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Il millantato credito del patrocinatore

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Academic year: 2021

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(1)

Trattato di diritto penale. Parte speciale

(2)

Direttore scientifico

Professore Pietro Perlingieri

Comitato Organizzatore

Professore Giovanni Bonilini Notaio Francesco Paolo Lops Notaio Pasquale Macchiarelli Notaio Gennaro Mariconda Notaio Gaetano Petrelli Professore Vincenzo Ricciuto Professore Giovanni Tatarano Notaio Bruno Volpe

(3)

III

DELITTI CONTRO

L’AMMINISTRAZIONE

DELLA GIUSTIZIA

a cura di

Vincenzo Maiello

e coordinato da

Giovanna D’Alfonso

(4)

Maiello, Vincenzo (a cura di)

Delitti contro l’amministrazione della giustizia Collana: Trattato di diritto penale. Parte speciale, III Napoli: Edizioni Scientifiche Italiane, 2014 pp. 668; 24 cm

ISBN 978-88-495-2895-4

© 2014 by Edizioni Scientifiche Italiane s.p.a. 80121 Napoli, via Chiatamone 7

00185 Roma, via dei Taurini 27

Internet: www.edizioniesi.it E-mail: info@edizioniesi.it

I diritti di traduzione, riproduzione e adattamento totale o parziale e con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm e le copie fotostatiche) sono riservati per tutti i Paesi.

Fotocopie per uso personale del lettore possono essere effettuate nei limiti del 15% di cia-scun volume/fascicolo di periodico dietro pagamento alla siae del compenso previsto dal-l’art. 68, comma 4 della legge 22 aprile 1941, n. 633 ovvero dall’accordo stipulato tra siae, aie, sns e cna, confartigianato, casa, claai, confcommercio, confesercenti il 18 di-cembre 2000.

(5)

Non ho mai compreso veramente il significato del pur accreditato assioma secondo cui cultura e pratica del diritto sarebbero in un rap-porto di assoluta alternatività. La cultura, nel senso dell’indagine sto-rica, delle implicazioni sistematiche, delle scelte di metodo e dell’ela-borazione teorico-generale, sarebbe appannaggio della speculazione dottrinale; viceversa, le problematiche ‘del diritto’ spetterebbero alla pratica.

Volendo soggettivizzare il discorso, è come voler dire che il teo-rico è colto, ma non sa di diritto, mentre il pratico è ignorante, ma sa di diritto: tutti possiamo convenire su quanto sia, almeno, stram-palata una conclusione del genere.

Eppure, se osserviamo la gran parte delle opere destinate alla ‘pra-tica’, non è difficile notare come da esse vengano quasi programma-ticamente bandite storia, sistematica, metodologia, teoria generale, che, d’altro canto, effettivamente non compaiono, di regola, nelle decisioni giurisprudenziali. Ma può essere questa una valida ragione per ri-nunciare alla conoscenza del diritto, per riri-nunciare alla conoscenza di ‘quel che si pratica’?

Io credo proprio di no.

Senza la cultura, non è possibile la conoscenza: non credo che si possa dubitare del fatto che, quanto all’esperienza giuridica, storia, politica del diritto, metodologia, dommatica, teoria generale, sistema-tica, siano coessenziali allo stesso dettato normativo, se del fenomeno giuridico si voglia avere piena conoscenza. Infatti la conoscenza del diritto va ben oltre la conoscenza della norma, essa riguarda, quanto meno, l’acquisizione di determinati canoni logici e/o teleologici che sono al di fuori della norma e sovente richiedono un lungo percorso di approfondimento anche di tipo extragiuridico, nonché l’acquisi-zione di strumenti di elaboral’acquisi-zione idonei a stabilire criteri di colle-gamento tra le varie norme. Tutto ciò serve almeno alla corretta in-terpretazione ed è, com’è noto, di regola, situato fuori della norma.

(6)

Così come fuori della norma è l’astrazione dommatica, che serve a dare un significato di armonica ragionevolezza a norme e complessi di norme; per non parlare del sistema, che rappresenta il momento della sintesi di tutte le componenti – normative e teoretiche – del fe-nomeno giuridico e dunque giuspenalistico. Tutto questo complesso di elementi chiama naturalmente in causa la civiltà, secondo i moduli della Kulturwissenschaft. E quanto ci sia bisogno di civiltà, special-mente per chi pratichi di diritto penale, è un dato drammaticaspecial-mente scontato nell’esperienza attuale.

Sergio Moccia

Presentazione 6

(7)

Introduzione

Vincenzo Maiello, Oggetto e scopi della tutela nei delitti

con-tro l’amministrazione della giustiza p. 000

Paola Primon, Omessa denuncia di reato da parte del

pub-blico ufficiale » 000

Paola Primon, Omessa denuncia da parte di un incaricato

di pubblico servizio » 000

Paola Primon, Omessa denuncia aggravata » 000

Paola Primon, Omessa denuncia di reato da parte del

cit-tadino » 000

Marcello Fattore, Omissione di referto » 000

Marcello Fattore, Rifiuto di uffici legalmente dovuti » 000

Luca della Ragione, Simulazione di reato » 000

Luca Masera, Calunnia e autocalunnia » 000

Antonio Nappi, Falso giuramento della parte » 000

Sabatino Romano, False dichiarazioni al P.M. » 000

Carlo Longobardo, Le false dichiarazioni al difensore » 000

Ombretta di Giovine, Il delitto di falsa testimonianza » 000

Vito Mormando, La falsa perizia o interpretazione » 000

Cristiano Cupelli, La frode processuale » 000

(8)

Donato D’Auria, False dichiarazioni o attestazioni in atti

destinati all’autorità giudiziaria » 000

Andrea Alberico, Le circostanze aggravanti » 000

Giuseppe Amarelli, La ritrattazione » 000

Stefano Fiore, Intralcio alla giustizia » 000

Antonino Sessa, Induzione a non rendere dichiarazioni o

a rendere dichiarazioni mendaci all’autorità giudiziaria » 000

Paolo Di Fresco, Il delitto di favoreggiamento personale » 000

Paolo Di Fresco, Il delitto di favoreggiamento reale » 000

Luca della Ragione, Patrocinio o consulenza infedele » 000

Luca della Ragione, Altre infedeltà del patrocinatore o

consulente tecnico » 000

Pasquale Troncone, Il millantato credito del patrocinatore » 000

Gianluca Perdonò, Casi di non punibilità » 000

Francesco Marco De Martino, Evasione, procurata

eva-sione e colpa del custode » 000

Andrea Abbagnano Trione, L’inosservanza dei

provvedi-menti giurisdizionali » 000

Fabrizio Rippa, Inosservanza di pene accessorie » 000

Fabrizio Rippa, Procurata inosservanza di pena » 000

Luca della Ragione, Agevolazione ai detenuti e internati

sottoposti a particolari restrizioni delle regole di tratta-mento e degli istituti previsti dall’ordinatratta-mento

peniten-ziario » 000

Alberto De Vita, Esercizio arbitrario delle proprie ragioni

con violenza sulle cose e con violenza o minaccia alle

per-sone » 000

Indice 8

(9)

Sommario: 1. – Previsione normativa e cenni storici sulla fattispecie incrimina-trice. 2. – Il concetto di millanteria tra iniziative corruttive e traffico di influenze. 3. – Il nuovo contesto teleologico del fatto incriminato. L’importanza del mutamento dei modelli processuali. 4. – Il soggetto attivo del reato e la qualifica della vittima. 5. – La condotta incriminata. 6. – Fattispecie soggettiva. 7. – L’evento e le modalità di consumazione del reato. 8. – La controversa configurabilità del tentativo. 9. – La categoria dei destinatari «fittizi» della condotta punita. 10. – Il concorso con altri reati.

