbligo di disfarsi". L'allegato I è noto comunemente come Catalogo Europeo dei Rifiuti e si applica a tutti i rifiuti, siano essi destinati allo smaltimento o al recupero. I codici CER sono delle sequenze numeriche, composte da 6 cifre riunite in coppie, volte ad identificare un rifiuto.

I codici, originariamente 839, sono inseriti all'interno dell'Elenco dei rifiuti istituito dall'Unione Europea con la decisione 2000/532/CE. Con la decisione 2014/955/Ue (entrata in vigore il 1º

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giugno 2015) sono stati aggiunti all'elenco tre nuovi codici (portando dunque l'elenco a 842 voci) e sono state modificate le descrizioni relative ad alcune voci esistenti. I codici CER si dividono in non pericolosi e pericolosi; i secondi vengono identificati graficamente con un asterisco "*" dopo le cifre.

La pericolosità di un rifiuto, quando non è determinabile dalle schede di sicurezza dei prodotti che lo costituiscono, viene determinata tramite analisi di laboratorio volte a verificare l'eventuale superamento di valori di soglia individuati dalle Direttive sulla classificazione, l'etichettatura e l'imballaggio delle sostanze pericolose. Questo si applica alle tipologie di rifiuti individuati da "codici CER a specchio", ossia una coppia di diversi codici CER che si riferiscono allo stesso rifiuto, uno (con asterisco) nel caso in cui esso sia pericoloso e l'altro (senza asterisco) nel caso in cui non lo sia. Altri tipi di rifiuti, invece, sono necessariamente pericolosi o non pericolosi in base alla loro tipologia e pertanto la loro classificazione non richiede analisi.

Concludendo i rifiuti identificati con codici senza asterisco non sono mai classificabili pericolosi; se il rifiuto (non domestico) nel CER è contrassegnato con l'asterisco ed è descritto con riferimento a sostanze pericolose, tale rifiuto è pericoloso solo se la o le sostanze pericolose sono presenti in concentrazioni che superano le soglie stabilite; in caso contrario non è pericoloso e deve essere attribuito un altro codice non contrassegnato da asterisco; se il rifiuto è contrassegnato con l'asterisco, ma non è descritto con riferimento a sostanze pericolose, tale rifiuto è sempre pericoloso.

3. Rifiuti sanitari

Con la riforma sanitaria del 1999, tramite la Legge 229/1999, si è continuato a perfezionare il percorso, iniziato con la riforma sanitaria del 1992, che ha visto l’evolversi delle strutture sanitarie in aziende, sia da un punto di vista prettamente giuridico-formale, vedi l’Istituzione tramite Atto Aziendale di diritto privato, sia da un punto di vista economico-produttivo.

I Rifiuti sanitari sono definiti come i rifiuti che derivano da strutture pubbliche e private, individuate ai sensi del D.lgs. 30 dicembre 1992, n 502 e successive modificazioni, che svolgono attività medica e veterinaria di prevenzione, di diagnosi, di cura, di riabilitazione e di ricerca.

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3.1 La normativa per la gestione dei rifiuti sanitari

La normativa speciale che regolamenta la gestione dei rifiuti ospedalieri è il DPR 15/07/2003 n. 254. Il DPR 254/2003 è entrato in vigore in una fase precedente l’emanazione del Testo Unico Ambientale (2006), quando ancora vigeva la precedente normativa, il D.lgs. 22/1997; pertanto ogni riferimento al Decreto Legislativo 05/02/1997 n. 22 si intende riferito alla Parte IV del Testo Unico Ambientale, D.lgs. 03/04/2006 n. 152 e successive modifiche ed integrazioni che lo ha sostituito.