1. Previsione normativa e cenni storici sulla fattispecie

incrimina-trice. – Il delitto di «Millantato credito del patrocinatore» è previsto

all’art. 382 del codice penale e punisce «il patrocinatore, che,

millan-tando credito presso il giudice o il pubblico ministero che deve con-cludere ovvero presso il testimone, il perito o l’interprete, riceve o fa dare o promettere dal suo cliente, a sé o ad un terzo, denaro o altra utilità, col pretesto di doversi procurare il favore del giudice o del pubblico ministero, o del testimone, perito o interprete, ovvero di do-verli remunerare, è punito con la reclusione da due a otto anni e con la multa non inferiore a euro 1.032»1. Questa fattispecie

incrimina-1Esistono in dottrina poche trattazioni specifiche della norma in esame, molto

spesso il suo esame è stato svolto all’interno della disciplina di categoria di appar-tenenza del millantato credito del patrocinatore. Si veda R. Pannain, Prevaricazione

e infedeltà dei patrocinatori, in Nuovo dig.it., X, Torino, 1939, p. 362; A. Jannitti

Piromallo, Delitti contro l’amministrazione della giustizia, in Trattato di diritto

pe-nale, IV, Milano, 1939, p. 279; R. Venditti, Infedeltà del patrocinatore o consulente tecnico, in Enc. del dir., XXI, Milano, 1971, p. 426; V. Manzini, Trattato di diritto penale italiano, 5ª ed. aggiornata da P. Nuvolone e G.D. Pisapia, vol. V, UTET,

To-rino, 1982, p. 1036; G. Fiandaca-E. Musco, Diritto penale, Parte speciale, II, Za-nichelli, Bologna, 2007, p. 399; F. Antolisei, Manuale di diritto penale. Parte

spe-ciale, II, ed. a cura di Luigi Conti, Giuffrè, Milano, 2003, p. 510; G. Piffer, I de-litti contro l’attività giudiziaria, in Trattato di diritto penale, parte speciale, diretto

da Giorgio Marinucci e Emilio Dolcini, Cedam, Padova, 2005, p. 843; R. Rosi, Brevi

Pasquale Troncone

(10)

trice è rubricata sotto il Capo I «Dei delitti contro l’attività

giudi-ziaria» del più ampio Titolo III «Dei delitti contro l’amministrazione della giustizia», compreso nel Libro II del codice penale vigente e il

suo ruolo punitivo ruota intorno al carattere centrale e allo stesso tempo elemento specializzante costituito dalla figura del patrocina-tore che, quale soggetto agente, ingannando il suo cliente, promette di far valere la propria influenza presso uno dei diversi soggetti pro-cessuali indicati dalla norma, al fine di procurarsi il proprio favore. Il delitto in esame, infatti, è una di quelle ipotesi di reato caratteriz-zate da un profilo di specialità unilaterale rispetto alla più ampia e generale descrizione normativa del reato di millantato credito previ-sto sotto la rubrica dell’art. 346 del codice penale. La norma in esame ritrova la sua collocazione sistematica in quell’ampio ventaglio di ipo-tesi di reato che incentrano il disvalore penale della condotta sui con-cetti concorrenti di «prevaricazione» e di «infedeltà» dei soggetti chia-mati a svolgere la proprie funzioni collaborando con gli organi giu-diziari2.

La disposizione dell’art. 382 c.p. ritrova in effetti il suo antece-dente normativo nella previsione dell’art. 224 del codice penale Za-nardelli del 1889 che, sempre sotto il Titolo «Dei delitti contro

l’am-ministrazione della giustizia», al Capo V rubricato «Della prevarica-zione», conteneva la medesima descrizione del fatto incriminato3. Sotto

tale veste il delitto commesso dal patrocinatore delineava una ipotesi speciale rispetto al reato previsto al precedente art. 204 c.p. che pu-niva il millantato credito presso il pubblico ufficiale. Va rilevato che la previsione incriminatrice apparteneva alla tradizione legislativa pre-unitaria, in quanto il codice penale sardo-piemontese, esteso alle nuove

Pasquale Troncone 898

note sui reati di prevaricazione del patrocinatore: tra millanteria e infedeltà, in Dir. e formazione, 2003, p. 1586; G.P. Augenti, Millantato credito del patrocinatore, in Riv.pen., 1947, p. 522; D. Zotta, Millantato credito del patrocinatore, in I delitti contro l’amministrazione della giustizia, a cura di Franco Coppi, Torino, 1996, p.

485. Per quanto concerne l’indagine più ampia sul concetto di millanteria, si veda P. Semeraro, Il delitto di millantato credito e traffico di influenza, Giuffrè, Milano, 2000; C. Pedrazzi, Millantato credito, trafic d’influence, influence peddling, in Riv.

it. dir. e proc. pen., 1968, p. 913; R. Rampioni, Millantato credito, in Digesto pen.,

VII, Torino, 1993, 648.

2M.C. Del Re, Patrocinio o consulenza infedele e le altre infedeltà del

patroci-natore o del consulente tecnico, in I delitti contro l’amministrazione della giustizia,

a cura di Franco Coppi, Torino, 1996, p. 468. F. Antolisei, Manuale di diritto

pe-nale. Parte speciale II, a cura di C.F. Grosso, Giuffrè, Milano, 2008, p. 562.

(11)

provincie italiane nel 1859 (prodotto della riformulazione dell’origi-nario codice penale Sardo del 1839), conteneva a sua volta la iden-tica previsione agli artt. 313 e 314. Tuttavia il successivo codice Za-nardelli del 1889 ebbe il merito di collocare la figura del millantato credito del patrocinatore nell’ambito dei reati contro l’amministra-zione della giustizia sottraendola al novero delle norme incriminatrici in materia di delitti contro la pubblica amministrazione, nella parte relativa agli abusi commessi dagli avvocati e dai «causidici»4. In

ra-gione di una nuova e più precisa collocazione sistematica del reato la figura del patrocinatore doveva essere qualificata come autore in senso stretto, mantenendo al di fuori dell’area di punibilità altre fi-gure del rapporto processuale come il consulente tecnico, la cui con-dotta illecita trovava la sua incriminazione nell’ampio spettro del de-litto di millantato credito5.

2. Il concetto di millanteria tra iniziative corruttive e traffico di

influenze. – Vi è un’esigenza di carattere generale che l’ordinamento

giuridico tende ad affermare con la norma in esame, quella di offrire protezione ai pubblici poteri contro atteggiamenti che potrebbero danneggiarne l’immagine e il decoro. Il fine della norma incrimina-trice, ma di tutte quelle che si ispirano allo stesso principio, è rap-presentato dal fatto di impedire che si possa ritenere soltanto in ipo-tesi possibile la corruttibilità del giudice o comunque di tutte le fi-gure istituzionali che costituiscono il quadro delle diverse posizioni nell’ambito di un procedimento giudiziario. Il traffico di influenza o la venditio fumi trova le sue radici storiche nel diritto romano che originariamente individuò i requisiti della condotta da reprimere nel fatto che un soggetto riferisse al suo assistito di poter vantare in-fluenza e di poter svolgere opera di pressione, dietro adeguata

pre-Il millantato credito del patrocinatore 899

4Sul punto la relazione del Guardasigilli Alfredo Rocco è particolarmente

indi-cativa, come specificamente riportato in Relazione ministeriale sul progetto del

co-dice penale, II, p. 178: «Si attribuisce prevalenza alla lesione giuridica, che viene

ca-gionata al prestigio dell’Autorità. Ed è questa la ragione per cui, contro il parere di coloro che in tale fatto vorrebbero scorgere niente altro che una ipotesi aggravata di millantato credito, ho mantenuto la configurazione di un delitto a sé stante, nella classe dei delitti contro l’amministrazione della giustizia».

5Relazione ministeriale cit.: «Soggetto attivo è il solo patrocinatore, non più il

consulente tecnico, avendosi qui riguardo ai rapporti tra il colpevole e l’Autorità giu-diziaria…… Se, nella esecuzione del suo mandato, il consulente tecnico commettesse un millantato credito, sarebbe punibile con la sanzione stabilita per il reato comune di millantato credito».

(12)

stazione di danaro, anche se tale opera in realtà non fosse svolta, nei confronti dell’Autorità6. Benché il soggetto istituzionale non rientrava,

come anche oggi non vi rientra in alcun modo, nella vicenda ipotiz-zata dal millantatore, deve comunque trovare un’adeguata punizione il comportamento di chi convince terzi della corruttibilità o della per-meabilità alterativa del sistema giudiziario.

Resta tuttavia evidente che la condotta di corruzione è cosa on-tologicamente diversa dalla condotta di millanteria, allo stesso modo in cui il disvalore giuridico del fatto corruttivo è di gran lunga più significativo di quello di vanteria. La partecipazione del soggetto isti-tuzionale al fatto incriminato determina una sicura cesura tra una si-tuazione che mette in discussione l’integrità dell’Autorità e un fatto che artificiosamente viene messo in piedi dall’agente per convincere di possedere le giuste credenziali per influenzare la decisione giudi-ziaria. Dunque diversa posizione del rappresentante dell’Autorità, dif-ferenza tra fatto vero e fatto artificiosamente rappresentato, e una de-cisa diversità, quasi di tipo naturalistico, tra le due ipotesi incrimi-nate. Ed infatti, se da una condotta millantatoria dovesse seguire una concreta offerta o promessa rivolta al pubblico ufficiale, si verserebbe senza alcun dubbio in una duplice ipotesi di reato, chiamate a con-correre tra loro, anche per la evidente e diversa connotazione di of-fensività dei due distinti delitti di millantato credito del patrocinatore e di corruzione7.

Sul piano sistematico resta da considerare che le due fattispecie in-criminatrici sono strutturate in modo tale che il momento consuma-tivo di ciascuna è indipendente rispetto ai requisiti di tipicità e cro-nologicamente differenziati in ordine al momento dell’offesa. Nes-suna delle due norme contiene per intero il contesto degli elementi costitutivi e comunque il millantato credito è destinato ad essere rea-lizzato in un momento diverso da quello in cui si realizza la con-dotta corruttiva, non fosse altro per la mancata partecipazione del terzo alla vicenda di corruzione che vede unicamente il patrocinatore e il pubblico ufficiale. Diversamente si tratterebbe senza alcun dub-bio di una corruzione consumata da due soggetti attivi in concorso tra loro, dove la vittima del millantato muta la sua posizione in quella di soggetto agente della corruzione. Nella norma che punisce il

mil-Pasquale Troncone 900

6 L’accurata indagine storica è tracciata da P. Semeraro, I delitti di millantato

credito cit., p. 5 e ss.

7F. Tagliarini, Millantato credito, in Enc. del dir., XXVI, Giuffrè, Milano, 1976,

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lantato credito del patrocinatore vi è compreso solo la circostanza della corruzione come mero pretesto ad agire per ottenere un atteg-giamento favorevole, non un preciso accordo negoziale con il pro-prio assistito che equivarrebbe a concorso nel reato di istigazione alla corruzione. Queste sono le ragioni per cui i momenti realizzativi dei due fatti illeciti sono diversi e la posizione del patrocinatore finisce per essere equidistante tra quella del suo assistito e il soggetto isti-tuzionale.

3. Il nuovo contesto teleologico del fatto incriminato. La decisiva

importanza del mutamento dei modelli processuali. – La norma che

punisce il millantato credito del patrocinatore si trova oggi a vivere in un tessuto normativo e di valore completamente diverso da quello che connotava l’ordinamento legislativo penale del 19308. Non solo

per la naturale evoluzione che ha subito nel corso del tempo l’assetto normativo del diritto penale sostanziale, ma soprattutto per la radi-cale modifica culturale che ha caratterizzato il modello processuale italiano a partire dall’entrata in vigore del codice di rito del 1989, per finire alla modifica costituzionale dell’art. 111 Cost. che impegna l’or-dinamento giuridico italiano a conformarsi al principio del «giusto

processo»9. Il contesto di appartenenza impone una radicale

rivisita-zione dell’assetto teleologico e della finalità della norma.