Il DPR 15/07/2003 n. 254 è suddiviso in quattro capi e tre allegati:

Capi

I Disposizioni generali

II Rifiuti sanitari pericolosi a rischio infettivo

III

Rifiuti da esumazione e da estumulazione, rifiuti derivanti da altre attività cimiteriali, esclusi i rifiuti vegetali provenienti da aree cimiteriali, e rifiuti sanitari che richiedono particolari modalità di smaltimento

IV Disposizioni finali

Allegati

I Tipologie di rifiuti sanitari e loro classificazione (elenco esemplificativo)

II Rifiuti sanitari pericolosi non a rischio infettivo (elenco esemplificativo)

III Convalida e verifica dell’efficacia dell’impianto e del processo di sterilizzazione

3.2 Scopo e Definizioni

Il D.P.R. 254/2003 conferma e ribadisce i principi generali posti alla base della gestione, al comma 3 si legge infatti: “Le autorità competenti e le strutture sanitarie adottano iniziative dirette a favorire in via prioritaria la prevenzione e la riduzione della produzione dei rifiuti. I rifiuti sanitari devono essere gestiti in modo da diminuirne la pericolosità, da favorirne il

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reimpiego, il riciclaggio e il recupero e da ottimizzarne la raccolta, il trasporto e lo smaltimento. A tale fine devono essere incentivati:

a) l'organizzazione di corsi di formazione del personale delle strutture sanitarie sulla

corretta gestione dei rifiuti sanitari, soprattutto per minimizzare il contatto di materiali non infetti con potenziali fonti infettive e ridurre la produzione di rifiuti a rischio infettivo;

b) la raccolta differenziata dei rifiuti sanitari assimilati agli urbani prodotti dalle strutture

sanitarie;

c) l'ottimizzazione dell'approvvigionamento e dell'utilizzo di reagenti e farmaci per ridurre

la produzione di rifiuti sanitari pericolosi non a rischio infettivo e di rifiuti sanitari non pericolosi;

d) l'ottimizzazione dell'approvvigionamento delle derrate alimentari al fine di ridurre la

produzione di rifiuti alimentari;

e) l'utilizzo preferenziale, ove tecnicamente possibile, di prodotti e reagenti a minore

contenuto di sostanze pericolose;

f) l'utilizzo preferenziale, ove tecnicamente possibile, di plastiche non clorurate;

g) l'utilizzo di tecnologie di trattamento di rifiuti sanitari tendenti a favorire il recupero di

materia e di energia.

Ciò deve avvenire inoltre rispettando i criteri di economicità e sicurezza. Vengono inoltre esclusi dal campo di applicazione ex articolo 1 comma 2: i microrganismi geneticamente modificati e i sottoprodotti di origine animale non destinati al consumo umano, quali le carcasse degli animali da esperimento, le carcasse intere e le parti anatomiche, provenienti dall'attività diagnostica degli Istituti zooprofilattici sperimentali delle facoltà di medicina veterinaria ed agraria e degli Istituti scientifici di ricerca, mentre rientrano nel campo di applicazione i piccoli animali da esperimento ed i relativi tessuti e parti anatomiche, provenienti da strutture pubbliche e private, che svolgono attività medica e veterinaria di prevenzione, di diagnosi, di cura, di riabilitazione e di ricerca ed erogano le prestazioni di cui alla legge 23 dicembre 1978, n. 833 (Legge di riforma del Sistema Sanitario Nazionale).

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3.3 Classificazione dei rifiuti sanitari

Il D.P.R. 254/03 fornisce una classificazione generale dei rifiuti sanitari. Di seguito vengono riportate le categorie di rifiuti sanitari individuate dall’art. 1 comma 5 del D.P.R. 254/2003:

a) rifiuti sanitari non pericolosi;

b) rifiuti sanitari assimilabili agli urbani;

c) rifiuti sanitari pericolosi non a rischio infettivo; d) rifiuti sanitari pericolosi a rischio infettivo;

e) rifiuti sanitari che richiedono particolari modalità di smaltimento; f) rifiuti da esumazioni ed estumulazioni;

g) rifiuti speciali, prodotti esternamente alle strutture sanitari, che presentano un

rischio analogo a quello dei rifiuti sanitari pericolosi.