Con la legge costituzionale n. 2 del 23 novembre 1999 il Parla-mento italiano ha sancito a livello di legge fondamentale dello Stato un principio di garanzia assoluto che trova la sua naturale colloca-zione nell’alveo della giurisdicolloca-zione italiana e, in particolare con gli ul-timi tre commi della complessa previsione normativa, nell’ambito della giurisdizione penale10. Seppure con un ritardo di circa dieci anni

dal-l’introduzione del codice di rito vigente esiste un paradigma costitu-zionale che oggi può decisamente orientare sia le scelte del legisla-tore in materia processuale che la giurisprudenza della Corte Costi-tuzionale chiamata molto spesso a colmare vuoti normativi. Si tratta

Il millantato credito del patrocinatore 901

8M. Boscarelli, La tutela penale del processo, Giuffrè, Milano, 1951. 9G. Riccio, Diritto al contraddittorio e riforme costituzionali, in Politica del

di-ritto, 1999, p. 483. P. Ferrua, Il processo penale dopo la riforma dell’art. 111 della Costituzione, in Questione giustizia, 2000, p. 49. G. Di Chiara, Una introduzione al sistema penale. Per una lettura costituzionalmente orientata, Jovene, Napoli, 2003,

p. 339.

10M. Cecchetti, Giusto processo (dir. cost.), in Enc. Del dir., appendice V,

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senza alcun dubbio di una profonda innovazione che precedente-mente, in assenza di un referente normativo sovraordinato, consen-tiva scelte non sempre in linea con la filosofia che animava l’azione riformatrice del processo in Italia.

Il codice di procedura penale approvato con il DPR n. 447 del 22 settembre 1988 ed entrato in vigore l’anno successivo intendeva, prima di ogni altra cosa, conferire centralità al momento dell’acquisizione della prova da parte del giudice terzo, attraverso il metodo di for-mazione della prova della responsabilità penale dell’imputato dedotta dal contraddittorio tra le parti, superando lo schema tradizionale del modello inquisitorio in cui la prova è raccolta unicamente dall’auto-rità che procede senza alcuna forma di partecipazione di soggetti che ne potrebbero contestare il contenuto o la valenza11.

In realtà, al di là di affermazione pleonastiche, una delle quali vuole che il processo per essere garantito debba essere «giusto», il legisla-tore costituzionale ha impresso un deciso carattere di novità al pro-cesso penale italiano, confermando in fondo la linea di tendenza che si era consolidata a livello di legge ordinaria con il codice di proce-dura penale. Diversamente dai riferimenti culturali del passato che ve-devano il processo come uno strumento in grado di garantire la pa-cificazione sociale attraverso la risoluzione di conflitti, oggi la fun-zione privilegiata è individuata nella «ricerca della verità», attraverso il ricorso a strumenti metodologici fondati sul confronto delle tesi e delle opposte ragioni sostenute tra le parti in causa12.

Ne consegue che si afferma come inscindibile il nesso tra il con-cetto di verità, da intendersi quale corrispondenza con la realtà, e il contraddittorio, come metodo privilegiato e costituzionalmente preor-dinato per la ricerca della verità.

A ben vedere la verità, inquadrato come obiettivo del processo penale da conseguire attraverso una metodologia che garantisca la

par-Pasquale Troncone 902

11T. Viehweg, Topica e giurisprudenza, Giuffrè, Milano, 1962.

12 G. Ubertis, La ricerca della verità giudiziale, in La conoscenza del fatto nel

processo penale, a cura di G. Ubertis, Giuffrè, Milano, 1992. V. Maiello, Il con-traddittorio nella Costituzione: una riforma tra politica, diritto penale e processo, in Critica del dir., 1999, p. 200. P. Ferrua, Processo penale e verità. Nota in margine alla riforma del giusto processo, in Democrazia e diritto, 2000, p. 207. M.E.

Vene-roni, «Giusto» processo e processo «vero»: un’antitesi davvero insuperabile?, in La

giustizia penale, 2002, p. 167. Per verificare come le regole processuali finiscono per

permeare il tessuto del diritto sostanziale, come sarà evidente per l’ipotesi di reato al nostro esame, è particolarmente significativo il lavoro di G. Amarelli, La

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tecipazione di tutti gli interessati al giudizio e che abilita con gli stessi poteri tutte le parti in causa, è un concetto destinato ad acquisire au-tonoma rilevanza come valore di rango costituzionale13. Il momento

di equilibrio tra finalità e metodo finisce inevitabilmente per riverbe-rare sui profili del diritto sostanziale del «fatto» da sottoporre a ve-rifica in sede processuale. Questo in realtà si presenta oggi come il punto di saldatura tra due settori normativi considerati tradizional-mente l’uno distinto dall’altro, diritto sostanziale e diritto processuale, ma che esprimono una comune esigenza di legalità, fino ad imporre un percorso analitico che abbia come unico scopo quello di control-lare la verità del fatto esaminato, condizione essenziale perché si possa poi procedere all’opera di sussunzione del fatto concreto sotto la fat-tispecie astratta prevista e punita dal legislatore14. E l’opera di

sus-sunzione, e dunque l’accertamento della responsabilità penale del-l’imputato, sarà tanto più corretta ed affidabile quanto più il metodo del contraddittorio rettamente seguito sarà in grado di validare e di riscontrare quella tra le opposte tesi proposte nella dialettica processuale.

In tal modo la ricostruzione sistematica del processo, nei suoi aspetti sostanziale e procedimentale, passa attraverso una lettura in-tegrata dei diversi paradigmi costituzionali, tra i quali si distingue principalmente il dettato dell’art. 25 Cost. come impegno dell’ordi-namento di dettare regole omogenee per il conseguimento del me-desimo fine. Questa è la ragione per cui è possibile individuare la ra-dice di un’unica funzione che, pur proiettando la sua ombra su di un duplice piano, è volta ad assicurare un comune obiettivo, tale che: «certezza della legge e certezza dell’accertamento sono tutt’uno»15.

Negli ultimi anni la giurisprudenza della Corte Costituzionale si è distinta per la particolare considerazione che ha riconosciuto al con-cetto di verità, soprattutto in ordine al metodo di formazione della prova attraverso il contraddittorio tra le parti16. Tuttavia non sono

mancati casi in cui il giudice delle leggi sembra abbia riconosciuto un

Il millantato credito del patrocinatore 903

13A tale proposito si discute dell’»ideale regolativo del processo» in P. Ferrua,

Processo penale e verità, cit., p. 209. In termini analoghi L. Ferrajoli, Diritto e ra-gione. Teoria del garantismo penale, Roma-Bari, 1989, p. 16 e ss.

14S. Moccia, Verità sostanziale e verità processuale, in Il diritto e la differenza.

Scritti in onore di Alessandro Baratta, a cura di R. De Giorgi, Lecce, 2002.

15D. Pulitanò, Sui rapporti tra diritto penale sostanziale e processo, in Riv. it.

dir. e proc. pen., 2005, p. 954.

16 M. Griffo, Dalla «irragionevolezza» della Corte Costituzionale alla unicità

del contraddittorio come «metodo» di formazione della prova, in Quaderni di scienze penalistiche, Napoli, 2008, p. 283.

(16)

interesse prevalente nella ricerca della verità, rispetto alla necessità di affermare come presupposto indispensabile di un processo giusto la formazione della prova della responsabilità penale attraverso il con-creto istaurarsi del contraddittorio dibattimentale.

A tale conclusione il Giudice delle leggi è pervenuto con la sen-tenza n. 255 del 199217. La portata di questa decisione, oggetto di

una lunga querelle nel dibattito scientifico, deve essere opportuna-mente ridimensionata a favore di una lettura attenta della motivazione che, seppure sbilanciata a favore di soluzioni che privilegiano il pro-filo pragmatico, nella sostanza conferma ancora una volta il vincolo indissolubile tra verità e contradditorio come mezzo di ricerca. In realtà quella prima affermazione di principio verrà successivamente confermata da una successiva sentenza della Corte Costituzionale, la n. 241 del 199418. Probabilmente le decisioni in esame rappresentano

un deciso spartiacque posto tra l’orientamento maturato precedente-mente dalla Consulta, secondo cui il prevalente interesse del processo penale era fondato sul principio di «non dispersione della prova», ed il nuovo panorama aperto dall’art. 111 Cost. che, viceversa privilegia la formazione della prova in dibattimento. Il caso era sorto sulla uti-lizzabilità o meno delle dichiarazioni rese da un testimone prima del dibattimento, quindi se tali dichiarazioni potevano essere o meno in-serite direttamente nel fascicolo del dibattimento nonostante fossero state rese in una fase antecedente. La Corte nel ritenere utilizzabili tali atti, diversamente da quanto sembrava dedurre dalla disciplina dell’art. 500 c.p.p., successivamente affermava: «l’oralità, assunta a

principio ispiratore del nuovo sistema, non rappresenta, nella disciplina del codice, il veicolo esclusivo della formazione della prova nel di-battimento, perché il fine primario e ineludibile del processo penale non può che rimanere quello della ricerca della verità». A ben vedere

le ragioni dedotte in occasione dello scrutinio di legittimità militano tutte a favore dell’interesse alla verità, poiché si ritengono utilizzabili proprio quegli elementi di prova caratterizzati dalla genuinità – dalla verità –, anche se acquisiti in una fase diversa da quella del dibatti-mento che, viceversa, potrebbe pregiudicare quella originaria

genui-Pasquale Troncone 904

17 Corte Cost., sent. n. 255 del 3 giugno 1992, in www.cortecostituzionale.it.

G. Di Chiara, »Giusto processo», «giusta decisione», e riti «a prova contraria», in

Il giusto processo. Atti del Convegno presso l’Università di Salerno (1996), Milano,

1998, p. 227.

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nità a causa della possibile intimidazione del testimone costretto a ri-trattare.

È dunque evidente che l’ipotesi di reato al nostro esame che pre-vede la punizione di colui che con la sua condotta mina la credibi-lità dell’azione giudiziaria, millantando la sua capacità di compro-mettere il corretto svolgimento del processo e soprattutto la genui-nità della prova raccolta oppure di riuscire ad influenzare uno dei soggetti operanti, è destinata ad un inquadramento di valore diverso da quello della tradizione. Il tessuto normativo, a partire dalla disci-plina dell’art. 111 Cost. per finire alle norme del codice di rito, im-pone un inquadramento sistematico significativamente nuovo e di-verso19. Ritenuto ormai insufficiente il quadro dei valori dedotti dal

titolo del codice penale dei «Delitti contro l’amministrazione della

giustizia», e prende corpo invece un’esigenza di tutela rafforzata dal

nuovo paradigma costituzionale che non tiene soltanto in considera-zione l’assetto delle condizioni operative dell’apparato giudiziario ma la stessa finalità ultima del processo penale, appunto la verità.

Senza alcun dubbio la moderna collocazione tematica del millan-tato credito del patrocinatore risponde a ideali alti, in grado di co-niugare i diritti fondamentali della persona umana e lo spirito de-mocratico cui si ispira l’ordinamento giuridico e istituzionale italiano. Ritenuto, infine, il vincolo tra la funzione teleologica della fatti-specie incriminatrice e il profilo sanzionatorio, il segnale che l’agente lancia con la sua condotta è sotto il profilo general-preventivo estre-mamente negativo, poiché legittima l’ipotesi che l’ideale della giusti-zia, chiamata a perseguire la verità come finalità del processo, può essere agevolmente compromessa dall’influenza che si potrebbe eser-citare su uno dei diversi soggetti della compagine processuale.

4. Il soggetto attivo del reato e la qualifica della vittima. – Il

de-litto di millantato credito del patrocinatore richiede la sua realizza-zione da parte di un soggetto che rivesta una specifica qualità per-sonale, quella appunto di patrocinatore, per cui appartiene alla cate-goria dei reati propri, ossia quegli illeciti penali che possono essere consumati soltanto da coloro che vengono indicati espressamente dalla norma, rivestono determinate qualifiche o qualità personali.

Questa disposizione può trovare applicazione soltanto per la

ca-Il millantato credito del patrocinatore 905

19Si veda sul tema F. Siracusano, Studio sui reati contro la giurisdizione,

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tegoria dei patrocinatori, mentre deve essere decisamente esclusa la sua applicabilità alle categorie soggettive diverse, quali potrebbero es-sere i consulenti tecnici. Due sono fondamentalmente le ragioni che militano in tal senso. In primo luogo il contenuto della descrizione normativa del precetto enuncia tassativamente soltanto la figura del patrocinatore, diversamente si violerebbe il principio di legalità for-male della norma penale; in secondo luogo è la stessa Relazione mi-nisteriale al codice – voluntas legis – che spiega le ragioni di una tale scelta e prescrive che la responsabilità penale del consulente tecnico per i fatti di cui all’art. 382 c.p. sia da rinvenire nell’art. 346 c.p. che punisce le condotte di millantato credito20. Le condotte di infedeltà

del consulente tecnico sono invece specificamente punite dall’art. 381 c.p.

La qualifica soggettiva di patrocinatore è rivestita unicamente da coloro che sono abilitati dall’ordinamento giuridico a difendere o ad assistere le parti innanzi all’Autorità giudiziaria penale, civile o am-ministrativa. Si tratta, dunque, di una categoria di soggetti che deve conseguire preliminarmente il titolo abilitativo e poi legittimamente svolgere la professione di avvocato nell’ambito dei diversi settori della giurisdizione. Il patrocinatore può essere l’avvocato di propria fidu-cia nominato dal cliente o anche il difensore d’ufficio la cui nomina deriva direttamente dalla giurisdizione in mancanza di un difensore di fiducia.