Nel presente documento si focalizzerà l’attenzione sui rifiuti appartenenti alle categorie a-e, in quanto la loro produzione è direttamente collegata alle strutture sanitarie.

3.3.1 Rifiuti sanitari non pericolosi e assimilati agli urbani

Ricadono in questa categoria tutti i rifiuti sanitari che non presentano caratteristiche di pericolosità. Una parte dei rifiuti sanitari non pericolosi, possono essere assimilati ai rifiuti urbani; in questo caso sono assoggettati al regime giuridico e alle modalità di gestione dei medesimi, sulla base delle caratteristiche quali-quantitative definite da ciascun regolamento del servizio pubblico di raccolta.

Lo stesso art. 2 comma 1 del DPR 254/2003, infatti alla lettera g), così definisce i rifiuti sanitari assimilati ai rifiuti urbani: i seguenti rifiuti sanitari qualora non rientrino tra quelli di cui alle lettere c) e d) (cioè i rifiuti pericolosi) assoggettati al regime giuridico e alle modalità di gestione dei rifiuti urbani:

i. i rifiuti derivanti dalla preparazione dei pasti provenienti dalle cucine delle strutture sanitarie;

ii. i rifiuti derivanti dall’attività di ristorazione e i residui dei pasti provenienti dai reparti

di degenza delle strutture sanitarie, esclusi quelli che provengono da pazienti affetti da malattie infettive per i quali sia ravvisata clinicamente, dal medico che li ha in cura, una patologia trasmissibile attraverso tali residui;

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iii. vetro, carta, cartone, plastica, metalli, imballaggi in genere, materiali ingombranti da

conferire negli ordinari circuiti di raccolta differenziata, nonché altri rifiuti non pericolosi che per qualità e per quantità siano assimilati agli urbani ai sensi dell’articolo 21, comma 2, lettera g, del D.lgs. 5 febbraio 1997, n 22 (sostituito dall’art. 98, comma 2 lettera g del D.lgs. 152/2006);

iv. la spazzatura;

v. indumenti e lenzuola monouso e quelli di cui il detentore intende disfarsi;

vi. i rifiuti provenienti da attività di giardinaggio effettuata nell’ambito delle strutture

sanitarie;

vii. i gessi ortopedici e le bende, gli assorbenti igienici anche contaminati da sangue esclusi

quelli dei degenti infettivi, i pannolini pediatrici e i pannoloni, i contenitori e le sacche utilizzate per le urine;

viii. i rifiuti sanitari a solo rischio infettivo assoggettati a procedimento di sterilizzazione

effettuato ai sensi della lettera m).

3.3.2 Rifiuti sanitari pericolosi

Comprendono i rifiuti sanitari pericolosi a rischio infettivo e non a rischio infettivo. I rifiuti sanitari pericolosi a rischio infettivo e a rischio infettivo taglienti e pungenti, costituiscono la componente più rilevante per pericolosità potenziale dei rifiuti sanitari. Si considerano rifiuti pericolosi a rischio infettivo e a rischio infettivo taglienti e pungenti, o che comunque possono comportare rischio sanitario per la salute pubblica, tutti i materiali che sono venuti a contatto con fluidi biologici infetti. Sono assimilabili ai rifiuti contaminati con fluidi biologici infetti anche tutti quei rifiuti che derivano da attività di laboratorio o di ricerca chimico biologica e che siano venuti a contatto con materiale biologico in genere10.

3.3.2.1 Rifiuti sanitari pericolosi non a rischio infettivo

I rifiuti sanitari pericolosi non a rischio infettivo sono costituiti da:

- rifiuti generati dalla sostituzione di filtri esausti delle cappe aspiranti di laboratorio; - rifiuti derivanti da attività di servizio, diagnostiche o tecniche svolte nelle strutture

sanitarie (ad esempio batterie al piombo o al nichel-cadmio);

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