Oltre che un professionista del libero Foro, secondo il tenore let-terale della norma, allo stesso modo può rispondere del delitto l’av-vocato dipendente dall’Avvocatura Generale o Distrettuale dello Stato. È da escludere invece che il reato possa essere consumato allorché il patrocinatore assista il suo cliente innanzi all’autorità amministrativa a seguito della proposizione di un ricorso. Il discrimine è rappresen-tato dalla funzione giurisdizionale, mentre in quest’ultimo caso si versa nell’ambito dello svolgimento di una tipica funzione di natura amministrativa. Sempre circa l’area di punibilità del fatto incriminato resta da valutare la sostenibilità dell’applicazione della fattispecie al patrocinatore che proponga, in via alternativa a quella giurisdizionale, un ricorso straordinario al Presidente della Repubblica21. Nell’ambito

di tale procedura si instaura un vero e proprio procedimento innanzi al Consiglio di Stato per il quale il patrocinatore è abilitato a

inter-Pasquale Troncone 906

20Lavori preparatori del codice penale e del codice di procedura penale, V, Pt. II,

Roma, 1929, p. 178 e ss.

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venire con memorie e a rappresentare il proprio assistito come av-viene con le forme della giurisdizione. Si deve ritenere, tuttavia, che benché il segmento in questione rivesta il carattere giurisdizionale, a prevalere è la natura dell’atto finale della procedura, ossia l’atto am-ministrativo che decide del ricorso, per cui non appare configurabile il delitto in esame per un difetto di tipicità del fatto concreto rispetto alla norma incriminatrice che fonda il suo presupposto applicativo unicamente sulla giurisdizione.

Allo stesso modo deve essere esclusa l’applicabilità della norma in esame sia ai casi di patrocinio innanzi a Commissioni di disciplina insediate dalla Pubblica Amministrazione per valutare la rilevanza di violazioni disciplinari, sia davanti alle Commissioni di conciliazione in materia di lavoro subordinato e sia, infine, davanti al conciliatore nella procedura preliminare alla giurisdizione seppure contenziosa.

Quanto al possesso dei requisiti soggettivi rivestiti dal soggetto at-tivo non è sufficiente la qualità professionale legittima posseduta dal patrocinatore ma occorre, ad avviso della dottrina prevalente, che si sia instaurato anche un corretto rapporto giuridico di tipo contrat-tuale tra il patrocinatore ed il cliente22. Ed infatti, tale certezza la si

ricava dal fatto che l’enunciato normativo non indica genericamente, come poteva essere possibile, il soggetto passivo nella «parte proces-suale» ma indica tassativamente il termine molto più ampio di «cliente». Da un punto di vista categoriale l’area applicativa sembra in questo modo essere più ampia di quella ristretta al termine «parte». Per quanto concerne poi la qualità soggettiva della vittima occorre un rapporto giuridicamente qualificato, rilevante per l’ordinamento giu-ridico e cioè che si tratti di una persona che intrattenga un rapporto di natura contrattuale con il patrocinatore, al quale ha conferito espresso mandato di essere difeso e rappresentato nel corso di un giudizio. La qualifica di «cliente», infatti, può essere acquisita sol-tanto da una parte contrattuale che riconosce nella controparte il pro-fessionista abilitato a svolgere una difesa nell’ambito di una proce-dura giudiziaria di natura penale, civile o amministrativa.

5. La condotta incriminata. – Tra gli elementi di tipicità del fatto

incriminato quello della condotta del soggetto agente è certamente il requisito strutturale che presenta le maggiori problematicità sul piano applicativo. Diversamente dalla normalità dei casi la rubrica che

de-Il millantato credito del patrocinatore 907

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finisce la figura di reato in esame tradisce il reale contenuto del pre-cetto della fattispecie incriminatrice. Il millantato credito del patroci-natore, sembra rinviare direttamente alla fattispecie del delitto di

«Mil-lantato credito» prevista all’art. 346 c.p. e in modo particolare al

se-condo comma di tale norma. A ben vedere, infatti, non appare as-sumere rilievo una particolare modalità che la renda tipica e diversi-ficata rispetto ad altre previsioni normative poiché anche con l’art. 382 c.p. il disvalore della condotta è imperniato essenzialmente sulle modalità di inganno in cui viene tratta la vittima ricorrendo all’uso strumentale della millanteria, vale a dire la sua capacità di interferire sulle decisioni del soggetto istituzionale.

Secondo l’orientamento giurisprudenziale non occorre che la mil-lanteria sia esplicita, è sufficiente che «l’agente dia ad intendere di

avere la possibilità di influire sul pubblico funzionario», anche con

al-lusioni indirette o implicite. Una tale affermazione pone l’accento sulla natura della condotta, se attiva o anche omissiva. Sostiene a tale proposito la Suprema Corte che il reato, «pur non potendo

qualifi-carsi come meramente omissivo, può tuttavia manifestarsi come com-missivo attraverso millanterie implicite», confermando la sua natura

esclusivamente di reato di azione23.

Questa figura di reato, accanto ai precedenti delitti previsti agli artt. 380 e 381 c.p., viene tradizionalmente considerata tipica dell’at-teggiamento di prevaricazione che il patrocinatore assume nei con-fronti del proprio assistito.

Il legislatore disegna un quadro comportamentale del soggetto at-tivo particolarmente composito, volendo in questo modo annoverare tutte le possibili condotte che trovano la propria ragione nell’inganno della vittima e nell’atteggiamento di vanteria e di millanteria per il conseguimento di un risultato che non sarebbe stato raggiunto di-versamente, ma che in realtà si realizza a prescindere dall’intervento del patrocinatore. La norma in questo modo punisce chi utilizza ai danni della vittima l’esito favorevole di una vicenda giudiziaria che non ha contribuito in alcun modo a realizzare, «vendendo fumo» os-sia ricavando un vantaggio convincendo la vittima di esserne stato il vero artefice.

Volendo analizzare con cura l’effettiva differenza della condotta che caratterizza le due figure di reato, il «Millantato credito» – so-prattutto nel suo secondo comma – e il «Millantato credito del

pa-Pasquale Troncone 908

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trocinatore» non sembra rilevino sostanziali differenze, ma anzi per

certi versi appaiono esattamente sovrapponibili. Posto in premessa che l’unica diversità è stabilita dalla qualifica professionale del sog-getto agente e che su questo si appunta il criterio di specialità che rende operativa la norma prevalente, occorre comunque verificare se esistano dei dettagli che rendono diverse le due ipotesi di reato.

Alla luce della diversa impostazione che ha caratterizzato il pro-cesso penale degli ultimi anni e in presenza di una figura professio-nale che si è andata arricchendo di nuovi contenuti operativi e che si muove sul terreno specifico degli interessi dell’amministrazione della giustizia, la previsione di questo reato trova una più adeguata di-mensione sistematica.

6. Fattispecie soggettiva. – Il delitto di millantato credito del

pa-trocinatore è una figura di reato caratterizzata dal dolo ossia dalla volontà di conseguire, per sé o per un terzo, del danaro o altra uti-lità dal suo cliente. Si tratta di dolo generico che, ai sensi dell’art. 43 c.p., giustifica la sua sussistenza allorché l’evento che caratterizza la fattispecie incriminatrice è dall’agente preveduto e voluto come con-seguenza della sua condotta. La punibilità del soggetto agente a ti-tolo di dolo generico esprime una decisa scelta in termini di politica criminale da parte del legislatore, il quale non limita la sussistenza dell’illecito penale, come avrebbe potuto procedere legando il delitto alla figura del dolo specifico, ma espande l’area di incriminazione fino a ricomprendervi tutte le figure del dolo indiretto.

Resta il fatto che la norma non esige che, oltre al conseguimento o la sola promessa del profitto, intervenga anche la effettiva offesa o il discredito dell’amministrazione della giustizia o de i soggetti che in essa agiscono. Ai fini della configurabilità dell’evento in senso con-creto è sufficiente che l’agente consegua la finalità di illecito profitto che segnerà al tempo stesso la lesione del bene giuridico costituito dal prestigio della giustizia.

7. L’evento e le modalità di consumazione del reato. – L’effettivo

conseguimento del profitto o la promessa di fare fronte alla richiesta rappresenta l’evento del reato24. Per quanto invece attiene al momento

consumativo il delitto dell’art. 382 c.p. si consuma nel luogo e nel

Il millantato credito del patrocinatore 909

24C. Pedrazzi, La promessa del soggetto passivo come evento nei delitti contro

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tempo in cui il patrocinatore riceve quanto stabilito o si fa promet-tere dal cliente il vantaggio per sé o per un terzo. Non può essere escluso che il patrocinatore si possa avvalere dell’intervento di un mandatario pere riscuotere quanto concordato. In tale caso il man-datario può essere chiamato a rispondere del reato a titolo di con-corso di persone nel caso in cui sia il terzo destinatario del profitto o abbia elaborato con il patrocinatore il piano illecito ai danni del cliente. Nessuna responsabilità e nessun titolo di reato sarà allo stesso addebitabile se abbia agito ignaro di quanto preordinato dal patroci-natore. Pertanto la posizione dei due soggetti rispetto al fatto incri-minato e ai rapporti con la vittima deve passare al vaglio della disci-plina normativa stabilita dalle regole del concorso di persone nel reato prevista all’art. 110 del codice penale.

Il contenuto della dazione o della promessa possono essere il da-naro o qualsiasi altra utilità, con il quale il patrocinatore realizza il vantaggio personale o per un terzo, oppure li finalizza a remunerare il soggetto istituzionale presso il quale si impegna d intervenire. Il danaro rappresenta il mezzo tradizionale per la realizzazione del pro-fitto, mentre appare del tutto priva di precisione la categoria indicata di «altra utilità». Normalmente il concetto che ne risolve il conte-nuto, tenendo anche conto di previsioni che contengono il medesimo requisito, è quello di un qualsiasi vantaggio che possa procurare al destinatario, di ordine materiale o anche morale. La Suprema Corte di Cassazione non esclude che nell’ampia categoria di utilità vi possa anche rientrare la prestazione sessuale25.

In ordine poi alla fondatezza e alla serietà della promessa, perché possa assolvere al ruolo di requisito di configurabilità del reato, que-sta deve essere ritenuta sussistente e impegnativa soltanto quando sia valida, cioè sia stata assunta in maniera volontaria dal cliente e il con-tenuto della futura prestazione sia certo, determinato o determina-bile26. È evidente che nessuna indagine può essere condotta circa i

requisiti di validità utilizzando gli strumenti normativi previsti dal di-ritto civile, in quanto il negozio giuridico essendo illecito è radical-mente nullo. Il reato sussiste anche nel caso il patrocinatore vanti ef-fettivamente del danaro dal suo cliente per prestazioni professionali effettiva, ma la sua legittima pretesa si accompagna ad espressioni che

Pasquale Troncone 910

25Cass. 11 maggio 1993, in Cass. pen., 1993, I, p. 2252. 26C. Pedrazzi, La promessa del soggetto passivo, cit., p. 358.

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ingenerano nel cliente la convinzione che potrà influenzare illecita-mente il corso della procedura giudiziaria27.

8. La controversa configurabilità del tentativo. – Generalmente si

esclude che del delitto di millantato credito del patrocinatore possa essere ipotizzato il tentativo di cui alla generale previsione dell’art. 56 c.p. Vi ostano ragioni di carattere strutturale ma soprattutto il fatto che, in presenza di un requisito di tipicità della condotta attiva come la promessa, si possa immaginare un iter criminis tale da consentire una precisa e netta distinzione tra il reato consumato e gli atti ido-nei diretti in modo non equivoco a realizzare il vantaggio per l’a-gente. Nel momento in cui viene espressa in termini impegnativi e seri la promessa l’evento è già compiuto e dunque il delitto è già consumato.

Tuttavia deve essere opportunamente segnalato che parte della dot-trina non esclude la configurabilità del tentativo, quando, ad esem-pio, l’utilità non venga successivamente conseguita per la ferma op-posizione del cliente a rispettare il patto stretto con il suo patroci-natore28.

9. La categoria dei destinatari «fittizi» della condotta punita. – I

soggetti nei confronti dei quali viene millantato il credito del patro-cinatore sono tassativamente indicati dall’art. 382 c.p. e sono solo e soltanto cinque, vale a dire: il giudice, il pubblico ministero, il testi-mone, il perito e l’interprete. Si tratta naturalmente di soggetti tutti in possesso della qualifica di pubblico ufficiale e che gravitano nel-l’ambito giudiziario con un ruolo di incardinamento stabile ovvero episodico, come accade per il testimone. La qualifica, infatti, deriva dalla previsione dell’art. 357 c.p. »Nozione di pubblico ufficiale» che investe direttamente il soggetto della qualità personale in ragione del-l’esercizio della funzione giudiziaria. Sono definiti destinatari fittizi della millanteria perché in realtà si tratta di persone estranee all’atti-vità ingannevole del patrocinante che nulla sanno di essere diventate ignari strumenti della «vendita di fumo» da parte dell’autore del reato. Anche in questo caso va precisato che la qualifica di «perito» non è estensibile al consulente tecnico che, sia nel processo penale che in

Il millantato credito del patrocinatore 911

27Cass. 10 dicembre 1987, in Cass. pen., 1989, I, p. 2500.

28R. Lottini, Commento a Millantato credito del patrocinatore, in Trattato di

diritto penale, diretto da Alberto Cadoppi, Stefano Canestrari, Adelmo Manna,

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quello civile, è nominato direttamente dal Giudice, benché sia dotato delle stesse caratteristiche professionali e possa svolgere il medesimo mandato.

Quando la norma indica il giudice la nozione ricomprende sia il Giudice come organo monocratico (si pensi al giudice monocratico nel settore penale e al giudice istruttore in quello civile); sia quello che compone l’organo collegiale (si pensi al Tribunale in formazione collegiale e al componente del Tribunale Amministrativo Regionale). Definizione controversa invece è quella del pubblico ministero che la norma vorrebbe fosse soltanto l’appartenente all’Ufficio dell’accusa chiamato a concludere. In realtà la norma nata nel 1930 non può rac-cogliere le novità introdotte con il codice di procedura penale del 1989, dove il pubblico ministero è chiamato a condurre le indagini prelimi-nari e nell’ambito di queste talvolta a «concludere» in senso lato. Se-condo il tenore letterale della disposizione originaria si dovrebbe trat-tare soltanto del pubblico ministero o del procuratore generale presso la Corte di Appello e presso la Suprema Corte di Cassazione. Se-condo invece un più aderente profilo evolutivo dell’interpretazione let-terale il pubblico ministero che conclude è il soggetto chiamato nelle varie fasi del procedimento e del processo a proporre il suo parere e la sua conclusione in riferimento al segmento processuale in via di esaurimento. È da escludere invece che nella categoria di «perito» possa trovare spazio la figura del consulente tecnico che prende parte al pro-cesso penale. Non solo per il codice di rito penale vigente il nomen è diverso, ma diversa è anche il ruolo e la funzione che il consulente tecnico svolge in ambito processuale. Ed infatti il consulente è l’e-sperto nominato da una parte processuale, il pubblico ministero o l’imputato; mentre la figura del perito è quella che risale al giudice terzo e ai suoi poteri di nomina di un proprio esperto.

Una sostanziale variante esiste invece per il processo civile, poi-ché l’art. 191 c.p.c. stabilisce che il Giudice può procedere alla no-mina di un proprio consulente tecnico d’ufficio (CTU) cui sottoporre la valutazione dei profili tecnici del caso da giudicare. Ebbene, no-nostante la diversità della qualifica il CTU, per la concreta attività cui viene nominato nel procedimento civile, è un vero e proprio pe-rito, ben diverso dal consulente tecnico di una delle parti nel pro-cesso penale. Pertanto la norma in esame si applicherà anche a que-sta figura di CTU nel processo civile.

10. Il concorso con altri reati. – Si è già detto che il delitto di

mil-lantato credito del patrocinatore si pone in condizione di

alternati-Pasquale Troncone 912

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vità e quindi di concorso formale con il delitto di corruzione, art. 319-ter c.p., poiché mentre nel primo il patrocinatore lascia convin-cere il suo cliente di avere buoni uffici presso i soggetti istituzionali chiamati a svolgere le funzioni nell’ambito di un procedimento civile o penale che lo riguarda, nella corruzione vi è una effettiva dazione di danaro per il compimento di un atto contrario o conforme ai do-veri del proprio ufficio29.

Nonostante il quadro sistematico strutturato secondo la selezione di beni giuridici cui assicurare una precisa area di tutela, il delitto in esame propone seri profili pubblicistici per quanto concerne i casi di interferenza normativa, allorché si pone in apparente o reale concorso con ipotesi di incriminazione centrate su interessi di tipo privatistico. Alternativa è anche la sussistenza della fattispecie di reato in esame con il delitto di millantato credito, art. 346 c.p., poiché sussiste tra le stesse un rapporto di specialità. Nonostante un nucleo comune degli elementi costitutivi dei due precetti, la norma dell’art. 382 c.p. con-tiene ulteriori elementi di tipicità, quali la qualifica del soggetto agente, le tipiche figure del settore della giurisdizione e il credito vantato presso queste ultime, che rende speciale questa ipotesi di reato, se-condo la disciplina dell’art. 15 c.p., rispetto a quella del delitto pre-visto all’art. 346 c.p. Una prima osservazione investe gli effetti del presunto intervento risolutore del millantatore. Nel delitto di mil-lantato credito conta il fatto che il milmil-lantatore riferisce di aver svolto un’attività di mediazione tra un pubblico ufficiale e la sua vittima. Il secondo comma dell’art. 346 c.p. punisce chi si impegna a comprare o remunerare, quasi anticipando l’attività di mediazione; l’art. 382 c.p. punisce chi –solo il patrocinatore- si impegna a procurare o remu-nerare l’esponente dell’apparato giudiziario come attività successiva e non qualificata giuridicamente. Infatti, mentre il comprare caratterizza un’attività di tipo negoziale in cui l’oggetto e il compenso è agevol-mente percepibile come indebito, il procurare non implica una pre-cisa attività negoziale bensì un generico intervento di gratificazione per il risultato ottenuto. La norma non a caso ha spesso suscitato perplessità circa la sua persistente presenza nei diversi codici penali italiani, seppure in presenza di un’altra fattispecie che avrebbe potuto senza alcun dubbio coprire l’area di tutela30.

Ulteriore ipotesi affine che sembra proporsi come concorrente al

Il millantato credito del patrocinatore 913

29C. Pedrazzi, Millantato credito, cit., p. 933.

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delitto dell’art. 382 c.p. in esame, è quella del delitto di truffa di cui all’art. 640 c.p. In effetti la condotta del patrocinatore sembra possa concretizzarsi appieno negli «artifizi e raggiri» tali da indurre in ’»er-rore» il cliente nel convincerlo dell’attività di credito e di influenza presso i soggetti istituzionali. Tuttavia, nonostante l’elemento comune sia la «frode», i due delitti appaiono sostanzialmente diversi per il bene giuridico la cui tutela sono chiamati a presidiare e per la speci-ficità degli artifizi e i raggiri. In realtà occorre considerare che i due delitti propongono un medesimo disvalore della condotta che, al di là di peculiari modalità realizzative, si presentano indiscutibilmente connotate dal profilo della frode e dell’erroneo convincimento di una situazione soltanto apparente. Si pone pertanto un problema di ne

bis in idem sostanziale e il contenuto tipico del precetto del delitto

di truffa diviene una modalità di realizzazione della condotta del de-litto di millantato credito del patrocinatore, fino a rimanerne intera-mente assorbita. Pertanto non si porrà un problema di concorso for-male di reati ma il patrocinatore sarà punito unicamente per il de-litto dell’art. 382 c.p. che assorbe interamente il fatto illecito dell’art. 640 c.p.31.

Pasquale Troncone 914

31 La questione è ampiamente trattata da D. Zotta, Millantato credito del

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